SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
10 marzo 2016 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale — Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo — Direttiva 2005/60/CE — Obblighi di adeguata verifica della clientela — Direttiva 2007/64/CE — Servizi di pagamento nel mercato interno»
Nella causa C‑235/14,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte d’appello provinciale di Barcellona, Spagna), con decisione del 7 maggio 2014, pervenuta in cancelleria il 13 maggio 2014, nel procedimento
Safe Interenvíos SA
contro
Liberbank SA,
Banco de Sabadell SA,
Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da T. von Danwitz, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, D. Šváby, A. Rosas (relatore), E. Juhász e C. Vajda, giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 maggio 2015,
considerate le osservazioni presentate:
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per la Safe Interenvíos SA, da A. Selas Colorado e D. Solana Giménez, abogados; |
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per la Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA, da J.M. Rodríguez Cárcamo e B. García Gómez, abogados; |
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per il governo spagnolo, da A. Rubio González e A. Gavela Llopis, in qualità di agenti; |
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per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, M. Rebelo e G. Miranda, in qualità di agenti; |
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per la Commissione europea, da J. Rius e I.V. Rogalski, in qualità di agenti, |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 settembre 2015,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
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1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (GU L 309, pag. 15), come modificata dalla direttiva 2010/78/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010 (GU L 331, pag. 120; in prosieguo: la «direttiva sul riciclaggio di capitali»), letto in combinato disposto con gli articoli 5, 7 e 13 della medesima direttiva. |
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2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Safe Interenvíos SA (in prosieguo: la «Safe»), un istituto di pagamento, alla Liberbank SA (in prosieguo: la «Liberbank»), alla Banco de Sabadell SA (in prosieguo: la «Sabadell») e alla Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (in prosieguo: la «BBVA»), tre enti creditizi (in prosieguo, congiuntamente: le «banche interessate»), in merito alla chiusura dei conti di cui la Safe era titolare, disposta dalle banche suddette a motivo dei loro sospetti circa un riciclaggio di capitali. |
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
La direttiva sul riciclaggio di capitali
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3 |
Come risulta dal considerando 5 della direttiva sul riciclaggio di capitali, le misure adottate in materia di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo «dovrebbero essere coerenti con le altre iniziative intraprese in altre sedi internazionali» e, in particolare, dovrebbero «tenere conto delle raccomandazioni del [G]ruppo d’azione finanziaria internazionale (in seguito denominato “GAFI”), che è il principale organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo. Dato che le raccomandazioni del GAFI sono state notevolmente riviste e ampliate nel 2003, occorrerebbe allineare la presente direttiva a tali nuovi standard internazionali». |
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4 |
Il considerando 10 della citata direttiva è così formulato: «Gli enti e le persone soggette alla presente direttiva dovrebbero (…) identificare e verificare l’identità del titolare effettivo. Per soddisfare questo requisito, spetterebbe a questi enti e persone decidere se far ricorso a registri disponibili al pubblico contenenti informazioni sui titolari effettivi, chiedere ai loro clienti i dati pertinenti ovvero ottenere le informazioni in altro modo, tenendo presente che la portata di tali obblighi di adeguata verifica della clientela si riferisce al rischio del riciclaggio dei proventi da attività criminose e di finanziamento del terrorismo, che dipende dal tipo di cliente, dal rapporto d’affari, dal prodotto o dalla transazione». |
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5 |
I considerando 22 e 24 della medesima direttiva così recitano:
(…)
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6 |
Il considerando 33 della direttiva sul riciclaggio di capitali dichiara che la comunicazione di informazioni ai sensi dell’articolo 28 dovrebbe essere effettuata in conformità delle norme sul trasferimento dei dati personali a paesi terzi come definite dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31; in prosieguo: la «direttiva sui dati personali»), e che, inoltre, detto articolo 28 non può interferire con la legislazione nazionale sulla protezione dei dati e sul segreto professionale. |
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7 |
Il considerando 48 della direttiva sul riciclaggio di capitali afferma che tale direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), e non dovrebbe essere interpretata o applicata in modo incompatibile con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. |
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8 |
L’articolo 1 della direttiva sul riciclaggio di capitali dispone, ai paragrafi 1 e 2, quanto segue: «1. Gli Stati membri assicurano che il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo siano vietati. 2. Ai fini della presente direttiva, le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio:
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Conformemente al suo articolo 2, paragrafo 1, la direttiva sul riciclaggio di capitali si applica agli enti creditizi, agli enti finanziari e a una serie di persone giuridiche o fisiche quando agiscono nell’esercizio della loro attività professionale. |
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10 |
L’articolo 3, punto 1, della citata direttiva definisce la nozione di «ente creditizio», attraverso un rinvio alla definizione della medesima espressione contenuta nell’articolo 1, punto 1, primo comma, della direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU L 126, pag. 1), ossia come «un’impresa la cui attività consiste nel ricevere dal pubblico depositi o altri fondi rimborsabili e nel concedere crediti per proprio conto». |
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11 |
Ai sensi dell’articolo 3, punto 2, lettera a), della direttiva sul riciclaggio di capitali, la definizione di «ente finanziario» include «un’impresa diversa da un ente creditizio la cui attività principale consista nell’effettuare una o più operazioni menzionate ai punti da 2 a 12 e ai punti 14 e 15 dell’allegato I della direttiva 2006/48/CE» del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU L 177, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2009/111/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 (GU L 302, pag. 97). Questo elenco di attività comprende, al punto 4 di detto allegato, i «“[s]ervizi di pagamento” quali definiti all’articolo 4, punto 3, della direttiva 2007/64/CE» del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE (GU L 319, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2009/111 (in prosieguo: la «direttiva sui servizi di pagamento»), e, al punto 5 del medesimo allegato, «[l’e]missione e [la] gestione di altri mezzi di pagamento (…) nella misura in cui quest’attività non rientra nel punto 4». |
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12 |
L’articolo 5 della direttiva sul riciclaggio di capitali prevede che, «[p]er impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, gli Stati membri possono adottare o mantenere disposizioni più rigorose nel settore disciplinato dalla presente direttiva». |
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13 |
Nell’ambito del suo capo II, intitolato «Obblighi di adeguata verifica della clientela», la direttiva sul riciclaggio di capitali detta, negli articoli da 6 a 10, disposizioni generali in materia di verifica normale della clientela, negli articoli 11 e 12, specifiche disposizioni in materia di verifica semplificata della clientela, nonché, nell’articolo 13, specifiche disposizioni in materia di verifica rafforzata della clientela. |
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A norma dell’articolo 7 della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli enti e le persone soggetti a tale direttiva applicano misure di adeguata verifica della clientela quando instaurano un rapporto d’affari, quando eseguono transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a EUR 15000, quando vi è sospetto di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile, e quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione di un cliente. |
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15 |
L’articolo 8 della direttiva sul riciclaggio di capitali dispone: «1. Gli obblighi di adeguata verifica della clientela comprendono le attività seguenti:
2. Gli enti e le persone soggetti alla presente direttiva applicano tutti gli obblighi di adeguata verifica della clientela previsti nel paragrafo 1, ma possono calibrare tali obblighi in funzione del rischio associato al tipo di cliente, rapporto d’affari, prodotto o transazione di cui trattasi. Gli enti e le persone soggetti alla presente direttiva devono essere in grado di dimostrare alle autorità competenti (…) che la portata delle misure è adeguata all’entità del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo». |
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L’articolo 9, paragrafi 1, 5 e 6, di detta direttiva così dispone: «1. Gli Stati membri impongono che la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo avvenga prima dell’instaurazione del rapporto d’affari o dell’esecuzione della transazione. (...) 5. Gli Stati membri impongono che[, se] gli enti o le persone in questione non sono in grado di rispettare l’articolo 8, paragrafo 1, lettere a), b) e c), essi non possono effettuare una transazione attraverso un conto bancario, non possono avviare il rapporto d’affari o effettuare la transazione in questione ovvero devono porre fine al rapporto d’affari in questione e devono prendere in considerazione di effettuare una segnalazione del cliente interessato all[’Unità di informazione finanziaria], a norma dell’articolo 22. (...) 6. Gli Stati membri impongono agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva di applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela non soltanto a tutti i nuovi clienti, ma anche, al momento opportuno, alla clientela esistente, sulla base della valutazione del rischio presente». |
