Conclusioni dell avvocato generale

Conclusioni dell avvocato generale

1. Con la sua impugnazione, la sig. ra Nikolaou chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 20 febbraio 2013, Nikolaou/Corte dei conti (2), con cui quest’ultimo ha respinto la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito dalla ricorrente a seguito di irregolarità e violazioni del diritto dell’Unione che la Corte dei conti dell’Unione europea avrebbe commesso nei suoi confronti.

I – Contesto normativo

2. La decisione 99/50 della Corte dei conti, del 16 dicembre 1999, relativa a condizioni e modalità delle indagini interne in materia di lotta contro la frode, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi delle Comunità, dispone, al suo articolo 2:

«I funzionari e gli agenti della Corte [dei conti] i quali vengano a conoscenza di elementi di fatto che facciano presumere l’esistenza, all’interno dell’istituzione, di eventuali casi di frode, di corruzione o ogni altra attività illecita lesiva degli interessi delle Comunità ne informano tempestivamente il segretario generale della Corte [dei conti] (3) .

Il segretario generale comunica senza indugio all’Ufficio [europeo per la lotta antifrode (OLAF)], nonché al presidente della Corte [dei conti], il quale trasmette l’informazione al membro responsabile del settore al quale appartiene il funzionario o l’agente, qualsiasi elemento di fatto che faccia presumere l’esistenza di irregolarità di cui al primo comma, e procede ad un’indagine preliminare, senza pregiudicare le indagini interne effettuate dall’[OLAF].

(...)

In nessun caso i membri, i funzionari e gli agenti possono subire un trattamento ingiusto o discriminatorio a causa di una comunicazione di cui ai commi precedenti».

3. L’articolo 4, primo comma, della decisione 99/50 prevede:

«Nel caso in cui possa configurarsi la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, funzionario od agente della Corte [dei conti], l’interessato deve esserne tempestivamente informato, ove ciò non rischi di nuocere allo svolgimento dell’indagine. In ogni caso, al termine dell’indagine non possono essere tratte conclusioni che indichino nominativamente un membro, funzionario od agente senza che l’interessato abbia potuto pronunciarsi su tutti i fatti che lo riguardano».

II – Fatti

4. La ricorrente è stata membro della Corte dei conti dal 1996 al 2001. Stando ad un servizio apparso il 19 febbraio 2002 sul quotidiano Europa Journal , l’eurodeputato Staes sarebbe stato in possesso di informazioni concernenti illegalità commesse dalla ricorrente nel corso del suo mandato in qualità di membro della Corte dei conti.

5. Con lettera del 18 marzo 2002, il segretario generale ha trasmesso al direttore generale dell’OLAF un fascicolo contenente elementi a ciò relativi, dei quali questi e il presidente della Corte avrebbero avuto conoscenza. Inoltre, il segretario generale invitava l’OLAF ad indicargli se occorresse informare la ricorrente dell’esistenza di un’indagine che la riguardava in conformità dell’articolo 4 della decisione 99/50.

6. Con lettera dell’8 aprile 2002, il presidente della Corte dei conti ha informato la ricorrente dell’esistenza di un’indagine interna condotta dall’OLAF a seguito dell’articolo apparso sull’ Europa Journal . Con lettera del 26 aprile 2002, il direttore generale dell’OLAF ha informato la ricorrente del fatto che, a seguito delle informazioni che tale servizio aveva ricevuto dal sig. Staes e sulla base di un fascicolo di indagine preliminare predisposto dal segretario generale, era stata avviata un’indagine interna alla quale la ricorrente sarebbe stata invitata a cooperare.

7. Secondo il rapporto finale dell’OLAF del 28 ottobre 2002, le informazioni concernenti la ricorrente sarebbero state fornite al sig. Staes da due dipendenti della Corte dei conti, dei quali uno sarebbe stato un membro del gabinetto della ricorrente. Le accuse esaminate riguardavano, in primo luogo, somme di denaro che la ricorrente avrebbe percepito a titolo di prestiti da parte del suo personale; in secondo luogo, asserite false dichiarazioni di domande di riporto di giorni di congedo per il suo capo di gabinetto, le quali avevano dato luogo al rimborso di circa EUR 28 790 a quest’ultimo a titolo di giorni di congedo non utilizzati per gli anni 1999, 2000 e 2001; in terzo luogo, l’uso dell’autovettura di servizio per fini non previsti dalla relativa normativa; in quarto luogo, l’assegnazione di incarichi all’autista della ricorrente per fini non coperti dalla relativa normativa; in quinto luogo, una politica di assenteismo all’interno del gabinetto della ricorrente; in sesto luogo, attività di natura commerciale e interventi presso funzionari di alto livello al fine di agevolare siffatte attività svolte da membri della sua famiglia; in settimo luogo, una frode commessa nell’ambito di un concorso e, in ottavo luogo, frodi relative a spese di rappresentanza percepite dalla ricorrente.

8. L’OLAF ha concluso nel senso della possibilità che con riferimento alle domande di riporto dei giorni di congedo del capo di gabinetto della ricorrente fossero stati commessi illeciti qualificabili come falso, uso di atto falso e truffa. Stando al rapporto finale, è possibile che siano stati commessi illeciti penali da parte della ricorrente e dei membri del suo gabinetto in relazione a somme di denaro percepite dalla prima, secondo i soggetti coinvolti, a titolo di prestiti. L’OLAF ha pertanto informato, in conformità dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (4), le autorità giudiziarie lussemburghesi, affinché queste ultime indagassero sui fatti dai quali potesse emergere l’avvenuta commissione di illeciti penali.

9. Quanto alle altre accuse, eccezion fatta per quella di frode commessa nell’ambito di un concorso, l’OLAF ha messo in evidenza possibili irregolarità o punti interrogativi relativi al comportamento della ricorrente, e ha suggerito alla Corte dei conti l’adozione di provvedimenti correttivi nei confronti di quest’ultima, nonché di misure intese a migliorare il sistema di controllo all’interno dell’istituzione.

10. Il 26 aprile 2004, la ricorrente è stata sentita in occasione della riunione ristretta della Corte dei conti in vista dell’eventuale applicazione dell’articolo 247, paragrafo 7, CE. Con lettera del 13 maggio 2004, il presidente della Corte dei conti ha affermato che, quanto al rinvio della causa dinanzi alla Corte ai fini dell’applicazione dell’articolo 247, paragrafo 7, CE, per il fatto che la ricorrente aveva asseritamente sollecitato e ottenuto prestiti personali dai membri del suo gabinetto, l’unanimità richiesta dall’articolo 6 del regolamento interno della Corte dei conti, come adottato il 31 gennaio 2002, non era stata raggiunta in una riunione che aveva avuto luogo il 4 maggio 2004. Il presidente della Corte dei conti ha aggiunto, al riguardo, che una grande maggioranza dei membri dell’istituzione ha ritenuto che il comportamento della ricorrente fosse assolutamente inadeguato. Per quanto riguarda i giorni di congedo del capo di gabinetto della ricorrente, il presidente della Corte dei conti ha affermato che, poiché la causa era pendente dinnanzi ai giudici lussemburghesi, l’istituzione aveva differito la propria decisione in attesa delle conclusioni dei relativi procedimenti.

11. Con sentenza del 2 ottobre 2008, la sezione penale del tribunal d’arrondissement de Luxembourg [Tribunale distrettuale di Lussemburgo] ha assolto la ricorrente e il suo capo di gabinetto dalle accuse di falso, di uso di atto falso, di falsa dichiarazione, e in subordine di trattenimento di indennità, percepimento indebito di sovvenzioni o assegni e in ulteriore subordine, di truffa (in prosieguo: la «sentenza del 2 ottobre 2008»). Il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha ritenuto, in sostanza, che talune spiegazioni fornite dal capo di gabinetto della ricorrente e da quest’ultima gettavano un dubbio sul complesso degli elementi probatori raccolti dall’OLAF e dalla polizia giudiziaria lussemburghese, intesi a dimostrare che suddetto capo di gabinetto si trovava in congedo non dichiarato per molti giorni nel corso degli anni 1999, 2000 e 2001. Il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha pertanto concluso che la sussistenza dei fatti addebitati alla ricorrente non era stata dimostrata al di là di ogni dubbio e che, poiché il minimo dubbio deve andare a vantaggio dell’imputato, la ricorrente doveva essere assolta dalle accuse mosse nei suoi confronti. In assenza di appello, la sentenza del 2 ottobre 2008 è divenuta definitiva.

12. Con lettera datata 14 aprile 2009, la ricorrente ha chiesto alla Corte dei conti di pubblicare su tutti i giornali lussemburghesi, tedeschi, greci, francesi, spagnoli e belgi una comunicazione relativa alla sua assoluzione e di informare in merito alla medesima le altre istituzioni dell’Unione europea. In subordine, per il caso in cui la Corte dei conti non proceda a tali pubblicazioni, la ricorrente ha chiesto che le venisse corrisposta una somma pari a EUR 100 000 a titolo di risarcimento del danno morale, somma che essa si impegnava ad impiegare per effettuare suddette pubblicazioni. La ricorrente ha inoltre chiesto alla Corte dei conti, in primo luogo, di versarle EUR 40 000 a titolo di risarcimento del danno morale causato dal procedimento dinnanzi ai giudici lussemburghesi e EUR 57 771,40 a titolo di risarcimento del danno materiale causato dal medesimo procedimento; in secondo luogo, di risarcirla di tutte le spese sostenute, segnatamente, dinanzi al giudice istruttore e al tribunal d’arrondissement de Luxembourg e, in terzo luogo, di risarcirla delle spese sostenute a causa del procedimento dinanzi alla Corte dei conti.

13. Con lettera del 7 luglio 2009, il presidente della Corte dei conti ha trasmesso alla ricorrente la decisione adottata in risposta a suddette domande. Tale decisione, da un lato, ha respinto gli argomenti dedotti nella lettera del 14 aprile 2009 e, dall’altro, ha comunicato alla ricorrente che la Corte dei conti aveva tentato di determinare, sulla base delle informazioni a sua disposizione, se i fatti presentassero una gravità sufficiente per adire la Corte affinché essa statuisse sull’esistenza di inadempimenti agli obblighi incombenti all’ex membro in forza del Trattato CE e sulla necessità di applicare eventuali sanzioni. A tal riguardo, la Corte dei conti ha indicato alla ricorrente gli elementi che l’avevano portata a decidere di non adire la Corte, fra i quali figuravano, segnatamente, l’assoluzione della ricorrente da parte della sentenza del 2 ottobre 2008 e l’assenza di danno causato al bilancio comunitario, tenuto conto del rimborso della somma indebitamente versata al sig. Koutsouvelis, suo capo di gabinetto (5) .

III – Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

14. Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 16 giugno 2009, la ricorrente ha presentato un ricorso per risarcimento danni, con il quale essa ha chiesto la condanna della Corte dei conti al versamento di una somma pari a EUR 85 000 più interessi a partire dal 14 aprile 2009, a titolo di risarcimento del danno morale causato dalle azioni e dalle omissioni di tale istituzione, importo che essa si impegnava ad utilizzare al fine di pubblicare la sua assoluzione.

15. A sostegno di tale ricorso, la ricorrente ha dedotto anzitutto sei motivi concernenti la violazione qualificata, da parte della Corte dei conti, di norme di diritto dell’Unione che conferiscono diritti ai singoli. Quindi, essa ha fatto valere l’esistenza di un nesso di causalità diretto fra la suddetta violazione e il danno morale e materiale subito a causa della medesima.

16. Il Tribunale ha respinto suddetto ricorso, ritenendo che la Corte dei conti non fosse incorsa in nessuna delle violazioni del diritto dell’Unione contestate.

17. In particolare, nei limiti in cui ciò riveste interesse ai fini della presente impugnazione, il Tribunale ha concluso, ai punti da 27 a 32 della sentenza impugnata, che la condotta della Corte dei conti con riferimento all’indagine preliminare non fosse illegittima. Infatti, trasmettendo all’OLAF il fascicolo contenente le prime informazioni raccolte prima di aver sentito la ricorrente, tale istituzione non avrebbe violato né i requisiti risultanti dall’interpretazione combinata degli articoli 2 e 4 della decisione 99/50 né i diritti della difesa della ricorrente o il principio di imparzialità.

18. Il Tribunale ha parimenti risposto, ai punti da 44 a 47 della sentenza impugnata, alle censure fondate, da un lato, sul fatto che la Corte dei conti avrebbe omesso di adottare una decisione formale che assolveva la ricorrente da tutte le accuse nei suoi confronti a seguito della sentenza del 2 ottobre 2008 e, dall’altro, sul fatto che il presidente della Corte dei conti avrebbe incluso, nella sua lettera del 13 maggio 2004, un’osservazione umiliante e superflua concernente la posizione espressa da una maggioranza dei membri dell’istituzione. I punti contestati sono formulati come segue:

«44 Occorre rilevare che l’omissione addebitata alla Corte dei conti non è viziata da illegittimità.

45 A tal riguardo, in primo luogo, occorre sottolineare che la ricorrente è stata assolta sulla base di dubbi generati, secondo la sentenza del 2 ottobre 2008, da talune spiegazioni fornite dal capo del suo gabinetto nel corso dell’udienza pubblica. Senza che sia necessario pronunciarsi sul carattere ragionevole dei dubbi evidenziati dal tribunal d’arrondissement de Luxembourg, è giocoforza constatare che tale motivo di assoluzione non implica che le accuse mosse nei confronti della ricorrente siano del tutto prive di fondamento, bensì implica che, come esposto da suddetto tribunale, esse non sono state dimostrate al di là di “ogni dubbio”.

46 In secondo luogo, come fatto valere dalla Corte dei conti, spetta esclusivamente alle autorità giudiziarie nazionali esaminare le accuse sul piano penale e alla Corte di valutarle sul piano disciplinare ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE. La Corte dei conti non era pertanto competente a statuire al riguardo.

