SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

26 febbraio 2015 ( *1 )

«Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore — Articolo 4, paragrafo 2 — Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali — Esclusione delle clausole relative all’oggetto principale del contratto o alla perequazione del prezzo o della remunerazione purché siano redatte in modo chiaro e comprensibile — Clausole contenenti una “commissione di rischio” riscossa dal mutuante e che autorizza quest’ultimo, in presenza di determinate condizioni, a modificare unilateralmente il tasso di interesse»

Nella causa C‑143/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunalul Specializat Cluj (Romania), con decisione del 26 novembre 2012, pervenuta in cancelleria il 20 marzo 2013, nel procedimento

Bogdan Matei,

Ioana Ofelia Matei

contro

SC Volksbank România SA,

LA CORTE (Nona Sezione),

composta da K. Jürimäe, presidente di sezione, M. Safjan e A. Prechal (relatore), giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 novembre 2014,

considerate le osservazioni presentate:

per la SC Volksbank România SA, da D. Ciubotariu, G. Murgulescu, G. Vintilă, M. Clough, QC, e B. Papandopol, avocat;

per il governo rumeno, da R.‑H. Radu e I.‑R. Haţieganu, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da C. Gheorghiu, M. Owsiany‑Hornung e M. van Beek, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia pendente tra, da un lato, il sig. e la sig.ra Matei (in prosieguo, congiuntamente: i «mutuatari») e, dall’altro, la SC Volksbank România SA (in prosieguo: la «Volksbank») in merito al carattere asseritamente abusivo di clausole inserite in alcuni contratti di credito al consumo che, da un lato, prevedono una «commissione di rischio» riscossa dalla Volksbank e, dall’altro, autorizzano quest’ultima, in presenza di determinate condizioni, a modificare unilateralmente il tasso di interesse.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

La direttiva 93/13

3

I considerando 12, 19 e 20 della direttiva 93/13 sono così formulati:

«considerando (...) che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della presente direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato [CEE], un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva;

(...)

considerando che, ai fini della presente direttiva, la valutazione del carattere abusivo non deve vertere su clausole che illustrano l’oggetto principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione; che, nella valutazione del carattere abusivo di altre clausole, si può comunque tener conto dell’oggetto principale del contratto e del rapporto qualità/prezzo; (...)

considerando che i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, che il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole (...)».

4

L’articolo 1, paragrafo 1, della citata direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».

5

Ai sensi dell’articolo 3 della medesima direttiva:

«1.   Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

(...)

3.   L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive».

6

L’articolo 4 della direttiva 93/13 è così redatto:

«1.   Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.   La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

7

L’articolo 5 della stessa direttiva così dispone:

«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. (...)».

8

L’articolo 8 della direttiva in parola prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla (...) direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».

9

L’allegato della medesima direttiva, relativo alle clausole di cui all’articolo 3, paragrafo 3, della stessa, contiene, al punto 1, un elenco non esaustivo delle clausole che possono essere considerate abusive. In tale punto 1, alla lettera j), figurano le clausole che hanno per oggetto o per effetto di «autorizzare il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza valido motivo specificato nel contratto stesso». Al suddetto punto 1, lettera l), figurano quelle che hanno per oggetto o per effetto di «permettere (...) al fornitore di servizi di aumentare il prezzo, senza che (...) il consumatore abbia il diritto corrispondente di recedere dal contratto se il prezzo finale è troppo elevato rispetto al prezzo concordato al momento della conclusione del contratto».

10

Il punto 2 del suddetto allegato è relativo alla portata del punto 1, lettere g), j) e l), dello stesso allegato. Tale punto 2, lettera b), indica segnatamente che il punto 1, lettera j), del suddetto allegato «non si oppone a clausole con cui il fornitore di servizi finanziari si riserva il diritto di modificare senza preavviso, qualora vi sia un valido motivo, il tasso di interesse di un prestito o di un credito da lui concesso o l’importo di tutti gli altri oneri relativi a servizi finanziari, a condizione che sia fatto obbligo al professionista di informare l’altra o le altre parti contraenti con la massima rapidità e che queste ultime siano libere di recedere immediatamente dal contratto». Il punto 2, lettera d), del medesimo allegato enuncia che il punto 1, lettera l), dello stesso allegato «non si oppone alle clausole di indicizzazione dei prezzi, se permesse dalla legge, a condizione che le modalità di variazione vi siano esplicitamente descritte».