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L’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali enuncia quanto segue: «In deroga all’articolo 7, lettere a), b) e d), all’articolo 8 e all’articolo 9, paragrafo 1, gli enti e le persone che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva non sono soggetti agli obblighi di cui a detti articoli se il cliente è un ente creditizio o finanziario soggetto alla presente direttiva, oppure un ente creditizio o finanziario situato in un paese terzo, che imponga obblighi equivalenti a quelli previsti dalla presente direttiva e preveda il controllo del rispetto di tali obblighi». |
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L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva sul riciclaggio di capitali prevede ulteriori circostanze nelle quali, in deroga agli articoli 7, lettere a), b) e d), 8 e 9, paragrafo 1, della medesima direttiva, gli Stati membri possono autorizzare gli enti e le persone soggetti a quest’ultima a non applicare le misure normali di adeguata verifica della clientela. A norma dell’articolo 11, paragrafo 3, della citata direttiva, gli enti e le persone soggetti a quest’ultima raccolgono comunque informazioni sufficienti per stabilire se il cliente possa beneficiare di una delle esenzioni menzionate nei paragrafi 1 e 2 di questo stesso articolo. |
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19 |
L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali è così formulato: «Gli Stati membri impongono agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva di applicare, oltre agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e all’articolo 9, paragrafo 6, obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente, nelle situazioni che per loro natura possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e comunque nei casi indicati ai paragrafi 2, 3 e 4 e in altre situazioni che presentano un elevato rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, e che soddisfano i criteri tecnici definiti a norma dell’articolo 40, paragrafo 1, lettera c)». |
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20 |
L’articolo 13, paragrafi da 2 a 4, della direttiva sul riciclaggio di capitali contempla le situazioni nelle quali il cliente non è fisicamente presente ai fini della sua identificazione, i casi di relazioni transfrontaliere di corrispondenza bancaria con enti corrispondenti di paesi terzi, nonché le operazioni o i rapporti d’affari con persone politicamente esposte residenti in uno Stato membro diverso da quello interessato o in un paese terzo. Per tali situazioni sono elencate specifiche misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, o esempi di misure appropriate. |
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21 |
A norma dell’articolo 20 della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli Stati membri devono imporre agli enti e alle persone soggetti a tale direttiva di prestare particolare attenzione a ogni attività che essi considerino particolarmente atta, per sua natura, ad avere una connessione con il riciclaggio di capitali o con il finanziamento del terrorismo. |
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22 |
L’articolo 22 della direttiva sul riciclaggio di capitali, il quale, insieme all’articolo 23 di quest’ultima, prevede alcuni obblighi di dichiarazione, impone agli enti e alle persone soggetti alla direttiva medesima e, se del caso, ai loro dirigenti e dipendenti di collaborare pienamente, in particolare informando prontamente l’Unità di informazione finanziaria, di propria iniziativa, qualora essi sappiano, sospettino o abbiano motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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23 |
L’articolo 28 della direttiva sul riciclaggio di capitali vieta agli enti e alle persone soggetti alla direttiva stessa nonché ai loro dirigenti e dipendenti di comunicare al cliente interessato o a terzi che sono state trasmesse informazioni in applicazione degli articoli 22 e 23 della direttiva stessa o che è in corso o può essere svolta un’inchiesta in materia di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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24 |
Ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli Stati membri devono imporre agli enti e alle persone soggetti a detta direttiva di adottare idonee e appropriate misure e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione di casi sospetti, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell’osservanza delle pertinenti disposizioni e di comunicazione, al fine di prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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25 |
L’articolo 37 della direttiva sul riciclaggio di capitali, il quale, insieme all’articolo 36 di quest’ultima, concerne la vigilanza, prevede, al paragrafo 1, che gli Stati membri impongano alle autorità competenti almeno di controllare in modo efficace e di adottare le misure necessarie per garantire che gli enti e le persone soggetti alla presente direttiva ne osservino gli obblighi. |
La direttiva sui servizi di pagamento
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26 |
La direttiva sui servizi di pagamento enuncia, in particolare, le regole che consentono di distinguere sei categorie di prestatori di servizi di pagamento, tra cui gli enti creditizi ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/48, come modificata dalla direttiva 2009/111, e gli istituti di pagamento ai sensi della direttiva sui servizi di pagamento. |
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27 |
L’articolo 4 della direttiva sui servizi di pagamento, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: (…)
(…)
(...)». |
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28 |
A norma dell’articolo 5, primo comma, lettera f), della direttiva sui servizi di pagamento, una domanda per ottenere l’autorizzazione a svolgere attività come istituto di pagamento deve essere accompagnata da un certo numero di documenti, tra cui «una descrizione dei meccanismi di controllo interno predisposti dal richiedente al fine di conformarsi agli obblighi in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo stabiliti dalla [direttiva sul riciclaggio di capitali]». L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva sui servizi di pagamento prevede che l’autorizzazione venga concessa «se le informazioni e le prove che accompagnano la domanda soddisfano tutti i requisiti di cui all’articolo 5 e se, dopo la verifica della domanda, le autorità competenti pervengono a una valutazione complessiva positiva». Conformemente all’articolo 12, paragrafo 1, di quest’ultima direttiva, l’autorizzazione può essere ritirata soltanto in determinate circostanze, e in particolare, ai sensi del punto c) di tale disposizione, allorquando l’istituto di pagamento non soddisfa più le condizioni previste per la concessione dell’autorizzazione. |
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29 |
Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva sui servizi di pagamento, ogni istituto di pagamento che intenda fornire servizi di pagamento tramite un agente comunica alle autorità competenti del suo Stato membro d’origine alcune informazioni che permettono di iscrivere tale agente nel registro pubblico degli istituti di pagamento autorizzati nonché degli agenti e delle succursali degli stessi, previsto dall’articolo 13 della medesima direttiva. Tali informazioni comprendono il nome e l’indirizzo dell’agente in questione e una descrizione dei meccanismi di controllo interno a cui ricorreranno gli agenti al fine di conformarsi agli obblighi in materia di lotta contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo stabiliti dalla direttiva sul riciclaggio di capitali. |
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30 |
Conformemente all’articolo 20, paragrafo 1, primo comma, della direttiva sui servizi di pagamento, gli Stati membri designano, quali autorità competenti responsabili segnatamente dell’autorizzazione e della vigilanza prudenziale degli istituti di pagamento, «autorità pubbliche o enti riconosciuti dall’ordinamento nazionale o da autorità pubbliche espressamente abilitate a tal fine dall’ordinamento nazionale, comprese le banche centrali nazionali». Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo 20, paragrafo 1, tali «autorità competenti garantiscono l’indipendenza dagli enti economici e evitano conflitti di interesse. Fatto salvo il primo comma, gli istituti di pagamento, gli enti creditizi, gli istituti di moneta elettronica o gli uffici postali non possono essere designati come autorità competenti». |
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31 |
L’articolo 21 della direttiva sui servizi di pagamento, intitolato «Vigilanza», dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri assicurano che i controlli effettuati dalle autorità competenti per verificare il rispetto permanente del presente titolo [rubricato “Prestatori di servizi di pagamento”] siano proporzionati, adeguati e consoni ai rischi ai quali sono esposti gli istituti di pagamento. Al fine di verificare il rispetto del presente titolo, le autorità competenti sono autorizzate ad adottare le misure seguenti, in particolare:
2. (…) [G]li Stati membri prevedono che le rispettive autorità competenti possano irrogare sanzioni nei confronti degli istituti di pagamento, o [di coloro che effettivamente controllano l’attività degli istituti di pagamento], che si sono resi colpevoli di infrazioni alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative in materia di vigilanza o di esercizio dell’attività in materia di servizi di pagamento, o adottare [nei loro confronti] provvedimenti la cui applicazione è diretta a far cessare le infrazioni accertate o a rimuoverne le cause. (...)». |
