CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 17 settembre 2015 ( 1 )

Cause riunite C‑659/13 e C‑34/14

C & J Clark International Ltd (C‑659/13)

contro

The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal First-tier Tribunal (Tax Chamber) (tribunale di primo grado, sezione tributaria) (Regno Unito)]

e

Puma SE (C‑34/14)

contro

Hauptzollamt Nürnberg

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht München (tribunale di Monaco di Baviera competente in materia tributaria) (Germania)]

«Rinvio pregiudiziale — Dumping — Validità del regolamento (CE) n. 1472/2006 — Importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam»

1. 

Nell’ambito delle presenti cause si chiede alla Corte di stabilire se il regolamento (CE) n. 1472/2006 del Consiglio, del 5 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam ( 2 ), debba essere dichiarato invalido, segnatamente con la motivazione che la Commissione europea non ha esaminato le domande dei produttori esportatori della Cina e del Vietnam di beneficiare dello status di società operante in condizioni di economia di mercato (in prosieguo: il «SEM»). La Corte verrà parimenti chiamata a pronunciarsi sulle conseguenze di una siffatta invalidità.

I – Contesto normativo

A – Diritto internazionale

2.

L’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (OMC-GATT 1994) ( 3 ) figura all’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ( 4 ).

3.

L’articolo 6.10 dell’accordo antidumping così recita:

«Di norma, le autorità devono determinare il margine di dumping caso per caso per ogni esportatore o produttore del prodotto oggetto dell’inchiesta. Nei casi in cui il numero degli esportatori, produttori, importatori o tipi di prodotto interessati è talmente elevato da rendere impossibile tale determinazione, le autorità possono limitare l’esame ad un numero adeguato di parti o di prodotti interessati facendo ricorso a campioni statisticamente significativi, sulla base dei dati di cui esse dispongono al momento della selezione, oppure limitare l’esame al massimo volume percentuale, ragionevolmente esaminabile, delle esportazioni in uscita dal paese in questione».

4.

Ai sensi dell’articolo 9.2 di tale accordo:

«Una volta applicato ad un qualsiasi prodotto, il dazio antidumping viene riscosso, per l’importo adeguato al caso e senza discriminazione, su tutte le importazioni di quel prodotto ritenute in regime di dumping e causa di pregiudizio, qualunque ne sia la provenienza, salvo per quelle provenienti da soggetti dei quali sia stata accettata l’assunzione di impegni in materia di prezzi ai sensi del presente accordo. Le autorità indicano il nome del fornitore o dei fornitori del prodotto interessato. Tuttavia, ove si tratti di più fornitori dello stesso paese e risulti impossibile nominarli tutti, le autorità possono limitarsi ad indicare il nome del paese interessato. Nel caso di più fornitori appartenenti a paesi diversi, le autorità possono indicare il nome di tutti i fornitori, oppure, se ciò non è possibile, di tutti i paesi interessati».

B – Diritto dell’Unione

1. Codice doganale

5.

L’articolo 236 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario ( 5 ), prevede quanto segue:

«1.   Si procede al rimborso dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento del pagamento il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

Si procede allo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione quando si constati che al momento della contabilizzazione il loro importo non era legalmente dovuto o che l’importo è stato contabilizzato contrariamente all’articolo 220, paragrafo 2.

Non vengono accordati né rimborso né sgravio qualora i fatti che hanno dato luogo al pagamento o alla contabilizzazione di un importo che non era legalmente dovuto risultano da una frode dell’interessato.

2.   Il rimborso o lo sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione viene concesso, su richiesta presentata all’ufficio doganale interessato, entro tre anni dalla data della notifica al debitore dei dazi stessi.

Questo termine viene prorogato quando l’interessato fornisce la prova che gli è stato impossibile presentare la domanda nel termine stabilito per caso fortuito o di forza maggiore.

L’autorità doganale procede d’ufficio al rimborso o allo sgravio dei dazi di cui sopra quando constati, durante detto termine, l’esistenza di una delle situazioni descritte nel paragrafo 1, primo e secondo comma».

2. Regolamento di base

6.

Il regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea ( 6 ), è inteso a trasporre le norme antidumping contenute nell’accordo antidumping. A tal fine, esso definisce le norme che riguardano, segnatamente, il calcolo del margine di dumping, le procedure relative all’apertura e allo svolgimento delle inchieste, l’istituzione di misure provvisorie e definitive, nonché la durata e il riesame delle misure antidumping.

7.

L’articolo 1 del regolamento di base prevede quanto segue:

«1.   Un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio.

2.   Un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali.

(...)».

8.

L’articolo 2 di tale regolamento così recita:

«A. VALORE NORMALE

1.   Il valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore.

Qualora l’esportatore nel paese esportatore non produca né venda il prodotto simile, il valore normale può tuttavia essere stabilito in base ai prezzi di altri venditori o produttori.

I prezzi praticati tra le parti apparentemente associate oppure vincolate da un accordo di compensazione possono essere considerati come propri di normali operazioni commerciali, e possono quindi essere utilizzati per stabilire il valore normale unicamente qualora sia dimostrato che tale rapporto non incide sui prezzi.

Per determinare se due parti sono associate occorre tener conto della definizione di “parti collegate”, di cui all’articolo 143 del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (…) n. 2913/92 [ ( 7 )].

2.   Le vendite del prodotto simile destinato al consumo sul mercato interno sono di norma utilizzate per determinare il valore normale se il volume di tali vendite corrisponde ad almeno il 5% del volume delle vendite del prodotto alla Comunità.

Può tuttavia essere utilizzato anche un volume di vendite inferiore, tra l’altro quando i prezzi applicati sono considerati rappresentativi per il mercato considerato.

3.   Quando, nel corso di normali operazioni commerciali, non vi sono vendite del prodotto simile, oppure se tali vendite riguardano quantitativi insufficienti oppure se, tal[i] vendite a causa di una particolare situazione di mercato non permettono un valido confronto, il valore normale del prodotto è calcolato in base al costo di produzione nel paese d’origine, maggiorato di un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita e per i profitti oppure in base ai prezzi all’esportazione, nel corso di normali operazioni commerciali, ad un paese terzo appropriato, purché tali prezzi siano rappresentativi. Ai sensi del primo comma, si ritiene che una particolare situazione di mercato per il prodotto interessato sussista, tra l’altro, in presenza di prezzi artificialmente bassi, di accordi di compensazione e di altri regimi di perfezionamento non commerciali.

4.   Le vendite del prodotto simile sul mercato interno del paese esportatore, oppure destinat[e] ad un paese terzo, che sono effettuate a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari (fissi e variabili), con l’aggiunta delle spese generali, amministrative e di vendita, possono essere considerate come non eseguite nell’ambito di normali operazioni commerciali a causa del prezzo e quindi si può non tenerne conto ai fini della determinazione del valore normale, soltanto se tali vendite sono avvenute in un periodo di tempo prolungato, in quantitativi consistenti e a prezzi che non consentono di coprire tutti i costi entro un congruo termine.

Si ritiene che i prezzi inferiori ai costi al momento della vendita consentano il recupero dei costi entro un congruo termine se sono superiori alla media ponderata dei costi nel periodo dell’inchiesta.

Per periodo di tempo prolungato si intende di norma un anno e comunque un periodo non inferiore a sei mesi. Si ritiene che le vendite a prezzi inferiori ai costi unitari siano effettuate in quantitativi consistenti entro tale periodo se viene accertato che la media ponderata dei prezzi di vendita è inferiore alla media ponderata dei costi unitari oppure che il volume delle vendite a prezzi inferiori ai costi unitari è pari ad almeno il 20% del volume delle vendite prese in considerazione per determinare il valore normale.

5.   I costi sono di norma calcolati in base ai documenti contabili tenuti dalla parte sottoposta all’inchiesta, a condizione che tali documenti siano conformi ai principi contabili generalmente riconosciuti nel paese interessato e che sia dimostrato che essi esprimono adeguatamente i costi di produzione e le spese di vendita del prodotto in esame. Se i costi di produzione e le spese di vendita del prodotto in esame non si riflettono adeguatamente nei documenti contabili della parte interessata, saranno adeguati o calcolati sulla base dei costi di altri produttori o esportatori dello stesso paese oppure, qualora tali informazioni non fossero disponibili o utilizzabili, di qualsiasi altro riferimento ragionevole, comprese le informazioni tratte da altri mercati rappresentativi.

Sono presi in considerazione gli elementi di prova comunicati sulla corretta ripartizione dei costi, a condizione che sia dimostrato che tali metodi sono tradizionalmente utilizzati. In mancanza di un metodo più appropriato, la ripartizione dei costi è fatta di preferenza in funzione del volume d’affari. Se l’adeguamento non è già previsto nel sistema di ripartizione di cui al presente comma, i costi sono opportunamente adeguati per tener conto delle voci di spesa straordinarie attinenti alla produzione attuale e/o futura.

Quando, per una parte del periodo previsto per il recupero dei costi, vengono utilizzati nuovi impianti di produzione che implicano sostanziali investimenti aggiuntivi e bassi indici di utilizzazione degli impianti, in seguito ad operazioni di avviamento che si svolgono nel periodo dell’inchiesta o in una parte di esso, i costi medi per la fase di avviamento sono quelli applicabili, secondo le regole di ripartizione sopra specificate, alla fine di tale fase e come tali sono inseriti, per il periodo dell’inchiesta, nella media ponderata dei costi di cui al paragrafo 4, secondo comma. La durata della fase di avviamento è determinata in funzione delle circostanze relative al produttore o all’esportatore interessato e non deve comunque superare un’adeguata parte iniziale del periodo previsto per il recupero dei costi. Per questo adeguamento dei costi applicabile durante il periodo dell’inchiesta, le informazioni relative ad una fase di avviamento che si estende oltre detto periodo vengono prese in considerazione unicamente se sono presentate prima delle verifiche ed entro tre mesi a decorrere dall’inizio dell’inchiesta.

6.   Gli importi relativi alle spese generali, amministrative e di vendita e ai profitti sono basati su dati effettivi attinenti alla produzione e alla vendita del prodotto simile, nel corso di normali operazioni commerciali, da parte dell’esportatore o del produttore soggetti all’inchiesta. Se non è possibile determinare tali importi in base ai dati suddetti, possono essere utilizzati i seguenti elementi:

a)

la media ponderata degli importi effettivi determinati per altri esportatori o produttori sottoposti all’inchiesta riguardo alla produzione e alla vendita del prodotto simile sul mercato interno del paese d’origine;

b)

gli importi effettivamente sostenuti dall’esportatore o dal produttore in questione sul mercato interno del paese d’origine, nel corso di normali operazioni commerciali, per la produzione e la vendita di prodotti appartenenti alla stessa categoria generale;

c)

qualunque altro metodo appropriato, a condizione che l’importo del profitto così determinato non superi quello normalmente realizzato da altri esportatori o produttori per la vendita, sul mercato interno del paese d’origine, dei prodotti appartenenti alla stessa categoria generale.

a)

Nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un’economia di mercato (…), il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure al prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi, compresa la Comunità, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nella Comunità per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto.

(...)

b)

Nel caso di inchieste relative ad importazioni in provenienza dalla Repubblica popolare cinese, dal Vietnam (...), il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta e in funzione dei criteri e delle procedure di cui alla lettera c), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. Qualora ciò non sia possibile, si applica il regime di cui alla lettera a).

c)

La domanda di cui alla lettera b) dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato. Ciò si verifica quando:

le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, inclusi ad esempio le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali, ed i costi dei principali mezzi di produzione riflettano nel complesso i valori di mercato;

le imprese dispongano di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente e che siano d’applicazione in ogni caso in linea con le norme internazionali in materia di contabilità;

i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non siano soggette a distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato relativamente alle svalutazioni anche degli attivi, alle passività di altro genere, al commercio di scambio e ai pagamenti effettuati mediante compensazione dei debiti;

le imprese in questione siano soggette a leggi in materia fallimentare e di proprietà che garantiscano certezza del diritto e stabilità per la loro attività, e

le conversioni del tasso di cambio siano effettuate ai tassi di mercato.

Si procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, dopo aver sentito il comitato consultivo e dopo aver dato all’industria comunitaria la possibilità di presentare osservazioni. Quest’accertamento resta valido durante l’inchiesta.

(...)».

9.

L’articolo 3 del regolamento di base così recita:

«1.   Ai fini del presente regolamento si intende per pregiudizio, salvo altrimenti disposto, un pregiudizio notevole, la minaccia di un pregiudizio materiale a danno dell’industria comunitaria, oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria. Il termine è interpretato a norma del presente articolo.

2.   L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo: a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

(...)