La direttiva 2008/48/CE

11

La direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU L 133, pag. 66, e rettifiche in GU 2009, L 207, pag. 14, GU 2010, L 199, pag. 40, e GU 2011, L 234, pag. 46), prevede un obbligo generale in capo al creditore, sia nella fase precontrattuale sia nel contratto di credito, di fornire al consumatore talune informazioni, tra le quali il tasso annuo effettivo globale (in prosieguo: il «TAEG»). L’allegato I di tale direttiva prevede un metodo di calcolo armonizzato del TAEG.

12

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2008/48:

«La presente direttiva non si applica ai:

a)

contratti di credito garantiti da un’ipoteca oppure da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili o da un diritto legato ai beni immobili;

(...)».

13

L’articolo 3 della direttiva di cui trattasi così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

(...)

g)

“costo totale del credito per il consumatore”: tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte;

(...)

i)

“[TAEG]”: il costo totale del credito al consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito (...)

(...)».

Il diritto rumeno

La legge n. 193/2000

14

La legge n. 193/2000 sulle clausole abusive nei contratti stipulati tra operatori commerciali e consumatori, come nuovamente pubblicata (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 305, del 18 aprile 2008; in prosieguo: la «legge n. 193/2000»), è diretta a trasporre la direttiva 93/13 nel diritto interno.

15

L’articolo 1, paragrafo 3, della legge n. 193/2000 così prevede:

«Agli operatori commerciali è vietato inserire clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori».

16

L’articolo 4 della medesima legge stabilisce quanto segue:

«1.   Una clausola contrattuale che non sia stata negoziata direttamente con il consumatore è ritenuta abusiva se, di per sé o insieme ad altre disposizioni del contratto, crea, a danno del consumatore e in contrasto con il requisito della buona fede, un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti.

2.   Una clausola contrattuale è ritenuta non negoziata direttamente con il consumatore se è stata stabilita senza offrire al consumatore la possibilità di influenzarne la natura, come nel caso dei contratti standard o delle condizioni generali di vendita praticate dagli operatori commerciali sul mercato del relativo prodotto o servizio.

3.   Il fatto che taluni elementi delle clausole contrattuali o che soltanto una delle clausole siano stati negoziati direttamente con il consumatore non esclude l’applicazione delle disposizioni della presente legge alla parte restante del contratto, qualora una valutazione globale del contratto porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto prestabilito unilateralmente dall’operatore commerciale. Qualora un operatore commerciale affermi che una clausola standard è stata negoziata direttamente con il consumatore, è suo onere presentare prove in tal senso.

4.   L’allegato, che è parte integrante della presente legge, contiene, a titolo di esempio, un elenco di clausole ritenute abusive.

5.   Fatte salve le disposizioni della presente legge, il carattere abusivo di una clausola contrattuale si valuta in funzione:

a)

della natura dei prodotti o dei servizi oggetto del contratto al momento della sua stipula;

b)

di tutti i fattori che hanno determinato la stipula del contratto;

c)

di altre clausole del contratto o di altri contratti da cui esso dipende.

6.   La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sull’idoneità a soddisfare le esigenze di prezzo e di pagamento, da un lato, né sui servizi o sui beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

17

Il punto 1, lettera a), dell’allegato menzionato all’articolo 4, paragrafo 4, della legge n. 193/2000 riprende in modo letterale i punti 1, lettera j), e 2, lettera b), dell’allegato della direttiva 93/13.

L’OUG n. 50/2010

18

Il decreto legge del governo n. 50/2010 relativo ai contratti di credito ai consumatori (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 389, dell’11 giugno 2010; in prosieguo: l’«OUG n. 50/2010») è diretto a trasporre la direttiva 2008/48 nel diritto interno.

19

L’articolo 2, paragrafo 1, dell’OUG n. 50/2010 dispone quanto segue:

«Il presente decreto legge trova applicazione ai contratti di credito, compresi i contratti di credito garantiti da ipoteca o da un diritto su un bene immobile, nonché ai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un bene immobile costruito o progettato oppure alla ristrutturazione, alla sistemazione, al consolidamento, al risanamento, all’ampliamento o alla valorizzazione di un bene immobile, a prescindere dall’importo totale del credito».

20

L’articolo 36 dell’OUG n. 50/2010 così prevede:

«Per il credito concesso, il creditore può riscuotere unicamente: la commissione per l’analisi del fascicolo, la commissione per l’amministrazione del credito o la commissione per l’amministrazione del conto corrente, la compensazione in caso di rimborso anticipato, i costi relativi alle assicurazioni, se del caso, le penalità, nonché una commissione unica per servizi prestati su richiesta dei consumatori».

