CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 13 luglio 2016 ( 1 )

Cause riunite C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15

Francisco Gutiérrez Naranjo

contro

Cajasur Banco S.A.U. (C‑154/15),

e

Ana María Palacios Martínez

contro

Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (C‑307/15),

e

Banco Popular Español SA

contro

Emilio Irles López,

Teresa Torres Andreu (C‑308/15)

[domande di pronuncia pregiudiziale presentate dal Juzgado de lo Mercantil n. 1 di Granada (tribunale commerciale n. 1 di Granada, Spagna) (causa C‑154/15) e dall’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante, Spagna) (cause C‑307/15 e C‑308/15)]

«Rinvio pregiudiziale — Contratti stipulati con i consumatori — Clausole abusive — Poteri del giudice nazionale — Dichiarazione di nullità — Effetti — Obbligo di restituzione delle somme riscosse sul fondamento di una clausola dichiarata abusiva — Non retroattività — Conformità all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE»

Indice

 

I – Contesto normativo

 

A – Direttiva 93/13

 

B – Normativa spagnola

 

1. Disposizioni normative

 

2. Giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema)

 

a) Sentenza del 9 maggio 2013

 

b) Sentenze del 25 marzo 2015 e del 29 aprile 2015

 

II – Fatti, controversie nei procedimenti principali e questioni pregiudiziali

 

A – Causa C‑154/15

 

B – Cause C‑307/15 e C‑308/15

 

1. Causa C‑307/15

 

2. Causa C‑308/15

 

3. Questioni pregiudiziali nelle cause C‑307/15 e C‑308/15

 

III – Procedimento dinanzi alla Corte

 

A – Sull’istanza di procedimento accelerato delle cause C‑307/15 e C‑308/15

 

B – Sullo svolgimento della fase scritta e della fase orale del procedimento

 

IV – Analisi

 

A – Sulle questioni pregiudiziali, considerate congiuntamente, della causa C‑154/15 e sulla prima questione comune alle cause C‑307/15 e C‑308/15

 

1. Sul livello di protezione offerto ai consumatori dalla giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) rispetto a quello offerto dalla direttiva 93/13

 

2. Sulla portata dell’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13

 

a) Un’interpretazione letterale poco illuminante

 

b) Riesame della giurisprudenza

 

c) Applicazione ai casi in esame

 

B – Sulle altre questioni pregiudiziali

 

V – Conclusione

1. 

I giudici spagnoli hanno contribuito in maniera significativa allo sviluppo della giurisprudenza relativa alla direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori ( 2 ) investendo la Corte, a più riprese, di questioni pregiudiziali che hanno condotto quest’ultima a precisarne l’interpretazione. Oggi, è il contenzioso relativo alle clausole «di tasso minimo» inserite nei contratti di mutuo conclusi con i consumatori a occupare le aule giudiziarie spagnole e, in via incidentale, quella della Corte ( 3 ). Tali clausole prevedono che l’istituto bancario che concede un mutuo ipotecario a tasso variabile applichi un limite inferiore alla variazione del tasso di interesse tale che, anche se il tasso di interesse applicabile è inferiore ad una certa soglia (o «tasso minimo»), il consumatore continui a pagare interessi minimi, equivalenti a tale soglia.

2. 

Le presenti cause sollevano una questione di principio che non verte tanto sulle clausole «di tasso minimo» in sé considerate, quanto sugli effetti che devono accompagnare la constatazione del carattere abusivo di tali clausole. Il contesto in cui si colloca tale questione è particolare, in quanto interessa una serie di sentenze pronunciate dal Tribunal Supremo (Corte suprema), con le quali quest’ultimo ha statuito che i consumatori possono ottenere il rimborso delle somme versate agli istituti finanziari sulla base delle clausole «di tasso minimo» solo a partire dalla data della prima sentenza da esso emessa che aveva dichiarato la nullità di dette clausole a causa del loro carattere abusivo, ossia dal 9 maggio 2013.

I – Contesto normativo

A – Direttiva 93/13

3.

Risulta dal considerando 4 della direttiva 93/13 «che spetta agli Stati membri fare in modo che clausole abusive non siano incluse nei contratti stipulati con i consumatori».

4.

Il considerando 12 della direttiva 93/13 enuncia che «per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; (…) che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva».

5.

Al considerando 16 della direttiva 93/13, il legislatore dell’Unione ha precisato che «la valutazione, secondo i criteri generali stabiliti, del carattere abusivo di clausole (…) deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa; che si tratta nella fattispecie del requisito di buona fede; che nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti (…); il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi».

6.

Il considerando 18 della direttiva 93/13 afferma che «la natura dei beni o servizi deve entrare nella valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali».

7.

Il considerando 20 della direttiva 93/13 esige che «i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, (…) il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole e (…) in caso di dubbio, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore».

8.

Il considerando 21 della direttiva 93/13 prevede che «gli Stati membri devono prendere le misure necessarie per evitare l’inserzione di clausole abusive in contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori; (…) se, ciò nonostante, tali clausole figurano in detti contratti, esse non vincoleranno il consumatore, e il contratto resta vincolante per le parti secondo le stesse condizioni, qualora possa sussistere anche senza le clausole abusive».

9.

Il considerando 24 della direttiva 93/13 enuncia che «le autorità giudiziarie (…) devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».

10.

Secondo l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13:

«1.   Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

2.   Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto».

11.

L’articolo 4 della direttiva 93/13 così recita:

«1.   Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.   La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

12.

L’articolo 5 della direttiva 93/13, afferma che, «[n]el caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore».

13.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, dispone che «[g]li Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

14.

L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, enuncia che «[g]li Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

15.

L’articolo 8 della direttiva 93/13, prevede che «[g]li Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».

B – Normativa spagnola

1. Disposizioni normative

16.

Secondo l’articolo 1303 del codice civile, il quale definisce le conseguenze risultanti dalla dichiarazione di nullità, «[d]ichiarata la nullità di un’obbligazione, i contraenti devono reciprocamente restituirsi ciò che ha costituito l’oggetto del contratto e il prezzo, inclusi gli interessi».

17.

In conformità all’articolo 83 della Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios y otras leyes complementarias (legge generale sulla tutela dei consumatori e degli utenti e delle altre leggi complementari; in prosieguo: la «LGDCU») ( 4 ), «[l]e clausole abusive saranno nulle di pieno diritto e saranno considerate come non apposte. A tal fine, il giudice, dopo aver sentito le parti, dichiarerà la nullità delle clausole abusive inserite nel contratto, il quale, tuttavia, resterà vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza tali clausole».

2. Giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema)

a) Sentenza del 9 maggio 2013

18.

Nella sentenza del 9 maggio 2013 ( 5 ), il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha esaminato, nell’ambito di un’azione collettiva proposta da un’associazione di consumatori nei confronti di tre istituti bancari, il carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo».

19.

Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha dichiarato che, poiché esse erano indissociabili dal prezzo o dalla contropartita, le clausole «di tasso minimo» facevano parte dell’oggetto principale del contratto, cosicché non era possibile, in linea di principio, controllare il carattere abusivo del loro contenuto. Cionondimeno, dal momento che la Corte aveva consentito di esercitare un controllo giurisdizionale delle clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto, al fine di assicurare al consumatore un livello di protezione più elevato, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha ritenuto di poter procedere all’analisi dell’eventuale carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo», facendo valere che la sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid ( 6 ) l’autorizzava ad esercitare un controllo che non si limitava a verificare semplicemente se le clausole fossero redatte in modo chiaro. Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha riconosciuto che il testo dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 prendeva in considerazione unicamente un controllo di trasparenza formale delle clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto. Tuttavia, in conformità alla sua interpretazione della sentenza della Corte del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid ( 7 ), esso ha statuito che, oltre a questo primo filtro di trasparenza, i giudici spagnoli potevano assoggettare tali clausole ad un secondo controllo, più rigoroso di quello previsto dalla direttiva 93/13, fondato sull’articolo 80, paragrafo 1, della LGDCU ( 8 ). Secondo il Tribunal Supremo (Corte suprema), tale disposizione fissa un secondo filtro di trasparenza, consistente nell’esaminare se il consumatore conosceva o poteva agevolmente conoscere l’onere economico e giuridico che il contratto faceva gravare sul medesimo. Se il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha dichiarato che le clausole «di tasso minimo» erano legittime, nella misura in cui soddisfacevano i requisiti di trasparenza previsti dalla legge, ed erano conformi al primo controllo di trasparenza, esso ha deciso diversamente in relazione al secondo controllo ( 9 ). Di conseguenza, esso ha qualificato come «abusive» le clausole «di tasso minimo», ne ha constatato la nullità, mantenendo al contempo la validità dei contratti in cui esse sono inserite, e ha ingiunto ai tre istituti bancari parti nel procedimento dinanzi al medesimo di eliminare tali clausole dai contratti esistenti e di cessarne l’utilizzazione.

20.

