CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 19 novembre 2015 ( 1 )

Causa C‑377/14

Ernst Georg Radlinger

Helena Radlingerová

contro

FINWAY a.s.

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Krajský soud v Praze (Corte regionale di Praga, Repubblica ceca)]

«Direttiva 93/13/CE — Direttiva 2008/48/CE — Norme procedurali nazionali che disciplinano il procedimento per insolvenza — Obbligo di un giudice nazionale di esaminare d’ufficio le questioni relative alla normativa sulla protezione dei consumatori nei procedimenti per insolvenza — Significato di “importo totale del credito” — Calcolo del tasso annuo effettivo globale — Clausole abusive nei contratti di credito ai consumatori — Valutazione del carattere abusivo delle clausole penali — Conseguenze dell’accertamento del carattere abusivo cumulativo»

1. 

Il procedimento principale riguarda una domanda incidentale proposta da determinati debitori nell’ambito di un procedimento per insolvenza ( 2 ). I debiti che hanno dato adito a tali procedimenti nascono dall’incapacità dei debitori di adempiere ai loro obblighi di cui ad un contratto di credito ai consumatori. Nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale il Krajský soud v Praze (Corte regionale di Praga) chiede indicazioni sulla questione se le norme procedurali nazionali che disciplinano tali procedimenti, che ostano a che esso verifichi se i debitori beneficiano delle norme sulla protezione dei consumatori di cui alla direttiva 93/13 ( 3 ) e alla direttiva 2008/48 ( 4 ), siano conformi al diritto dell’Unione. Sostanzialmente, esso desidera sapere in che misura è tenuto ad esaminare tali disposizioni d’ufficio, se l’obbligo dei creditori di fornire informazioni ai sensi della direttiva 2008/48 debba essere preso in considerazione nella sua valutazione, come debbano essere valutate le clausole penali di cui al contratto di credito nell’ambito della direttiva 93/13 e quale effetto derivi dalla conclusione che tali clausole penali sono, cumulativamente, abusive.

Normativa dell’Unione europea

Direttiva 93/13

2.

La direttiva 93/13 si applica alle clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore ( 5 ). Gli obiettivi della direttiva 93/13 comprendono il fare in modo che clausole abusive non siano incluse nei contratti con i consumatori e proteggere i consumatori dagli abusi di potere dei venditori o dei prestatari in particolare tramite contratti di adesione, e dall’esclusione abusiva di diritti essenziali nei contratti ( 6 ). Ove una clausola contrattuale non sia stata oggetto di negoziato individuale, essa si considera abusiva «se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto» ( 7 ). Le clausole redatte preventivamente su cui il consumatore non ha potuto esercitare alcuna influenza devono sempre essere considerate non oggetto di «negoziato individuale» ai fini dell’articolo 3, paragrafo 1 ( 8 ). L’allegato alla direttiva 93/13 contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive ( 9 ), comprese quelle che hanno per oggetto o per effetto di imporre al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato ( 10 ).

3.

Il carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere valutato «tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende» ( 11 ).

4.

Gli Stati membri, negli atti di recepimento della direttiva 93/13, devono disporre che «le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive» ( 12 ).

5.

Inoltre gli Stati membri, «nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» ( 13 ).

Direttiva 2008/48

6.

La direttiva 2008/48 ( 14 ) armonizza taluni aspetti delle normative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori ( 15 ). Il considerando 10 chiarisce che, sebbene l’ambito di applicazione della direttiva 2008/48 sia espressamente individuato dalla stessa, gli Stati membri possono cionondimeno, conformemente al diritto dell’Unione, applicare le sue disposizioni a questioni che esulano dall’ambito di applicazione della stessa. Rilevano in tale sede i seguenti obiettivi dichiarati della direttiva 2008/48: lo sviluppo di un mercato del credito al consumo più trasparente ed efficiente nel mercato interno ( 16 ); il raggiungimento della piena armonizzazione che garantisca un livello elevato ed equivalente di tutela a tutti i consumatori dell’Unione europea ( 17 ); la garanzia che i contratti di credito contengano tutte le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso, affinché i consumatori possano prendere le loro decisioni con piena cognizione di causa e siano consapevoli dei loro diritti e obblighi in virtù del contratto di credito e la garanzia che i consumatori ricevano le informazioni relative ai tassi annui effettivi globali (in prosieguo: il «TAEG») dell’Unione europea, consentendo loro di confrontare tali tassi ( 18 ).

7.

La direttiva 2008/48 si applica ai contratti di credito ai consumatori ( 19 ). Tuttavia, i contratti di credito «garantiti da un’ipoteca oppure da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili o da un diritto legato ai beni immobili» sono espressamente esclusi dal suo ambito di applicazione ( 20 ).

8.

Ai fini della presente fattispecie rilevano le seguenti definizioni di cui all’articolo 3:

«c)

“contratto di credito”: un contratto in base al quale il creditore concede o promette di concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria analoga (…)

g)

“costo totale del credito per il consumatore”: tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza (…)

h)

“importo totale che il consumatore è tenuto a pagare”: la somma tra importo totale del credito e costo totale del credito al consumatore;

i)

“tasso annuo effettivo globale” [“TAEG”]: il costo totale del credito al consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito, se del caso includendo i costi di cui all’articolo 19, paragrafo 2 [ ( 21 ) ];

(…)

l)

“importo totale del credito”: il limite massimo o la somma totale degli importi messi a disposizione in virtù di un contratto di credito;

(…)».

9.

L’articolo 5 impone un obbligo di fornire al consumatore informazioni prima della conclusione del contratto. Sebbene detta disposizione non sia in questione in quanto tale nel presente procedimento, le informazioni ivi stabilite sono riportate nell’elenco di informazioni obbligatorie da inserire nei contratti di credito di cui all’articolo 10. Tutte le parti del contratto devono ricevere copia del contratto di credito ( 22 ). L’articolo 10, paragrafo 2, elenca 22 voci di informazione che devono figurare, in modo chiaro e conciso, in ogni contratto di credito. Tale elenco comprende: «l’importo totale del credito e le condizioni di prelievo» ( 23 ).

10.

Nella misura in cui la direttiva 2008/48 armonizza i contratti di credito ai consumatori, agli Stati membri è vietato introdurre disposizioni diverse e consentire ai consumatori di rinunciare ai diritti loro conferiti dalle leggi nazionali che danno esecuzione o che corrispondono a detta direttiva ( 24 ).

11.

Gli Stati membri devono prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive al fine di dare esecuzione alla direttiva 2008/48 ( 25 ).

Diritto nazionale

Procedimento per insolvenza

12.

Il giudice del rinvio spiega che le norme nazionali che disciplinano il procedimento per insolvenza si applicano come segue.

13.

Un individuo è insolvente qualora non sia in grado di onorare i suoi impegni finanziari oltre 30 giorni dopo che il pagamento diventa esigibile. Il debitore non imprenditore può chiedere al giudice fallimentare che il suo stato di insolvenza sia riesaminato e risolto mediante concordato. In tali procedimenti, il giudice fallimentare non può esaminare la questione della legittimità, dell’importo e dell’ordine di soddisfacimento dei crediti dichiarati, anche quando sorgono questioni disciplinate dalle direttive 93/13 o 2008/48, a meno che non vi sia una contestazione da parte del curatore fallimentare, di un altro creditore o, eccezionalmente, del debitore stesso. Una domanda incidentale a tal fine deve essere presentata al giudice fallimentare dalla parte interessata.

