Conclusioni dell avvocato generale

Conclusioni dell avvocato generale

1. Il progetto di creazione della nuova cittadella della giustizia di Bari, destinata a razionalizzare l’utilizzo delle risorse messe a disposizione degli uffici giudiziari del distretto di tale città realizzando una sede unica, è stata, in maniera quantomeno paradossale, oggetto di un ampio contenzioso. Lo testimoniano gli antefatti della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, che s’inserisce nel quadro di una controversia che, nello specifico, oppone l’Impresa Pizzarotti & C. SpA (in prosieguo: la «Pizzarotti») alle autorità italiane competenti a livello locale, a seguito dell’avviso di ricerca di mercato avente ad oggetto la realizzazione della suddetta nuova cittadella della giustizia. La domanda di cui trattasi è concomitante a un esposto presentato alla Commissione europea dal Comune di Bari, il quale ha portato all’avvio di un procedimento di infrazione a carico della Repubblica italiana sulla base dell’articolo 258 TFUE.

2. Nel caso di specie la Corte è chiamata a precisare, riallacciandosi agli insegnamenti della causa denominata «KölnMesse» (2), se il contratto di locazione di un’opera futura, come quello oggetto del procedimento principale, ricada o meno nell’ambito delle norme che disciplinano l’aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori. Eventualmente, e nel caso in cui si debba ritenere che una siffatta qualificazione contrasti con decisioni giudiziarie che hanno acquisito autorità di cosa giudicata, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla portata della regola dell’intangibilità della cosa giudicata in presenza di una situazione considerata incompatibile con il diritto dell’Unione.

I – Contesto normativo

3. A norma del considerando 10 della direttiva 92/50/CEE (3), «i contratti aventi ad oggetto l’acquisizione o l’affitto di beni immobiliari, o diritti su tali beni, presentano caratteristiche particolari che rendono inappropriata l’applicazione delle norme sugli appalti».

4. L’articolo 1, lettera a), della direttiva 92/50 definisce gli «appalti pubblici di servizi», ai fini della suddetta direttiva, come «i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice, ad esclusione (...) iii) dei contratti aventi per oggetto l’acquisizione o la locazione, qualunque siano le relative modalità finanziarie, di terreni, edifici esistenti o altri immobili, o riguardanti comunque diritti inerenti a tali beni immobiliari (...)».

5. L’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37/CEE (4) definisce gli «appalti pubblici di lavori», ai fini della suddetta direttiva, come «contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice di cui alla lettera b), aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, l’esecuzione e la progettazione di lavori relativi ad una delle attività di cui all’allegato II o di un’opera di cui alla lettera c) oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice».

6. Tra le attività professionali previste all’allegato II della direttiva 93/37 figurano, nella classe 50, l’«Edilizia e genio civile». Tale classe comprende, in particolare, la «Costruzione di edifici e lavori di genio civile da parte di imprese non specializzate» (sottogruppo 500.1) nonché la «Costruzione d’immobili (d’abitazione e altri)» (gruppo 501).

7. Il considerando 24 della direttiva 2004/18/CE (5) così recita:

«Nell’ambito dei servizi, gli appalti aventi per oggetto l’acquisto o la locazione di beni immobili o diritti su tali beni presentano caratteristiche particolari che rendono inappropriata l’applicazione delle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici».

8. L’articolo 1, paragrafo 2, della suddetta direttiva dispone quanto segue:

«a) Gli “appalti pubblici” sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva.

b) Gli “appalti pubblici di lavori” sono appalti pubblici aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione e l’esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all’allegato I o di un’opera, oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice (...)

(...)».

9. L’articolo 16 della suddetta direttiva, intitolato «Esclusioni specifiche», dispone quanto segue:

«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi:

a) aventi per oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni; (...)

(...)».

II – Fatti del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

10. Gli antecedenti del procedimento principale, come risultano in particolare dalla decisione di rinvio, presentano una certa complessità. Ai fini dell’analisi occorre menzionare quanto segue.

11. All’origine del procedimento principale vi è la pubblicazione, in data 14 agosto 2003, di un avviso pubblico di ricerca di mercato da parte del Comune di Bari, al fine di dotare, nel più breve tempo possibile, l’amministrazione giudiziaria di una nuova, idonea ed adeguata sede unica in cui accorpare tutti gli uffici giudiziari aventi sede nella città di Bari (6) .

12. L’avviso richiedeva che gli offerenti si impegnassero ad avviare i lavori di costruzione delle opere entro il 31 dicembre 2003. Esso richiedeva inoltre indicazioni chiare ed esaustive circa i costi e le modalità di pagamento a carico dell’amministrazione comunale e del Ministero della Giustizia, tenendo conto del fatto che le risorse pubbliche disponibili ammontavano a EUR 43,5 milioni, già assegnati, cui occorreva aggiungere EUR 3 milioni corrispondenti all’importo dei canoni annuali all’epoca sostenuti dal Comune di Bari per la locazione degli immobili sede degli uffici giudiziari interessati. Il suddetto avviso era infine accompagnato da un documento, che stabiliva un quadro esigenziale, predisposto dalla Corte d’appello di Bari.

13. Tra le quattro proposte pervenute, il Comune di Bari selezionava, con delibera n. 1045/2003 del 18 dicembre 2003, quella della Pizzarotti. Tale delibera prevedeva che una parte delle opere sarebbe stata venduta al Comune di Bari per la somma di EUR 43 milioni e che la parte restante sarebbe stata messa a sua disposizione in locazione a fronte di un canone annuale di EUR 3 milioni.

14. Con nota del 4 febbraio 2004 il Ministero della Giustizia ha comunicato al Comune di Bari che le risorse pubbliche disponibili si erano ridotte a EUR 18,5 milioni, chiedendogli di verificare se, alla luce delle proposte pervenute, fosse possibile realizzare l’opera nei limiti del mutato quadro economico. Con una comunicazione dell’11 febbraio 2004 il Comune di Bari si è informato presso la Pizzarotti riguardo alla sua disponibilità a dar seguito al procedimento attivato. La Pizzarotti ha risposto favorevolmente a tale domanda, riformulando la sua offerta in funzione della riduzione delle risorse pubbliche disponibili.

15. Nel settembre 2004 il finanziamento pubblico è stato interamente eliminato. La Pizzarotti ha presentato al Comune di Bari una nuova proposta che prevedeva la possibilità di realizzare le opere destinate alla locazione, quali indicate nella sua proposta iniziale.

16. A fronte dell’inerzia delle autorità comunali, la Pizzarotti attivava la procedura per far valere l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione e per sentir affermare l’obbligo del Comune di Bari di provvedere.

17. Dopo una pronuncia sfavorevole del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia dell’8 febbraio 2007, il Consiglio di Stato ha accolto, con sentenza n. 4267/2007, l’appello della Pizzarotti. Ritenendo non esaurito il procedimento con l’approvazione degli esiti della ricerca di mercato, esso ha stabilito che il Comune di Bari, «nel rispetto dei principi di ragionevolezza, buona fede ed affidamento, deve, dando consequenzialità ai propri atti, dare al procedimento una conclusione plausibilmente congrua, verificando, nell’ambito delle proposte pervenute, la possibilità di realizzazione dell’opera nei limiti del mutato quadro economico».

18. Adito ai fini dell’esecuzione della sua sentenza n. 4267/2007, il Consiglio di Stato riconosceva, con sentenza n. 3817/2008, l’inottemperanza del Comune di Bari e ordinava a quest’ultimo di dare piena e integrale esecuzione al dictum racchiuso nella sua pronuncia n. 4267/2007 entro il termine di 30 giorni. Esso nominava, per il caso di ulteriore inottemperanza, il prefetto di Bari quale commissario ad acta, per il compimento, anche tramite un suo delegato, di tutti gli atti necessari all’esecuzione della predetta sentenza.

19. Il 21 novembre 2008 il commissario ad acta delegato dal prefetto di Bari ha dato atto della validità delle due offerte dell’impresa Pizzarotti, ritenendo così concluso positivamente il procedimento relativo alla ricerca di mercato.

20. Da parte sua, la Giunta comunale di Bari ha concluso il procedimento attivato con il bando della ricerca di mercato ravvisando la non conformità del progetto finale presentato dall’impresa Pizzarotti alle indicazioni del bando medesimo.

21. Sia la Pizzarotti che il Comune di Bari presentavano ricorso dinanzi al Consiglio di Stato. La Pizzarotti ha affermato che, mancando un impegno contrattuale del Comune di Bari a prendere in locazione l’opera, quest’ultimo non aveva correttamente dato esecuzione all’ordine contenuto nella sentenza n. 3817/2008. Il Comune di Bari ha contestato il mancato accertamento negativo delle condizioni per l’ulteriore corso del procedimento.

22. Con decisione di esecuzione n. 2153/2010 del 15 aprile 2010 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della Pizzarotti e ha respinto quello del Comune di Bari. Quanto all’azione del commissario ad acta, benché riconosciuta corretta, la stessa veniva ritenuta incompleta in mancanza di una «conclusione plausibilmente congrua» ai sensi della sentenza n. 4267/2007. Esso ha quindi assegnato un termine di 180 giorni per la chiusura del procedimento mediante l’adozione degli atti necessari alla concreta realizzazione della proposta della Pizzarotti.

23. Con provvedimento del 27 maggio 2010, il commissario ad acta ha dato atto «che l’avviso di ricerca di mercato dell’agosto 2003 (...) non [aveva] avuto esito positivo».

24. Con sentenza di esecuzione n. 8420/2010 del 3 dicembre 2010 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dinanzi ad esso dalla Pizzarotti avverso il suddetto provvedimento. Sottolineando l’incoerenza delle conclusioni circa l’esito dell’avviso della ricerca di mercato cui erano pervenuti il provvedimento del 21 novembre 2008 e quello del 27 maggio 2010, esso ha ritenuto che la sola conclusione che s’impone sia quella di cui al primo dei summenzionati provvedimenti. Per quanto attiene al coinvolgimento del terzo acquirente e locatore degli immobili da adibire a cittadella della giustizia di Bari, e all’atto di impegno a locare, esso ha osservato che la valutazione del commissario ad acta non si fondava su un esame approfondito, così contravvenendo all’ordine del giudice di verificare i presupposti in fatto e in diritto per dare concreta realizzazione alla proposta. Quanto all’asserita non conformità urbanistica della proposta della Pizzarotti, esso ha riaffermato la necessità per il commissario ad acta di attivare le procedure occorrenti per la sua adozione, previa verifica degli altri presupposti normativi. Il provvedimento del commissario ad acta veniva quindi dichiarato nullo in quanto emesso in violazione del giudicato.

25. Successivamente, il nuovo commissario ad acta nominato dal prefetto di Bari ha posto in essere tutte le attività necessarie per addivenire all’adozione della sua delibera del 23 aprile 2012 sulla «variante urbanistica» relativa al piano regolatore generale del Comune di Bari per quanto riguarda i terreni interessati dalla costruzione della cittadella della giustizia.

26. La Pizzarotti ha contestato la suddetta decisione dinanzi al Consiglio di Stato, lamentando che sarebbe stata volta a eludere il giudicato.

27. Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se lo stipulando contratto di locazione di cosa futura sotto forma di un atto di impegno a locare equivalga, malgrado la presenza di alcuni elementi caratteristici del contratto di locazione, a un contratto d’appalto sottratto all’applicazione della specifica ipotesi di esclusione prevista all’articolo 16, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/18. Esso s’interroga, in particolare, sulla portata dell’espressione «altri beni immobili», presente in tale disposizione, nonché sul significato del considerando 24 della suddetta direttiva.

28. In secondo luogo, ammettendo che il contratto di cui trattasi costituisca un appalto di lavori, il giudice del rinvio si chiede se esso possa ritenere inefficace il giudicato formatosi nel caso di specie con la sua sentenza n. 4267/2007, nei limiti in cui esso abbia portato, in ragione delle ulteriori decisioni di esecuzione e dei provvedimenti del commissario ad acta, a una situazione incompatibile con il diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Al riguardo detto giudice evidenzia che, in virtù della propria giurisprudenza, esso può integrare l’originario disposto di una delle sue sentenze con una statuizione che ne costituisca attuazione, dando luogo al «giudicato a formazione progressiva». Esso aggiunge che, in forza della giurisprudenza della Corte, il principio dell’autorità di cosa giudicata, come sancito dall’articolo 2909 del codice civile italiano, non osta alla corretta applicazione del diritto dell’Unione a una situazione coperta da siffatta autorità.

29. Alla luce di quanto precede, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se lo stipulando contratto di locazione di cosa futura, anche sotto la forma ultima suggerita di atto di impegno a locare equivalga a un appalto di lavori, sia pure con alcuni elementi caratteristici del contratto di locazione e, quindi, non possa essere compreso fra i contratti esclusi dall’applicazione della disciplina di evidenza pubblica secondo l’articolo 16 [della direttiva 2004/18].