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32 |
L’articolo 79 della citata direttiva, intitolato «Protezione dei dati», stabilisce che «[g]li Stati membri autorizzano il trattamento di dati a carattere personale da parte di sistemi di pagamento e di prestatori di servizi di pagamento qualora ciò sia necessario per garantire la prevenzione, l’indagine e l’individuazione dei casi di frode nei pagamenti. Il trattamento di tali dati a carattere personale è effettuato in conformità della [direttiva sui dati personali]». |
Diritto spagnolo
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33 |
La legge 10/2010, sulla prevenzione del riciclaggio di capitali e del finanziamento del terrorismo (Ley 10/2010 de prevención del blanqueo de capitales y de la financiación del terrorismo), del 28 aprile 2010 (BOE n. 103, del 29 aprile 2010, pag. 37458), che ha trasposto nell’ordinamento spagnolo la direttiva sul riciclaggio di capitali, distingue fra tre tipi di misure di adeguata verifica della clientela, vale a dire: agli articoli da 3 a 6 della legge, le misure normali di adeguata verifica della clientela; all’articolo 9, le misure semplificate di adeguata verifica della clientela; e, all’articolo 11, le misure rafforzate di adeguata verifica della clientela. |
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34 |
Le misure normali di adeguata verifica della clientela comprendono – secondo quanto previsto, nell’ordine, dagli articoli da 3 a 6 della legge 10/2010 – l’identificazione formale dei soggetti interessati, l’identificazione del titolare effettivo, l’ottenimento di informazioni in merito allo scopo e alla natura prevista del rapporto d’affari, e il controllo costante su tale rapporto. |
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35 |
L’articolo 7, paragrafo 1, della legge 10/2010 enuncia quanto segue: «I soggetti sottoposti alla presente legge applicano tutte le misure di adeguata verifica previste agli articoli precedenti, ma potranno calibrare l’applicazione delle misure di cui agli articoli 4, 5 e 6 in funzione del rischio associato al tipo di cliente, di rapporto d’affari, di prodotto o di transazione di cui trattasi, informazioni queste che vengono fornite nella politica espressa di ammissione della clientela (…). I soggetti sottoposti alla presente legge devono essere in condizione di dimostrare alle autorità competenti che la portata delle misure adottate è adeguata all’entità del rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo, mediante una previa analisi del rischio da effettuarsi in ogni caso per iscritto. I soggetti sottoposti alla presente legge applicano sistematicamente le misure di adeguata verifica quando sussistano indizi di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi esenzione, deroga o soglia, oppure quando vi siano dubbi circa la veridicità o l’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti». |
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36 |
Conformemente all’articolo 7, paragrafo 3, della legge 10/2010, i soggetti sottoposti a quest’ultima non possono avviare un rapporto d’affari o effettuare una transazione qualora non siano in grado di applicare le misure di adeguata verifica della clientela previste da tale legge. Se tale impossibilità si verifica nel corso del rapporto d’affari, i soggetti di cui sopra devono porre fine a tale rapporto. |
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37 |
L’articolo 9 della legge 10/2010 dispone quanto segue: «1. Salvo quanto disposto all’articolo 7, paragrafo 1, terzo comma, i soggetti sottoposti alla presente legge sono autorizzati a non applicare le misure di adeguata verifica previste all’articolo 3, paragrafo 2, e agli articoli 4, 5 e 6 per i seguenti clienti: (...)
(…) Il Ministro dell’Economia e delle Finanze può escludere con decreto l’applicazione delle misure semplificate di adeguata verifica nei confronti di alcuni clienti. 2. Mediante regolamento potrà essere autorizzata l’applicazione di misure semplificate di adeguata verifica rispetto ad altri clienti che comportino un rischio ridotto di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. 3. I soggetti sottoposti alla presente legge dovranno comunque raccogliere le informazioni sufficienti per stabilire se il cliente possa rientrare in una delle eccezioni previste in questo articolo». |
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38 |
L’articolo 11 della legge 10/2010 così recita: «I soggetti sottoposti alla presente legge applicano, oltre alle misure normali di adeguata verifica, misure rafforzate nelle ipotesi previste nella presente sezione e in tutte le altre ipotesi che, in quanto presentanti un elevato rischio di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, verranno determinate tramite regolamento. Allo stesso modo, i soggetti sottoposti alla presente legge applicano, sulla base di un’analisi del rischio, misure rafforzate di adeguata verifica in quelle situazioni che per loro natura possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. Saranno comunque considerate come comportanti un rischio siffatto le attività di banca privata, i servizi di trasferimento di fondi e le operazioni di cambio di valute estere. Mediante regolamento potranno precisarsi le misure rafforzate di adeguata verifica esigibili nei settori di attività presentanti un rischio più elevato di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo». |
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
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39 |
La Safe è una società che gestisce il trasferimento di fondi verso Stati membri diversi da quello nel quale essa è stabilita o verso Stati terzi tramite conti di cui essa è titolare presso istituti di credito. |
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40 |
Dopo aver scoperto delle irregolarità riguardanti gli agenti che trasferivano fondi attraverso i conti di cui la Safe era titolare presso di esse, le banche interessate hanno chiesto alla Safe informazioni, ai sensi della legge 10/2010. Avendo la Safe rifiutato di fornire loro tali informazioni, le banche interessate hanno chiuso i conti di cui tale società era titolare presso di esse. |
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41 |
Risulta dal fascicolo presentato alla Corte che, l’11 maggio 2011, la BBVA ha informato di tali irregolarità il Servizio esecutivo della Commissione della Banca di Spagna per la prevenzione del riciclaggio di capitali e delle infrazioni valutarie (Servicio Ejecutivo della Comisión de Prevención de Blanqueo de Capitales e Infracciones Monetarias del Banco de España; in prosieguo: il «Sepblac») ed ha dichiarato a quest’ultimo che essa sospettava la Safe di riciclaggio di capitali. Il 22 luglio 2011 la BBVA ha notificato alla Safe la chiusura irrevocabile del suo conto. |
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42 |
Dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil n. 5 de Barcelona (Tribunale di commercio n. 5 di Barcellona), la Safe ha contestato la decisione della BBVA di chiudere il suo conto, nonché analoghe decisioni delle altre due banche, a motivo del fatto che la chiusura del conto era un atto di concorrenza sleale che le impediva di esercitare la propria attività normalmente trasferendo fondi in Stati diversi da quello in cui essa è stabilita. La Safe ha dunque fatto valere che essa era tenuta per legge ad avere un conto presso un istituto bancario per poter effettuare tali trasferimenti di fondi – ciò che essa aveva fatto aprendo conti presso le banche interessate – e che, sul mercato, essa era in concorrenza con tali banche. La Safe ha altresì sostenuto che le banche interessate le avevano chiesto di fornire dati riguardanti i suoi clienti nonché l’origine e la destinazione dei fondi, adducendo a pretesto le disposizioni della legge 10/2010, circostanza questa contestata dalle banche interessate, e che il fatto di fornire le informazioni di cui sopra a tali banche era contrario alla normativa nazionale in materia di protezione dei dati. |
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43 |
Le banche interessate hanno replicato che le misure adottate erano conformi alla legge 10/2010, che erano giustificate, segnatamente a motivo del rischio connesso al trasferimento di fondi da parte di un istituto in Stati diversi da quelli in cui esso è stabilito, e che non erano contrarie alla normativa sulla concorrenza. |
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44 |
Il 25 settembre 2012, lo Juzgado de lo Mercantil n. 5 de Barcelona (Tribunale di commercio n. 5 di Barcellona) ha respinto il ricorso della Safe. Esso ha ritenuto che le banche interessate fossero legittimate a chiedere alla Safe di adottare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela e di fornire dati relativi ai suoi clienti, a condizione che fossero stati scoperti nel comportamento della Safe indizi di una condotta contraria alla legge 10/2010. |
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45 |
Detto giudice ha esaminato in ciascun caso concreto se il comportamento delle banche interessate fosse giustificato. Esso ha così statuito che nessuna delle banche interessate aveva violato un particolare divieto di atti anticoncorrenziali, ma che la Sabadell e la Liberbank, a differenza della BBVA, avevano agito in maniera sleale omettendo di motivare le misure adottate. Per contro, detto giudice ha statuito che il comportamento della BBVA era giustificato, in quanto era fondato su verifiche che mostravano come il 22% dei trasferimenti effettuati attraverso i conti della Safe durante il periodo compreso tra il 1o settembre e il 30 novembre 2010 non fosse stato effettuato da agenti autorizzati dalla Safe e registrati presso la Banca di Spagna. Per giunta, durante questo periodo erano stati effettuati trasferimenti da parte di 1291 persone, il che superava di molto il numero di agenti della Safe. Inoltre, una relazione tecnica metteva in evidenza i rischi che derivano dai trasferimenti che non vengono realizzati da agenti identificati. |
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46 |