21

L’articolo 95 dell’OUG n. 50/2010 è redatto nei seguenti termini:

«1.   Per i contratti in corso, i creditori sono tenuti, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge, a provvedere affinché il contratto sia reso conforme alle disposizioni di questo decreto.

2.   I contratti in corso sono modificati mediante atti aggiuntivi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge.

(...)».

La legge n. 288/2010

22

Ai sensi dell’articolo I, primo comma, punto 39, della legge n. 288/2010 recante conversione del decreto legge del governo n. 50/2010 relativo ai contratti di credito ai consumatori (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 888, del 30 dicembre 2010):

«L’articolo 95 [dell’OUG n. 50/2010] è così modificato:

Articolo 95 – Le disposizioni del presente decreto legge non si applicano ai contratti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legge, eccezion fatta per le disposizioni dell’articolo 37 bis, degli articoli da 66 a 69 (...), degli articoli da 50 a 55, 56, paragrafo 2, 57, paragrafi 1 e 2, e da 66 a 71».

23

L’articolo II della legge n. 288/2010 prevede quanto segue:

«1.   Gli atti aggiuntivi conclusi e firmati fino alla data di entrata in vigore della presente legge al fine di garantire l’adeguamento dei contratti alle disposizioni dell’[OUG n. 50/2010] producono effetti conformemente ai termini del contratto fissati dalle parti.

2.   Gli atti aggiuntivi non firmati dai consumatori, considerati accettati tacitamente fino alla data di entrata in vigore della presente legge, producono effetti conformemente ai termini nei quali sono stati formulati, se non altrimenti notificato dal consumatore o dal mutuante entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

24

I mutuatari hanno stipulato due contratti di credito con la Volksbank. Il primo contratto, stipulato il 4 marzo 2008 e finalizzato a coprire spese personali correnti, è costituito da un credito di importo pari a EUR 8 000. Tale credito, da rimborsare su un periodo di cinque anni, è stato concesso con un tasso di interesse annuo corrente fisso pari al 9% e con un TAEG del 20,49%.

25

Il secondo contratto, concluso il 7 marzo 2008, è costituito da un credito di importo pari a 103709,18 franchi svizzeri (CHF) finalizzato a finanziare l’acquisto di un bene immobile e garantito da un’ipoteca su tale bene. Poiché tale credito deve essere rimborsato su un periodo di 25 anni, il suo tasso di interesse annuo corrente è stato fissato al 3,99% e il suo TAEG al 19,55%.

26

Ai sensi della clausola 3, lettera d), delle condizioni speciali di tali due contratti, relativa al carattere variabile del tasso di interesse, «la banca si riserva il diritto di rivedere il tasso di interesse corrente ove intervengano variazioni significative sul mercato finanziario, comunicando al mutuatario il nuovo tasso di interesse; il tasso di interesse così modificato si applicherà a decorrere dalla data di comunicazione».

27

La clausola 3.5 delle condizioni generali dei contratti di credito oggetto del procedimento principale, intitolata «commissione di rischio», prevede che a fronte della messa a disposizione del credito il mutuatario possa essere tenuto a versare alla banca una commissione di rischio, applicata al saldo del credito, pagabile mensilmente per l’intera durata del credito.

28

La clausola 5 delle condizioni speciali dei suddetti contratti, anch’essa intitolata «commissione di rischio», precisa che tale commissione è pari al prodotto del saldo del credito moltiplicato per 0,74% per il credito assunto in euro e per 0,22% per il credito assunto in franchi svizzeri. L’importo complessivo dovuto a titolo di tale commissione è pari a EUR 1 397,17 per il credito assunto in euro e a CHF 39 955,98 per il credito assunto in franchi svizzeri.

29

Dopo il 22 giugno 2010, data di entrata in vigore dell’OUG n. 50/2010, la Volksbank ha intrapreso iniziative finalizzate all’allineamento dei contratti di credito oggetto del procedimento principale alle disposizioni di tale decreto. Detta banca ha quindi proposto di sostituire, in talune bozze di atti aggiuntivi a tali contratti di credito, la denominazione delle clausole relative alla «commissione di rischio» con quella di «commissione di gestione del credito», giacché l’articolo 36 del suddetto decreto ammetteva espressamente l’applicazione di tale commissione, senza tuttavia modificare il contenuto di tali clausole. I mutuatari si sono opposti a tale proposta e, di conseguenza, si sono rifiutati di sottoscrivere detti atti aggiuntivi.