Poiché riteneva di aver applicato ex novo un controllo rafforzato della trasparenza delle clausole controverse, il Tribunal Supremo (Corte suprema), su domanda del pubblico ministero, ha limitato nel tempo gli effetti della sua sentenza. Esso ha pertanto dichiarato che la retroattività poteva essere limitata in applicazione dei principi di certezza del diritto, di equità e del divieto di arricchimento senza causa, e ha verificato la presenza dei due criteri richiesti dalla Corte allorché essa è invitata a limitare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze, ossia la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti economici ( 10 ). In conseguenza di tale analisi ( 11 ), esso ha deciso che l’accertamento della nullità non incide né sulle situazioni decise in via definitiva con sentenze passate in giudicato né sui pagamenti già eseguiti alla data di pubblicazione della sentenza del 9 maggio 2013.

b) Sentenze del 25 marzo 2015 e del 29 aprile 2015

21.

Il 25 marzo 2015 e il 29 aprile 2015 ( 12 ), pur statuendo nell’ambito di due azioni individuali proposte nei confronti di uno degli istituti di credito convenuti nel procedimento collettivo sfociato nella sentenza del 9 maggio 2013, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha ritenuto che le circostanze di fatto fossero identiche a quelle all’origine della sua decisione del 9 maggio 2013. Esso ha pertanto confermato il carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo». Inoltre, ha ritenuto di essere in presenza delle stesse considerazioni relative alla certezza del diritto, alla buona fede e al rischio di gravi inconvenienti economici. In tali circostanze, esso ha ristretto nel tempo gli effetti delle sue sentenze del 25 marzo 2015 e del 29 aprile 2015, limitando l’obbligo di restituire le somme versate in applicazione delle clausole «di tasso minimo» a quelle versate successivamente alla pubblicazione della sentenza del 9 maggio 2013, data a partire della quale la buona fede degli ambienti interessati è venuta meno.

II – Fatti, controversie nei procedimenti principali e questioni pregiudiziali

A – Causa C‑154/15

22.

Il sig. Francisco Gutiérrez Naranjo ha concluso con la banca Cajasur Banco S.A.U. un contratto di mutuo ipotecario nel quale è inserita una clausola «di tasso minimo». Il sig. Gutiérrez Naranjo ha investito il Juzgado de lo Mercantil n. 1 de Granada (tribunale commerciale n. 1 di Granada), da un lato, di un’azione intesa ad inibire tale clausola contrattuale in quanto abusiva e, dall’altro, di un’azione intesa alla restituzione delle somme versate a partire dalla firma del contratto di mutuo in forza della clausola asseritamente abusiva.

23.

Il Juzgado de lo Mercantil n. 1 de Granada (tribunale commerciale n. 1 di Granada) rammenta la ratio decidendi della sentenza pronunciata dal Tribunal Supremo (Corte suprema) in data 9 maggio 2013 e menziona un’applicazione divergente, da parte dei giudici ordinari spagnoli, di tale sentenza, segnatamente per quanto attiene alla sua possibile trasposizione nel contesto di un’azione non più collettiva bensì individuale. Inoltre, qualora dovesse essere ritenuto possibile non autorizzare la restituzione delle somme riscosse in forza di una clausola dichiarata abusiva a far data dalla conclusione del contratto contenente detta clausola, il Juzgado de lo Mercantil n. 1 de Granada (tribunale commerciale n. 1 di Granada) si chiede quale sia il momento da cui occorre far iniziare la restituzione in questione. Esso si interroga parimenti sulla compatibilità di una siffatta limitazione degli effetti restitutori della dichiarazione di nullità per abusività con la giurisprudenza della Corte ( 13 ), pur essendo propenso a ritenere che la limitazione degli effetti della nullità non sia comparabile ad un eventuale potere del giudice nazionale di modulare il contenuto delle clausole reputate abusive.

24.

Confrontato pertanto con una difficoltà legata all’interpretazione del diritto dell’Unione, il Juzgado de lo Mercantil n. 1 de Granada (tribunale commerciale n. 1 di Granada) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione pervenuta nella cancelleria della Corte il 1o aprile 2015, di investire quest’ultima delle seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’interpretazione della non vincolatività ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 sia compatibile, in tali casi, con un’interpretazione tale per cui la dichiarazione di nullità della suddetta clausola estende cionondimeno i suoi effetti fino alla pronuncia di tale dichiarazione e, pertanto, con l’interpretazione secondo la quale, sebbene sia dichiarata la sua nullità, si riterrà che gli effetti da essa prodotti quando era in vigore non siano annullati o resi inefficaci.

2)

Se la cessazione dell’uso che potrebbe essere determinata da una data clausola (ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1 e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13) nell’ambito di un’azione individuale promossa da un consumatore quando si dichiari la sua nullità, sia compatibile con una limitazione degli effetti di tale nullità e se un giudice possa moderare la restituzione delle somme versate dal consumatore – cui è obbligato il professionista – ai sensi di tale clausola, successivamente dichiarata nulla ex tunc, per mancanza di informazione e/o di trasparenza».

B – Cause C‑307/15 e C‑308/15

1. Causa C‑307/15

25.

Il 28 luglio 2006, la sig.ra Ana María Palacios Martínez ha concluso un contratto di mutuo ipotecario con la banca Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (in prosieguo: la «BBVA») nel quale era inserita una clausola «di tasso minimo». Il 6 marzo 2014, la sig.ra Palacios Martínez ha proposto un ricorso avverso la BBVA inteso a far dichiarare la nullità di tale clausola a causa del suo carattere abusivo. Il 3 novembre 2014, il Juzgado de lo Mercantil n. 1 de Alicante (tribunale commerciale n. 1 di Alicante) ha dichiarato che il ricorso proposto era divenuto privo di oggetto ( 14 ), fatta salva la restituzione alla sig.ra Palacios Martínez delle somme riscosse dalla BBVA in forza di detta clausola a partire dal 9 maggio 2013, in conformità a quanto statuito dal Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sua sentenza del 9 maggio 2013.

26.

La sig.ra Palacios Martínez ha impugnato tale sentenza dinanzi all’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante). A suo avviso, le condizioni attinenti alla restituzione fissate in primo grado non sarebbero conformi né all’articolo 1303 del codice civile né al principio, sancito dalla direttiva 93/13, secondo il quale le clausole abusive non vincolano i consumatori. Poiché le somme riscosse dalla BBVA dalla data della conclusione del contratto con la sig.ra Palacios Martínez fino alla data della pronuncia della sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) lo sono state sulla base di una clausola contrattuale giudicata abusiva, e poiché la restituzione di dette somme è richiesta solo a partire dalla data di detta sentenza, la clausola abusiva avrebbe allora vincolato parzialmente il consumatore, sebbene la direttiva 93/13 esiga la non vincolatività assoluta e incondizionata al fine di garantire una protezione integrale del consumatore. Anche ammesso che i criteri di buona fede e del rischio di gravi inconvenienti economici siano rilevanti al fine di limitare, dinanzi al giudice nazionale, gli effetti della restituzione di somme versate in forza di una clausola giudicata abusiva, la sig.ra Palacios Martínez contesta che possa ritenersi che la BBVA fosse in buona fede. Inoltre, la BBVA non sarebbe incorsa in alcun rischio grave qualora fosse stata condannata a restituire le somme versatele dalla sig.ra Palacios Martínez sul fondamento della clausola «di tasso minimo» giudicata abusiva. Se un rischio economico esiste, sarebbe piuttosto quello subito dall’economia familiare di tale consumatrice.

2. Causa C‑308/15

27.

Il 1o giugno 2001, il sig. Emilio Irles López e la sig.ra Teresa Torres Andreu hanno concluso con la banca Banco Popular Español SA ( 15 ) un contratto di mutuo ipotecario contenente una clausola «di tasso minimo». Nel maggio e nel giugno 2007, il Banco Popular Español ha approvato un aumento di capitale e ciascun aumento ha dato luogo ad una revisione di tale clausola «di tasso minimo».

28.

Il sig. Irles López e la sig.ra Torres Andreu hanno adito il Juzgado de lo Mercantil n. 3 de Alicante (tribunale commerciale n. 3 di Alicante) al fine di far dichiarare la nullità della clausola «di tasso minimo» contenuta nel contratto del 2001 e nei successivi atti di novazione. A causa della sua mancanza di trasparenza, detta clausola dovrebbe, a loro avviso, essere considerata abusiva. Inoltre, il sig. Irles López e la sig.ra Torres Andreu chiedevano che le loro rate fossero ricalcolate senza applicare la clausola controversa, e che la banca fosse condannata a restituire loro la differenza a partire dalla data della conclusione del contratto.

29.

Il 10 novembre 2014, il Juzgado de lo Mercantil n. 3 di Alicante (tribunale commerciale n. 3 di Alicante) ha dichiarato la nullità di pieno diritto, a causa del suo carattere abusivo, della clausola «di tasso minimo» contenuta negli atti controversi. Esso ha parimenti condannato il Banco Popular Español a restituire al sig. Irles López e alla sig.ra Torres Andreu le somme giudicate indebitamente riscosse sulla base di tale clausola, aumentate degli interessi, a partire dalla data della conclusione del contratto.