2) Se, in caso di pronunciamento positivo sul primo quesito, possa il giudice nazionale e, segnatamente, codesto [g]iudice remittente, ritenere inefficace il giudicato eventualmente formatosi sulla vicenda in oggetto, e descritto [nella decisione di rinvio], in quanto abbia consentito la sussistenza di una situazione giuridica contrastante con il diritto [dell’Unione] degli appalti pubblici e se sia quindi possibile eseguire un giudicato in contrasto con il diritto [dell’Unione]».

30. Hanno presentato osservazioni scritte le parti del procedimento principale, i governi italiano e tedesco nonché la Commissione.

31. Il 27 febbraio 2014 si è tenuta un’udienza alla quale hanno partecipato le parti del procedimento principale, i governi italiano e tedesco nonché la Commissione.

III – Analisi

A – Sulla ricevibilità

32. La Pizzarotti nutre dubbi in ordine alla ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, e ciò per due motivi.

33. In primo luogo, essa afferma che la direttiva 2004/18, la sola oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, non trova applicazione ratione temporis al procedimento principale.

34. In secondo luogo, la Pizzarotti eccepisce che la risposta della Corte non potrà aver alcun effetto sulla definizione della controversia principale che è caratterizzata dalla presenza di più decisioni giudiziarie (7) che hanno acquisito forza di giudicato in base al diritto nazionale italiano.

35. Nessuno dei motivi di irricevibilità avanzati dalla Pizzarotti mi convince.

36. Per quanto attiene, in primis, al motivo relativo all’inapplicabilità, nel caso di specie, della direttiva 2004/18, la sola considerata dal giudice del rinvio, esso non mi sembra per nulla sufficiente per dichiarare irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame.

37. È vero che, come hanno sottolineato in particolare la Pizzarotti e la Commissione, secondo una giurisprudenza ben consolidata (8) la data pertinente per individuare la normativa applicabile a un appalto pubblico è quella in cui l’amministrazione aggiudicatrice sceglie il tipo di procedura da seguire e risolve definitivamente la questione se sussista o meno l’obbligo di indire preventivamente una gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico. Ne deriva che, nel caso di specie, è la decisione del 14 agosto 2003 ad essere pertinente (9) . Orbene, a tale data trovava applicazione soltanto la direttiva 93/37, in combinato disposto con la direttiva 92/50.

38. Ritengo tuttavia che il suddetto errore d’identificazione della legislazione dell’Unione applicabile alla fattispecie controversa sia decisamente relativo e non abbia conseguenze sul caso di specie. Infatti, le disposizioni che risultano pertinenti, vale a dire l’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37 e l’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50, sono state riprese in termini molto simili nella direttiva 2004/18, dal momento che quest’ultima consiste essenzialmente in una rifusione e in una semplificazione della normativa fino ad allora applicabile.

39. In un tale contesto, che non comporta ovviamente né una modifica della problematica giuridica sollevata dalla decisione di rinvio, né l’esame di punti di diritto che non siano stati affatto discussi nell’ambito del procedimento principale (10), ritengo che una riformulazione delle questioni, come volte in realtà a ottenere l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 93/37, sia perfettamente possibile.

40. Non può essere accolto, in secondo luogo, neppure il motivo di irricevibilità relativo all’esistenza di decisioni giudiziarie passate in giudicato che priverebbero le risposte della Corte di ogni utilità ai fini della definizione del procedimento principale. Infatti, la valutazione delle conseguenze dell’autorità o della forza di giudicato riconosciuta alle decisioni menzionate dal giudice del rinvio costituisce precisamente l’aspetto centrale della problematica oggetto della seconda questione. Anche ammettendo che, con il suo argomento, la Pizzarotti intenda, in realtà, mettere parimenti in dubbio la pertinenza delle questioni sollevate, è sufficiente ricordare che spetta in linea di principio ai soli giudici nazionali, se aditi, valutare la pertinenza delle questioni che essi sottopongono alla Corte. La Corte procederà diversamente solo qualora risulti «manifestamente» che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte (11) . Non mi sembra essere questa l’ipotesi ricorrente nel caso in esame.

41. Tanto premesso, ritengo che la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere considerata ricevibile.

B – Sulla prima questione: esistenza di un appalto pubblico di lavori ai sensi della direttiva 93/37

1. Illustrazione della problematica

42. Con la prima questione, il giudice del rinvio desidera ricevere chiarimenti sulla qualificazione giuridica, alla luce della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici, di un contratto da esso designato come un «contratto di locazione di cosa futura, anche sotto la forma ultima suggerita di atto di impegno a locare».

43. Occorre nello specifico stabilire se la proposta avanzata dal Comune di Bari alla Pizzarotti a seguito della soppressione del finanziamento pubblico inizialmente previsto (v. paragrafi 14 e 15 delle presenti conclusioni) debba essere presa in esame come diretta alla conclusione di un rapporto di locazione che esula dall’ambito di applicazione della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici o se, al contrario, essa sia tale da obbligare il Comune di Bari all’aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori e da imporre quindi l’avvio di un nuovo procedimento.

44. Si contrappongono sostanzialmente due posizioni.

45. La Pizzarotti e il governo italiano, sostenuti per molti aspetti dal governo tedesco, affermano che il contratto oggetto del procedimento principale non risponde ai criteri della definizione di un appalto di lavori, contenuti nella normativa applicabile e precisati dalla Corte. Il suddetto contratto rientrerebbe nell’esclusione prevista all’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 e all’articolo 16, lettera a), della direttiva 2004/18.

46. Essi affermano, in primo luogo, che il procedimento principale verte non sulla realizzazione di un’opera, bensì sulla locazione di un immobile. Ciò risulterebbe, in particolare, dai termini dell’avviso di ricerca di mercato e dalla delibera del Comune di Bari del 18 dicembre 2003, oltre che dalle precipue caratteristiche del contratto che sarebbero tipiche di un contratto di locazione ai sensi dell’articolo 1571 del codice civile italiano e che si distinguerebbero nettamente da quelle controverse nella causa che ha dato luogo alla sentenza KölnMesse.

47. Essi fanno valere, in secondo luogo, che, nel procedimento principale, il Comune di Bari non è tenuto a versare un corrispettivo per ottenere una prestazione di lavori di costruzione rispondente al suo interesse economico diretto, il che priverebbe il contratto del carattere oneroso.

48. La Pizzarotti e il governo italiano sostengono, in terzo luogo, che il Comune di Bari non ha il potere di obbligare la Pizzarotti, per via giudiziaria, a eseguire i lavori.

49. Essi affermano, in quarto luogo, che il Comune di Bari non avrebbe allegato al documento redatto dalla commissione di manutenzione della Corte d’appello di Bari né specifiche tecniche ai sensi del punto 1 dell’allegato III della direttiva 93/37 o del punto 1, lettera a), dell’allegato VI della direttiva 2004/18, né un capitolato d’oneri ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 93/37 o dell’articolo 23 della direttiva 2004/18, il che confermerebbe che la sua intenzione non era aggiudicare un appalto pubblico, ma ottenere uno studio di mercato, non vincolante, destinato a riunire iniziative private che esso si proponeva di valutare in assoluta autonomia e senza alcun obbligo di decisione. La Pizzarotti e il governo italiano aggiungono che, in ogni caso, il contratto in esame nel procedimento principale si caratterizza per la mancanza di precise specifiche tecniche sul tipo di lavoro da effettuare come quelle osservate nella causa KölnMesse.

50. Il Comune di Bari e la Commissione, da parte loro, ritengono che il contratto oggetto del procedimento principale costituisca un appalto pubblico di lavori ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37, la cui aggiudicazione avrebbe dovuto avvenire nel rispetto delle regole di procedura e di trasparenza previste dalla suddetta direttiva.

51. È d’uopo constatare che le argomentazioni sviluppate delle parti del procedimento principale e dalle diverse parti intervenute nel presente procedimento vertono, essenzialmente, sulla questione se, nel caso di specie, siano soddisfatte le condizioni ricordate e precisate dalla Corte nella sentenza KölnMesse per ritenere che esista un appalto pubblico di lavori ai sensi della normativa dell’Unione.

52. Orbene, faccio presente che la causa KölnMesse verteva su una problematica di qualificazione giuridica dell’operazione di cui si trattava diversa da quella sollevata dalla prima questione formulata nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale. Nell’ambito di detta causa la Corte era stata chiamata a stabilire se l’aspetto della «locazione» del contratto aggiudicato dalla città di Colonia alla Grundstücksgesellschaft Köln Messe 8‑11 GbR prevalesse sull’obiettivo della costruzione delle opere. L’esclusione prevista all’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 e all’articolo 16, lettera a), della direttiva 2004/18 non era assolutamente oggetto di discussione.

53. Nel procedimento principale, alla luce della formulazione scelta dal giudice del rinvio, si pone, anzitutto, la questione se le operazioni relative a cosa futura possano rientrare nell’eccezione all’applicazione delle regole in materia di appalti pubblici prevista dalle suddette disposizioni. Ciò implica che il giudice del rinvio, a quanto pare, sia partito dalla premessa che il contratto considerato riguardasse un appalto pubblico di servizi tale da, in considerazione della sua specificità, esulare dall’ambito di applicazione delle norme sull’aggiudicazione degli appalti pubblici.

54. Esporrò dunque, in un primo momento, le ragioni per cui è necessario, a mio avviso, ritenere che l’eccezione di cui trattasi non possa, in ogni caso, riguardare opere di cui non sia iniziata la realizzazione.

55. Orbene, dato che si potrebbe sostenere che, anche al di là della presente questione posta dal giudice del rinvio, occorre pronunciarsi pure sul punto se siano soddisfatte, nelle circostanze del caso di specie, le condizioni per considerare che esista «un appalto pubblico di lavori» piuttosto che un appalto pubblico di servizi, indicherò in che modo, a mio avviso, si debba, e ciò nel contesto degli insegnamenti tratti dalla sentenza KölnMesse, analizzare il progetto di contratto controverso nel procedimento principale.

2. Le disposizioni dell’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 riguardano necessariamente operazioni relative a un bene immobile esistente

56. Mi sembra opportuno ricordare un parametro chiave di cui occorre tener conto per stabilire se un’operazione rientri o meno nell’ambito di applicazione delle direttive che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici: l’obiettivo principale della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici è eliminare le restrizioni alle libertà fondamentali e favorire una concorrenza effettiva (12) .

57. Tale obiettivo è compromesso ogniqualvolta un’amministrazione aggiudicatrice, senza aver preventivamente attuato le procedure di aggiudicazione degli appalti previste dalla normativa dell’Unione, affidi l’esecuzione di lavori o servizi a un’impresa, indipendentemente dalle ragioni e dal contesto di realizzazione di tali lavori o servizi, nonché dall’uso cui i medesimi siano destinati (13) .

58. L’efficace perseguimento del suddetto obiettivo comporta necessariamente che la qualificazione di una determinata operazione come appalto di lavori debba essere interpretata in senso estensivo e, parallelamente, che le ipotesi di esclusione debbano, a loro volta, essere lette in maniera restrittiva.

59. Ciò vale in particolare per le esclusioni specifiche previste per determinati appalti di servizi pubblici dall’articolo 1, lettera a), della direttiva 92/50 (che sono riprese, in sostanza, nell’articolo 16 della direttiva 2004/18) (14) . Come affermato al considerando 24 della direttiva 2004/18, sono le «caratteristiche particolari» di taluni appalti che rendono inappropriata l’applicazione delle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici.

60. Per quanto riguarda l’esclusione relativa all’acquisto o alla locazione di beni immobili (15), in senso ampio, essa, a mio avviso, non può riguardare che beni esistenti. L’apertura alla concorrenza derivante dall’applicazione delle regole in materia di appalti pubblici ha, infatti, poco senso quando riguarda la locazione o la vendita di un determinato bene esistente, il quale, data la sua unicità, non si presta a una comparazione con altri beni. Da taluni lavori preparatori risulta peraltro che l’esclusione dei contratti relativi alla locazione o all’acquisto di beni immobili si spiega, originariamente, con il carattere locale e non transfrontaliero di tali appalti (16) . Per contro, posto che le attività controverse comportano la futura realizzazione di beni immobili, e quindi l’esecuzione di lavori, il confronto concorrenziale e la trasparenza richiesti da tali regole non risultano per nulla inadeguati e le suddette regole sono destinate a trovare applicazione. Del pari, il riferimento operato nelle disposizioni in discussione a «altri immobili» deve, a mio avviso, essere inteso come diretto a comprendere beni diversi dai terreni e dagli edifici e non beni non ancora realizzati.

61. Ne consegue che, senza che occorra pronunciarsi precisamente su quale sia lo stadio a partire dal quale un bene immobile diviene esistente, l’eccezione relativa all’acquisto o alla locazione di «terreni, edifici esistenti o altri immobili» non può, in nessun caso, riguardare beni la cui costruzione non è neppure iniziata, come sembra avvenire nelle circostanze del procedimento principale. Ove l’amministrazione pubblica opti, nel contesto dell’impianto di determinati servizi, per una formula di acquisto o locazione di un’opera ancora da realizzare, occorre assoggettare l’operazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti previste dalla normativa applicabile.