14.

Qualora il giudice fallimentare abbia approvato il risanamento dell’insolvenza mediante concordato, un debitore può depositare una domanda incidentale. Se tale domanda riguarda crediti passibili di esecuzione non garantiti, il giudice fallimentare può esaminarla. Tuttavia, nel fare ciò la sua valutazione è limitata all’eventuale estinzione o prescrizione del credito ( 26 ). Ai sensi delle norme procedurali nazionali, al giudice fallimentare non è consentito trattare nel merito una domanda incidentale, qualora riguardi crediti garantiti ( 27 ).

Diritto dei consumatori e credito al consumo

15.

Il giudice del rinvio afferma che è nullo qualsiasi atto giuridico il cui contenuto o il cui scopo sia incompatibile con la legge, eluda quest’ultima o sia contrario a principi riconosciuti di buon costume.

16.

Per i contratti di credito ai consumatori è prescritta la forma scritta e il creditore ha l’obbligo di menzionarvi, tra l’altro, l’importo totale del credito e il TAEG. L’inosservanza di tali requisiti non comporta l’invalidità del contratto nella sua interezza ( 28 ). Tuttavia, laddove il consumatore faccia valere tale circostanza nei confronti del creditore, gli interessi sul credito di cui trattasi sono considerati fissati fin dalla data di conclusione del contratto all’ammontare del tasso di sconto vigente pubblicato dalla Banca centrale della Repubblica ceca ed è considerata nulla qualsiasi altra convenzione relativa a pagamenti per detto contratto ( 29 ).

17.

Nei contratti con i consumatori, sono nulle le clausole che, in contrasto con le esigenze della buona fede, comportino, a danno del consumatore, uno squilibrio significativo dei diritti e degli obblighi delle parti ( 30 ).

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

18.

Il 29 agosto 2011, il sig. Ernst Radlinger e la sig.ra Helena Radlingerová (in prosieguo: i «Radlinger» o i «consumatori» o i «debitori») hanno concluso un contratto di credito al consumo con la Smart Hypo (in prosieguo: il «mutuante»). Ai sensi di tale contratto, la Smart Hypo ha concesso un prestito di CZK 1170000 (EUR 43205) ( 31 ). In cambio i Radlinger hanno convenuto di pagare la somma di CZK 2958000 (EUR 109231) in 120 rate mensili di CZK 24375 (EUR 900) pagabili il giorno 20 di ogni mese (salvo la prima rata che doveva essere pagata il 31 agosto 2011, e le spese pari a CZK 33000: tali importi sono stati dedotti dall’importo del capitale preso in prestito). L’importo di CZK 2958000 comprendeva quanto segue: i) il capitale di CZK 1170000; ii) gli interessi annuali al tasso del 10% del capitale per la durata del contratto di credito (anch’essi pari a CZK 1170000); iii) la remunerazione del mutuante corrispondente a CZK 585000 (EUR 21602); e iv) le spese summenzionate ( 32 ). Dal piano di pagamento di cui al contratto emerge che i versamenti dei Radlinger sarebbero stati effettivamente destinati al pagamento delle spese, degli interessi e della remunerazione del mutuante tra il 31 agosto 2011 e il 20 luglio 2017. Solo a partire dalla settantatreesima rata avrebbero iniziato a pagare il capitale. Il TAEG del credito era quantificato nella misura di 28,9% ( 33 ).

19.

Contestualmente, i Radlinger hanno convenuto di garantire il prestito come segue: i) tramite una garanzia reale sulla casa familiare e sul terreno; ii) tramite assicurazione sulla proprietà, ai sensi della quale, in caso di verificazione dell’evento assicurato, il pagamento sarebbe andato direttamente a favore del mutuante; e iii) tramite atto notarile che riportava una clausola relativa all’esigibilità immediata del credito.

20.

Oltre agli interessi di mora stabiliti dalla legge, nel contratto di credito i Radlinger si erano impegnati a versare al mutuante una penale contrattuale pari allo 0,2% dell’importo del capitale per qualsiasi giorno, o sua frazione, di ritardo nel pagamento di tale importo, della remunerazione del mutuante o degli interessi. In caso di ritardo di durata superiore ad un mese erano altresì convenuti nel contratto un obbligo di versare una penale contrattuale, una tantum, pari a CZK 117000 (EUR 4320) e un rimborso forfettario, pari a CZK 50000 (EUR 1846), relativo alle spese del mutuante per esigere l’importo dovuto, nel quale non erano incluse le spese per il procedimento arbitrale o giurisdizionale né le spese di rappresentanza legale ( 34 ).

21.

Se i Radlinger avessero ritardato nel pagamento o se il mutuante avesse scoperto che avevano fornito dati non veritieri o ampiamente distorti o che avevano taciuto dati fondamentali nella richiesta di credito, il mutuante avrebbe potuto esigere il pagamento immediato dell’importo del capitale e dei costi correlati di cui al contratto di credito. Inoltre, sarebbero diventati esigibili le penali contrattuali e gli interessi dovuti per legge.

22.

Il 27 settembre 2011 il mutuante ha comunicato ai Radlinger di essere venuto a conoscenza del fatto che essi avevano omesso di menzionare che era stata in precedenza ordinata un’esecuzione sulle loro proprietà. L’importo oggetto di esecuzione ammontava a CZK4 285 (EUR 158). Cionondimeno, sulla base di ciò il mutuante ha richiesto il pagamento immediato dell’intera somma dovuta. Con lettera del 19 novembre 2012, il mutuante ha reiterato la propria richiesta, dichiarando che i pagamenti effettuati dei Radlinger ai sensi del contratto di credito erano stati irregolari e in ritardo. Tuttavia, secondo il giudice del rinvio i debitori sono stati in ritardo con il pagamento solo a partire dal dicembre 2012.

23.

La Smart Hypo ha successivamente ceduto il credito alla FINWAY a.s. (in prosieguo: la «FINWAY» o il «creditore»), resistente nel procedimento principale.

24.

Il 26 aprile 2013, il giudice del rinvio ha dichiarato l’insolvenza dei Radlinger, ha nominato un curatore fallimentare e ha invitato i creditori a dichiarare i propri crediti. Il 23 maggio 2013, nell’ambito del procedimento per insolvenza, la FINWAY ha dichiarato passibili di esecuzione due crediti. Il primo era un credito garantito pari a CZK 3045991 (EUR 112480). Il secondo era un credito non garantito per un importo pari a CZK 1359540 (EUR 50204), e rappresentava la penale contrattuale pari allo 0,2% del credito principale per ogni giorno di ritardo nel pagamento, relativa al periodo dal 23 settembre 2011 al 25 aprile 2013.

25.

