CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 14 gennaio 2016 ( 1 )

Causa C‑438/14

Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff

contro

Standesamt der Stadt Karlsruhe,

Zentraler Juristischer Dienst der Stadt Karlsruhe

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Amtsgericht Karlsruhe (Tribunale distrettuale di Karlsruhe, Germania)]

«Cittadinanza dell’Unione — Diniego delle autorità di uno Stato membro di iscrivere nel registro delle nascite titoli nobiliari e una particella nobiliare facente parte di un cognome che una persona maggiorenne ha ottenuto in un altro Stato membro — Fattispecie in cui il ricorrente, che ha la cittadinanza dei due Stati membri interessati, ha ottenuto il nome a seguito di propria domanda»

I – Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione degli articoli 18 TFUE e 21 TFUE nel contesto di una controversia che vede opposti il sig. Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff, cittadino tedesco e britannico, alle autorità tedesche che si sono rifiutate di modificare i suoi nomi e cognome nel suo atto di nascita e di aggiungere al registro delle nascite titoli nobiliari facenti parte di un cognome acquisito nel Regno Unito, ossia «Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff» ( 2 ).

2.

La causa in esame s’iscrive nel lungo elenco di cause concernenti la cittadinanza europea in connessione con il cognome che hanno dato luogo alle sentenze Konstantinidis (C‑168/91, EU:C:1993:115), Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539), Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559), Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), nonché Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291).

3.

Malgrado analogie con la causa sfociata nella sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), la causa qui in esame si distingue da quest’ultima in quanto il ricorrente nel procedimento principale è cittadino di due Stati membri e il diritto tedesco permette che i titoli nobiliari siano utilizzati come componente di un cognome, sebbene siano stati aboliti e non possano più essere concessi.

II – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione

4.

L’articolo 18, primo comma, TFUE così recita:

«Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

5.

L’articolo 20 TFUE dispone quanto segue:

«1.   È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce.

2.   I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l’altro:

a)

il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;

(...)

Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi».

6.

L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE così recita:

«Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».

B – Il diritto tedesco

7.

L’articolo 123, paragrafo 1, della Legge fondamentale per la Repubblica federale di Germania (Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland), del 23 maggio 1949 (BGBl. pag. 1, in prosieguo: la «Legge fondamentale»), prevede che «[i]l diritto vigente anteriormente alla prima riunione del Bundenstag resta in vigore nei limiti in cui non sia in contrasto con la Legge fondamentale».

8.

L’articolo 109 della Costituzione dell’Impero tedesco (Verfassung des Deutschen Reichs), adottata l’11 agosto 1919 a Weimar ed entrata in vigore il 14 agosto 1919 (Reichsgesetzblatt 1919, pag. 1383, in prosieguo: la «Costituzione di Weimar»), così recita:

«Tutti i cittadini tedeschi sono uguali innanzi alla legge.

Uomini e donne hanno, in linea di principio, gli stessi diritti e doveri civici.

Sono aboliti i privilegi o le ineguaglianze di diritto pubblico, collegati con la nascita o l’appartenenza a ceti. I titoli nobiliari sussistono solo quali componenti del nome e non possono essere ulteriormente concessi.

I titoli che possono essere conferiti sono solo quelli che contraddistinguono un ufficio o una professione; sono fatti salvi i gradi accademici.

Lo Stato non può conferire né ordini né decorazioni.

Nessun cittadino tedesco può accettare un titolo o un ordine di un governo straniero».

9.

La legge introduttiva al codice civile (Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuch) del 21 settembre 1994 (BGBl. I pag. 2494, corrigendum 1997 I, pag. 1061, in prosieguo: l’«EGBGB»), nel testo applicabile al momento dei fatti di cui alla controversia principale, così recita:

«Articolo 5 – Status personale

(1)   In presenza di rinvio al diritto dello Stato di cui una persona ha la cittadinanza, qualora questi possieda la cittadinanza di più Stati trova applicazione il diritto dello Stato cui la persona è più strettamente collegata, particolarmente in considerazione della residenza abituale o dello svolgimento della vita dell’interessato. Nel caso in cui questi possieda parimenti la cittadinanza tedesca prevale tale status giuridico.

(...)

Articolo 6 – Ordine pubblico

Una norma giuridica di un altro Stato non è applicabile qualora la sua applicazione porti a un risultato palesemente incompatibile con principi essenziali del diritto tedesco. Essa non è applicabile, in particolare, qualora la sua applicazione risulti incompatibile con i diritti fondamentali.

(...)

Articolo 10 – Nome

(1)   Il nome di una persona è disciplinato dalla legge dello Stato di cui detta persona è cittadina.

(...)

Articolo 48 – Scelta di un nome acquisito in un altro Stato membro dell’Unione

Qualora il nome di una persona sia soggetto al diritto tedesco, la persona stessa può scegliere, mediante dichiarazione resa dinanzi all’ufficio dello stato civile, il nome acquisito durante un soggiorno abituale in un altro Stato membro dell’Unione e ivi trascritto nei registri dello stato civile, a condizione che ciò non sia palesemente incompatibile con principi essenziali del diritto tedesco. La scelta del nome ha effetto retroattivo dal momento della trascrizione nei registri dello stato civile dell’altro Stato membro, salvo che la persona dichiari espressamente che tale scelta debba produrre effetti solo per il futuro. La dichiarazione deve essere resa per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (...)».

III – Controversia di cui al procedimento principale e questione pregiudiziale

10.

Il ricorrente nel procedimento principale è nato il 9 gennaio 1963 a Karlsruhe (Germania) con il nome di Nabiel Bagadi. La nascita è trascritta nel registro delle nascite dell’ufficio dello stato civile di Karlsruhe.

11.

Per effetto di adozione il sig. Nabiel Bagadi acquisiva successivamente il cognome tedesco Bogendorff che, al pari del suo nome, faceva poi modificare, cosicché i suoi attuali nome e cognome tedeschi sono «Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff».

12.

Nel 2001 il sig. Bogendorff von Wolffersdorff si trasferiva nel Regno Unito dove esercita, dall’anno 2002, la professione di consulente fallimentare a Londra.

13.

Nel 2004 il sig. Bogendorff von Wolfersdorff acquisiva la cittadinanza britannica per naturalizzazione.

14.