7.   Oltre alle importazioni oggetto di dumping, vengono esaminati i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria comunitaria per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a questo proposito comprendono, tra l’altro, il volume e i prezzi delle importazioni non vendute a prezzi di dumping, la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi, le restrizioni commerciali attuate da produttori di paesi terzi e comunitari, la concorrenza tra gli stessi, nonché gli sviluppi tecnologici e le prestazioni dell’industria comunitaria in materia di esportazioni e di produttività.

(...)».

10.

Ai sensi dell’articolo 5 di tale regolamento, intitolato «Apertura del procedimento»:

«1.   Salvo il disposto del paragrafo 6, l’inchiesta per determinare l’esistenza, il grado e l’effetto delle pretese pratiche di dumping è aperta in seguito ad una denuncia scritta presentata da qualsiasi persona fisica o giuridica, nonché da qualsiasi associazione non avente personalità giuridica, che agisce per conto dell’industria comunitaria.

(...)

4.   Un’inchiesta può essere avviata a norma del paragrafo 1 unicamente se, previo esame del grado di sostegno o di opposizione alla denuncia espresso dai produttori comunitari del prodotto simile, è stato accertato che la denuncia è presentata dall’industria comunitaria o per suo conto. La denuncia si considera presentata dall’industria comunitaria, o per suo conto, se è sostenuta dai produttori comunitari che complessivamente realizzano oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione alla denuncia. L’inchiesta tuttavia non può essere aperta se i produttori comunitari che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia effettuano meno del 25% della produzione totale di prodotto simile realizzata dall’industria comunitaria.

(...)».

11.

L’articolo 9 di detto regolamento dispone quanto segue:

«(...)

5.   Il dazio antidumping viene istituito per l’importo adeguato a ciascun caso e senza discriminazione sulle importazioni di prodotti per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio, indipendentemente dalla fonte, salvo quelle effettuate dagli esportatori i cui impegni sono stati accettati a norma del presente regolamento. Il regolamento che impone i dazi indica i nomi dei fornitori oppure, qualora non sia possibile e, come regola generale, nei casi citati nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), il nome del paese fornitore interessato.

Nei casi in cui si applica l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), viene tuttavia fissato un dazio individuale per gli esportatori in grado di dimostrare, presentando richieste debitamente motivate, che:

a)

nel caso di imprese di proprietà interamente o parzialmente straniera o di joint venture, sono liberi di rimpatriare i capitali e i profitti;

b)

i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come pure le condizioni di vendita, sono determinati liberamente;

c)

la maggior parte delle azioni appartiene a privati, che i funzionari statali che ricoprono cariche nel consiglio di amministrazione o si trovano in una posizione direttiva chiave sono in minoranza o che la società è sufficientemente libera dall’ingerenza dello Stato;

d)

le conversioni del tasso di cambio vengono effettuate ai tassi di mercato;

e)

l’ingerenza dello Stato non è tale da consentire l’elusione dei dazi qualora si concedano aliquote diverse ai singoli esportatori.

6.   Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato alle importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione. Ai fini del presente paragrafo la Commissione non tiene conto di margini nulli o minimi, né di margini determinati nelle circostanze di cui all’articolo 18. Si applicano dazi individuali alle importazioni provenienti da esportatori o produttori che sono stati sottoposti ad un esame individuale [ ( 8 ) ], a norma dell’articolo 17».

12.

L’articolo 11, paragrafo 8, primo e secondo comma, del regolamento di base, dispone quanto segue:

«Nonostante il paragrafo 2, un importatore può chiedere la restituzione di dazi pagati se dimostra che il margine di dumping in base al quale sono stati pagati i dazi è stato eliminato o ridotto ad un livello inferiore al dazio in vigore.

Per chiedere la restituzione dei dazi antidumping, l’importatore presenta una domanda alla Commissione. Essa è trasmessa tramite lo Stato membro sul territorio del quale i prodotti sono stati immessi in libera pratica ed entro sei mesi dalla data [in] cui le autorità competenti hanno debitamente accertato l’importo dei dazi definitivi da riscuotere oppure dalla data della decisione di riscossione definitiv[a] degli importi depositati a titolo di dazi provvisori. Lo Stato membro trasmette al più presto la domanda alla Commissione».

13.

Infine, ai sensi dell’articolo 17 di tale regolamento, relativo al campionamento:

«1.   Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(...)

3.   Qualora l’esame sia stato limitato ai sensi del presente articolo, viene comunque determinato un margine di dumping individuale per gli esportatori o i produttori non inseriti nella selezione iniziale che presentino le informazioni necessarie entro i termini fissati dal presente regolamento, a meno che il numero di esportatori o produttori sia talmente elevato da rendere l’esame dei singoli casi indebitamente gravoso e da impedire la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

(...)».

3. Regolamento controverso

14.

A seguito di un’inchiesta avviata il 7 luglio 2005, la Commissione ha adottato, il 23 marzo 2006, il regolamento (CE) n. 553/2006, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam ( 9 ).

15.

Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento controverso il 5 ottobre 2006. Tale regolamento istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam. La Commissione ha applicato la procedura prevista all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, e, in conformità all’articolo 17 di questo stesso regolamento, essa si è avvalsa della tecnica del campionamento ai fini della fissazione dei dazi antidumping, prendendo un campione dei produttori esportatori cinesi e vietnamiti (in prosieguo: il «campione»).

16.

In forza dell’articolo 1, paragrafo 3, del regolamento controverso, l’aliquota del dazio antidumping è stata fissata al 16,5% per tutte le società stabilite in Cina, ad eccezione della Golden Step Industrial Co. Ltd (in prosieguo: la «Golden Step»), e al 10% per tutte le società stabilite in Vietnam. Per la Golden Step, alla quale è stato concesso il SEM, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, tale aliquota è stata fissata al 9,7%.

17.

L’articolo 3 del regolamento controverso prevedeva che esso restasse in vigore per un periodo di due anni. Con l’adozione del regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009 ( 10 ), il Consiglio ha successivamente prolungato di quindici mesi la validità dei dazi antidumping istituiti dal regolamento controverso, ossia fino alla fine del marzo 2011.

II – Fatti dei procedimenti principali

18.

La Brosmann Footwear (HK) Ltd, la Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, la Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd e la Risen Footwear (HK) Co. Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «Brosmann e a.») hanno impugnato la sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T‑401/06, EU:T:2010:67), con la quale il Tribunale dell’Unione europea ha respinto i loro ricorsi intesi all’annullamento parziale del regolamento controverso. La Zhejiang Aokang Shoes Co. Ltd (in prosieguo: la «Zhejiang Aokang») ha parimenti impugnato dinanzi alla Corte la sentenza Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (T‑407/06 e T‑408/06, EU:T:2010:68), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso inteso all’annullamento parziale di questo stesso regolamento. La Brosmann e a., nonché la Zhejiang Aokang hanno chiesto alla Corte, in sostanza, di annullare tali sentenze nonché il regolamento controverso nella misura in cui esso le riguardava.

19.

La Corte ha accolto la loro domanda e ha annullato dette sentenze, nonché il regolamento controverso nella parte in cui esso riguardava, rispettivamente la Brosmann e a. ( 11 ), e la Zhejiang Aokang ( 12 ).

20.

In tali sentenze, la Corte ha dichiarato, segnatamente, che anche quando la Commissione ricorre alla tecnica del campionamento, «l’obbligo, in capo alla Commissione, di pronunciarsi su una domanda di un operatore che desidera beneficiare del SEM emerge espressamente dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base. Infatti, tale disposizione stabilisce l’obbligo di determinare il valore normale, conformemente ai paragrafi 1‑6 del medesimo articolo, ove emerga, sulla base di richieste debitamente motivate e presentate da uno o più produttori, che le condizioni di un’economia di mercato prevalgono per tali produttori. Un tale obbligo relativo al riconoscimento delle condizioni economiche in cui opera ciascun produttore, per quanto riguarda la fabbricazione e la vendita di prodotti simili interessati, non è condizionato dal modo in cui verrà calcolato il margine di dumping» ( 13 ).

A – Causa C‑659/13

21.

Dal 1o maggio 2007 al 31 agosto 2010 la C & J Clark International Ltd (in prosieguo: la «C & J Clark») ha importato calzature in cuoio dalla Cina e dal Vietnam. Tali importazioni sono state assoggettate ad un dazio antidumping, in conformità delle disposizioni del regolamento controverso.

22.

Il 30 giugno 2010 la C & J Clark ha presentato una protective claim (domanda di rimborso in pendenza della causa cui è collegata) diretta ad ottenere il rimborso, ai sensi dell’articolo 236 del codice doganale, di 42592829,52 sterline (GBP) per dazi antidumping versati per le importazioni in parola. Tale domanda era motivata dal fatto che, all’epoca, le cause all’origine delle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710), erano pendenti dinanzi alla Corte e che, secondo la C & J Clark, qualora detti ricorsi fossero stati accolti, sarebbe di conseguenza sorto l’obbligo di rimborsarle i dazi antidumping da essa versati.

23.

A seguito della pronuncia delle sentenze in tali cause la C & J Clark ha reiterato la propria domanda di rimborso dei dazi antidumping versati, ritenendo che le menzionate sentenze fossero parimenti applicabili ai suoi fornitori. Il 13 marzo 2013 i Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Custom hanno respinto la domanda in parola, sulla base del rilievo che nessuna delle merci importate dalla C & J Clark proveniva dagli esportatori/fabbricanti designati in dette sentenze.

24.

L’11 aprile 2013 la C & J Clark ha proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al First-tier Tribunal (Tax Chamber) (tribunale di primo grado, sezione tributaria), contestando la validità del regolamento controverso.

B – Causa C‑34/14

25.

La Puma SE (in prosieguo: la «Puma») ha importato nell’Unione europea, nel corso degli anni dal 2006 al 2011, calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam. In conformità alle disposizioni del regolamento controverso essa ha pagato dazi antidumping relativi a tali importazioni, per un importo totale pari a EUR 5059386,70. I suoi fornitori erano imprese cinesi e vietnamite, nonché le loro imprese collegate.

26.

Taluni fra i menzionati fornitori sono stati inclusi nel campione in occasione dell’inchiesta e sono stati sottoposti a controlli in loco. Gli altri fornitori della Puma, che erano disposti a cooperare, non sono stati presi in considerazione in tale campione.

27.

Il 21 dicembre 2011 e il 20 gennaio 2012 la Puma ha chiesto allo Hauptzollamt Nürnberg (Ufficio doganale di Norimberga) il rimborso dei dazi antidumping versati nel periodo dal 7 aprile 2006 al 1o aprile 2011, per un importo totale pari a EUR 5100983,90, in applicazione dell’articolo 236 del codice doganale. La Puma ha chiesto al contempo la proroga del termine per il rimborso di dazi all’importazione al fine di coprire tutto il periodo in parola e, pertanto, con effetto retroattivo a partire dal 7 aprile 2006.

28.

Con una decisione del 5 luglio 2012 l’Ufficio doganale di Norimberga (Hauptzollamt Nürnberg) ha respinto la domanda della Puma sulla base del rilievo che il regolamento controverso era stato annullato dalla Corte solo nella parte riguardante taluni produttori, dei quali nessuno è un suo fornitore.

29.

Il 18 luglio 2012 la Puma ha presentato un reclamo avverso tale decisione, modificando al contempo l’importo del rimborso richiesto, il cui importo era ormai pari a EUR 5059386,70. l’Ufficio doganale di Norimberga ha respinto detto reclamo con decisione del 13 novembre 2012.

30.

La Puma, di conseguenza, ha proposto un ricorso avverso quest’ultima decisione dinanzi al Finanzgericht München (tribunale di Monaco di Baviera competente in materia tributaria).

III – Questioni pregiudiziali

31.

Il First-tier Tribunal (Tax Chamber) (tribunale di primo grado, sezione tributaria) e il Finanzgericht München (tribunale di Monaco di Baviera competente in materia tributaria) nutrono dubbi in ordine alla validità del regolamento controverso. Essi hanno pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte talune questioni pregiudiziali.

A – Causa C‑659/13

32.

Il First-tier Tribunal (Tax Chamber) (tribunale di primo grado, sezione tributaria) pone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui viola gli articoli 2, paragrafo 7, lettera b), e 9, paragrafo 5, del regolamento di base, considerato che la Commissione non ha esaminato le domande di SEM e di TI presentate dai produttori esportatori in Cina e Vietnam che non erano stati oggetto di campionamento ai sensi dell’articolo 17 del regolamento di base.

2)

Se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui viola l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c) del regolamento di base, considerato che la Commissione non ha proceduto ad un accertamento entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta riguardante le domande per ottenere il trattamento riservato alle imprese con SEM presentate dai produttori/esportatori in Cina e Vietnam che non erano stati oggetto di campionamento ai sensi dell’articolo 17 del regolamento di base.