30.

Il Banco Popular Español ha impugnato tale sentenza dinanzi all’Audiencia Provincial di Alicante (corte provinciale di Alicante). Dinanzi a tale giudice d’appello, il Banco Popular Español contesta il carattere abusivo della clausola «di tasso minimo» inserita nel contratto del 2001 e modificata in due occasioni nel 2007, e sostiene di avere fornito informazioni sufficienti alle controparti contrattuali. In ogni caso, il Banco Popular Español afferma che il giudice di primo grado, condannandola al rimborso retroattivo delle somme asseritamente indebitamente riscosse, si è discostato dalla giurisprudenza stabilita dal Tribunal Supremo (Corte suprema) nella sentenza del 9 maggio 2013. Di conseguenza, la sentenza del 10 novembre 2014 dovrebbe essere annullata.

3. Questioni pregiudiziali nelle cause C‑307/15 e C‑308/15

31.

L’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante) nutre dei dubbi quanto alla portata della sanzione delle clausole abusive. L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, si limita ad esigere che siffatte clausole non vincolino il consumatore, alle condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali. La questione della restituzione delle somme versate sul fondamento di clausole dichiarate abusive non è armonizzata, a priori, da tale direttiva. Cionondimeno, il giudice del rinvio in queste due cause si chiede se non sia contrario all’effetto utile, alla finalità dissuasiva e alla tutela integrale del consumatore, promossa dalla direttiva 93/13, interpretare l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 nel senso che esso non obbliga anche gli Stati membri ad organizzare le condizioni di una riparazione per i consumatori ai quali sono state applicate siffatte clausole. Detto giudice si chiede, inoltre, se la limitazione della restituzione, quale decisa dal Tribunal Supremo (Corte suprema), non sia contraria al divieto, imposto dalla Corte al giudice nazionale, di rivedere o moderare il contenuto delle clausole giudicate abusive. Poiché la giurisprudenza della Corte obbliga segnatamente i giudici nazionali a trarre tutte le conseguenze che discendono, secondo il loro diritto nazionale, dalla qualificazione di una clausola come «abusiva» ( 16 ), si pone la questione se la mancanza di vincolatività delle clausole abusive prescritta dalla direttiva debba essere intesa in maniera assoluta o incondizionata oppure se, al contrario, essa sia modulabile. Infine, anche ammesso che i criteri fissati dalla Corte per decidere di limitare gli effetti retroattivi delle proprie sentenze siano rilevanti in una situazione come quella affrontata dal Tribunal Supremo (Corte suprema), l’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante) dubita che la buona fede delle banche, le quali si trovavano chiaramente in una posizione di superiorità rispetto ai consumatori, possa essere ritenuta sussistente. Quanto al rischio di gravi inconvenienti economici, il giudice del rinvio dubita che il Tribunal Supremo (Corte suprema) abbia veramente riscontrato un siffatto rischio, dal momento che esso si è fondato unicamente sul suo carattere «notorio» senza che siano state dimostrate circostanze qualitative o quantitative precise.

32.

Trovandosi confrontata con una difficoltà d’interpretazione del diritto dell’Unione, l’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisioni pervenute nella cancelleria della Corte il 25 giugno 2015, di sottoporre a quest’ultima le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se sia compatibile con il principio di non vincolatività [delle clausole abusive], sancito dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13], la circostanza che gli effetti restitutori derivanti dalla dichiarazione di nullità di una clausola “di tasso minimo” inserita in un contratto di mutuo in quanto tale clausola sarebbe abusiva non retroagiscano alla data di stipula del contratto, bensì a una data posteriore.

2)

Se il criterio di buona fede degli ambienti interessati che funge da fondamento della limitazione dell’efficacia retroattiva [dell’annullamento di] una clausola abusiva sia una nozione autonoma del diritto dell’Unione che debba essere interpretata in modo uniforme dall’insieme degli Stati membri.

3)

In caso di risposta affermativa, quali requisiti debbano essere soddisfatti per determinare l’esistenza della buona fede degli ambienti interessati.

4)

In ogni caso, se sia conforme alla buona fede degli ambienti interessati l’operato del professionista che, nell’elaborazione del contratto, ha determinato la mancanza di trasparenza all’origine dell’abusività della clausola.

5)

Se il rischio di gravi inconvenienti che funge da fondamento della limitazione dell’efficacia retroattiva [dell’annullamento di] una clausola abusiva sia una nozione autonoma del diritto dell’Unione che debba essere interpretata in modo uniforme dall’insieme degli Stati membri.

6.

In caso di risposta affermativa, quali criteri debbano essere presi in considerazione.

7.

Se il rischio di gravi inconvenienti debba essere valutato prendendo in considerazione solo il rischio che potrebbe verificarsi per il professionista o se si debba tenere conto anche del danno arrecato ai consumatori dalla mancata restituzione integrale degli importi versati in virtù della suddetta clausola “di tasso minimo”.

[e, unicamente per la causa C‑308/15,]

8)

Se l’estensione automatica della medesima limitazione degli effetti restitutori derivanti dalla nullità di una clausola “di tasso minimo”, dichiarata nell’ambito di una causa promossa da un’associazione di consumatori contro [tre] istituti finanziari, alle azioni individuali volte a far dichiarare la nullità di una clausola «di tasso minimo» in quanto abusiva, promosse da clienti consumatori che hanno contratto un mutuo ipotecario con istituti finanziari diversi, sia compatibile con il principio di non vincolatività per il consumatore sancito dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e con il diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

III – Procedimento dinanzi alla Corte

A – Sull’istanza di procedimento accelerato delle cause C‑307/15 e C‑308/15

33.

Nelle cause C‑307/15 e C‑308/15, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di assoggettare dette cause ad un procedimento accelerato, ai sensi dell’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Tale istanza è stata respinta con ordinanza del presidente della Corte adottata il 14 agosto 2015.

B – Sullo svolgimento della fase scritta e della fase orale del procedimento

34.

Con decisione del presidente della Corte del 10 luglio 2015, le cause C‑307/15 e C‑308/15 sono state riunite ai fini della fase scritta e orale, nonché della sentenza. In tali cause, sono state depositate osservazioni scritte dal sig. Irles López, dalla BBVA, dal Banco Popular Español, dai governi spagnolo, polacco e del Regno Unito, nonché dalla Commissione europea.

35.

Nella causa C‑154/15, sono state depositate osservazioni scritte dal sig. Gutiérrez Naranjo, dal Cajasur Banco, dai governi ceco, spagnolo e del Regno Unito, nonché dalla Commissione.

36.

Con decisione del presidente della Corte del 21 ottobre 2015, le cause C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15 sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento nonché della sentenza.

37.

Nel corso dell’udienza comune alle tre cause ormai riunite, tenutasi il 26 aprile 2016, sono state presentate osservazioni orali dal sig. Gutiérrez Naranjo, dalla sig.ra Palacios Martínez, dal sig. Irles López, dal Cajasur Banco, dal Banco Popular Español, dalla BBVA, dai governi spagnolo e del Regno Unito, nonché dalla Commissione.

IV – Analisi

38.

Le questioni poste dai giudici del rinvio si articolano, in sostanza, intorno a tre problematiche. Si tratta anzitutto di determinare se sia conforme all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, limitare gli effetti restitutori della nullità risultante dalla qualificazione come abusive delle clausole «di tasso minimo». L’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante) chiede poi alla Corte, da un lato, se il Tribunal Supremo (Corte suprema) abbia applicato correttamente i criteri di buona fede e del rischio di gravi inconvenienti ai sensi della sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb ( 17 ), e, dall’altro, se il rapporto, quale risulta dalla giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema), fra le soluzioni adottate nell’ambito di azioni collettive e quelle adottate nell’ambito di azioni individuali, sia conforme al diritto dell’Unione.

39.

L’analisi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, che mi accingo ad effettuare dovrebbe tuttavia essere sufficiente affinché la Corte dia una risposta utile ai giudici del rinvio. La parte essenziale delle presenti conclusioni sarà pertanto dedicata alle questioni poste nella causa C‑154/15 e alla prima questione comune alle cause C‑307/15 e C‑308/15.

A – Sulle questioni pregiudiziali, considerate congiuntamente, della causa C‑154/15 e sulla prima questione comune alle cause C‑307/15 e C‑308/15

40.

La questione di principio che annunciavo nel preambolo è, in sostanza, se sia conforme all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, riconoscere ad un organo giurisdizionale supremo di uno Stato membro, dopo aver qualificato come «abusiva» una clausola contrattuale contenuta in un contratto concluso fra un consumatore e un professionista, e dopo aver dichiarato la nullità di tale clausola, il potere di limitare gli effetti di tale dichiarazione, facendo sorgere il diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate dal consumatore sulla base della clausola abusiva solo a partire dalla data della decisione resa da detto organo giurisdizionale, la quale conferma il carattere abusivo della clausola interessata.