Con dichiarazione («Deed Poll») del 26 luglio 2004, registrata il 22 settembre 2004 presso la Supreme Court of England and Wales (Corte suprema d’Inghilterra e dello Stato del Galles, Regno Unito), il sig. Bogendorff von Wolffersdorff cambiava il proprio nome in «Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff», dichiarazione pubblicata in The London Gazette dell’8 novembre 2004 ( 3 ).

15.

Nel 2005, a causa della gravidanza della moglie, il sig. Bogendorff von Wolffersdorff lasciava Londra per Chemnitz, in Germania, ove sua figlia nasceva il 28 febbraio 2006.

16.

La nascita della figlia, che possiede la doppia cittadinanza tedesca e britannica, veniva dichiarata presso il Consolato generale del Regno Unito a Düsseldorf il 23 marzo 2006. I nomi e cognome della figlia apposti sull’atto di nascita e sul passaporto britannici sono «Larissa Xenia Gräfin von Wolffersdorff Freiin von Bogendorff».

17.

L’ufficio dello stato civile di Chemnitz, tuttavia, negava l’iscrizione della figlia del sig. Bogendorff von Wolffersdorff con il suo nome britannico richiamandosi all’articolo 10 dell’EGBGB.

18.

Con ordinanza del 6 luglio 2011, l’Oberlandesgericht Dresden (Tribunale regionale superiore di Dresda, Germania) imponeva alle autorità della città di Chemnitz di registrare la figlia del sig. Bogendorff von Wolffersdorff con il suo nome britannico dichiarando:

«[i]l fatto che, con l’entrata in vigore della Costituzione di Weimar, i titoli nobiliari non siano più titoli in senso stretto ma debbano essere portati quali componenti del cognome (e siano dunque divenuti, a tale titolo, veri cognomi, v. Henrich/Wagenitz, Deutsches Namensrecht, 2007, 015, punto 9, “Nomi nobili”) non influisce in alcun modo sul nome portato dall’interessata, alla quale dev’essere subito conferito soltanto un cognome. Cognome significa che la parte del nome che, prima dell’entrata in vigore della Costituzione di Weimar, sarebbe stata un titolo nobiliare, deve essere collocata dopo il nome di battesimo e non davanti a quest’ultimo. All’interessata non è conferito alcun titolo nobiliare, conferimento che era privilegio del principe nella Costituzione monarchica, in connessione con la nobilitazione. Contrariamente a quanto afferma il Landgericht, la Costituzione di Weimar non vieta i titoli nobiliari all’interno del nome, come prevede per esempio la legge austriaca di abrogazione della nobiltà del 1919, sulla quale la Corte si è espressa il 22 dicembre 2010 (StAZ 2011, pag. 77). Quindi, in Germania è persino ammesso che, anche nell’ordinamento repubblicano, in particolari circostanze un cognome contenente un titolo nobiliare possa essere trasmesso mediante un cambiamento di nome secondo il diritto pubblico (Henrich/Wegenitz ibid.; v. (...) OVG Hamburg StAZ 2007, pag. 46; BVerwG DVBI. 1997, pag. 616)» ( 4 ).

19.

Conformemente a tali istruzioni, la figlia del sig. Bogendorff von Wolffersdorff, in qualità di cittadina tedesca, porta dunque nomi e un cognome identici a quelli portati in qualità di cittadina britannica, ossia «Larissa Xenia Gräfin von Wolffersdorff Freiin von Bogendorff».

20.

Il 22 maggio 2013 il sig. Bogendorff von Wolffersdorff ingiungeva, in forma pubblica autenticata, allo Standesamt der Stadt Karlsruhe (ufficio dello stato civile della città di Karlsruhe) di trascrivere nel registro delle nascite il suo nome e cognome secondo il diritto britannico quale suo nome di nascita, conformemente all’articolo 48 dell’EGBGB, cosa che detto ufficio si rifiutava di fare.

21.

Ciò premesso, il sig. Bogendorff von Wolffersdorff chiedeva all’Amtsgericht Karlsruhe (Tribunale distrettuale di Karlsruhe, Germania), di ordinare all’ufficio dello stato civile della città di Karlsruhe, ai sensi dell’articolo 49, paragrafo 1, della legge sullo stato civile (Personenstandsgesetz), di modificare il suo atto di nascita retroattivamente a decorrere dal 22 settembre 2004 cosicché i suoi nomi e il suo cognome siano «Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff».

22.

L’ufficio dello stato civile della città di Karlsruhe si opponeva a tale richiesta fondandosi sulla riserva di ordine pubblico prevista dall’articolo 48 dell’EGBGB.

23.

Ciò premesso, l’Amtsgericht Karlsruhe (Tribunale distrettuale di Karlsruhe) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli articoli 18 e 21 TFUE debbano essere interpretati nel senso che le autorità di uno Stato membro sono tenute a riconoscere il cambiamento di nome di un cittadino di tale Stato membro, qualora questi sia, al tempo stesso, cittadino di un altro Stato membro e, nel corso di un soggiorno abituale in tale ultimo Stato membro, abbia acquisito, per effetto del cambiamento di nome non connesso ad un mutamento di status ai sensi del diritto di famiglia, un nome da questi liberamente scelto e contenente vari predicati nobiliari, laddove un collegamento sostanziale futuro con tale Stato possa non sussistere e nel primo Stato membro, malgrado l’abolizione costituzionale della nobiltà, i titoli nobiliari portati al momento dell’abolizione possono tuttavia continuare a essere portati quali componenti del nome».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

24.

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata depositata dinanzi alla Corte il 23 settembre 2014. Il sig. Bogendorff von Wolffersdorff, lo Zentraler Juristischer Dienst der Stadt Karlsruhe (servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe), il governo tedesco nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte e hanno presentato proprie osservazioni orali all’udienza del 12 novembre 2015.

V – Analisi

25.

Con la questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 18 TFUE e 21 TFUE ostino a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino il riconoscimento del cambiamento di nome di un cittadino di detto Stato qualora questi sia, al tempo stesso, cittadino di un altro Stato membro ove, nel corso di un soggiorno di lunga durata, abbia acquisito un nome scelto liberamente e contenente vari titoli nobiliari.

A – Sull’ambito di applicazione del Trattato FUE

26.

In limine va rilevato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, «[s]ebbene (...) le regole che disciplinano la registrazione negli atti di stato civile del cognome e del nome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono comunque rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libertà riconosciuta ad ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri» ( 5 ).

27.