La Safe, la Sabadell e la Liberbank hanno interposto appello contro tale sentenza dinanzi all’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte d’appello provinciale di Barcellona), che esamina congiuntamente questi tre gravami. |
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47 |
Il giudice del rinvio rileva che tutte le parti interessate sono assoggettate alla legge 10/2010, in quanto esse rientrano nelle categorie contemplate dall’articolo 2 di quest’ultima, che includono gli enti creditizi e gli istituti di pagamento. Per giunta, tutte le parti si trovano in concorrenza sul mercato ed esercitano la medesima attività di trasferimento di fondi in Stati diversi da quello in cui esse sono stabilite. Tuttavia, gli istituti di pagamento come la Safe devono eseguire tale attività per il tramite di conti aperti presso enti creditizi, quali sono le banche interessate. |
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48 |
Dinanzi al giudice del rinvio, la Safe sostiene, in primo luogo, che la BBVA non è tenuta ad adottare misure di adeguata verifica della clientela nel caso in cui quest’ultima sia costituita da enti finanziari, in quanto tali enti sono monitorati direttamente dai poteri pubblici, nella fattispecie dal Banco di Spagna. In secondo luogo, essa fa valere che, in Spagna, solo il Sepblac può accedere ai dati relativi ai clienti degli istituti di pagamento. In terzo luogo, anche supponendo che la BBVA fosse tenuta ad adottare siffatte misure di adeguata verifica, essa avrebbe dovuto previamente realizzare uno studio minuzioso ed esaustivo della politica della Safe per conformarsi alla normativa in materia. Nella fattispecie, la BBVA si sarebbe limitata a chiedere una relazione tecnica che era stata preparata utilizzando i suoi dati. In quarto luogo, la legge 10/2010 non si applicherebbe a persone, come gli agenti, che offrono assistenza agli enti finanziari per i trasferimenti di fondi. |
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49 |
Dinanzi al giudice del rinvio, la Sabadell fa valere il fatto che la sentenza dello Juzgado de lo Mercantil n. 5 di Barcelona (Tribunale di commercio n. 5 di Barcellona) ha riconosciuto che, in linea di principio, essa poteva adottare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, ma che non era legittimata a farlo nel caso di specie. Quanto alla Liberbank, essa fa valere che era giustificato chiudere il conto detenuto dalla Safe in quanto quest’ultima non aveva fornito le informazioni richieste. |
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50 |
Il giudice del rinvio ritiene che si pongano tre questioni principali in relazione all’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali. |
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51 |
In primo luogo, si pone la questione di sapere se, alla luce dell’articolo 5 di detta direttiva, il quale autorizza gli Stati membri ad adottare o a mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla direttiva stessa, disposizioni più rigorose al fine di prevenire il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo, il legislatore nazionale possa essere considerato autorizzato a trasporre l’eccezione o la deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 1, della citata direttiva in termini diversi dal suo stretto contenuto. L’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della legge 10/2010 stabilisce che i soggetti sottoposti a tale legge «sono autorizzati a non applicare le misure di adeguata verifica» normali nei confronti di clienti che sono enti finanziari stabiliti nell’Unione o in paesi terzi equivalenti, sottoposti ad un controllo inteso a garantire il rispetto degli obblighi di adeguata verifica della clientela. |
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52 |
In secondo luogo, l’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali, letto in connessione con l’articolo 7 di quest’ultima, impone di stabilire se il legislatore dell’Unione abbia voluto introdurre una vera e propria eccezione incondizionata all’obbligo, per gli enti creditizi, di adottare misure di adeguata verifica nei confronti dei loro clienti nel caso in cui questi ultimi siano istituti di pagamento a loro volta soggetti alla citata direttiva, a motivo del loro status di enti finanziari parimenti soggetti al sistema di vigilanza loro proprio. |
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53 |
In terzo luogo, si pone la questione di sapere se l’eccezione prevista dalla disposizione di cui sopra si estenda in via esclusiva agli obblighi di adeguata verifica o comprenda anche gli obblighi rafforzati di adeguata verifica. |
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54 |
Ulteriori questioni si pongono in via subordinata, nel caso in cui l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali dovesse essere interpretato nel senso che gli enti finanziari sono legittimati, o persino obbligati, ad adottare misure di adeguata verifica o misure rafforzate di adeguata verifica, senza riguardo al fatto che ciò avvenga sulla base della normativa dell’Unione o in virtù della normativa nazionale. |
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55 |
Queste ulteriori questioni concernono, da un lato, il coordinamento dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali con l’articolo 21 della direttiva sui servizi di pagamento e mirano a stabilire i limiti delle misure di adeguata verifica e delle misure rafforzate di adeguata verifica che gli istituti bancari possono, se del caso, applicare nei confronti degli istituti di pagamento. Esse riguardano, dall’altro lato, la questione se la fornitura agli enti creditizi, da parte degli istituti di pagamento, dei dati relativi ai loro clienti sia conforme al diritto dell’Unione, e in particolare alla direttiva sui dati personali. |
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56 |
È alla luce di tali circostanze che l’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte d’appello provinciale di Barcellona) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
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57 |
In via preliminare, occorre rilevare come dal fascicolo sottoposto alla Corte risulti che la BBVA ha iniziato ad avere dei sospetti di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo dopo aver scoperto alcune irregolarità nelle informazioni riguardanti gli agenti che trasferivano fondi tramite il conto di cui la Safe era titolare presso la banca suddetta. La BBVA ha chiesto alla Safe informazioni ai sensi della legge 10/2010 e, avendo questa rifiutato di fornirle, ha chiuso il suo conto. Infatti, se è pur vero che l’articolo 9 di tale legge autorizza l’applicazione di misure semplificate di adeguata verifica nei confronti della clientela in quanto questa sia costituita da enti finanziari sottoposti a vigilanza per quanto riguarda il loro rispetto degli obblighi di adeguata verifica, l’articolo 11 della medesima legge prescrive l’adozione di misure rafforzate di adeguata verifica della clientela nelle situazioni che, sulla base di un’analisi del rischio, possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo. Tra le situazioni che per loro natura presentano un rischio siffatto, figurano in particolare i servizi di trasferimento di fondi. |
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58 |
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 5, 7, 11, paragrafo 1, e 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, la quale, da un lato, autorizzi l’applicazione di misure normali di adeguata verifica nei confronti della clientela in quanto quest’ultima sia costituita da enti finanziari sottoposti a vigilanza per quanto riguarda il loro rispetto degli obblighi di adeguata verifica e, dall’altro, imponga agli enti e alle persone soggetti alla succitata direttiva di applicare, sulla base della loro valutazione del rischio, misure rafforzate di adeguata verifica della clientela nelle situazioni che, per loro natura, possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo, come il trasferimento di fondi. |
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59 |
La direttiva sul riciclaggio di capitali prevede, nelle sezioni da 1 a 3 del suo capo II, intitolato «Obblighi di adeguata verifica della clientela», tre tipi di misure di verifica nei confronti della clientela, vale a dire le misure normali, quelle semplificate e quelle rafforzate. |
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60 |
Nella sezione 1 del capo in questione, intitolata «Disposizioni di carattere generale», l’articolo 7, lettere da a) a d), della direttiva sul riciclaggio di capitali enuncia le situazioni nelle quali gli enti e le persone soggetti a tale direttiva hanno l’obbligo di applicare misure normali di adeguata verifica nei confronti della clientela, in quanto dette situazioni sono considerate come comportanti rischi di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, i quali possono essere prevenuti adottando le misure previste dagli articoli 8 e 9 della direttiva stessa. Tali situazioni si presentano quando viene instaurato un rapporto d’affari, quando vengono eseguite transazioni occasionali di importo pari o superiore a EUR 15000, quando vi è sospetto di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, e quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione di un cliente. |
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61 |
Nelle situazioni contemplate dal citato articolo 7, gli enti e le persone soggetti a tale direttiva devono applicare misure normali di adeguata verifica nei confronti della clientela, le quali comprendono, a norma dell’articolo 8, paragrafo 1, della medesima direttiva, l’identificazione del cliente e la verifica della sua identità, eventualmente l’identificazione del titolare effettivo, la raccolta di informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto d’affari, e lo svolgimento di un controllo costante sul rapporto d’affari in corso e sulle transazioni già concluse. Come risulta dal paragrafo 2 di tale articolo 8, la portata degli obblighi di adeguata verifica può essere calibrata in funzione del rischio associato al tipo di cliente, di rapporto d’affari, di prodotto o di transazione che viene in questione. |
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62 |