41.

Per risolvere tale questione, deve essere effettuato un certo numero di analisi preliminari. Infatti, una delle prime tappe del ragionamento consiste nel determinare il terreno in cui si è situato il Tribunal Supremo (Corte suprema) quando ha pronunciato la sentenza del 9 maggio 2013. Esso sostiene di essere andato al di là del livello di protezione offerto al consumatore dalla direttiva 93/13, la quale, procedendo unicamente ad un’armonizzazione minima della materia, autorizza effettivamente gli Stati membri a prevedere disposizioni più severe ( 18 ). Orbene, se così fosse, la limitazione degli effetti della nullità non potrebbe essere esaminata alla luce dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in quanto le misure di più intensa tutela rientrano, per natura, in un ambito che non è armonizzato dalla direttiva.

42.

Pertanto, per risolvere la questione di principio, la quale verte, ancora una volta, su cosa debba o possa fare il giudice in presenza di clausole abusive, occorre cionondimeno ritornare in via preliminare su considerazioni di natura più sostanziale relative all’operazione di qualificazione «come abusive», da parte del Tribunal Supremo (corte supremo), delle clausole «di tasso minimo». Si tratta di un punto particolarmente delicato, in quanto l’interlocutore, in queste tre cause riunite, in primo luogo, non è il giudice che ha proceduto a tale qualificazione e, in secondo luogo, non rimette in discussione il carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo» ( 19 ). A tal riguardo, preciso dunque, ad ogni buon fine, che la definizione di tale questione preliminare non deve essere intesa come un tentativo di estendere il dibattito pregiudiziale, bensì, al contrario, come il presupposto necessario e inevitabile al fine di fornire una risposta utile ai giudici del rinvio.

43.

Dopo avere dimostrato che il Tribunal Supremo (Corte suprema) non ha agito al di là del livello di protezione offerto al consumatore dalla direttiva 93/13 e, quindi, avere verificato la rilevanza dell’interpretazione richiesta, resterà da determinare la portata dell’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva.

1. Sul livello di protezione offerto ai consumatori dalla giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) rispetto a quello offerto dalla direttiva 93/13

44.

All’origine di queste tre cause si trova una serie di sentenze pronunciate dal Tribunal Supremo (Corte suprema). In sintesi, e sempreché la mia comprensione di dette sentenze sia corretta, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha dichiarato che le clausole «di tasso minimo» contenute nei contratti di mutuo erano clausole relative all’oggetto principale del contratto, il cui controllo del carattere abusivo sul fondamento della direttiva 93/13 è, in linea di principio, escluso, a condizione che tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha ritenuto che le clausole «di tasso minimo» fossero grammaticalmente intelligibili e che soddisfacessero pertanto il controllo di trasparenza formale. Per contro, esso ha considerato che i professionisti che avevano inserito tali clausole nei contratti controversi non avessero fornito informazioni sufficienti per chiarirne il vero significato, e che il requisito di trasparenza sostanziale non fosse soddisfatto. Esso ha concluso per il carattere abusivo di dette clausole. Inoltre, mentre il principio, nell’ordinamento giuridico spagnolo, sarebbe stato la nullità ab initio delle clausole abusive, il Tribunal Supremo (Corte suprema), a causa delle circostanze particolari che riteneva sussistenti, ha deciso rendere efficace la dichiarazione del carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo» solo dalla data di pubblicazione della prima sentenza pronunciata in tal senso, ossia dal 9 maggio 2013.

45.

Se ben comprendo la sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema), mi sembra che quest’ultimo, arricchendo il controllo della trasparenza delle clausole di un requisito di trasparenza sostanziale, abbia ritenuto di avere ecceduto il livello di tutela offerto dalla direttiva 93/13. Esso ha segnatamente giustificato la limitazione degli effetti restitutori della dichiarazione di nullità delle clausole «di tasso minimo» con il carattere innovatore della sua sentenza. Devo confessare di non essere del tutto convinto che sia questo il caso, come dimostra un esame attento della giurisprudenza della Corte.

46.

In tal senso, nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai ( 20 ), la Corte veniva interpellata sulla questione se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 doveva essere interpretato nel senso che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in maniera chiara e comprensibile debba intendersi imporre non soltanto che la clausola in questione sia grammaticalmente chiara e comprensibile per il consumatore, ma anche che le ragioni economiche sottostanti all’applicazione della clausola contrattuale siano chiare e comprensibili per il medesimo consumatore. La Corte ha constatato che questo obbligo di redazione chiara e comprensibile figurava anche all’articolo 5 della direttiva 93/13 e al suo considerando 20, a norma del quale il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole del contratto ( 21 ). Detto obbligo, secondo la Corte, «si applica comunque, ivi compreso quando una clausola rientra nell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 ed esula quindi dalla valutazione del suo carattere abusivo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva» ( 22 ). La Corte ha parimenti dichiarato che l’obbligo di trasparenza figurante all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 «ha la stessa portata di quello previsto all’articolo 5» ( 23 ). Orbene, in relazione a tale articolo 5, la Corte richiama la portata della sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb ( 24 ), nella quale essa ha statuito che le informazioni, prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali ed alle conseguenze di detta conclusione, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza, in quanto è segnatamente su tale base che il consumatore decide se intende vincolarsi ad un professionista ( 25 ). Pertanto, «[l]’obbligo di trasparenza (…) non può quindi essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di queste ultime» ( 26 ) e deve essere inteso in maniera estensiva, alla luce del sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13, il quale poggia sull’idea che il consumatore versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto concerne, in particolare, il livello di informazione ( 27 ).

47.

La Corte ha concluso che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, deve essere interpretato nel senso che «è necessario intendere il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile nel senso di imporre non soltanto che la clausola in questione sia intelligibile per il consumatore su un piano grammaticale, ma anche che il contratto esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo (…) di modo che il consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi ed intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano» ( 28 ). Pertanto, la Corte ha dichiarato che, nel caso concreto di cui era stato allora investito, «spetta[va] al giudice del rinvio stabilire se, considerato l’insieme dei pertinenti elementi di fatto, tra cui la pubblicità e l’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione di un contratto di mutuo, un consumatore medio (…) potesse non soltanto conoscere l’esistenza della differenza, generalmente osservata sul mercato dei valori mobiliari, tra il corso di vendita ed il corso di acquisto di una valuta estera, ma anche valutare le conseguenze economiche, per esso potenzialmente significative, dell’applicazione [della clausola controversa] ai fini del calcolo dei rimborsi di cui in definitiva sarebbe stato debitore e, pertanto, il costo totale del suo mutuo» ( 29 ).

48.

Nella sentenza del 9 luglio 2015, Bucura ( 30 ) emessa successivamente, la Corte era invitata a precisare in che misura il modo in cui talune clausole di un contratto di credito sono state formulate e l’omessa menzione di talune informazioni, sia al momento della conclusione del contratto sia nel corso della sua esecuzione poteva portare il giudice del rinvio a concludere nel senso del carattere abusivo di talune clausole di detto contratto. Dopo aver richiamato il contenuto del considerando 21 e dell’articolo 5 della direttiva 93/13, la Corte ha precisato che «[t]ale obbligo di formulazione [chiara e comprensibile] è a maggior ragione importante in quanto un giudice nazionale è tenuto a valutare il carattere abusivo di una clausola redatta in violazione del medesimo, quand’anche si ritenga che tale clausola possa rientrare nell’esclusione prevista all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Infatti, occorre ricordare che le clausole di cui a tale disposizione, pur rientrando nel settore disciplinato da tale direttiva, si sottraggono alla valutazione di abusività soltanto qualora il giudice nazionale competente dovesse considerare, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile» ( 31 ). Orbene, si evince da una consolidata giurisprudenza della Corte ( 32 ) che alle informazioni fornite al consumatore prima della conclusione del contratto è attribuita un’importanza fondamentale. Pertanto, «spetta al giudice del rinvio stabilire se un consumatore medio […] possa valutare, a partire dalle modalità di calcolo degli interessi annuali che gli vengono comunicati, le conseguenze economiche della loro applicazione per il calcolo delle rate di cui tale consumatore sarà in definitiva debitore e, pertanto, il costo totale del suo mutuo» ( 33 ). Secondo la Corte, «l’omessa menzione delle informazioni relative alle condizioni di rimborso del credito in questione, nonché delle modalità di modifica di tali condizioni nel corso del credito, sono elementi decisivi nell’ambito dell’analisi, da parte di un giudice nazionale, della questione se una clausola di un contratto di mutuo relativa al costo del medesimo, nella quale non figura una siffatta menzione, sia formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell’articolo 4 della direttiva [93/13]» ( 34 ). Se il giudice nazionale ritiene che ciò non avvenga, esso è tenuto a valutarne il carattere abusivo ( 35 ).

49.

