SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
3 ottobre 2013 ( *1 )
«Ambiente — Direttiva 75/442/CEE — Liquame prodotto e immagazzinato in un impianto di allevamento di suini in attesa di essere ceduto a imprenditori agricoli che se ne servono come fertilizzante sui loro terreni — Classificazione come “rifiuto” o come “sottoprodotto” — Presupposti — Onere della prova — Direttiva 91/676/CEE — Mancato recepimento — Responsabilità personale del produttore per il rispetto da parte di tali imprenditori del diritto dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti e dei fertilizzanti»
Nella causa C‑113/12,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court (Corte suprema) (Irlanda), con decisione del 23 febbraio 2012, pervenuta in cancelleria il 1o marzo 2012, nel procedimento
Donal Brady
contro
Environmental Protection Agency,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, J. Malenovský, U. Lõhmus, M. Safjan e A. Prechal (relatore), giudici,
avvocato generale: P. Cruz Villalón
cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 febbraio 2013,
considerate le osservazioni presentate:
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per il sig. Brady, da A. Collins, SC, e D. Gearty, solicitor, |
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per l’Environmental Protection Agency, da A. Doyle, solicitor, N. Butler, SC, e S. Murray, BL, |
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per il governo francese, da G. de Bergues e S. Menez, in qualità di agenti, |
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per la Commissione europea, da K. Mifsud‑Bonnici e D. Düsterhaus nonché da A. Alcover San Pedro, in qualità di agenti, |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 maggio 2013,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla decisione 96/350/CE della Commissione, del 24 maggio 1996 (GU L 135, pag. 32, in prosieguo: la «direttiva 75/442»). |
2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito della controversia tra il sig. Brady e l’Environmental Protection Agency (in prosieguo: l’«EPA») relativa a talune condizioni connesse alla licenza per l’ampliamento dell’allevamento di suini rilasciata dalla suddetta amministrazione al sig. Brady. |
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
La direttiva 75/442
3 |
La direttiva 75/442 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9), che è stata a sua volta successivamente abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU L 312, pag. 3). Tuttavia, tenuto conto della data di concessione della licenza oggetto del procedimento principale, quest’ultimo rimane disciplinato dalla direttiva 75/442. |
4 |
L’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442 prevedeva quanto segue: «Ai sensi della presente direttiva, si intende per:
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5 |
L’articolo 1, lettera a), secondo comma, della direttiva 75/442 affidava alla Commissione delle Comunità europee il compito di stabilire «un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all’allegato I». Con la decisione 94/3/CE, del 20 dicembre 1993 (GU 1994 L 5, pag. 15), la Commissione ha predisposto tale elenco (in prosieguo: il «Catalogo europeo dei rifiuti») nel quale rientrano in particolare, tra i «rifiuti provenienti da produzione (...) in agricoltura», le «feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito». |
6 |
L’articolo 1, lettere b) e c), della direttiva 75/442 conteneva le seguenti definizioni:
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7 |
L’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), punto iii), della direttiva in parola prevedeva quanto segue: «Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva: (...)
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8 |
L’articolo 4 della direttiva 75/442 recitava come segue: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti». |
9 |
L’articolo 8 della direttiva di cui trattasi così recitava: «Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:
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10 |
L’articolo 10 della direttiva 75/442 precisava che tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni di recupero dei rifiuti elencate all’allegato II B devono ottenere un’autorizzazione dell’autorità competente. |
11 |
Tra le operazioni così elencate nell’allegato II B rientrava, al punto R 10, lo «[s]pandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia». |
12 |
A norma dell’articolo 11, paragrafi 1 e 2, della direttiva 75/442 «1. (...) possono essere dispensati dall’autorizzazione di cui all’articolo (...) 10: (...)