Conformemente all’articolo 9, paragrafo 6, della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli Stati membri devono imporre agli enti e alle persone soggetti a tale direttiva di applicare le procedure di adeguata verifica della clientela non soltanto a tutti i nuovi clienti, ma anche, al momento opportuno, alla clientela esistente, sulla base della valutazione del rischio presente. Tuttavia, a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, della citata direttiva, gli Stati membri devono esigere la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo prima che un rapporto d’affari venga instaurato o una transazione venga eseguita. |
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63 |
Di conseguenza, agli articoli da 7 a 9 della direttiva sul riciclaggio di capitali, il legislatore dell’Unione ha identificato le circostanze nelle quali, a suo giudizio, la normativa nazionale deve prevedere misure normali di adeguata verifica al fine di evitare un rischio di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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64 |
In altre situazioni, che dipendono, in particolare, dal tipo di cliente, di rapporto d’affari, di prodotto o di transazione, il rischio può essere più o meno elevato, come risulta dai considerando 10, 22 e 24 della direttiva sul riciclaggio di capitali. Gli articoli 11 e 13 di tale direttiva si riferiscono a queste situazioni e impongono agli Stati membri di provvedere affinché alla clientela vengano applicati differenti livelli di adeguata verifica. |
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65 |
Ove sussistano determinate condizioni previste dall’articolo 11 della direttiva sul riciclaggio di capitali, non è necessario applicare le misure di adeguata verifica della clientela stabilite agli articoli 8 e 9, paragrafo 1, della medesima direttiva in situazioni in cui, in linea di principio, occorrerebbe applicarle, secondo quanto prescritto dall’articolo 7, lettere a), b) e d), della direttiva stessa. Le citate condizioni riguardano situazioni nelle quali il legislatore dell’Unione ha giudicato che il rischio di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo fosse meno elevato a motivo, in particolare, dell’identità del cliente o del valore e del contenuto della transazione o del prodotto. |
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66 |
Tale ipotesi si verifica, in particolare, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali, allorché il cliente di un ente o di una persona soggetti a questa direttiva è esso stesso un ente creditizio o finanziario sottoposto alla medesima direttiva. |
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67 |
È però importante rilevare che l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali non deroga all’articolo 7, lettera c), di tale direttiva. |
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68 |
In forza di tale disposizione, letta in combinato disposto con l’articolo 11, paragrafo 1, della citata direttiva, le misure di adeguata verifica della clientela devono essere sempre applicate quando vi è sospetto di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, nozione questa che peraltro non viene definita nell’ambito della direttiva in parola. Di conseguenza, quando si profila un sospetto di tal genere, uno Stato membro non può autorizzare o imporre l’applicazione di misure semplificate di adeguata verifica nei confronti della clientela. |
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69 |
Inoltre, occorre evidenziare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Safe, la deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali non osta ad una normativa nazionale che preveda l’applicazione, da parte degli enti e delle persone di cui trattasi, di misure rafforzate di adeguata verifica a norma dell’articolo 13 di detta direttiva. |
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70 |
Infatti, l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva in parola mira unicamente a introdurre una deroga alle misure normali di adeguata verifica della clientela enunciate nella sezione 1 del capo II. Dal momento che la disposizione suddetta non contiene alcun riferimento all’articolo 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali, contenuto nella sezione 3 di detto capo II, essa non ha – come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 94 delle sue conclusioni – alcuna incidenza sulla verifica della clientela richiesta allorché il rischio è più elevato. Inoltre, gli enti e le persone soggetti a questa direttiva sono autorizzati ad applicare le misure semplificate di adeguata verifica «secondo un approccio basato sul rischio» soltanto in determinati casi, come indicato dal considerando 22 della direttiva stessa. Orbene, risulta dal considerando 24 della direttiva in parola che esistono casi in cui, quand’anche dovessero risultare accertati l’identità e il profilo commerciale di tutti i clienti, sono necessarie procedure di identificazione e di verifica dell’identità particolarmente rigorose a motivo di un rischio più elevato di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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71 |
Di conseguenza, ove esista un rischio più elevato di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo quale contemplato dall’articolo 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali, il fatto che il cliente sia esso stesso un ente o una persona soggetto a tale direttiva non osta a che uno Stato membro possa imporre l’applicazione nei confronti di questo cliente di misure rafforzate di adeguata verifica ai sensi dell’articolo 13 della citata direttiva. |
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72 |
L’articolo 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali impone agli Stati membri di provvedere affinché gli enti e le persone soggetti a tale direttiva applichino, sulla base della loro valutazione del rischio esistente, in particolare in situazioni che, per loro natura, possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo, e comunque nei casi contemplati dai paragrafi da 2 a 4 dello stesso articolo 13, misure rafforzate di adeguata verifica della clientela in aggiunta alle misure previste dagli articoli 7, 8 e 9, paragrafo 6, della citata direttiva. |
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73 |
Risulta dal termine «comunque» che, se certo l’articolo 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali elenca talune situazioni nelle quali gli Stati membri devono prevedere l’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica, tale elenco non è però esaustivo. Nella trasposizione di tale direttiva, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità significativo quanto al modo appropriato di attuare l’obbligo di prevedere misure rafforzate di adeguata verifica e di determinare sia le situazioni in cui esiste un siffatto rischio più elevato sia le misure di adeguata verifica. |
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Dunque, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle sue conclusioni, sebbene il trasferimento di fondi da parte di un ente verso Stati diversi da quello nel quale esso è stabilito non sia contemplato dall’articolo 13, paragrafi da 2 a 4, della direttiva sul riciclaggio di capitali, tale articolo non impedisce agli Stati membri di individuare nell’ambito del loro diritto nazionale, secondo un approccio basato sul rischio, ulteriori situazioni che, per loro natura, presentano un rischio più elevato e dunque giustificano o addirittura esigono l’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica della clientela in aggiunta alle misure normali di adeguata verifica. |
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75 |
Di conseguenza, malgrado la deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli articoli 7 e 13 di quest’ultima impongono agli Stati membri di provvedere affinché gli enti e le persone soggetti a questa direttiva applichino, in situazioni riguardanti clienti che sono a loro volta enti o persone soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali, le misure normali di adeguata verifica della clientela ai sensi dell’articolo 7, lettera c), della medesima direttiva, nonché misure rafforzate di adeguata verifica della clientela ai sensi dell’articolo 13 della citata direttiva nelle situazioni che per loro natura possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo. |
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76 |
Infine, per quanto riguarda l’articolo 9 della legge 10/2010, il quale autorizza l’applicazione di misure normali di adeguata verifica nei confronti di enti finanziari anche in assenza di un sospetto o di un rischio più elevato di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo ai sensi degli articoli 7, lettera c), e 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali, occorre ricordare che la direttiva sul riciclaggio di capitali realizza unicamente un’armonizzazione minima e che, anche quando gli Stati membri abbiano trasposto correttamente nel loro ordinamento interno gli articoli 7, 11 e 13 di detta direttiva, l’articolo 5 di quest’ultima consente loro di adottare o di mantenere in vigore disposizioni più rigorose, qualora tali disposizioni mirino a rafforzare la lotta contro il riciclaggio di capitali e contro il finanziamento del terrorismo (v., in tal senso, sentenza Jyske Bank Gibraltar, C‑212/11, EU:C:2013:270, punto 61). |
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77 |
Occorre poi rilevare che le «disposizioni più rigorose», contemplate dall’articolo 5 della direttiva sul riciclaggio di capitali, possono riguardare situazioni per le quali tale direttiva prevede un certo tipo di adeguata verifica della clientela ed anche altre situazioni che secondo gli Stati membri presentano un rischio. |
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78 |