3)

Se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui viola l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, considerato che la Commissione non ha proceduto ad un accertamento entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta riguardante le domande per ottenere il trattamento riservato alle SEM presentate dai produttori esportatori in Cina e Vietnam che erano stati oggetto di campionamento ai sensi dell’articolo 17 del regolamento di base.

4)

Se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui viola gli articoli 3, 4, paragrafo 1, 5, paragrafo 4, e 17 del regolamento di base, considerato che un numero insufficiente di produttori dell’industria comunitaria ha cooperato in modo da consentire alla Commissione di effettuare una valutazione corretta del pregiudizio e, di conseguenza, una valutazione corretta del nesso di causalità.

5)

Se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui viola l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base e l’articolo 253 CE, considerato che il materiale probatorio nel fascicolo dell’inchiesta ha mostrato che il pregiudizio per l’industria comunitaria era stato valutato utilizzando dati materialmente erronei, e considerato che il regolamento controverso non fornisce spiegazioni riguardo al motivo per cui tale materiale probatorio è stato ignorato.

6)

Se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui viola l’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, considerato che gli effetti di altri elementi, dei quali è noto che causino pregiudizio, non sono stati adeguatamente separati e distinti dagli effetti delle importazioni asseritamente oggetto di dumping.

7)

In quale misura i giudici degli Stati membri possano basarsi sull’interpretazione del regolamento controverso effettuata dalla Corte nell’ambito delle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710), per considerare che non erano legalmente dovuti i dazi ai sensi dell’articolo 236 codice doganale relativamente a imprese che, proprio come le ricorrenti nelle cause all’origine di tali sentenze, non erano state oggetto di campionamento, ma che avevano presentato domande di concessione del SEM e di TI che non erano state esaminate».

B – Causa C‑34/14

33.

Il Finanzgericht München (tribunale di Monaco di Baviera competente in materia tributaria) ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il regolamento controverso e il regolamento di proroga siano, nel complesso, validi nella parte in cui non sono stati annullati dalle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710).

2)

Nel caso in cui la prima questione debba ricevere risposta negativa, ma i regolamenti succitati non siano invalidi nel loro complesso:

a)

Nei confronti di quali esportatori e produttori stabiliti nella Repubblica popolare cinese e in Vietnam da cui la Puma ha acquistato merce negli anni compresi tra il 2006 e il 2011 siano invalidi il regolamento controverso e il regolamento di proroga.

b)

Se la dichiarazione di invalidità totale o parziale di detti regolamenti integri un caso fortuito o di forza maggiore ai sensi dell’articolo 236, paragrafo 2, secondo comma, del codice doganale».

IV – Analisi

A – Sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità del regolamento controverso e del regolamento di proroga

34.

Il Consiglio e la Commissione considerano che le ricorrenti nei procedimenti principali non possano fondatamente sollevare, dinanzi ai giudici del rinvio, l’eccezione di illegittimità nei confronti del regolamento controverso. In primo luogo, la Puma avrebbe avuto la possibilità di proporre un ricorso di annullamento avverso tale regolamento dinanzi al giudice dell’Unione. Orbene, la Commissione richiama la giurisprudenza TWD Textilwerke Deggendorf ( 14 ), in forza della quale un singolo non può utilmente contestare la legittimità di un atto dell’Unione, in via di eccezione, dinanzi ad un giudice nazionale, qualora esso avrebbe potuto impugnare tale atto mediante un ricorso diretto di annullamento e abbia lasciato decorrere il termine imperativo all’uopo prescritto ( 15 ).

35.

In secondo luogo, il Consiglio e la Commissione ritengono che le ricorrenti nei procedimenti principali abbiano parimenti avuto la possibilità di presentare un ricorso sul fondamento dell’articolo 11, paragrafo 8, del regolamento di base, il quale prevede che un importatore può chiedere la restituzione di dazi pagati se dimostra che il margine di dumping in base al quale sono stati pagati i dazi è stato eliminato o ridotto ad un livello inferiore al dazio in vigore. Pertanto, secondo tali istituzioni, le ricorrenti nei procedimenti principali non possono eludere, tramite una domanda di accertamento di invalidità proposta dinanzi ad un giudice nazionale, i requisiti e i termini previsti da tale disposizione. La giurisprudenza TWD Textilwerke Deggendorf ( 16 ) dovrebbe dunque essere estesa a tale situazione.

36.

In terzo luogo, il Consiglio e la Commissione ritengono che gli importatori come la C & J Clark e la Puma non possano far valere un’asserita violazione del diritto all’esame di una domanda di SEM o di TI per ottenere che venga dichiarata l’invalidità del regolamento controverso e del regolamento di proroga. Secondo dette istituzioni, tale diritto sarebbe un diritto soggettivo riconosciuto ai soli produttori‑esportatori che hanno presentato una siffatta domanda.

37.

Anzitutto, ricordo che, in virtù di una costante giurisprudenza, la possibilità per il singolo di far valere dinanzi al giudice adito l’invalidità delle disposizioni contenute negli atti dell’Unione presuppone che tale parte non fosse legittimata a proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali disposizioni. Risulta, tuttavia, da questa stessa giurisprudenza che un simile ricorso diretto deve essere ricevibile senza alcun dubbio ( 17 ).

38.

Per quanto attiene, più specificamente, ai regolamenti che istituiscono dazi antidumping, la Corte ha statuito che tali regolamenti, pur avendo, per la loro natura e per la loro portata, carattere normativo, possono riguardare direttamente ed individualmente quelli tra i produttori ed esportatori del prodotto in parola ai quali vengono attribuite le pratiche di dumping, utilizzando dati derivanti dalla loro attività commerciale. È quanto avviene, in generale, per le imprese produttrici ed esportatrici che possono dimostrare di essere state individuate negli atti del Consiglio e della Commissione o prese in considerazione nelle indagini preparatorie. Lo stesso vale per quegli importatori del prodotto di cui trattasi i cui prezzi di vendita sono stati considerati ai fini della costruzione dei prezzi all’esportazione e che, pertanto, sono interessati dagli accertamenti relativi all’esistenza di una pratica di dumping ( 18 ). La Corte ha del pari deciso che importatori associati con esportatori di paesi terzi i cui prodotti sono soggetti a dazi antidumping possono impugnare i regolamenti che istituiscono detti dazi, in particolare nel caso in cui il prezzo all’esportazione sia stato calcolato a partire dai prezzi di rivendita sul mercato comunitario praticati da tali importatori e nel caso in cui il dazio antidumping stesso sia calcolato in funzione di tali prezzi di rivendita ( 19 ).

39.

Nelle cause principali la Commissione sostiene che, poiché la Puma è un «Original equipment manufacturer» ( 20 ), secondo la giurisprudenza della Corte, essa non poteva sollevare l’eccezione di illegittimità. In udienza la Commissione ha considerato che lo stesso valeva rispetto alla C & J Clark.

40.

È vero che, nelle sentenze Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio ( 21 ), nonché Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione ( 22 ), la Corte, senza qualificare le ricorrenti come importatori o esportatori, ha tenuto conto della peculiarità delle relazioni commerciali intrattenute fra le stesse, considerate OEM, e i produttori interessati dalle misure antidumping. Essa ha quindi constatato che, alla luce di tali relazioni, detti OEM erano interessati dagli accertamenti relativi all’esistenza della pratica di dumping contestata e che, pertanto, le disposizioni dei regolamenti controversi, relative alle pratiche di dumping dei produttori, li riguardavano direttamente e individualmente ( 23 ), consentendo pertanto loro di proporre ricorso di annullamento avverso i regolamenti in parola.

41.

Più precisamente, la Corte ha osservato che, ai fini della determinazione del valore normale, il margine di profitto dei produttori‑esportatori è stato rivisto al ribasso tenuto conto delle peculiarità delle relazioni commerciali intrattenute fra questi e gli OEM, comportando, quindi, un margine di dumping diverso da quelli determinati per le vendite dei prodotti di cui trattasi realizzate dall’esportatore con il proprio marchio. In sede di determinazione del dazio antidumping sono pertanto stati presi in considerazioni tutti i margini di dumping. La Corte ha parimenti osservato che gli operatori economici in questione, fra cui gli OEM, sono stati identificati dalle istituzioni dell’Unione ( 24 ). Di conseguenza, era pacifico che tali OEM erano stati interessati dall’inchiesta ed individuati nei regolamenti in questione.

42.

Siffatta ipotesi non ricorre nelle cause che mi sono attualmente sottoposte.

43.

Nella specie, non risulta né dal regolamento controverso e dal regolamento di proroga, né dalla documentazione del fascicolo, che il margine di dumping sia stato stabilito sulla base di informazioni e di dati economici trasmessi dalla C & J Clark e dalla Puma. La Commissione, al fine di dimostrare che le ricorrenti nei procedimenti principali avrebbero potuto proporre un ricorso di annullamento avverso tali regolamenti, prende in considerazione i considerando 119 e 120 del regolamento provvisorio, nonché i considerando da 132 a 135 del regolamento controverso.

44.

I considerando 119 e 120 del regolamento provvisorio si limitano ad indicare che talune parti interessate ritenevano che la scelta dello Stato di riferimento ai fini della determinazione del valore normale, ossia la Repubblica federale del Brasile, non fosse la più appropriata giacché taluni produttori esportatori cinesi e vietnamiti non sostenevano alcuni costi, come quelli relativi alla ricerca e allo sviluppo, i quali erano, pertanto, a carico dei clienti, mentre questi stessi costi venivano sostenuti dai produttori brasiliani. Tali parti interessate rimettevano in discussione la scelta di tale Stato, in quanto non vi sarebbero, in realtà, OEM, il che costituirebbe una differenza nella struttura dei costi di produzione fra gli Stati interessati dalle misure antidumping e la Repubblica federale del Brasile. Il considerando 120 del regolamento provvisorio indica pertanto semplicemente che tale differenza non giustifica il rifiuto della Repubblica federale del Brasile come Stato di riferimento, e che per tali costi si potrebbe procedere ad un adeguamento nel determinare il valore normale.

45.

Per quanto attiene ai considerando da 132 a 135 del regolamento controverso, osservo che essi mirano a giustificare l’applicazione di un adeguamento al valore normale al fine di tenere conto dei costi di ricerca e di sviluppo, i quali erano diversi negli Stati interessati dalle misure antidumping e nello Stato di riferimento.

46.

È d’uopo constatare che nulla consente, sulla base di tali considerando, di affermare che la C & J Clark e la Puma hanno fornito informazioni e dati economici che hanno consentito di calcolare il margine di dumping e dunque di contraddistinguerle rispetto a qualsiasi altro operatore economico.

47.

Peraltro, è importante menzionare l’ordinanza FESI/Consiglio ( 25 ), resa a seguito di un ricorso di annullamento proposto dalla Fédération européenne de l’industrie du sport (FESI), di cui la Puma è membro, avverso il regolamento di proroga. La FESI riteneva che essa e i suoi membri fossero individualmente interessati alla luce della giurisprudenza Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio (C‑133/87 e C‑150/87, EU:C:1990:115), nonché Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione (C‑156/87, EU:C:1990:116). Il Tribunale ha tuttavia statuito che la FESI non era individualmente interessata poiché i suoi membri hanno fornito informazioni e dati durante il periodo di riesame ( 26 ), periodo dopo il quale è stato adottato il regolamento di proroga.

48.

Più precisamente, il Tribunale ha indicato, al punto 49 di detta ordinanza, che «[r]isulta [da tale regolamento] che le istituzioni dell’Unione hanno proceduto alla valutazione di una pluralità di questioni economiche complesse per fare un pronostico sulle conseguenze della scadenza delle misure antidumping. Di conseguenza, l’adeguamento del prezzo all’importazione per il calcolo del margine di sottoquotazione (undercutting) al fine di tenere conto dei costi di concezione e di ricerca e sviluppo degli importatori, non è che uno dei vari elementi che consentono di pervenire alla conclusione concernente il danno, e non può in alcun modo contraddistinguere i fornitori di tali informazioni e dati in maniera analoga a come era avvenuto per gli operatori nelle cause decise [dalle sentenze Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio (C‑133/87 e C‑150/87, EU:C:1990:115), nonché Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione (C‑156/87, EU:C:1990:116)]».

49.