3. Le condizioni di esistenza di un appalto di lavori sono in ogni caso soddisfatte in una fattispecie come quella controversa nel procedimento principale

62. Come costantemente ricordato dalla Corte, la qualificazione di un’operazione come appalto pubblico di lavori rientra nell’ambito del diritto dell’Unione e deve essere indipendente da quella definita sulla base del diritto nazionale (17) . Al fine di stabilire se una convenzione o un’operazione rientri nell’ambito di applicazione di una direttiva in materia di appalti pubblici, nemmeno le qualificazioni giuridiche eventualmente fornite dalle parti contraenti risultano determinanti (18) .

63. Per quanto attiene al procedimento principale, la qualificazione formale del contratto controverso come «contratto di locazione» non è quindi un elemento decisivo. Allo stesso modo, il fatto che il contratto considerato presenti, come sostengono la Pizzarotti e il governo italiano, talune caratteristiche di un contratto di locazione, ai sensi dell’articolo 1571 del codice civile italiano, di un complesso immobiliare non è per nulla pertinente.

64. In tale contesto si rende necessaria una precisazione. Si tratta non già di rimettere in discussione la libertà di cui godono le autorità pubbliche nello scegliere la tipologia contrattuale che esse reputano più adatta alla realizzazione di lavori o di servizi o, ancora, di mettere in discussione la legittimità del ricorso a determinate tipologie di contratto, ma di evitare i rischi di elusione delle regole in materia di appalti pubblici che il ricorso a determinate formule contrattuali potrebbe comportare. In altre parole, la normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici non pregiudica la legittimità del ricorso a un contratto di locazione, in previsione dell’edificazione di un’opera, qualora, prima della sua conclusione, siano state rispettate le regole in materia di pubblicità e confronto concorrenziale previste dalla suddetta normativa.

65. Inoltre, l’ambito di applicazione della direttiva deve essere stabilito con riguardo alle sole condizioni oggettive espressamente fissate dalle direttive adottate in materia.

66. Ciò comporta ipso facto che gli obiettivi reali o supposti che le autorità intendono perseguire non hanno alcuna rilevanza al fine di stabilire se un contratto debba esser qualificato come appalto di lavori. Non si può pertanto tener conto della circostanza, pur supponendola effettivamente verificatasi, che l’intenzione iniziale del Comune di Bari fosse solamente di dotare l’amministrazione della giustizia di una sede unica degli uffici giudiziari a Bari, senza che ciò dovesse necessariamente comportare la realizzazione di lavori.

67. La Corte ha difatti posto in rilievo che la definizione della nozione di «appalto pubblico di lavori» contenuta nell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37 include tutte le operazioni nelle quali un contratto a titolo oneroso è concluso tra un’amministrazione aggiudicatrice e un imprenditore, e ha ad oggetto la realizzazione, da parte di quest’ultimo, di un’«opera» ai sensi dell’articolo 1, lettera c), della stessa direttiva. Il criterio essenziale, a tale riguardo, è che tale opera sia realizzata conformemente alle esigenze precisate dall’amministrazione aggiudicatrice, essendo indifferenti i mezzi utilizzati ai fini della realizzazione (19) . Affinché ciò si verifichi, occorre che la suddetta amministrazione aggiudicatrice abbia adottato provvedimenti allo scopo di definire le caratteristiche dell’opera o, quantomeno, allo scopo di esercitare un’influenza determinante sulla progettazione della stessa (20) .

68. Infine, dalla giurisprudenza risulta che, qualora un contratto contenga sia elementi riguardanti un appalto pubblico di lavori sia elementi riguardanti un altro tipo di appalto, è l’oggetto principale del contratto a determinare le norme del diritto dell’Unione applicabili (21) .

69. Nel caso di specie, gli elementi contenuti nel fascicolo mi inducono a ritenere che l’operazione di cui al procedimento principale presenti tutte le caratteristiche di un appalto di lavori, avendo quale oggetto, in definitiva, la realizzazione a titolo oneroso di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice.

70. In primo luogo, tali elementi dimostrano che l’obiettivo del complesso della procedura qui controversa, avviata il 14 agosto 2003 con la pubblicazione di un bando, consisteva nell’edificazione, in linea con i desideri espressi dalle autorità pubbliche competenti, di nuovi locali destinati a essere utilizzati come sede unica degli uffici giudiziari siti a Bari.

71. Ciò risulta anzitutto dall’avviso pubblico di ricerca di mercato del 14 agosto 2003, che indica in particolare che «il proponente con la formulazione dell’offerta, si impegna ad avviare i lavori di costruzione delle opere entro il 31 dicembre del corrente anno».

72. Dal documento allegato al suddetto avviso di ricerca, predisposto dalla Corte d’appello di Bari e approvato dalla commissione di manutenzione (documento dal titolo «Quadro esigenziale»), la cui rilevanza ai fini dell’esame della bozza di contratto non è messa in dubbio (22), emerge inoltre che le autorità pubbliche competenti hanno specificato un certo numero di necessità strutturali, funzionali e organizzative cui il progetto della cittadella della giustizia unica doveva rispondere, tenuto conto della normativa applicabile e di un insieme di dati statistici relativi alle attività giudiziarie di Bari. Tali necessità, illustrate nell’arco di decine di pagine, mi sembrano eccedere ampiamente le consuete esigenze di un locatario in relazione a un immobile di nuova costruzione di una certa portata (23) .

73. Infine, la delibera del consiglio comunale n. 1045/2003 del 18 dicembre 2003, con cui è stata selezionata l’offerta presentata dalla Pizzarotti, fa espressamente riferimento alla «realizzazione di una sede unica» degli uffici giudiziari.

74. Più in generale ritengo che, ai sensi delle direttive 93/37 e 2004/18, l’oggetto immediato e quindi principale di un contratto relativo a un’opera la cui costruzione non sia ancora iniziata non possa, in linea di principio e nel contesto degli insegnamenti derivanti della sentenza KölnMesse, essere considerato come costituito dalla locazione di un immobile, e ciò a prescindere dalla formula contrattuale scelta in forza del diritto nazionale. L’obiettivo immediato di tale contratto può logicamente essere solo la costruzione delle suddette opere, che dovranno successivamente essere messe a disposizione dell’amministrazione aggiudicatrice per mezzo di un rapporto contrattuale qualificato come «contratto di locazione» (24) .

75. Tornando al procedimento principale, risulta che la Pizzarotti non potrebbe in nessun caso adempiere l’obbligazione, prevista nella bozza di atto di impegno a locare, di mettere a disposizione la specifica opera nella zona determinata senza prima procedere alla sua costruzione.

76. Le numerose specifiche tecniche contenute nei documenti di riferimento mostrano che l’amministrazione aggiudicatrice ha adottato provvedimenti allo scopo di definire le caratteristiche dell’opera o, quantomeno, allo scopo di esercitare un’influenza determinante sulla progettazione della stessa. Tali elementi, oltre all’ampio contenzioso nato dalla mancata conclusione del contratto oggetto del procedimento principale, evidenziano, a mio avviso, chiaramente il fatto che la Pizzarotti non sarebbe stata disposta a realizzare l’opera controversa in mancanza di esigenze specificamente formulate dal Comune di Bari e dell’accettazione, da parte di quest’ultimo, della proposta di realizzazione formulata in risposta all’avviso pubblico di ricerca di mercato.

77. In secondo luogo, mi sembra piuttosto evidente che, benché si differenzi su tale aspetto dalla causa KölnMesse (25), il contratto oggetto del procedimento principale è stato concluso a titolo oneroso.

78. Certamente, è vero che la remunerazione sotto forma di canone annuale che il Comune di Bari è tenuto a versare durante i 18 anni del contratto in questione è lungi dal coprire i costi di costruzione dell’opera.

79. Tale constatazione non può tuttavia indurre a negare il carattere oneroso del contratto di cui trattasi.

80. Infatti, per distinguere un appalto pubblico di servizi da un appalto pubblico di lavori (26), e contrariamente a quanto sembrano suggerire la Pizzarotti e i governi italiano e tedesco (27), non può essere riconosciuto un peso decisivo al corrispettivo delle prestazioni di costruzione. Come statuito dalla Corte, l’elemento determinante ai fini della qualificazione di un appalto è costituito dall’oggetto principale di quest’ultimo e non dall’importo del corrispettivo dell’imprenditore o dalle modalità di pagamento di quest’ultimo (28) . La circostanza che il pagamento del canone annuale durante un periodo di 18 anni, ormai previsto per il contratto considerato, non copra integralmente i costi di realizzazione dell’opera non può in nessun caso modificare la natura onerosa del contratto e quindi, portare a negare l’esistenza di un appalto pubblico di lavori. A tal riguardo, l’effettivo conseguimento di un beneficio da parte dell’operatore economico non può costituire una condizione necessaria ai fini della qualificazione di un contratto come appalto pubblico di lavori (29) .

81. La condizione relativa all’esistenza di un «interesse economico diretto per l’amministrazione aggiudicatrice» non comporta necessariamente che quest’ultima divenga proprietaria dell’opera, potendo essa essere soddisfatta mediante un titolo di locazione che garantisca la disponibilità dell’opera all’autorità pubblica interessata (30) .

82. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere alla prima questione dichiarando che un contratto di locazione di un’opera futura, il quale presenti le caratteristiche di quello oggetto del procedimento principale, deve essere qualificato come appalto pubblico di lavori ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37.

C – Sulla seconda questione: esigenze derivanti dai principi di leale cooperazione e di rispetto dell’autorità di cosa giudicata in presenza di una situazione che si presume incompatibile con il diritto dell’Unione

83. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se possa ritenere inefficace il giudicato eventualmente formatosi sulla vicenda in oggetto in quanto abbia consentito la sussistenza di una situazione giuridica contrastante con il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, e se sia quindi possibile eseguire un giudicato in contrasto con tale diritto.

84. Ritengo anzitutto necessario far presente la mia perplessità quanto all’esatta identificazione di ciò che, agli occhi del giudice del rinvio, costituisce la «cosa giudicata», vale a dire tanto il thema decidendum quanto la ratio decidendi, che risulterebbe problematica sotto il profilo del rispetto del diritto dell’Unione.

85. Pur essendo ben consapevole che, in definitiva, spetta al solo giudice nazionale stabilire quali siano la decisione o le decisioni giudiziarie tali da ostare alla piena applicazione del diritto dell’Unione, la necessità di fornire una risposta il più possibile utile al giudice del rinvio mi porta a osservare quanto segue.

86. Nel caso di specie la sola «cosa giudicata» cui fa riferimento il giudice del rinvio (31) è la sua sentenza n. 4267/2007 e, più precisamente, la decisione ivi contenuta in base alla quale il Comune di Bari, «nel rispetto dei principi di ragionevolezza, buona fede ed affidamento, deve, dando consequenzialità ai propri atti, dare al procedimento una conclusione plausibilmente congrua, verificando, nell’ambito delle proposte pervenute, la possibilità di realizzazione dell’opera nei limiti del mutato quadro economico».

87. Se, come osserva il Consiglio di Stato, tale decisione è «suscettibile di molteplici e diverse soluzioni attuative», risulta, a priori, difficile comprendere per quali motivi l’esecuzione di tale sentenza si rivelerebbe necessariamente contraria al diritto dell’Unione, e più precisamente all’applicazione della normativa pertinente in materia di appalti pubblici di lavori.

88. Alla stregua di quanto osservato dal Comune di Bari, sembrerebbe che la sola cosa (definitivamente) giudicata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4267/2007 si riferisca all’obbligo ad esso imposto (come al commissario ad acta) di concludere il procedimento avviato con l’avviso pubblico di ricerca di mercato. Nulla, a priori, consente di escludere che la conclusione di tale procedimento, ai sensi della suddetta sentenza, possa assumere la forma dell’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione nel rispetto delle regole dell’Unione in materia di appalti pubblici.

89. Tuttavia, sembra che il giudice del rinvio abbia, almeno in parte (32), fatto propria l’interpretazione sostenuta dalla Pizzarotti secondo cui la suddetta sentenza e le decisioni giudiziarie successive dovevano essere interpretate nel senso che imponevano la stipulazione del contratto «di locazione» previsto con la Pizzarotti, il che è tale da creare una situazione contraria al diritto dell’Unione. Sembrerebbe inoltre che sia stata riconosciuta una certa autorità ai provvedimenti esecutivi adottati dal commissario ad acta (v. sentenza n. 8420/2010). Orbene, in base alla mia comprensione delle disposizioni del codice del processo amministrativo italiano, il giudice conosce di tutte le questioni attinenti alla corretta ottemperanza, ivi comprese quelle che derivano dagli atti del commissario ad acta, posto che quest’ultimo opera in qualità di ausiliario del giudice.

90. D’altra parte, se risulta che, come sembra evincersi dalle disposizioni del menzionato codice del processo amministrativo (33), quali interpretate dal giudice del rinvio, quest’ultimo dispone del potere di integrare il disposto della sentenza n. 4267/2007, dando luogo a quello che esso qualifica come «giudicato a formazione progressiva», mi sembra difficile concludere che il principio dell’intangibilità della cosa giudicata sia messo in discussione. Infatti, dal momento che l’organo giudiziario dispone del potere di precisare o di ritornare su una decisione precedentemente adottata, tale stessa possibilità deve essere riconosciuta alle medesime condizioni al fine di garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione.