Tale dispensa si può concedere solo:
2. Gli stabilimenti o le imprese contemplati nel paragrafo 1 sono soggetti a iscrizione presso le competenti autorità». |
La direttiva 91/676/CEE
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Il considerando 6 della direttiva 91/676/CE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GU L 375, pag. 1), statuisce quanto segue: «considerando che per tutelare la salute umana, le risorse viventi e gli ecosistemi acquatici e per salvaguardare altri usi legittimi dell’acqua è (...) necessario ridurre l’inquinamento idrico causato o provocato da nitrati provenienti da fonti agricole ed impedire un ulteriore inquinamento di questo tipo; che a tal fine è importante prendere provvedimenti riguardanti l’uso in agricoltura di composti azotati e il loro accumulo nel terreno e riguardanti talune prassi di gestione del terreno». |
14 |
A norma dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 91/676: «1. Le acque inquinate e quelle che potrebbero essere inquinate se non si interviene ai sensi dell’articolo 5 sono individuate dagli Stati membri conformemente ai criteri di cui all’allegato I. 2. (...) gli Stati membri designano come zone vulnerabili tutte le zone note del loro territorio che scaricano nelle acque individuate in conformità del paragrafo 1 e che concorrono all’inquinamento. (...)» |
15 |
L’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della suddetta direttiva prevede che, al fine di stabilire un livello generale di protezione dall’inquinamento per tutti i tipi di acque, gli Stati membri provvedono a fissare un codice o più codici di buona pratica agricola applicabili a discrezione degli agricoltori, il quale includa disposizioni pertinenti per lo meno agli elementi contemplati nel punto A dell’allegato II della direttiva in parola. Gli elementi indicati nel punto A attengono in particolare ai periodi in cui l’applicazione al terreno di fertilizzanti non è opportuna, alle condizioni di applicazione in funzione della natura e delle condizioni dei terreni o della loro vicinanza a corsi d’acqua, alla capacità e alla costruzione dei depositi per effluenti da allevamento e alle procedure di applicazione. |
16 |
A norma dell’articolo 5, paragrafi 1 e 4, della direttiva 91/676, gli Stati membri devono fissare programmi d’azione per quanto riguarda le zone vulnerabili designate, che devono comprendere le misure di cui all’allegato III e le misure prescritte nel codice o nei codici di buona pratica agricola, a meno che esse non siano state sostituite dalle misure indicate in tale allegato. Le misure di cui al suddetto allegato III devono, come emerge da quest’ultimo, comprendere norme concernenti in particolare i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti, la capacità dei depositi per effluenti di allevamento, la limitazione dell’applicazione al terreno di fertilizzanti per garantire una presenza equilibrata di azoto nei terreni e i quantitativi massimi di effluenti che possono essere sparsi in funzione del loro contenuto di azoto. |
Diritto irlandese
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Il Waste management Act 1996 (legge del 1996 relativa alla gestione dei rifiuti; in prosieguo: la «legge del 1996») è stato adottato allo scopo di trasporre la direttiva 75/442. L’articolo 4, paragrafo 1, di tale legge dispone quanto segue: «Ai sensi della presente legge, per “rifiuto” si intende qualsiasi sostanza o oggetto appartenente ad una delle categorie di rifiuti riportate nell’allegato I, o che nel periodo rilevante figuri nel Catalogo europeo dei rifiuti, del quale il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, e qualsiasi cosa di cui ci si disfi o che sia altrimenti trattata come rifiuto, si deve presumere che sia un rifiuto sino a dimostrazione del contrario (…)». |
18 |
L’articolo 51, paragrafo 2, lettera a), della legge del 1996 enuncia quanto segue: «Fatto salvo il disposto di cui alla lettera b), non è richiesta una licenza relativa ai rifiuti (…) per il recupero di (…): (...)
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19 |
L’articolo 52 dell’Environmental Protection Act 1992 (legge del 1992 sulla tutela dell’ambiente, in prosieguo: la «legge del 1992») istitutiva dell’Environmental Protection Agency (l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, in prosieguo: l’«EPA»), così dispone: «(1) (...) le funzioni dell’[EPA] includono:
(...)
(...)
(...)». |
20 |
Il giudice del rinvio osserva che, benché la legge del 1992 abbia introdotto un meccanismo di autorizzazione paragonabile, per taluni aspetti, a quello previsto dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26), il recepimento di quest’ultima nel diritto irlandese è avvenuto soltanto nel 2003, cosicché la licenza oggetto del procedimento principale non è stata concessa in base a norme interne di diritto adottate per dare attuazione alla succitata direttiva. |
21 |
Il giudice del rinvio sottolinea d’altro canto che, alla data del rilascio della licenza di cui trattasi, la direttiva 91/676 non era ancora stata recepita nell’ordinamento giuridico irlandese e che non esisteva altra normativa a livello nazionale che regolamentasse l’impiego di effluenti animali come fertilizzanti sui terreni agricoli. |
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
22 |
Il sig. Brady gestisce un’impresa di allevamento suinicolo intensivo con circa 2000 scrofe. |
23 |
Il 9 marzo 1998 il sig. Brady ha presentato una richiesta volta a ottenere l’autorizzazione all’ampliamento della sua azienda, nella quale indicava di avervi costruito cisterne con una capacità tale da permettergli di contenere l’equivalente della sua produzione annuale di liquame e di aver stipulato con alcuni imprenditori accordi in base ai quali questi ultimi si impegnavano ad acquistare il liquame per utilizzarlo come fertilizzante sui loro terreni. |
24 |
In base alla licenza concessa con decisione del 22 ottobre 1999 dall’EPA al sig. Brady, quest’ultimo è tenuto in particolare a controllare che i produttori ai quali consegna il liquame lo utilizzino nella rigorosa osservanza delle condizioni di cui alla suddetta licenza. |
25 |
A fondamento del ricorso proposto avverso la suddetta decisione dinanzi alla High Court, il sig. Brady ha sostenuto, da una parte, che il liquame oggetto del procedimento principale non costituiva un «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442 e della legge del 1996, ma un sottoprodotto della sua azienda che egli vende come fertilizzante, cosicché l’EPA non avrebbe potuto, in base alla legge del 1992, disciplinare lo smaltimento o il recupero di tale liquame secondo le modalità previste nella licenza controversa. |
26 |
Dall’altra, secondo il sig. Brady, l’EPA non è legittimata a imporgli, a pena di sanzioni penali, l’obbligo, impossibile da soddisfare, di controllare le modalità di impiego del liquame da parte degli altri imprenditori suoi cessionari, tanto più che l’Unione europea avrebbe emanato una disciplina specifica destinata ad applicarsi allo spargimento degli effluenti di allevamento come fertilizzante, vale a dire la direttiva 91/676. |
27 |
A questo proposito, il giudice del rinvio osserva che il sig. Brady ha sostenuto, a fondamento del suo ricorso, che le condizioni attinenti alla gestione dei rifiuti previste dalla licenza controversa comporterebbero che egli debba in particolare: «(...)