Atteso che la cittadinanza dell’Unione, di cui all’articolo 20 TFUE, non può avere l’obiettivo o l’effetto di estendere l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione fino a comprendere situazioni meramente interne, l’applicazione dell’articolo 20 TFUE presuppone l’esistenza di un collegamento della situazione di cui trattasi con il diritto dell’Unione ( 6 ).

28.

Nella specie, il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe e il governo tedesco ritengono che, conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, dell’EGBGB, poiché il sig. Bogendorff von Wolffersdorff possiede la cittadinanza tedesca, soltanto il diritto tedesco debba essere applicato al suo cambiamento di nome.

29.

La Corte ha già respinto tale tipo di argomento nella causa che ha dato luogo alla sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539) in riferimento alle norme del diritto internazionale privato belga che, al pari dell’articolo 5, paragrafo 1, dell’EGBGB, in caso di doppia cittadinanza faceva prevalere la cittadinanza belga. Disposizioni quali i menzionati articoli degli ordinamenti belga e tedesco non possono escludere il collegamento della situazione di cui trattasi con il diritto dell’Unione né l’applicazione delle disposizioni di quest’ultimo sulla cittadinanza.

30.

Al punto 27 della sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539), la Corte ha dichiarato che «sussiste un simile collegamento con il diritto [dell’Unione] nel caso di persone che si trovino in una situazione come quella dei figli del sig. Garcia Avello, che sono cittadini di uno Stato membro i quali soggiornano legalmente sul territorio di un altro Stato membro».

31.

Al successivo punto 28 la Corte ha aggiunto che «[a] tale conclusione non si può obiettare che gli interessati hanno anche la cittadinanza dello Stato membro in cui soggiornano dalla nascita e che, secondo le autorità di tale Stato, sarebbe pertanto l’unica cittadinanza ad essere riconosciuta da quest’ultimo. Infatti, lo Stato membro non è legittimato a limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza ai fini dell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato [FUE]».

32.

Da tale giurisprudenza risulta dunque chiaramente che, contrariamente a quanto sostenuto del servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe e dal governo tedesco, il sig. Bogendorff von Wolffersdorff, possedendo la cittadinanza britannica e soggiornando legalmente in Germania, nell’ambito dei suoi rapporti con la Repubblica federale di Germania e senza che la sua cittadinanza tedesca osti a tale constatazione, può invocare un collegamento con il diritto dell’Unione e, dunque, l’applicabilità di quest’ultimo.

33.

Il carattere transfrontaliero della causa di cui trattasi è ancor più rilevante se si tiene conto del fatto che il sig. Bogendorff von Wolffersdorff, conformemente al diritto inglese e durante un regolare soggiorno in Inghilterra, ha acquisito i nomi e il cognome che intende far riconoscere in Germania, esercitando il proprio diritto alla libera circolazione conferitogli dagli articoli 20 TFUE e 21 TFUE.

34.

Occorre dunque prendere in esame, alla luce delle disposizioni del Trattato FUE sulla cittadinanza, ossia gli articoli 18 TFUE, 20 TFUE e 21 TFUE, il diniego, da parte delle autorità tedesche, di riconoscere, in tutti i loro elementi, un nome e un cognome acquisiti nel Regno Unito da un cittadino europeo che possieda, contemporaneamente, la cittadinanza britannica e quella tedesca.

B – Sull’esistenza di una discriminazione vietata dall’articolo 18 TFUE

1. Argomenti delle parti

35.

Il giudice del rinvio solleva la questione se il mancato riconoscimento del cambiamento di nome di un cittadino che possieda la doppia cittadinanza tedesca e britannica possa essere in contrasto con l’articolo 18 TFUE che vieta ogni discriminazione in base alla nazionalità.

36.

Secondo la Commissione, il principio di non discriminazione impone che situazioni equiparabili non siano trattate in maniera differente e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo. Atteso che i cittadini con doppia cittadinanza incontrerebbero particolari difficoltà in relazione al loro cognome e, dunque, si distinguerebbero dalle persone aventi la cittadinanza di un solo Stato membro, essi si troverebbero in una situazione diversa.

37.

Di conseguenza, la Commissione ritiene che il diniego delle autorità tedesche di riconoscere il nome acquisito dal sig. Bogendorff von Wolffersdorff nel Regno Unito equivalga a trattare allo stesso modo situazioni diverse, il che sarebbe in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’articolo 18 TFUE.

38.

Il governo tedesco ritiene che l’applicazione del diritto tedesco nei confronti di un cittadino tedesco non possa costituire una discriminazione in base alla sua nazionalità.

39.

Il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe non fa espresso richiamo all’articolo 18 TFUE, ma ritiene che la giurisprudenza della Corte che esige il riconoscimento di un nome acquisito in un altro Stato membro si fondi sul principio della prima trascrizione. Detto principio prevedrebbe che il nome legalmente registrato per la prima volta in uno Stato membro benefici di una precedenza. Il rifiuto di un cambiamento di nome concesso in uno Stato membro di cui il ricorrente ha successivamente acquisito la cittadinanza sarebbe quindi conforme a tale principio e, di conseguenza, non costituirebbe una violazione del diritto dell’Unione.

2. Valutazione

40.

Risulta da giurisprudenza costante che «il divieto di discriminazione impone di non trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera uguale» ( 7 ).

41.

Come rilevato supra ( 8 ), la Corte ha già avuto modo di affrontare la questione in esame nella causa sfociata nella sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539) in cui il diritto internazionale privato belga, al pari del diritto internazionale privato tedesco ( 9 ), stabiliva il diritto applicabile in caso di doppia cittadinanza facendo prevalere la cittadinanza belga ( 10 ).

42.

La Corte ha esaminato se le persone aventi soltanto la cittadinanza belga e quelle che possiedano parimenti la cittadinanza di un altro Stato membro si trovino «in una situazione diversa, nel qual caso il principio di non discriminazione implicherebbe che [questi ultimi] possano rivendicare un trattamento diverso da quello riservato alle persone che posseggono soltanto la cittadinanza belga» ( 11 ).

43.

Essendo i cittadini belgi con doppia cittadinanza soggetti a due sistemi giuridici differenti, possibile fonte di difficoltà specificamente inerenti allo loro situazione con conseguenza di portare diversi cognomi, la Corte ha dichiarato al punto 37 di detta sentenza che essi «[si] contraddistingu[evano] dalle persone che abbiano soltanto la cittadinanza belga, le quali sono designate da un solo cognome» ( 12 ).