91. In un siffatto contesto, si tratta in definitiva per il giudice nazionale di privilegiare, nel dare esecuzione alle decisioni giudiziarie che si prestano a più interpretazioni, quella che garantisce che l’amministrazione agisca conformemente al diritto dell’Unione.

92. Per contro, nel caso in cui il giudice del rinvio sia indotto a ritenere che la corretta applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici di lavori contrasti necessariamente con la cosa giudicata con la sua sentenza n. 4267/2007 o con decisioni successive (34), circostanza che spetta solo ad esso verificare, le modalità di attuazione dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

93. A tal proposito la Corte ha costantemente rammentato l’importanza che riveste il principio dell’autorità di cosa giudicata vuoi nell’ordinamento giuridico dell’Unione vuoi negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (35) . Pertanto, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione del diritto dell’Unione da parte di tale decisione (36) .

94. In assenza di una normativa dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico di diritto dell’Unione (principio di effettività) (37) .

95. L’apparente deroga al principio dell’autorità della cosa giudicata rappresentato dalla sentenza Lucchini (38) è stata circoscritta dalla stessa Corte come riferita al settore molto particolare degli aiuti di Stato.

96. La Corte ha in effetti precisato in tale sentenza che la valutazione della compatibilità con il mercato interno di misure di aiuto o di un regime di aiuti è di competenza esclusiva della Commissione, che agisce sotto il controllo del giudice comunitario, ostando il diritto comunitario all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’articolo 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato interno è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva (39) .

97. Le peculiarità della causa Lucchini sono state altresì sottolineate nella sentenza Fallimento Olimpiclub (40), con la quale la Corte ha precisato che la suddetta causa riguardava una situazione del tutto particolare in cui erano in questione principi disciplinanti la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e la Comunità europea in materia di aiuti di Stato, posto che la Commissione dispone di una competenza esclusiva per esaminare la compatibilità di una misura nazionale di aiuti di Stato con il mercato interno.

98. L’analogia tracciata tra gli obblighi degli organi amministrativi in forza del loro dovere di leale cooperazione, come precisati in particolare nella sentenza Kühne & Heitz (41), e quelli gravanti, in ragione del suddetto medesimo dovere, sui giudici nazionali non mi appare affatto convincente.

99. Certamente, il rispetto sia del carattere definitivo di una decisione amministrativa che dell’autorità riconosciuta a una decisione giudiziaria si fonda sulla necessità, alla luce del principio della certezza del diritto, di preservare la stabilità delle situazioni giuridiche. Allo stesso modo, il procedimento principale si riferisce alla peculiare situazione in cui, sulla base delle informazioni fornite dal Consiglio di Stato, quest’ultimo potrebbe integrare il dispositivo di una delle sue sentenze che abbia acquisito carattere di definitività e, se del caso, ritornare sui provvedimenti adottati dal commissario ad acta in esecuzione delle suddette sentenze.

100. Tuttavia, anche ammettendo che tale possibilità possa essere considerata come volta a sancire un temperamento all’intangibilità dell’autorità di cosa giudicata in via definitiva, il che non risulta chiaramente (v. paragrafo 90 delle presenti conclusioni), sussiste una differenza significativa fra la possibilità di riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva e la possibilità di ritornare su una decisione giudiziaria passata in giudicato. L’obbligo, a determinate condizioni, per l’organo amministrativo di ritornare su una decisione amministrativa divenuta definitiva sancito dalla sentenza Kühne & Heitz (EU:C:2004:17) è basato sul presupposto che siffatto esame non sia idoneo a ledere gli interessi di terzi. Tale condizione non mi sembra soddisfatta nel caso della revisione di decisioni giudiziarie dotate di autorità di cosa giudicata. Inoltre, ritengo che tale sentenza possa, in definitiva, essere concepita come un’applicazione dei principi di effettività e di equivalenza alla luce della possibilità riconosciuta, nel diritto interno, di ritornare, a determinate condizioni, su decisioni amministrative divenute definitive.

101. Da quanto precede consegue che, quando una decisione giudiziaria, eventualmente per gli effetti di decisioni giudiziarie di esecuzione successive, ha creato una situazione di incompatibilità con il diritto dell’Unione, non spetta, in linea di principio, al giudice nazionale ritornare su di essa.

102. Sussiste, peraltro, una possibilità di porre rimedio alla situazione di violazione del diritto dell’Unione. Nel caso in cui l’autorità di cosa giudicata renda impossibile l’applicazione del diritto dell’Unione, permane infatti la possibilità di agire per ottenere il risarcimento dei danni causati ai terzi (42) .

103. Propongo pertanto di rispondere alla seconda questione dichiarando che spetta al solo giudice nazionale stabilire i termini esatti di una decisione giurisdizionale che abbia acquisito autorità di cosa giudicata. Le modalità di esecuzione di una decisione giudiziaria avente forza di cosa giudicata rientrano nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Nel caso in cui il giudice nazionale disponga, in virtù di disposizioni di diritto nazionale, del potere di integrare, o perfino di sostituire, i termini della cosa giudicata, spetta ad esso esercitarlo ai fini di un’adeguata attuazione del diritto dell’Unione.

IV – Conclusione

104. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Consiglio di Stato:

1) Un contratto di locazione di cosa futura, il quale presenti le caratteristiche del contratto considerato nel procedimento principale, deve essere qualificato come «appalto pubblico di lavori» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori.

2) Spetta al solo giudice nazionale stabilire i termini esatti di una decisione giurisdizionale che abbia acquisito autorità di cosa giudicata. Le modalità di esecuzione di una decisione giudiziaria avente forza di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Nel caso in cui il giudice nazionale disponga, in virtù di disposizioni di diritto nazionale, del potere di completare, o perfino di sostituire, i termini della cosa giudicata, spetta ad esso esercitarlo ai fini di un’adeguata attuazione del diritto dell’Unione.

(1) .

(2)  – Sentenza Commissione/Germania (C‑536/07, EU:C:2009:664; in prosieguo: la «sentenza KölnMesse»).

(3)  – Direttiva del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1).

(4)  – Direttiva del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54).

(5)  – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114).

(6)  – Tale avviso è stato pubblicato, segnatamente, nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 23 agosto 2003 (GU S 161).

(7)  – La Pizzarotti si riferisce a due sentenze: la prima è quella del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia del 18 maggio 2004, che, deliberando sul ricorso presentato da un offerente escluso, ha stabilito che l’avviso di ricerca di mercato aveva carattere meramente esplorativo volto a ricercare soluzioni adeguate per la creazione della cittadella giudiziaria di Bari, e non comportava pertanto nessun obbligo dell’amministrazione comunale di aggiudicare ulteriormente un appalto di lavori. La seconda è la sentenza n. 4267/2007 del Consiglio di Stato, che avrebbe obbligato la suddetta amministrazione a portare a termine il procedimento avviato concludendo con la Pizzarotti un contratto di locazione di cosa futura.

(8)  – V., in particolare, sentenza Commissione/Paesi Bassi (C‑576/10, EU:C:2013:510, punto 52 e la giurisprudenza citata).

(9)  – Come osservato dal Consiglio di Stato, «anche la ricerca di mercato realizzata dal Comune di Bari, la scelta, a seguito di essa, del progetto realizzato dalla Pizzarotti, la presentazione di detto progetto al Ministero della Giustizia e la nota n. 249 del 4 febbraio 2004 a firma di quest’ultima autorità, costituiscono tappe di un procedimento complesso destinato alla realizzazione di una nuova cittadella giudiziaria».

(10)  – In tal senso, la Corte ha sempre ricordato di avere il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa sottoposte da detti giudici (v., in particolare, sentenze Fuß, C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 39, e Worten, C‑342/12, EU:C:2013:355, punto 30).

(11)  – V., in tal senso, sentenza Fish Legal e Shirley (C‑279/12, EU:C:2013:853, punto 30).

(12)  – V. considerando 2 e 10 della direttiva 93/37 nonché considerando 2 della direttiva 2004/18.

(13)  – V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Auroux e a. (C‑220/05, EU:C:2006:410, paragrafo 43).

(14)  – V., altresì, articolo 10, lettera a), della recente direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18 (GU L 94, pag. 65).

(15)  – Articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 e articolo 16, lettera a), della direttiva 2004/18.

(16)  – V., in particolare, la relazione che accompagna la proposta di direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, presentata il 6 dicembre 1990 [COM(90) 372 def. – SYN 293).

(17)  – V. sentenza Auroux e a. (C‑220/05, EU:C:2007:31, punto 40 e la giurisprudenza citata).

(18)  – Sentenza KölnMesse (punto 54).

(19)  – Sentenza KölnMesse (punto 55).

(20)  – Sentenza Helmut Müller (C‑451/08, EU:C:2010:168, punto 67).

(21)  – V., in particolare, sentenza KölnMesse (punto 57).

(22)  – La bozza di atto d’impegno a locare, recante la data del maggio 2012, si riferisce, in particolare nel suo considerando 10 e nel suo articolo 7, al suddetto quadro esigenziale.

(23)  – Sentenza KölnMesse (punto 58).

(24)  – Ibidem (punto 56).

(25)  – Nell’ambito di detta causa, il governo tedesco aveva menzionato la circostanza che l’importo totale da versare alla Grundstücksgesellschaft Köln Messe 8‑11 GbR a titolo di canoni, che avrebbe raggiunto in definitiva circa EUR 600 milioni, era ben superiore al costo di costruzione delle opere, che sarebbe ammontato a circa EUR 235 milioni.

(26)  – Ciò diversamente rispetto alla distinzione tra appalto pubblico di servizi e appalto pubblico di fornitura [v., in particolare, articolo 2 della direttiva 92/50 e articolo 1, paragrafo 2, lettera d), secondo comma, della direttiva 2004/18].

(27)  – Essi si riferiscono, in particolare, alle conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Commissione/Germania (C‑536/07, EU:C:2009:340), che suggeriva di procedere anche a un «raffronto dei corrispondenti prezzi» (paragrafo 105).

(28)  – V. sentenza KölnMesse (punto 61).

(29)  – Sentenza Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a. (C‑159/11, EU:C:2012:817).

(30)  – V., in tal senso, sentenza Helmut Müller (EU:C:2010:168, punti 50 e 51).

(31)  – E ciò benché le parti sembrino aver richiesto l’ottemperanza alla sentenza n. 8420/2010.

(32)  – V., a tal proposito, l’illustrazione delle sentenze emanate dal Consiglio di Stato in reazione, in particolare, ai provvedimenti del commissario ad acta del 27 maggio 2010 (paragrafi da 23 a 25 delle presenti conclusioni).

(33)  – Decreto legislativo del 2 luglio 2010, n. 104 (GURI n. 156, del 7 luglio 2010).

(34)  – Il Consiglio di Stato lascia di fatto intendere che sono le proprie sentenze di esecuzione (del 15 aprile 2010 e del 3 dicembre 2010), relative all’attività del commissario ad acta, ad aver condotto a una situazione potenzialmente contraria al diritto dell’Unione, in quanto con esse è stata ordinata l’adozione degli atti necessari alla conclusione del contratto di locazione di cosa futura che tale impresa aveva sottoposto all’amministrazione come ultima proposta dopo lo sconvolgimento del quadro economico verificatosi nel 2004.

(35)  – V., in particolare, sentenze Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 38); Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178, punto 20), e Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 22).

(36)  – Sentenze Eco Swiss (C‑126/97, EU:C:1999:269, punto 48); Kapferer (EU:C:2006:178, punto 21), e Fallimento Olimpiclub (EU:C:2009:506, punto 23).

(37)  – Sentenze Kapferer (EU:C:2006:178, punto 22) e Fallimento Olimpiclub (EU:C:2009:506, punto 24).

(38)  – C‑119/05, EU:C:2007:434.

(39)  – Ibidem (punti 62 e 63).

(40)  – Sentenza Fallimento Olimpiclub (EU:C:2009:506, punto 25).

(41)  – Sentenza Kühne & Heitz (C‑453/00, EU:C:2004:17, punto 28). V., altresì, sentenze i-21 Germany e Arcor (C‑392/04 e C‑422/04, EU:C:2006:586, punti da 51 a 55), nonché Kempter (C‑2/06, EU:C:2008:78).

(42)  – V., in tal senso, sentenza Köbler (EU:C:2003:513, punti 51 e segg.).


CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 15 maggio 2014 ( 1 )

Causa C‑213/13

Impresa Pizzarotti & C. SpA

contro

Comune di Bari

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia)]

«Appalti pubblici — Direttive 93/37/CEE e 2004/18/CE — Nozione di “appalto pubblico di lavori” — Stipulando contratto relativo alla locazione di un’opera non ancora costruita — Portata del principio dell’autorità di cosa giudicata nel caso di una situazione incompatibile con il diritto dell’Unione»

1. 