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28 |
Dato che il ricorso del sig. Brady è stato respinto dalla High Court, egli ha presentato impugnazione dinanzi alla Supreme Court. A fondamento di tale impugnazione egli deduce due motivi vertenti, il primo, sull’errore di diritto commesso dalla High Court nel classificare il liquame prodotto nella sua azienda come rifiuto e, il secondo, sul fatto che, ove tale liquame dovesse essere classificato come rifiuto, l’EPA non era comunque autorizzata a subordinare la licenza a lui concessa a condizioni che gli impongono di controllare le attività di spargimento svolte da terzi su terreni di loro proprietà e di assumerne la responsabilità. |
29 |
La Supreme Court ritiene che, benché le sentenze dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna (C-416/02, Racc. pag. I-7487), e Commissione/Spagna (C-121/03, Racc. pag. I-7569), nonché del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia (C-194/05, Racc. pag. I-11661), Commissione/Italia (C-195/05, Racc. pag. I-11699), e Commissione/Italia (C-263/05, Racc. pag. I-11745), contengano numerose indicazioni utili a tal riguardo, la questione se il liquame oggetto del procedimento principale debba essere classificato come rifiuto resta incerta. |
30 |
Posto che dalla succitata giurisprudenza si evincerebbe in particolare che il liquame resta un rifiuto se deve essere oggetto di uno stoccaggio prolungato implicante un pericolo di inquinamento, quale il diritto dell’Unione intende prevenire, il giudice del rinvio si chiede in particolare quali criteri permettano di verificare se una situazione siffatta sussista nella controversia dinanzi ad esso pendente. |
31 |
A tal proposito esso osserva da un lato che, visto il carattere stagionale della vendita di fertilizzanti, un’enorme quantità di liquame derivante dalle attività del ricorrente nel procedimento principale dovrà necessariamente essere stoccata per un periodo lungo, che, tuttavia, non dovrebbe di norma superare i dodici mesi che separano le due stagioni di spargimento del letame. Dall’altro, il suddetto giudice evidenzia di non disporre di elementi idonei a stabilire se il mero stoccaggio di lunga durata nelle cisterne a tal fine autorizzate sia o possa essere inquinante. |
32 |
D’altronde, ove si ammetta che il liquame oggetto del procedimento principale deve essere classificato come rifiuto, si porrebbe allora la questione se il diritto dell’Unione autorizzi l’EPA a subordinare un’autorizzazione all’esercizio dell’attività a condizioni che finiscono di fatto per imporre ancora a carico del sig. Brady obblighi attinenti all’eventuale utilizzo successivo del suo liquame da parte di altri imprenditori o se la responsabilità di un tale utilizzo debba incombere su questi ultimi. |
33 |
È in tale contesto che la Supreme Court ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «Se, in difetto di una interpretazione definitiva della nozione di “rifiuto” ai fini del diritto dell’Unione, uno Stato membro sia autorizzato dal diritto nazionale ad imporre a un produttore di liquame di suino l’obbligo di dimostrare che esso non costituisce rifiuto o se la qualità di “rifiuto” debba essere determinata in base a criteri oggettivi quali quelli richiamati nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea:
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Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
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Con il quesito preliminare e con la prima questione, che devono essere esaminati insieme, il giudice del rinvio mira a sapere essenzialmente, da una parte, a quali condizioni il liquame prodotto in uno stabilimento di allevamento intensivo di suini e immagazzinato in attesa di essere venduto a imprenditori agricoli perché lo usino come fertilizzante sui loro terreni possa essere qualificato come sottoprodotto e cessi, di conseguenza, di essere considerato un «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442 e, in particolare, quale sia, a questo proposito, il grado di certezza richiesto in merito al previsto riutilizzo del liquame. Dall’altra, il suddetto giudice desidera sapere in che misura l’onere di provare il rispetto delle suddette condizioni possa gravare sul produttore del liquame di cui trattasi. |
Sulla prima parte della prima questione
35 |
Per quanto attiene alle condizioni in presenza delle quali il liquame immagazzinato da un produttore in attesa di cederlo a imprenditori agricoli perché lo utilizzino come fertilizzante sui loro terreni deve essere qualificato come sottoprodotto invece che come «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, occorre ricordare che l’articolo 1, lettera a), primo comma, della suddetta direttiva definisce il rifiuto come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso (...) di disfarsi». |
36 |
Tanto il succitato allegato I quanto l’elenco dei rifiuti inserito nel Catalogo europeo dei rifiuti adottato sulla base dell’articolo 1, lettera a), secondo comma, della direttiva 75/442 hanno carattere meramente indicativo (v., in particolare, sentenza del 29 ottobre 2009, Commissione/Irlanda, C‑188/08, punto 33 e giurisprudenza citata). |
37 |