30

Ritenendo che diverse clausole dei contratti di credito oggetto del procedimento principale, tra le quali le clausole relative al carattere variabile del tasso di interesse e alla «commissione di rischio», avessero carattere abusivo ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 193/2000, i mutuatari, dopo essersi rivolti all’Autorità nazionale per la tutela dei consumatori, che non ha dato seguito alla loro richiesta, hanno adito la Judecătoria Cluj‑Napoca (Tribunale di primo grado di Cluj Napoca), affinché quest’ultima accertasse il carattere abusivo delle clausole di cui trattasi e dunque la loro nullità.

31

Con sentenza del 12 dicembre 2011, tale giudice ha accolto parzialmente i ricorsi dei mutuatari.

32

Il suddetto giudice ha dichiarato che talune clausole hanno carattere abusivo e, di conseguenza, devono essere considerate come nulle. Lo stesso deve valere, secondo il medesimo giudice, per la clausola relativa al carattere variabile del tasso di interesse dal momento che, essendo la nozione di «variazioni significative sul mercato finanziario» troppo vaga, essa consente alla banca di modificare il tasso di interesse in maniera discrezionale.

33

Per contro, tale giudice ha affermato che le clausole relative alla «commissione di rischio» nonché la proposta di clausola relativa alla «commissione di gestione del credito» non possono essere qualificate come abusive, in particolare, in quanto esso non era tenuto a valutare il rischio concreto assunto dalla banca e neppure l’efficacia delle garanzie contrattuali.

34

In sede di impugnazione di tale sentenza, proposta tanto dai mutuatari quanto dalla Volksbank, il Tribunalul Specializat Cluj osserva che, sebbene la Corte non si sia ancora pronunciata sulla questione se clausole contrattuali come quelle relative alla «commissione di rischio» oggetto del procedimento principale facciano parte dell’«oggetto principale» e/o del «prezzo», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, taluni giudici rumeni hanno già dichiarato che siffatte clausole non rientrano nelle suddette nozioni, contenute all’articolo 4, paragrafo 6, della legge n. 193/2000, disposizione questa che riprende in modo letterale i termini dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, di modo che tali clausole non possono essere escluse da una valutazione del loro eventuale carattere abusivo.

35

Tali giudici avrebbero affermato che detta esclusione non si applica a siffatte clausole, in particolare, dal momento che il mutuante non fornisce in cambio alcun servizio che giustifichi la riscossione di tale commissione e che, inoltre, la redazione di tali clausole difetta di chiarezza.

36

In tale contesto, il Tribunalul Specializat Cluj ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Considerato che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la valutazione del carattere abusivo delle clausole non può vertere né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile; e dal momento che, a norma dell’articolo 2, paragrafo [2], lettera a), della direttiva 2008/48, la definizione di cui all’articolo 3, lettera g), di tale medesima direttiva del costo totale del credito per il consumatore, che comprende tutte le commissioni che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito al consumo, non è applicabile per determinare l’oggetto di un contratto di credito garantito da un’ipoteca, si chiede se le nozioni di “oggetto principale” e/o di “prezzo” di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 possano essere interpretate nel senso che tali nozioni – “oggetto principale” e/o “prezzo” di un contratto di credito garantito da un’ipoteca – comprendono, tra gli elementi che costituiscono la controprestazione dovuta all’istituto di credito, anche il [TAEG] di tale contratto di credito garantito da un’ipoteca, formato in particolare dal tasso di interesse, fisso o variabile, dalle commissioni bancarie e dalle altre spese incluse e definite nel contratto di credito».

Sulla questione pregiudiziale

Sulla ricevibilità

37

La Volksbank afferma che, avendo essa concluso una transazione con i mutuatari, la controversia tra le parti del procedimento principale è stata risolta. Non essendo più pendente alcuna controversia dinanzi al giudice del rinvio, non sarebbe più necessaria una risposta alla questione pregiudiziale e la Corte dovrebbe constatare, in applicazione dell’articolo 100, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, la sopravvenuta mancanza dei presupposti della sua competenza.

38

A tal riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che, se quest’ultima constata che effettivamente nessuna controversia rimane pendente dinanzi al giudice del rinvio, cosicché una risposta alla questione pregiudiziale non sarebbe di alcuna utilità per tale giudice ai fini della soluzione di una controversia, la Corte dichiara che non vi è luogo a provvedere sulla domanda di pronuncia pregiudiziale (v. in tal senso, in particolare, sentenze Djabali, C‑314/96, EU:C:1998:104, punti 16, 21 e 22; García Blanco, C‑225/02, EU:C:2005:34, punti 23 e da 29 a 31, e ordinanza Mohammad Imran, C‑155/11 PPU, EU:C:2011:387, punti 14 e da 19 a 21).