Il progetto di creazione della nuova cittadella della giustizia di Bari, destinata a razionalizzare l’utilizzo delle risorse messe a disposizione degli uffici giudiziari del distretto di tale città realizzando una sede unica, è stata, in maniera quantomeno paradossale, oggetto di un ampio contenzioso. Lo testimoniano gli antefatti della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, che s’inserisce nel quadro di una controversia che, nello specifico, oppone l’Impresa Pizzarotti & C. SpA (in prosieguo: la «Pizzarotti») alle autorità italiane competenti a livello locale, a seguito dell’avviso di ricerca di mercato avente ad oggetto la realizzazione della suddetta nuova cittadella della giustizia. La domanda di cui trattasi è concomitante a un esposto presentato alla Commissione europea dal Comune di Bari, il quale ha portato all’avvio di un procedimento di infrazione a carico della Repubblica italiana sulla base dell’articolo 258 TFUE.

2. 

Nel caso di specie la Corte è chiamata a precisare, riallacciandosi agli insegnamenti della causa denominata «KölnMesse» ( 2 ), se il contratto di locazione di un’opera futura, come quello oggetto del procedimento principale, ricada o meno nell’ambito delle norme che disciplinano l’aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori. Eventualmente, e nel caso in cui si debba ritenere che una siffatta qualificazione contrasti con decisioni giudiziarie che hanno acquisito autorità di cosa giudicata, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla portata della regola dell’intangibilità della cosa giudicata in presenza di una situazione considerata incompatibile con il diritto dell’Unione.

I – Contesto normativo

3.

A norma del considerando 10 della direttiva 92/50/CEE ( 3 ), «i contratti aventi ad oggetto l’acquisizione o l’affitto di beni immobiliari, o diritti su tali beni, presentano caratteristiche particolari che rendono inappropriata l’applicazione delle norme sugli appalti».

4.

L’articolo 1, lettera a), della direttiva 92/50 definisce gli «appalti pubblici di servizi», ai fini della suddetta direttiva, come «i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice, ad esclusione (...) iii) dei contratti aventi per oggetto l’acquisizione o la locazione, qualunque siano le relative modalità finanziarie, di terreni, edifici esistenti o altri immobili, o riguardanti comunque diritti inerenti a tali beni immobiliari (...)».

5.

L’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37/CEE ( 4 ) definisce gli «appalti pubblici di lavori», ai fini della suddetta direttiva, come «contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice di cui alla lettera b), aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, l’esecuzione e la progettazione di lavori relativi ad una delle attività di cui all’allegato II o di un’opera di cui alla lettera c) oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice».

6.

Tra le attività professionali previste all’allegato II della direttiva 93/37 figurano, nella classe 50, l’«Edilizia e genio civile». Tale classe comprende, in particolare, la «Costruzione di edifici e lavori di genio civile da parte di imprese non specializzate» (sottogruppo 500.1) nonché la «Costruzione d’immobili (d’abitazione e altri)» (gruppo 501).

7.

Il considerando 24 della direttiva 2004/18/CE ( 5 ) così recita:

«Nell’ambito dei servizi, gli appalti aventi per oggetto l’acquisto o la locazione di beni immobili o diritti su tali beni presentano caratteristiche particolari che rendono inappropriata l’applicazione delle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici».

8.

L’articolo 1, paragrafo 2, della suddetta direttiva dispone quanto segue:

«a)

Gli “appalti pubblici” sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva.

b)

Gli “appalti pubblici di lavori” sono appalti pubblici aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione e l’esecuzione di lavori relativi a una delle attività di cui all’allegato I o di un’opera, oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice (...)

(...)».

9.

L’articolo 16 della suddetta direttiva, intitolato «Esclusioni specifiche», dispone quanto segue:

«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi:

a)

aventi per oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni; (...)

(...)».

II – Fatti del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

10.

Gli antecedenti del procedimento principale, come risultano in particolare dalla decisione di rinvio, presentano una certa complessità. Ai fini dell’analisi occorre menzionare quanto segue.

11.

All’origine del procedimento principale vi è la pubblicazione, in data 14 agosto 2003, di un avviso pubblico di ricerca di mercato da parte del Comune di Bari, al fine di dotare, nel più breve tempo possibile, l’amministrazione giudiziaria di una nuova, idonea ed adeguata sede unica in cui accorpare tutti gli uffici giudiziari aventi sede nella città di Bari ( 6 ).

12.

L’avviso richiedeva che gli offerenti si impegnassero ad avviare i lavori di costruzione delle opere entro il 31 dicembre 2003. Esso richiedeva inoltre indicazioni chiare ed esaustive circa i costi e le modalità di pagamento a carico dell’amministrazione comunale e del Ministero della Giustizia, tenendo conto del fatto che le risorse pubbliche disponibili ammontavano a EUR 43,5 milioni, già assegnati, cui occorreva aggiungere EUR 3 milioni corrispondenti all’importo dei canoni annuali all’epoca sostenuti dal Comune di Bari per la locazione degli immobili sede degli uffici giudiziari interessati. Il suddetto avviso era infine accompagnato da un documento, che stabiliva un quadro esigenziale, predisposto dalla Corte d’appello di Bari.

13.

Tra le quattro proposte pervenute, il Comune di Bari selezionava, con delibera n. 1045/2003 del 18 dicembre 2003, quella della Pizzarotti. Tale delibera prevedeva che una parte delle opere sarebbe stata venduta al Comune di Bari per la somma di EUR 43 milioni e che la parte restante sarebbe stata messa a sua disposizione in locazione a fronte di un canone annuale di EUR 3 milioni.

14.

Con nota del 4 febbraio 2004 il Ministero della Giustizia ha comunicato al Comune di Bari che le risorse pubbliche disponibili si erano ridotte a EUR 18,5 milioni, chiedendogli di verificare se, alla luce delle proposte pervenute, fosse possibile realizzare l’opera nei limiti del mutato quadro economico. Con una comunicazione dell’11 febbraio 2004 il Comune di Bari si è informato presso la Pizzarotti riguardo alla sua disponibilità a dar seguito al procedimento attivato. La Pizzarotti ha risposto favorevolmente a tale domanda, riformulando la sua offerta in funzione della riduzione delle risorse pubbliche disponibili.

15.

Nel settembre 2004 il finanziamento pubblico è stato interamente eliminato. La Pizzarotti ha presentato al Comune di Bari una nuova proposta che prevedeva la possibilità di realizzare le opere destinate alla locazione, quali indicate nella sua proposta iniziale.

16.

A fronte dell’inerzia delle autorità comunali, la Pizzarotti attivava la procedura per far valere l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione e per sentir affermare l’obbligo del Comune di Bari di provvedere.

17.

Dopo una pronuncia sfavorevole del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia dell’8 febbraio 2007, il Consiglio di Stato ha accolto, con sentenza n. 4267/2007, l’appello della Pizzarotti. Ritenendo non esaurito il procedimento con l’approvazione degli esiti della ricerca di mercato, esso ha stabilito che il Comune di Bari, «nel rispetto dei principi di ragionevolezza, buona fede ed affidamento, deve, dando consequenzialità ai propri atti, dare al procedimento una conclusione plausibilmente congrua, verificando, nell’ambito delle proposte pervenute, la possibilità di realizzazione dell’opera nei limiti del mutato quadro economico».

18.

Adito ai fini dell’esecuzione della sua sentenza n. 4267/2007, il Consiglio di Stato riconosceva, con sentenza n. 3817/2008, l’inottemperanza del Comune di Bari e ordinava a quest’ultimo di dare piena e integrale esecuzione al dictum racchiuso nella sua pronuncia n. 4267/2007 entro il termine di 30 giorni. Esso nominava, per il caso di ulteriore inottemperanza, il prefetto di Bari quale commissario ad acta, per il compimento, anche tramite un suo delegato, di tutti gli atti necessari all’esecuzione della predetta sentenza.

19.

Il 21 novembre 2008 il commissario ad acta delegato dal prefetto di Bari ha dato atto della validità delle due offerte dell’impresa Pizzarotti, ritenendo così concluso positivamente il procedimento relativo alla ricerca di mercato.

20.

Da parte sua, la Giunta comunale di Bari ha concluso il procedimento attivato con il bando della ricerca di mercato ravvisando la non conformità del progetto finale presentato dall’impresa Pizzarotti alle indicazioni del bando medesimo.

21.

Sia la Pizzarotti che il Comune di Bari presentavano ricorso dinanzi al Consiglio di Stato. La Pizzarotti ha affermato che, mancando un impegno contrattuale del Comune di Bari a prendere in locazione l’opera, quest’ultimo non aveva correttamente dato esecuzione all’ordine contenuto nella sentenza n. 3817/2008. Il Comune di Bari ha contestato il mancato accertamento negativo delle condizioni per l’ulteriore corso del procedimento.

22.

Con decisione di esecuzione n. 2153/2010 del 15 aprile 2010 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della Pizzarotti e ha respinto quello del Comune di Bari. Quanto all’azione del commissario ad acta, benché riconosciuta corretta, la stessa veniva ritenuta incompleta in mancanza di una «conclusione plausibilmente congrua» ai sensi della sentenza n. 4267/2007. Esso ha quindi assegnato un termine di 180 giorni per la chiusura del procedimento mediante l’adozione degli atti necessari alla concreta realizzazione della proposta della Pizzarotti.

23.

Con provvedimento del 27 maggio 2010, il commissario ad acta ha dato atto «che l’avviso di ricerca di mercato dell’agosto 2003 (...) non [aveva] avuto esito positivo».

24.

Con sentenza di esecuzione n. 8420/2010 del 3 dicembre 2010 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dinanzi ad esso dalla Pizzarotti avverso il suddetto provvedimento. Sottolineando l’incoerenza delle conclusioni circa l’esito dell’avviso della ricerca di mercato cui erano pervenuti il provvedimento del 21 novembre 2008 e quello del 27 maggio 2010, esso ha ritenuto che la sola conclusione che s’impone sia quella di cui al primo dei summenzionati provvedimenti. Per quanto attiene al coinvolgimento del terzo acquirente e locatore degli immobili da adibire a cittadella della giustizia di Bari, e all’atto di impegno a locare, esso ha osservato che la valutazione del commissario ad acta non si fondava su un esame approfondito, così contravvenendo all’ordine del giudice di verificare i presupposti in fatto e in diritto per dare concreta realizzazione alla proposta. Quanto all’asserita non conformità urbanistica della proposta della Pizzarotti, esso ha riaffermato la necessità per il commissario ad acta di attivare le procedure occorrenti per la sua adozione, previa verifica degli altri presupposti normativi. Il provvedimento del commissario ad acta veniva quindi dichiarato nullo in quanto emesso in violazione del giudicato.

25.

Successivamente, il nuovo commissario ad acta nominato dal prefetto di Bari ha posto in essere tutte le attività necessarie per addivenire all’adozione della sua delibera del 23 aprile 2012 sulla «variante urbanistica» relativa al piano regolatore generale del Comune di Bari per quanto riguarda i terreni interessati dalla costruzione della cittadella della giustizia.

26.

La Pizzarotti ha contestato la suddetta decisione dinanzi al Consiglio di Stato, lamentando che sarebbe stata volta a eludere il giudicato.

27.

Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se lo stipulando contratto di locazione di cosa futura sotto forma di un atto di impegno a locare equivalga, malgrado la presenza di alcuni elementi caratteristici del contratto di locazione, a un contratto d’appalto sottratto all’applicazione della specifica ipotesi di esclusione prevista all’articolo 16, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/18. Esso s’interroga, in particolare, sulla portata dell’espressione «altri beni immobili», presente in tale disposizione, nonché sul significato del considerando 24 della suddetta direttiva.

28.

In secondo luogo, ammettendo che il contratto di cui trattasi costituisca un appalto di lavori, il giudice del rinvio si chiede se esso possa ritenere inefficace il giudicato formatosi nel caso di specie con la sua sentenza n. 4267/2007, nei limiti in cui esso abbia portato, in ragione delle ulteriori decisioni di esecuzione e dei provvedimenti del commissario ad acta, a una situazione incompatibile con il diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione di appalti pubblici. Al riguardo detto giudice evidenzia che, in virtù della propria giurisprudenza, esso può integrare l’originario disposto di una delle sue sentenze con una statuizione che ne costituisca attuazione, dando luogo al «giudicato a formazione progressiva». Esso aggiunge che, in forza della giurisprudenza della Corte, il principio dell’autorità di cosa giudicata, come sancito dall’articolo 2909 del codice civile italiano, non osta alla corretta applicazione del diritto dell’Unione a una situazione coperta da siffatta autorità.

29.

Alla luce di quanto precede, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se lo stipulando contratto di locazione di cosa futura, anche sotto la forma ultima suggerita di atto di impegno a locare equivalga a un appalto di lavori, sia pure con alcuni elementi caratteristici del contratto di locazione e, quindi, non possa essere compreso fra i contratti esclusi dall’applicazione della disciplina di evidenza pubblica secondo l’articolo 16 [della direttiva 2004/18].