Così, il fatto che in tale catalogo rientrino «feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito» non è decisivo ai fini della valutazione della nozione di rifiuto. Tale menzione generica degli effluenti d’allevamento non prende infatti in considerazione le condizioni in cui i detti effluenti vengono utilizzati e che sono determinanti ai fini di una tale valutazione (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03, cit., punto 66). |
38 |
In base a una giurisprudenza costante, la qualifica di «rifiuto», ai sensi della direttiva 75/442, discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine «disfarsi», indicati all’articolo 1, lettera a), primo comma, della suddetta direttiva (v., in particolare, sentenze del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, cit., punto 32, e del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, C-188/07, Racc. pag. I-4501, punto 53). |
39 |
Il termine «disfarsi» deve essere interpretato non solo alla luce della finalità essenziale della direttiva 75/442, che, stando al suo terzo considerando, è la «protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti», bensì anche dell’articolo 174, paragrafo 2, CE. Tale disposizione prevede che «[l]a politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva (…)». Ne consegue che il termine «disfarsi» e quindi la nozione di «rifiuto» ai sensi della suddetta direttiva non possono essere interpretati in senso restrittivo (v., in particolare, sentenze citate del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punto 33 e giurisprudenza citata, e Commune de Mesquer, punti 38 e 39). |
40 |
La Corte ha statuito in particolare che, tra le circostanze che possono costituire indizi del fatto che il detentore della sostanza od oggetto «se ne disfi» ovvero abbia deciso o abbia l’obbligo di «disfarsene» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442 rientrava il fatto che una sostanza è un residuo di produzione o di consumo, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (v., in particolare, sentenze citate del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punto 34 e giurisprudenza citata, e Commune de Mesquer, punto 41). |
41 |
Allo stesso tempo, un tale indizio può essere rappresentato dal fatto che la sostanza di cui trattasi è un residuo di produzione il cui eventuale utilizzo deve avvenire in condizioni particolari di prudenza a causa della pericolosità per l’ambiente della sua composizione (v. sentenze del 15 giugno 2000, ARCO Chemie Nederland e a., C-418/97 e C-419/97, Racc. pag. I-4475, punto 87, e del 18 aprile 2002, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, C-9/00, Racc. pag. I-3533, punto 43). |
42 |
Dalla giurisprudenza risulta inoltre che il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto e che la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 75/442 intende, infatti, riferirsi a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo (sentenze citate del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punti 36 e 37, e Commune de Mesquer, punto 40). |
43 |
Alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza così ricordati, si deve ritenere che gli effluenti prodotti da uno stabilimento di allevamento intensivo di suini, che non rappresentano la produzione principale perseguita dall’imprenditore, e il cui eventuale recupero mediante spargimento come fertilizzante deve, come risulta in particolare dal considerando 6 della direttiva 91/676 e dal dispositivo da essa stabilito, avvenire in condizioni particolari di prudenza in ragione della potenziale pericolosità per l’ambiente della sua composizione, rientrano, in via di principio, nella categoria dei rifiuti (v., per analogia, sentenze citate del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punto 35 e giurisprudenza citata, e Commune de Mesquer, punto 41). |
44 |
Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte emerge altresì che, in determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che esso intende sfruttare o commercializzare – altresì eventualmente per il fabbisogno di operatori economici diversi da quello che l’ha prodotto – a condizioni ad esso favorevoli, in un processo successivo, a condizione che tale riutilizzo non sia soltanto possibile ma certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga nel corso del processo di produzione (v., in particolare, sentenze citate dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03, punto 58; del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punto 38, e Commune de Mesquer, punto 42). |
45 |
Per quanto attiene più nello specifico agli effluenti di allevamento, oggetto della fattispecie in esame, la Corte ha così già stabilito che essi possono sfuggire alla qualifica di rifiuti, se vengono utilizzati come fertilizzanti dei terreni nel contesto di una pratica legale di spargimento su terreni ben identificati e se lo stoccaggio del quale sono oggetto è limitato alle esigenze di queste operazioni di spargimento (sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03, cit., punto 60). |
46 |
Essa ha peraltro precisato, a tal proposito, che non occorre limitare quest’analisi agli effluenti d’allevamento utilizzati come fertilizzanti sui terreni che appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti. Infatti una sostanza può non essere considerata un «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442 se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta (sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03, cit., punto 61). |
47 |