47 In terzo luogo, dal fatto che non sia stata adita la Corte in forza di quest’ultima disposizione, non si può desumere che la Corte dei conti ritenga che i fatti ascritti alla ricorrente siano del tutto privi di fondamento. Infatti, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento interno della Corte dei conti, come adottato il 31 gennaio 2002, l’adizione di cui trattasi viene decisa all’unanimità. Pertanto, se è vero che la mancata adizione implica che l’unanimità non è stata raggiunta, ciò non toglie che essa non equivale ad una presa di posizione della Corte dei conti per quanto riguarda la sussistenza dei fatti. In tale contesto, non era inadeguato, per il presidente della Corte dei conti, informare la ricorrente del fatto che la grande maggioranza dei membri dell’istituzione ha ritenuto inaccettabile il suo comportamento, impedendo in tal modo che la mancata adizione della Corte possa essere interpretata come un’asserita negazione della sussistenza dei fatti addebitati, il che non corrisponderebbe peraltro alla realtà».

19. Infine, il Tribunale ha replicato alla censura secondo la quale la Corte dei conti avrebbe dovuto, in forza del suo dovere di sollecitudine, procedere a comunicazioni alla stampa e alle istituzioni concernenti l’assoluzione della ricorrente. Esso ha ritenuto, al riguardo, riferendosi alle ragioni illustrate ai punti 45 e 46 della sentenza impugnata, che dal dovere di sollecitudine non potesse essere desunto alcun obbligo di pubblicazione dell’assoluzione della ricorrente.

IV – I motivi e i principali argomenti dedotti a sostegno dell’impugnazione

20. A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce quattro motivi.

21. Con il primo motivo, la ricorrente addebita al Tribunale di aver violato il principio della presunzione di innocenza, previsto dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritto fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dall’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Infatti, tale principio garantisce, segnatamente, che un giudice dell’Unione non possa rimettere in discussione l’innocenza di una persona accusata neanche quando tale persona è stata previamente prosciolta da una decisione giudiziaria penale nazionale definitiva. Ne deriva che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto, ai punti da 43 a 46 e 49 della sentenza impugnata, che non fos se «viziata da illegittimità» la mancata adozione, da parte della Corte dei conti, di una decisione che constata la mancata definitiva citazione della ricorrente dinanzi alla Corte, da un lato, e il mancato ripristino della sua reputazione, dall’altro.

22. La ricorrente critica, in particolare, la formulazione del punto 45 della sentenza impugnata, ritenendo che la valutazione del Tribunale contenuta in tale punto costituisca una violazione manifesta del principio della presunzione di innocenza. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si evincerebbe che la circostanza che il proscioglimento della ricorrente sia stato motivato dalla sussistenza di un dubbio non può incidere sull’obbligo del Tribunale di non fondare la propria sentenza sul motivo di assoluzione di cui trattasi.

23. La Corte dei conti ribatte che il primo motivo si basa su un travisamento della portata dell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, nonché dell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta. Infatti, la presunzione di innocenza varrebbe per la persona accusata dinanzi al giudice che deve statuire sulla sua colpevolezza o sulla sua innocenza rispetto ai capi di accusa sollevati dinnanzi al medesimo. Orbene, nell’ambito del ricorso per responsabilità extracontrattuale proposto dalla ricorrente, la sua colpevolezza sotto il profilo del diritto penale lussemburghese non era oggetto di controversia. Il Tribunale non poteva pertanto violare la presunzione di innocenza.

24. Peraltro, tale motivo sarebbe fondato sull’erronea premessa che la Corte dei conti e il Tribunale avrebbero proceduto ad un riesame della fondatezza della sentenza del 2 ottobre 2008. La Corte dei conti ritiene che, al contrario, ciascuna istituzione, nell’esercizio della propria competenza nell’ambito della causa, abbia accettato tale sentenza e ne abbia tratto le conseguenze che si imponevano nell’ambito dei loro rispettivi processi decisionali. In particolare, il Tribunale avrebbe considerato la sentenza del 2 ottobre 2008 un elemento di fatto che esso doveva prendere in considerazione nel valutare la legittimità degli atti o delle omissioni della Corte dei conti.

25. La Corte dei conti desume dai punti da 120 a 122 della sentenza dell’11 luglio 2006, Commissione/Cresson (6), che, pur riconoscendo che il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha concluso nel senso che la sussistenza di taluni fatti addebitati alla ricorrente non era stata dimostrata al di là di ogni dubbio e che, pertanto, i soggetti di cui trattasi dovevano essere assolti dai capi d’accusa attinenti a violazioni del diritto penale lussemburghese gravanti sui medesimi, niente impediva al Tribunale di procedere ad una diversa valutazione di questi stessi fatti nel contesto del suo esame di un’eventuale responsabilità extracontrattuale della Corte dei conti alla luce del diritto dell’Unione. Così facendo, il Tribunale non avrebbe affatto messo in discussione la sentenza del 2 ottobre 2008 né la presunzione di innocenza della quale la ricorrente beneficiava dinnanzi a tale giudice.

26. Con il secondo motivo, la ricorrente addebita al Tribunale di essere incorso in una violazione del principio di leale cooperazione, sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nei confronti del tribunal d’arrondissement de Luxembourg, snaturando le considerazioni e le valutazioni effettuate da quest’ultimo.

27. A suo avviso, tale principio implicherebbe che, qualora un giudice nazionale abbia emesso una sentenza che è passata in giudicato e che ha assolto un soggetto dagli illeciti contestategli, le istituzioni dell’Unione, compreso il Tribunale, sarebbero tenute a rispettare una siffatta sentenza e a non privarla del suo effetto utile.

28. Orbene, nonostante i fatti controversi siano identici a quelli sui quali il tribunal d’arrondissement de Luxembourg si è pronunciato, il Tribunale, procedendo ad una valutazione completamente diversa di questi stessi fatti, sarebbe incorso in una violazione del principio di leale cooperazione.

29. Inoltre, al punto 35 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe contraddetto le conclusioni del tribunal d’arrondissement de Luxembourg allorché ha ritenuto che «la gestione di qualsiasi sistema di congedo è fondato sull’obbligo del superiore gerarchico di verificare la presenza del personale sotto la sua autorità e di assicurarsi che ogni assenza sia conforme alla normativa applicabile relativa ai congedi» e che «su tale obbligo non incide l’eventuale assenza di un sistema integrato che consente di verificare, in maniera indipendente dal superiore gerarchico, che il numero di giorni di congedo dichiarati come non utilizzati alla fine di ciascun anno corrisponde alla realtà».

30. Infine, il Tribunale non avrebbe rispettato la sentenza del 2 ottobre 2008 poiché ha ritenuto, al punto 38 della sentenza impugnata, che «il carattere deficitario del sistema di registrazione e di vigilanza dei congedi della Corte dei conti applicabile all’epoca dei fatti non potrebbe giustificare l’abbandono di ogni misura investigativa e giudiziaria nei confronti della [ricorrente]», mentre è proprio il carattere deficitario del sistema di gestione dei congedi della Corte dei conti che avrebbe comportato l’assoluzione della ricorrente.

31. In risposta a tali argomenti, la Corte dei conti afferma che il secondo motivo poggia su un travisamento dei rispettivi ruoli delle istituzioni interessate nonché della portata dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE. Infatti, il Tribunale non avrebbe né proceduto ad una nuova valutazione della sentenza del 2 ottobre 2008 né messo in discussione il suo verdetto. La differenza di valutazione di taluni fatti si spiegherebbe con il diverso contesto in cui si inseriscono le due controversie, ossia, da un lato, un procedimento penale disciplinato dal diritto nazionale, e, dall’altro, un ricorso per responsabilità extracontrattuale ai sensi del diritto dell’Unione.

32. Con il terzo motivo, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è viziata dal difetto di competenza del Tribunale, alla luce del fatto che esso ha risolto questioni che eccedevano le competenze attribuitegli dai Trattati.

33. Da un lato, sebbene esso riconosca, al punto 46 della sentenza impugnata, che spetta esclusivamente alle autorità giudiziarie nazionali esaminare le accuse sul piano penale, il Tribunale, procedendo, al punto 45 della sentenza impugnata, ad una valutazione nel merito con riferimento al motivo di assoluzione fondato sull’esistenza di un dubbio, avrebbe ecceduto le competenze assegnategli dai Trattati.

34. Dall’altro lato, effettuando le affermazioni contenute al punto 47 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe parimenti oltrepassato i limiti della propria competenza. Infatti, poiché la Corte è l’unica istituzione idonea a statuire sulle responsabilità disciplinari risultanti dai comportamenti dei membri della Corte dei conti, il Tribunale, analogamente a quest’ultima istituzione nella sua lettera del 13 maggio 2004, non era competente ad esprimere nei confronti della ricorrente neanche un mero sospetto che lasciasse supporre un comportamento inaccettabile di quest’ultima.

35. La Corte dei conti ribatte che questo terzo motivo deve essere dichiarato parzialmente irricevibile, nella parte in cui si limita a reiterare gli argomenti dedotti in primo grado per quanto riguarda la lettera del 13 maggio 2004, e parzialmente infondato.

36. In relazione a quest’ultimo aspetto, essa sostiene, ancora una volta, che il Tribunale non ha affatto messo in discussione la sentenza del 2 ottobre 2008. La valutazione di uno stesso comportamento potrebbe far pervenire a conclusioni diverse a seconda dell’organo competente.

37. Con il quarto motivo, la ricorrente fa valere che il Tribunale ha erroneamente interpretato e applicato le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Infatti, quanto alla questione dell’uso di atto falso, il Tribunale avrebbe aggiunto una condizione supplementare non richiesta (la «malafede»), concludendo, al punto 32 della sentenza impugnata, che «l’eventuale trasmissione del documento di cui trattasi da parte della Corte dei conti all’OLAF o alle autorità lussemburghesi non significa che l’istituzione abbia agito in malafede per quanto riguarda l’autenticità della firma della ricorrente».

38. Inoltre, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto anche nell’interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50, in combinato disposto con l’articolo 4, primo comma, di quest’ultima, nella parte in cui ha concluso che la mera comunicazione alla ricorrente dell’esistenza di un’indagine interna condotta dall’OLAF era sufficiente, e che non era pertanto necessario informarla dell’indagine preliminare effettuata dalla Corte dei conti.

39. Secondo la Corte dei conti, le asserzioni contenute in questo quarto motivo devono essere dichiarate irricevibili, in quanto esse, da un lato, chiedono alla Corte di riesaminare i fatti del caso di specie, e, dall’altro, si limitano a reiterare gli argomenti dedotti in primo grado, in particolare per quanto riguarda la censura attinente all’assenza di notificazione dell’indagine preliminare.

40. Nel merito, il Tribunale, al punto 32 della sentenza impugnata, affermando che la semplice trasmissione di un documento all’OLAF o alle autorità lussemburghesi non costituiva un indice di malafede da parte della Corte dei conti per quanto riguarda l’autenticità della firma della ricorrente, non avrebbe aggiunto alcuna condizione supplementare relativa alla responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Analogamente, il Tribunale non sarebbe incorso in alcun errore nell’interpretare l’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50, in quanto tale disposizione non impone l’obbligo di comunicare l’avvio di un’indagine preliminare al soggetto sospettato di irregolarità, bensì esige unicamente che il segretario generale trasmetta senza indugio all’OLAF le informazioni raccolte nell’ambito di una siffatta indagine.

V – Analisi

41. Esaminerò anzitutto, congiuntamente, il primo, il secondo e il terzo motivo dedotti dalla ricorrente, nella misura in cui gli argomenti elaborati a sostegno dei medesimi si sovrappongono e riguardano gli stessi punti della sentenza impugnata. In un secondo momento esaminerò quindi il quarto motivo.

A – Sui motivi attinenti alla violazione della presunzione di innocenza e del principio di leale cooperazione, nonché all’incompetenza del Tribunale

42. I primi tre motivi sono diretti, in sostanza, a rimettere in discussione il ragionamento seguito dal Tribunale nei punti da 44 a 49 della sentenza impugnata.

43. Occorre tener ben presente le censure alle quali il Tribunale intendeva replicare in tale parte della sentenza impugnata.

44. In primo luogo, la ricorrente addebitava alla Corte dei conti di aver omesso di adottare una decisione formale che l’assolveva da tutte le accuse nei suoi confronti a seguito della sentenza del 2 ottobre 2008, non essendo stata fornita la prova di una condotta che giustificava un rinvio della causa alla Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE. A suo avviso, mediante tale decisione, la Corte dei conti avrebbe dovuto rinunciare ad adire la Corte sulla base di quest’ultima disposizione.

45. In secondo luogo, la ricorrente addebitava al presidente della Corte dei conti la violazione del principio di imparzialità e del dovere di sollecitudine, allorché esso aveva incluso, nella lettera del 13 maggio 2004, un’osservazione umiliante e superflua concernente la posizione espressa da una maggioranza dei membri dell’istituzione.

46. In terzo luogo, la ricorrente faceva valere che la Corte dei conti avrebbe dovuto, in forza del suo dovere di sollecitudine, effettuare delle comunicazioni alla stampa e alle istituzioni concernenti la sua assoluzione.

47. Osservo subito che, a mio avviso, il Tribunale ha giustamente respinto queste tre richieste della ricorrente.

48. Tuttavia, come fatto valere da quest’ultima, l’argomento elaborato dal Tribunale al punto 45 della sentenza impugnata solleva problemi con riferimento alla presunzione di innocenza.

49. In virtù dell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, «[o]gni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata». Questa disposizione corrisponde all’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il diritto alla presunzione di innocenza ha lo stesso significato e la stessa portata del corrispondente diritto garantito dalla CEDU.