Il 3 luglio 2013, nel corso del procedimento d’esame, i Radlinger hanno riconosciuto l’esecutorietà dei crediti, ma hanno contestato l’importo tanto del credito garantito quanto del credito non garantito sulla base del fatto che le condizioni del contratto di credito originario erano contrarie ai principi riconosciuti di buon costume. Essi sostengono che l’importo da loro dovuto, pari a CZK 1496801 (EUR 55272,70), è considerevolmente inferiore rispetto ai crediti dichiarati dalla FINWAY. Il curatore fallimentare non ha contestato i crediti della FINWAY.

26.

Con ordinanza in data 23 luglio 2013, il giudice del rinvio ha approvato il concordato congiunto dei Radlinger per risolvere lo stato di insolvenza, in forma di prospetto di rimborso. Il giorno seguente i Radlinger hanno depositato una domanda incidentale, con la quale hanno chiesto di accertare che i crediti dichiarati dalla FINWAY non sono secondo diritto in quanto contrari a principi riconosciuti di buon costume.

27.

Il giudice del rinvio dichiara che le norme nazionali che disciplinano il procedimento per insolvenza ostano a che esso tratti il merito della domanda incidentale dei Radlinger. Ai sensi di tali norme, dette domande possono essere presentate esclusivamente nel caso in cui la risoluzione dello stato di insolvenza del debitore tramite concordato sia accordata dal giudice fallimentare. Nella presente causa, le norme nazionali non consentono in alcun modo ai Radlinger di presentare una domanda incidentale contro il debito garantito. Pertanto, tale parte della domanda deve essere rigettata. Tuttavia, le norme nazionali dispongono che un debitore può presentare una domanda incidentale in relazione ad un debito non garantito.

28.

Al fine di determinare la domanda incidentale dei Radlinger, il Krajský soud v Praze (Corte regionale di Praga) chiede una pronuncia pregiudiziale sulle questioni di seguito sintetizzate:

1)

Se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, o qualsiasi altra disposizione di diritto dell’Unione europea a tutela dei consumatori, ostino a norme nazionali che, in procedimenti per insolvenza:

consentono al giudice di esaminare la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento del credito nei confronti di un debitore che è consumatore unicamente in base ad una domanda incidentale presentata dal curatore fallimentare, da alcuni creditori o dal debitore;

consentono a tale debitore di sottoporre ad esame giudiziario i crediti dichiarati dai creditori i) solo ove sia approvato un piano di risanamento dell’insolvenza del consumatore in forma di concordato, ii) solo per i crediti non garantiti e iii) nel caso di crediti dichiarati passibili di esecuzione con decisione dell’organo competente, solo al fine di eccepire l’estinzione o la prescrizione del credito.

2)

Se, nei procedimenti per insolvenza relativi a crediti derivanti da un contratto di credito al consumo, il giudice debba tener conto d’ufficio (anche senza un’eccezione del consumatore) dell’inosservanza, da parte del mutuante, degli obblighi di informazione di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, e dichiarare la nullità delle clausole contrattuali conformemente al diritto nazionale.

Per l’ipotesi di risposta affermativa alla questione 1 o 2:

3)

Se dette disposizioni di tali direttive abbiano effetto diretto e possano avere un’applicazione diretta, posto che con l’esame d’ufficio da parte del giudice si incide su un rapporto orizzontale tra consumatore e professionista.

4)

Cosa sia l’«importo totale del credito» di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 e cosa siano gli «importi del prelievo» nella formula per calcolare il TAEG di cui all’allegato I di tale direttiva, qualora i) nel contratto di credito sia formalmente indicato un importo di credito da pagare ma ii) si convenga che con tali somme saranno compensati i crediti del mutuante a titolo di spese e per la(e) prima(e) rata(e) del mutuo, cosicché le somme compensate non sono per nulla erogate al consumatore ma restano per l’intero periodo a disposizione del creditore. Se l’inclusione di tali somme abbia influenza sul calcolo.

5)

Se, nel valutare se le clausole penali siano abusive ai sensi del punto 1, lettera e), dell’allegato alla direttiva 93/13, si debba considerare l’effetto cumulativo di tutte queste clausole, indipendentemente dalla circostanza se il creditore insista sul loro completo pagamento o dal fatto che talune di esse possono essere considerate, sotto il profilo delle norme di diritto nazionale, non validamente convenute, o se invece si debba tener conto solo dell’importo delle penali che sono o che possono effettivamente essere fatte valere.

6)

Se, qualora si accerti il carattere abusivo delle penali, sia obbligatorio disapplicare ciascuna di tali sanzioni individuali, le quali (ma solo nel loro complesso) hanno condotto il giudice alla conclusione che l’importo dell’indennizzo sia sproporzionatamente elevato ai sensi del punto 1, lettera e), dell’allegato alla direttiva 93/13, oppure solo alcune di esse (e, in tal caso, secondo quale criterio).

29.

Osservazioni scritte sono state presentate dai Radlinger, dalla FINWAY, dai governi della Repubblica ceca e della Polonia, nonché dalla Commissione europea. All’udienza tenutasi il 15 luglio 2015 hanno presentato osservazioni orali la Germania e la Commissione.

Valutazione

Questione 1

30.

Con la questione 1, il giudice del rinvio chiede se siano compatibili con il diritto dell’Unione, in particolare con la direttiva 93/13 e con la direttiva 2008/48, le norme nazionali che disciplinano il procedimento per insolvenza relativo ad debito derivante da un contratto di credito al consumo che i) impongono al consumatore di presentare una domanda incidentale rispetto al procedimento per insolvenza principale al fine di esaminare la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento del credito; e ii) limitano il suo diritto di sottoporre ad esame i crediti dichiarati. Viene implicitamente sollevata la questione se tali norme siano compatibili con i principi di equivalenza e di effettività ( 35 ).

31.

Inizierò considerando tale aspetto in relazione alla direttiva 93/13, che istituisce un sistema che tutela i consumatori e impedisce che essi siano vincolati da clausole contrattuali abusive e impone agli Stati membri di provvedere a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti con i consumatori ( 36 ). Non è contestato il fatto che, ai fini di tale direttiva, i Radlinger siano consumatori e che il mutuante sia un prestatario.

32.

Quanto al principio di equivalenza, il giudice del rinvio nella sua ordinanza afferma che il giudice adito in relazione al procedimento per insolvenza non può in alcun modo esaminare la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento del credito, a meno che il soggetto interessato – il curatore fallimentare, i creditori o (come nella presente causa) il debitore – presenti una domanda incidentale. Tale posizione non è diversa ove il procedimento per insolvenza riguardi debiti derivanti da un contratto con i consumatori. Pertanto, la Corte non ha a disposizione informazioni che suggeriscano che le norme procedurali che impongono al debitore di presentare una domanda incidentale – al fine, ad esempio, di contestare la validità di un credito sulla base del fatto che il contratto da cui il credito deriva sia incompatibile con le norme dell’Unione a tutela del consumatore – siano meno favorevoli rispetto a quelle relative ad altre situazioni analoghe assoggettate al diritto interno.

33.

Per quanto riguarda il principio di effettività, è giurisprudenza costante che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali ( 37 ). Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento ( 38 ).

34.