2)

Se, in caso di pronunciamento positivo sul primo quesito, possa il giudice nazionale e, segnatamente, codesto [g]iudice remittente, ritenere inefficace il giudicato eventualmente formatosi sulla vicenda in oggetto, e descritto [nella decisione di rinvio], in quanto abbia consentito la sussistenza di una situazione giuridica contrastante con il diritto [dell’Unione] degli appalti pubblici e se sia quindi possibile eseguire un giudicato in contrasto con il diritto [dell’Unione]».

30.

Hanno presentato osservazioni scritte le parti del procedimento principale, i governi italiano e tedesco nonché la Commissione.

31.

Il 27 febbraio 2014 si è tenuta un’udienza alla quale hanno partecipato le parti del procedimento principale, i governi italiano e tedesco nonché la Commissione.

III – Analisi

A – Sulla ricevibilità

32.

La Pizzarotti nutre dubbi in ordine alla ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, e ciò per due motivi.

33.

In primo luogo, essa afferma che la direttiva 2004/18, la sola oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, non trova applicazione ratione temporis al procedimento principale.

34.

In secondo luogo, la Pizzarotti eccepisce che la risposta della Corte non potrà aver alcun effetto sulla definizione della controversia principale che è caratterizzata dalla presenza di più decisioni giudiziarie ( 7 ) che hanno acquisito forza di giudicato in base al diritto nazionale italiano.

35.

Nessuno dei motivi di irricevibilità avanzati dalla Pizzarotti mi convince.

36.

Per quanto attiene, in primis, al motivo relativo all’inapplicabilità, nel caso di specie, della direttiva 2004/18, la sola considerata dal giudice del rinvio, esso non mi sembra per nulla sufficiente per dichiarare irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame.

37.

È vero che, come hanno sottolineato in particolare la Pizzarotti e la Commissione, secondo una giurisprudenza ben consolidata ( 8 ) la data pertinente per individuare la normativa applicabile a un appalto pubblico è quella in cui l’amministrazione aggiudicatrice sceglie il tipo di procedura da seguire e risolve definitivamente la questione se sussista o meno l’obbligo di indire preventivamente una gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico. Ne deriva che, nel caso di specie, è la decisione del 14 agosto 2003 ad essere pertinente ( 9 ). Orbene, a tale data trovava applicazione soltanto la direttiva 93/37, in combinato disposto con la direttiva 92/50.

38.

Ritengo tuttavia che il suddetto errore d’identificazione della legislazione dell’Unione applicabile alla fattispecie controversa sia decisamente relativo e non abbia conseguenze sul caso di specie. Infatti, le disposizioni che risultano pertinenti, vale a dire l’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37 e l’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50, sono state riprese in termini molto simili nella direttiva 2004/18, dal momento che quest’ultima consiste essenzialmente in una rifusione e in una semplificazione della normativa fino ad allora applicabile.

39.

In un tale contesto, che non comporta ovviamente né una modifica della problematica giuridica sollevata dalla decisione di rinvio, né l’esame di punti di diritto che non siano stati affatto discussi nell’ambito del procedimento principale ( 10 ), ritengo che una riformulazione delle questioni, come volte in realtà a ottenere l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 93/37, sia perfettamente possibile.

40.

Non può essere accolto, in secondo luogo, neppure il motivo di irricevibilità relativo all’esistenza di decisioni giudiziarie passate in giudicato che priverebbero le risposte della Corte di ogni utilità ai fini della definizione del procedimento principale. Infatti, la valutazione delle conseguenze dell’autorità o della forza di giudicato riconosciuta alle decisioni menzionate dal giudice del rinvio costituisce precisamente l’aspetto centrale della problematica oggetto della seconda questione. Anche ammettendo che, con il suo argomento, la Pizzarotti intenda, in realtà, mettere parimenti in dubbio la pertinenza delle questioni sollevate, è sufficiente ricordare che spetta in linea di principio ai soli giudici nazionali, se aditi, valutare la pertinenza delle questioni che essi sottopongono alla Corte. La Corte procederà diversamente solo qualora risulti «manifestamente» che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte ( 11 ). Non mi sembra essere questa l’ipotesi ricorrente nel caso in esame.

41.

Tanto premesso, ritengo che la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere considerata ricevibile.

B – Sulla prima questione: esistenza di un appalto pubblico di lavori ai sensi della direttiva 93/37

1. Illustrazione della problematica

42.

Con la prima questione, il giudice del rinvio desidera ricevere chiarimenti sulla qualificazione giuridica, alla luce della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici, di un contratto da esso designato come un «contratto di locazione di cosa futura, anche sotto la forma ultima suggerita di atto di impegno a locare».

43.

Occorre nello specifico stabilire se la proposta avanzata dal Comune di Bari alla Pizzarotti a seguito della soppressione del finanziamento pubblico inizialmente previsto (v. paragrafi 14 e 15 delle presenti conclusioni) debba essere presa in esame come diretta alla conclusione di un rapporto di locazione che esula dall’ambito di applicazione della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici o se, al contrario, essa sia tale da obbligare il Comune di Bari all’aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori e da imporre quindi l’avvio di un nuovo procedimento.

44.

Si contrappongono sostanzialmente due posizioni.

45.

La Pizzarotti e il governo italiano, sostenuti per molti aspetti dal governo tedesco, affermano che il contratto oggetto del procedimento principale non risponde ai criteri della definizione di un appalto di lavori, contenuti nella normativa applicabile e precisati dalla Corte. Il suddetto contratto rientrerebbe nell’esclusione prevista all’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 e all’articolo 16, lettera a), della direttiva 2004/18.

46.

Essi affermano, in primo luogo, che il procedimento principale verte non sulla realizzazione di un’opera, bensì sulla locazione di un immobile. Ciò risulterebbe, in particolare, dai termini dell’avviso di ricerca di mercato e dalla delibera del Comune di Bari del 18 dicembre 2003, oltre che dalle precipue caratteristiche del contratto che sarebbero tipiche di un contratto di locazione ai sensi dell’articolo 1571 del codice civile italiano e che si distinguerebbero nettamente da quelle controverse nella causa che ha dato luogo alla sentenza KölnMesse.

47.

Essi fanno valere, in secondo luogo, che, nel procedimento principale, il Comune di Bari non è tenuto a versare un corrispettivo per ottenere una prestazione di lavori di costruzione rispondente al suo interesse economico diretto, il che priverebbe il contratto del carattere oneroso.

48.

La Pizzarotti e il governo italiano sostengono, in terzo luogo, che il Comune di Bari non ha il potere di obbligare la Pizzarotti, per via giudiziaria, a eseguire i lavori.

49.

Essi affermano, in quarto luogo, che il Comune di Bari non avrebbe allegato al documento redatto dalla commissione di manutenzione della Corte d’appello di Bari né specifiche tecniche ai sensi del punto 1 dell’allegato III della direttiva 93/37 o del punto 1, lettera a), dell’allegato VI della direttiva 2004/18, né un capitolato d’oneri ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 93/37 o dell’articolo 23 della direttiva 2004/18, il che confermerebbe che la sua intenzione non era aggiudicare un appalto pubblico, ma ottenere uno studio di mercato, non vincolante, destinato a riunire iniziative private che esso si proponeva di valutare in assoluta autonomia e senza alcun obbligo di decisione. La Pizzarotti e il governo italiano aggiungono che, in ogni caso, il contratto in esame nel procedimento principale si caratterizza per la mancanza di precise specifiche tecniche sul tipo di lavoro da effettuare come quelle osservate nella causa KölnMesse.

50.

Il Comune di Bari e la Commissione, da parte loro, ritengono che il contratto oggetto del procedimento principale costituisca un appalto pubblico di lavori ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37, la cui aggiudicazione avrebbe dovuto avvenire nel rispetto delle regole di procedura e di trasparenza previste dalla suddetta direttiva.

51.

È d’uopo constatare che le argomentazioni sviluppate delle parti del procedimento principale e dalle diverse parti intervenute nel presente procedimento vertono, essenzialmente, sulla questione se, nel caso di specie, siano soddisfatte le condizioni ricordate e precisate dalla Corte nella sentenza KölnMesse per ritenere che esista un appalto pubblico di lavori ai sensi della normativa dell’Unione.

52.

Orbene, faccio presente che la causa KölnMesse verteva su una problematica di qualificazione giuridica dell’operazione di cui si trattava diversa da quella sollevata dalla prima questione formulata nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale. Nell’ambito di detta causa la Corte era stata chiamata a stabilire se l’aspetto della «locazione» del contratto aggiudicato dalla città di Colonia alla Grundstücksgesellschaft Köln Messe 8‑11 GbR prevalesse sull’obiettivo della costruzione delle opere. L’esclusione prevista all’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 e all’articolo 16, lettera a), della direttiva 2004/18 non era assolutamente oggetto di discussione.

53.

Nel procedimento principale, alla luce della formulazione scelta dal giudice del rinvio, si pone, anzitutto, la questione se le operazioni relative a cosa futura possano rientrare nell’eccezione all’applicazione delle regole in materia di appalti pubblici prevista dalle suddette disposizioni. Ciò implica che il giudice del rinvio, a quanto pare, sia partito dalla premessa che il contratto considerato riguardasse un appalto pubblico di servizi tale da, in considerazione della sua specificità, esulare dall’ambito di applicazione delle norme sull’aggiudicazione degli appalti pubblici.

54.

Esporrò dunque, in un primo momento, le ragioni per cui è necessario, a mio avviso, ritenere che l’eccezione di cui trattasi non possa, in ogni caso, riguardare opere di cui non sia iniziata la realizzazione.

55.

Orbene, dato che si potrebbe sostenere che, anche al di là della presente questione posta dal giudice del rinvio, occorre pronunciarsi pure sul punto se siano soddisfatte, nelle circostanze del caso di specie, le condizioni per considerare che esista «un appalto pubblico di lavori» piuttosto che un appalto pubblico di servizi, indicherò in che modo, a mio avviso, si debba, e ciò nel contesto degli insegnamenti tratti dalla sentenza KölnMesse, analizzare il progetto di contratto controverso nel procedimento principale.

2. Le disposizioni dell’articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 riguardano necessariamente operazioni relative a un bene immobile esistente

56.

Mi sembra opportuno ricordare un parametro chiave di cui occorre tener conto per stabilire se un’operazione rientri o meno nell’ambito di applicazione delle direttive che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici: l’obiettivo principale della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici è eliminare le restrizioni alle libertà fondamentali e favorire una concorrenza effettiva ( 12 ).

57.

Tale obiettivo è compromesso ogniqualvolta un’amministrazione aggiudicatrice, senza aver preventivamente attuato le procedure di aggiudicazione degli appalti previste dalla normativa dell’Unione, affidi l’esecuzione di lavori o servizi a un’impresa, indipendentemente dalle ragioni e dal contesto di realizzazione di tali lavori o servizi, nonché dall’uso cui i medesimi siano destinati ( 13 ).

58.

L’efficace perseguimento del suddetto obiettivo comporta necessariamente che la qualificazione di una determinata operazione come appalto di lavori debba essere interpretata in senso estensivo e, parallelamente, che le ipotesi di esclusione debbano, a loro volta, essere lette in maniera restrittiva.

59.

Ciò vale in particolare per le esclusioni specifiche previste per determinati appalti di servizi pubblici dall’articolo 1, lettera a), della direttiva 92/50 (che sono riprese, in sostanza, nell’articolo 16 della direttiva 2004/18) ( 14 ). Come affermato al considerando 24 della direttiva 2004/18, sono le «caratteristiche particolari» di taluni appalti che rendono inappropriata l’applicazione delle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici.

60.

Per quanto riguarda l’esclusione relativa all’acquisto o alla locazione di beni immobili ( 15 ), in senso ampio, essa, a mio avviso, non può riguardare che beni esistenti. L’apertura alla concorrenza derivante dall’applicazione delle regole in materia di appalti pubblici ha, infatti, poco senso quando riguarda la locazione o la vendita di un determinato bene esistente, il quale, data la sua unicità, non si presta a una comparazione con altri beni. Da taluni lavori preparatori risulta peraltro che l’esclusione dei contratti relativi alla locazione o all’acquisto di beni immobili si spiega, originariamente, con il carattere locale e non transfrontaliero di tali appalti ( 16 ). Per contro, posto che le attività controverse comportano la futura realizzazione di beni immobili, e quindi l’esecuzione di lavori, il confronto concorrenziale e la trasparenza richiesti da tali regole non risultano per nulla inadeguati e le suddette regole sono destinate a trovare applicazione. Del pari, il riferimento operato nelle disposizioni in discussione a «altri immobili» deve, a mio avviso, essere inteso come diretto a comprendere beni diversi dai terreni e dagli edifici e non beni non ancora realizzati.

61.

Ne consegue che, senza che occorra pronunciarsi precisamente su quale sia lo stadio a partire dal quale un bene immobile diviene esistente, l’eccezione relativa all’acquisto o alla locazione di «terreni, edifici esistenti o altri immobili» non può, in nessun caso, riguardare beni la cui costruzione non è neppure iniziata, come sembra avvenire nelle circostanze del procedimento principale. Ove l’amministrazione pubblica opti, nel contesto dell’impianto di determinati servizi, per una formula di acquisto o locazione di un’opera ancora da realizzare, occorre assoggettare l’operazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti previste dalla normativa applicabile.