50. La presunzione di innocenza deve essere garantita tanto a monte quanto a valle del processo penale. Infatti, l’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU è parimenti inteso a «impedire che dei soggetti che abbiano beneficiato di un’assoluzione o di un’archiviazione del procedimento vengano trattati da agenti o autorità pubbliche come se fossero di fatto colpevoli del reato loro contestato» (7) . La garanzia del diritto alla presunzione di innocenza a seguito di un procedimento penale si spiega con il fatto che, «[s]enza la tutela destinata a far rispettare in qualsiasi procedimento successivo un’assoluzione o una decisione di archiviazione del procedimento, le garanzie di un equo processo menzionate all’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU] rischierebbero di divenire teoriche e illusorie. Ciò che è parimenti in gioco una volta chiuso il procedimento penale è la reputazione dell’interessato e il modo in cui questi è percepito dal pubblico» (8) .

51. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha inoltre chiarito che «l’ambito di applicazione dell’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU] non è limitato ai procedimenti penali pendenti, ma può estendersi alle decisioni giudiziarie prese successivamente alla decisione di archiviazione (...) o dopo un’assoluzione (...), nei limiti in cui le questioni sollevate in tali cause costituiscano un corollario e un complemento dei procedimenti penali interessati, nei quali il ricorrente rivestiva la qualità di “imputato”» (9) . La Corte europea dei diritti dell’uomo si sofferma quindi a verificare se «per il loro modo di agire, per i motivi delle loro decisioni o per i termini utilizzati nel loro ragionamento» (10), le autorità e gli organi giurisdizionali nazionali che sono chiamati a pronunciarsi successivamente ad una sentenza penale «abbiano gettato dei dubbi sull’innocenza del ricorrente e abbiano pertanto violato il principio della presunzione di innocenza» (11) .

52. Come discende segnatamente dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Vassilios Stavropoulos c. Grecia del 27 settembre 2007, «l’esternazione di sospetti sull’innocenza di un imputato non è più accettabile dopo un’assoluzione divenuta definitiva» (12) . Secondo la giurisprudenza di tale Corte, «una volta che l’assoluzione è divenuta definitiva – persino qualora si tratti di un’assoluzione con il beneficio del dubbio in conformità dell’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU] – l’esternazione di dubbi di colpevolezza, inclusi quelli concernenti i motivi dell’assoluzione, non sono compatibili con la presunzione di innocenza» (13) .

53. In questa stessa sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che, «in virtù del principio “in dubio pro reo”, il quale costituisce un’espressione particolare del principio della presunzione di innocenza, non deve sussistere alcuna differenza qualitativa tra un’assoluzione per insufficienza di prove e un’assoluzione derivante dall’accertamento di assoluta innocenza della persona. Le sentenze di assoluzione, infatti, non si differenziano a seconda dei motivi che vengono di volta in volta scelti dal giudice penale. Al contrario, nell’ambito dell’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU], il dispositivo di assoluzione deve essere rispettato da qualsiasi autorità che si pronunci, direttamente o in via incidentale, sulla responsabilità penale dell’interessato» (14) .

54. Alla luce di tale giurisprudenza, la formulazione del punto 45 della sentenza impugnata mi sembra contestabile.

55. Ricordo che, in tal punto, il Tribunale ha sottolineato, anzitutto, che la ricorrente era stata «assolta sulla base di dubbi generati, secondo la sentenza del 2 ottobre 2008, da talune spiegazioni fornite dal capo del suo gabinetto nel corso dell’udienza pubblica». Il Tribunale ha proseguito indicando che, «[s]enza che sia necessario pronunciarsi sul carattere ragionevole dei dubbi evidenziati dal tribunal d’arrondissement de Luxembourg, è giocoforza constatare che tale motivo di assoluzione non implica che le accuse mosse nei confronti della ricorrente siano del tutto prive di fondamento, bensì implica che, come esposto da suddetto tribunale, esse non sono state dimostrate al di là di “ogni dubbio”».

56. In questa parte della sua argomentazione, il Tribunale si basa sul motivo dell’assoluzione in sede penale, insistendo sul fatto che si tratta di un’assoluzione con il beneficio del dubbio, per giustificare la mancata adozione, da parte della Corte dei conti, di una decisione formale di assoluzione della ricorrente da tutte le accuse. Esso utilizza dunque il motivo dell’assoluzione per respingere l’esistenza di un illecito addebitabile alla Corte dei conti e farne derivare una conseguenza sulla valutazione del merito della domanda di risarcimento del danno. In definitiva, il ragionamento che promana dal punto 45 della sentenza impugnata è quello secondo il quale, poiché la ricorrente è stata assolta con il beneficio del dubbio e tale motivo di assoluzione non è sufficiente a privare di qualsiasi fondamento le accuse mosse nei suoi confronti, giustamente la Corte dei conti ha rifiutato l’adozione di una decisione formale che l’assolveva da tutte le accuse nei suoi confronti a seguito della sentenza del 2 ottobre 2008.

57. Formulando in tali termini il suo argomento, il Tribunale dà l’impressione di ritenere che un’assoluzione con il beneficio del dubbio abbia meno forza di un’assoluzione che poggia su un’affermazione più diretta dell’innocenza della ricorrente. Esso indebolisce la decisione alla quale è pervenuto il giudice penale, il che contribuisce contemporaneamente a gettare un dubbio sull’innocenza della ricorrente.

58. Pregiudicando in tal modo la presunzione di innocenza della ricorrente, il Tribunale è dunque incorso in un errore di diritto.

59. A mio avviso, la constatazione di tale errore non è tuttavia idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata. Si deve infatti rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, se dalla motivazione di una sentenza del Tribunale r isulta una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo della stessa appare fondato per altri motivi di diritto, l’impugnazione deve essere respinta (15) .

60. Rilevo, al riguardo, che giustamente il Tribunale ha indicato, al punto 46 della sentenza impugnata, che «spetta esclusivamente alle autorità giudiziarie nazionali esaminare le accuse sul piano penale e alla Corte di valutarle sul piano disciplinare ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE». Esso ne ha pertanto correttamente desunto che «[l]a Corte dei conti non era pertanto competente a statuire al riguardo».

61. È evidente, infatti, che la Corte dei conti non è legittimata ad adottare una decisione di assoluzione, né sul piano penale né sul piano disciplinare. Peraltro, la Corte dei conti non era affatto tenuta a procedere alla pubblicazione dell’assoluzione della ricorrente. Pertanto, il Tribunale ha giustamente respinto queste due richieste della ricorrente sulla base dell’argomento da esso indicato al punto 46 della sentenza impugnata.

62. L’unica competenza della Corte dei conti nel contesto della presente causa consisteva nel decidere se adire o meno la Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE, affinché essa si pronunciasse sull’esistenza di un inadempimento derivante dalla carica di membro della Corte dei conti ai sensi di quest’ultima disposizione.

63. Sottolineo, al riguardo, che il ragionamento del Tribunale sarebbe stato sia più convincente sia più completo se esso avesse posto maggiormente l’accento sul carattere autonomo dei procedimenti penali e disciplinari.

64. Infatti, tanto in primo grado quanto nell’ambito della presente impugnazione, l’argomento della ricorrente è stato in gran parte fondato sull’idea che vi sarebbe in certo qual modo un automatismo fra l’esistenza di un’assoluzione in sede penale e l’adozione, da parte della Corte dei conti, di una decisione con la quale essa rinuncia ad adire la Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE.

65. Tale argomento della ricorrente è fondamentalmente errato, come si può dedurre tanto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo quanto da quella della nostra Corte.

66. In primo luogo, si evince dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che il diritto alla presunzione di innocenza nel caso di assoluzione in sede penale o di archiviazione del procedimento penale non ostacola in alcun modo il successivo avvio, sulla base dei medesimi fatti, di procedimenti disciplinari oppure di azioni per responsabilità.

67. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso quindi che gli organi disciplinari possono valutare in maniera indipendente i fatti delle cause delle quali sono stati investiti quando gli elementi costitutivi degli illeciti penali e disciplinari non sono identici (16) . In tale contesto, la constatazione secondo la quale determinati fatti non possono vedersi applicare la qualificazione di illecito penale non impedisce l’avvio di un procedimento disciplinare sulla base di questi stessi fatti. Sotto il profilo del diritto alla presunzione di innocenza, l’unico limite consiste nel fatto che, durante il procedimento disciplinare, l’innocenza sul piano penale del soggetto di cui trattasi non venga rimessa in discussione.

68. Inoltre, nel contenzioso in materia di risarcimento danni, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso, nella sua sentenza Ringvold c. Norvegia dell’11 febbraio 2003 (17), che «la questione del risarcimento deve formare l’oggetto di un’analisi giuridica distinta, fondata su criteri e requisiti probatori che presentano differenze rilevanti rispetto a quelli applicabili nel settore della responsabilità penale» (18) . La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto, in tal senso, che «anche se l’assoluzione pronunciata in sede penale non deve essere rimessa in discussione nell’ambito del procedimento di risarcimento, ciò non deve ostare all’accertamento, sulla base di requisiti probatori meno rigorosi, di una responsabilità civile che comporta l’obbligo di corrispondere un risarcimento in ragione dei medesimi fatti» (19) .

69. In secondo luogo, secondo una logica simile, la Corte, nella sua sentenza Commissione/Cresson, cit., ha posto l’accento sul carattere autonomo dei procedimenti penali, da un lato, e il procedimento fondato sull’articolo 213, paragrafo 2, CE, inteso a sanzionare la violazione degli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione europea, dall’altro.

70. In tale sentenza, la Corte ha ritenuto, infatti, di non essere «vincolata dalla qualificazione giuridica dei fatti effettuata nel contesto del procedimento penale» (20) e che fosse suo compito «valutare, nella pienezza dei suoi poteri discrezionali, se i fatti contestati nell’ambito di un procedimento fondato sull’art[icolo] 213, [paragrafo] 2, CE [costituissero] una violazione degli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione» (21) . La Corte ne ha concluso che la decisione della camera di consiglio del Tribunal de première instance de Bruxelles (tribunale di primo grado di Bruxelles, Belgio) che dichiarava l’assenza di prove contro la sig.ra Cresson non la vincolava (22) .

71. Tale ragionamento, fondato sul carattere autonomo dei procedimenti penali e disciplinari, è trasponibile al procedimento previsto, all’epoca dei fatti, dall’articolo 247, paragrafo 7, CE e che figura adesso all’articolo 286, paragrafo 6, TFUE. Ne deriva che, qualora essa sia chiamata a verificare se un membro della Corte dei conti sia incorso o meno in una violazione degli obblighi derivanti dalla sua carica, la Corte non sarebbe vincolata ad una sentenza penale che assolve il soggetto di cui trattasi.

72. Sullo stesso fondamento relativo al carattere autonomo dei procedimenti penali e disciplinari, la Corte dei conti, in quanto autorità legittimata ad adire la Corte, non può essere vincolata da una siffatta sentenza penale. In particolare, per replicare in maniera chiara all’argomento della ricorrente, l’esistenza di un’assoluzione in sede penale non impedisce affatto alla Corte dei conti di adire la Corte ai sensi dell’articolo 286, paragrafo 6, TFUE. In una fattispecie del genere, la Corte dei conti conserva il proprio potere discrezionale quanto all’eventuale adizione della Corte.

73. Desumo da tali elementi che il procedimento penale dinnanzi ad un giudice nazionale e il procedimento previsto dall’articolo 247, paragrafo 7, CE, e successivamente dall’articolo 286, paragrafo 6, TFUE, divergono non solo quanto al loro oggetto e alla loro finalità, bensì anche quanto alla natura e al livello probatorio richiesto. I due procedimenti, sebbene si basino sulle medesime circostanze di fatto, sono indipendenti, cosicché, fatto salvo il divieto di rimettere in discussione la valutazione del giudice penale, un’assoluzione sul piano penale non impedisce affatto alla Corte dei conti di adire la Corte, né a quest’ultima di statuire sull’esistenza di un inadempimento agli obblighi derivanti dalla carica di membro della Corte dei conti.

74. Nella specie, si evince dal fascicolo che il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha ritenuto, nella sua sentenza del 2 ottobre 2008, che i fatti, così come accertati, non potevano essere qualificati come illeciti penali ai sensi della legge lussemburghese.

75. La valutazione così compiuta dal tribunal d’arrondissement de Luxembourg non significa, tuttavia, che la Corte dei conti era tenuta a ritenere di non poter adire la Corte in relazione agli inadempimenti concernenti la gestione dei congedi. Infatti, da un lato, il livello di precisione dei fatti o delle prove richiesto ai fini della qualificazione come illecito penale non coincide necessariamente con quello richiesto al fine di accertare l’esistenza di un inadempimento agli oneri incombenti ai membri della Corte dei conti. Dall’altro, e in ogni caso, spetterebbe unicamente alla Corte, qualora sia adita in base all’articolo 286, paragrafo 6, TFUE, valutare la portata dell’autorità di cosa giudicata che dovrebbe essere riconosciuta, se del caso, ad una sentenza penale nazionale.

76. Ne consegue che il diniego della Corte dei conti di adottare una decisione formale di assoluzione e di riconoscere un automatismo fra l’assoluzione in sede penale e l’adizione della Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE era pienamente giustificato e non può, nell’ambito della presente impugnazione, essere rimesso in discussione argomentando che il rigetto, da parte del Tribunale, della richiesta della ricorrente intesa a far dichiarare l’illegittimità di un siffatto diniego integrerebbe una violazione della presunzione di innocenza o una violazione del principio di leale cooperazione.

77. È in conformità con la natura autonoma dei procedimenti penali e disciplinari, e nell’esercizio del suo potere discrezionale, che la Corte dei conti ha tentato di stabilire, sulla base delle informazioni a sua disposizione, se i fatti addebitati alla ricorrente presentassero una gravità sufficiente (23) per adire la Corte in base all’articolo 247, paragrafo 7, CE. Come testimonia la sua lettera del 7 luglio 2009, la Corte dei conti, quando ha deciso di non adire la Corte sull’aspetto relativo alla gestione dei congedi, non si è limitata a tenere conto dell’assoluzione della ricorrente in sede penale, bensì ha preso in considerazione anche altri parametri (24) .