Alla luce delle norme procedurali nazionali di cui trattasi, ci si chiede se sia impossibile o eccessivamente difficile che il giudice fallimentare esamini la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento di crediti derivanti da un contratto di credito al consumo e se tali norme rendano eccessivamente difficile per il debitore che sia un consumatore contestare un credito dichiarato.

35.

Il giudice del rinvio afferma che, ai sensi di tali norme, nel procedimento incidentale gli è impedito l’esame della legittimità del primo credito (per un importo pari a CZK 3045991), perché lo stesso è garantito. Esso può valutare la domanda incidentale in relazione al secondo credito (per un importo pari a CZK 1359540), poiché tale credito è sia passibile di esecuzione sia non garantito. Tuttavia, l’esame è soggetto a limitazioni considerevoli. Tali crediti non garantiti possono essere valutati solo sulla base della loro legittimità, del loro importo o del loro ordine di soddisfacimento e ai debitori viene concessa la sola possibilità di eccepire l’estinzione o la prescrizione del credito ( 39 ).

36.

In conseguenza di tali caratteristiche particolari, è impossibile per debitori nella situazione dei Radlinger contestare crediti garantiti. In particolare, ove i crediti garantiti riguardino debiti derivanti da contratti di credito al consumo, non possono essere contestati né la legittimità del credito né il calcolo della somma dovuta. La questione se il contratto che dà origine al debito sia compatibile con le norme dell’Unione a tutela dei consumatori è fondamentale al fine di stabilire con precisione tali due aspetti. Qualora non siano state rispettate le norme a tutela dei consumatori, la conseguenza di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere che le clausole del contratto che istituisce il debito sono considerate abusive e non vincolano il consumatore. Ma norme nazionali quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale ostano a che il giudice adito svolga l’esame necessario e non consentono allo stesso debitore di intraprendere un’azione.

37.

Ritengo che ciò sia incompatibile con il principio di effettività.

38.

In relazione ai crediti non garantiti passibili di esecuzione, sembra, se non impossibile, almeno eccessivamente difficile per i debitori contestare la legittimità di tali crediti sulla base del fatto che l’origine del debito oggetto di insolvenza (il contratto con il consumatore) è incompatibile con le norme dell’Unione a tutela dei consumatori. Se è vero che i debitori possono proporre domande incidentali dirette a contestare la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento di tali crediti (l’ultimo elemento non sembra essere rilevante nel caso di specie), i motivi sulla base dei quali possono farlo sono limitati. Le norme nazionali rilevanti non prevedono che il giudice stesso esamini la legittimità o l’importo di crediti derivanti da un contratto di credito al consumo e i debitori possono solo eccepire l’estinzione o la prescrizione dei crediti passibili di esecuzione non garantiti. Ritengo che tali norme di fatto impediscano ai consumatori, che siano debitori, di contestare la legittimità o l’importo di siffatti crediti non garantiti ove tali crediti siano fondati su clausole espressamente vietate dalla direttiva 93/13 ( 40 ).

39.

Concludo pertanto che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che osta a norme nazionali quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale che: i) non consentono al giudice fallimentare, quando si tratta di statuire su una domanda incidentale, di esaminare d’ufficio la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento di crediti non garantiti passibili di esecuzione derivanti da un contratto di credito al consumo; ii) non consentono a tale giudice di esaminare d’ufficio la legittimità di un credito garantito; e iii) rendono impossibile e/o eccessivamente difficile per un consumatore, che sia debitore, contestare un credito passibile di esecuzione non garantito, ove tale credito derivi da un contratto di credito al consumo, anche se il tribunale fallimentare ha a disposizione gli elementi giuridici e fattuali necessari a tal fine.

40.

Il giudice del rinvio chiede indicazioni in relazione alla questione se anche l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 osti alle norme procedurali nazionali di cui trattasi. A mio avviso, non è necessario rispondere a tale aspetto della questione 1. L’articolo 22, paragrafo 2, impone agli Stati membri di provvedere affinché i consumatori non possano rinunciare ai diritti loro conferiti dalle disposizioni della legislazione nazionale che danno esecuzione o che corrispondono alla direttiva 2008/48. Nessuno degli elementi contenuti nelle norme nazionali descritte nell’ordinanza di rinvio che disciplinano la rinuncia del consumatore, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 2, ai suoi diritti, risulta pertinente nella presente causa. Inoltre, nella narrazione dei fatti da parte del giudice del rinvio, non vi sono indicazioni del fatto che i Radlinger abbiano rinunciato ai diritti loro conferiti dalle disposizioni della legislazione nazionale che danno esecuzione a tale direttiva. Ne consegue che l’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 apparentemente non rileva rispetto alla questione se i principi di equivalenza e di effettività ostino alle norme nazionali di cui trattasi.

Questione 2

41.

Con la questione 2, il giudice del rinvio solleva due problemi. In primo luogo, se i giudici nazionali debbano esaminare d’ufficio l’eventuale inosservanza, da parte del creditore, degli obblighi di informazione di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, anche ove lo stesso debitore non abbia invocato tale motivo. In secondo luogo, in caso di effettiva inosservanza, da parte del creditore, degli obblighi di informazione, se il contratto di credito sia nullo come previsto dal diritto nazionale.

42.

Prima di esaminare tali questioni, ricordo che, ai sensi del contratto di credito di cui al procedimento principale, i Radlinger hanno convenuto la stipulazione di un mutuo garantito e che il conseguente procedimento per insolvenza riguarda due crediti relativi a tale debito. Il primo credito (CZK 3045991) è garantito secondo tre modalità, compresa una garanzia nella forma di un’ipoteca. Il secondo credito (CZK 1359540) consiste in penali contrattuali imposte ai sensi del contratto di credito in conseguenza del ritardo dei Radlinger.

43.

È il contratto di credito stesso, e non i debiti che ne derivano o i crediti, a rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/48. Tuttavia, i contratti di credito garantiti da un’ipoteca sono espressamente esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/48 [articolo 2, paragrafo 2, lettera a)]. Nelle sue osservazioni, la Commissione afferma che le disposizioni nazionali di recepimento hanno un ambito di applicazione più ampio rispetto all’articolo 2 della direttiva 2008/48, in quanto ricomprendono anche i contratti di credito garantiti da un’ipoteca. Tale posizione non è incoerente con gli obiettivi della direttiva 2008/48. Gli Stati membri hanno la facoltà di mantenere o introdurre, conformemente al diritto dell’Unione, norme nazionali conformi a talune o a tutte le disposizioni della direttiva 2008/48 che ricomprendano contratti di credito al di fuori dell’ambito di applicazione di quest’ultima ( 41 ).

44.

Inoltre, è giurisprudenza costante che, nel procedimento pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, spetta al giudice del rinvio valutare la necessità di un rinvio e la rilevanza delle questioni sottoposte ( 42 ). Il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte ( 43 ). Ciò non ricorre nel caso di specie. Pertanto, è perlomeno non manifesto che l’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 non possa essere rilevante ai fini della risoluzione della controversia nel procedimento principale in relazione al primo credito ( 44 ).

45.

La normativa nazionale di cui trattasi deve pertanto essere applicata conformemente alla direttiva 2008/48 come interpretata dalla Corte.

46.