L’articolo 5 della direttiva sul riciclaggio di capitali è contenuto nel capo I di quest’ultima, intitolato «Oggetto, ambito d’applicazione e definizioni», e si applica a tutte le disposizioni nel settore disciplinato da questa direttiva per impedire il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo. Ne consegue che la portata di tale articolo non è limitata alle disposizioni del capo II di detta direttiva, intitolato «Obblighi di adeguata verifica della clientela». Uno Stato membro può quindi prevedere l’obbligo per un ente creditizio di applicare nei confronti di un istituto di pagamento misure di adeguata verifica della clientela, anche se risultano soddisfatte le condizioni previste dall’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali, e dunque anche quando non esiste alcun sospetto, ai sensi dell’articolo 7, lettera c), di tale direttiva, nonché in situazioni diverse da quelle contemplate dagli articoli 7 e 13 della direttiva stessa. |
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79 |
Stabilendo che gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla direttiva sul riciclaggio di capitali, disposizioni più rigorose per impedire il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo, l’articolo 5 della direttiva in parola non conferisce agli Stati membri una facoltà o un obbligo di legiferare in forza del diritto dell’Unione, bensì si limita, a differenza delle disposizioni previste nel capo II della citata direttiva, a riconoscere il potere degli Stati membri, in virtù del diritto nazionale, di prevedere siffatte disposizioni più rigorose al di fuori del quadro della disciplina istituita da tale direttiva (v., per analogia, sentenza Julián Hernández e a., C‑198/13, EU:C:2014:2055, punto 44). |
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80 |
Alla luce dei suesposti rilievi, occorre rispondere alla prima questione dichiarando quanto segue:
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Sulla seconda questione, lettere a) e c), ii)
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81 |
Con la sua seconda questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, come debba essere interpretata la direttiva sul riciclaggio di capitali per quanto riguarda i limiti dei poteri di cui dispongono gli enti creditizi, a norma di tale direttiva, nei confronti degli istituti di pagamento che sono loro clienti e che sono altresì soggetti a detta direttiva e alla direttiva sui servizi di pagamento. Con la sua seconda questione, lettera c), ii), detto giudice chiede, in sostanza, se la direttiva sul riciclaggio di capitali debba essere interpretata nel senso che un ente creditizio può valutare le misure di adeguata verifica della clientela applicate da un istituto di pagamento. |
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82 |
Occorre rilevare come risulti dalla decisione di rinvio che tali questioni vertono sull’interpretazione congiunta della direttiva sul riciclaggio di capitali e della direttiva sui servizi di pagamento, e in particolare dell’articolo 21 di quest’ultima, che definisce i poteri attribuiti alle autorità nazionali ai fini del controllo sugli istituti di pagamento. Il giudice del rinvio si interroga in merito alla portata del potere che può essere attribuito agli enti creditizi in materia di controllo delle operazioni degli istituti di pagamento. Esso reputa che la direttiva sui servizi di pagamento attribuisca tale potere di controllo soltanto all’autorità nazionale competente, nella specie il Sepblac, ma si chiede se la direttiva sul riciclaggio di capitali non attribuisca indirettamente agli istituti bancari un certo potere di controllo sugli istituti di pagamento attraverso la possibilità di adottare misure rafforzate di adeguata verifica. |
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83 |
A questo proposito, occorre sottolineare che la direttiva sul riciclaggio di capitali riguarda gli obblighi di adeguata verifica che incombono agli enti e alle persone soggetti a tale direttiva. Più in particolare, l’articolo 8, paragrafo 1, di quest’ultima definisce gli elementi di un rapporto di affari in ordine ai quali gli enti e le persone soggetti alla direttiva stessa devono raccogliere informazioni. |
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84 |
Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, della direttiva sul riciclaggio di capitali, se gli enti o le persone interessati non sono in grado di rispettare l’articolo 8, paragrafo 1, lettere da a) a c), della medesima direttiva, gli Stati membri vietano loro di effettuare una transazione attraverso un conto bancario, di avviare un rapporto d’affari o di effettuare la transazione in questione, ovvero impongono loro di porre fine al rapporto d’affari in questione. Di conseguenza, l’adozione di una misura come la cessazione di un rapporto d’affari, prevista dall’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, della direttiva sul riciclaggio di capitali, è la conseguenza dell’incapacità di un ente o di una persona soggetta a tale direttiva di conformarsi agli obblighi di adeguata verifica che gli incombono in forza dell’articolo 8, paragrafo 1, lettere da a) a c), della citata direttiva, come attuati dagli Stati membri. |
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85 |
L’applicazione dell’articolo 9, paragrafo 5, della direttiva sul riciclaggio di capitali non esige di conoscere il motivo per cui un ente o una persona soggetta a tale direttiva non può conformarsi agli obblighi di adeguata verifica previsti dall’articolo 8, paragrafo 1, lettere da a) a c), della direttiva stessa. Di conseguenza, il fatto che il cliente di un ente o di una persona soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali non cooperi fornendo le informazioni che gli consentono di ottemperare al diritto nazionale recante attuazione dell’articolo 8 di tale direttiva non è necessario per dar luogo alle conseguenze previste dall’articolo 9, paragrafo 5, di quest’ultima. |
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86 |
Ciò non toglie che, conformemente all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli enti e le persone soggetti a tale direttiva devono essere in grado di dimostrare alle autorità competenti di cui all’articolo 37 della medesima direttiva che l’ampiezza delle misure adottate nell’ambito del loro obbligo di adeguata verifica della clientela, la cui portata può essere calibrata in funzione del rischio associato al tipo di cliente, di rapporto d’affari, di prodotto o di transazione che viene in questione, è adeguata all’entità del rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo. |
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87 |
A questo proposito, simili misure devono presentare un nesso concreto con il rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo ed essere proporzionate a quest’ultimo. Ne consegue che l’adozione di una misura come la cessazione di un rapporto d’affari, prevista dall’articolo 9, paragrafo 5, primo comma, della direttiva sul riciclaggio di capitali, non dovrebbe aver luogo, alla luce dell’articolo 8, paragrafo 2, della medesima direttiva, in assenza di informazioni sufficienti in connessione con il rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo. |
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88 |
Inoltre, l’articolo 37 della direttiva sul riciclaggio di capitali impone alle autorità nazionali competenti di controllare in modo efficace e di adottare le misure necessarie per garantire l’osservanza degli obblighi previsti da tale direttiva da parte degli enti e delle persone soggetti a quest’ultima, tra i quali rientrano gli enti creditizi e gli istituti di pagamento che applicano misure di adeguata verifica nei confronti di uno dei loro clienti. |
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89 |
Ne consegue che gli obblighi di adeguata verifica della clientela e di dichiarazione incombenti agli enti creditizi, da un lato, e le misure di vigilanza e di controllo spettanti alle autorità nazionali competenti, dall’altro, costituiscono un insieme di misure preventive e dissuasive dirette a lottare efficacemente contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo nonché a preservare la solidità e l’integrità del sistema finanziario. |
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90 |
Tuttavia, contrariamente a quanto sostiene la Safe, ciò non implica che, allorché agiscono in virtù delle leggi nazionali che attuano gli articoli 8 e 9 della direttiva sul riciclaggio di capitali, gli enti e le persone soggetti a quest’ultima assumano il ruolo di vigilanza riservato alle autorità competenti. |
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Ciò non implica neppure che gli enti e le persone soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali possano pregiudicare il compito di vigilanza sugli istituti di pagamento del quale sono investite, a norma dell’articolo 21 della direttiva sui servizi di pagamento, le autorità competenti, al fine di controllare il rispetto delle disposizioni del titolo II di quest’ultima direttiva, intitolato «Prestatori di servizi di pagamento», e che essi possano sostituirsi a tali autorità di vigilanza. |
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92 |
Se è pur vero che gli enti e le persone soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali devono applicare le misure di adeguata verifica contemplate dall’articolo 8 di tale direttiva, letto in combinazione con gli articoli 11 e, eventualmente, 13 della stessa, e possono in tal senso essere indotti a prendere in considerazione le misure di adeguata verifica che i loro clienti applicano nelle loro procedure, ciò non toglie che le misure di vigilanza e di controllo sono riservate, negli articoli 17 e 21 della direttiva sui servizi di pagamento nonché 36 e 37 della direttiva sul riciclaggio di capitali, alle autorità competenti. |
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93 |
Occorre dunque rispondere alla seconda questione, lettere a) e c), ii), dichiarando che la direttiva sul riciclaggio di capitali deve essere interpretata nel senso che gli enti e le persone ad essa soggetti non possono pregiudicare il compito di vigilanza sugli istituti di pagamento del quale sono investite le autorità competenti, a norma dell’articolo 21 della direttiva sui servizi di pagamento, e non possono sostituirsi a tali autorità. La direttiva sul riciclaggio di capitali deve essere interpretata nel senso che, anche se un ente finanziario può, nell’ambito dell’obbligo di sorveglianza che gli incombe nei confronti della propria clientela, tener conto delle misure di adeguata verifica applicate da un istituto di pagamento nei confronti della propria clientela, tutte le misure di adeguata verifica da esso adottate devono essere adattate in rapporto al rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo. |