Spetta ai giudici nazionali verificare, tenendo conto delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte e dell’insieme delle circostanze che caratterizzano la fattispecie che sono chiamati a conoscere, l’effettiva esistenza di un sottoprodotto, in modo tale da garantire, a tal proposito, che la classificazione come sottoprodotto sia riservata alle situazioni che soddisfano le condizioni ricordate al punto 44 della presente sentenza. |
48 |
Per quanto attiene alla verifica del carattere sufficientemente certo del riutilizzo del liquame immagazzinato in attesa di essere sparso, occorre ricordare in via preliminare che, come risulta dalla giurisprudenza citata ai punti 45 e 46 della presente sentenza, il solo fatto che tale riutilizzo sarà in concreto del tutto certo solo dopo l’effettivo compimento delle operazioni di spargimento da parte dei terzi acquirenti interessati non osta a una tale classificazione come sottoprodotto. |
49 |
Infatti, la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non è di per sé decisiva per quanto riguarda la sua eventuale natura di rifiuto definita, conformemente all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442, con riferimento al fatto che il detentore dell’oggetto o della sostanza in questione se ne disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsene (sentenza del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, cit., punti 49 e 50 e giurisprudenza citata). |
50 |
Occorre peraltro precisare, a questo proposito, che se il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che il riutilizzo del liquame come previsto dal sig. Brady presenta, nel caso di specie, un livello di certezza sufficiente affinché, durante il suo immagazzinamento da parte di quest’ultimo e sino alla effettiva consegna ai terzi interessati, detto liquame possa essere considerato un sottoprodotto di cui l’interessato non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442 ma di sfruttare o di commercializzare, tale circostanza non inciderebbe in alcun modo sul fatto che il suddetto liquame possa, eventualmente, divenire un rifiuto dopo tale consegna, segnatamente ove dovesse risultare che i suddetti terzi lo hanno scaricato senza controlli nell’ambiente a condizioni che consentono di considerarlo come tale (v., in questo senso, sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑416/02, cit., punto 96). |
51 |
In un tal caso, occorrerà ricordare che, in base alla giurisprudenza della Corte, chi si trova, di fatto, in possesso dei prodotti immediatamente prima che essi divengano rifiuti deve essere considerato come colui che ha «prodotto» tali rifiuti ai sensi dell’articolo 1, lettera b), della direttiva 75/442 ed essere così qualificato come «detentore» dei medesimi ai sensi dell’articolo 1, lettera c), di tale direttiva (v., in particolare, sentenza Commune de Mesquer, cit., punto 74). |
52 |
Per verificare se il riutilizzo del liquame mediante spargimento da parte di altri imprenditori agricoli, come previsto dal ricorrente nel procedimento principale, rivesta un carattere sufficientemente certo da giustificare il suo immagazzinamento per un periodo diverso da quello necessario alla sua raccolta ai fini dello smaltimento, compete invece al giudice del rinvio, come si evince dalla giurisprudenza citata al punto 45 della presente sentenza, garantire in particolare che i terreni dei suddetti imprenditori sui quali dovrà avvenire tale riutilizzo siano immediatamente ben identificati. Tale identificazione è idonea infatti a comprovare che le quantità di liquame che verranno cedute sono, in linea di principio, effettivamente destinate a essere impiegate quale fertilizzante per i terreni degli imprenditori considerati. |
53 |
Il produttore, ove intenda immagazzinare il liquame per un periodo più lungo rispetto a quello necessario per la sua raccolta per fini di smaltimento, deve quindi disporre di impegni concreti da parte degli operatori a prendere in consegna tale liquame e a servirsene come fertilizzante su terreni debitamente individuati. |
54 |
Quanto alla condizione, ricordata anch’essa al punto 45 della presente sentenza, secondo cui lo stoccaggio degli effluenti d’allevamento deve essere limitato alle esigenze delle operazioni di spargimento, occorre ricordare che ciò si spiega, in particolare, in considerazione del fatto che le operazioni di deposito in vista di un riutilizzo di una sostanza possono, tenuto conto della loro durata, rappresentare un onere per il detentore ed essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare (v., in questo senso, sentenza del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, cit., punto 40). |
55 |
A tal proposito, spetta in particolare ai giudici nazionali garantire che gli impianti di stoccaggio di cui si serve il produttore di liquame siano pensati in modo tale da impedire lo scorrimento e l’infiltrazione nel suolo di tale sostanza e che essi dispongano di una capacità sufficiente per potervi depositare il liquame prodotto in attesa della sua effettiva consegna agli imprenditori agricoli interessati. |
56 |
L’immagazzinamento vero e proprio del liquame deve altresì essere strettamente limitato alle esigenze delle previste operazioni di spargimento, il che richiede, da una parte, che le quantità di liquame immagazzinato siano contenute in modo da garantire che esso verrà impiegato per intero secondo tali modalità (v., in questo senso, sentenza Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, cit., punto 40), e, dall’altra, che la durata dell’immagazzinamento sia limitata in funzione delle esigenze poste dal carattere stagionale delle operazioni di spargimento, vale a dire, che essa non superi quanto necessario al produttore per essere in grado di adempiere gli impegni contrattuali assunti di fornire il liquame per l’applicazione nella stagione di spargimento in corso o in quella successiva. |