Nella presente causa, il fatto che il contratto di credito dal quale deriva il debito garantito avrebbe esulato dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/48 in assenza delle norme di attuazione della Repubblica ceca e che i debiti non garantiti sarebbero stati disciplinati da tale direttiva, nulla cambia rispetto a detta analisi. È preferibile pertanto non rispondere a tali questioni e trattarle in una futura causa dove siano pertinenti.

47.

Osservo, poi, che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48 contiene un elenco di 22 voci di informazione che devono essere indicate nei contratti di credito. Ci si chiede se sia necessario valutare se i giudici nazionali debbano condurre un esame d’ufficio in relazione ad ognuna di tali voci.

48.

Il regime normativo della direttiva 2008/48 dispone che i consumatori debbano essere informati tanto prima della conclusione del contratto di credito quanto nel contratto stesso ( 45 ). Le informazioni elencate all’articolo 10 («Informazioni da inserire nei contratti di credito») corrispondono alle 19 voci indicate all’articolo 5 («Informazioni precontrattuali») e l’obiettivo di entrambe le disposizioni è garantire che il consumatore sia pienamente informato ( 46 ).

49.

Il giudice del rinvio chiede indicazioni sulla questione se i giudici nazionali debbano esaminare d’ufficio se sia stato adempiuto l’obbligo di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), di informare il consumatore «[del]l’importo totale del credito e [del]le condizioni di prelievo». Ci si chiede se il giudice nazionale debba tener conto dell’inosservanza, da parte del mutuante, dell’obbligo di fornire quello che il giudice del rinvio descrive come un dato «corretto» riguardo all’importo totale del credito. Nella situazione fattuale in esame, il contratto di credito prevede un importo di credito da corrispondere ad un consumatore, ma ai sensi del contratto le spese del mutuante (ad esempio, le spese amministrative e le prime rate di pagamento degli interessi) devono essere compensate con l’importo del mutuo e gli importi che rappresentano tali costi non sono mai effettivamente resi disponibili al consumatore. Qualora l’importo totale del credito ricomprenda tali costi, il TAEG è inferiore a quanto sarebbe se tali costi fossero esclusi dall’importo effettivamente erogato ( 47 ). Il giudice del rinvio chiede pertanto se i giudici nazionali debbano esaminare d’ufficio l’inosservanza, da parte del mutuante, dell’obbligo di fornire informazioni sull’importo totale del credito come previsto dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera d).

50.

Tale questione è di particolare importanza quando si tratta di statuire sul procedimento principale: se il giudice del rinvio giungesse alla conclusione che il consumatore non era stato informato dell’importo totale del credito, si applicherebbe un diverso tasso di interesse e altre clausole sarebbero considerate nulle ( 48 ).

51.

La Corte ha statuito in varie occasioni che i giudici nazionali devono applicare d’ufficio talune disposizioni della normativa dell’Unione a tutela del consumatore. Tale obbligo «è stato giustificato dalla considerazione che il sistema di tutela posto in atto da tali direttive è fondato sull’idea che il consumatore si trova in una situazione d’inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione e che esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere la norma giuridica intesa a tutelarlo» ( 49 ). La Corte ha applicato tali principi (ad esempio) nel considerare il diritto del consumatore di procedere contro il creditore ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 87/102/CEE ( 50 ) e in relazione al diritto del consumatore di recedere da un contratto negoziato fuori dei locali commerciali ( 51 ). Nella causa Faber ( 52 ), in cui è sorta la questione relativa alla garanzia che il venditore deve all’acquirente in virtù di un contratto di vendita vertente su un veicolo, il giudice nazionale ha chiesto indicazioni sulla questione se fosse tenuto ad esaminare d’ufficio lo status di consumatore dell’acquirente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 1999/44/CE ( 53 ) anche se la sig.ra Faber non aveva invocato tale status nel procedimento nazionale.

52.

A mio avviso, gli stessi principi possono essere utilmente applicati nel valutare se norme procedurali nazionali quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale rendano l’applicazione del diritto dell’Unione impossibile o eccessivamente difficile. In altre parole, tali norme nazionali siano compatibili con il principio di effettività ( 54 )?

53.

Dalla descrizione, effettuata dal giudice del rinvio, delle norme procedurali che disciplinano il procedimento per insolvenza interno emerge che i giudici nazionali non sono in grado di verificare se sia stato adempiuto l’obbligo informativo dei creditori nei confronti dei consumatori che sono debitori imposto dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera d). Emerge anche che gli stessi Radlinger non sono stati in grado di sollevare la questione.

54.

I consumatori necessitano delle informazioni indicate all’articolo 10, paragrafo 2, lettera d): i) per consentire loro di valutare l’importo che stanno erogando a titolo di credito; ii) per stabilire se possono concludere un affare più vantaggioso con un altro soggetto; e iii) per organizzare le proprie finanze al fine di evitare gli ostacoli e gli inconvenienti che lo stato di insolvenza comporta. Tali elementi sono conformi agli obiettivi della direttiva 2008/48 di fornire un livello elevato di tutela dei consumatori e di creare un vero mercato interno ( 55 ). Le informazioni relative all’importo totale del credito sono rilevanti ai fini del calcolo del TAEG di un contratto di credito al consumo ( 56 ). Di ancora più immediata importanza per il consumatore possono essere le condizioni di prelievo: quanto denaro gli sarà reso disponibile in forza del contratto di credito?

55.

Se le norme procedurali nazionali impediscono ad un consumatore che sia diventato debitore di eccepire l’inosservanza, da parte del creditore, degli obblighi informativi di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), al consumatore viene allora negata la tutela accordata dalla direttiva 2008/48.

56.

Il fatto che nel presente procedimento tale informazione sia stata o meno fornita potrebbe influire sulla legittimità del credito nonché sull’importo del debito. Se il giudice adito non può esaminare tale questione, esso non è in grado di determinare se i crediti derivanti dal contratto di credito al consumo siano ricompresi nell’ambito (più ampio) delle norme nazionali che attuano la direttiva 2008/48. Lo stesso non può nemmeno applicare le norme nazionali che impongono penali ove il creditore non fornisca informazioni sull’importo totale del credito e sulle condizioni di prelievo di un mutuo. Tali norme nazionali possono portare ad una riduzione, o anche all’estinzione, della responsabilità del consumatore.

57.

Ne consegue che le norme procedurali che impediscono ad un giudice nazionale di esaminare se sia stato adempiuto l’obbligo stabilito dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48 compromettono l’effettività della tutela conferita da tale direttiva. Un giudice nazionale deve essere in grado di effettuare tale esame d’ufficio e, ove necessario, imporre sanzioni ai sensi del diritto nazionale per l’inadempimento ( 57 ).

58.

Concludo pertanto che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale adito in un procedimento per insolvenza relativo ad un contratto di credito al consumo è tenuto ad esaminare d’ufficio se le informazioni stabilite in tale disposizione siano state fornite dal creditore al debitore e imporre le relative sanzioni ai sensi del diritto nazionale ove tale obbligo non sia stato adempiuto ( 58 ).

Questione 4

59.