Sulla seconda questione, lettere b) e c), i) e iii)
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94 |
Con la sua seconda questione, lettere b) e c), i) e iii), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, per il caso in cui l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva sul riciclaggio di capitali non ostasse a che uno Stato membro possa autorizzare l’applicazione, da parte di un ente creditizio, di misure di adeguata verifica diverse da quelle semplificate nei confronti di un istituto di pagamento che è suo cliente, se gli articoli 5 e 13 di detta direttiva debbano essere interpretati nel senso che, qualora uno Stato membro si avvalga o del margine di discrezionalità che detto articolo 13 gli lascia o della competenza prevista dal citato articolo 5, l’applicazione, da parte di un ente creditizio, di misure rafforzate di adeguata verifica nei confronti di un istituto di pagamento che è suo cliente può essere fondata sul tipo di attività generale esercitato da tale istituto di pagamento, nella fattispecie il trasferimento di fondi, oppure se sia necessario individuare, nelle operazioni di detto istituto, un comportamento particolare che faccia sospettare una sua collaborazione ad attività di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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Tale questione viene sollevata nell’ambito di una controversia nella quale sono coinvolti enti soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali, che hanno fondato le loro misure di adeguata verifica nei confronti del loro cliente, un istituto di pagamento, sulla normativa nazionale applicabile a situazioni che sono identificate dal legislatore nazionale come presentanti un rischio più elevato – nella fattispecie la fornitura di servizi di trasferimento di fondi – e che non sono contemplate dall’articolo 13 della citata direttiva. La questione di cui sopra si riferisce a circostanze nelle quali uno Stato membro si sia avvalso o del margine di discrezionalità che tale articolo gli lascia per quanto riguarda l’applicazione delle misure rafforzate di adeguata verifica nei confronti di un istituto di pagamento, o della competenza prevista dal citato articolo 5 della direttiva in parola, al fine di autorizzare, nella propria normativa nazionale, gli enti creditizi ad applicare o meno le misure semplificate di adeguata verifica nei confronti di loro clienti che sono istituti di pagamento e a prendere nei confronti di questi ultimi le misure di adeguata verifica che riterranno più appropriate. |
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In proposito occorre rilevare che, così facendo, lo Stato membro interessato deve comunque esercitare detta competenza rispettando il diritto dell’Unione, e in particolare le libertà fondamentali garantite dai Trattati (v., per analogia, sentenza Jyske Bank Gibraltar, C‑212/11, EU:C:2013:270, punto 49). |
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Al fine di verificare il rispetto del diritto dell’Unione, occorre esaminare se l’articolo 56 TFUE non osti a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, la quale preveda l’applicazione delle misure di adeguata verifica diverse da quelle semplificate nei confronti di un istituto di pagamento, come la Safe, che gestisce il trasferimento di fondi verso Stati membri diversi da quello nel quale tale istituto è stabilito mediante conti dei quali esso è titolare presso enti creditizi. |
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Risulta da una consolidata giurisprudenza della Corte che l’articolo 56 TFUE esige non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi in ragione della sua nazionalità o del fatto che esso sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere effettuata, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, ancorché indistintamente applicabile ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, qualora essa sia idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove egli fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza Jyske Bank Gibraltar, C‑212/11, EU:C:2013:270, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, l’articolo 56 TFUE osta all’applicazione di qualsivoglia normativa nazionale che produca l’effetto di rendere la prestazione di servizi, ai sensi dell’articolo 57 TFUE, effettuata tra Stati membri più difficile rispetto alla prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (sentenze Cipolla e a., C‑94/04 e C‑202/04, EU:C:2006:758, punto 57, e Commissione/Belgio, C‑296/12, EU:C:2014:24, punto 29). |
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99 |
Una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che preveda l’applicazione delle misure di adeguata verifica diverse da quelle semplificate nei confronti di un istituto di pagamento determina spese e difficoltà aggiuntive per la prestazione dei servizi di gestione dei trasferimenti di fondi, le quali si aggiungono agli obblighi di adeguata verifica che tale istituto di pagamento deve a sua volta adempiere in virtù della direttiva sul riciclaggio di capitali. A motivo in particolare dei costi di traduzione dei dati di portata transfrontaliera, l’onere derivante dall’applicazione delle suddette misure di adeguata verifica aggiuntive, potendo essere più elevato nell’ambito di un trasferimento di fondi transfrontaliero, è idoneo a dissuadere il suddetto istituto di pagamento dal prestare i summenzionati servizi in un contesto siffatto. |
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100 |
Nondimeno, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale, la quale ricada in un settore non sottoposto ad un’armonizzazione completa a livello dell’Unione e che sia indistintamente applicabile a qualsiasi persona o impresa esercente un’attività nel territorio dello Stato membro interessato, può, malgrado i suoi effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi, essere giustificata, a condizione che essa risponda ad un motivo imperativo di interesse generale e che tale interesse non sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello Stato membro in cui è stabilito, che essa sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo da essa perseguito e che non vada oltre quanto è necessario per il raggiungimento di quest’ultimo (v. sentenze Commissione/Austria, C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 37, e Jyske Bank Gibraltar, C‑212/11, EU:C:2013:270, punto 60). |
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101 |
Occorre pertanto esaminare a quali condizioni una legislazione come quella controversa nel procedimento principale soddisfi tali requisiti. |
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102 |
A questo proposito si deve, in primo luogo, ricordare che la prevenzione e la lotta contro il riciclaggio di capitali e contro il finanziamento del terrorismo costituiscono un obiettivo legittimo idoneo a giustificare un ostacolo alla libera prestazione dei servizi (sentenza Jyske Bank Gibraltar, C‑212/11, EU:C:2013:270, punti da 62 a 64 e 85 nonché la giurisprudenza ivi citata). |
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103 |
La Corte ha già riconosciuto che occorre procedere ad un bilanciamento tra l’obiettivo della lotta contro l’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, il quale è inerente alla direttiva sul riciclaggio di capitali, e la tutela di altri interessi, tra i quali la libera prestazione di servizi. Così, nella sentenza Jyske Bank Gibraltar (C‑212/11, EU:C:2013:270, punti 49, 59 e 60), la Corte ha statuito, in sostanza, che alcune restrizioni alla libera prestazione dei servizi risultanti da un obbligo di informazione erano consentite a condizione che tale obbligo fosse inteso a rafforzare, nel rispetto del diritto dell’Unione, l’efficacia della lotta contro il riciclaggio di capitali e contro il finanziamento del terrorismo. |
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104 |
In secondo luogo, una normativa nazionale come quella controversa nel procedimento principale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato qualora essa contribuisca a diminuire il rischio e risponda all’esigenza di raggiungere tale obiettivo in maniera coerente e sistematica. Una siffatta normativa nazionale soddisfa tali requisiti qualora essa, in base ad una congrua valutazione del rischio, anche nei confronti dei clienti che sono istituti di pagamento, identifichi un rischio elevato associato, in particolare, a un tipo di cliente, di paese, di prodotto o di transazione e, su tale base, consenta o persino imponga agli enti e alle persone soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali di applicare, in base alla loro propria valutazione individualizzata del rischio, congrue misure di adeguata verifica della clientela. |
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105 |
In terzo luogo, per valutare se una siffatta normativa nazionale sia proporzionata, occorre stabilire il livello di tutela desiderato dallo Stato membro di cui trattasi in rapporto al livello di rischio di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo che è stato identificato. |
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106 |
Risulta dalla direttiva sul riciclaggio di capitali, e in particolare dai suoi articoli 5 e 13, paragrafo 1, e dal suo considerando 24, che gli Stati membri possono o fissare un livello di protezione più elevato rispetto a quello scelto dal legislatore dell’Unione ed autorizzare oppure imporre misure di adeguata verifica della clientela diverse da quelle previste da detta direttiva sulla base della competenza prevista dal citato articolo 5, o identificare ulteriori situazioni presentanti un rischio più elevato nell’ambito del margine di discrezionalità che il summenzionato articolo 13 lascia loro. In tal modo gli Stati membri possono, segnatamente, identificare le misure particolari da applicare in talune precise situazioni oppure lasciare agli enti e alle persone soggetti alla suddetta direttiva un potere discrezionale per applicare, sulla base di una congrua valutazione del rischio, le misure giudicate proporzionate al rischio in questione in una particolare situazione. |