44.

Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe, la successiva acquisizione della cittadinanza britannica o l’attuale residenza in Germania non hanno alcuna influenza sulla circostanza di trovarsi in una situazione differente.

45.

Ritengo, inoltre, che la questione se una persona con doppia cittadinanza si trovi in una situazione differente rispetto a quella di una persona avente soltanto la cittadinanza tedesca non possa dipendere dalle modalità di acquisizione del nome concesso. La diversità di fattispecie che dovrebbe dare diritto ad un trattamento differente al fine di evitare una discriminazione deriva dalla circostanza che una persona con doppia cittadinanza è sottoposta a due regimi differenti.

46.

Dalle suesposte considerazioni si evince che i cittadini tedeschi che portano diversi cognomi per via delle differenti leggi cui sono legati per effetto della cittadinanza possono invocare difficoltà specificamente inerenti alla propria situazione, il che li distingue dalle persone aventi unicamente la cittadinanza tedesca, e ciò a prescindere dalle modalità con cui l’ordinamento della loro seconda cittadinanza ha attribuito loro un nome differente da quello riconosciuto dal diritto tedesco. Essi si trovano, dunque, in una situazione differente che esige un trattamento differente rispetto a quello riservato alle persone aventi soltanto la cittadinanza tedesca.

47.

Orbene, ritengo, al pari della Commissione, che il trattamento riservato al sig. Bogendorff von Wolffersdorff dalle autorità tedesche sia uguale a quello riservato alle persone aventi soltanto la cittadinanza tedesca, laddove la sua situazione è differente dalla loro a causa della sua doppia cittadinanza.

48.

Sussiste, dunque, una violazione del principio di non discriminazione sancito dall’articolo 18 TFUE. Qui di seguito prenderò in esame l’eventuale giustificazione di tale violazione ( 13 ).

C – Sull’esistenza di una restrizione degli articoli 20 TFUE e 21 TFUE

1. Argomentazione delle parti

49.

Ad avviso della Commissione, il diniego di riconoscimento del cambiamento di nome in una fattispecie come quella in esame costituirebbe una restrizione del diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri sancito agli articoli 20 TFUE e 21 TFUE, poiché una diversità di nomi in due Stati membri potrebbe ostacolare l’esercizio di tale diritto creando inconvenienti di natura professionale e privata.

50.

La Commissione ritiene che ciò non si verificherebbe soltanto nell’ipotesi del mancato riconoscimento di un nome attribuito nello Stato membro di nascita o di residenza, ma altresì qualora sia interessata una persona in possesso della doppia cittadinanza di due Stati membri. Atteso che i nomi e il cognome che il sig. Bogendorff von Wolffersdorff porta nel Regno Unito («Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff») e in Germania («Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff») non sono identici, tale diversità di nomi potrebbe comportare confusioni e inconvenienti derivanti dalla circostanza di non poter più fruire degli effetti giuridici di documenti formati in uno dei due Stati membri.

51.

Il giudice del rinvio sostiene tuttavia che, nella specie, dai fatti non emergono né difficoltà significative per quanto attiene all’identificazione del sig. Bogendorff von Wolffersdorff né ostacoli considerevoli che gli arrechino pregiudizi concreti nella sua vita privata e professionale. Basandosi su tale considerazione, il governo tedesco ritiene che, nel caso di specie, non sussista alcuna restrizione al diritto alla libera circolazione.

52.

In primo luogo, il mero utilizzo del suo nome britannico in contesti professionali nel Regno Unito implicherebbe che, in realtà, tale nome non ha molta importanza ai fini della sua identificazione e della sua appartenenza familiare in Germania. In secondo luogo, tale rilievo troverebbe conferma nel fatto che il ricorrente aveva lasciato trascorrere oltre sei anni tra il cambiamento del proprio nome nel Regno Unito e la sua richiesta all’ufficio dello stato civile in Germania.

53.

Il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe sottolinea la diversità tra il procedimento principale e la causa che ha dato luogo alla sentenza Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559). A suo avviso, la menzionata giurisprudenza imporrebbe agli Stati membri soltanto l’obbligo di riconoscere un cambiamento di nome che sia stato registrato nello Stato membro di nascita o di residenza. Secondo il principio della prima trascrizione ( 14 ), il rifiuto di un cambiamento di nome concesso in uno Stato membro di cui il ricorrente abbia successivamente acquisito la cittadinanza non costituirebbe una restrizione della libertà di circolazione garantita dagli articoli 20 TFUE e 21 TFUE.

2. Valutazione

54.

Occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale che svantaggia taluni cittadini di uno Stato per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libertà di circolare e soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione del diritto alla libera circolazione riconosciuto dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE ( 15 ).

55.

Dalla stessa giurisprudenza risulta che, per una persona la quale ha esercitato il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio di un altro Stato membro, il fatto «di essere obbligat[a] a portare, nello Stato membro di cui (...) è cittadin[a], un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio [di tale] diritto» ( 16 ).

56.

Se tale principio vale nel caso di persone che, come nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559) e Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), possiedono la cittadinanza di un unico Stato membro, esso vale a fortiori nel caso di persone che, come il sig. Bogendorff von Wolffersdorff, hanno la cittadinanza di vari Stati membri.

57.

Il nome di una persona, infatti, è un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la tutela della quale è garantita dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ( 17 ).

58.

Come dichiarato per la prima volta dalla Corte nella causa che ha dato luogo alla sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539), una «diversità di cognomi è tale da generare per gli interessati seri inconvenienti di ordine tanto professionale quanto privato, derivanti, in particolare, dalle difficoltà di fruire, in uno Stato membro di cui hanno la cittadinanza, degli effetti giuridici di atti o di documenti redatti con il cognome riconosciuto nell’altro Stato membro, del quale pure possiedono la cittadinanza» ( 18 ).

59.

Dalla giurisprudenza successiva alla sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539) risulta che «numerose azioni della vita quotidiana, sia nel settore pubblico sia in quello privato, richiedono la prova dell’identità» ( 19 ) e una «divergenza di cognome è idonea a suscitare dubbi in merito all’identità della persona stessa e all’autenticità dei documenti prodotti o alla veridicità dei dati in essi contenuti» ( 20 ).

60.