39

Nel caso di specie, si deve osservare che, con lettera del 14 febbraio 2014, il giudice del rinvio ha informato la Corte che un contratto di transazione era stato concluso tra la Volksbank e i mutuatari.

40

Tuttavia, nella medesima lettera, detto giudice ha affermato che non aveva preso atto di tale contratto per quanto riguarda la questione del carattere asseritamente abusivo delle clausole contrattuali relative alla «commissione di rischio» riscossa dalla Volksbank, dal momento che tale questione doveva essere considerata una questione di ordine pubblico sulla quale le parti non possono transigere e che, di conseguenza, una risposta della Corte alla questione pregiudiziale sollevata continuava ad assumere, per il suddetto giudice, un’importanza fondamentale per dirimere la controversia di cui al procedimento principale.

41

In tale contesto non si può dichiarare, in applicazione del principio sancito dalla giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza, che nessuna controversia rimanga effettivamente pendente dinanzi al giudice del rinvio. Al contrario, emerge espressamente dalle indicazioni fornite da quest’ultimo che una risposta della Corte alla questione sollevata continua ad essere non solo utile, ma anche dirimente ai fini della soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

42

Pertanto, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Volksbank e statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale.

Nel merito

43

In via preliminare, occorre determinare la portata della questione sollevata.

44

Stando alla formulazione di detta questione, quest’ultima è volta a stabilire se le nozioni di «oggetto principale» e/o di «prezzo», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, possano essere interpretate nel senso che esse comprendono, tra gli elementi che costituiscono la controprestazione dovuta all’istituto di credito, il TAEG del contratto di credito, formato in particolare dal tasso di interesse, fisso o variabile, dalle commissioni bancarie e dalle altre spese incluse e definite in tale contratto.

45

Dalla formulazione della suddetta questione risulta inoltre che la stessa verte sull’inclusione in tali nozioni di «oggetto principale» e/o di «prezzo» di tutte le clausole di un contratto di credito al consumo garantito da un’ipoteca, che comportano una controprestazione dovuta dal consumatore al mutuante e che rientrano nella nozione di «costo totale del credito per il consumatore», come definita all’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48, e, pertanto, nel TAEG.

46

Orbene, occorre constatare, da un lato, che dalla motivazione della decisione di rinvio risulta che la controversia di cui al procedimento principale, come pendente in fase di impugnazione dinanzi al giudice del rinvio, riguarda tutt’al più due tipi di clausole relative alla controprestazione dovuta dal consumatore al mutuante e incluse nei contratti di credito oggetto del procedimento principale, ossia clausole che prevedono una «commissione di rischio» riscossa dal mutuante e clausole che autorizzano quest’ultimo, in presenza di determinate condizioni, a modificare il tasso di interesse. Nell’ambito di tale controversia si pone la questione se siffatte clausole rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 6, della legge n. 193/2000, che è diretto a trasporre l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 nel diritto rumeno.

47

Dall’altro lato, la portata esatta delle nozioni di «oggetto principale» e di «prezzo», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, non può essere determinata dalla nozione di «costo totale del credito per il consumatore», ai sensi dell’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48.

48

Quest’ultima nozione, infatti, è definita in termini di particolare ampiezza, di modo che l’importo totale di tutti i costi o oneri a carico del consumatore e relativi a pagamenti effettuati da quest’ultimo tanto al mutuante quanto a terzi sia chiaramente menzionato nei contratti di credito al consumo, giacché un siffatto obbligo procedurale concorre a garantire l’obiettivo principale di trasparenza perseguito da tale direttiva.

49

Al contrario, poiché l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 sancisce un’eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive quale previsto nell’ambito del sistema di tutela dei consumatori attuato da tale direttiva, occorre dare un’interpretazione restrittiva alla disposizione in parola (sentenza Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 42).

50

Peraltro, le espressioni «oggetto principale del contratto» e «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro», di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, devono di norma essere oggetto nell’intera Unione europea di un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto di tale disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punti 37 e 38).