57 |
Compete, d’altro canto, sempre ai giudici nazionali verificare, tenendo conto dell’insieme delle circostanze rilevanti, che il riutilizzo dei liquami da parte dei terzi interessati, come previsto dal produttore, sia tale da procurare a quest’ultimo un vantaggio superiore rispetto a quello derivante dal mero fatto di potersi disfare di tale prodotto, posto che tale circostanza rafforza, ove si verifichi, la probabilità di un effettivo reimpiego (v., in questo senso, sentenze citate del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punto 52, e Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, punto 37). |
58 |
Come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 44 della presente sentenza, si può ritenere che il liquame oggetto del procedimento principale abbia, dal punto di vista economico, il valore di un prodotto solo a condizione di considerarlo destinato a essere realmente utilizzato o commercializzato a condizioni economicamente favorevoli per il suo detentore. |
59 |
Tra le circostanze rilevanti che devono essere prese in considerazione dai giudici nazionali al fine di verificare se siano soddisfatti tali criteri rientra il fatto che le sostanze di cui trattasi siano state oggetto di operazioni commerciali che rispondono alle specifiche dell’acquirente (v., in questo senso, sentenza Commune de Mesquer, cit., punto 47). In tale prospettiva può altresì essere importante procedere all’esame delle condizioni, in particolare finanziarie, delle transazioni tra il produttore e gli acquirenti del liquame. Lo stesso vale per gli oneri, in particolare per quelli connessi all’immagazzinamento delle sostanze di cui trattasi, di cui il detentore deve farsi carico ai fini del loro riutilizzo e che non devono risultare eccessivi (v., in questo senso, sentenza Commune de Mesquer, cit., punto 59). |
60 |
Alla luce di tutto ciò che precede, occorre rispondere alla prima parte della prima questione che l’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442 deve essere interpretato nel senso che il liquame prodotto in un allevamento intensivo di suini e immagazzinato in attesa di essere consegnato a imprenditori agricoli affinché lo utilizzino come fertilizzante sui loro terreni costituisce non un «rifiuto» ai sensi della suddetta norma, ma un sottoprodotto, quando tale produttore intende commercializzare il suddetto liquame a condizioni economiche ad esso favorevoli, nell’ambito di un processo successivo, a condizione che tale riutilizzo non sia soltanto possibile ma certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga nel corso del processo di produzione. Compete ai giudici nazionali verificare se tali criteri siano soddisfatti, tenendo conto dell’insieme delle circostanze rilevanti che caratterizzano le fattispecie nell’ambito delle quali essi sono stati aditi. |
Sulla seconda parte della prima questione
61 |
Per quanto attiene all’individuazione del soggetto su cui grava l’onere di provare il rispetto dei criteri che comportano, in conformità della giurisprudenza citata al punto 44 della presente sentenza, la classificazione di una sostanza come sottoprodotto e non come «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, occorre osservare che la direttiva in parola non contiene disposizioni specifiche in relazione a tale aspetto. Tanto premesso, compete al giudice nazionale applicare le norme in materia del proprio ordinamento giuridico, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto dell’Unione e in particolare della direttiva 75/442 e che sia garantito il rispetto degli obblighi derivanti da tale diritto (v., in questo senso, sentenze citate ARCO Chemie Nederland e a., punto 70, e del 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, C‑194/05, punti 44, 52 e 53). |
62 |
Ne consegue, in particolare, che tali norme nazionali in materia di onere della prova non possono rendere eccessivamente difficile la dimostrazione della necessità di considerare, in applicazione dei criteri desumibili dalla suddetta giurisprudenza, le sostanze come sottoprodotti. |
63 |
Fatta salva tale premessa, occorre ricordare che la Corte ha già riconosciuto che i detriti o la sabbia di scarto da operazioni di arricchimento di minerale provenienti dallo sfruttamento di una miniera che il detentore utilizzi legalmente per il necessario riempimento delle gallerie della detta miniera non rientrano nella qualifica di “rifiuti” ai sensi della direttiva 75/442 quando tale detentore fornisce garanzie sufficienti sull’identificazione e sull’utilizzazione effettiva di tali sostanze e che essa ha d’altro canto sottolineato che tale giurisprudenza era applicabile agli effluenti di allevamento (v. sentenza dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03, cit., punti 59 e 60 e giurisprudenza citata). |
64 |
Come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, è peraltro chiaro che, di regola, quanto alla dimostrazione di un’intenzione, solo il detentore dei prodotti può provare che la propria intenzione non è quella di disfarsi di tali prodotti, bensì di permetterne il riutilizzo in condizioni idonee a conferire loro la qualifica di sottoprodotto ai sensi della giurisprudenza della Corte. |