Nella causa sfociata nella sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 64) la Corte ha dichiarato che occorrerebbe «tenere conto del fatto che, secondo il diritto tedesco, i termini “Fürstin von” sono considerati non come un titolo nobiliare, ma come un elemento costitutivo del nome».

61.

Di conseguenza, in tale causa il nome «Fürstin von Sayn‑Wittgenstein» è stato considerato come un cognome unico composto di più elementi e si è ritenuto che «i nomi Fürstin von Sayn‑Wittgenstein e Sayn‑Wittgenstein non [fossero] identici» ( 21 ).

62.

Allo stesso modo, neppure i nomi «Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff» e «Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff» sono identici. In quest’ottica, una divergenza tra i due nomi applicati ad una stessa persona può, in linea di principio, generare confusione e inconvenienti.

63.

Occorre, tuttavia, ricordare che la giurisprudenza richiede che la normativa nazionale di cui trattasi sia «tale da generare per gli interessati “seri inconvenienti” di ordine amministrativo, professionale e privato» ( 22 ) e in particolare «un rischio concreto, per [una persona] (...) di dover dissipare dubbi quanto alla [propria] identità e all’autenticità dei documenti che [presenta]» ( 23 ).

64.

A mio avviso, è evidente che il criterio summenzionato è soddisfatto nel caso di specie per le medesime ragioni rilevate dalla Corte ai punti da 66 a 70 della sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), tanto più che, contrariamente alla sig.ra Sayn‑Wittgenstein, il sig. Bogendorff von Wolffersdorff possiede la doppia cittadinanza tedesca e britannica.

65.

Se dunque «costituisce un “serio inconveniente” ai sensi della (...) sentenza Grunkin e Paul il fatto di dover modificare tutte le tracce formali del nome Fürstin von Sayn‑Wittgenstein lasciate nella sfera sia pubblica che privata, dato che i suoi documenti di identità ufficiali la designano attualmente con un altro nome» ( 24 ), lo stesso può dirsi nel caso del sig. Bogendorff von Wolffersdorff che ha utilizzato il proprio nome britannico in un contesto tanto privato che professionale nel corso del suo soggiorno nel Regno Unito.

66.

Possedendo, infatti, due passaporti con nomi e cognomi assai differenti, il sig. Bogendorff von Wolffersdorff «rischi[erebbe] di dover dissipare sospetti di false dichiarazioni suscitati dalla divergenza» ( 25 ) tra i suoi nomi e i suoi cognomi britannico e tedesco. Come afferma la Commissione, tale rischio esiste a prescindere da un collegamento sostanziale con l’altro Stato membro, nella fattispecie il Regno Unito, che sussisterebbe anche per il futuro.

67.

All’udienza, infatti, il sig. Bogendorff von Wolffersdorff ha fornito vari esempi di seri inconvenienti da lui incontrati in Germania a causa della divergenza dei nomi esistente tra i documenti di identificazione tedeschi e britannici, in particolare in occasione di controlli stradali o dell’apertura di conti bancari a titolo privato e professionale. Egli ha inoltre affermato di aver dovuto trascorrere più volte varie ore in un commissariato di polizia mentre le autorità tedesche verificavano l’autenticità e la validità del suo passaporto britannico.

68.

Aggiungo poi il rischio di dubbi (in particolare in occasione di viaggi all’estero) sul legame di parentela esistente tra il sig. Bogendorff von Wolffersdorff e la figlia minorenne, Larissa Xenia, derivante dal fatto che ciascuno di loro avrebbe un passaporto tedesco con un cognome assai differente.

69.

Per quanto concerne il principio della prima trascrizione, formulato dal servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe nelle proprie osservazioni scritte nonché all’udienza, occorre sottolineare che detto principio non è affatto avvalorato dalla giurisprudenza e, in particolare, dalla sentenza Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559). Se è vero che, secondo tale sentenza, le autorità tedesche erano tenute a riconoscere il primo e unico cognome che il minore interessato aveva acquisito in Danimarca, ciò dipendeva dai fatti di causa anziché dalla constatazione di un principio di applicazione generale.

70.

Di conseguenza, il diniego, da parte delle autorità di uno Stato membro, nella specie la Repubblica federale di Germania, di riconoscere, in tutti i suoi elementi, il nome di uno dei suoi cittadini, quale stabilito in un secondo Stato membro di cui tale cittadino possieda parimenti la cittadinanza, costituisce una restrizione delle libertà riconosciute ad ogni cittadino dell’Unione dagli articoli 20 TFUE e 21 TFUE.

D – Sulla giustificazione

71.

Resta da valutare se la violazione dell’articolo 18 TFUE e la restrizione della libertà di circolazione garantita dall’articolo 21 TFUE possano essere giustificate.

72.

In proposito, il giudice del rinvio evoca quattro considerazioni che potrebbero eventualmente giustificare il rifiuto della registrazione, ossia il principio di continuità del nome, l’arbitrarietà del cambiamento di nome nel Regno Unito, la lunghezza del nome scelto nonché l’abolizione dei titoli nobiliari.

1. Sul principio di continuità del nome

73.

Secondo il giudice del rinvio, se nel diritto tedesco non è autorizzato il cambiamento del nome e del cognome mediante atto di volontà, la ragione principale è che il nome deve essere disponibile quale elemento di identificazione affidabile e duraturo.

74.

Tuttavia, come dichiarato dalla Corte ai punti 30 e 31 della sentenza Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559), i principi di certezza e di continuità «dedotti a sostegno del collegamento della determinazione del cognome di una persona alla sua cittadinanza, per quanto possano di per sé essere legittimi, [non] merita[no] di essere considerat[i] talmente important[i] da giustificare che le autorità competenti di uno Stato membro (...) rifiutino di riconoscere il cognome [della persona interessata] così come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro».

75.

Nei limiti in cui il collegamento alla cittadinanza ha lo scopo di garantire che il nome di una persona possa essere determinato in modo continuo e stabile, occorre infatti constatare, come dichiarato dalla Corte al punto 32 della sentenza succitata, che «siffatto collegamento sfocerà in un risultato contrario a quello voluto» poiché, ogni volta che il sig. Bogendorff von Wolfersdorff varcherà la frontiera tra il Regno Unito e la Germania, porterà un altro nome, per non parlare dell’ipotesi in cui si stabilisse in un altro Stato membro, nel qual caso potrebbe scegliere liberamente l’uno o l’altro nome.

2. Sulla volontarietà del cambiamento di nome

76.