Inoltre, il Tribunale ha spiegato, al punto 51 dell’ordinanza FESI/Consiglio (T‑134/10, EU:T:2014:143), che «non è dimostrato che le istituzioni dell’Unione abbiano effettuato il calcolo del margine di dumping sulla base delle informazioni e dei dati forniti dai membri della ricorrente. Emerge dal considerando 122 del regolamento [di proroga] e dai considerando 133 e 135 del regolamento [controverso] che si è tenuto conto dei costi di concezione e di ricerca e sviluppo sostenuti dai produttori brasiliani per effettuare un adeguamento in funzione della differenza fra questi ultimi e i costi di ricerca e sviluppo sostenuti dai produttori vietnamiti e cinesi. Risulta, in effetti, dal considerando 135 del regolamento [controverso] che tale adeguamento prende in considerazione eventuali differenze fra le vendite agli OEM e le vendite realizzate con il proprio marchio, ma ciò non implica che i dati e le informazioni fornite dai membri della ricorrente siano stati utilizzati per effettuare un adeguamento al valore normale in modo da contraddistinguerli rispetto agli altri operatori economici».

50.

Alla luce di tali elementi ritengo che, con ogni probabilità, il regolamento controverso e il regolamento di proroga non riguardino individualmente la C & J Clark e la Puma, e che, pertanto, esse non avrebbero potuto proporre un ricorso di annullamento, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, avverso tali regolamenti. Quantomeno, il dubbio concernente la ricevibilità di un siffatto ricorso è ben reale. Orbene, rammento che la possibilità per il singolo di far valere dinanzi al giudice adito l’invalidità delle disposizioni contenute negli atti dell’Unione presuppone che tale parte non fosse senza alcun dubbio legittimata a proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali disposizioni ( 27 ).

51.

Alla luce della difficoltà di stabilire se la C & J Clark e la Puma avevano o meno la possibilità di proporre un ricorso di annullamento avverso il regolamento controverso e il regolamento di proroga, mi sembra che il requisito di tutela giurisdizionale effettiva imponga di dichiarare ricevibile l’eccezione di illegittimità da esse sollevata dinanzi ai giudici del rinvio avverso tali regolamenti.

52.

Per quanto attiene poi all’argomento del Consiglio e della Commissione secondo il quale, poiché la C & J Clark e la Puma hanno avuto la possibilità di proporre un ricorso sulla base dell’articolo 11, paragrafo 8, del regolamento di base, esse non possono eludere, tramite una domanda di accertamento di invalidità sollevata dinanzi ad un giudice nazionale, i requisiti e i termini previsti da tale disposizione, ritengo che esso debba essere respinto.

53.

Ricordo infatti che la citata disposizione prevede che un importatore può chiedere la restituzione di dazi pagati se dimostra che il margine di dumping in base al quale sono stati pagati i dazi è stato eliminato o ridotto ad un livello inferiore al dazio in vigore. Tale ricorso concerne i casi in cui il comportamento dei produttori esportatori interessati è mutato, comportando o una modifica del margine di dumping a causa di una modifica del valore normale stesso (margine ridotto), o la fine della pratica di dumping (margine eliminato). Nei casi in esame gli importatori non contestano la legittimità dei dazi antidumping imposti, ma fanno valere una modifica della situazione avente un impatto diretto sul margine dumping determinato inizialmente.

54.

È pertanto chiaro che il ricorso previsto all’articolo 11, paragrafo 8, del regolamento di base si distingue da quello avviato dinanzi ai giudici del rinvio, nel corso del quale l’eccezione di illegittimità sollevata dalle ricorrenti nei procedimenti principali avverso il regolamento controverso è intesa alla constatazione dell’illegittimità dei dazi antidumping versati alle autorità pubbliche competenti, consentendo in tal modo, sulla base dell’articolo 236 del codice doganale, di chiederne il rimborso.

55.

Infine, non condivido la posizione del Consiglio e della Commissione vertente sull’impossibilità, per importatori come la C & J Clark e la Puma, di invocare un’asserita violazione del diritto all’esame di una richiesta di SEM oppure di TI al fine di far constatare l’invalidità del regolamento controverso e del regolamento di proroga.

56.

Rilevo, difatti, che la Corte è stata chiamata a più riprese ad esaminare la validità di un regolamento antidumping nell’ambito di un’eccezione di illegittimità sollevata da un importatore che ha dovuto o deve versare dazi antidumping. In tal senso, nella causa decisa con la sentenza Ikea Wholesale ( 28 ), la Corte ha avuto l’occasione di esaminare la validità di un regolamento antidumping alla luce, segnatamente, del calcolo del valore normale «costruito» del prodotto di cui trattasi e del metodo dell’«azzeramento» utilizzato ai fini del calcolo del margine di dumping globale ( 29 ). Nella causa sfociata nella sentenza Valimar ( 30 ), essa ha esaminato la validità di un regolamento antidumping alla luce del metodo di calcolo del prezzo all’esportazione nell’ambito del riesame a titolo della scadenza delle misure antidumping ( 31 ). Più recentemente, nella causa sfociata nella sentenza TMK Europe ( 32 ), la Corte è stata chiamata a verificare se fattori diversi da quelli relativi alle importazioni, abbiano potuto avere un’importanza tale da rimettere in discussione la sussistenza del nesso causale tra il pregiudizio subito dall’industria comunitaria e le importazioni oggetto di dumping, comportando così l’invalidità del regolamento antidumping di cui trattasi ( 33 ).

57.

In tali cause la Corte non ha mai rimesso in discussione la possibilità per gli importatori, di far valere la violazione del diritto all’applicazione di un certo metodo di calcolo del valore normale o, ancora, del prezzo all’esportazione ai fini della determinazione di dazi antidumping.

58.

I regolamenti antidumping riguardano infatti gli importatori come quelli di dette cause o come la C & J Clark e la Puma, non a causa, come si è visto, di talune qualità che sono loro specifiche oppure di una situazione di fatto che li caratterizza rispetto a chiunque altro, bensì della loro sola qualità oggettiva di importatori dei prodotti di cui trattasi, allo stesso titolo di qualsiasi altro operatore che si trovi, attualmente o potenzialmente, in un’identica situazione ( 34 ).

59.

In quanto importatori dei prodotti soggetti ai dazi antidumping, essi saranno interessati direttamente dagli effetti del regolamento che impone tali dazi, nella misura in cui gli stessi saranno tenuti a versare detti dazi, spesso caratterizzati da un importo non trascurabile. Orbene, la concessione del SEM ad un produttore esportatore influisce sulla determinazione del valore normale e, in definitiva, sul margine di dumping e sull’imposizione di dazi antidumping ( 35 ). Analogamente, la concessione di un TI comporta l’applicazione di un dazio individuale per i produttori esportatori che soddisfano i requisiti richiesti, consentendo in tal modo di distinguerli dagli altri produttori esportatori ( 36 ) ed applicare loro, molto spesso, un dazio antidumping inferiore.

60.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che l’eccezione di illegittimità sollevata dalla C & J Clark nei confronti del regolamento controverso e quella sollevata dalla Puma nei confronti di tale regolamento e del regolamento di proroga siano ricevibili.

B – Sulla validità del regolamento controverso

61.

Occorre precisare che il giudice del rinvio, nella causa C‑34/14, prende in considerazione la validità del regolamento controverso e del regolamento di proroga. A tal riguardo esso precisa che le considerazioni svolte nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale si limitano alle obiezioni concernenti la legittimità del regolamento controverso, il quale costituisce l’atto fondamentale, mentre il regolamento di proroga si è limitato a prorogare la validità della misura antidumping ( 37 ). Si vedrà, infatti, che l’esame delle questioni sollevate da tale giudice concernenti il regolamento controverso e le conclusioni che ne trarrò valgono anche per il regolamento di proroga, in quanto esso riprende i metodi impiegati in sede di determinazione dei dazi antidumping definitivi.

1. Sull’esame delle domande di SEM e di TI

62.

Con le prime questioni nelle presenti cause, la Corte è chiamata a stabilire se il regolamento controverso sia invalido a causa della violazione degli articoli 2, paragrafo 7, lettere b) e c), e 9, paragrafo 5, del regolamento di base. Infatti, la C & J Clark e la Puma ritengono che tali disposizioni siano state violate nella misura in cui le domande di SEM e di TI presentate dai produttori esportatori non inclusi nel campione, presso i quali esse hanno importato i prodotti interessati, non sono state esaminate dalla Commissione.

63.

A tal riguardo, rammento che la Corte ha dichiarato, nelle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53) nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710), che la Commissione ha l’obbligo di pronunciarsi su una domanda di un operatore che desidera beneficiare del SEM anche qualora tale operatore non faccia parte del campione ( 38 ).

64.

Essa ha indicato, infatti, che «l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, fa parte delle disposizioni di tale regolamento dedicate alla sola determinazione del valore normale, mentre l’articolo 17 del medesimo regolamento, relativo al campionamento, fa parte delle disposizioni vertenti segnatamente sui metodi disponibili per la determinazione del margine di dumping. Pertanto, si tratta di disposizioni aventi contenuto e finalità diverse» ( 39 ).

65.

La Corte ha aggiunto che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base «stabilisce l’obbligo di determinare il valore normale, conformemente ai paragrafi 1‑6 del medesimo articolo, ove emerga, sulla base di richieste debitamente motivate e presentate da uno o più produttori, che le condizioni di un’economia di mercato prevalgono per tali produttori. Un tale obbligo relativo al riconoscimento delle condizioni economiche in cui opera ciascun produttore, per quanto riguarda la fabbricazione e la vendita di prodotti simili interessati, non è condizionato dal modo in cui verrà calcolato il margine di dumping» ( 40 ).

66.

La Corte, dopo aver concluso, sulla base di tali motivi, nel senso dell’annullamento delle sentenze impugnate e dopo aver ritenuto che lo stato degli atti consentisse la decisione delle controversie, ha considerato che occorreva annullare il regolamento controverso nella parte in cui riguardava le ricorrenti in tali due cause ( 41 ).

67.

Se la Corte ha effettivamente indicato, al punto 32 della sentenza Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710), che «il Tribunale ha erroneamente respinto, al punto 91 della sentenza impugnata, l’argomento della ricorrente secondo il quale l’articolo 2, paragrafo 7, lettere b) e c), del regolamento di base, obbligava la Commissione ad esaminare le domande di SEM/TI presentate dagli operatori non facenti parte del campione», e se essa ha, pertanto, annullato detta sentenza per tale motivo, la stessa si è per contro limitata a statuire, in seguito, che la Commissione era obbligata a pronunciarsi su una domanda di SEM. Essa non ha quindi preso posizione sulla questione se alla Commissione incomba anche l’obbligo di esaminare una domanda di TI.

68.

Occorre pertanto verificare adesso se sussista un siffatto obbligo in capo alla Commissione.

69.

Secondo quest’ultima, essa non sarebbe tenuta ad esaminare le domande di TI provenienti da produttori esportatori che non figurano nel campione qualora pervenga alla conclusione, in applicazione dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, che il calcolo dei margini di dumping individuali renderebbe il suo compito indebitamente gravoso e le impedirebbe la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

70.

Non condivido tale opinione.

71.

Infatti, al pari delle disposizioni relative al SEM, ritengo che quelle relative al TI abbiano un contenuto e una finalità diverse dall’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base.

72.

Il TI può essere accordato unicamente a produttori esportatori che si trovano in Stati non retti da un’economia di mercato. L’applicazione di tale TI ad un produttore esportatore consente a quest’ultimo di ottenere un dazio antidumping individuale che si rivelerà, nella maggior parte dei casi, inferiore all’aliquota unica imposta ai produttori esportatori situati in uno Stato non retto da un’economia di mercato. Al fine di poter beneficiare di tale trattamento, il produttore esportatore deve fornire varie informazioni alla Commissione, le quali dovranno dimostrare che questi opera in maniera indipendente rispetto allo Stato, ossia che lo stesso è libero di determinare, in diritto e in fatto, le sue vendite all’esportazione. In tal senso, egli deve dimostrare, segnatamente, di essere libero di rimpatriare i capitali e i profitti, nel caso in cui l’impresa sia di proprietà interamente o parzialmente straniera, che i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come pure le condizioni di vendita, sono determinati liberamente o, ancora, che la maggior parte delle azioni appartiene a privati ( 42 ).

73.

L’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base fissa dunque i criteri che devono essere soddisfatti per beneficiare di un TI. Nel caso in cui tali criteri siano soddisfatti, la concessione del TI servirà a determinare il metodo di calcolo del valore normale ( 43 ). È unicamente dopo aver utilizzato tale metodo di calcolo per determinare il valore normale e dopo aver determinato il prezzo all’esportazione, sulla base delle informazioni fornite dai produttori esportatori che beneficiano del TI, che il margine di dumping verrà a sua volta determinato. In questa fase, tali produttori esportatori potranno chiedere, in forza dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, che tale margine venga calcolato in maniera individuale. La Commissione potrà allora accogliere tale domanda oppure, qualora ritenga che il numero di esportatori produttori sia talmente elevato da rendere l’esame dei singoli casi indebitamente gravoso ed impedire la tempestiva conclusione dell’inchiesta, essa potrà respingere detta domanda e fissare un margine di dumping su scala nazionale.