78. Procederò ora ad esaminare le critiche formulate dalla ricorrente con riferimento al punto 47 della sentenza impugnata.

79. In tale punto, il Tribunale replica all’argomento della ricorrente secondo il quale il presidente della Corte dei conti, includendo, nella sua lettera del 13 maggio 2004, un’osservazione umiliante e superflua sulla posizione espressa da una maggioranza dei membri dell’istituzione, sarebbe incorso in una violazione del principio di imparzialità e del dovere di sollecitudine.

80. Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe oltrepassato i limiti della propria competenza e avrebbe avallato una lettura errata della sfera di competenza della Corte dei conti allorché ha ritenuto, nel suddetto punto, che «non era inadeguato, per il presidente della Corte dei conti, informare la ricorrente del fatto che la grande maggioranza dei membri dell’istituzione ha ritenuto inaccettabile il suo comportamento, impedendo in tal modo che la mancata adizione della Corte possa essere interpretata come un’asserita negazione della sussistenza dei fatti addebitati».

81. Occorre precisare che il passaggio della lettera del 13 maggio 2004 che contiene l’osservazione criticata riguarda unicamente le asserzioni relative ai prestiti personali a favore della ricorrente. Questa parte della causa non era inclusa nel procedimento penale sfociato nella sentenza del 2 ottobre 2008. L’assoluzione della quale ha beneficiato la ricorrente in sede penale non rileva pertanto nell’ambito dell’esame del punto 47 della sentenza impugnata.

82. Ciò premesso, il Tribunale, a mio avviso, è rimasto nella sua sfera di competenza allorché ha ritenuto, da un lato, che la mancata adizione della Corte non equivalesse a negare la sussistenza dei fatti, e, dall’altro, che il presidente della Corte dei conti potesse formulare nei confronti della ricorrente il commento criticato.

83. Infatti, la valutazione contenuta al punto 47 della sentenza impugnata costituisce una risposta del Tribunale all’asserzione della ricorrente secondo la quale l’osservazione che il presidente della Corte dei conti ha incluso nella lettera del 13 maggio avrebbe violato il principio di imparzialità e il dovere di sollecitudine. Pertanto, pronunciandosi su tale aspetto nell’ambito del ricorso per responsabilità extracontrattuale del quale era investito, il Tribunale non ha oltrepassato i limiti della propria competenza.

84. Inoltre, una mancata adizione della Corte da parte della Corte dei conti è l’espressione del fatto che tutti i membri di quest’ultima istituzione non hanno ritenuto che l’inadempimento di cui trattasi presentasse una soglia di gravità sufficiente per adire la Corte in base all’articolo 247, paragrafo 7, CE. La constatazione secondo la quale sul punto non è stata raggiunta l’unanimità non significa che difetti qualsivoglia inadempimento. Occorre rammentare, al riguardo, in analogia al procedimento che interessa i membri della Commissione, che la Corte ha precisato, nella sua sentenza Commissione/Cresson, cit., che una condanna in forza dell’articolo 213, paragrafo 2, CE esigeva l’esistenza di una violazione di una certa gravità (25) . Il presidente della Corte dei conti poteva pertanto, nell’ambito della propria competenza e senza violare il principio di imparzialità o il dovere di sollecitudine, rivelare alla ricorrente il risultato del voto e comunicarle che la maggioranza dei membri della Corte dei conti aveva ritenuto che il suo comportamento, pur non essendo stato unanimemente considerato sufficientemente grave per giustificare un’adizione della Corte in forza dell’articolo 247, paragrafo 7, CE, fosse assolutamente inadeguato. Occorre, peraltro, precisare che la lettera del 13 maggio 2004 era indirizzata unicamente alla ricorrente, e che niente, nel fascicolo, indica che essa sia stata comunicata a persone diverse dal suo destinatario.

85. Ritengo pertanto che il Tribunale non sia incorso in alcun errore di diritto nel ragionamento elaborato al punto 47 della sentenza impugnata. Mi limito a rilevare che il Tribunale, a rigor di termini, avrebbe dovuto riprendere la qualificazione del comportamento della ricorrente figurante nella lettera del 13 maggio 2004, ossia un comportamento «assolutamente inadeguato» (26), piuttosto che qualificare come «inaccettabile» tale comportamento. Tale differenza di formulazione non è tuttavia sufficiente, a mio avviso, per affermare l’esistenza di un errore di diritto. Osservo, inoltre, che la ricorrente si è limitata, sul punto, a formulare un’osservazione nel suo ricorso, senza trarne conseguenze dirette quanto all’esistenza di un errore di diritto (27) .

86. Infine, ritengo che i punti 35 e 38 della sentenza impugnata siano esenti da critiche con riguardo al principio di leale cooperazione. Infatti, giustamente, e senza rimettere in discussione la sentenza del 2 ottobre 2008, il Tribunale ha ritenuto, in sostanza, che il carattere deficitario del sistema di registrazione e di vigilanza dei congedi della Corte dei conti, da un lato, non influisca sull’obbligo del superiore gerarchico di verificare la presenza del personale sotto la propria autorità e di assicurarsi che ogni assenza sia conforme alla normativa sui congedi, e, dall’altro, non potrebbe giustificare l’abbandono di qualsiasi indagine o procedimento nei confronti della ricorrente.

87. Poiché l’esame del primo, del secondo e del terzo motivo dedotti dalla ricorrente non mi porta a suggerire alla Corte l’annullamento della sentenza impugnata, procederò ora ad esaminare il quarto motivo.

B – Sul quarto motivo, relativo ad un’interpretazione e ad un’applicazione erronee del diritto dell’Unione per quanto riguarda le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione e la decisione 99/50

88. Secondo la ricorrente, il Tribunale, avendo concluso che la mera comunicazione alla ricorrente dell’esistenza di un’indagine interna condotta dall’OLAF era sufficiente e che non era pertanto necessario informarla dell’indagine preliminare effettuata dalla Corte dei conti, sarebbe incorso in un errore di diritto in sede di interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50, in combinato disposto con l’articolo 4, primo comma, della medesima.

89. Contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, il Tribunale ha ritenuto, a mio avviso giustamente, ai punti 29 e 30 della sentenza impugnata, che l’articolo 4 della decisione 99/50 non obbligasse la Corte dei conti a comunicare alla ricorrente il contenuto del fascicolo di indagine preliminare predisposto in applicazione dell’articolo 2 di questa stessa decisione, né ad ascoltarla prima di trasmettere tale fascicolo all’OLAF.

90. L’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50 pone a carico del segretario generale l’obbligo di trasmettere senza indugio all’OLAF qualsiasi elemento di fatto che faccia presumere l’esistenza di irregolarità e di procedere ad un’indagine preliminare, senza pregiudicare le indagini interne condotte dall’OLAF.

91. Come sottolineato dal Tribunale al punto 29 della sentenza impugnata, l’indagine preliminare alla quale fa riferimento tale disposizione è intesa, da un lato, a consentire al segretario generale di valutare se gli elementi portati a sua conoscenza facciano presumere l’esistenza di irregolarità che arrecano pregiudizio agli interessi finanziari dell’Unione, e, dall’altro, a trasmettere all’OLAF, in conformità dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1073/1999, un fascicolo che consenta a quest’ultimo di valutare se occorra avviare un’indagine interna in forza dell’articolo 5, secondo comma, di tale regolamento.

92. L’indagine preliminare costituisce quindi la fase durante la quale le informazioni relative a presunte irregolarità vengono raccolte e formano l’oggetto di verifiche intese a valutare se debba essere avviata un’indagine interna. In altri termini, le informazioni a sostegno di tali presunte irregolarità devono essere verificate al fine di valutarne la plausibilità, prima di comunicarle alle autorità competenti a svolgere un’indagine interna, nella specie l’OLAF.

93. Nella misura in cui l’indagine preliminare non può sfociare nell’adozione di conclusioni concernenti il soggetto di cui trattasi, il Tribunale ha giustamente constatato, al punto 29 della sentenza impugnata, che l’obbligo risultante dalla seconda frase dell’articolo 4, primo comma, della decisione 99/50 non riguarda il comportamento del segretario generale nell’ambito dell’articolo 2 di questa stessa decisione.

94. Durante questa fase preliminare di raccolta e di valutazione delle informazioni a sostegno delle presunte irregolarità, i rischi di press ione sui testimoni sono particolarmente elevati. È pertanto indispensabile che non vengano ostacolate né la ricerca della verità né l’efficacia dell’indagine preliminare.

95. Occorre rilevare, al riguardo, che l’articolo 4, primo comma, prima frase, della decisione 99/50, sempreché si possa ritenere che tale disposizione riguardi sia l’indagine interna sia l’indagine preliminare, prevede che la regola secondo la quale il soggetto interessato da presunte irregolarità deve essere tempestivamente informato della possibilità del suo coinvolgimento individuale, contiene un importante temperamento, ossia che tale informazione avvenga «ove ciò non rischi di nuocere allo svolgimento dell’indagine».

96. È pacifico che, con le lettere dell’8 e del 26 aprile 2002, la ricorrente è stata informata dell’avvio dell’indagine dell’OLAF, dell’oggetto di quest’ultima, dell’identità degli investigatori e del fatto che questi ultimi l’avrebbero invitata a cooperare. Inoltre, la ricorrente è stata informata, nella lettera del 26 aprile 2002, del fatto che era stata svolta un’indagine preliminare da parte della Corte dei conti, e che un fascicolo ad essa relativo era stato consegnato all’OLAF. Tali comunicazioni soddisfano i requisiti stabiliti dall’articolo 4, primo comma, prima frase, della decisione 99/50, in quanto conciliano il principio di un’informazione tempestiva del soggetto di cui trattasi e la necessità di assicurare l’efficacia dell’indagine. Osservo, inoltre, che un’informazione tempestiva non è sinonimo di un’informazione immediata o coincidente con il momento di avvio dell’indagine.

97. L’argomento della ricorrente inteso a rimettere in discussione il ragionamento adottato dal Tribunale ai punti 29 e 30 della sentenza impugnata non è pertanto fondato.

98. Lo stesso vale per la censura secondo la quale il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato e applicato le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione al punto 32 della sentenza impugnata. È sufficiente indicare, al riguardo, che la valutazione del Tribunale secondo la quale «l’eventuale trasmissione del documento di cui trattasi da parte della Corte dei conti all’OLAF o alle autorità lussemburghesi non significa che l’istituzione abbia agito in malafede per quanto riguarda l’autenticità della firma della ricorrente» è stata formulata in subordine. Infatti, il Tribunale ha constatato, in via principale, che non era dimostrato che il documento controverso, l’autenticità della cui sottoscrizione era contestata, era stato trasmesso all’OLAF o alle autorità lussemburghesi. Poiché tale constatazione non è stata rimessa in discussione, quest’ultima censura deve essere considerata inconferente.

99. Alla luce di tali considerazioni, il quarto motivo deve essere dichiarato infondato. Di conseguenza, l’impugnazione deve essere respinta.

VI – Conclusione

100. Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

– respingere il ricorso;

– condannare la sig.ra Kalliopi Nikolaou alle spese.

(1) .

(2)  – T‑241/09, in prosieguo: la «sentenza impugnata».

(3)  – In prosieguo: il «segretario generale».

(4)  – GU L 136, pag. 1.

(5)  – Punti da 47 a 49 della lettera del 7 luglio 2009.

(6)  – C‑432/04, Racc. pag. I‑6387.

(7)  – V. Corte eur. D.U., sentenza Allen c. Regno Unito, del 12 luglio 2013, § 94.

(8)  – Idem.

(9)  – V. Corte eur. D.U., sentenza Teodor c. Romania, del 4 giugno 2013, § 37 e la giurisprudenza citata.

(10)  – Ibidem, § 40.

(11)  – Idem.

(12)  – § 38 e la giurisprudenza citata.

(13)  – Idem.

(14)  – Corte eur. D.U., sentenza Vassilios Stavropoulos c. Grecia, cit. § 39. V., parimenti, Corte eur. D.U., sentenza Tendam c. Spagna, del 13 luglio 2010, § 39.

(15)  – V., segnatamente, sentenza del 19 aprile 2012, Artegodan/Commissione (C‑221/10 P, punto 94 e la giurisprudenza citata).

(16)  – V., segnatamente, Corte eur. D.U., sentenza Vanjak c. Croazia, del 14 gennaio 2010, § da 69 a 72.

(17)  – Recueil des arrêts et décisions 2003-II.

(18)  – § 38.

(19)  – Idem.

(20)  – Punto 121.

(21)  – Idem.

(22)  – Punto 122.

(23)  – Sentenza Commissione/Cresson, cit., punto 72.

(24)  – Questi altri parametri, che figurano al punto 48 di tale lettera, sono i seguenti: il «fatto che, tenuto conto del rimborso della somma indebitamente versata al sig. Koutsouvelis, non è stato causato alcun danno al bilancio comunitario», il «tempo trascorso dai fatti di cui trattasi», l’«infermità» della ricorrente, nonché lo «stress arrecato[le] dalla durata del procedimento penale».

(25)  – Punto 72.

(26)  – V. punto 8 della sentenza impugnata.

(27)  – V. nota a piè di pagina n. 1 del ricorso.


CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 20 marzo 2014 ( 1 )

Causa C‑220/13 P

Kalliopi Nikolaou

contro

Corte dei Conti dell’Unione europea

«Impugnazione — Decisione 99/50 della Corte dei conti — Indagine preliminare — Indagine interna condotta dall’OLAF — Presunzione d’innocenza — Leale cooperazione — Competenza del Tribunale»

1. 