Secondo il giudice del rinvio, la diversità riguardo al nome esistente tra i passaporti britannico e tedesco del sig. Bogendorff von Wolffersdorff non è riconducibile alle circostanze della sua nascita, a un’adozione o a un’altra modifica del suo status. Al contrario, essa è stata determinata dal sig. Bogendorff von Wolffersdorff con cognizione di causa, senza che, nel corso del procedimento, egli adducesse ragioni che avrebbero fatto apparire la scelta del suo nome come comprensibile o necessaria. Ritenendo che la decisione di cambiare il suo nome nel Regno Unito sia stata dettata soltanto da ragioni di preferenza personale, il giudice del rinvio si chiede se la scelta operata dal sig. Bogendorff von Wolffersdorff sia meritevole di tutela.

77.

All’udienza, il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe ha insistito sul fatto che il diritto tedesco non prevede la possibilità di una libera scelta del nome come quella operata dal sig. Bogendorff von Wolffersdorff nel Regno Unito e che la città di Karlsruhe vi si sarebbe opposta anche se il nome britannico non avesse incluso alcun titolo nobiliare ( 26 ). All’udienza, il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe ha inoltre sostenuto che la volontarietà del cambiamento di nome sarebbe in contrasto con l’ordine pubblico tedesco, poiché il diritto tedesco non autorizza un simile tipo di cambiamento.

78.

Non condivido tale tesi poiché conduce a un disconoscimento completo e quasi automatico di un nome portato legalmente in un altro Stato membro.

79.

Come sostiene la Commissione, un singolo è degno di tutela, anche nell’ipotesi di cambiamento volontario dei propri nomi e del proprio cognome, nella specie per effetto di una dichiarazione detta «Deed Poll» ( 27 ).

80.

In primo luogo, come già dichiarato dalla Corte al punto 52 della sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), «il nome di una persona è un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la tutela della quale è garantita dall’art[icolo] 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art[icolo] 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».

81.

Al riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che «[p]ur riconoscendo (...) che possono esistere ragioni concrete che conducano un individuo a desiderare di cambiare nome, la Corte ammette che, nell’interesse pubblico, possano essere giustificate restrizioni legali a una simile possibilità; per esempio, al fine di garantire l’esatta registrazione della popolazione o di salvaguardare i mezzi di identificazione personale e di collegare ad una famiglia coloro che portano un dato cognome» ( 28 ).

82.

Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe, la volontarietà del cambiamento di nome, non costituendo di per sé stessa un pregiudizio per l’interesse generale, non può giustificare una restrizione degli articoli 18 TFUE e 21 TFUE.

83.

In secondo luogo, gli individui sono degni di tutela anche se, per qualsiasi ragione, hanno chiesto il cambiamento del proprio nome, poiché gli inconvenienti di ordine professionale e privato prodotti dalla circostanza di portare nomi differenti in Stati membri differenti – come per esempio la difficoltà di fruire, nello Stato membro di cui hanno la cittadinanza, degli effetti giuridici di atti o di documenti redatti con il nome riconosciuto in un altro Stato membro di cui possiedono parimenti la cittadinanza ( 29 ) – sussistono a prescindere dalla questione dell’accertamento delle modalità con cui il nome concesso sia stato ottenuto.

84.

In terzo luogo, non può competere alle autorità tedesche negare il riconoscimento di un nome ottenuto legalmente da uno dei loro cittadini in un altro Stato membro soltanto sulla base dell’arbitrarietà o della volontarietà di tale cambiamento di nome. Il divieto di abuso del diritto consente agli Stati membri di contrastare sufficientemente quello che il governo tedesco, nelle sue osservazioni scritte, chiama «turismo del nome».

85.

Come infatti dichiarato dalla Corte al punto 24 della sentenza Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126), «uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi all’impero delle leggi nazionali, e che gli interessati (...) poss[a]no avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto [dell’Unione]».

86.

Ciò implica che, a meno che le autorità tedesche possano dimostrare che il sig. Bogendorff von Wolffersdorff si sia trasferito nel Regno Unito soggiornandovi per vari anni con la sola intenzione di creare artificialmente le condizioni necessarie per il cambiamento dei propri nomi e del proprio cognome al fine di poter rispettare i requisiti di applicazione dell’articolo 48 dell’EGBGB, il diniego di riconoscimento del nome britannico del sig. Bogendorff von Wolffersdorff non può essere giustificato dalla mera circostanza che il cambiamento sia intervenuto su iniziativa del suo titolare.

87.

Atteso che, dalla lettura della domanda di pronuncia pregiudiziale, rilevo che il giudice del rinvio è propenso a ritenere che nel periodo compreso tra il 2001 e il 2005 il centro degli interessi del sig. Bogendorff von Wolffersdorff fosse effettivamente a Londra, ritengo inoltre, al pari della Commissione, che nel caso in esame non sussista un abuso. Il collegamento del sig. Bogendorff von Wolffersdorff con il Regno Unito, di cui possiede la cittadinanza, non era né fittizio né abusivo.

88.

Per quanto attiene all’argomento del servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe secondo il quale la volontarietà del cambiamento contrasterebbe con l’ordine pubblico tedesco, si deve sottolineare che, sebbene la Corte abbia dichiarato che l’ordine pubblico può giustificare una restrizione degli articoli 20 TFUE e 21 TFUE ( 30 ), tuttavia tale nozione non copre tutte le norme imperative del diritto interno alle quali i singoli non possono derogare. Al contrario, come dichiarato dalla Corte al punto 86 della sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), «l’ordine pubblico può essere invocato soltanto in caso di minaccia reale e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività».

89.

Mi sembra evidente che, se è pur vero che il diritto tedesco non autorizza il libero cambiamento del nome con atto volontario, tuttavia tale norma non raggiunge l’elevata soglia dell’ordine pubblico ai sensi della sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806).

3. Sulla lunghezza del nome

90.

Secondo il giudice del rinvio, l’ordinamento giuridico tedesco persegue altresì l’obiettivo di evitare i cognomi di lunghezza spropositata o troppo complessi. In proposito, esso rileva che il nome scelto dal ricorrente nel procedimento principale, ossia «Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff», per la Germania è di una lunghezza insolita.

91.

Una simile considerazione, tuttavia, non può trovare accoglimento. Come dichiarato dalla Corte al punto 36 della sentenza Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559), «siffatte considerazioni di praticità amministrativa non sono sufficienti a giustificare un ostacolo alla libera circolazione». Essa dev’essere pertanto respinta nella specie.