65 |
Tanto premesso, occorre rispondere alla seconda parte della prima questione che il diritto dell’Unione non osta a che l’onere di provare il rispetto dei criteri che permettono di classificare come sottoprodotto una sostanza, quale il liquame prodotto, immagazzinato e ceduto in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, gravi sul produttore di tale liquame, purché ciò non pregiudichi l’efficacia di tale diritto, in particolare della direttiva 75/442, e sia garantito il rispetto degli obblighi da esso derivanti, segnatamente quello di non assoggettare alle disposizioni di tale direttiva sostanze che, in applicazione dei criteri succitati, devono, a norma della giurisprudenza della Corte, essere considerate come sottoprodotti esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva in parola. |
Sulla terza questione
66 |
Con la terza questione, che occorre trattare in secondo luogo, il giudice del rinvio desidera essenzialmente sapere se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), punto iii), della direttiva 75/442 debba essere interpretato nel senso che gli effluenti d’allevamento prodotti in un’azienda suinicola situata in uno Stato membro sono «contemplati da altra normativa» ai sensi della suddetta norma e, quindi, esclusi dal campo di applicazione della direttiva 75/442 in ragione dell’esistenza della direttiva 91/676, fermo restando che quest’ultima non è stata ancora trasposta nell’ordinamento giuridico di tale Stato membro. |
67 |
A tal proposito, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, affinché una legislazione dell’Unione o nazionale possa essere considerata come un’«altra normativa» ai sensi del suddetto articolo 2, paragrafo 1, lettera b), punto iii), essa deve contenere disposizioni precise che organizzano la gestione dei rifiuti considerati e garantire un livello di tutela dell’ambiente almeno equivalente a quello che risulta dalla suddetta direttiva (v., in particolare, sentenze dell’8 settembre 2005, Commissione/Spagna, C‑121/03, cit., punto 69 e giurisprudenza citata, e del 10 maggio 2007, Thames Water Utilities, C-252/05, Racc. pag. I-3883, punto 34). |
68 |
La Corte ha peraltro precisato che se il legislatore dell’Unione ha accolto un dispositivo ai sensi del quale, in difetto di normativa dell’Unione specifica e, in via subordinata, di legislazione nazionale specifica, si applica la direttiva 75/442, lo ha fatto al fine di evitare che, in talune situazioni, la gestione di questi rifiuti non rimanga soggetta ad alcuna legislazione (v. sentenza dell’11 settembre 2003, AvestaPolarit Chrome, C-114/01, Racc. pag. I-8725, punto 50). |
69 |
Orbene, senza che nell’ambito della presente causa occorra chiarire se una direttiva, come la direttiva 91/676, ipotizzando che sia stata trasposta nel diritto nazionale, debba essere considerata come un’«altra normativa» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 75/442, basti osservare che, quando uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per dare attuazione alla suddetta direttiva, essa non può in ogni caso essere considerata idonea a garantire un livello di tutela dell’ambiente almeno equivalente a quello che risulta dalla direttiva 75/442, dato che tale mancata trasposizione comporta piuttosto che gli effluenti d’allevamento oggetto del procedimento principale, in caso di mancato assoggettamento a tale direttiva, non sarebbero disciplinati da nessuna altra normativa. |
70 |
Occorre quindi rispondere alla terza questione che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), punto iii), della direttiva 75/442 deve essere interpretato nel senso che, in caso di mancata trasposizione della direttiva 91/676 nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, non si può ritenere che gli effluenti d’allevamento prodotti da un’azienda suinicola sita all’interno di detto Stato membro siano, in ragione dell’esistenza di quest’ultima direttiva, «contemplati da altra normativa» ai sensi della suddetta disposizione. |
Sulla seconda questione
71 |
Con la seconda questione il giudice del rinvio desidera essenzialmente sapere se, nel caso in cui il liquame prodotto e detenuto da un’azienda di allevamento di suini debba essere classificato come «rifiuto» ai sensi della direttiva 75/442, il diritto dell’Unione osti a che uno Stato membro renda tale produttore, che si disfa del suddetto liquame cedendolo ad altri imprenditori perché lo usino come fertilizzante sui propri terreni, personalmente responsabile del rispetto da parte di questi ultimi della normativa dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti e dei fertilizzanti. |
72 |
In via preliminare, si deve osservare che, come risulta dal tenore stesso della questione in parola e per le ragioni ricavabili dalla decisione di rinvio, tale questione è posta con riferimento soltanto all’ipotesi in cui gli effluenti di allevamento di cui trattasi debbano essere qualificati come «rifiuti» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442. |
73 |
A tal proposito, occorre ricordare anzitutto che, tenuto conto in particolare della risposta fornita alla terza questione, una tale ipotesi comporta, ove si verifichi, che le disposizioni della direttiva 75/442 debbano trovare applicazione a una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale. |