74.

È dunque chiaro che la domanda di TI, al pari della domanda di SEM, deve essere distinta dalla domanda di margine di dumping individuale. Pertanto, a mio avviso, la Commissione non poteva estendere l’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base alle domande di TI, e aveva l’obbligo di esaminare siffatte domande.

75.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che occorra constatare l’invalidità del regolamento controverso nella misura in cui la Commissione non ha esaminato le domande di SEM e di TI dei produttori esportatori della Cina e del Vietnam non facenti parte del campione, in violazione dei requisiti previsti agli articoli 2, paragrafo 7, lettera b), e 9, paragrafo 5, del regolamento di base. Dal momento che il regolamento di proroga mantiene in essere i dazi antidumping nei termini in cui essi sono stati determinati dal regolamento controverso ( 44 ), esso deve parimenti essere dichiarato invalido.

2. Sulle conseguenze che devono essere tratte dal superamento del termine di tre mesi per l’esame delle domande di SEM e di TI

76.

Con la seconda e con la terza questione nella causa C‑659/13, e con la prima questione nella causa C‑34/14, la Corte è chiamata a decidere se il regolamento controverso sia invalido nella misura in cui la Commissione non si è pronunciata entro il termine di tre mesi sulle domande di SEM presentate dai produttori esportatori inseriti o meno nel campione.

77.

Secondo le ricorrenti nei procedimenti principali, si evincerebbe dalla sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53) che il mancato rispetto, da parte della Commissione, del termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, per risolvere la questione se un produttore esportatore soddisfi le condizioni per beneficiare del SEM comporta automaticamente l’invalidità del regolamento controverso. Il Consiglio e la Commissione, da parte loro, considerano, segnatamente, che emerge dalla sentenza Ningbo Yonghong Fasteners/Consiglio (C‑601/12 P, EU:C:2014:115) che l’inosservanza di tale termine può sfociare nell’annullamento del regolamento controverso solo qualora le ricorrenti nei procedimenti principali dimostrino che, in assenza di un siffatto superamento, il Consiglio avrebbe potuto adottare un regolamento diverso più favorevole ai loro interessi.

78.

Osservo che risulta dalla sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio ( 45 ) che, con il terzo motivo, le ricorrenti sostenevano che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto ritenendo che esse non potessero invocare l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, in relazione alle proprie domande di SEM, sulla base del rilievo che il periodo di tre mesi «concerne[va] i casi in cui la Commissione [era] tenuta a esaminare» le domande di SEM e di TI ( 46 ). La Corte, esaminando tale motivo, si è limitata ad indicare che, secondo tale disposizione, la questione se il produttore soddisfi i criteri menzionati al primo comma del medesimo paragrafo 7, lettera c), per beneficiare del SEM deve essere decisa entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta ( 47 ). Inoltre, la sentenza del Tribunale in tale causa è stata annullata sulla base non solo di detto motivo, ma anche dei primi due motivi dedotti dalle ricorrenti ( 48 ).

79.

Pertanto, mi sembra difficile, leggendo la sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio ( 49 ), trarne la conclusione che la Corte abbia statuito che il mancato rispetto del termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base comporta automaticamente l’invalidità del regolamento controverso. Peraltro, al punto 35 della sentenza Ningbo Yonghong Fasteners/Consiglio ( 50 ), la Corte ha spiegato che, nella sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), essa non ha fornito alcuna indicazione sulle conseguenze dell’inosservanza di un siffatto termine.

80.

Per quanto attiene alla sentenza Ningbo Yonghong Fasteners/Consiglio (C‑601/12 P, EU:C:2014:115), contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio e dalla Commissione, ritengo che non sia ivi chiaramente stabilito che il mancato rispetto di tale termine possa comportare l’annullamento del regolamento controverso solo qualora le ricorrenti dimostrino che, in assenza di un siffatto superamento, il Consiglio avrebbe potuto adottare un regolamento diverso più favorevole ai loro interessi. Nella causa sfociata in tale sentenza, la Corte, adita su impugnazione, era tenuta a valutare due motivi concernenti l’interpretazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, relativo al termine per presentare una domanda di SEM. Il primo motivo è stato dichiarato irricevibile dalla Corte ( 51 ). Quanto al secondo motivo, la Corte si è limitata ad indicare che la ricorrente aveva effettuato una lettura errata della sentenza impugnata ( 52 ) e che, «[i]n tali condizioni, e senza che sia necessario statuire sulla questione se il termine fissato da [siffatta disposizione] costituisca una garanzia procedurale intesa a proteggere i diritti della difesa della ricorrente, occorre constatare che [detto motivo] è erroneo in fatto e deve pertanto essere dichiarato infondato» ( 53 ).

81.

È vero che, al punto 42 di detta sentenza, la Corte ha dichiarato che, «[i]n ogni caso, gli argomenti presentati dalla ricorrente nell’ambito di [detto] motivo [erano] inoperanti, nella misura in cui quest’ultima non aveva fatto valere ragioni idonee a dimostrare che non poteva escludersi che la decisione relativa al (...) SEM o il regolamento controverso sarebbero stati più favorevoli ai suoi interessi se il termine in questione fosse stato rispettato, tanto più che la ricorrente non ha contestato dinanzi alla Corte le conclusioni della sentenza impugnata concernenti il merito della decisione relativa al (...) SEM». Questa constatazione supplementare fa supporre che la Corte aderisca in realtà alla giurisprudenza del Tribunale relativa alle conseguenze del mancato rispetto del termine di tre mesi previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base ( 54 ). Tuttavia, da tale giurisprudenza non è dato ricavare alcuna certezza, e le presenti cause offrono alla Corte l’occasione per precisare la sua posizione.

82.

A mio avviso detta giurisprudenza dovrebbe essere confermata. Infatti, come rilevato dal Tribunale, non esiste, nel regolamento di base, alcuna indicazione sulle conseguenze che devono essere tratte dal superamento del termine di tre mesi per la concessione del SEM, contrariamente ad altri termini procedurali previsti da tale regolamento ( 55 ). Analogamente, i lavori preparatori che hanno portato all’inserimento dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base non forniscono maggiori chiarimenti, giacché essi si limitano ad indicare che l’esame della domanda di SEM deve essere effettuato abbastanza presto nel corso dell’inchiesta affinché gli altri termini possano essere rispettati ( 56 ).

83.

Nella sentenza Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio ( 57 ), la Corte è stata chiamata a decidere se il mancato rispetto del termine di dieci giorni previsto all’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento di base doveva comportare l’annullamento del regolamento in questione, il quale imponeva dazi antidumping. Tale disposizione prevede che la Commissione debba concedere alle imprese interessate un termine non inferiore ai dieci giorni per presentare le loro osservazioni circa l’informazione finale relativamente ai fatti e alle considerazioni in base a cui si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive. Come nel caso dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base, quest’ultimo non contiene alcuna indicazione concernente le conseguenze che devono essere tratte dal mancato rispetto di tale termine.

84.

La Corte, confermando la posizione del Tribunale, ha dunque dichiarato che «il mancato rispetto [di detto] termine può portare all’annullamento del regolamento controverso solo in quanto esista la possibilità che, in ragione di tale irregolarità, il procedimento amministrativo avrebbe potuto portare ad un risultato differente, ledendo così in concreto i diritti della difesa della ricorrente» ( 58 ). A tal riguardo, essa ha rammentato che «secondo la giurisprudenza della Corte, non si può obbligare la ricorrente a dimostrare che la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, bensì solo che tale ipotesi non va totalmente esclusa in quanto la ricorrente avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale» ( 59 ).

85.

Inoltre, sempre in questa stessa sentenza, la Corte ha avuto l’occasione di esaminare le conseguenze che debbono essere tratte dall’adozione, da parte della Commissione, di una decisione concernente la concessione del SEM, intervenuta dopo il termine di tre mesi e sostitutiva di una prima decisione. La Corte ha affermato che, «alla luce dei principi di legalità e di buona amministrazione, [l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base,] non può ricevere un’interpretazione che obblighi la Commissione a proporre al Consiglio misure definitive che perpetuerebbero, a danno dell’impresa interessata, un errore commesso nella valutazione iniziale dei detti criteri sostanziali» ( 60 ). Essa ne ha concluso che, «nel caso in cui la Commissione si accorga, nel corso dell’inchiesta, che, contrariamente alla sua iniziale valutazione, un’impresa soddisfa i criteri posti dall’art[icolo] 2, [paragrafo] 7, lett[era] c), primo comma, del regolamento di base, ne dovrebbe trarre conseguenze appropriate, assicurando al contempo il rispetto delle garanzie procedurali previste dal regolamento di base» ( 61 ).

86.

Il Tribunale, a mio avviso giustamente, ne ha tratto la conseguenza che si deve ritenere che, «se è vero, in linea di principio, che tutte le decisioni sul SEM, a norma del tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, dovrebbero essere adottate entro tre mesi dall’apertura dell’inchiesta e che l’accertamento effettuato dovrebbe restare valido durante tale inchiesta, ciò non toglie che, allo stato attuale del diritto dell’Unione e secondo l’interpretazione data di tale norma dal giudice dell’Unione (…), da un lato, l’adozione di una decisione al di fuori di tale termine non comporta di per sé l’annullamento di un regolamento istitutivo di un dazio antidumping e, dall’altro, una tale decisione potrebbe essere modificata nel corso del procedimento qualora si riveli errata» ( 62 ).

87.

Alla luce di tali elementi, sono del parere che la Corte dovrebbe confermare la giurisprudenza del Tribunale secondo la quale non può ritenersi che ogni superamento del termine previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base dovrebbe comportare automaticamente l’annullamento del regolamento del Consiglio che istituisce dazi antidumping definitivi. Infatti, un siffatto superamento può comportare un simile annullamento soltanto se la ricorrente prova che, in mancanza di questo superamento, il Consiglio avrebbe potuto adottare un regolamento diverso e più favorevole ai suoi interessi rispetto al regolamento in questione ( 63 ).

88.

È giocoforza constatare che le ricorrenti nei procedimenti principali non forniscono alcun elemento idoneo a dimostrare che il rispetto del termine da parte della Commissione sarebbe sfociato nell’adozione di un regolamento più favorevole ai loro interessi rispetto al regolamento controverso.

89.

Di conseguenza, ritengo che il superamento del termine previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base non abbia rivelato l’esistenza di elementi idonei ad inficiarne la validità.

3. Sulla determinazione del margine di dumping

90.

Con la prima questione nella causa C‑34/14 il giudice del rinvio chiede parimenti se il regolamento controverso sia invalido a causa di una violazione dell’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base, nella misura in cui il margine della Golden Step – unica società ad aver beneficiato del SEM – non sarebbe stato preso in considerazione nel calcolo della media ponderata dei margini di dumping del campione e non avrebbe pertanto avuto alcuna incidenza sulla media ponderata dei margini di dumping applicata ai produttori esportatori cinesi non inclusi in tale campione.

91.

Intendo che, secondo il giudice del rinvio, la Commissione sarebbe stata tenuta a calcolare i margini di dumping individuali nei confronti dei produttori esportatori inclusi nel campione, e a calcolare, successivamente, la media ponderata dei margini di dumping includendo il margine individuale della Golden Step.

92.

A tal riguardo ritengo che il giudice del rinvio interpreti in maniera erronea le disposizioni del regolamento di base. Difatti, in forza dell’articolo 2, paragrafo 11, di tale regolamento, «(…) l’esistenza di margini di dumping nel corso dell’inchiesta è di norma accettata in base al confronto tra la media ponderata del valore normale e la media ponderata dei prezzi di tutte le transazioni di esportazione nella Comunità oppure in base al confronto tra i singoli valori normali e i singoli prezzi all’esportazione nella Comunità per ogni operazione». Tale paragrafo non esclude il ricorso al campionamento. Alla luce di tale disposizione la Commissione era senz’altro legittimata a calcolare, per i produttori esportatori inclusi nel campione, una media ponderata dei margini di dumping, nella misura in cui, al momento dell’adozione del regolamento provvisorio, nessuno di tali produttori esportatori aveva ottenuto il SEM o il TI ( 64 ).

93.

Per quanto attiene, poi, al metodo applicato per fissare il margine di dumping per i produttori esportatori che hanno collaborato all’indagine ma che non figuravano nel campione, si deve osservare che la Commissione ha applicato l’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base. Risulta infatti dal considerando 135 del regolamento provvisorio che il margine di dumping di tali produttori esportatori, i quali non sono stati sottoposti a un esame individuale, è stato stabilito in base alla media ponderata dei margini di dumping delle società incluse nel campione. Dato che è stato determinato un unico margine di dumping per il campione di produttori esportatori cinesi, da un lato, e per quello di produttori esportatori vietnamiti, dall’altro, questi stessi margini sono stati attribuiti a tutti gli altri produttori esportatori di Cina e Vietnam ( 65 ).