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107 |
In ogni caso, gli Stati membri devono garantire che le misure rafforzate di adeguata verifica della clientela applicabili siano fondate sulla valutazione dell’esistenza e del livello di rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo associato, a seconda dei casi, a un cliente, a un rapporto d’affari, a un conto, a un prodotto o a una transazione. In assenza di tale valutazione, non è possibile né per lo Stato membro interessato, né, eventualmente, per un ente o una persona soggetti alla direttiva sul riciclaggio di capitali, decidere caso per caso quali misure applicare. Infine, qualora non esista alcun rischio di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, non è possibile adottare misure preventive fondate su tali motivi. |
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Tale valutazione del rischio deve tener conto, quantomeno, di tutti i fatti pertinenti atti a dimostrare il rischio che si verifichi uno dei tipi di comportamento considerati come costitutivi di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. |
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Inoltre, la questione se una normativa nazionale sia proporzionata dipende anche dal grado di interferenza delle misure di adeguata verifica della clientela che essa prevede con altri diritti e interessi tutelati dal diritto dell’Unione, come la tutela dei dati personali prevista dall’articolo 8 della Carta e il principio della libera concorrenza tra soggetti operanti sullo stesso mercato. Infatti, qualora uno Stato membro invochi motivi imperativi di interesse generale per giustificare una normativa che è idonea a ostacolare l’esercizio della libera prestazione dei servizi, tale giustificazione, prevista dal diritto dell’Unione, deve essere interpretata alla luce dei principi generali del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali ora garantiti dalla Carta. Dunque, la normativa nazionale in questione potrà beneficiare delle eccezioni previste soltanto se essa è conforme ai diritti fondamentali di cui la Corte assicura il rispetto (v. sentenze ERT, C‑260/89, EU:C:1991:254, punto 43, e Pfleger e a., C‑390/12, EU:C:2014:281, punto 35). Gli obiettivi di tale normativa devono essere oggetto di un bilanciamento con questi altri legittimi interessi. |
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Infine, la questione se una normativa nazionale sia proporzionata dipende dall’esistenza o meno di mezzi meno restrittivi per il raggiungimento del medesimo livello di tutela. A questo proposito, occorre rilevare che la normativa nazionale controversa nel procedimento principale presuppone, in via generale, che i trasferimenti di fondi presentino sempre un rischio elevato, senza prevedere la possibilità di confutare tale presunzione di rischio in relazione ai trasferimenti di fondi che oggettivamente non presentino un rischio siffatto. Così, in particolare, una normativa che preveda una possibilità siffatta risulta meno restrittiva, pur permettendo di raggiungere il livello di tutela auspicato dallo Stato membro di cui trattasi. |
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111 |
Occorre dunque rispondere alla seconda questione, lettere b) e c), i) e iii), dichiarando che gli articoli 5 e 13 della direttiva sul riciclaggio di capitali devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, adottata in applicazione o del margine di discrezionalità che l’articolo 13 di detta direttiva lascia agli Stati membri o della competenza prevista dall’articolo 5 della medesima direttiva, deve essere compatibile con il diritto dell’Unione, e segnatamente con le libertà fondamentali garantite dai Trattati. Se una siffatta normativa nazionale intesa a lottare contro il riciclaggio di capitali o il finanziamento del terrorismo persegue un obiettivo legittimo atto a giustificare una restrizione delle libertà fondamentali, e se il fatto di presupporre che i trasferimenti di fondi, da parte di un ente soggetto a detta direttiva, in Stati diversi da quello nel quale tale ente è stabilito presentino sempre un rischio più elevato di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo è idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo di cui sopra, tale normativa eccede però quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo che essa persegue, nella misura in cui la presunzione da essa istituita si applica a qualsiasi trasferimento di fondi, senza prevedere la possibilità di confutare tale presunzione in relazione ai trasferimenti di fondi che oggettivamente non presentino un rischio siffatto. |
Sulla terza questione
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112 |
Con la sua terza questione, lettera b), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva sui dati personali debba essere interpretata nel senso che essa impedisce agli Stati membri di obbligare gli istituti di pagamento a fornire informazioni relative all’identità dei loro clienti agli enti creditizi che sono in diretta concorrenza con tali istituti, nell’ambito delle misure rafforzate di adeguata verifica della clientela applicate da questi enti. La terza questione, lettera a), mira a stabilire se le misure rafforzate di adeguata verifica della clientela possano consistere nella richiesta di consegna dei dati relativi all’identità dell’insieme dei clienti dell’istituto di pagamento dal quale provengono i fondi trasferiti, nonché dei dati relativi all’identità dei destinatari di tali fondi. |
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Risulta dalla decisione di rinvio che tali questioni mirano a stabilire se, dal punto di vista della direttiva sui dati personali, le misure di adeguata verifica e le misure rafforzate di adeguata verifica possano costituire un’ipotesi eccezionale che rende possibile la consegna di dati personali. Per il giudice del rinvio, si tratta in particolare di sapere quali siano i dati che possono eventualmente essere forniti dagli istituti di pagamento su richiesta degli enti creditizi, sulla base delle disposizioni della direttiva sul riciclaggio di capitali, e in quali fattispecie possa aver luogo tale consegna di dati. |
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114 |
Come risulta da una giurisprudenza consolidata, che si rispecchia nell’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, nell’ambito della cooperazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, la necessità di pervenire ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale esige che tale giudice definisca il contesto di fatto e di diritto nel quale si collocano le questioni da esso sollevate o che esso, quanto meno, chiarisca le ipotesi di fatto sulle quali tali questioni si fondano (v., in tal senso, sentenza Azienda sanitaria locale n. 5 Spezzino e a., C‑113/13, EU:C:2014:2440, punto 47). Infatti, la Corte può pronunciarsi sull’interpretazione di un testo giuridico dell’Unione unicamente fondandosi sui fatti che le vengono indicati dal giudice nazionale (ordinanza Argenta Spaarbank, C‑578/14, EU:C:2015:372, punto 14). |
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115 |
Il giudice del rinvio deve altresì indicare le ragioni precise che l’hanno portato ad interrogarsi sull’interpretazione di determinate disposizioni del diritto dell’Unione e a reputare necessario sottoporre delle questioni pregiudiziali alla Corte. Quest’ultima ha già statuito che è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e sul nesso a suo avviso intercorrente tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito (ordinanze Equitalia Nord, C‑68/14, EU:C:2015:57, punto 14 e la giurisprudenza ivi citata, nonché Argenta Spaarbank, C‑578/14, EU:C:2015:372, punto 15). |
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116 |
Infatti, le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio servono non soltanto a consentire alla Corte di fornire risposte utili, ma anche a dare ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Spetta alla Corte provvedere affinché tale possibilità resti garantita, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, soltanto le decisioni di rinvio vengono notificate alle parti interessate (ordinanza Argenta Spaarbank, C‑578/14, EU:C:2015:372, punto 16). |
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117 |
Orbene, occorre rilevare che, con la sua terza questione, il giudice del rinvio fa riferimento in modo generico alla direttiva sui dati personali senza indicare con sufficiente precisione le disposizioni di quest’ultima che potrebbero essere pertinenti per consentire alla Corte di fornire una risposta utile. |
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118 |
Inoltre, la questione del contenuto delle informazioni richieste alla Safe nell’ambito delle misure di adeguata verifica applicate nei suoi confronti dalle banche interessate è stata oggetto di trattazione. In occasione del procedimento dinanzi alla Corte, la BBVA ha sostenuto che non ha mai chiesto dati personali relativi ai clienti della Safe o ai destinatari dei fondi trasferiti, ma che si è limitata a chiedere informazioni relative agli agenti che operano per conto della Safe e che utilizzano i conti di quest’ultima. |
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119 |
Orbene, secondo una giurisprudenza consolidata, nell’ambito della procedura di cooperazione istituita dall’articolo 267 TFUE, non spetta alla Corte ma al giudice nazionale accertare i fatti che hanno dato origine alla controversia e trarne le conseguenze ai fini della decisione che detto giudice è chiamato a emettere (v. sentenza Accor, C‑310/09, EU:C:2011:581, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata). |
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120 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre constatare che la terza questione è irricevibile. |
Sulle spese
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121 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
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Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: lo spagnolo.