Con la sua impugnazione, la sig. ra Nikolaou chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 20 febbraio 2013, Nikolaou/Corte dei conti ( 2 ), con cui quest’ultimo ha respinto la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito dalla ricorrente a seguito di irregolarità e violazioni del diritto dell’Unione che la Corte dei conti dell’Unione europea avrebbe commesso nei suoi confronti.

I – Contesto normativo

2.

La decisione 99/50 della Corte dei conti, del 16 dicembre 1999, relativa a condizioni e modalità delle indagini interne in materia di lotta contro la frode, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi delle Comunità, dispone, al suo articolo 2:

«I funzionari e gli agenti della Corte [dei conti] i quali vengano a conoscenza di elementi di fatto che facciano presumere l’esistenza, all’interno dell’istituzione, di eventuali casi di frode, di corruzione o ogni altra attività illecita lesiva degli interessi delle Comunità ne informano tempestivamente il segretario generale della Corte [dei conti] ( 3 ).

Il segretario generale comunica senza indugio all’Ufficio [europeo per la lotta antifrode (OLAF)], nonché al presidente della Corte [dei conti], il quale trasmette l’informazione al membro responsabile del settore al quale appartiene il funzionario o l’agente, qualsiasi elemento di fatto che faccia presumere l’esistenza di irregolarità di cui al primo comma, e procede ad un’indagine preliminare, senza pregiudicare le indagini interne effettuate dall’[OLAF].

(...)

In nessun caso i membri, i funzionari e gli agenti possono subire un trattamento ingiusto o discriminatorio a causa di una comunicazione di cui ai commi precedenti».

3.

L’articolo 4, primo comma, della decisione 99/50 prevede:

«Nel caso in cui possa configurarsi la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, funzionario od agente della Corte [dei conti], l’interessato deve esserne tempestivamente informato, ove ciò non rischi di nuocere allo svolgimento dell’indagine. In ogni caso, al termine dell’indagine non possono essere tratte conclusioni che indichino nominativamente un membro, funzionario od agente senza che l’interessato abbia potuto pronunciarsi su tutti i fatti che lo riguardano».

II – Fatti

4.

La ricorrente è stata membro della Corte dei conti dal 1996 al 2001. Stando ad un servizio apparso il 19 febbraio 2002 sul quotidiano Europa Journal, l’eurodeputato Staes sarebbe stato in possesso di informazioni concernenti illegalità commesse dalla ricorrente nel corso del suo mandato in qualità di membro della Corte dei conti.

5.

Con lettera del 18 marzo 2002, il segretario generale ha trasmesso al direttore generale dell’OLAF un fascicolo contenente elementi a ciò relativi, dei quali questi e il presidente della Corte avrebbero avuto conoscenza. Inoltre, il segretario generale invitava l’OLAF ad indicargli se occorresse informare la ricorrente dell’esistenza di un’indagine che la riguardava in conformità dell’articolo 4 della decisione 99/50.

6.

Con lettera dell’8 aprile 2002, il presidente della Corte dei conti ha informato la ricorrente dell’esistenza di un’indagine interna condotta dall’OLAF a seguito dell’articolo apparso sull’Europa Journal. Con lettera del 26 aprile 2002, il direttore generale dell’OLAF ha informato la ricorrente del fatto che, a seguito delle informazioni che tale servizio aveva ricevuto dal sig. Staes e sulla base di un fascicolo di indagine preliminare predisposto dal segretario generale, era stata avviata un’indagine interna alla quale la ricorrente sarebbe stata invitata a cooperare.

7.

Secondo il rapporto finale dell’OLAF del 28 ottobre 2002, le informazioni concernenti la ricorrente sarebbero state fornite al sig. Staes da due dipendenti della Corte dei conti, dei quali uno sarebbe stato un membro del gabinetto della ricorrente. Le accuse esaminate riguardavano, in primo luogo, somme di denaro che la ricorrente avrebbe percepito a titolo di prestiti da parte del suo personale; in secondo luogo, asserite false dichiarazioni di domande di riporto di giorni di congedo per il suo capo di gabinetto, le quali avevano dato luogo al rimborso di circa EUR 28 790 a quest’ultimo a titolo di giorni di congedo non utilizzati per gli anni 1999, 2000 e 2001; in terzo luogo, l’uso dell’autovettura di servizio per fini non previsti dalla relativa normativa; in quarto luogo, l’assegnazione di incarichi all’autista della ricorrente per fini non coperti dalla relativa normativa; in quinto luogo, una politica di assenteismo all’interno del gabinetto della ricorrente; in sesto luogo, attività di natura commerciale e interventi presso funzionari di alto livello al fine di agevolare siffatte attività svolte da membri della sua famiglia; in settimo luogo, una frode commessa nell’ambito di un concorso e, in ottavo luogo, frodi relative a spese di rappresentanza percepite dalla ricorrente.

8.

L’OLAF ha concluso nel senso della possibilità che con riferimento alle domande di riporto dei giorni di congedo del capo di gabinetto della ricorrente fossero stati commessi illeciti qualificabili come falso, uso di atto falso e truffa. Stando al rapporto finale, è possibile che siano stati commessi illeciti penali da parte della ricorrente e dei membri del suo gabinetto in relazione a somme di denaro percepite dalla prima, secondo i soggetti coinvolti, a titolo di prestiti. L’OLAF ha pertanto informato, in conformità dell’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ( 4 ), le autorità giudiziarie lussemburghesi, affinché queste ultime indagassero sui fatti dai quali potesse emergere l’avvenuta commissione di illeciti penali.

9.

Quanto alle altre accuse, eccezion fatta per quella di frode commessa nell’ambito di un concorso, l’OLAF ha messo in evidenza possibili irregolarità o punti interrogativi relativi al comportamento della ricorrente, e ha suggerito alla Corte dei conti l’adozione di provvedimenti correttivi nei confronti di quest’ultima, nonché di misure intese a migliorare il sistema di controllo all’interno dell’istituzione.

10.

Il 26 aprile 2004, la ricorrente è stata sentita in occasione della riunione ristretta della Corte dei conti in vista dell’eventuale applicazione dell’articolo 247, paragrafo 7, CE. Con lettera del 13 maggio 2004, il presidente della Corte dei conti ha affermato che, quanto al rinvio della causa dinanzi alla Corte ai fini dell’applicazione dell’articolo 247, paragrafo 7, CE, per il fatto che la ricorrente aveva asseritamente sollecitato e ottenuto prestiti personali dai membri del suo gabinetto, l’unanimità richiesta dall’articolo 6 del regolamento interno della Corte dei conti, come adottato il 31 gennaio 2002, non era stata raggiunta in una riunione che aveva avuto luogo il 4 maggio 2004. Il presidente della Corte dei conti ha aggiunto, al riguardo, che una grande maggioranza dei membri dell’istituzione ha ritenuto che il comportamento della ricorrente fosse assolutamente inadeguato. Per quanto riguarda i giorni di congedo del capo di gabinetto della ricorrente, il presidente della Corte dei conti ha affermato che, poiché la causa era pendente dinnanzi ai giudici lussemburghesi, l’istituzione aveva differito la propria decisione in attesa delle conclusioni dei relativi procedimenti.

11.

Con sentenza del 2 ottobre 2008, la sezione penale del tribunal d’arrondissement de Luxembourg [Tribunale distrettuale di Lussemburgo] ha assolto la ricorrente e il suo capo di gabinetto dalle accuse di falso, di uso di atto falso, di falsa dichiarazione, e in subordine di trattenimento di indennità, percepimento indebito di sovvenzioni o assegni e in ulteriore subordine, di truffa (in prosieguo: la «sentenza del 2 ottobre 2008»). Il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha ritenuto, in sostanza, che talune spiegazioni fornite dal capo di gabinetto della ricorrente e da quest’ultima gettavano un dubbio sul complesso degli elementi probatori raccolti dall’OLAF e dalla polizia giudiziaria lussemburghese, intesi a dimostrare che suddetto capo di gabinetto si trovava in congedo non dichiarato per molti giorni nel corso degli anni 1999, 2000 e 2001. Il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha pertanto concluso che la sussistenza dei fatti addebitati alla ricorrente non era stata dimostrata al di là di ogni dubbio e che, poiché il minimo dubbio deve andare a vantaggio dell’imputato, la ricorrente doveva essere assolta dalle accuse mosse nei suoi confronti. In assenza di appello, la sentenza del 2 ottobre 2008 è divenuta definitiva.

12.

Con lettera datata 14 aprile 2009, la ricorrente ha chiesto alla Corte dei conti di pubblicare su tutti i giornali lussemburghesi, tedeschi, greci, francesi, spagnoli e belgi una comunicazione relativa alla sua assoluzione e di informare in merito alla medesima le altre istituzioni dell’Unione europea. In subordine, per il caso in cui la Corte dei conti non proceda a tali pubblicazioni, la ricorrente ha chiesto che le venisse corrisposta una somma pari a EUR 100 000 a titolo di risarcimento del danno morale, somma che essa si impegnava ad impiegare per effettuare suddette pubblicazioni. La ricorrente ha inoltre chiesto alla Corte dei conti, in primo luogo, di versarle EUR 40 000 a titolo di risarcimento del danno morale causato dal procedimento dinnanzi ai giudici lussemburghesi e EUR 57 771,40 a titolo di risarcimento del danno materiale causato dal medesimo procedimento; in secondo luogo, di risarcirla di tutte le spese sostenute, segnatamente, dinanzi al giudice istruttore e al tribunal d’arrondissement de Luxembourg e, in terzo luogo, di risarcirla delle spese sostenute a causa del procedimento dinanzi alla Corte dei conti.

13.

Con lettera del 7 luglio 2009, il presidente della Corte dei conti ha trasmesso alla ricorrente la decisione adottata in risposta a suddette domande. Tale decisione, da un lato, ha respinto gli argomenti dedotti nella lettera del 14 aprile 2009 e, dall’altro, ha comunicato alla ricorrente che la Corte dei conti aveva tentato di determinare, sulla base delle informazioni a sua disposizione, se i fatti presentassero una gravità sufficiente per adire la Corte affinché essa statuisse sull’esistenza di inadempimenti agli obblighi incombenti all’ex membro in forza del Trattato CE e sulla necessità di applicare eventuali sanzioni. A tal riguardo, la Corte dei conti ha indicato alla ricorrente gli elementi che l’avevano portata a decidere di non adire la Corte, fra i quali figuravano, segnatamente, l’assoluzione della ricorrente da parte della sentenza del 2 ottobre 2008 e l’assenza di danno causato al bilancio comunitario, tenuto conto del rimborso della somma indebitamente versata al sig. Koutsouvelis, suo capo di gabinetto ( 5 ).

III – Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

14.

Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 16 giugno 2009, la ricorrente ha presentato un ricorso per risarcimento danni, con il quale essa ha chiesto la condanna della Corte dei conti al versamento di una somma pari a EUR 85 000 più interessi a partire dal 14 aprile 2009, a titolo di risarcimento del danno morale causato dalle azioni e dalle omissioni di tale istituzione, importo che essa si impegnava ad utilizzare al fine di pubblicare la sua assoluzione.

15.

A sostegno di tale ricorso, la ricorrente ha dedotto anzitutto sei motivi concernenti la violazione qualificata, da parte della Corte dei conti, di norme di diritto dell’Unione che conferiscono diritti ai singoli. Quindi, essa ha fatto valere l’esistenza di un nesso di causalità diretto fra la suddetta violazione e il danno morale e materiale subito a causa della medesima.

16.

Il Tribunale ha respinto suddetto ricorso, ritenendo che la Corte dei conti non fosse incorsa in nessuna delle violazioni del diritto dell’Unione contestate.

17.

In particolare, nei limiti in cui ciò riveste interesse ai fini della presente impugnazione, il Tribunale ha concluso, ai punti da 27 a 32 della sentenza impugnata, che la condotta della Corte dei conti con riferimento all’indagine preliminare non fosse illegittima. Infatti, trasmettendo all’OLAF il fascicolo contenente le prime informazioni raccolte prima di aver sentito la ricorrente, tale istituzione non avrebbe violato né i requisiti risultanti dall’interpretazione combinata degli articoli 2 e 4 della decisione 99/50 né i diritti della difesa della ricorrente o il principio di imparzialità.

18.

Il Tribunale ha parimenti risposto, ai punti da 44 a 47 della sentenza impugnata, alle censure fondate, da un lato, sul fatto che la Corte dei conti avrebbe omesso di adottare una decisione formale che assolveva la ricorrente da tutte le accuse nei suoi confronti a seguito della sentenza del 2 ottobre 2008 e, dall’altro, sul fatto che il presidente della Corte dei conti avrebbe incluso, nella sua lettera del 13 maggio 2004, un’osservazione umiliante e superflua concernente la posizione espressa da una maggioranza dei membri dell’istituzione. I punti contestati sono formulati come segue:

«44

Occorre rilevare che l’omissione addebitata alla Corte dei conti non è viziata da illegittimità.

45

A tal riguardo, in primo luogo, occorre sottolineare che la ricorrente è stata assolta sulla base di dubbi generati, secondo la sentenza del 2 ottobre 2008, da talune spiegazioni fornite dal capo del suo gabinetto nel corso dell’udienza pubblica. Senza che sia necessario pronunciarsi sul carattere ragionevole dei dubbi evidenziati dal tribunal d’arrondissement de Luxembourg, è giocoforza constatare che tale motivo di assoluzione non implica che le accuse mosse nei confronti della ricorrente siano del tutto prive di fondamento, bensì implica che, come esposto da suddetto tribunale, esse non sono state dimostrate al di là di “ogni dubbio”.

46

In secondo luogo, come fatto valere dalla Corte dei conti, spetta esclusivamente alle autorità giudiziarie nazionali esaminare le accuse sul piano penale e alla Corte di valutarle sul piano disciplinare ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE. La Corte dei conti non era pertanto competente a statuire al riguardo.