51

Nella sua giurisprudenza, la Corte ha inoltre elaborato alcuni criteri per l’interpretazione delle suddette nozioni che tengono conto proprio dell’obiettivo specifico della direttiva 93/13, ossia obbligare gli Stati membri a prevedere un meccanismo il quale garantisca che il carattere eventualmente abusivo di qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di una trattativa individuale possa essere controllato ai fini della tutela che deve essere garantita al consumatore per il fatto che si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punti 39 e 40).

52

Pertanto, si deve considerate che, con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che le espressioni «oggetto principale del contratto» e «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro» coprono alcuni tipi di clausole contenute in contratti di credito conclusi tra un professionista e consumatori, come quelle oggetto del procedimento principale, le quali, da un lato, in presenza di determinate condizioni, consentono al mutuante di modificare unilateralmente il tasso di interesse e, dall’altro, prevedono una «commissione di rischio» dallo stesso riscossa.

53

In proposito, se è vero che spetta unicamente al giudice del rinvio pronunciarsi sulla qualificazione delle suddette clausole in funzione delle circostanze proprie del caso di specie, ciò non toglie che la Corte è competente a desumere dalle disposizioni della direttiva 93/13, nella fattispecie quelle dell’articolo 4, paragrafo 2, i criteri che il giudice nazionale può o deve applicare riguardo ad esse in sede di esame di clausole contrattuali (sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punto 45).

54

La Corte ha dichiarato che le clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano. Per contro, le clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale non possono rientrare nella nozione di «oggetto principale del contratto». Spetta al giudice del rinvio valutare, dati la natura, l’impianto sistematico e le disposizioni del contratto di mutuo in oggetto, nonché il contesto giuridico e fattuale nel quale lo stesso si colloca, se la clausola in questione costituisca un elemento essenziale della prestazione del debitore consistente nel rimborso dell’importo messo a sua disposizione dal creditore (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punti da 49 a 51).

55

La Corte ha parimenti affermato che dai termini dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 risulta che la seconda categoria di clausole, relativamente alle quali non si può procedere ad alcuna valutazione del carattere eventualmente abusivo, ha una portata ridotta, dato che essa verte unicamente sulla congruità tra il prezzo o la remunerazione previsti ed i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, spiegandosi tale esclusione col fatto che non esiste nessun tariffario o criterio giuridico che possa inquadrare ed orientare il controllo di tale congruità (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punti 54 e 55).

56

Le clausole relative alla contropartita dovuta dal consumatore al mutuante o che incidono sul prezzo effettivo da pagare a quest’ultimo da parte del consumatore non rientrano dunque, in linea di principio, in tale seconda categoria di clausole, salvo per quanto riguarda la questione se l’importo della contropartita o del prezzo quale stabilito nel contratto sia commisurato al servizio fornito in cambio dal mutuante.

57

Per quanto riguarda in particolare la qualificazione, alla luce dei criteri richiamati ai punti da 54 a 56 della presente sentenza, delle clausole contrattuali di cui è causa nel procedimento principale ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 e, in primo luogo, delle clausole che consentono al mutuante, in presenza di determinate condizioni, di modificare unilateralmente il tasso di interesse, da vari elementi si deduce che le stesse non rientrano nell’ambito di applicazione dell’esclusione prevista da tale disposizione.

58

Infatti, anzitutto, si deve ricordare che la Corte ha già avuto modo di dichiarare che una clausola simile, che verte su un meccanismo di modifica delle spese dei servizi da prestare al consumatore, non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (sentenza Invitel, C‑472/10, EU:C:2012:242, punto 23).

59

Si deve poi constatare che le clausole che consentono al mutuante di modificare unilateralmente il tasso di interesse figurano espressamente al punto 1, lettera j), dell’allegato della direttiva 93/13, il quale, conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, di quest’ultima, contiene un elenco indicativo e non esaustivo di clausole che possono essere dichiarate abusive. Il punto 2, lettera b), di tale allegato precisa a quali condizioni il suddetto punto 1, lettera j), non osti a tali clausole.

60

Tenuto conto dell’obiettivo perseguito dall’allegato della direttiva 93/13, ossia fungere da «lista grigia» delle clausole che possono essere considerate abusive, l’inclusione in quest’ultima di clausole come quelle che consentono al mutuante di modificare unilateralmente il tasso di interesse sarebbe in gran parte privata della sua utilità se fosse esclusa ab initio, in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, una valutazione del loro eventuale carattere abusivo.