Quando un contratto di credito prevede che sia erogato un determinato importo del credito, ma si conviene che le spese del mutuante e le prime rate di pagamento saranno dedotte da tale importo, cosicché tali somme non sono mai effettivamente rese disponibili al consumatore ma restano per l’intero periodo a disposizione del creditore, ci si chiede i) quale sia «l’importo totale del credito» ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48; ii) quali siano «gli importi del prelievo» nella formula per il calcolo del TAEG di cui all’allegato I a tale direttiva; e iii) se l’inclusione di tali somme abbia influenza sul calcolo.

60.

L’«importo totale del credito» viene definito all’articolo 3, lettera l), come «il limite massimo o la somma totale degli importi messi a disposizione in virtù di un contratto di credito». Tuttavia, il testo della direttiva 2008/48 non dispone se tale somma comprenda, oltre all’importo del mutuo che il consumatore effettivamente riceve, costi quali spese amministrative e le prime rate di pagamento degli interessi che sono trattenuti dal mutuante e mai erogati al consumatore; o se corrisponda alla somma ricevuta dal consumatore al netto di tali costi ( 59 ).

61.

È pacifico tra la Commissione, la Repubblica ceca, la Germania e la Polonia che l’importo totale del credito indica la seconda opzione. Queste parti convengono anche sul fatto che, se l’importo totale del credito fosse invece definito in modo tale da aggiungere tali costi all’importo effettivamente erogato al consumatore, l’effetto sarebbe quello di generare un TAEG che risulti inferiore a quanto sarebbe se si calcolasse sulla sola base della somma corrisposta al consumatore al netto dei costi. Né i Radlinger né la FINWAY hanno formulato osservazioni su tale aspetto.

62.

Ritengo che il significato naturale dell’espressione «(…) la somma totale degli importi messi a disposizione in virtù di un contratto di credito» ( 60 ) sia «l’importo del mutuo al netto delle spese del mutuante». Si tratta dell’importo effettivamente erogato al consumatore e quindi messo a disposizione dello stesso perché ne faccia uso. Tale somma corrisponde altresì all’importo del prelievo nella formula per il calcolo del TAEG di cui all’allegato I alla direttiva 2008/48.

63.

Una siffatta interpretazione è coerente anche con il regime della direttiva 2008/48 nei limiti in cui l’articolo 3, lettera h), dispone che «[l’]importo totale che il consumatore è tenuto a pagare [corrisponde al]la somma tra importo totale del credito e costo totale del credito al consumatore». Se si ritenesse che l’«importo totale del credito» comprenda costi quali il pagamento degli interessi e le spese amministrative, tali voci sarebbero calcolate due volte nel determinare l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare – una volta nel determinare l’«importo totale del credito» e ancora nel determinare il costo totale del credito per il consumatore come definito all’articolo 3, lettera g). Ciò renderebbe illogico il regime della direttiva.

64.

I costi che un consumatore potrebbe essere tenuto a pagare in forza di un contratto di credito possono essere di varia natura ed essere calcolati dai creditori utilizzando diversi metodi e diverse variabili ( 61 ). Se tali elementi venissero presi in considerazione nel calcolo del TAEG, ciò potrebbe compromettere gli obiettivi della direttiva 2008/48 di assicurare la trasparenza e consentire il raffronto con riferimento alle offerte di credito. Ove i costi non siano calcolati con riferimento a norme uniformi, l’inclusione di costi all’interno dell’«importo totale del credito» renderebbe difficile, se non impossibile, un raffronto realistico. Tali costi dovrebbero pertanto essere esclusi dal calcolo del TAEG, proprio in modo da assicurare la trasparenza e consentire il raffronto.

65.

Infine, si deve sottolineare che la direttiva 2008/48 è un atto di piena armonizzazione ( 62 ). È pertanto essenziale che «l’importo totale del credito» e le somme incluse nel prelievo ai fini dell’applicazione della formula di cui all’allegato I siano interpretati allo stesso modo in tutti gli Stati membri.

66.

Ritengo pertanto che «l’importo totale del credito» di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48 faccia riferimento alle somme messe a disposizione del consumatore in forza di un contratto di credito ai sensi dell’articolo 3, lettera l), vale a dire le somme effettivamente erogate dal mutuante al consumatore e pertanto messe a disposizione di quest’ultimo perché ne faccia uso, al netto di qualsiasi costo dovuto al creditore. Il prelievo nella formula per il calcolo del TAEG di cui all’allegato I a tale direttiva corrisponde all’importo totale del credito.

Questione 3

67.

Con la questione 3, il giudice del rinvio chiede se le disposizioni della direttiva 93/13 e della direttiva 2008/48 abbiano un effetto diretto, tenuto conto in particolare del fatto che il procedimento principale riguarda una controversia «orizzontale» tra privati.

68.

Ritengo che, in senso stretto, la questione sia irrilevante.

69.

Le disposizioni di entrambe le direttive sono state recepite dal diritto nazionale. Nessuna delle parti del procedimento principale ha quindi la necessità di farle valere direttamente.

70.

Poiché nella controversia nel procedimento principale sono contrapposti un consumatore e un prestatore, nessuna delle parti può far valere l’effetto diretto della direttiva 93/13 o della direttiva 2008/48. Cionondimeno, per costante giurisprudenza, un giudice nazionale, investito di una controversia in cui sono contrapposti soggetti privati, in sede di applicazione delle disposizioni del diritto interno è tenuto a prendere in considerazione tutte le norme del diritto nazionale e ad interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo nonché della finalità della direttiva applicabile in materia per ottenere una soluzione conforme all’obiettivo da essa perseguito ( 63 ).

Questioni 5 e 6

71.

Con la questione 5, il giudice del rinvio chiede indicazioni sul significato del punto 1, lettera e), dell’allegato alla direttiva 93/13. Con la questione 6, esso vuole verificare se le penali contrattuali quali quelle di cui trattasi siano abusive ai sensi di tale direttiva e, in tal caso, se i giudici nazionali debbano escludere l’applicazione di tutte queste clausole o solo di alcune di esse. Tratterò le due questioni congiuntamente.

72.

Ai sensi del punto 1, lettera e), dell’allegato alla direttiva 93/13, le clausole che hanno per oggetto o per effetto di imporre al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato sono abusive ai sensi della direttiva e non sono pertanto vincolanti, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1.

73.

La Corte ha statuito che l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13 definiscono i criteri generali del carattere abusivo di clausole contrattuali che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva. Sulla base di tale contesto normativo, spetta ai giudici nazionali determinare se una particolare clausola sia abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 ( 64 ). Fra i criteri pertinenti nella presente fattispecie ai fini di tale valutazione risultano la forza finanziaria relativa della società posta a confronto con il potere di contrattazione del consumatore nelle trattative e la questione se le clausole penali fossero clausole standardizzate preventivamente redatte che non sono state oggetto di negoziato con i Radlingler, cosicché questi non abbiano potuto esercitare alcuna influenza sulle stesse ( 65 ).

74.

È necessario valutare l’effetto cumulativo di tutte queste clausole del contratto di credito, poiché esse si applicano salvo accoglimento di un ricorso in sede giurisdizionale di cui siano oggetto. (Tuttavia, il consumatore può non essere consapevole del fatto di essere legittimato a contestare tali clausole o non essere in grado di farlo per ragioni di costi o perché gli è precluso da norme procedurali nazionali).