47

In terzo luogo, dal fatto che non sia stata adita la Corte in forza di quest’ultima disposizione, non si può desumere che la Corte dei conti ritenga che i fatti ascritti alla ricorrente siano del tutto privi di fondamento. Infatti, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento interno della Corte dei conti, come adottato il 31 gennaio 2002, l’adizione di cui trattasi viene decisa all’unanimità. Pertanto, se è vero che la mancata adizione implica che l’unanimità non è stata raggiunta, ciò non toglie che essa non equivale ad una presa di posizione della Corte dei conti per quanto riguarda la sussistenza dei fatti. In tale contesto, non era inadeguato, per il presidente della Corte dei conti, informare la ricorrente del fatto che la grande maggioranza dei membri dell’istituzione ha ritenuto inaccettabile il suo comportamento, impedendo in tal modo che la mancata adizione della Corte possa essere interpretata come un’asserita negazione della sussistenza dei fatti addebitati, il che non corrisponderebbe peraltro alla realtà».

19.

Infine, il Tribunale ha replicato alla censura secondo la quale la Corte dei conti avrebbe dovuto, in forza del suo dovere di sollecitudine, procedere a comunicazioni alla stampa e alle istituzioni concernenti l’assoluzione della ricorrente. Esso ha ritenuto, al riguardo, riferendosi alle ragioni illustrate ai punti 45 e 46 della sentenza impugnata, che dal dovere di sollecitudine non potesse essere desunto alcun obbligo di pubblicazione dell’assoluzione della ricorrente.

IV – I motivi e i principali argomenti dedotti a sostegno dell’impugnazione

20.

A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce quattro motivi.

21.

Con il primo motivo, la ricorrente addebita al Tribunale di aver violato il principio della presunzione di innocenza, previsto dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritto fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dall’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Infatti, tale principio garantisce, segnatamente, che un giudice dell’Unione non possa rimettere in discussione l’innocenza di una persona accusata neanche quando tale persona è stata previamente prosciolta da una decisione giudiziaria penale nazionale definitiva. Ne deriva che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto, ai punti da 43 a 46 e 49 della sentenza impugnata, che non fosse «viziata da illegittimità» la mancata adozione, da parte della Corte dei conti, di una decisione che constata la mancata definitiva citazione della ricorrente dinanzi alla Corte, da un lato, e il mancato ripristino della sua reputazione, dall’altro.

22.

La ricorrente critica, in particolare, la formulazione del punto 45 della sentenza impugnata, ritenendo che la valutazione del Tribunale contenuta in tale punto costituisca una violazione manifesta del principio della presunzione di innocenza. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si evincerebbe che la circostanza che il proscioglimento della ricorrente sia stato motivato dalla sussistenza di un dubbio non può incidere sull’obbligo del Tribunale di non fondare la propria sentenza sul motivo di assoluzione di cui trattasi.

23.

La Corte dei conti ribatte che il primo motivo si basa su un travisamento della portata dell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, nonché dell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta. Infatti, la presunzione di innocenza varrebbe per la persona accusata dinanzi al giudice che deve statuire sulla sua colpevolezza o sulla sua innocenza rispetto ai capi di accusa sollevati dinnanzi al medesimo. Orbene, nell’ambito del ricorso per responsabilità extracontrattuale proposto dalla ricorrente, la sua colpevolezza sotto il profilo del diritto penale lussemburghese non era oggetto di controversia. Il Tribunale non poteva pertanto violare la presunzione di innocenza.

24.

Peraltro, tale motivo sarebbe fondato sull’erronea premessa che la Corte dei conti e il Tribunale avrebbero proceduto ad un riesame della fondatezza della sentenza del 2 ottobre 2008. La Corte dei conti ritiene che, al contrario, ciascuna istituzione, nell’esercizio della propria competenza nell’ambito della causa, abbia accettato tale sentenza e ne abbia tratto le conseguenze che si imponevano nell’ambito dei loro rispettivi processi decisionali. In particolare, il Tribunale avrebbe considerato la sentenza del 2 ottobre 2008 un elemento di fatto che esso doveva prendere in considerazione nel valutare la legittimità degli atti o delle omissioni della Corte dei conti.

25.

La Corte dei conti desume dai punti da 120 a 122 della sentenza dell’11 luglio 2006, Commissione/Cresson ( 6 ), che, pur riconoscendo che il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha concluso nel senso che la sussistenza di taluni fatti addebitati alla ricorrente non era stata dimostrata al di là di ogni dubbio e che, pertanto, i soggetti di cui trattasi dovevano essere assolti dai capi d’accusa attinenti a violazioni del diritto penale lussemburghese gravanti sui medesimi, niente impediva al Tribunale di procedere ad una diversa valutazione di questi stessi fatti nel contesto del suo esame di un’eventuale responsabilità extracontrattuale della Corte dei conti alla luce del diritto dell’Unione. Così facendo, il Tribunale non avrebbe affatto messo in discussione la sentenza del 2 ottobre 2008 né la presunzione di innocenza della quale la ricorrente beneficiava dinnanzi a tale giudice.

26.

Con il secondo motivo, la ricorrente addebita al Tribunale di essere incorso in una violazione del principio di leale cooperazione, sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nei confronti del tribunal d’arrondissement de Luxembourg, snaturando le considerazioni e le valutazioni effettuate da quest’ultimo.

27.

A suo avviso, tale principio implicherebbe che, qualora un giudice nazionale abbia emesso una sentenza che è passata in giudicato e che ha assolto un soggetto dagli illeciti contestategli, le istituzioni dell’Unione, compreso il Tribunale, sarebbero tenute a rispettare una siffatta sentenza e a non privarla del suo effetto utile.

28.

Orbene, nonostante i fatti controversi siano identici a quelli sui quali il tribunal d’arrondissement de Luxembourg si è pronunciato, il Tribunale, procedendo ad una valutazione completamente diversa di questi stessi fatti, sarebbe incorso in una violazione del principio di leale cooperazione.

29.

Inoltre, al punto 35 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe contraddetto le conclusioni del tribunal d’arrondissement de Luxembourg allorché ha ritenuto che «la gestione di qualsiasi sistema di congedo è fondato sull’obbligo del superiore gerarchico di verificare la presenza del personale sotto la sua autorità e di assicurarsi che ogni assenza sia conforme alla normativa applicabile relativa ai congedi» e che «su tale obbligo non incide l’eventuale assenza di un sistema integrato che consente di verificare, in maniera indipendente dal superiore gerarchico, che il numero di giorni di congedo dichiarati come non utilizzati alla fine di ciascun anno corrisponde alla realtà».

30.

Infine, il Tribunale non avrebbe rispettato la sentenza del 2 ottobre 2008 poiché ha ritenuto, al punto 38 della sentenza impugnata, che «il carattere deficitario del sistema di registrazione e di vigilanza dei congedi della Corte dei conti applicabile all’epoca dei fatti non potrebbe giustificare l’abbandono di ogni misura investigativa e giudiziaria nei confronti della [ricorrente]», mentre è proprio il carattere deficitario del sistema di gestione dei congedi della Corte dei conti che avrebbe comportato l’assoluzione della ricorrente.

31.

In risposta a tali argomenti, la Corte dei conti afferma che il secondo motivo poggia su un travisamento dei rispettivi ruoli delle istituzioni interessate nonché della portata dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE. Infatti, il Tribunale non avrebbe né proceduto ad una nuova valutazione della sentenza del 2 ottobre 2008 né messo in discussione il suo verdetto. La differenza di valutazione di taluni fatti si spiegherebbe con il diverso contesto in cui si inseriscono le due controversie, ossia, da un lato, un procedimento penale disciplinato dal diritto nazionale, e, dall’altro, un ricorso per responsabilità extracontrattuale ai sensi del diritto dell’Unione.

32.

Con il terzo motivo, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è viziata dal difetto di competenza del Tribunale, alla luce del fatto che esso ha risolto questioni che eccedevano le competenze attribuitegli dai Trattati.

33.

Da un lato, sebbene esso riconosca, al punto 46 della sentenza impugnata, che spetta esclusivamente alle autorità giudiziarie nazionali esaminare le accuse sul piano penale, il Tribunale, procedendo, al punto 45 della sentenza impugnata, ad una valutazione nel merito con riferimento al motivo di assoluzione fondato sull’esistenza di un dubbio, avrebbe ecceduto le competenze assegnategli dai Trattati.

34.

Dall’altro lato, effettuando le affermazioni contenute al punto 47 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe parimenti oltrepassato i limiti della propria competenza. Infatti, poiché la Corte è l’unica istituzione idonea a statuire sulle responsabilità disciplinari risultanti dai comportamenti dei membri della Corte dei conti, il Tribunale, analogamente a quest’ultima istituzione nella sua lettera del 13 maggio 2004, non era competente ad esprimere nei confronti della ricorrente neanche un mero sospetto che lasciasse supporre un comportamento inaccettabile di quest’ultima.

35.

La Corte dei conti ribatte che questo terzo motivo deve essere dichiarato parzialmente irricevibile, nella parte in cui si limita a reiterare gli argomenti dedotti in primo grado per quanto riguarda la lettera del 13 maggio 2004, e parzialmente infondato.

36.

In relazione a quest’ultimo aspetto, essa sostiene, ancora una volta, che il Tribunale non ha affatto messo in discussione la sentenza del 2 ottobre 2008. La valutazione di uno stesso comportamento potrebbe far pervenire a conclusioni diverse a seconda dell’organo competente.

37.

Con il quarto motivo, la ricorrente fa valere che il Tribunale ha erroneamente interpretato e applicato le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Infatti, quanto alla questione dell’uso di atto falso, il Tribunale avrebbe aggiunto una condizione supplementare non richiesta (la «malafede»), concludendo, al punto 32 della sentenza impugnata, che «l’eventuale trasmissione del documento di cui trattasi da parte della Corte dei conti all’OLAF o alle autorità lussemburghesi non significa che l’istituzione abbia agito in malafede per quanto riguarda l’autenticità della firma della ricorrente».

38.

Inoltre, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto anche nell’interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50, in combinato disposto con l’articolo 4, primo comma, di quest’ultima, nella parte in cui ha concluso che la mera comunicazione alla ricorrente dell’esistenza di un’indagine interna condotta dall’OLAF era sufficiente, e che non era pertanto necessario informarla dell’indagine preliminare effettuata dalla Corte dei conti.

39.

Secondo la Corte dei conti, le asserzioni contenute in questo quarto motivo devono essere dichiarate irricevibili, in quanto esse, da un lato, chiedono alla Corte di riesaminare i fatti del caso di specie, e, dall’altro, si limitano a reiterare gli argomenti dedotti in primo grado, in particolare per quanto riguarda la censura attinente all’assenza di notificazione dell’indagine preliminare.

40.

Nel merito, il Tribunale, al punto 32 della sentenza impugnata, affermando che la semplice trasmissione di un documento all’OLAF o alle autorità lussemburghesi non costituiva un indice di malafede da parte della Corte dei conti per quanto riguarda l’autenticità della firma della ricorrente, non avrebbe aggiunto alcuna condizione supplementare relativa alla responsabilità extracontrattuale dell’Unione. Analogamente, il Tribunale non sarebbe incorso in alcun errore nell’interpretare l’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50, in quanto tale disposizione non impone l’obbligo di comunicare l’avvio di un’indagine preliminare al soggetto sospettato di irregolarità, bensì esige unicamente che il segretario generale trasmetta senza indugio all’OLAF le informazioni raccolte nell’ambito di una siffatta indagine.

V – Analisi

41.

Esaminerò anzitutto, congiuntamente, il primo, il secondo e il terzo motivo dedotti dalla ricorrente, nella misura in cui gli argomenti elaborati a sostegno dei medesimi si sovrappongono e riguardano gli stessi punti della sentenza impugnata. In un secondo momento esaminerò quindi il quarto motivo.

A – Sui motivi attinenti alla violazione della presunzione di innocenza e del principio di leale cooperazione, nonché all’incompetenza del Tribunale

42.

I primi tre motivi sono diretti, in sostanza, a rimettere in discussione il ragionamento seguito dal Tribunale nei punti da 44 a 49 della sentenza impugnata.

43.

Occorre tener ben presente le censure alle quali il Tribunale intendeva replicare in tale parte della sentenza impugnata.

44.

In primo luogo, la ricorrente addebitava alla Corte dei conti di aver omesso di adottare una decisione formale che l’assolveva da tutte le accuse nei suoi confronti a seguito della sentenza del 2 ottobre 2008, non essendo stata fornita la prova di una condotta che giustificava un rinvio della causa alla Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE. A suo avviso, mediante tale decisione, la Corte dei conti avrebbe dovuto rinunciare ad adire la Corte sulla base di quest’ultima disposizione.

45.

In secondo luogo, la ricorrente addebitava al presidente della Corte dei conti la violazione del principio di imparzialità e del dovere di sollecitudine, allorché esso aveva incluso, nella lettera del 13 maggio 2004, un’osservazione umiliante e superflua concernente la posizione espressa da una maggioranza dei membri dell’istituzione.

46.

In terzo luogo, la ricorrente faceva valere che la Corte dei conti avrebbe dovuto, in forza del suo dovere di sollecitudine, effettuare delle comunicazioni alla stampa e alle istituzioni concernenti la sua assoluzione.

47.

Osservo subito che, a mio avviso, il Tribunale ha giustamente respinto queste tre richieste della ricorrente.

48.

Tuttavia, come fatto valere da quest’ultima, l’argomento elaborato dal Tribunale al punto 45 della sentenza impugnata solleva problemi con riferimento alla presunzione di innocenza.

49.

In virtù dell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, «[o]gni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata». Questa disposizione corrisponde all’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il diritto alla presunzione di innocenza ha lo stesso significato e la stessa portata del corrispondente diritto garantito dalla CEDU.

50.