4. Sull’abolizione dei titoli nobiliari

92.

Richiamandosi alla sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), il servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe e il governo tedesco rilevano che l’aggiunta degli ex titoli nobiliari «Graf» (conte) e «Freiherr» (barone) al cognome potrebbe violare l’ordine pubblico tedesco, contraddicendo in modo intollerabile il principio di uguaglianza dei cittadini tedeschi dinanzi alla legge e la scelta costituzionale di abolire la nobiltà concretizzata con l’articolo 109, terzo comma, della Costituzione di Weimar in combinato disposto con l’articolo 123 della Legge fondamentale.

93.

Va osservato, in limine, che il sig. Bogendorff von Wolffersdorff chiede di modificare non soltanto il suo cognome, ma altresì i suoi nomi, da «Nabiel Peter» a «Peter Mark Emanuel». Dunque, un’eventuale giustificazione basata sul rifiuto dei titoli nobiliari in ogni caso riguarderebbe soltanto la modifica del cognome.

94.

Si deve inoltre precisare che le parole «Graf» e «Freiherr» contenute nel cognome britannico del sig. Bogendorff von Wolffersdorff non costituiscono titoli nobiliari né nel diritto inglese né nel diritto tedesco. Più precisamente, per quanto riguarda il diritto inglese, non si tratta di titoli nobiliari concessi dal sovrano del Regno Unito. Neppure per quanto concerne il diritto tedesco si tratta di titoli nobiliari poiché, come precisa l’articolo 109, terzo comma, della Costituzione di Weimar, i titoli nobiliari sono aboliti.

95.

Considerato che, tuttavia, le parole «Graf» e «Freiherr» in lingua tedesca significano rispettivamente «conte» e «barone», l’argomento del governo tedesco fondato sull’abolizione dei titoli nobiliari dev’essere inteso come relativo alla parvenza di origine nobiliare che tali parole producono.

96.

In proposito, al punto 85 della sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), la Corte ha dichiarato che «[e]ventuali considerazioni oggettive correlate all’ordine pubblico sono idonee a giustificare, in uno Stato membro, un rifiuto di riconoscimento del cognome di uno dei cittadini di tale Stato, così come attribuito in un altro Stato membro» ( 31 ).

97.

Al punto 86 della citata sentenza, la Corte ha ricordato che «la nozione di ordine pubblico, in quanto giustificazione di una deroga ad una libertà fondamentale, deve essere intesa in senso restrittivo, di guisa che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea (...). Ne consegue che l’ordine pubblico può essere invocato soltanto in caso di minaccia reale e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività (...)» ( 32 ).

98.

Atteso che l’abolizione della nobiltà costituisce l’attuazione del più generale principio di uguaglianza giuridica di tutti i cittadini tedeschi sancito dall’articolo 109, primo comma, della Costituzione di Weimar e che la Corte ha già affermato che «[l]’ordinamento giuridico dell’Unione tende innegabilmente ad assicurare il rispetto del principio di uguaglianza in quanto principio generale del diritto[,] [t]ale principio [essendo] altresì sancito dall’art[icolo] 20 della Carta dei diritti fondamentali» ( 33 ), si potrebbe sostenere che la registrazione in uno Stato repubblicano di un nome ottenuto in un altro Stato membro e che includa parole che riprendano ex titoli nobiliari contrasti con l’ordine pubblico del medesimo.

99.

Come tuttavia ho già avuto modo di spiegare al paragrafo 177 delle mie conclusioni nella causa Gazprom (C‑536/13, EU:C:2014:2414), la nozione di ordine pubblico riguarda «norme e valori dei quali l’ordinamento giuridico del foro del riconoscimento e dell’esecuzione non può sopportare la violazione, in quanto una siffatta violazione sarebbe inaccettabile dal punto di vista di uno Stato di diritto, libero e democratico».

100.

Ciò implica che, affinché una norma sia di ordine pubblico, deve trattarsi di una norma imperativa talmente fondamentale per l’ordinamento giuridico interessato che essa non potrebbe subire alcuna deroga nell’ambito del caso in esame.

101.

Orbene, come rileva il giudice del rinvio, a differenza dell’ordinamento giuridico austriaco di cui trattavasi nella sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806), l’ordinamento giuridico tedesco, in particolare l’articolo 109, terzo comma, della Costituzione di Weimar, non contiene uno stretto divieto di mantenimento dei titoli nobiliari.

102.

Al contrario, se è vero che detta disposizione della Costituzione di Weimar prevede che «[s]ono aboliti i privilegi o le incapacità di diritto pubblico, collegati con la nascita o l’appartenenza a ceti», essa aggiunge tuttavia che «[i] titoli nobiliari sussistono solo quali componenti del nome». Secondo la prassi tedesca, i titoli nobiliari sono ammessi soltanto se posti dopo il nome di battesimo ( 34 ).

103.

Alla luce delle suesposte considerazioni, non comprendo in qual modo il nome britannico del sig. Bogendorff von Wolffersdorff, ossia «Peter Mark Emanuel Graf von Wolffersdorff Freiherr von Bogendorff», potrebbe contrastare con l’ordine pubblico tedesco né come si potrebbe parlare di una minaccia reale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico tenuto conto che, nonostante la loro abolizione, i titoli nobiliari possono continuare ad esistere quali cognomi nel rispetto delle condizioni restrittive previste all’articolo 109, terzo comma, della Costituzione di Weimar e nella giurisprudenza.

104.

O i titoli nobiliari sono, in quanto tali, contrari all’ordine pubblico e, come in Austria, è vietato portarli e ciò vale per tutti i cittadini tedeschi, oppure non lo sono e possono essere utilizzati da tutti i tedeschi sotto forma di cognomi ponendoli dopo il nome, anziché prima di esso come avveniva fino al 1918.

105.

Tale tesi è stata condivisa anche dall’Oberlandesgericht Dresden (Tribunale regionale superiore di Dresda) che, con ordinanza del 6 luglio 2011, ha imposto alle autorità della città di Chemnitz di registrare la figlia del sig. Bogendorff von Wolffersdorff con il suo nome britannico, ossia «Larissa Xenia Gräfin von Wolffersdorff Freiin von Bogendorff» ( 35 ). Se ciò non contrasta con l’ordine pubblico nel caso di quest’ultima, non comprendo come tale contrasto potrebbe sussistere nel caso del padre.