94.

Fra l’adozione dei regolamenti provvisorio e controverso, la Commissione ha concesso il SEM alla Golden Step, la quale fa parte del campione, ritenendo che, alla luce delle informazioni fornite da tale società, occorresse rivedere la decisione originale e accordarle tale status ( 66 ). Per detta società è stato pertanto calcolato un margine di dumping individuale ( 67 ). Per contro, il metodo applicato è rimasto invariato, vale a dire che la Commissione ha applicato l’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base ( 68 ), e nulla, in tale regolamento, indica che il margine di dumping della Golden Step non sia stato preso in considerazione nel metodo di calcolo in parola. A tal riguardo, emerge dalla sentenza Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio ( 69 ) che il Tribunale ha constatato che il margine di dumping della Golden Step è stato preso in considerazione ai fini del calcolo della media ponderata dei margini di dumping del campione ( 70 ). La menzionata sentenza è stata invero annullata dalla Corte con la motivazione che il Tribunale ha violato l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base ( 71 ). Tuttavia, la constatazione della considerazione del margine di dumping della Golden Step a fini del calcolo della media ponderata dei margini di dumping non è stata rimessa in discussione dalla ricorrente.

95.

Di conseguenza, alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che i margini di dumping per le esportazioni di calzature con tomaie di cuoio provenienti dalla Cina e dal Vietnam siano stati determinati in maniera corretta nel regolamento controverso. Inoltre, tale constatazione vale anche per il regolamento di proroga, giacché risulta da quest’ultimo che è stato adottato lo stesso metodo di calcolo ( 72 ).

4. Sull’accertamento del pregiudizio e del nesso di causalità

96.

Con le sue questioni dalla quarta alla sesta nella causa C‑659/13 il giudice del rinvio chiede alla Corte di stabilire se il regolamento controverso debba essere dichiarato invalido poiché esso violerebbe gli articoli da 3 a 5 e 17 del regolamento di base, dato che un numero insufficiente di produttori comunitari ha collaborato, che le prove del fascicolo di inchiesta hanno mostrato che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria è stato valutato utilizzando dati viziati da errori materiali e che gli effetti degli altri fattori dei quali è nota l’idoneità a causare un pregiudizio non sono stati correttamente separati e distinti dagli effetti delle importazioni asseritamente oggetto di un dumping.

97.

Anzitutto, nell’ambito della quarta questione, la C & J Clark sostiene che le istituzioni dell’Unione non hanno potuto valutare correttamente il pregiudizio causato all’industria comunitaria giacché solo dieci produttori comunitari sono stati inclusi nel campione e sostenevano dunque la denuncia, il che rappresenterebbe soltanto il 4,2% della produzione comunitaria, ben lungi dal 25% richiesto dall’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base.

98.

Non condivido il punto di vista della C & J Clark.

99.

Rammento che l’articolo 5, paragrafi 1 e 4, del regolamento in parola, prevede che l’inchiesta per determinare l’esistenza, il grado e l’effetto delle pretese pratiche di dumping è aperta in seguito ad una denuncia presentata da o per conto dell’industria comunitaria. Così avviene se la denuncia è sostenuta da produttori comunitari che, nel caso di un prodotto simile, complessivamente effettuano oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione alla denuncia. L’inchiesta tuttavia non può essere aperta se i produttori comunitari che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia effettuano meno del 25% della produzione totale di prodotto simile realizzata dall’industria comunitaria.

100.

Poiché il numero di produttori comunitari è elevato, la Commissione ha anzitutto deciso di raccogliere diverse informazioni relative a detti produttori tramite un questionario sulla legittimazione ad agire. Segnatamente, attraverso il succitato questionario, i produttori comunitari dovevano far conoscere la loro posizione quanto all’eventuale apertura di un’inchiesta antidumping, se essi sostenevano la denuncia, vi si opponevano o non prendevano posizione al riguardo ( 73 ). Come rilevato dal Tribunale nella sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio ( 74 ), il fondamento giuridico in base al quale siffatte informazioni venivano richieste era l’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base. Inoltre, in allegato al medesimo questionario, figuravano gli articoli 4 e 5 del regolamento menzionato. Al pari del Tribunale, ritengo che ciò dimostri che i produttori comunitari fossero dunque consapevoli del fatto che detto questionario era inteso a stabilire, segnatamente, se essi sostenessero o meno la denuncia e che essi dovevano, per questo motivo, fornire una serie di elementi di prova sull’esistenza di un dumping, di un pregiudizio e di un nesso di causalità fra i due ( 75 ), elementi che costituiscono la denuncia in conformità all’articolo 5, paragrafo 2, del regolamento di base.

101.

La conclusione che se ne può trarre è semplice. La risposta al questionario sulla legittimazione ad agire era sufficiente a dimostrare che 814 produttori comunitari, che effettuavano più del 40% della produzione comunitaria, sostenevano la denuncia, in conformità all’articolo 5, paragrafo 4, del citato regolamento ( 76 ). È solo in un secondo momento, alla luce degli elementi forniti da tali produttori, che la Commissione ha selezionato quelli che potevano meglio rappresentare l’industria comunitaria per formare un campione, in conformità all’articolo 17 del regolamento di base ( 77 ).

102.

Emerge poi dalla quinta questione nella causa C‑659/13 che il giudice del rinvio nutre parimenti dubbi in ordine alla validità del regolamento controverso a causa di una violazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, e dell’articolo 296 TFUE, giacché gli elementi probatori del fascicolo di inchiesta hanno mostrato che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria è stato valutato utilizzando dati viziati da errori materiali.

103.

La C & J Clark spiega, a tal riguardo, che la Commissione avrebbe ricevuto note informative che rimettevano in discussione le informazioni fornite da taluni produttori comunitari nell’ambito dell’inchiesta antidumping. Con tutto ciò, le istituzioni dell’Unione non hanno rivisto le loro conclusioni relative al pregiudizio sulla base di tali note, e il regolamento controverso non ne menziona le ragioni. Pertanto, esse avrebbero violato l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, in forza del quale l’accertamento dell’esistenza di un pregiudizio si fonda su prove positive e comporta un esame oggettivo.

104.

Occorre menzionare che l’articolo 3, paragrafo 5, di tale regolamento indica che l’esame dell’incidenza delle importazioni oggetto di dumping sull’industria comunitaria interessata comprende una valutazione di tutti i fattori e indicatori economici pertinenti in rapporto con la situazione dell’industria. Orbene, constato che le note menzionate dalla C & J Clark e prodotte in allegato alle sue osservazioni sono in realtà unicamente affermazioni apparse sulla stampa su frodi ed errori asseritamente commessi da produttori comunitari di calzature ( 78 ). Di conseguenza, le istituzioni dell’Unione, nell’ambito dell’inchiesta antidumping, potevano giustamente escludere tali note irrilevanti e non probanti, per concentrarsi sui numerosi altri elementi rilevanti e complessi forniti dagli operatori economici interessati.

105.

Infine, con la sesta questione, il giudice del rinvio, nella causa C‑659/13, si chiede se il regolamento controverso sia invalido poiché viola l’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, dato che gli effetti degli altri fattori di cui è nota l’idoneità a causare un pregiudizio non sono stati correttamente separati e distinti dagli effetti delle importazioni asseritamente oggetto di un dumping, cosicché il nesso di causalità fra tali importazioni e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria non sarebbe stato correttamente accertato.

106.

In particolare, secondo la C & J Clark, le istituzioni dell’Unione non avrebbero esaminato a sufficienza l’assenza di competitività dell’industria comunitaria, l’incidenza delle importazioni provenienti dagli Stati terzi né quella della soppressione dei contingenti sulle importazioni provenienti dalla Cina.

107.

Ricordo che è giurisprudenza costante che la determinazione della sussistenza di un pregiudizio per l’industria comunitaria presuppone la valutazione di situazioni economiche complesse e che il controllo giurisdizionale di siffatta valutazione deve essere quindi limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati, dell’assenza di manifesti errori di apprezzamento di tali fatti o di sviamento di potere. È quanto accade, appunto, per la determinazione dei fattori che causano un pregiudizio all’industria comunitaria nell’ambito di un’inchiesta antidumping ( 79 ).

108.

In sede di determinazione di tale pregiudizio, le istituzioni dell’Unione sono tenute a valutare se il danno che intendono prendere in considerazione provenga effettivamente dalle importazioni oggetto di dumping e ad escludere ogni danno derivante da altri fattori, in particolare quello eventualmente causato dallo stesso comportamento dei produttori comunitari ( 80 ).

109.

Spetta a tal titolo alle istituzioni dell’Unione verificare se gli effetti di detti altri fattori non siano stati tali da interrompere il nesso di causalità tra le importazioni di cui trattasi, da un lato, e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, dall’altro. Spetta loro verificare altresì che il danno riconducibile a detti altri fattori non venga conteggiato nella determinazione del pregiudizio di cui all’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base e che, di conseguenza, il dazio antidumping imposto non ecceda quanto necessario ad eliminare il pregiudizio provocato dalle importazioni oggetto di dumping. Se, però, le istituzioni dell’Unione accertano che, nonostante tali fattori, il danno causato dalle importazioni oggetto di dumping è grave ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di base, il nesso di causalità tra tali importazioni e il danno subito dall’industria comunitaria può, di conseguenza, essere stabilito ( 81 ).

110.

L’esame della rilevanza degli altri fattori da prendere in considerazione per la determinazione del pregiudizio fa parte di una valutazione economica complessa nella quale le istituzioni dell’Unione godono, lo rammento, di un ampio potere discrezionale. Nella specie, si evince chiaramente dal regolamento controverso che le istituzioni dell’Unione hanno verificato se il pregiudizio subito dai produttori comunitari non risultasse da fattori diversi dalle importazioni oggetto delle misure antidumping, e segnatamente dalla mancanza di competitività dell’industria comunitaria, dall’incidenza delle importazioni provenienti dagli Stati terzi o dalla soppressione dei contingenti sulle importazioni provenienti dalla Cina ( 82 ).

111.

Pertanto, alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che le istituzioni dell’Unione non siano incorse in un errore nell’accertamento del pregiudizio subito dall’industria comunitaria e del nesso di causalità fra tale pregiudizio e le importazioni interessate dalle misure antidumping.

5. Gli effetti della relazione del gruppo speciale del DSB e delle norme dell’OMC sulla legittimità del regolamento controverso

112.

Nell’ambito della prima questione nella causa C‑34/14, il giudice del rinvio nutre dubbi in ordine alla validità del regolamento controverso nella misura in cui esso è fondato sull’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base. Orbene, il giudice del rinvio ritiene che tale disposizione sia incompatibile con gli articoli 6.10 e 9.2 dell’accordo antidumping. Il regolamento controverso, peraltro, sarebbe parimenti invalido dal momento che il margine di dumping della Golden Step non sarebbe stato calcolato in conformità all’articolo 2.2.2, iii), dell’accordo antidumping, secondo la relazione del gruppo speciale dell’organo di conciliazione dell’OMC (Dispute Settlement Board; in prosieguo: il «DSB»), investito della controversia «UE-Calzature» ( 83 ).

113.

Occorre rammentare che risulta da una giurisprudenza costante della Corte che, tenuto conto della loro natura e della loro economia, l’accordo che istituisce l’OMC, nonché gli accordi contenuti negli allegati 1, 2 e 3 di quest’ultimo (in prosieguo, congiuntamente: gli «accordi OMC»), non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali può essere controllata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione ( 84 ). È solo nel caso in cui l’Unione abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nel contesto di tali accordi oppure nel caso in cui l’atto di diritto dell’Unione di cui trattasi faccia espresso rinvio a precise disposizioni dei medesimi accordi che spetta al giudice dell’Unione, se del caso, controllare la legittimità di un atto dell’Unione e degli atti adottati per la sua applicazione alla luce di detti accordi ( 85 ).

114.

Secondo il giudice del rinvio, si evincerebbe dai considerando 3 e seguenti del regolamento di base che le disposizioni di quest’ultimo sono state modificate alla luce dei negoziati commerciali multilaterali conclusi nel 1994 e dei nuovi accordi sull’applicazione dell’articolo VI del GATT di cui fa parte l’accordo antidumping. Di conseguenza, «[era] è opportuno trasporre, per quanto possibile, i termini del nuovo accordo nella legislazione [dell’Unione]» ( 86 ). Il legislatore dell’Unione avrebbe pertanto adottato il regolamento di base al fine di adempiere ai propri obblighi internazionali, e la Corte dovrebbe dunque controllare la legittimità del regolamento controverso alla luce di tali obblighi.