75.

La seconda parte dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone espressamente che i contratti stipulati tra un professionista e un consumatore restano vincolanti per le parti «secondo i medesimi termini», sempre che il contratto possa sussistere «senza le clausole abusive». Pertanto, «i giudici nazionali devono disapplicare una clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima» ( 66 ). Ne consegue che, ove le clausole penali siano abusive ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, i giudici nazionali dovrebbero escluderle tutte piuttosto che solo alcune di esse.

76.

Vista la natura e la rilevanza dell’interesse pubblico che costituisce la base della protezione accordata ai consumatori ai sensi della direttiva 93/13, gli Stati membri devono prevedere mezzi adeguati ed efficaci «per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» (articolo 7, paragrafo 1). Se i giudici nazionali potessero rivedere il contenuto di clausole abusive contenute in contratti del genere, ciò potrebbe (paradossalmente) compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine indicato all’articolo 7 della direttiva, «in quanto [una siffatta facoltà] ridurrebbe l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive» ( 67 ).

77.

Qualora un giudice nazionale accerti il carattere abusivo delle clausole penali ai sensi del punto 1, lettera e), dell’allegato alla direttiva 93/13, ci si chiede se sia necessario considerare l’effetto cumulativo di tutte queste clausole in un contratto piuttosto che limitare la valutazione a quelle per il cui rispetto insiste il mutuante o anziché disapplicare quelle ritenute nulle ai sensi del diritto nazionale.

78.

A mio avviso, è necessario considerare l’effetto cumulativo delle clausole penali.

79.

In primo luogo, tale posizione è coerente con gli obiettivi della direttiva 93/13, che includono l’eliminazione della pratica di inclusione di clausole abusive nei contratti con i consumatori e la garanzia che i consumatori siano protetti dagli abusi di potere dei professionisti, che godono di una posizione più forte nelle trattative rispetto al consumatore ( 68 ). In secondo luogo, è conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 che tali clausole debbano essere disapplicate nella loro interezza al fine di dissuadere i professionisti, e in particolare i creditori, nel delicato ambito, dal punto di vista politico ed economico, del credito al consumo, dall’includere clausole di tale natura in contratti di credito. Un ragionamento siffatto vale in modo particolare qualora tali clausole siano contenute nelle clausole standardizzate che non sono state oggetto di negoziato.

80.

Concludo pertanto che, ai sensi degli articoli 3 e 4 della direttiva 93/13 e del punto 1, lettera e), dell’allegato alla stessa, è necessario che il giudice del rinvio valuti se l’effetto cumulativo di tutte le clausole penali di un contratto di credito al consumo imponga al consumatore un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato, anche qualora il mutuante non insista sul rispetto pieno di tali clausole o talune clausole penali siano considerate nulle ai sensi del diritto nazionale. Se è accertato il carattere abusivo di tali clausole, l’applicazione delle stesse deve essere esclusa nella loro interezza.

Conclusioni

81.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dal Krajský soud v Praze (Corte regionale di Praga) nei termini seguenti:

La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che osta a norme nazionali quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale che: i) non consentono al giudice fallimentare, quando si tratta di statuire su una domanda incidentale, di esaminare d’ufficio la legittimità, l’importo o l’ordine di soddisfacimento di crediti non garantiti passibili di esecuzione derivanti da un contratto di credito al consumo; ii) non consentono a tale giudice di esaminare d’ufficio la legittimità di un credito garantito; e iii) rendono impossibile e/o eccessivamente difficile per un consumatore, che sia debitore, contestare un credito non garantito passibile di esecuzione, ove tale credito derivi da un contratto di credito al consumo, anche se il tribunale fallimentare ha a disposizione gli elementi giuridici e fattuali necessari a tal fine.

L’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE, deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale adito in un procedimento per insolvenza relativo ad un contratto di credito al consumo è tenuto ad esaminare d’ufficio se le informazioni stabilite in tale disposizione siano state fornite dal creditore al debitore e imporre le relative sanzioni ai sensi del diritto nazionale ove tale obbligo non sia stato adempiuto.

«L’importo totale del credito» di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che fa riferimento alle somme messe a disposizione del consumatore in forza di un contratto di credito ai sensi dell’articolo 3, lettera l), vale a dire le somme effettivamente erogate dal mutuante al consumatore e pertanto messe a disposizione di quest’ultimo perché ne faccia uso, al netto di qualsiasi costo dovuto al creditore. Il prelievo nella formula per il calcolo del tasso annuo effettivo globale di cui all’allegato I a tale direttiva corrisponde all’importo totale del credito.

Spetta al giudice del rinvio determinare se l’effetto cumulativo delle clausole penali di un contratto di credito impone al consumatore un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato ai sensi degli articoli 3 e 4 della direttiva 93/13 e del punto 1, lettera e), dell’allegato alla stessa, anche qualora il mutuante non insista sul rispetto pieno di tali clausole o talune clausole penali siano considerate nulle ai sensi del diritto nazionale. Se è accertato il carattere abusivo di tali clausole, l’applicazione delle stesse deve essere esclusa nella loro interezza.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Intendo l’espressione «domanda incidentale» di cui al diritto ceco come una domanda proposta nel corso di un procedimento fallimentare su cui deve statuire un giudice nell’ambito di tale procedimento.

( 3 ) Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 25).

( 4 ) Direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU L 133, pag. 66).

( 5 ) Articolo 1, paragrafo 1.

( 6 ) Considerando 4 e 9 della direttiva 93/13.

( 7 ) Articolo 3, paragrafo 1.

( 8 ) Articolo 3, paragrafo 2.

( 9 ) Articolo 3, paragrafo 3.

( 10 ) Allegato, punto 1, lettera e).

( 11 ) Articolo 4, paragrafo 1.

( 12 ) Articolo 6, paragrafo 1.

( 13 ) Articolo 7, paragrafo 1.

( 14 ) La direttiva 2008/48 è stata successivamente modificata dalla direttiva 2011/90/UE della Commissione, del 14 novembre 2011, che modifica l’allegato I, parte II, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio con l’aggiunta di altre ipotesi per il calcolo del tasso annuo effettivo globale (GU L 296, pag. 35). Tuttavia, la direttiva 2011/90 è entrata in vigore dopo la data di stipulazione del contratto di credito ai consumatori.

( 15 ) Articolo 1.

( 16 ) Considerando 6 e 7.

( 17 ) Considerando 9.

( 18 ) Considerando 19 e 31.

( 19 ) Articolo 2, paragrafo 1.

( 20 ) Articolo 2, paragrafo 2, lettera a).

( 21 ) L’articolo 19, paragrafo 1, dispone che il TAEG è calcolato con la formula che figura nella parte I dell’allegato I. L’articolo 19, paragrafo 2, dispone che, al fine di calcolare il TAEG, nel determinare il costo totale del credito si escludono talune penali che il consumatore è tenuto a pagare mentre rimangono inclusi taluni costi. I dettagli di tali penali e costi non rilevano nel presente procedimento e pertanto non li ho riportati.