È vero che le sentenze del 30 aprile 2014, Kasler e Káslerné Rábai ( 36 ) e del 9 luglio 2015, Bucura ( 37 ) sono state pronunciate dopo la sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema), datata 9 maggio 2013. Tuttavia, esse non sono altro che la logica conseguenza di tutta una serie di sentenze precedenti, fra cui la sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb ( 38 ), alla quale il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha fatto abbondantemente riferimento nella sentenza del 9 maggio 2013 e che metteva già in evidenza il rapporto fra il requisito di trasparenza di cui all’articolo 5 della direttiva 93/13 e l’importanza fondamentale delle informazioni preliminari alla conclusione del contratto per assicurare il consenso informato del consumatore ( 39 ).

50.

Inoltre, sempre nella sentenza RWE Vertrieb ( 40 ), viene ricordato che, «conformemente ad una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte dà di una norma di diritto dell’Unione, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione, purché tuttavia sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una lite relativa all’applicazione di detta norma» ( 41 ). La sentenza RWE Vertrieb ( 42 ), da sola, conteneva già in sé i germi delle sentenze Kalser e Káslerné Rábai ( 43 ) e Bucura ( 44 ). Pertanto, qualificando le clausole «di tasso minimo» come clausole abusive, a causa, segnatamente, dell’assenza di informazioni preliminari sufficienti, il Tribunal Supremo (Corte suprema) non ha agito al di là del diritto dell’Unione, offrendo un livello di protezione più elevato al consumatore rispetto a quello offerto dalla direttiva 93/13 ma, al contrario, ha applicato prescrizioni contenute in quest’ultima ( 45 ).

51.

Ciò premesso, occorre adesso procedere all’analisi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

2. Sulla portata dell’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13

52.

Dopo aver constatato che il testo dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, non è privo di una certa ambiguità, esaminerò la giurisprudenza della Corte per individuare i grandi principi che guidano la sua interpretazione della direttiva 93/13 in generale e dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva in particolare. Infine, applicherò ai casi in esame le conclusioni intermedie tratte.

a) Un’interpretazione letterale poco illuminante

53.

In presenza di clausole abusive, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, da un lato, di prevedere che esse «non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali» (articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13) e, dall’altro, di provvedere, «nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, (…) a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» (articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13).

54.

È giocoforza constatare che il legislatore dell’Unione non si è spinto oltre nella definizione della sanzione delle clausole abusive e, segnatamente, delle condizioni in cui la loro non vincolatività, richiesta ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, debba essere organizzata dagli Stati membri. L’impiego dell’indicativo presente («non vincolano») nulla fa trasparire quanto all’eventuale intenzione di detto legislatore di munire la non vincolatività di una dimensione retroattiva ( 46 ). Questo stesso legislatore ha chiaramente scelto di non utilizzare un vocabolo giuridico più preciso come lo sarebbe stato, ad esempio, un riferimento espresso alla nullità, all’annullamento o alla risoluzione. L’espressione impiegata è del tutto neutra ( 47 ), come rilevato già dall’avvocato generale Trstenjak nelle sue conclusioni presentate nella causa Invitel ( 48 ).

55.

Tale neutralità si spiega naturalmente tramite il rinvio espresso fatto alle legislazioni nazionali ( 49 ). Si pone la questione se sia sufficiente per lasciare agli Stati membri la piena libertà di precisare, alle condizioni che desiderano, la non vincolatività delle clausole abusive. Al fine di chiarire la portata di tale articolo, poiché il suo mero testo risulta insufficiente a tal fine, è necessario tornare sulla giurisprudenza della Corte relativa alla direttiva 93/13 in generale e all’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, in particolare.

b) Riesame della giurisprudenza

56.

La Corte ha messo in evidenza, a più riprese, la funzione occupata dalla direttiva 93/13 nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

57.

Mi limiterò a ricordare che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 si fonda sul presupposto che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter influire sul contenuto delle stesse ( 50 ). Alla luce di una siffatta situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 è una disposizione imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, atto a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime ( 51 ). La Corte ha in tal senso statuito a più riprese che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione di tale direttiva e, in tal modo, ad ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista ( 52 ). Pertanto, per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale ( 53 ).

58.

Inoltre, la Corte non ha cessato di ricordare che la direttiva 93/13 costituisce, nel suo complesso, un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati all’Unione e, in particolare, per l’innalzamento del livello e della qualità della vita all’interno di quest’ultima ( 54 ). È a causa della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori che la direttiva 93/13 impone agli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci «per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» ( 55 ).

59.

Al fine di determinare più specificamente le conseguenze che devono essere tratte dalla dichiarazione della natura abusiva di una clausola contrattuale, la Corte ha statuito che occorre fare riferimento sia al tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, sia agli obiettivi e all’economia generale di quest’ultima ( 56 ). Per quanto riguarda il tenore letterale di tale articolo 6, la Corte ha constatato, «da un lato, che il primo periodo di tale disposizione, pur riconoscendo agli Stati membri un certo margine di autonomia per quanto riguarda la definizione della disciplina giuridica applicabile alle clausole abusive, impone nondimeno espressamente di prevedere che dette clausole “non vincol[i]no”» ( 57 ). I giudici nazionali devono pertanto «trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore non sia vincolato da dette clausole» ( 58 ). Secondo i termini impiegati dalla Corte, «risulta pertanto dal tenore letterale del paragrafo 1 [dell’]articolo 6 [della direttiva 93/13] che i giudici nazionali sono tenuti unicamente ad escludere l’applicazione di una clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore» ( 59 ).

60.

Le clausole abusive «non vincolano», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, allorché il giudice nazionale le disapplica ( 60 ) a causa del carattere dissuasivo della «pura e semplice non applicazione» ( 61 ). La Corte considera, a tal fine, che una clausola abusiva non può essere rivista dal giudice nazionale ma deve, al contrario, essere disapplicata ( 62 ). L’efficacia della sanzione delle clausole abusive viene pertanto valutata in rapporto all’obiettivo di farne cessare l’utilizzazione ( 63 ). Tuttavia, il perseguimento di tale obiettivo può essere abbandonato in presenza della volontà espressa del consumatore di restare vincolato ad una clausola contrattuale nonostante il suo carattere abusivo ( 64 ).

61.

La Corte non si è spinta oltre nel precisare il modo in cui la non vincolatività debba essere concepita negli ordinamenti giuridici nazionali. Non si tratta, probabilmente, di un compito che le spetta, in quanto proprio le modalità di tale organizzazione devono essere decise dagli Stati membri stessi. È dunque logico che, nella sua giurisprudenza, la Corte sembri avere previsto la nullità delle clausole abusive non come l’unica via per soddisfare il requisito fissato dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, bensì come una possibilità fra le tante. È quanto risulta, segnatamente, dalla sentenza del 26 aprile 2012, Invitel ( 65 ) ai sensi della quale essa ha dichiarato che una legislazione nazionale che prevede che la dichiarazione, promanante da un giudice, di nullità di una clausola abusiva si applichi ad ogni consumatore che abbia concluso un contratto con un professionista che utilizzi tale clausola, risponde alle esigenze dell’articolo 6, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13 ( 66 ), e che «l’applicazione di una sanzione di nullità di una clausola abusiva (…) assicura che detti consumatori non siano vincolati da tale clausola, senza peraltro escludere altri tipi di sanzioni adeguate ed efficaci previste dalle legislazioni nazionali» ( 67 ). La Corte ha nuovamente statuito, qualche tempo dopo, che una normativa nazionale «che prevede che le clausole dichiarate abusive siano nulle, soddisfa le esigenze dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13» ( 68 ).

c) Applicazione ai casi in esame

62.

Si pone la questione di quali insegnamenti debbano essere tratti da questa abbondante giurisprudenza.

63.

Secondo la lettura che ne faccio, non mi sembra che essa abbia stabilito un rapporto sistematico o automatico fra l’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva e la nullità delle clausole abusive. In altre parole, la nullità non sembra rappresentare, per la Corte, l’unica risposta giuridica al requisito della non vincolatività delle clausole abusive. È quando discende da un’altra formula ravvisabile, ad esempio, nella sentenza del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank, nella quale essa indica che il «giudice nazionale [deve poter] trarre tutte le conseguenze dall’eventuale carattere abusivo alla luce della direttiva 93/13 della clausola (…), procedendo, eventualmente, al suo annullamento» ( 69 ).

64.

La Corte non ha dunque compensato in maniera perentoria l’imprecisione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13. Essa non è andata oltre tale neutralità di facciata, e forse non poteva farlo. Infatti, qualora oggi la Corte dovesse statuire che tale articolo deve essere interpretato nel senso che, in presenza di una clausola abusiva, il giudice nazionale deve dichiarare la nullità di dette clausole e riconoscere un correlativo diritto alla restitutio in integrum, ossia a partire dal momento della conclusione del contratto, essa priverebbe di qualsiasi effetto utile il rinvio espresso effettuato da tale disposizione alle legislazioni nazionali, e si sottrarrebbe allora difficilmente all’addebito dell’armonizzazione giurisprudenziale ( 70 ).

65.