115.

La Corte ha avuto recentemente l’occasione di prendere posizione su tale punto. Nella sentenza Commissione/Rusal Armenal ( 87 ), essa ha infatti indicato che la stessa «in taluni casi, ha riconosciuto che il sistema antidumping dell’OMC poteva costituire un’eccezione al principio generale secondo cui il giudice dell’Unione non può controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione in base alla loro conformità alle norme contenute negli accordi OMC» ( 88 ). Tuttavia, «per applicare tale eccezione a un caso specifico, occorre pure che sia sufficientemente dimostrata l’intenzione del legislatore di attuare nel diritto dell’Unione un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi OMC» ( 89 ). «A tal fine non è sufficiente (…) che dai considerando dell’atto dell’Unione di cui trattasi risulti in generale che l’adozione di quest’ultimo sia avvenuta tenendo conto di obblighi internazionali dell’Unione. È necessario, per contro, che dalla disposizione specifica controversa del diritto dell’Unione si possa desumere che quest’ultima è volta ad attuare nel diritto dell’Unione un obbligo particolare risultante dagli accordi OMC» ( 90 ).

116.

L’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, ha introdotto un regime speciale per le importazioni provenienti da Stati non retti da un’economia di mercato, ossia un TI per i produttori esportatori interessati. La concessione di un siffatto trattamento comporta l’applicazione di un metodo particolare per il calcolo del valore normale.

117.

La constatazione della Corte concernente l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base ( 91 ), vale parimenti per l’articolo 9, paragrafo 5, del medesimo. Infatti, si evince dalla summenzionata comunicazione della Commissione ( 92 ), che il TI, al pari del SEM, mira a prendere in considerazione l’emergere di imprese, in Stati membri dell’OMC non retti da un’economia di mercato, le quali operano in maniera indipendente rispetto allo Stato, determinando liberamente, in diritto e in fatto, le loro vendite all’esportazione. L’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base costituisce pertanto, parimenti, l’espressione della volontà del legislatore dell’Unione di adottare, in tale settore, un approccio proprio dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

118.

Tale constatazione non è rimessa in discussione dal fatto che il considerando 5 del regolamento di base afferma che occorre trasporre «per quanto possibile» le norme dell’accordo antidumping nel diritto dell’Unione. Detta espressione, infatti, deve essere intesa nel senso che il legislatore dell’Unione, pur intendendo tener conto delle norme dell’accordo antidumping al momento dell’adozione del regolamento di base, non ha tuttavia manifestato l’intenzione di procedere ad una trasposizione di ciascuna di tali norme in detto regolamento ( 93 ).

119.

Per quanto attiene all’incidenza della relazione del gruppo speciale del DSB sulla validità del regolamento controverso, occorre rammentare che, in conformità all’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1515/2001 ( 94 ), il Consiglio può, a seconda dei casi, a seguito di una relazione adottata dal DSB, abrogare o modificare la misura contestata, oppure adottare qualsiasi altra misura speciale ritenuta appropriata date le circostanze. È giocoforza constatare che nessuna misura speciale è stata adottata al fine di abrogare o modificare il margine di dumping imposto alla Golden Step. Poiché l’Unione non ha inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’accordo antidumping e poiché, come si è visto, il regolamento di base non rinvia espressamente a precise disposizioni di tale accordo, la legittimità del regolamento controverso non può essere sindacata con riferimento a detto accordo, come successivamente interpretato dalle raccomandazioni del DSB ( 95 ).

120.

Di conseguenza, la Corte non può valutare la validità del regolamento controverso alla luce dell’accordo antidumping e non può essere vincolata dalla relazione del gruppo speciale del DSB.

C – Sulle conseguenze da trarre dalle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio, nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio e dall’invalidità del regolamento controverso

121.

La settima questione nella causa C‑659/13, e la seconda questione, lettera a), nella causa C‑34/14 portano la Corte ad esaminare, da un lato, gli effetti delle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710) nei confronti degli altri produttori esportatori e degli importatori e, dall’altro, gli effetti dell’invalidità del regolamento controverso.

1. Sugli effetti delle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio, nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio

122.

Con la settima questione il First-tier Tribunal (Tax Chamber) (tribunale di primo grado, sezione tributaria) chiede alla Corte, in sostanza, se l’annullamento del regolamento controverso nelle cause sfociate nelle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710) comporti che i dazi antidumping pagati in forza di tale regolamento non erano legalmente dovuti ai sensi dell’articolo 236, paragrafo 1, primo comma, del codice doganale.

123.

In realtà, con tale questione, il giudice del rinvio desidera accertare se un siffatto annullamento abbia effetti erga omnes.

124.

Ricordo che la Corte, nelle sentenze di cui trattasi, ha annullato il regolamento controverso «nella parte in cui riguarda le ricorrenti» in tali cause.

125.

Risulta peraltro dalla giurisprudenza della Corte che, poiché il giudice dell’Unione chiamato a sindacare su un caso di eccesso di potere, non può statuire ultra petita, l’annullamento da esso pronunciato non può eccedere quello richiesto dal ricorrente ( 96 ). La Corte ha precisato, a questo proposito, che, se il destinatario di una decisione decide di proporre un ricorso di annullamento, il giudice dell’Unione è investito dei soli elementi della decisione che lo riguardano, mentre gli elementi riguardanti altri destinatari, che non sono stati impugnati, non rientrano nell’oggetto della controversia che il giudice dell’Unione è chiamato a risolvere ( 97 ).

126.

Inoltre, la Corte ha dichiarato che, se l’autorità assoluta di cui gode una sentenza di annullamento di un giudice dell’Unione inerisce tanto al dispositivo della sentenza quanto alla motivazione che ne costituisce il necessario fondamento, essa non può comportare l’annullamento di un atto non deferito alla censura del giudice dell’Unione che sia viziato dalla stessa illegittimità ( 98 ).

127.

Di conseguenza, l’annullamento, da parte della Corte, del regolamento controverso nelle cause sfociate nelle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710), in quanto impone un dazio antidumping alle ricorrenti, non inficia la validità degli altri elementi di tale regolamento, e in particolare del dazio antidumping applicabile alle importazioni di talune calzature con tomaie di cuoio fabbricate dagli altri produttori esportatori, in particolare quelli che riforniscono la C & J Clark e la Puma, poiché questi elementi non rientravano nell’oggetto delle controversie che il giudice dell’Unione era chiamato a risolvere ( 99 ).

128.

Pertanto, l’annullamento del regolamento controverso ad opera di queste sentenze non ha comportato che i dazi antidumping pagati a norma di tale regolamento non fossero legalmente dovuti ai sensi dell’articolo 236, paragrafo 1, primo comma, del codice doganale, per gli importatori che si riforniscono presso produttori esportatori diversi da quelli interessati da dette sentenze.

2. Sulle conseguenze che devono essere tratte dall’invalidità del regolamento controverso

129.

Con la seconda questione, lettera a), nella causa C‑34/14, il Finanzgericht München (tribunale di Monaco di Baviera competente in materia tributaria) chiede quali siano le conseguenze della declaratoria di invalidità, da parte della Corte, del regolamento controverso.

130.

A tal riguardo, ricordo che, secondo una costante giurisprudenza, «spetta alle autorità nazionali trarre le conseguenze, nel loro ordinamento giuridico, di una declaratoria d’invalidità, con la conseguenza che i dazi antidumping pagati in forza del regolamento in questione non sarebbero legittimamente dovuti ai sensi dell’art[icolo] 236, [paragrafo] 1, del [codice doganale] e dovrebbero, in linea di principio, essere rimborsati dalle autorità doganali, conformemente a tale disposizione, purché ricorrano le condizioni a cui tale rimborso è assoggettato, tra cui quella prevista al [paragrafo] 2 di detto articolo» ( 100 ).

131.

Pertanto, per quanto riguarda più specificamente la Puma, si deve osservare che, a seguito di una declaratoria di invalidità di un regolamento antidumping da parte della Corte, un operatore economico non potrà più pretendere, in linea di principio, il rimborso dei dazi antidumping pagati in forza di tale regolamento e per i quali il termine di tre anni previsto dall’articolo 236, paragrafo 2, del codice doganale, è scaduto. Infatti, tale disposizione circoscrive in un limite di tre anni il rimborso dei dazi doganali non legalmente dovuti.

132.

Di conseguenza, la seconda questione, lettera a), nella causa C‑34/14, deve essere risolta nel senso che la Puma, che ha proposto dinanzi ad un giudice nazionale un ricorso contro le decisioni con cui le viene richiesto il pagamento di dazi antidumping in applicazione del regolamento controverso, dichiarato invalido dalla Corte, ha il diritto, in linea di principio, di far valere siffatta invalidità dinanzi al giudice nazionale per ottenere il rimborso di tali dazi in conformità all’articolo 236, paragrafo 1, del codice doganale. Spetterà al giudice nazionale determinare se le condizioni a cui il rimborso in parola è assoggettato, fra cui quella prevista al paragrafo 2 di detto articolo, siano soddisfatte.

D – Sulla nozione di caso fortuito o di forza maggiore, ai sensi dell’articolo 236 del codice doganale

133.

Con la seconda questione, lettera b), nella causa C‑34/14, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte, di stabilire se l’articolo 236, paragrafo 2, secondo comma, del codice doganale debba essere interpretato nel senso che la declaratoria di invalidità del regolamento controverso costituisca un «caso fortuito» che ha impedito all’interessato di depositare la propria domanda nel termine richiesto di tre anni, consentendogli, in tal modo, di prorogare tale termine.

134.

A tal riguardo si deve rammentare che la Corte ha statuito, nella sentenza CIVAD ( 101 ), che «l’illegittimità di un regolamento non costituisce un caso di forza maggiore, ai sensi di tale disposizione, che consente di prorogare il termine di tre anni entro il quale un importatore può chiedere il rimborso dei dazi all’importazione versati in applicazione di detto regolamento» ( 102 ).

135.

A mio avviso la menzionata giurisprudenza è applicabile alla situazione che caratterizza la causa C‑34/14. Infatti, rammento che «[l]a nozione di caso fortuito comporta un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, ed un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi» ( 103 ). In realtà, la nozione di caso fortuito coincide con quella di forza maggiore ( 104 ).

136.

Di conseguenza, il ragionamento elaborato dalla Corte nella sentenza CIVAD ( 105 ) deve essere applicato nella causa C‑34/14. Pertanto, poiché il rimborso dei dazi all’importazione o all’esportazione versati costituisce un’eccezione rispetto al normale regime delle importazioni e delle esportazioni, le disposizioni che lo prevedono devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, e la nozione di «caso fortuito», ai sensi dell’articolo 236, paragrafo 2, secondo comma, del codice doganale, dev’essere interpretata restrittivamente ( 106 ).

137.

La Corte ha poi dichiarato che l’illegittimità di un regolamento antidumping, che costituisce l’elemento oggettivo, non può essere considerata una circostanza anormale ( 107 ). Quanto all’elemento soggettivo, la Puma avrebbe potuto presentare domanda di rimborso sin dal primo versamento dei dazi antidumping in base al regolamento controverso, al fine, segnatamente, di contestare la validità di tale regolamento sollevando un’eccezione di illegittimità dinanzi al giudice nazionale, il quale potrà, o dovrà, investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ( 108 ).

138.

Di conseguenza, ritengo che, poiché la Puma disponeva della possibilità di contestare la validità di detto regolamento entro il termine di tre anni previsto dall’articolo 236, paragrafo 2, primo comma, del codice doganale, presentando una domanda di rimborso dei dazi pagati in forza del regolamento controverso, l’invalidità di tale regolamento, qualora essa dovesse essere effettivamente constatata dalla Corte, non costituirebbe un caso fortuito che le avrebbe impedito di depositare una domanda entro tale termine ( 109 ).

139.

Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 236, paragrafo 2, secondo comma, del codice doganale debba essere interpretato nel senso che la declaratoria di invalidità di un regolamento che impone dazi antidumping non costituisce un caso fortuito, ai sensi di tale disposizione, che consente di prorogare il termine di tre anni entro il quale un importatore può chiedere il rimborso dei dazi all’importazione versati in applicazione del regolamento in parola.