La presunzione di innocenza deve essere garantita tanto a monte quanto a valle del processo penale. Infatti, l’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU è parimenti inteso a «impedire che dei soggetti che abbiano beneficiato di un’assoluzione o di un’archiviazione del procedimento vengano trattati da agenti o autorità pubbliche come se fossero di fatto colpevoli del reato loro contestato» ( 7 ). La garanzia del diritto alla presunzione di innocenza a seguito di un procedimento penale si spiega con il fatto che, «[s]enza la tutela destinata a far rispettare in qualsiasi procedimento successivo un’assoluzione o una decisione di archiviazione del procedimento, le garanzie di un equo processo menzionate all’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU] rischierebbero di divenire teoriche e illusorie. Ciò che è parimenti in gioco una volta chiuso il procedimento penale è la reputazione dell’interessato e il modo in cui questi è percepito dal pubblico» ( 8 ).

51.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha inoltre chiarito che «l’ambito di applicazione dell’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU] non è limitato ai procedimenti penali pendenti, ma può estendersi alle decisioni giudiziarie prese successivamente alla decisione di archiviazione (...) o dopo un’assoluzione (...), nei limiti in cui le questioni sollevate in tali cause costituiscano un corollario e un complemento dei procedimenti penali interessati, nei quali il ricorrente rivestiva la qualità di “imputato”» ( 9 ). La Corte europea dei diritti dell’uomo si sofferma quindi a verificare se «per il loro modo di agire, per i motivi delle loro decisioni o per i termini utilizzati nel loro ragionamento» ( 10 ), le autorità e gli organi giurisdizionali nazionali che sono chiamati a pronunciarsi successivamente ad una sentenza penale «abbiano gettato dei dubbi sull’innocenza del ricorrente e abbiano pertanto violato il principio della presunzione di innocenza» ( 11 ).

52.

Come discende segnatamente dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Vassilios Stavropoulos c. Grecia del 27 settembre 2007, «l’esternazione di sospetti sull’innocenza di un imputato non è più accettabile dopo un’assoluzione divenuta definitiva» ( 12 ). Secondo la giurisprudenza di tale Corte, «una volta che l’assoluzione è divenuta definitiva – persino qualora si tratti di un’assoluzione con il beneficio del dubbio in conformità dell’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU] – l’esternazione di dubbi di colpevolezza, inclusi quelli concernenti i motivi dell’assoluzione, non sono compatibili con la presunzione di innocenza» ( 13 ).

53.

In questa stessa sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che, «in virtù del principio “in dubio pro reo”, il quale costituisce un’espressione particolare del principio della presunzione di innocenza, non deve sussistere alcuna differenza qualitativa tra un’assoluzione per insufficienza di prove e un’assoluzione derivante dall’accertamento di assoluta innocenza della persona. Le sentenze di assoluzione, infatti, non si differenziano a seconda dei motivi che vengono di volta in volta scelti dal giudice penale. Al contrario, nell’ambito dell’articolo 6[, paragrafo 2, della CEDU], il dispositivo di assoluzione deve essere rispettato da qualsiasi autorità che si pronunci, direttamente o in via incidentale, sulla responsabilità penale dell’interessato» ( 14 ).

54.

Alla luce di tale giurisprudenza, la formulazione del punto 45 della sentenza impugnata mi sembra contestabile.

55.

Ricordo che, in tal punto, il Tribunale ha sottolineato, anzitutto, che la ricorrente era stata «assolta sulla base di dubbi generati, secondo la sentenza del 2 ottobre 2008, da talune spiegazioni fornite dal capo del suo gabinetto nel corso dell’udienza pubblica». Il Tribunale ha proseguito indicando che, «[s]enza che sia necessario pronunciarsi sul carattere ragionevole dei dubbi evidenziati dal tribunal d’arrondissement de Luxembourg, è giocoforza constatare che tale motivo di assoluzione non implica che le accuse mosse nei confronti della ricorrente siano del tutto prive di fondamento, bensì implica che, come esposto da suddetto tribunale, esse non sono state dimostrate al di là di “ogni dubbio”».

56.

In questa parte della sua argomentazione, il Tribunale si basa sul motivo dell’assoluzione in sede penale, insistendo sul fatto che si tratta di un’assoluzione con il beneficio del dubbio, per giustificare la mancata adozione, da parte della Corte dei conti, di una decisione formale di assoluzione della ricorrente da tutte le accuse. Esso utilizza dunque il motivo dell’assoluzione per respingere l’esistenza di un illecito addebitabile alla Corte dei conti e farne derivare una conseguenza sulla valutazione del merito della domanda di risarcimento del danno. In definitiva, il ragionamento che promana dal punto 45 della sentenza impugnata è quello secondo il quale, poiché la ricorrente è stata assolta con il beneficio del dubbio e tale motivo di assoluzione non è sufficiente a privare di qualsiasi fondamento le accuse mosse nei suoi confronti, giustamente la Corte dei conti ha rifiutato l’adozione di una decisione formale che l’assolveva da tutte le accuse nei suoi confronti a seguito della sentenza del 2 ottobre 2008.

57.

Formulando in tali termini il suo argomento, il Tribunale dà l’impressione di ritenere che un’assoluzione con il beneficio del dubbio abbia meno forza di un’assoluzione che poggia su un’affermazione più diretta dell’innocenza della ricorrente. Esso indebolisce la decisione alla quale è pervenuto il giudice penale, il che contribuisce contemporaneamente a gettare un dubbio sull’innocenza della ricorrente.

58.

Pregiudicando in tal modo la presunzione di innocenza della ricorrente, il Tribunale è dunque incorso in un errore di diritto.

59.

A mio avviso, la constatazione di tale errore non è tuttavia idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata. Si deve infatti rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, se dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulta una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo della stessa appare fondato per altri motivi di diritto, l’impugnazione deve essere respinta ( 15 ).

60.

Rilevo, al riguardo, che giustamente il Tribunale ha indicato, al punto 46 della sentenza impugnata, che «spetta esclusivamente alle autorità giudiziarie nazionali esaminare le accuse sul piano penale e alla Corte di valutarle sul piano disciplinare ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE». Esso ne ha pertanto correttamente desunto che «[l]a Corte dei conti non era pertanto competente a statuire al riguardo».

61.

È evidente, infatti, che la Corte dei conti non è legittimata ad adottare una decisione di assoluzione, né sul piano penale né sul piano disciplinare. Peraltro, la Corte dei conti non era affatto tenuta a procedere alla pubblicazione dell’assoluzione della ricorrente. Pertanto, il Tribunale ha giustamente respinto queste due richieste della ricorrente sulla base dell’argomento da esso indicato al punto 46 della sentenza impugnata.

62.

L’unica competenza della Corte dei conti nel contesto della presente causa consisteva nel decidere se adire o meno la Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE, affinché essa si pronunciasse sull’esistenza di un inadempimento derivante dalla carica di membro della Corte dei conti ai sensi di quest’ultima disposizione.

63.

Sottolineo, al riguardo, che il ragionamento del Tribunale sarebbe stato sia più convincente sia più completo se esso avesse posto maggiormente l’accento sul carattere autonomo dei procedimenti penali e disciplinari.

64.

Infatti, tanto in primo grado quanto nell’ambito della presente impugnazione, l’argomento della ricorrente è stato in gran parte fondato sull’idea che vi sarebbe in certo qual modo un automatismo fra l’esistenza di un’assoluzione in sede penale e l’adozione, da parte della Corte dei conti, di una decisione con la quale essa rinuncia ad adire la Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE.

65.

Tale argomento della ricorrente è fondamentalmente errato, come si può dedurre tanto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo quanto da quella della nostra Corte.

66.

In primo luogo, si evince dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che il diritto alla presunzione di innocenza nel caso di assoluzione in sede penale o di archiviazione del procedimento penale non ostacola in alcun modo il successivo avvio, sulla base dei medesimi fatti, di procedimenti disciplinari oppure di azioni per responsabilità.

67.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso quindi che gli organi disciplinari possono valutare in maniera indipendente i fatti delle cause delle quali sono stati investiti quando gli elementi costitutivi degli illeciti penali e disciplinari non sono identici ( 16 ). In tale contesto, la constatazione secondo la quale determinati fatti non possono vedersi applicare la qualificazione di illecito penale non impedisce l’avvio di un procedimento disciplinare sulla base di questi stessi fatti. Sotto il profilo del diritto alla presunzione di innocenza, l’unico limite consiste nel fatto che, durante il procedimento disciplinare, l’innocenza sul piano penale del soggetto di cui trattasi non venga rimessa in discussione.

68.

Inoltre, nel contenzioso in materia di risarcimento danni, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso, nella sua sentenza Ringvold c. Norvegia dell’11 febbraio 2003 ( 17 ), che «la questione del risarcimento deve formare l’oggetto di un’analisi giuridica distinta, fondata su criteri e requisiti probatori che presentano differenze rilevanti rispetto a quelli applicabili nel settore della responsabilità penale» ( 18 ). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto, in tal senso, che «anche se l’assoluzione pronunciata in sede penale non deve essere rimessa in discussione nell’ambito del procedimento di risarcimento, ciò non deve ostare all’accertamento, sulla base di requisiti probatori meno rigorosi, di una responsabilità civile che comporta l’obbligo di corrispondere un risarcimento in ragione dei medesimi fatti» ( 19 ).

69.

In secondo luogo, secondo una logica simile, la Corte, nella sua sentenza Commissione/Cresson, cit., ha posto l’accento sul carattere autonomo dei procedimenti penali, da un lato, e il procedimento fondato sull’articolo 213, paragrafo 2, CE, inteso a sanzionare la violazione degli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione europea, dall’altro.

70.

In tale sentenza, la Corte ha ritenuto, infatti, di non essere «vincolata dalla qualificazione giuridica dei fatti effettuata nel contesto del procedimento penale» ( 20 ) e che fosse suo compito «valutare, nella pienezza dei suoi poteri discrezionali, se i fatti contestati nell’ambito di un procedimento fondato sull’art[icolo] 213, [paragrafo] 2, CE [costituissero] una violazione degli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione» ( 21 ). La Corte ne ha concluso che la decisione della camera di consiglio del Tribunal de première instance de Bruxelles (tribunale di primo grado di Bruxelles, Belgio) che dichiarava l’assenza di prove contro la sig.ra Cresson non la vincolava ( 22 ).

71.

Tale ragionamento, fondato sul carattere autonomo dei procedimenti penali e disciplinari, è trasponibile al procedimento previsto, all’epoca dei fatti, dall’articolo 247, paragrafo 7, CE e che figura adesso all’articolo 286, paragrafo 6, TFUE. Ne deriva che, qualora essa sia chiamata a verificare se un membro della Corte dei conti sia incorso o meno in una violazione degli obblighi derivanti dalla sua carica, la Corte non sarebbe vincolata ad una sentenza penale che assolve il soggetto di cui trattasi.

72.

Sullo stesso fondamento relativo al carattere autonomo dei procedimenti penali e disciplinari, la Corte dei conti, in quanto autorità legittimata ad adire la Corte, non può essere vincolata da una siffatta sentenza penale. In particolare, per replicare in maniera chiara all’argomento della ricorrente, l’esistenza di un’assoluzione in sede penale non impedisce affatto alla Corte dei conti di adire la Corte ai sensi dell’articolo 286, paragrafo 6, TFUE. In una fattispecie del genere, la Corte dei conti conserva il proprio potere discrezionale quanto all’eventuale adizione della Corte.

73.

Desumo da tali elementi che il procedimento penale dinnanzi ad un giudice nazionale e il procedimento previsto dall’articolo 247, paragrafo 7, CE, e successivamente dall’articolo 286, paragrafo 6, TFUE, divergono non solo quanto al loro oggetto e alla loro finalità, bensì anche quanto alla natura e al livello probatorio richiesto. I due procedimenti, sebbene si basino sulle medesime circostanze di fatto, sono indipendenti, cosicché, fatto salvo il divieto di rimettere in discussione la valutazione del giudice penale, un’assoluzione sul piano penale non impedisce affatto alla Corte dei conti di adire la Corte, né a quest’ultima di statuire sull’esistenza di un inadempimento agli obblighi derivanti dalla carica di membro della Corte dei conti.

74.

Nella specie, si evince dal fascicolo che il tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha ritenuto, nella sua sentenza del 2 ottobre 2008, che i fatti, così come accertati, non potevano essere qualificati come illeciti penali ai sensi della legge lussemburghese.

75.

La valutazione così compiuta dal tribunal d’arrondissement de Luxembourg non significa, tuttavia, che la Corte dei conti era tenuta a ritenere di non poter adire la Corte in relazione agli inadempimenti concernenti la gestione dei congedi. Infatti, da un lato, il livello di precisione dei fatti o delle prove richiesto ai fini della qualificazione come illecito penale non coincide necessariamente con quello richiesto al fine di accertare l’esistenza di un inadempimento agli oneri incombenti ai membri della Corte dei conti. Dall’altro, e in ogni caso, spetterebbe unicamente alla Corte, qualora sia adita in base all’articolo 286, paragrafo 6, TFUE, valutare la portata dell’autorità di cosa giudicata che dovrebbe essere riconosciuta, se del caso, ad una sentenza penale nazionale.

76.

Ne consegue che il diniego della Corte dei conti di adottare una decisione formale di assoluzione e di riconoscere un automatismo fra l’assoluzione in sede penale e l’adizione della Corte ai sensi dell’articolo 247, paragrafo 7, CE era pienamente giustificato e non può, nell’ambito della presente impugnazione, essere rimesso in discussione argomentando che il rigetto, da parte del Tribunale, della richiesta della ricorrente intesa a far dichiarare l’illegittimità di un siffatto diniego integrerebbe una violazione della presunzione di innocenza o una violazione del principio di leale cooperazione.

77.