61

Lo stesso vale per la legislazione rumena applicabile e, in particolare, per l’articolo 4, paragrafo 4, della legge n. 193/2000, che è diretto a trasporre l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 93/13 e per l’allegato menzionato da tale disposizione, mediante un meccanismo per l’elaborazione di una «lista nera» di clausole da considerarsi abusive. Un siffatto meccanismo rientra del resto nelle disposizioni più severe che gli Stati membri, nel rispetto del diritto dell’Unione, possono adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla direttiva 93/13, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore, ai sensi dell’articolo 8 di quest’ultima.

62

Inoltre, può costituire un indizio del carattere accessorio di tali clausole anche la circostanza che queste ultime, dato che contengono essenzialmente un meccanismo di adeguamento che consente al mutuante di modificare la clausola fissando il tasso di interesse, non sembrano tuttavia poter essere separate da tale clausola che fissa il tasso di interesse, la quale può far parte dell’oggetto principale del contratto.

63

Infine, tali clausole sembrano esulare dall’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 anche dal momento che, salvo accertamento da parte del giudice del rinvio, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che il loro carattere abusivo è fatto valere non già a causa di un’asserita sperequazione tra il livello del tasso d’interesse modificato e una qualsivoglia controprestazione fornita in cambio di tale modifica, bensì a causa delle condizioni e dei criteri che consentono al mutuante di operare tale modifica, in particolare a motivo della «sopravvenienza di variazioni significative sul mercato finanziario».

64

Per quanto riguarda, in secondo luogo, le clausole che prevedono una «commissione di rischio» riscossa dal mutuante, come quelle oggetto del procedimento principale, vari elementi consentono di ritenere che queste ultime non rientrino in una delle due categorie di esclusione previste dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

65

Sorge in primo luogo la questione se siffatte clausole possano rientrare nell’esclusione di cui al suddetto articolo 4, paragrafo 2, laddove si consideri – circostanza che, come già detto supra al punto 54 della presente sentenza, spetta al giudice del rinvio verificare – che esse fanno parte delle clausole contrattuali che definiscono l’«oggetto principale» del contratto.

66

Pertanto, spetterà a tale giudice verificare se, tenuto conto delle considerazioni esposte al suddetto punto 54, tali clausole fissino una delle prestazioni principali previste dai contratti oggetto del procedimento principale o se le stesse rivestano piuttosto carattere accessorio rispetto alle clausole che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale.

67

Nell’ambito di tale valutazione, il suddetto giudice dovrà in particolare tenere conto dello scopo essenziale perseguito dalla «commissione di rischio», che consiste nel garantire il rimborso del prestito, il quale costituisce chiaramente un obbligo essenziale del consumatore in cambio della disponibilità a suo favore dell’importo del prestito.

68

Peraltro, tenuto conto dell’obiettivo di tutela dei consumatori che deve guidare l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 93/13, ricordato al punto 51 della presente sentenza, il mero fatto che si possa considerare che la «commissione di rischio» costituisce una parte relativamente importante del TAEG e dunque degli utili che il mutuante ricava dai contratti di credito di cui trattasi è in linea di principio irrilevante ai fini della valutazione della questione se le clausole contrattuali che prevedono tale commissione definiscano l’«oggetto principale» del contratto.

69

Spetta poi sempre al giudice del rinvio esaminare se talune clausole che prevedono una «commissione di rischio» riscossa dal mutuante, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, possano rientrare nella seconda categoria di esclusioni di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Orbene, taluni elementi del fascicolo di cui dispone la Corte sembrano piuttosto indicare che così non è.

70

Infatti, sempre salvo accertamento da parte del citato giudice, taluni dei suddetti elementi sembrano indicare che l’oggetto del procedimento principale non verte sulla congruità tra l’importo di tale commissione e una qualsivoglia prestazione fornita dal mutuante, in quanto si afferma che il mutuante non fornisce alcuna prestazione effettiva che possa costituire la contropartita di tale commissione, cosicché la questione dell’adeguatezza di tale commissione non può essere sollevata (v., per analogia, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punto 58).

71

Per contro, gli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte sembrano indicare che la controversia oggetto del procedimento principale è incentrata sulla questione dei motivi che giustificano le clausole di cui trattasi, e in particolare su quella se le clausole in parola debbano essere considerate abusive, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 93/13, dal momento che impongono al consumatore il pagamento di una commissione d’importo considerevole diretta a garantire il rimborso del prestito, sebbene si affermi che tale rischio è già garantito da un’ipoteca e sebbene, in cambio di tale commissione, la banca non fornisca un effettivo servizio al consumatore nel suo esclusivo interesse.