Inoltre, rilevo che lo stato del diritto nazionale è del tutto conforme a quanto richiesto dalla direttiva 93/13. Infatti, si evince chiaramente dal fascicolo che la sanzione di principio, nell’ordinamento giuridico spagnolo, delle clausole abusive, è la nullità, la quale fa sorgere un diritto alla restituzione integrale ( 71 ). Si tratta, in tal caso, del livello massimo della sanzione civile, la quale elimina tutti gli effetti della clausola abusiva. Tuttavia, ciò che risulta problematico, nelle tre cause in esame, è il fatto che il giudice supremo sia ricorso ad una modalità procedurale che gli consente di limitare nel tempo gli effetti delle sue sentenze. L’utilizzazione di una siffatta possibilità ha avuto come risultato, in relazione alla sanzione delle clausole «di tasso minimo», la seguente situazione.

66.

A partire dal 9 maggio 2013, le clausole «di tasso minimo» devono scomparire dall’ordinamento giuridico spagnolo. Esse devono essere eliminate dai contratti esistenti e i professionisti non possono più inserirle in nuovi contratti, in quanto ogni professionista che inserisca siffatte clausole a partire da tale data verrebbe condannato sia all’eliminazione di dette clausole sia al rimborso delle somme versate sul loro fondamento. In altre parole, i pieni effetti della nullità – la sanzione di principio – sono garantiti a partire dal 9 maggio 2013.

67.

Per quanto attiene al periodo anteriore, benché le clausole «di tasso minimo» siano giudicate abusive, e quindi nulle, i professionisti non sono tenuti ad un obbligo di restituzione delle somme versate sul fondamento delle medesime a causa delle circostanze eccezionali che il giudice supremo ritiene sussistenti, essenzialmente legate alla dimensione endemica del problema.

68.

Poiché il diritto dell’Unione non armonizza né le sanzioni applicabili nel caso del riconoscimento del carattere abusivo di una clausola ( 72 ) né le condizioni in cui un giudice supremo decide di limitare gli effetti delle proprie sentenze, la presente fattispecie ricade nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia procedurale. Tuttavia, tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) ( 73 ).

69.

Per quanto riguarda, in primo luogo, il principio di equivalenza, esso presuppone che la norma nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi un oggetto e una causa analoghi ( 74 ). Fatte salve eventuali verifiche ulteriori da parte dei giudici del rinvio, emerge dal fascicolo, e segnatamente dalle osservazioni scritte del governo spagnolo, che il Tribunal Supremo (Corte suprema) non riserva la possibilità di limitare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze alle sole liti che interessano il diritto dell’Unione, e che esso si è già avvalso di una siffatta possibilità in controversie meramente interne ( 75 ). Considerata da un punto di vista oggettivo, la possibilità, per il Tribunal Supremo (Corte suprema), di limitare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze non mi sembra idonea a far sorgere dubbi quanto alla sua conformità al principio di equivalenza.

70.

Per quanto attiene, in secondo luogo, al principio di effettività, la Corte ha statuito a più riprese che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma ( 76 ) nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali, e che, sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali, segnatamente, il principio della certezza del diritto ( 77 ). Di conseguenza, l’incidenza della limitazione nel tempo degli effetti della sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) sull’effettività della direttiva 93/13 deve essere valutata, da un lato, alla luce dell’obiettivo da essa perseguito, tenendo conto al contempo, dall’altro, dei principi dell’ordinamento giuridico nazionale che hanno imposto la decisione di limitare detti effetti.

71.

Alla luce dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 93/13, come è stato ricordato in occasione dell’analisi della giurisprudenza della Corte, la sanzione delle clausole abusive ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 deve avere un effetto dissuasivo nei confronti del professionista e mirare ad ripristinare un equilibrio reale fra quest’ultimo e il consumatore. Come ho rammentato supra, a partire dal 9 maggio 2013, i professionisti sono obbligati a non utilizzare più le clausole «di tasso minimo» ( 78 ), e tali clausole devono scomparire dai contratti esistenti. L’effetto dissuasivo è pienamente assicurato in quanto ogni professionista che, dopo il 9 maggio 2013, inserisce clausole del genere nei propri contratti, sarà condannato all’eliminazione di dette clausole nonché alla restituzione delle somme versate sul loro fondamento. Il comportamento dei professionisti risulterà pertanto necessariamente modificato a partire dal 9 maggio 2013 e l’effettività della direttiva è, pro futuro, pienamente assicurata.

72.

Resta da esaminare la situazione antecedente al 9 maggio 2013. Le clausole «di tasso minimo» sono sempre considerate abusive e nulle, ma tale nullità esplicherà i suoi pieni effetti solo a partire dalla data della sentenza del giudice supremo che la accerta. Per giustificare un siffatto riporto nel tempo, il Tribunal Supremo (Corte suprema) si è fondato su una serie di argomenti ( 79 ), fra cui la preservazione della certezza del diritto a causa del carattere innovativo della sua decisione – valutazione che tuttavia non condivido ( 80 ) – e le circostanze eccezionali esistenti. Su tale punto, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha insistito, in particolare, sulla dimensione endemica del ricorso alle clausole «di tasso minimo» e ha poi ponderato, da un lato, la tutela dovuta ai consumatori, segnatamente, in forza della direttiva 93/13 e, dall’altro, gli interessi macroeconomici in gioco per il sistema bancario di uno Stato membro già indebolito.

73.

A condizione di restare del tutto eccezionale, un siffatto approccio risulta parimenti ammissibile alla luce del principio di effettività. La Corte ha già ammesso che la tutela del consumatore non è assoluta ( 81 ). Soprattutto, non risulta evidente che, al fine di ripristinare l’equilibrio fra il consumatore e il professionista, sia stato necessario, o anche possibile ( 82 ), in ciascun caso, restituire tutte le somme versate sul fondamento di una clausola «di tasso minimo». Conseguire l’equilibrio tanto cercato dalla direttiva non significa favorire il consumatore. A seconda della data di conclusione dei contratti di mutuo, l’assenza di un effetto completamente retroattivo non ha necessariamente avuto come risultato il mancato ripristino dell’equilibrio. Tale constatazione è, a mio avviso, confortata da due considerazioni essenziali nella valutazione effettuata dal Tribunal Supremo (Corte suprema), ossia che, in primo luogo, il consumatore vincolato da un contratto di mutuo contenente una clausola «di tasso minimo» poteva facilmente far riacquistare il suo contratto e cambiare istituto bancario e, in secondo luogo, l’applicazione della clausola «di tasso minimo» non avrebbe avuto come conseguenza una modifica sostanziale dell’importo delle mensilità dovute dai consumatori.

74.

Alla luce della necessaria considerazione dei principi dell’ordinamento giuridico nazionale che hanno imposto la decisione di limitare nel tempo gli effetti della sentenza del Tribunal Supremo (Corte suprema), la certezza del diritto invocata da quest’ultimo – non tanto a causa del carattere innovativo della sua decisione, lo ricordo, quanto a causa del numero elevato di situazioni giuridiche potenzialmente interessate idonee a rimettere in discussione la stabilità di un settore economico – è una preoccupazione condivisa dall’ordinamento giuridico dell’Unione.

75.

Pertanto, in tali circostanze, né l’effettività dei diritti riconosciuti dalla direttiva 93/13 né gli obiettivi perseguiti da quest’ultima mi sembrano compromessi dalla decisione del Tribunal Supremo (Corte suprema) di limitare nel tempo gli effetti della dichiarazione di nullità delle clausole abusive.

76.

Risulta da quanto precede che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con i principi di equivalenza e di effettività, deve essere interpretato nel senso che, nelle circostanze che caratterizzano le controversie di cui ai procedimenti principali, esso non osta ad una decisione di un giudice supremo con la quale quest’ultimo accerta il carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo», dispone la cessazione del loro impiego e la loro eliminazione dai contratti esistenti e dichiara la loro nullità limitando al contempo, in ragione di circostanze eccezionali, gli effetti, segnatamente restitutori, di tale nullità alla data della sua prima sentenza pronunciata in tal senso.

B – Sulle altre questioni pregiudiziali

77.

Ritengo che la risposta che suggerisco alla Corte di fornire alle questioni poste nella causa C‑154/15 e alla prima questione comune alle cause C‑307/15 e C‑308/15 sia sufficiente affinché i giudici del rinvio possano risolvere le controversie di cui ai procedimenti principali. Pertanto, non mi sembra utile rispondere alle altre questioni sollevate.

78.

Desidero tuttavia formulare un certo numero di osservazioni conclusive al fine di eliminare qualsivoglia ambiguità, tenuto conto degli interessi sistemici in gioco in tali cause.

79.

Ripeto che la soluzione proposta è circoscritta alle circostanze particolari di dette cause e che una siffatta limitazione, promanante da un organo giurisdizionale supremo, deve restare eccezionale.

80.