74 |
Orbene, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 8 della direttiva 75/442, gli Stati membri debbono garantire che «ogni detentore di rifiuti» provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della suddetta direttiva, oppure li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B della stessa. Tali obblighi, posti a carico di ogni detentore di rifiuti, sono il corollario del divieto di abbandono, scarico e smaltimento incontrollato dei rifiuti di cui all’articolo 4 della medesima direttiva (v., in particolare, sentenza del 7 settembre 2004, Van de Walle e a., C-1/03, Racc. pag. I-7613, punto 56). |
75 |
Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente nel procedimento principale, che non intende affatto provvedere egli stesso al recupero o allo smaltimento dei rifiuti prodotti, è, quale «detentore» di tali rifiuti e in conformità dell’articolo 8, primo trattino, della direttiva 75/442, tenuto a consegnarli ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B della suddetta direttiva. |
76 |
Orbene, si deve anzitutto osservare, a questo proposito, che le informazioni contenute nella decisione di rinvio non permettono di ritenere che gli imprenditori agricoli presso i quali il sig. Brady intende disfarsi del suo liquame siano autorizzati a compiere operazioni di recupero ai sensi del succitato articolo 8. |
77 |
Infatti, nulla indica che i suddetti imprenditori siano titolari dell’autorizzazione richiesta a norma dell’articolo 10 della direttiva 75/442 per compiere le operazioni di recupero in parola. Allo stesso modo, le informazioni fornite alla Corte non permettono di ritenere che gli stessi imprenditori siano dispensati da tale autorizzazione nel rispetto delle condizioni previste al riguardo dall’articolo 11 della direttiva di cui trattasi. |
78 |
Qualora dovesse risultare, accertamento questo che compete eventualmente al giudice del rinvio, che gli imprenditori ai quali il sig. Brady intende cedere i rifiuti da lui detenuti non dispongono dell’autorizzazione imposta dall’articolo 10 della direttiva 75/442 e non ne sono dispensati in conformità delle condizioni previste all’articolo 11, paragrafi 1 e 2, della stessa, ne conseguirebbe che l’articolo 8 di tale direttiva vieta le cessioni così previste e osta pertanto a che esse siano oggetto di una qualsiasi autorizzazione da parte dall’EPA, a prescindere dalle condizioni che ne accompagnano il rilascio. |
79 |
In secondo luogo, occorre aggiungere che, ove si accerti che gli imprenditori sono titolari dell’autorizzazione richiesta a norma dell’articolo 10 della direttiva 75/442 o ne sono debitamente dispensati in conformità delle disposizioni dell’articolo 11, paragrafi 1 e 2, della stessa, la consegna dei rifiuti di cui trattasi dal sig. Brady a tali imprenditori non potrà essere subordinata, nei confronti di quest’ultimo, a condizioni volte a renderlo responsabile del rispetto, da parte dei suddetti imprenditori, della normativa dell’Unione in materia di gestione dei rifiuti e dei fertilizzanti. |
80 |
A questo proposito, si deve infatti anzitutto ricordare che, una volta compiuta la consegna dei rifiuti ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 75/442, l’impresa titolare di un’autorizzazione a norma dell’articolo 10 della direttiva 75/442 o dispensata da quest’ultima in conformità dell’articolo 11 della stessa, diviene «detentore» dei rifiuti in parola. Orbene, dalla lettera stessa dell’articolo 8 della direttiva 75/442 risulta che compete al «detentore dei rifiuti» provvedere eventualmente al recupero di tali rifiuti conformandosi alle disposizioni della detta direttiva. |
81 |
Dal combinato disposto degli articoli 8 e 10 della direttiva 75/442 e dall’organizzazione di tali norme risulta inoltre che, quando un detentore di rifiuti li consegna a un’impresa titolare di un’autorizzazione rilasciata in base alla seconda delle suddette disposizioni, che la legittima a procedere al recupero di tali rifiuti, è solo su tale impresa, e non sul suddetto precedente detentore, che grava la responsabilità di compiere le operazioni di recupero nel rispetto, a tal riguardo, dell’insieme delle condizioni cui sono soggette tali operazioni in forza tanto della normativa applicabile quanto del contenuto dell’autorizzazione in parola. |
82 |
Infine, sempre dal combinato disposto degli articoli 8 e 11 della direttiva 75/442 e dall’organizzazione di tali norme si evince che, quando un detentore di rifiuti li consegna a un’impresa che beneficia, in conformità del succitato articolo 11, di una dispensa dall’autorizzazione per il recupero di tali rifiuti, è solo quest’ultima impresa, e non il precedente detentore, ad avere la responsabilità di compiere le operazioni di recupero nel rispetto, a tal riguardo, delle regole generali e delle condizioni richiamate dallo stesso articolo 11 e di tutte le altre norme di diritto dell’Unione che disciplinano tali operazioni. |
83 |
Alla luce di tutto quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione che, nel caso in cui il liquame prodotto e detenuto da uno stabilimento di allevamento di suini debba essere classificato come «rifiuto» ai sensi dell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442:
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Sulle spese
84 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.