( 22 ) Articolo 10, paragrafo 1.

( 23 ) Articolo 10, paragrafo 2, lettera d). Il termine «prelievo» non viene definito nella direttiva 2008/48. La definizione prevista nel Shorter Oxford English Dictionary comprende: «L’azione di raccogliere denaro attraverso prestiti; prestito». Lo si intende talvolta in riferimento ad una situazione in cui un prestito viene reso disponibile e il mutuatario accede ai fondi in diverse tranche.

( 24 ) Articolo 22, paragrafi 1 e 2.

( 25 ) Articolo 23.

( 26 ) Un siffatto credito viene trattato allo stesso modo di un credito contestato dal curatore fallimentare (articolo 410, paragrafi 2 e 3 delle legge n. 182/2006 sul fallimento e le modalità di risanamento, come modificata dalla legge n. 185/2013).

( 27 ) Articolo 160, paragrafo 4, della legge sul fallimento.

( 28 ) Articolo 6, paragrafo 1, della legge n. 145/2010 sui crediti ai consumatori e allegato 3 della stessa legge.

( 29 ) Articolo 8 della legge sui crediti ai consumatori.

( 30 ) Articoli 55 e 56 del codice civile ceco.

( 31 ) Ho indicato l’equivalente approssimativo in euro all’attuale tasso di cambio. Sulla base del metodo aritmetico che ho utilizzato, vi è una lieve difficoltà di calcolo. Se si è convenuto che in forza del contratto fosse erogato l’importo di CZK 24375 moltiplicato per 120, allora il rimborso totale corrispondeva a CZK 2925000, restando esclusi CZK 33000 (EUR 1219).

( 32 ) Faccio riferimento alle voci ii), iii) e iv) quali «costi correlati» al prestito.

( 33 ) Spetta al giudice del rinvio, quale unico giudice dei fatti, verificare il calcolo del TAEG. Visti gli importi indicati nell’ordinanza di rinvio e le definizioni di cui all’articolo 3, lettere g), h), i) e l), della direttiva 2008/48, non capisco come si sia giunti ad un TAEG pari al 28,9%.

( 34 ) Faccio riferimento a tali importi congiuntamente come le «penali contrattuali».

( 35 ) Spetta agli Stati membri determinare le norme procedurali o le condizioni che disciplinano le azioni giuridiche tese a garantire la tutela accordata dal diritto dell’Unione (il principio di autonomia processuale nazionale). Tale principio è soggetto alla condizione che tali norme non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività); v., ad esempio, sentenze Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 46), e ERSTE Bank Hungary (C‑32/14, EU:C:2015:637, punto 51).

( 36 ) V. articolo 6, paragrafo 1, e articolo 7 della direttiva 93/13. V. inoltre ordinanza Pohotovosť (C‑76/10, EU:C:2010:685, punto 41).

( 37 ) V., più recentemente, sentenza Faber (C‑497/13, EU:C:2015:357, punto 43 e giurisprudenza citata). Nelle mie conclusioni in tale causa, ho suggerito una formulazione leggermente diversa: «(…) è necessario tenere conto del ruolo di una particolare disposizione in una procedura, del decorso e delle peculiarità di tale procedura, visti nel loro insieme, dinanzi agli organismi nazionali (…)». Conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Faber (C‑497/13, EU:C:2014:2403, paragrafo 59).

( 38 ) V. sentenza Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 39 e giurisprudenza citata).

( 39 ) V. supra, paragrafi da 12 a 14.

( 40 ) V. articolo 3, paragrafo 1, letto in combinato disposto con il punto 1, lettera e), dell’allegato alla direttiva 93/13.

( 41 ) V. considerando 10 della direttiva 2008/48, citato supra, al paragrafo 6, e sentenza SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punti da 40 a 43).

( 42 ) Sentenza SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 48).

( 43 ) Sentenza SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 49).

( 44 ) Sentenza SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 50), e ordinanza Pohotovosť (C‑76/10, EU:C:2010:685, punti da 33 a 35).

( 45 ) V. supra, paragrafo 9.

( 46 ) V. considerando 19 e 31 della direttiva 2008/48.

( 47 ) V. infra, paragrafi 59 e segg. in cui affronto la questione 4.

( 48 ) V. supra, paragrafo 16.

( 49 ) V. sentenza Faber (C‑497/13, EU:C:2015:357, punto 42 e giurisprudenza citata).

( 50 ) Direttiva del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU 1987, L 42, pag. 48). V. inoltre sentenza Rampion e Godard (C‑429/05, EU:C:2007:575, punti da 60 a 65).

( 51 ) V. sentenza Martín Martín (C‑227/08, EU:C:2009:792).

( 52 ) V. sentenze Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punti da 45 a 57), e Faber (C‑497/13, EU:C:2015:357, punto 46).

( 53 ) Del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171, pag. 12).

( 54 ) V. supra, nota 35.

( 55 ) V. considerando 6, 7, 8 e 9 della direttiva 2008/48.

( 56 ) Il TAEG è definito come il costo totale del credito espresso in una percentuale annua di tale importo; v. inoltre articolo 3, lettera i), della direttiva 2008/48.

( 57 ) Spetta al giudice del rinvio verificare che le sanzioni siano efficaci, proporzionate e dissuasive ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2008/48. Dalle informazioni di cui supra, al paragrafo 16, sembra che sia questa la situazione.

( 58 ) V. sentenza Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 59 e giurisprudenza citata).

( 59 ) La Commissione fornisce una spiegazione di ciò a pagina 11, nota 12, del documento di lavoro dei servizi della Commissione «Linee direttrici per l’applicazione della direttiva 2008/48/CE (direttiva sui crediti ai consumatori) in relazione ai costi e al tasso annuo effettivo globale» SWD(2012) 128 final (in prosieguo: le «linee direttrici della Commissione per l’applicazione della direttiva 2008/48/CE»). Un creditore dà in prestito EUR 5000, ma conviene con il consumatore che i costi, che ammontano a EUR 100, devono essere erogati sulla base di tale importo e non di altre risorse del consumatore. Il consumatore quindi usufruisce liberamente di EUR 5000 meno EUR 100 = EUR 4900. La Commissione considera quest’ultima somma come l’importo totale del credito definito all’articolo 3, lettera l), della direttiva 2008/48.

( 60 ) Il corsivo è mio.

( 61 ) V. le linee direttrici della Commissione per l’applicazione della direttiva 2008/48/CE, pag. 5.

( 62 ) V. considerando 9.

( 63 ) V., ad esempio, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Rampion e Godard (C‑429/05, EU:C:2007:199, paragrafi da 31 a 33), e sentenza Faber (C‑497/13, EU:C:2015:357, punto 33).

( 64 ) V. sentenza Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 55 e giurisprudenza citata).

( 65 ) Articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13; v. anche ordinanza Pohotovosť (C‑76/10, EU:C:2010:685, punti da 57 a 59).

( 66 ) V. sentenza Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punti 5657 e giurisprudenza citata).

( 67 ) V. sentenza Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 58).

( 68 ) V. articolo 3, paragrafo 1, e articolo 6, paragrafo 1; v. anche considerando 4 e 9 della direttiva 93/13.