Inoltre, la soluzione che propongo non deve risultare in alcuna maniera una convalida della tesi secondo la quale i giudici nazionali possono o devono applicare i criteri utilizzati dalla Corte stessa allorché le viene chiesto di limitare gli effetti delle proprie sentenze. Le modalità di organizzazione delle condizioni in cui un organo giurisdizionale supremo di uno Stato membro può limitare gli effetti delle proprie sentenze rientrano, a prima vista, nell’autonomia procedurale degli Stati membri, nel limite dei principi di equivalenza e di effettività del diritto dell’Unione. È il motivo per cui un’analisi più approfondita dei criteri di buona fede e del rischio di gravi inconvenienti, ai sensi della giurisprudenza RWE Vertrieb ( 83 ), richiamata a più riprese dal Tribunal Supremo (Corte suprema), non mi sembrerebbe, in ogni caso, operante. Per contro, è importante ricordare che la Corte resta fondamentalmente competente, in nome del primato e dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, per valutare la conformità al diritto dell’Unione delle condizioni, definite a livello nazionale, relative alla delimitazione nel tempo degli effetti delle sentenze degli organi giurisdizionali supremi pronunciate nella loro funzione di giudice ordinario competente ai fini dell’applicazione del diritto dell’Unione.

81.

Infine, risulta dal testo dell’ottava questione pregiudiziale posta nella causa C‑308/15 che il giudice del rinvio parte dal postulato dell’esistenza di un obbligo di estendere la limitazione degli effetti restitutori discendenti dalla nullità di una clausola «di tasso minimo», quale deciso nell’ambito di un’azione collettiva dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema), alle azioni individuali avviate nei confronti di professionisti che non erano convenuti dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema) in occasione di tale azione collettiva. Il governo spagnolo, sia nelle proprie osservazioni scritte sia in udienza, ha affermato che una siffatta regola che impone un’estensione automatica era sconosciuta all’ordinamento giuridico spagnolo ( 84 ). Se è vero che la giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema) opera come complemento dell’ordinamento giuridico spagnolo ( 85 ), ciò non pregiudica la facoltà, per qualsiasi giudice investito di un’azione intesa all’accertamento del carattere abusivo di una clausola «di tasso minimo», di effettuare un’analisi autonoma delle circostanze e valutare se, nel caso concreto sottopostogli, tali circostanze siano identiche; ciò dovrebbe condurlo, eventualmente, ad applicare la giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema). In tali circostanze, l’ottava questione pregiudiziale sollevata nell’ambito della causa C‑308/15 non esige considerazioni supplementari da parte della Corte. In ogni caso, poiché la soluzione accolta dal Tribunal Supremo (Corte suprema) non mi sembra incompatibile con il diritto dell’Unione, la sua applicazione da parte dei giudici ordinari è idonea a preservare il principio della parità di trattamento nonché quello dell’economia dei procedimenti.

V – Conclusione

82.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere nei seguenti termini le questioni pregiudiziali sottoposte dal Juzgado de lo Mercantil n. 1 di Granada (tribunale commerciale n. 1 di Granada) e dall’Audiencia Provincial di Alicante (corte provinciale di Alicante):

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, letto alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, deve essere interpretato nel senso che, nelle circostanze che caratterizzano le controversie di cui ai procedimenti principali, non osta alla decisione di un organo giurisdizionale supremo con la quale quest’ultimo accerta il carattere abusivo delle clausole «di tasso minimo», dispone la cessazione del loro impiego e la loro eliminazione dai contratti esistenti e dichiara la loro nullità limitando al contempo, in ragione di circostanze eccezionali, gli effetti, segnatamente restitutori, di tale nullità alla data della sua prima sentenza pronunciata in tal senso.


( 1 )   Lingua originale: il francese.

( 2 )   GU 1993, L 95, pag. 29.

( 3 )   Come testimonia l’onda di rinvii su tale tema di cui la Corte è stata investita ultimamente. V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252), nonché le cause pendenti C‑349/15, C‑381/15, C‑431/15, C‑525/15, C‑554/14, C‑1/16 e C‑34/16.

( 4 )   Il testo consolidato della quale è stato approvato con il Real Decreto Legislativo 1/2007 por el que se aprueba el texto refundido de la Ley General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios y otras leyes complementarias (decreto legislativo regio 1/2007, recante approvazione del testo consolidato della legge generale sulla tutela dei consumatori e degli utenti e delle altre leggi complementari), del 26 novembre 2007 (BOE n. 287, del 30 novembre 2007).

( 5 )   Sentenza n. 241/12 (ES:TS:2013:1916).

( 6 )   (C‑484/08, EU:C:2010:309).

( 7 )   (C‑484/08, EU:C:2010:309).

( 8 )   Il quale precisa le qualità che una clausola deve rivestire per essere giudicata trasparente.

( 9 )   Emerge dal fascicolo che questo secondo controllo viene presentato come un requisito nuovo da parte del Tribunal Supremo (Corte suprema). Quest’ultimo ha ritenuto che, affinché le clausole «di tasso minimo» soddisfacessero tale controllo rafforzato, sarebbe stato necessario, al momento della conclusione del contratto, che il consumatore fosse venuto a conoscenza di simulazioni di diversi scenari legati all’evoluzione ragionevolmente prevedibile del tasso d’interesse o di informazioni concernenti il costo rispetto ad altre modalità di mutui proposte dallo stesso istituto. Ritornerò più avanti nella mia analisi sul carattere asseritamente innovativo della posizione del Tribunal Supremo (Corte suprema).

( 10 )   In relazione a questi due criteri, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha richiamato la sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180).

( 11 )   Il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha ritenuto che i) le clausole «di tasso minimo» erano lecite, ii) la loro inserzione nei contratti ad interesse variabile rispondeva a ragioni oggettive, iii) non si trattava di clausole insolite o stravaganti, iv) la loro inserzione era stata tollerata dal mercato per molto tempo, v) la constatazione del loro carattere abusivo non si fondava su un’illiceità intrinseca dei loro effetti, bensì sulla loro mancanza di trasparenza, vi) la mancanza di trasparenza derivava da un’insufficienza di informazioni, vii) la normativa nazionale è stata rispettata, viii) la determinazione del tasso di interesse minimo ha lo scopo di mantenere un rendimento minimo degli attivi dei mutui ipotecari e le clausole venivano calcolate in modo tale da non comportare cambiamenti significativi delle somme da pagare, ix) la surroga del creditore è resa possibile dalla legge, cosicché un consumatore insoddisfatto avrebbe facilmente potuto cambiare istituto di credito e x) era noto che la restitutio in integrum a partire dalla data di conclusione del contratto avrebbe generato gravi sconvolgimenti economici.

( 12 )   Rispettivamente sentenze n. 139/2015 (ES:TS:2015:1280) e n. 222/2015 (ES:TS:2015:2207).

( 13 )   V., segnatamente, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349).

( 14 )   Il Juzgado de lo Mercantil n. 1 de Alicante (tribunale commerciale n. 1 di Alicante) ha statuito che, poiché il Tribunal Supremo (Corte suprema) aveva dichiarato la nullità di una clausola identica nella sua sentenza del 9 maggio 2013, la constatazione della nullità della clausola in questione nella controversia pendente dinanzi al medesimo era inutile, alla luce del fatto che la BBVA era uno dei tre istituti finanziari parti nel procedimento dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema).

( 15 )   Il Banco Popular Español non era uno dei tre istituti di credito parti nel procedimento dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema) sfociato nella sentenza del 9 maggio 2013.

( 16 )   L’Audiencia Provincial de Alicante (corte provinciale di Alicante) si fonda qui, in particolare, sulle sentenze del 26 aprile 2012, Invitel (C‑472/10, EU:C:2012:242), nonché del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340).

( 17 )   (C‑92/11, EU:C:2013:180).

( 18 )   V. articolo 8 della direttiva 93/13. Osservo tuttavia che tale articolo fa riferimento alla possibilità per gli Stati membri di adottare o mantenere «disposizioni» più severe, e mi chiedo in che misura la sentenza di un giudice nazionale, seppur supremo, possa essere considerata una «disposizione» ai sensi dell’articolo 8 della 93/13. Rilevo parimenti che la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori (GU 2011, L 304, pag. 64) ha introdotto un nuovo articolo 8 bis nella direttiva 93/13, il quale obbliga gli Stati membri, quando adottano disposizioni conformemente all’articolo 8 di quest’ultima, ad informarne la Commissione.

( 19 )   La Corte non ha cessato di ricordare che la sua competenza «verte sull’interpretazione della nozione di “clausola abusiva” (…), nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale con riguardo alle disposizioni della direttiva [93/13], fermo restando che spetta al suddetto giudice pronunciarsi, in base ai criteri sopra citati, sulla qualificazione concreta di una specifica clausola contrattuale in funzione delle circostanze proprie del caso di specie» [sentenze del 26 aprile 2012, Invitel (C‑472/10, EU:C:2012:242, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata), nonché del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 48). V., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 45), del 23 aprile 2015, Van Hove (C‑96/14, EU:C:2015:262, punto 28), nonché del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 46)]. Poiché il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha segnatamente fondato il proprio ragionamento sull’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, sarebbe stato auspicabile, in nome della cooperazione giurisdizionale tipica dell’ordinamento giuridico europeo, che esso avesse investito la Corte non solo della problematica relativa al controllo di trasparenza delle clausole che fissano l’oggetto essenziale dei contratti, ma anche della conformità al diritto dell’Unione della possibilità di limitare nel tempo gli effetti della sua pronuncia storica in materia.