3. Le condizioni di esistenza di un appalto di lavori sono in ogni caso soddisfatte in una fattispecie come quella controversa nel procedimento principale

62.

Come costantemente ricordato dalla Corte, la qualificazione di un’operazione come appalto pubblico di lavori rientra nell’ambito del diritto dell’Unione e deve essere indipendente da quella definita sulla base del diritto nazionale ( 17 ). Al fine di stabilire se una convenzione o un’operazione rientri nell’ambito di applicazione di una direttiva in materia di appalti pubblici, nemmeno le qualificazioni giuridiche eventualmente fornite dalle parti contraenti risultano determinanti ( 18 ).

63.

Per quanto attiene al procedimento principale, la qualificazione formale del contratto controverso come «contratto di locazione» non è quindi un elemento decisivo. Allo stesso modo, il fatto che il contratto considerato presenti, come sostengono la Pizzarotti e il governo italiano, talune caratteristiche di un contratto di locazione, ai sensi dell’articolo 1571 del codice civile italiano, di un complesso immobiliare non è per nulla pertinente.

64.

In tale contesto si rende necessaria una precisazione. Si tratta non già di rimettere in discussione la libertà di cui godono le autorità pubbliche nello scegliere la tipologia contrattuale che esse reputano più adatta alla realizzazione di lavori o di servizi o, ancora, di mettere in discussione la legittimità del ricorso a determinate tipologie di contratto, ma di evitare i rischi di elusione delle regole in materia di appalti pubblici che il ricorso a determinate formule contrattuali potrebbe comportare. In altre parole, la normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici non pregiudica la legittimità del ricorso a un contratto di locazione, in previsione dell’edificazione di un’opera, qualora, prima della sua conclusione, siano state rispettate le regole in materia di pubblicità e confronto concorrenziale previste dalla suddetta normativa.

65.

Inoltre, l’ambito di applicazione della direttiva deve essere stabilito con riguardo alle sole condizioni oggettive espressamente fissate dalle direttive adottate in materia.

66.

Ciò comporta ipso facto che gli obiettivi reali o supposti che le autorità intendono perseguire non hanno alcuna rilevanza al fine di stabilire se un contratto debba esser qualificato come appalto di lavori. Non si può pertanto tener conto della circostanza, pur supponendola effettivamente verificatasi, che l’intenzione iniziale del Comune di Bari fosse solamente di dotare l’amministrazione della giustizia di una sede unica degli uffici giudiziari a Bari, senza che ciò dovesse necessariamente comportare la realizzazione di lavori.

67.

La Corte ha difatti posto in rilievo che la definizione della nozione di «appalto pubblico di lavori» contenuta nell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37 include tutte le operazioni nelle quali un contratto a titolo oneroso è concluso tra un’amministrazione aggiudicatrice e un imprenditore, e ha ad oggetto la realizzazione, da parte di quest’ultimo, di un’«opera» ai sensi dell’articolo 1, lettera c), della stessa direttiva. Il criterio essenziale, a tale riguardo, è che tale opera sia realizzata conformemente alle esigenze precisate dall’amministrazione aggiudicatrice, essendo indifferenti i mezzi utilizzati ai fini della realizzazione ( 19 ). Affinché ciò si verifichi, occorre che la suddetta amministrazione aggiudicatrice abbia adottato provvedimenti allo scopo di definire le caratteristiche dell’opera o, quantomeno, allo scopo di esercitare un’influenza determinante sulla progettazione della stessa ( 20 ).

68.

Infine, dalla giurisprudenza risulta che, qualora un contratto contenga sia elementi riguardanti un appalto pubblico di lavori sia elementi riguardanti un altro tipo di appalto, è l’oggetto principale del contratto a determinare le norme del diritto dell’Unione applicabili ( 21 ).

69.

Nel caso di specie, gli elementi contenuti nel fascicolo mi inducono a ritenere che l’operazione di cui al procedimento principale presenti tutte le caratteristiche di un appalto di lavori, avendo quale oggetto, in definitiva, la realizzazione a titolo oneroso di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice.

70.

In primo luogo, tali elementi dimostrano che l’obiettivo del complesso della procedura qui controversa, avviata il 14 agosto 2003 con la pubblicazione di un bando, consisteva nell’edificazione, in linea con i desideri espressi dalle autorità pubbliche competenti, di nuovi locali destinati a essere utilizzati come sede unica degli uffici giudiziari siti a Bari.

71.

Ciò risulta anzitutto dall’avviso pubblico di ricerca di mercato del 14 agosto 2003, che indica in particolare che «il proponente con la formulazione dell’offerta, si impegna ad avviare i lavori di costruzione delle opere entro il 31 dicembre del corrente anno».

72.

Dal documento allegato al suddetto avviso di ricerca, predisposto dalla Corte d’appello di Bari e approvato dalla commissione di manutenzione (documento dal titolo «Quadro esigenziale»), la cui rilevanza ai fini dell’esame della bozza di contratto non è messa in dubbio ( 22 ), emerge inoltre che le autorità pubbliche competenti hanno specificato un certo numero di necessità strutturali, funzionali e organizzative cui il progetto della cittadella della giustizia unica doveva rispondere, tenuto conto della normativa applicabile e di un insieme di dati statistici relativi alle attività giudiziarie di Bari. Tali necessità, illustrate nell’arco di decine di pagine, mi sembrano eccedere ampiamente le consuete esigenze di un locatario in relazione a un immobile di nuova costruzione di una certa portata ( 23 ).

73.

Infine, la delibera del consiglio comunale n. 1045/2003 del 18 dicembre 2003, con cui è stata selezionata l’offerta presentata dalla Pizzarotti, fa espressamente riferimento alla «realizzazione di una sede unica» degli uffici giudiziari.

74.

Più in generale ritengo che, ai sensi delle direttive 93/37 e 2004/18, l’oggetto immediato e quindi principale di un contratto relativo a un’opera la cui costruzione non sia ancora iniziata non possa, in linea di principio e nel contesto degli insegnamenti derivanti della sentenza KölnMesse, essere considerato come costituito dalla locazione di un immobile, e ciò a prescindere dalla formula contrattuale scelta in forza del diritto nazionale. L’obiettivo immediato di tale contratto può logicamente essere solo la costruzione delle suddette opere, che dovranno successivamente essere messe a disposizione dell’amministrazione aggiudicatrice per mezzo di un rapporto contrattuale qualificato come «contratto di locazione» ( 24 ).

75.

Tornando al procedimento principale, risulta che la Pizzarotti non potrebbe in nessun caso adempiere l’obbligazione, prevista nella bozza di atto di impegno a locare, di mettere a disposizione la specifica opera nella zona determinata senza prima procedere alla sua costruzione.

76.

Le numerose specifiche tecniche contenute nei documenti di riferimento mostrano che l’amministrazione aggiudicatrice ha adottato provvedimenti allo scopo di definire le caratteristiche dell’opera o, quantomeno, allo scopo di esercitare un’influenza determinante sulla progettazione della stessa. Tali elementi, oltre all’ampio contenzioso nato dalla mancata conclusione del contratto oggetto del procedimento principale, evidenziano, a mio avviso, chiaramente il fatto che la Pizzarotti non sarebbe stata disposta a realizzare l’opera controversa in mancanza di esigenze specificamente formulate dal Comune di Bari e dell’accettazione, da parte di quest’ultimo, della proposta di realizzazione formulata in risposta all’avviso pubblico di ricerca di mercato.

77.

In secondo luogo, mi sembra piuttosto evidente che, benché si differenzi su tale aspetto dalla causa KölnMesse ( 25 ), il contratto oggetto del procedimento principale è stato concluso a titolo oneroso.

78.

Certamente, è vero che la remunerazione sotto forma di canone annuale che il Comune di Bari è tenuto a versare durante i 18 anni del contratto in questione è lungi dal coprire i costi di costruzione dell’opera.

79.

Tale constatazione non può tuttavia indurre a negare il carattere oneroso del contratto di cui trattasi.

80.

Infatti, per distinguere un appalto pubblico di servizi da un appalto pubblico di lavori ( 26 ), e contrariamente a quanto sembrano suggerire la Pizzarotti e i governi italiano e tedesco ( 27 ), non può essere riconosciuto un peso decisivo al corrispettivo delle prestazioni di costruzione. Come statuito dalla Corte, l’elemento determinante ai fini della qualificazione di un appalto è costituito dall’oggetto principale di quest’ultimo e non dall’importo del corrispettivo dell’imprenditore o dalle modalità di pagamento di quest’ultimo ( 28 ). La circostanza che il pagamento del canone annuale durante un periodo di 18 anni, ormai previsto per il contratto considerato, non copra integralmente i costi di realizzazione dell’opera non può in nessun caso modificare la natura onerosa del contratto e quindi, portare a negare l’esistenza di un appalto pubblico di lavori. A tal riguardo, l’effettivo conseguimento di un beneficio da parte dell’operatore economico non può costituire una condizione necessaria ai fini della qualificazione di un contratto come appalto pubblico di lavori ( 29 ).

81.

La condizione relativa all’esistenza di un «interesse economico diretto per l’amministrazione aggiudicatrice» non comporta necessariamente che quest’ultima divenga proprietaria dell’opera, potendo essa essere soddisfatta mediante un titolo di locazione che garantisca la disponibilità dell’opera all’autorità pubblica interessata ( 30 ).

82.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere alla prima questione dichiarando che un contratto di locazione di un’opera futura, il quale presenti le caratteristiche di quello oggetto del procedimento principale, deve essere qualificato come appalto pubblico di lavori ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37.

C – Sulla seconda questione: esigenze derivanti dai principi di leale cooperazione e di rispetto dell’autorità di cosa giudicata in presenza di una situazione che si presume incompatibile con il diritto dell’Unione

83.

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se possa ritenere inefficace il giudicato eventualmente formatosi sulla vicenda in oggetto in quanto abbia consentito la sussistenza di una situazione giuridica contrastante con il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, e se sia quindi possibile eseguire un giudicato in contrasto con tale diritto.

84.

Ritengo anzitutto necessario far presente la mia perplessità quanto all’esatta identificazione di ciò che, agli occhi del giudice del rinvio, costituisce la «cosa giudicata», vale a dire tanto il thema decidendum quanto la ratio decidendi, che risulterebbe problematica sotto il profilo del rispetto del diritto dell’Unione.

85.

Pur essendo ben consapevole che, in definitiva, spetta al solo giudice nazionale stabilire quali siano la decisione o le decisioni giudiziarie tali da ostare alla piena applicazione del diritto dell’Unione, la necessità di fornire una risposta il più possibile utile al giudice del rinvio mi porta a osservare quanto segue.

86.

Nel caso di specie la sola «cosa giudicata» cui fa riferimento il giudice del rinvio ( 31 ) è la sua sentenza n. 4267/2007 e, più precisamente, la decisione ivi contenuta in base alla quale il Comune di Bari, «nel rispetto dei principi di ragionevolezza, buona fede ed affidamento, deve, dando consequenzialità ai propri atti, dare al procedimento una conclusione plausibilmente congrua, verificando, nell’ambito delle proposte pervenute, la possibilità di realizzazione dell’opera nei limiti del mutato quadro economico».

87.

Se, come osserva il Consiglio di Stato, tale decisione è «suscettibile di molteplici e diverse soluzioni attuative», risulta, a priori, difficile comprendere per quali motivi l’esecuzione di tale sentenza si rivelerebbe necessariamente contraria al diritto dell’Unione, e più precisamente all’applicazione della normativa pertinente in materia di appalti pubblici di lavori.

88.

Alla stregua di quanto osservato dal Comune di Bari, sembrerebbe che la sola cosa (definitivamente) giudicata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4267/2007 si riferisca all’obbligo ad esso imposto (come al commissario ad acta) di concludere il procedimento avviato con l’avviso pubblico di ricerca di mercato. Nulla, a priori, consente di escludere che la conclusione di tale procedimento, ai sensi della suddetta sentenza, possa assumere la forma dell’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione nel rispetto delle regole dell’Unione in materia di appalti pubblici.

89.

Tuttavia, sembra che il giudice del rinvio abbia, almeno in parte ( 32 ), fatto propria l’interpretazione sostenuta dalla Pizzarotti secondo cui la suddetta sentenza e le decisioni giudiziarie successive dovevano essere interpretate nel senso che imponevano la stipulazione del contratto «di locazione» previsto con la Pizzarotti, il che è tale da creare una situazione contraria al diritto dell’Unione. Sembrerebbe inoltre che sia stata riconosciuta una certa autorità ai provvedimenti esecutivi adottati dal commissario ad acta (v. sentenza n. 8420/2010). Orbene, in base alla mia comprensione delle disposizioni del codice del processo amministrativo italiano, il giudice conosce di tutte le questioni attinenti alla corretta ottemperanza, ivi comprese quelle che derivano dagli atti del commissario ad acta, posto che quest’ultimo opera in qualità di ausiliario del giudice.

90.