72

Infine, occorre considerare che, se il giudice del rinvio dovesse concludere, alla luce degli elementi forniti dalla Corte in risposta alla questione sollevata, che le clausole di cui trattasi fanno comunque parte dell’oggetto principale del contratto o che esse sono di fatto contestate con riferimento alla congruità del prezzo o della remunerazione, ciò non toglie che tali clausole devono, in ogni caso, essere oggetto di una valutazione del loro eventuale carattere abusivo, se si dovesse accertare, accertamento che spetta parimenti al giudice del rinvio, che esse non sono redatte in modo chiaro e comprensibile (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punto 61).

73

A tal riguardo, va ricordato che l’obbligo della trasparenza delle clausole contrattuali sancito agli articoli 4, paragrafo 2, e 5 della direttiva 93/13, disposizioni che hanno del resto una portata identica, non può essere limitato unicamente al carattere comprensibile di queste ultime sui piani formale e grammaticale (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punti 69 e 71).

74

Risulta in particolare dagli articoli 3 e 5 della direttiva 93/13 nonché dai punti 1, lettere j) e l), e 2, lettere b) e d), dell’allegato di tale direttiva che, ai fini del rispetto dell’obbligo di trasparenza è di rilevanza essenziale la questione se il contratto esponga in modo trasparente il motivo e le modalità del meccanismo di modifica del tasso di interesse e il rapporto tra tale clausola e altre clausole relative alla remunerazione del mutuante, di modo che un consumatore informato possa prevedere, in base a criteri chiari e comprensibili, le conseguenze economiche che gliene derivano (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punto 73).

75

Tale questione deve essere esaminata dal giudice del rinvio, considerato l’insieme dei pertinenti elementi di fatto, tra cui la pubblicità e l’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione di un contratto di mutuo, e tenendo conto del livello di attenzione che ci si può aspettare da un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avvertito (v., in tal senso, sentenza Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punto 74).

76

Orbene, per quanto riguarda le clausole contrattuali di cui trattasi nel procedimento principale e, in primo luogo, quelle che consentono al mutuante di modificare unilateralmente il tasso di interesse, è necessario porre la questione relativa alla prevedibilità per il consumatore degli aumenti di tale tasso che possono essere effettuati dal mutuante sulla base del criterio, prima facie, poco trasparente, relativo alla «sopravvenienza di variazioni significative sul mercato finanziario», anche se quest’ultima formulazione è in sé grammaticalmente chiara e comprensibile.

77

In secondo luogo, relativamente alle clausole che prevedono la «commissione di rischio», si pone la questione se il contratto di mutuo di cui trattasi esponga in maniera trasparente i motivi che giustificano la remunerazione corrispondente a tale commissione, dal momento che è contestato che il mutuante sia tenuto a fornire una reale controprestazione per ottenere la suddetta commissione, oltre al fatto di assumere il rischio del mancato rimborso, che si sostiene essere già garantito da un’ipoteca. La mancanza di trasparenza, nei contratti oggetto del procedimento principale, della motivazione che giustifica tali clausole sembra del resto confermata dal fatto, ricordato al punto 29 della presente sentenza, che, nel caso di specie, il mutuante ha proposto ai mutuatari di sostituire la denominazione delle suddette clausole con quella di «commissione di gestione del credito», senza tuttavia modificarne il contenuto.

78

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, le espressioni «oggetto principale del contratto» e «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro» non comprendono, in linea di principio, tipi di clausole presenti nei contratti di credito conclusi tra un professionista e consumatori, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, le quali, da un lato, consentono, in presenza di determinate condizioni, al mutuante di modificare unilateralmente il tasso di interesse e, dall’altro, prevedono una «commissione di rischio» riscossa dal mutuante. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tale qualificazione delle suddette clausole contrattuali tenuto conto della natura, dell’impianto sistematico e delle disposizioni dei contratti di cui trattasi, nonché del contesto giuridico e fattuale nel quale le stesse si collocano.

Sulle spese

79

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:

 

L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, le espressioni «oggetto principale del contratto» e «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro» non comprendono, in linea di principio, tipi di clausole presenti nei contratti di credito conclusi tra un professionista e consumatori, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, le quali, da un lato, consentono, in presenza di determinate condizioni, al mutuante di modificare unilateralmente il tasso di interesse e, dall’altro, prevedono una «commissione di rischio» riscossa dal mutuante. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tale qualificazione delle suddette clausole contrattuali tenuto conto della natura, dell’impianto sistematico e delle disposizioni dei contratti di cui trattasi, nonché del contesto giuridico e fattuale nel quale le stesse si collocano.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il rumeno.