( 20 )   (C‑26/13, EU:C:2014:282).

( 21 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 67).

( 22 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 68).

( 23 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 69).

( 24 )   C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 44.

( 25 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 70).

( 26 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 71).

( 27 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 72).

( 28 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 75).

( 29 )   Sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 74).

( 30 )   (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447).

( 31 )   Sentenza del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 50).

( 32 )   Sentenza del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 51).

( 33 )   Sentenza del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 56).

( 34 )   Sentenza del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 61).

( 35 )   Sentenza del 9 luglio 2015, Bucura (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 62).

( 36 )   (C‑26/13, EU:C:2014:282).

( 37 )   (C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447).

( 38 )   (C‑92/11, EU:C:2013:180).

( 39 )   Sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punti 4344). La Corte ha da sempre prestato particolare attenzione al livello di informazione del consumatore. V., in tal senso, segnatamente, sentenza del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, EU:C:2000:346, punto 25). Inoltre, non si può affermare che una qualche ambiguità discendeva dalla sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2010:309). È vero che, in quest’ultima, la Corte ha riconosciuto che la normativa spagnola di cui al procedimento principale, che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, consentiva di assicurare un livello più elevato di protezione rispetto a quello stabilito dalla direttiva 93/13. Ciò premesso, tale normativa autorizzava un siffatto controllo anche allorché tali clausole erano formulate in modo chiaro e comprensibile [v. sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2010:309, punti 2442)].

( 40 )   Sentenza del 21 marzo 2013 (C‑92/11, EU:C:2013:180).

( 41 )   Sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata).

( 42 )   Sentenza del 21 marzo 2013 (C‑92/11, EU:C:2013:180).

( 43 )   Sentenza del 30 aprile 2014 (C‑26/13, EU:C:2014:282).

( 44 )   Sentenza del 9 luglio 2015 (C‑348/14, EU:C:2015:447).

( 45 )   Risulta chiaramente dal testo dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, che una clausola che verte sull’oggetto principale del contratto, qualora non soddisfi i requisiti di chiarezza e comprensibilità, potrà essere oggetto di una valutazione del suo carattere abusivo alle condizioni fissate dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

( 46 )   Il considerando 21 della direttiva 93/13 sembra addirittura collocare questa assenza di vincolatività nel futuro («non vincoleranno»).

( 47 )   Un rapido raffronto delle diverse versioni linguistiche disponibili risulta a malapena più illuminante. In tal senso, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, prevede che le clausole abusive, in spagnolo, «no vincularán», in tedesco, «unverbindlich sind», in inglese, «shall […] not be binding», in francese, «ne lieront pas» e, in portoghese, «não vinculem».

( 48 )   C‑472/10, EU:C:2011:806, paragrafo 48.

( 49 )   V., parimenti, nota 70 delle presenti conclusioni.

( 50 )   V., ex plurimis, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata), nonché del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 22) e ordinanza del 16 luglio 2015, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑539/14, EU:C:2015:508, punto 24). V., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause riunite Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:15, nota 21).

( 51 )   V., ex plurimis, sentenza del 26 aprile 2012, Invitel (C‑472/10, EU:C:2012:242, punto 34) e ordinanza del 16 luglio 2015, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑539/14, EU:C:2015:508, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).

( 52 )   V. ordinanza del 16 luglio 2015, Sánchez Morcillo e Abril García (C‑539/14, EU:C:2015:508, punto 27).

( 53 )   V., ex plurimis, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata), nonché del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).

( 54 )   V., segnatamente, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 67 e la giurisprudenza ivi citata).

( 55 )   V., segnatamente, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 68 che cita l’articolo 7 della direttiva 93/13).

( 56 )   V., segnatamente, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 61 e la giurisprudenza ivi citata).

( 57 )   V. sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 62).

( 58 )   V. sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 63), nonché del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 41) e Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 49). V., parimenti, ordinanze del 3 aprile 2014, Sebestyén (C‑342/13, EU:C:2014:1857, punto 35), nonché del 17 marzo 2016, Ibercaja Banco (C‑613/15, EU:C:2016:195, punto 35).

( 59 )   Sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 65). Il corsivo è mio.

( 60 )   V. sentenze del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 41) e Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punti 4957), nonché del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová (C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 98).

( 61 )   V. sentenze del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 58), nonché del 21 gennaio 2015, Unicaja Banco e Caixabank (C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 31).

( 62 )   V. sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punti 6970).

( 63 )   V. sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 78), nonché del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punti 2139).

( 64 )   V. sentenze del 3 dicembre 2015, Banif Plus Bank (C‑312/14, EU:C:2015:794, punto 27), nonché del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 25).

( 65 )   (C‑472/10, EU:C:2012:242).

( 66 )   V. sentenza del 26 aprile 2012, Invitel (C‑472/10, EU:C:2012:242, punto 39).

( 67 )   Sentenza del 26 aprile 2012, Invitel (C‑472/10, EU:C:2012:242, punto 40).

( 68 )   Sentenza del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 43).

( 69 )   (C‑482/13, C‑484/13, C‑485/13 e C‑487/13, EU:C:2015:21, punto 41). Il corsivo è mio. V., parimenti, ordinanza del 17 marzo 2016, Ibercaja Banco (C‑613/15, EU:C:2016:195, punto 37).

( 70 )   Occorre parimenti ricordare che la relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 93/13 [COM(2000) 248 final, del 27 aprile 2000] osservava già che, «[a] causa della diversità delle tradizioni legali esistenti, [l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13] è stat[o] integrat[o] in modo diverso (le sanzioni civili variano tra l’inesistenza, la nullità, l’annullabilità, l’inefficacia o l’inapplicabilità di tali clausole abusive). (…) Inoltre, la decisione giudiziaria che considera una clausola abusiva deve far decorrere i propri effetti a partire dalla conclusione del contratto (ex tunc). (…) È piuttosto difficile valutare in che misura i diversi sistemi nazionali raggiungono tali risultati, ma è da temere che ciò non avvenga sempre» (pag. 19 e 20). L’attenzione del legislatore dell’Unione veniva già attirata su tale problema. Orbene, osservo che la direttiva 93/13 è stata modificata da ultimo dalla direttiva 2011/83 e che nessuna delle modifiche intervenute ha riguardato l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

( 71 )   V. il combinato disposto dell’articolo 1303 del codice civile e dell’articolo 83 della LGDCU.

( 72 )   V., da ultimo, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 31).

( 73 )   V., per analogia, sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 38), del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 46), del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank (C‑472/11, EU:C:2013:88, punto 26), del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 50), del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 29) e Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 42), del 5 dicembre 2013, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León (C‑413/12, EU:C:2013:800, punto 30), del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 46), del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 50), del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2016:98, punto 40), del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 32), nonché del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová (C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 48).

( 74 )   V., segnatamente, sentenza Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 47).

( 75 )   V. punto 95 delle osservazioni scritte del governo spagnolo nelle cause C‑307/15 e C‑308/15.

( 76 )   Nella specie, si tratta non tanto di una disposizione quanto piuttosto di una prassi giurisdizionale che non è veramente codificata. Infatti, in risposta ad un quesito della Corte posto in udienza, il rappresentante del governo spagnolo ha affermato che il Tribunal Supremo (Corte suprema) fonda la prerogativa di limitare gli effetti restitutori della nullità sull’interpretazione da esso accolta dell’articolo 1303 del codice civile.

( 77 )   V. sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata), del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 49), del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank (C‑472/11, EU:C:2013:88, punto 33), del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 53), del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 32), del 5 dicembre 2013, Asociación de Consumidores Independientes de Castilla y León (C‑413/12, EU:C:2013:800, punto 34), del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 51), del 10 settembre 2014, Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 52), del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2016:98, punti 4344), del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 34), nonché del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová (C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 50).

( 78 )   A meno, certamente, di assicurarsi che al consumatore vengano fornite informazioni sufficienti.

( 79 )   V. supra nota 11 delle presenti conclusioni.

( 80 )   V. paragrafi 44 e segg. delle presenti conclusioni.

( 81 )   V. sentenza Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615).

( 82 )   Infatti, il principio della restitutio in integrum può scontrarsi, al momento della sua attuazione, con le regole relative alla prescrizione dei crediti.

( 83 )   Sentenza del 21 marzo 2013 (C‑92/11, EU:C:2013:180).

( 84 )   L’assenza di una regola individuabile in modo chiaro non rende pertanto possibile un’analisi del tipo di quella condotta dalla Corte nell’ambito della sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba (C‑381/14 et C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 32 e segg.).

( 85 )   Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, del codice civile.