106.

Trovo conferma della mia tesi nelle vaghe risposte fornite dal governo tedesco all’udienza ai miei quesiti volti a stabilire, utilizzando esempi ipotetici, se un nome straniero contenente veri titoli nobiliari stranieri o parole che in lingua tedesca indichino un titolo nobiliare senza avere tale effetto nella lingua straniera fossero in contrasto con l’ordine pubblico tedesco. Il governo tedesco non ha fornito risposte precise, ma ha insistito sul fatto che la risposta dipenderebbe da ciascun caso concreto. Orbene, se il divieto di utilizzare titoli nobiliari rientrasse realmente nell’ambito dell’ordine pubblico tedesco, la risposta avrebbe dovuto essere semplice e uguale per tutti i casi ipotetici.

107.

Inoltre, l’argomentazione del governo tedesco conduce a riservare l’uso dei titoli nobiliari alle menzionate condizioni soltanto alle vere onorificenze concesse sotto l’Impero tedesco prima del 1918 e ciò allo scopo di contrastare i falsi titoli inventati dai singoli. Benché la minaccia reale e sufficientemente grave per l’ordine pubblico sia difficile da dimostrare e nonostante il fatto che, secondo il governo tedesco, il nome contenente il «falso titolo» potrebbe essere portato legalmente dalle generazioni successive, l’argomento basato sulla tutela dei veri titoli nobiliari sarebbe paradossale alla luce dei valori democratici e di uguaglianza che hanno ispirato la Costituzione di Weimar e segnatamente il suo articolo 109 e che, secondo il governo tedesco, hanno l’obiettivo di tutelare «l’ordinamento repubblicano» ( 36 ).

108.

Tutto ciò premesso, ritengo che la giustificazione fondata sull’abolizione dei titoli nobiliari debba essere respinta.

VI – Conclusione

109.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dall’Amtsgericht Karlsruhe (Tribunale distrettuale di Karlsruhe) nei termini seguenti:

«Gli articoli 18 TFUE, 20 TFUE e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che le autorità di uno Stato membro sono tenute a riconoscere il cambiamento di nome di un cittadino di detto Stato qualora questi sia, contemporaneamente, cittadino di un altro Stato membro ove abbia acquisito un nome liberamente scelto e contenente vari titoli nobiliari, nella misura in cui, pur abolendo i titoli nobiliari, il diritto nazionale del primo Stato membro di cui trattasi consenta il loro utilizzo nell’ambito del cognome».


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Nelle presenti conclusioni utilizzerò i nomi e il cognome del ricorrente nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio, ossia «Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff».

( 3 ) V. The London Gazette dell’8 novembre 2004, pag. 14113, disponibile sul sito Internet: https://www.thegazette.co.uk/notice/L-57458-1018.

( 4 ) 17 W 0465/11.

( 5 ) Sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 63). V. altresì sentenze Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 25); Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punto 16), nonché Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 38).

( 6 ) V. sentenze Uecker e Jacquet (C‑64/96 e C‑65/96, EU:C:1997:285, punto 23); Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 26), nonché Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punto 16).

( 7 ) Sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 31). V. altresì, in tal senso, sentenze National Farmers’ Union e a. (C‑354/95, EU:C:1997:379, punto 61); SCAC (C‑56/94, EU:C:1995:209, punto 27), nonché Codorniu/Consiglio (C‑309/89, EU:C:1994:197, punto 26).

( 8 ) V. supra, paragrafi da 29 a 31.

( 9 ) V. articolo 5, paragrafo 1, dell’EGBGB.

( 10 ) V. sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punti da 6 a 832).

( 11 ) Ibidem (punto 34).

( 12 ) Ibidem (punto 37).

( 13 ) V. infra paragrafi da 71 a 105.

( 14 ) V. paragrafo 39 supra.

( 15 ) V. sentenze De Cuyper (C‑406/04, EU:C:2006:491, punto 39); Nerkowska (C‑499/06, EU:C:2008:300, punto 32); Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punto 21); Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punti 6768), nonché Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 53).

( 16 ) V. sentenza Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punti 2122) nonché sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 54).

( 17 ) V. sentenze Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 52), e Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 66). Per la giurisprudenza sulla tutela del nome di una persona da parte dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, v. Corte eur. D.U., Burghartz c. Svizzera, del 22 febbraio 1994, serie A n. 280 B, § 24, e Stjerna c. Finlandia, del 25 novembre 1994, serie A n. 299 B, § 37.

( 18 ) Sentenza Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 36). V. altresì, in tal senso, sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 55).

( 19 ) Sentenze Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punto 25), e Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 61). V. altresì, in tal senso, sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, puno 73).

( 20 ) Sentenze Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punti 2628), e Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punti 5569).

( 21 ) Sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 65).

( 22 ) Sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 76) la quale fa riferimento alle sentenze Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 36); Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punti da 23 a 28), nonché Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punti 67, 69, 70).

( 23 ) Sentenza Runevič‑Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 77). V. altresì, in tal senso, sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 70).

( 24 ) Sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 67).

( 25 ) Sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 68).

( 26 ) Secondo le stesse parole utilizzate dal rappresentante del servizio giuridico centrale della città di Karlsruhe, «anche se nel caso di specie si trattasse di fare una modifica del cognome per passare da Ramirez a Schroeder, i nostri argomenti sarebbero esattamente gli stessi».

( 27 ) V. paragrafo 14 supra.

( 28 ) Sentenza Stjerna c. Finlandia del 25 novembre 1994, serie A n. 299 B, § 39.

( 29 ) V. sentenze Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 36), nonché Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punti 2223).

( 30 ) V. sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punti 8586). V. infra paragrafi 96 e 97.

( 31 ) V. altresì, in tal senso, sentenza Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:559, punto 29).

( 32 ) Il corsivo è mio. V. altresì, in tal senso, sentenze Église de scientologie (C‑54/99, EU:C:2000:124, punto 17), e Omega (C‑36/02, EU:C:2004:614, punto 30).

( 33 ) Sentenza Sayn‑Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 89).

( 34 ) V. ordinanza dell’Oberlandesgericht Dresden (Tribunale regionale superiore di Dresda, Germania) del 6 luglio 2011, citata supra al paragrafo 18.

( 35 ) V. supra, paragrafo 18. Il corsivo è mio.

( 36 ) Parole utilizzate dal governo tedesco all’udienza.