V – Conclusione

140.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nel modo seguente al First-tier Tribunal (Tax Chamber) (tribunale di primo grado, sezione tributaria):

1)

Il regolamento (CE) n. 1472/2006 del Consiglio, del 5 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, e il regolamento di esecuzione (UE) n. 1294/2009 del Consiglio del 22 dicembre 2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie del Vietnam e della Repubblica popolare cinese esteso alle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio spedite dalla RAS di Macao, a prescindere che siano dichiarate o no originarie della RAS di Macao, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, sono invalidi nella misura in cui la Commissione europea non ha esaminato le domande di status di società operante in un’economia di mercato e di trattamento individuale dei produttori esportatori della Cina e del Vietnam non inclusi nel campione, in violazione dei requisiti previsti agli articoli 2, paragrafo 7, lettera b), e 9, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea.

2)

L’annullamento, da parte della Corte, del regolamento n. 1472/2006 nelle cause sfociate nelle sentenze Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53), nonché Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710), nella misura in cui impone un dazio antidumping alle ricorrenti in tali cause, non inficia la validità degli altri elementi di tale regolamento, e in particolare del dazio antidumping applicabile alle importazioni di talune calzature con tomaie di cuoio fabbricate dagli altri produttori esportatori, poiché questi elementi non rientravano nell’oggetto della controversia che il giudice dell’Unione era chiamato a risolvere.

141.

Propongo alla Corte di rispondere nel modo seguente al Finanzgericht München (Tribunale di Monaco di Baviera competente in materia tributaria):

1)

Il regolamento n. 1472/2006 e il regolamento di esecuzione n. 1294/2009 sono invalidi nella misura in cui la Commissione europea non ha esaminato le domande di status di società operante in un’economia di mercato e di trattamento individuale dei produttori esportatori della Cina e del Vietnam non inclusi nel campione, in violazione dei requisiti previsti agli articoli 2, paragrafo 7, lettera b), e 9, paragrafo 5, del regolamento n. 384/96.

2)

Un importatore, come la Puma SE, che ha proposto dinanzi ad un giudice nazionale un ricorso contro le decisioni con cui le viene richiesto il pagamento di dazi antidumping in applicazione del regolamento n. 1472/2006, dichiarato invalido dalla Corte, ha il diritto, in linea di principio, di far valere siffatta invalidità dinanzi al giudice nazionale per ottenere il rimborso di tali dazi in conformità all’articolo 236, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario. Spetterà al giudice nazionale determinare se le condizioni a cui il rimborso in parola è assoggettato, fra cui quella prevista al paragrafo 2 di detto articolo, siano soddisfatte.

3)

L’articolo 236, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 2913/92 deve essere interpretato nel senso che la declaratoria di invalidità di un regolamento che impone dazi antidumping non costituisce un caso fortuito, ai sensi di tale disposizione, che consente di prorogare il termine di tre anni entro il quale un importatore può chiedere il rimborso dei dazi all’importazione versati in applicazione del regolamento in parola.


( 1 )   Lingua originale: il francese.

( 2 )   GU L 275, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso».

( 3 )   GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping».

( 4 )   Accordo firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato dalla decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1).

( 5 )   GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale».

( 6 )   GU L 56, pag. 1, e rettifica in GU 2000, L 263, pag. 34. Regolamento come modificato dal regolamento (CE) n. 2117/2005 del Consiglio, del 21 dicembre 2005 (GU L 340, pag. 17; in prosieguo: il «regolamento di base»).

( 7 )   GU L 253, pag. 1.

( 8 )   In prosieguo: il «TI».

( 9 )   GU L 98, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento provvisorio».

( 10 )   Regolamento del Consiglio, del 22 dicembre 2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie del Vietnam e della Repubblica popolare cinese esteso alle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio spedite dalla RAS di Macao, a prescindere che siano dichiarate o no originarie della RAS di Macao, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio (GU L 352, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di proroga»).

( 11 )   V. sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53).

( 12 )   V. sentenza Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710).

( 13 )   V. sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (C‑249/10 P, EU:C:2012:53, punto 38). V., parimenti, sentenza Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710, punti da 28 a 30).

( 14 )   C‑188/92, EU:C:1994:90.

( 15 )   Punti 17 e 18.

( 16 )   C‑188/92, EU:C:1994:90.

( 17 )   Sentenza Valimar (C‑374/12, EU:C:2014:2231, punti 2829, nonché la giurisprudenza ivi citata). V., parimenti, sentenza TMK Europe (C‑143/14, EU:C:2015:236, punto 18).

( 18 )   Sentenza Valimar (C‑374/12, EU:C:2014:2231, punti 3031, nonché la giurisprudenza ivi citata).

( 19 )   Ibidem (punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).

( 20 )   In prosieguo: «OEM». Un OEM è stato definito dalla Corte come un fornitore, con il proprio marchio, di prodotti fabbricati da altre aziende (v. sentenza Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio, C‑133/87 e C‑150/87, EU:C:1990:115, punto 3).

( 21 )   C‑133/87 e C‑150/87, EU:C:1990:115.

( 22 )   C‑156/87, EU:C:1990:116.

( 23 )   Sentenze Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio (C‑133/87 e C‑150/87, EU:C:1990:115, punti da 16 a 20), nonché Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione (C‑156/87, EU:C:1990:116, punti da 19 a 23).

( 24 )   Idem.

( 25 )   T‑134/10, EU:T:2014:143.

( 26 )   Punto 54 di tale ordinanza.

( 27 )   V. paragrafo 37 delle presenti conclusioni.

( 28 )   C‑351/04, EU:C:2007:547.

( 29 )   Punti da 43 a 57.

( 30 )   C‑374/12, EU:C:2014:2231.

( 31 )   Punti da 39 a 61.

( 32 )   C‑143/14, EU:C:2015:236.

( 33 )   Punti da 31 a 45.

( 34 )   Sentenza Valimar (C‑374/12, EU:C:2014:2231, punto 37).

( 35 )   V. articolo 2, paragrafi 7, lettera b), e 11, del regolamento di base.

( 36 )   V. articolo 9, paragrafo 5, di tale regolamento.

( 37 )   V. considerando 519 del regolamento di proroga.

( 38 )   V., rispettivamente, punti da 36 a 38 e punti da 29 a 32 di tali sentenze.

( 39 )   V., rispettivamente, punto 37 e punto 33 di dette sentenze.

( 40 )   V., rispettivamente, punto 38 e punto 30 delle stesse sentenze.

( 41 )   V., rispettivamente, punti da 40 a 43 e punti da 34 a 37 di dette sentenze.

( 42 )   V. articolo 9, paragrafo 5, lettere da a) a c), del regolamento di base.

( 43 )   V. sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T‑401/06, EU:T:2010:67, punto 78), nella quale il Tribunale ha correttamente effettuato tale constatazione, senza tuttavia trarne le giuste conseguenze.

( 44 )   V. considerando 519 e articolo 1, paragrafo 3, del regolamento di proroga.

( 45 )   C‑249/10 P, EU:C:2012:53.

( 46 )   Punto 25.

( 47 )   Punto 39.

( 48 )   Punto 40.

( 49 )   C‑249/10 P, EU:C:2012:53.

( 50 )   C‑601/12 P, EU:C:2014:115.

( 51 )   Punti da 29 a 33.

( 52 )   Punti 39 e 40.

( 53 )   Punto 41.

( 54 )   V., a titolo di esempio, sentenze Shanghai Excell M & E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio (T‑299/05, EU:T:2009:72); Since Hardware (Guangzhou)/Consiglio (T‑156/11, EU:T:2012:431), nonché Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio (T‑443/11, EU:T:2014:774).

( 55 )   Sentenza Shanghai Excell M & E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio (T‑299/05, EU:T:2009:72, punti 116, 118119).

( 56 )   V. comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa al trattamento delle economie in precedenza definite non di mercato nei procedimenti antidumping e proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento n. 384/96 [COM(97) 677 def.]. Analogamente, i lavori preparatori che hanno portato all’adozione del regolamento (UE) n. 1168/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, che modifica il regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 344, pag. 1), non apportano alcuna precisazione in merito all’obiettivo di un siffatto termine, che è stato esteso ad otto mesi.

( 57 )   C‑141/08 P, EU:C:2009:598.

( 58 )   Punti 81 e 107 nonché la giurisprudenza ivi citata.

( 59 )   Punto 94.

( 60 )   Punto 111.

( 61 )   Punto 112.

( 62 )   Sentenza Since Hardware (Guangzhou)/Consiglio (T‑156/11, EU:T:2012:431, punto 167).

( 63 )   Ibidem (punto 160 e la giurisprudenza ivi citata).

( 64 )   V. considerando 134 del regolamento provvisorio.

( 65 )   V. considerando 143 del regolamento provvisorio.

( 66 )   V. considerando da 70 a 72 del regolamento controverso.

( 67 )   V. considerando 146 di tale regolamento.

( 68 )   Idem.

( 69 )   T‑407/06 e T‑408/06, EU:T:2010:68.

( 70 )   Punto 103.

( 71 )   Sentenza Zhejiang Aokang Shoes/Consiglio (C‑247/10 P, EU:C:2012:710, punto 34).

( 72 )   V. considerando 126, 127 e 130 di tale regolamento.

( 73 )   V. punto 43 e allegato 2 delle osservazioni della C & J Clark. V., parimenti, sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T‑401/06, EU:T:2010:67, punti 109110). Ricordo che la Corte ha annullato tale sentenza a causa del mancato esame della domanda di SEM da parte della Commissione. Le constatazioni del Tribunale sui punti menzionati non sono pertanto state rimesse in discussione.

( 74 )   T‑401/06, EU:T:2010:67.

( 75 )   Punto 111.

( 76 )   V. considerando 155 e 158 del regolamento controverso.

( 77 )   V. considerando 65 del regolamento provvisorio e 57 del regolamento controverso. V., parimenti, punto 44 delle osservazioni della C & J Clark.

( 78 )   V., parimenti, sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T‑401/06, EU:T:2010:67, punto 167).

( 79 )   Sentenza TMK Europe (C‑143/14, EU:C:2015:236, punto 34).

( 80 )   Ibidem (punto 35).

( 81 )   Ibidem (punti 36 e 37).

( 82 )   V. considerando da 222 a 238 di tale regolamento e da 210 a 231 del regolamento provvisorio. A tal riguardo, il Tribunale, nella causa sfociata nella sentenza Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T‑401/06, EU:T:2010:67), ha avuto l’occasione di esaminare in dettaglio tali punti, e ha respinto il motivo secondo il quale il nesso di causalità fra le importazioni oggetto del dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria non sarebbe stato sufficientemente dimostrato (punti da 190 a 200). Ricordo che, benché tale sentenza sia stata annullata dalla Corte, le constatazioni del Tribunale non sono state rimesse in discussione nell’ambito dell’impugnazione.

( 83 )   V. relazione del gruppo speciale intitolata «Unione europea - misure antidumping su alcune calzature provenienti dalla Cina» (documento WT/DS405/R dell’OMC).

( 84 )   Sentenza Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).

( 85 )   Ibidem (punti 40 e 41 nonché la giurisprudenza ivi citata).

( 86 )   V. considerando 5 del regolamento di base. Il corsivo è mio.

( 87 )   C‑21/14 P, EU:C:2015:494.

( 88 )   Punto 44 e la giurisprudenza ivi citata.

( 89 )   Punto 45.

( 90 )   Punto 46.

( 91 )   Punti da 48 a 50.

( 92 )   V. nota a piè di pagina 56.

( 93 )   V. sentenza Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punto 52).

( 94 )   Regolamento del Consiglio, del 23 luglio 2001, relativo ai provvedimenti che la Comunità può prendere facendo seguito a una relazione adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC in materia di misure antidumping e antisovvenzioni (GU L 201, pag. 10).

( 95 )   V., in tal senso, sentenza Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547, punti da 29 a 35).

( 96 )   V. sentenza Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).

( 97 )   Ibidem (punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).

( 98 )   Ibidem (punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).

( 99 )   V., in tal senso, sentenza Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101, punto 27).

( 100 )   V. sentenza Trubowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione (C‑419/08 P, EU:C:2010:147, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata). V., parimenti, sentenza CIVAD (C‑533/10, EU:C:2012:347, punto 20).

( 101 )   C‑533/10, EU:C:2012:347.

( 102 )   Punto 35.

( 103 )   V. sentenza Bell & Ross/UAMI (C‑426/10 P, EU:C:2011:612, punto 48).

( 104 )   V. ordinanza Faktor B. i W. Gęsina/Commissione (C‑138/14 P, EU:C:2014:2256, punto 20). Nella sua giurisprudenza la Corte non ha mai effettuato una vera distinzione fra le due nozioni, rifiutandosi persino di verificare se, in realtà, una siffatta distinzione sussista (v. sentenza Bayer/Commissione, C‑195/91 P, EU:C:1994:412, punto 33).

( 105 )   C‑533/10, EU:C:2012:347.

( 106 )   Punti 24 e 25.

( 107 )   Punto 30.

( 108 )   Punti da 31 a 33.

( 109 )   Punto 34.