È in conformità con la natura autonoma dei procedimenti penali e disciplinari, e nell’esercizio del suo potere discrezionale, che la Corte dei conti ha tentato di stabilire, sulla base delle informazioni a sua disposizione, se i fatti addebitati alla ricorrente presentassero una gravità sufficiente ( 23 ) per adire la Corte in base all’articolo 247, paragrafo 7, CE. Come testimonia la sua lettera del 7 luglio 2009, la Corte dei conti, quando ha deciso di non adire la Corte sull’aspetto relativo alla gestione dei congedi, non si è limitata a tenere conto dell’assoluzione della ricorrente in sede penale, bensì ha preso in considerazione anche altri parametri ( 24 ).

78.

Procederò ora ad esaminare le critiche formulate dalla ricorrente con riferimento al punto 47 della sentenza impugnata.

79.

In tale punto, il Tribunale replica all’argomento della ricorrente secondo il quale il presidente della Corte dei conti, includendo, nella sua lettera del 13 maggio 2004, un’osservazione umiliante e superflua sulla posizione espressa da una maggioranza dei membri dell’istituzione, sarebbe incorso in una violazione del principio di imparzialità e del dovere di sollecitudine.

80.

Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe oltrepassato i limiti della propria competenza e avrebbe avallato una lettura errata della sfera di competenza della Corte dei conti allorché ha ritenuto, nel suddetto punto, che «non era inadeguato, per il presidente della Corte dei conti, informare la ricorrente del fatto che la grande maggioranza dei membri dell’istituzione ha ritenuto inaccettabile il suo comportamento, impedendo in tal modo che la mancata adizione della Corte possa essere interpretata come un’asserita negazione della sussistenza dei fatti addebitati».

81.

Occorre precisare che il passaggio della lettera del 13 maggio 2004 che contiene l’osservazione criticata riguarda unicamente le asserzioni relative ai prestiti personali a favore della ricorrente. Questa parte della causa non era inclusa nel procedimento penale sfociato nella sentenza del 2 ottobre 2008. L’assoluzione della quale ha beneficiato la ricorrente in sede penale non rileva pertanto nell’ambito dell’esame del punto 47 della sentenza impugnata.

82.

Ciò premesso, il Tribunale, a mio avviso, è rimasto nella sua sfera di competenza allorché ha ritenuto, da un lato, che la mancata adizione della Corte non equivalesse a negare la sussistenza dei fatti, e, dall’altro, che il presidente della Corte dei conti potesse formulare nei confronti della ricorrente il commento criticato.

83.

Infatti, la valutazione contenuta al punto 47 della sentenza impugnata costituisce una risposta del Tribunale all’asserzione della ricorrente secondo la quale l’osservazione che il presidente della Corte dei conti ha incluso nella lettera del 13 maggio avrebbe violato il principio di imparzialità e il dovere di sollecitudine. Pertanto, pronunciandosi su tale aspetto nell’ambito del ricorso per responsabilità extracontrattuale del quale era investito, il Tribunale non ha oltrepassato i limiti della propria competenza.

84.

Inoltre, una mancata adizione della Corte da parte della Corte dei conti è l’espressione del fatto che tutti i membri di quest’ultima istituzione non hanno ritenuto che l’inadempimento di cui trattasi presentasse una soglia di gravità sufficiente per adire la Corte in base all’articolo 247, paragrafo 7, CE. La constatazione secondo la quale sul punto non è stata raggiunta l’unanimità non significa che difetti qualsivoglia inadempimento. Occorre rammentare, al riguardo, in analogia al procedimento che interessa i membri della Commissione, che la Corte ha precisato, nella sua sentenza Commissione/Cresson, cit., che una condanna in forza dell’articolo 213, paragrafo 2, CE esigeva l’esistenza di una violazione di una certa gravità ( 25 ). Il presidente della Corte dei conti poteva pertanto, nell’ambito della propria competenza e senza violare il principio di imparzialità o il dovere di sollecitudine, rivelare alla ricorrente il risultato del voto e comunicarle che la maggioranza dei membri della Corte dei conti aveva ritenuto che il suo comportamento, pur non essendo stato unanimemente considerato sufficientemente grave per giustificare un’adizione della Corte in forza dell’articolo 247, paragrafo 7, CE, fosse assolutamente inadeguato. Occorre, peraltro, precisare che la lettera del 13 maggio 2004 era indirizzata unicamente alla ricorrente, e che niente, nel fascicolo, indica che essa sia stata comunicata a persone diverse dal suo destinatario.

85.

Ritengo pertanto che il Tribunale non sia incorso in alcun errore di diritto nel ragionamento elaborato al punto 47 della sentenza impugnata. Mi limito a rilevare che il Tribunale, a rigor di termini, avrebbe dovuto riprendere la qualificazione del comportamento della ricorrente figurante nella lettera del 13 maggio 2004, ossia un comportamento «assolutamente inadeguato» ( 26 ), piuttosto che qualificare come «inaccettabile» tale comportamento. Tale differenza di formulazione non è tuttavia sufficiente, a mio avviso, per affermare l’esistenza di un errore di diritto. Osservo, inoltre, che la ricorrente si è limitata, sul punto, a formulare un’osservazione nel suo ricorso, senza trarne conseguenze dirette quanto all’esistenza di un errore di diritto ( 27 ).

86.

Infine, ritengo che i punti 35 e 38 della sentenza impugnata siano esenti da critiche con riguardo al principio di leale cooperazione. Infatti, giustamente, e senza rimettere in discussione la sentenza del 2 ottobre 2008, il Tribunale ha ritenuto, in sostanza, che il carattere deficitario del sistema di registrazione e di vigilanza dei congedi della Corte dei conti, da un lato, non influisca sull’obbligo del superiore gerarchico di verificare la presenza del personale sotto la propria autorità e di assicurarsi che ogni assenza sia conforme alla normativa sui congedi, e, dall’altro, non potrebbe giustificare l’abbandono di qualsiasi indagine o procedimento nei confronti della ricorrente.

87.

Poiché l’esame del primo, del secondo e del terzo motivo dedotti dalla ricorrente non mi porta a suggerire alla Corte l’annullamento della sentenza impugnata, procederò ora ad esaminare il quarto motivo.

B – Sul quarto motivo, relativo ad un’interpretazione e ad un’applicazione erronee del diritto dell’Unione per quanto riguarda le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione e la decisione 99/50

88.

Secondo la ricorrente, il Tribunale, avendo concluso che la mera comunicazione alla ricorrente dell’esistenza di un’indagine interna condotta dall’OLAF era sufficiente e che non era pertanto necessario informarla dell’indagine preliminare effettuata dalla Corte dei conti, sarebbe incorso in un errore di diritto in sede di interpretazione dell’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50, in combinato disposto con l’articolo 4, primo comma, della medesima.

89.

Contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, il Tribunale ha ritenuto, a mio avviso giustamente, ai punti 29 e 30 della sentenza impugnata, che l’articolo 4 della decisione 99/50 non obbligasse la Corte dei conti a comunicare alla ricorrente il contenuto del fascicolo di indagine preliminare predisposto in applicazione dell’articolo 2 di questa stessa decisione, né ad ascoltarla prima di trasmettere tale fascicolo all’OLAF.

90.

L’articolo 2, secondo comma, della decisione 99/50 pone a carico del segretario generale l’obbligo di trasmettere senza indugio all’OLAF qualsiasi elemento di fatto che faccia presumere l’esistenza di irregolarità e di procedere ad un’indagine preliminare, senza pregiudicare le indagini interne condotte dall’OLAF.

91.

Come sottolineato dal Tribunale al punto 29 della sentenza impugnata, l’indagine preliminare alla quale fa riferimento tale disposizione è intesa, da un lato, a consentire al segretario generale di valutare se gli elementi portati a sua conoscenza facciano presumere l’esistenza di irregolarità che arrecano pregiudizio agli interessi finanziari dell’Unione, e, dall’altro, a trasmettere all’OLAF, in conformità dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1073/1999, un fascicolo che consenta a quest’ultimo di valutare se occorra avviare un’indagine interna in forza dell’articolo 5, secondo comma, di tale regolamento.

92.

L’indagine preliminare costituisce quindi la fase durante la quale le informazioni relative a presunte irregolarità vengono raccolte e formano l’oggetto di verifiche intese a valutare se debba essere avviata un’indagine interna. In altri termini, le informazioni a sostegno di tali presunte irregolarità devono essere verificate al fine di valutarne la plausibilità, prima di comunicarle alle autorità competenti a svolgere un’indagine interna, nella specie l’OLAF.

93.

Nella misura in cui l’indagine preliminare non può sfociare nell’adozione di conclusioni concernenti il soggetto di cui trattasi, il Tribunale ha giustamente constatato, al punto 29 della sentenza impugnata, che l’obbligo risultante dalla seconda frase dell’articolo 4, primo comma, della decisione 99/50 non riguarda il comportamento del segretario generale nell’ambito dell’articolo 2 di questa stessa decisione.

94.

Durante questa fase preliminare di raccolta e di valutazione delle informazioni a sostegno delle presunte irregolarità, i rischi di pressione sui testimoni sono particolarmente elevati. È pertanto indispensabile che non vengano ostacolate né la ricerca della verità né l’efficacia dell’indagine preliminare.

95.

Occorre rilevare, al riguardo, che l’articolo 4, primo comma, prima frase, della decisione 99/50, sempreché si possa ritenere che tale disposizione riguardi sia l’indagine interna sia l’indagine preliminare, prevede che la regola secondo la quale il soggetto interessato da presunte irregolarità deve essere tempestivamente informato della possibilità del suo coinvolgimento individuale, contiene un importante temperamento, ossia che tale informazione avvenga «ove ciò non rischi di nuocere allo svolgimento dell’indagine».

96.

È pacifico che, con le lettere dell’8 e del 26 aprile 2002, la ricorrente è stata informata dell’avvio dell’indagine dell’OLAF, dell’oggetto di quest’ultima, dell’identità degli investigatori e del fatto che questi ultimi l’avrebbero invitata a cooperare. Inoltre, la ricorrente è stata informata, nella lettera del 26 aprile 2002, del fatto che era stata svolta un’indagine preliminare da parte della Corte dei conti, e che un fascicolo ad essa relativo era stato consegnato all’OLAF. Tali comunicazioni soddisfano i requisiti stabiliti dall’articolo 4, primo comma, prima frase, della decisione 99/50, in quanto conciliano il principio di un’informazione tempestiva del soggetto di cui trattasi e la necessità di assicurare l’efficacia dell’indagine. Osservo, inoltre, che un’informazione tempestiva non è sinonimo di un’informazione immediata o coincidente con il momento di avvio dell’indagine.

97.

L’argomento della ricorrente inteso a rimettere in discussione il ragionamento adottato dal Tribunale ai punti 29 e 30 della sentenza impugnata non è pertanto fondato.

98.

Lo stesso vale per la censura secondo la quale il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato e applicato le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione al punto 32 della sentenza impugnata. È sufficiente indicare, al riguardo, che la valutazione del Tribunale secondo la quale «l’eventuale trasmissione del documento di cui trattasi da parte della Corte dei conti all’OLAF o alle autorità lussemburghesi non significa che l’istituzione abbia agito in malafede per quanto riguarda l’autenticità della firma della ricorrente» è stata formulata in subordine. Infatti, il Tribunale ha constatato, in via principale, che non era dimostrato che il documento controverso, l’autenticità della cui sottoscrizione era contestata, era stato trasmesso all’OLAF o alle autorità lussemburghesi. Poiché tale constatazione non è stata rimessa in discussione, quest’ultima censura deve essere considerata inconferente.

99.

Alla luce di tali considerazioni, il quarto motivo deve essere dichiarato infondato. Di conseguenza, l’impugnazione deve essere respinta.

VI – Conclusione

100.

Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

respingere il ricorso;

condannare la sig.ra Kalliopi Nikolaou alle spese.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) T‑241/09, in prosieguo: la «sentenza impugnata».

( 3 ) In prosieguo: il «segretario generale».

( 4 ) GU L 136, pag. 1.

( 5 ) Punti da 47 a 49 della lettera del 7 luglio 2009.

( 6 ) C-432/04, Racc. pag. I-6387.

( 7 ) V. Corte eur. D.U., sentenza Allen c. Regno Unito, del 12 luglio 2013, § 94.

( 8 ) Idem.

( 9 ) V. Corte eur. D.U., sentenza Teodor c. Romania, del 4 giugno 2013, § 37 e la giurisprudenza citata.

( 10 ) Ibidem, § 40.

( 11 ) Idem.

( 12 ) § 38 e la giurisprudenza citata.

( 13 ) Idem.

( 14 ) Corte eur. D.U., sentenza Vassilios Stavropoulos c. Grecia, cit. § 39. V., parimenti, Corte eur. D.U., sentenza Tendam c. Spagna, del 13 luglio 2010, § 39.

( 15 ) V., segnatamente, sentenza del 19 aprile 2012, Artegodan/Commissione (C‑221/10 P, punto 94 e la giurisprudenza citata).

( 16 ) V., segnatamente, Corte eur. D.U., sentenza Vanjak c. Croazia, del 14 gennaio 2010, § da 69 a 72.

( 17 ) Recueil des arrêts et décisions 2003-II.

( 18 ) § 38.

( 19 ) Idem.

( 20 ) Punto 121.

( 21 ) Idem.

( 22 ) Punto 122.

( 23 ) Sentenza Commissione/Cresson, cit., punto 72.

( 24 ) Questi altri parametri, che figurano al punto 48 di tale lettera, sono i seguenti: il «fatto che, tenuto conto del rimborso della somma indebitamente versata al sig. Koutsouvelis, non è stato causato alcun danno al bilancio comunitario», il «tempo trascorso dai fatti di cui trattasi», l’«infermità» della ricorrente, nonché lo «stress arrecato[le] dalla durata del procedimento penale».

( 25 ) Punto 72.

( 26 ) V. punto 8 della sentenza impugnata.

( 27 ) V. nota a piè di pagina n. 1 del ricorso.