D’altra parte, se risulta che, come sembra evincersi dalle disposizioni del menzionato codice del processo amministrativo ( 33 ), quali interpretate dal giudice del rinvio, quest’ultimo dispone del potere di integrare il disposto della sentenza n. 4267/2007, dando luogo a quello che esso qualifica come «giudicato a formazione progressiva», mi sembra difficile concludere che il principio dell’intangibilità della cosa giudicata sia messo in discussione. Infatti, dal momento che l’organo giudiziario dispone del potere di precisare o di ritornare su una decisione precedentemente adottata, tale stessa possibilità deve essere riconosciuta alle medesime condizioni al fine di garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione.

91.

In un siffatto contesto, si tratta in definitiva per il giudice nazionale di privilegiare, nel dare esecuzione alle decisioni giudiziarie che si prestano a più interpretazioni, quella che garantisce che l’amministrazione agisca conformemente al diritto dell’Unione.

92.

Per contro, nel caso in cui il giudice del rinvio sia indotto a ritenere che la corretta applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici di lavori contrasti necessariamente con la cosa giudicata con la sua sentenza n. 4267/2007 o con decisioni successive ( 34 ), circostanza che spetta solo ad esso verificare, le modalità di attuazione dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

93.

A tal proposito la Corte ha costantemente rammentato l’importanza che riveste il principio dell’autorità di cosa giudicata vuoi nell’ordinamento giuridico dell’Unione vuoi negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione ( 35 ). Pertanto, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione del diritto dell’Unione da parte di tale decisione ( 36 ).

94.

In assenza di una normativa dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico di diritto dell’Unione (principio di effettività) ( 37 ).

95.

L’apparente deroga al principio dell’autorità della cosa giudicata rappresentato dalla sentenza Lucchini ( 38 ) è stata circoscritta dalla stessa Corte come riferita al settore molto particolare degli aiuti di Stato.

96.

La Corte ha in effetti precisato in tale sentenza che la valutazione della compatibilità con il mercato interno di misure di aiuto o di un regime di aiuti è di competenza esclusiva della Commissione, che agisce sotto il controllo del giudice comunitario, ostando il diritto comunitario all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’articolo 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato interno è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva ( 39 ).

97.

Le peculiarità della causa Lucchini sono state altresì sottolineate nella sentenza Fallimento Olimpiclub ( 40 ), con la quale la Corte ha precisato che la suddetta causa riguardava una situazione del tutto particolare in cui erano in questione principi disciplinanti la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e la Comunità europea in materia di aiuti di Stato, posto che la Commissione dispone di una competenza esclusiva per esaminare la compatibilità di una misura nazionale di aiuti di Stato con il mercato interno.

98.

L’analogia tracciata tra gli obblighi degli organi amministrativi in forza del loro dovere di leale cooperazione, come precisati in particolare nella sentenza Kühne & Heitz ( 41 ), e quelli gravanti, in ragione del suddetto medesimo dovere, sui giudici nazionali non mi appare affatto convincente.

99.

Certamente, il rispetto sia del carattere definitivo di una decisione amministrativa che dell’autorità riconosciuta a una decisione giudiziaria si fonda sulla necessità, alla luce del principio della certezza del diritto, di preservare la stabilità delle situazioni giuridiche. Allo stesso modo, il procedimento principale si riferisce alla peculiare situazione in cui, sulla base delle informazioni fornite dal Consiglio di Stato, quest’ultimo potrebbe integrare il dispositivo di una delle sue sentenze che abbia acquisito carattere di definitività e, se del caso, ritornare sui provvedimenti adottati dal commissario ad acta in esecuzione delle suddette sentenze.

100.

Tuttavia, anche ammettendo che tale possibilità possa essere considerata come volta a sancire un temperamento all’intangibilità dell’autorità di cosa giudicata in via definitiva, il che non risulta chiaramente (v. paragrafo 90 delle presenti conclusioni), sussiste una differenza significativa fra la possibilità di riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva e la possibilità di ritornare su una decisione giudiziaria passata in giudicato. L’obbligo, a determinate condizioni, per l’organo amministrativo di ritornare su una decisione amministrativa divenuta definitiva sancito dalla sentenza Kühne & Heitz (EU:C:2004:17) è basato sul presupposto che siffatto esame non sia idoneo a ledere gli interessi di terzi. Tale condizione non mi sembra soddisfatta nel caso della revisione di decisioni giudiziarie dotate di autorità di cosa giudicata. Inoltre, ritengo che tale sentenza possa, in definitiva, essere concepita come un’applicazione dei principi di effettività e di equivalenza alla luce della possibilità riconosciuta, nel diritto interno, di ritornare, a determinate condizioni, su decisioni amministrative divenute definitive.

101.

Da quanto precede consegue che, quando una decisione giudiziaria, eventualmente per gli effetti di decisioni giudiziarie di esecuzione successive, ha creato una situazione di incompatibilità con il diritto dell’Unione, non spetta, in linea di principio, al giudice nazionale ritornare su di essa.

102.

Sussiste, peraltro, una possibilità di porre rimedio alla situazione di violazione del diritto dell’Unione. Nel caso in cui l’autorità di cosa giudicata renda impossibile l’applicazione del diritto dell’Unione, permane infatti la possibilità di agire per ottenere il risarcimento dei danni causati ai terzi ( 42 ).

103.

Propongo pertanto di rispondere alla seconda questione dichiarando che spetta al solo giudice nazionale stabilire i termini esatti di una decisione giurisdizionale che abbia acquisito autorità di cosa giudicata. Le modalità di esecuzione di una decisione giudiziaria avente forza di cosa giudicata rientrano nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Nel caso in cui il giudice nazionale disponga, in virtù di disposizioni di diritto nazionale, del potere di integrare, o perfino di sostituire, i termini della cosa giudicata, spetta ad esso esercitarlo ai fini di un’adeguata attuazione del diritto dell’Unione.

IV – Conclusione

104.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Consiglio di Stato:

1)

Un contratto di locazione di cosa futura, il quale presenti le caratteristiche del contratto considerato nel procedimento principale, deve essere qualificato come «appalto pubblico di lavori» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori.

2)

Spetta al solo giudice nazionale stabilire i termini esatti di una decisione giurisdizionale che abbia acquisito autorità di cosa giudicata. Le modalità di esecuzione di una decisione giudiziaria avente forza di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Nel caso in cui il giudice nazionale disponga, in virtù di disposizioni di diritto nazionale, del potere di completare, o perfino di sostituire, i termini della cosa giudicata, spetta ad esso esercitarlo ai fini di un’adeguata attuazione del diritto dell’Unione.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Sentenza Commissione/Germania (C‑536/07, EU:C:2009:664; in prosieguo: la «sentenza KölnMesse»).

( 3 ) Direttiva del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1).

( 4 ) Direttiva del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54).

( 5 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114).

( 6 ) Tale avviso è stato pubblicato, segnatamente, nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 23 agosto 2003 (GU S 161).

( 7 ) La Pizzarotti si riferisce a due sentenze: la prima è quella del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia del 18 maggio 2004, che, deliberando sul ricorso presentato da un offerente escluso, ha stabilito che l’avviso di ricerca di mercato aveva carattere meramente esplorativo volto a ricercare soluzioni adeguate per la creazione della cittadella giudiziaria di Bari, e non comportava pertanto nessun obbligo dell’amministrazione comunale di aggiudicare ulteriormente un appalto di lavori. La seconda è la sentenza n. 4267/2007 del Consiglio di Stato, che avrebbe obbligato la suddetta amministrazione a portare a termine il procedimento avviato concludendo con la Pizzarotti un contratto di locazione di cosa futura.

( 8 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Paesi Bassi (C‑576/10, EU:C:2013:510, punto 52 e la giurisprudenza citata).

( 9 ) Come osservato dal Consiglio di Stato, «anche la ricerca di mercato realizzata dal Comune di Bari, la scelta, a seguito di essa, del progetto realizzato dalla Pizzarotti, la presentazione di detto progetto al Ministero della Giustizia e la nota n. 249 del 4 febbraio 2004 a firma di quest’ultima autorità, costituiscono tappe di un procedimento complesso destinato alla realizzazione di una nuova cittadella giudiziaria».

( 10 ) In tal senso, la Corte ha sempre ricordato di avere il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa sottoposte da detti giudici (v., in particolare, sentenze Fuß, C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 39, e Worten, C‑342/12, EU:C:2013:355, punto 30).

( 11 ) V., in tal senso, sentenza Fish Legal e Shirley (C‑279/12, EU:C:2013:853, punto 30).

( 12 ) V. considerando 2 e 10 della direttiva 93/37 nonché considerando 2 della direttiva 2004/18.

( 13 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Auroux e a. (C‑220/05, EU:C:2006:410, paragrafo 43).

( 14 ) V., altresì, articolo 10, lettera a), della recente direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18 (GU L 94, pag. 65).

( 15 ) Articolo 1, lettera a), iii), della direttiva 92/50 e articolo 16, lettera a), della direttiva 2004/18.

( 16 ) V., in particolare, la relazione che accompagna la proposta di direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, presentata il 6 dicembre 1990 [COM(90) 372 def. – SYN 293).

( 17 ) V. sentenza Auroux e a. (C‑220/05, EU:C:2007:31, punto 40 e la giurisprudenza citata).

( 18 ) Sentenza KölnMesse (punto 54).

( 19 ) Sentenza KölnMesse (punto 55).

( 20 ) Sentenza Helmut Müller (C‑451/08, EU:C:2010:168, punto 67).

( 21 ) V., in particolare, sentenza KölnMesse (punto 57).

( 22 ) La bozza di atto d’impegno a locare, recante la data del maggio 2012, si riferisce, in particolare nel suo considerando 10 e nel suo articolo 7, al suddetto quadro esigenziale.

( 23 ) Sentenza KölnMesse (punto 58).

( 24 ) Ibidem (punto 56).

( 25 ) Nell’ambito di detta causa, il governo tedesco aveva menzionato la circostanza che l’importo totale da versare alla Grundstücksgesellschaft Köln Messe 8‑11 GbR a titolo di canoni, che avrebbe raggiunto in definitiva circa EUR 600 milioni, era ben superiore al costo di costruzione delle opere, che sarebbe ammontato a circa EUR 235 milioni.

( 26 ) Ciò diversamente rispetto alla distinzione tra appalto pubblico di servizi e appalto pubblico di fornitura [v., in particolare, articolo 2 della direttiva 92/50 e articolo 1, paragrafo 2, lettera d), secondo comma, della direttiva 2004/18].

( 27 ) Essi si riferiscono, in particolare, alle conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Commissione/Germania (C‑536/07, EU:C:2009:340), che suggeriva di procedere anche a un «raffronto dei corrispondenti prezzi» (paragrafo 105).

( 28 ) V. sentenza KölnMesse (punto 61).

( 29 ) Sentenza Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a. (C‑159/11, EU:C:2012:817).

( 30 ) V., in tal senso, sentenza Helmut Müller (EU:C:2010:168, punti 50 e 51).

( 31 ) E ciò benché le parti sembrino aver richiesto l’ottemperanza alla sentenza n. 8420/2010.

( 32 ) V., a tal proposito, l’illustrazione delle sentenze emanate dal Consiglio di Stato in reazione, in particolare, ai provvedimenti del commissario ad acta del 27 maggio 2010 (paragrafi da 23 a 25 delle presenti conclusioni).

( 33 ) Decreto legislativo del 2 luglio 2010, n. 104 (GURI n. 156, del 7 luglio 2010).

( 34 ) Il Consiglio di Stato lascia di fatto intendere che sono le proprie sentenze di esecuzione (del 15 aprile 2010 e del 3 dicembre 2010), relative all’attività del commissario ad acta, ad aver condotto a una situazione potenzialmente contraria al diritto dell’Unione, in quanto con esse è stata ordinata l’adozione degli atti necessari alla conclusione del contratto di locazione di cosa futura che tale impresa aveva sottoposto all’amministrazione come ultima proposta dopo lo sconvolgimento del quadro economico verificatosi nel 2004.

( 35 ) V., in particolare, sentenze Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 38); Kapferer (C‑234/04, EU:C:2006:178, punto 20), e Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 22).

( 36 ) Sentenze Eco Swiss (C‑126/97, EU:C:1999:269, punto 48); Kapferer (EU:C:2006:178, punto 21), e Fallimento Olimpiclub (EU:C:2009:506, punto 23).

( 37 ) Sentenze Kapferer (EU:C:2006:178, punto 22) e Fallimento Olimpiclub (EU:C:2009:506, punto 24).

( 38 ) C‑119/05, EU:C:2007:434.

( 39 ) Ibidem (punti 62 e 63).

( 40 ) Sentenza Fallimento Olimpiclub (EU:C:2009:506, punto 25).

( 41 ) Sentenza Kühne & Heitz (C‑453/00, EU:C:2004:17, punto 28). V., altresì, sentenze i-21 Germany e Arcor (C‑392/04 e C‑422/04, EU:C:2006:586, punti da 51 a 55), nonché Kempter (C‑2/06, EU:C:2008:78).

( 42 ) V., in tal senso, sentenza Köbler (EU:C:2003:513, punti 51 e segg.).