CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 27 febbraio 2014 ( 1 )

Causa C‑531/12 PCommune de Millau e

Société d’économie mixte d’équipement de l’Aveyron (SEMEA)

contro

Commissione europea

«Clausola compromissoria — Contratto di sovvenzione relativo a un’azione di sviluppo locale — Ripetizione dell’indebito — Prescrizione — Opponibilità di una clausola compromissoria — Stipulazione di una clausola contrattuale a favore di terzi»

I – Introduzione

1.

Nella presente impugnazione, la Corte dovrà esprimersi in parte su questioni specifiche, in parte, tuttavia, anche su questioni di fondo.

2.

In primo luogo, l’impugnazione offre l’opportunità di acclarare se, e a quali condizioni, un’impugnazione depositata in un primo momento senza procura possa esplicare effetti alla luce del nuovo regolamento di procedura, entrato in vigore il 1o novembre 2012, qualora la procura venga prodotta successivamente nel corso del procedimento.

3.

In secondo luogo, si pone la questione se, e a quali condizioni, terzi estranei al contratto possano vedersi opporre una clausola compromissoria ai sensi dell’articolo 272 TFUE, con la conseguenza che i giudici dell’Unione risultino competenti anche a conoscere del procedimento avviato nei confronti di tali terzi.

4.

In terzo luogo, occorre esaminare se, e a quali condizioni, la Corte possa conoscere, nel giudizio di impugnazione, dell’applicazione del diritto nazionale da parte del Tribunale per effetto della corrispondente scelta della legge effettuata dalle parti nel procedimento di primo grado ( 2 ).

5.

In quarto luogo, ci si chiede se dal diritto dell’Unione e, in particolare, dal diritto fondamentale ad una buona amministrazione, sia desumibile il principio ai sensi del quale il recupero dei pagamenti possa essere escluso qualora il diritto alla ripetizione non sia – eventualmente – ancora prescritto, ancorché l’istituzione dell’Unione legittimata al riguardo non abbia proceduto alla rapida riscossione dei crediti in sospeso.

II – Contesto normativo

A – Il diritto primario

6.

L’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, disciplina il «Diritto ad una buona amministrazione» e stabilisce:

«Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione».

7.

L’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE prevede:

«Le decisioni emesse dal Tribunale (…) possono essere oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto e alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo statuto».

8.

L’articolo 272 TFUE così recita:

«La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a giudicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dall’Unione [ ( 3 )] o per conto di questa».

9.

L’articolo 58, paragrafo 1, dello Statuto della Corte di giustizia così dispone:

«L’impugnazione proposta dinanzi alla Corte di giustizia deve limitarsi ai motivi di diritto. Essa può essere fondata su motivi relativi all’incompetenza del Tribunale, a vizi della procedura dinanzi al Tribunale recanti pregiudizio agli interessi della parte ricorrente, nonché alla violazione del diritto dell’Unione da parte del Tribunale».

B – Il regolamento di procedura della Corte

10.

A termini dell’articolo 119 del regolamento di procedura della Corte,:

«(…)

2.   Gli agenti e gli avvocati sono tenuti a depositare in cancelleria un atto ufficiale oppure una procura rilasciata dalla parte che essi rappresentano.

(…)

4.   Se questi documenti non sono depositati, il cancelliere assegna alla parte interessata un termine adeguato per produrli. In mancanza di detta produzione nei termini stabiliti, la Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, decide se l’inosservanza di questa formalità comporti l’irricevibilità del ricorso o della memoria per vizio di forma».

11.

L’articolo 168 del regolamento di procedura della Corte così dispone:

«(…)

2.   Si applicano all’impugnazione gli articoli 119, 121 e 122, paragrafo 1, del presente regolamento.

(…)

4.   Se l’atto di impugnazione non è conforme ai paragrafi da 1 a 3 del presente articolo, il cancelliere impartisce al ricorrente un termine adeguato per regolarizzare il ricorso. In mancanza di tale regolarizzazione, alla scadenza del termine suddetto la Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, decide se l’inosservanza di tali formalità comporti l’irricevibilità del ricorso per vizio di forma».

C – Regolamento di procedura del Tribunale

12.

L’articolo 44, paragrafo 5 bis, del regolamento di procedura del Tribunale stabilisce che:

«Il ricorso presentato in forza di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o privato stipulato dall’Unione o per conto di essa a norma dell’articolo 272 TFUE dev’essere corredato di una copia del contratto che contiene detta clausola».

III – Fatti

13.

Nel luglio del 1990, la Comunità economica europea, rappresentata dalla Commissione delle Comunità europee, concludeva con la Société d’économie mixte d’équipement de l’Aveyron (in prosieguo: la «SEMEA»), la quale partecipava nella Commune de Millau (Comune di Millau, Francia) con il 50% del capitale, un contratto di sovvenzione volto all’esecuzione di un progetto di sviluppo locale. In base a quanto pattuito dalle parti, da un lato, il contratto di sovvenzione è soggetto alla legge francese e, dall’altro, la Corte, «in mancanza di composizione amichevole, (…) è competente in via esclusiva a dirimere qualsiasi controversia relativa al contratto insorta tra le parti contraenti».

14.

Peraltro, di concerto con la Commissione europea, l’ulteriore esecuzione del progetto di sviluppo veniva assunta non dalla SEMEA, bensì da un’associazione fondata ai fini dell’attuazione del progetto. Quest’ultima, tuttavia, non aderiva al contratto di sovvenzione, cosicché la SEMEA continuava ad essere la controparte contrattuale della Comunità.

15.

Avendo accertato che erano stati effettuati pagamenti in eccesso da parte della Comunità, nel 1993 la Commissione chiedeva alla SEMEA la restituzione di una somma pari a ECU 41012 (in prosieguo: il «credito controverso»). Sebbene la SEMEA non avesse dato seguito a tale richiesta di pagamento, la Commissione non inviava, in un primo momento, ulteriori diffide.

16.

Solo nel 2005, ossia circa dodici anni dopo, la Commissione reiterava la propria richiesta di pagamento. La SEMEA richiamava l’attenzione della Commissione sul fatto che la società si trovava nel frattempo in liquidazione. La SEMEA affermava, inoltre, che l’associazione incaricata dell’esecuzione del progetto sovvenzionato le aveva assicurato che la Commissione aveva rinunciato al credito controverso, il quale, inoltre, era nel frattempo prescritto. La Commissione ha negato qualsivoglia rinuncia al credito controverso. Nonostante ulteriori pluriennali scambi di corrispondenza e diffide, la SEMEA non ha effettuato alcun pagamento. Nel febbraio 2008 essa è stata invitata un’ultima volta dalla Commissione a provvedere al pagamento.

17.

Il 21 novembre 2008, l’assemblea generale straordinaria della SEMEA ha preso atto della decisione del Comune di Millau, suo principale azionista, di rilevare il patrimonio attivo e passivo della società, e ha deliberato di versare EUR 82 719,76, corrispondenti alla tesoreria disponibile della SEMEA, al Comune di Millau. Nella relazione sulla liquidazione presentata dal liquidatore, veniva menzionato il credito controverso.

18.

Il 9 dicembre 2008, il liquidatore della SEMEA ha concluso le operazioni di liquidazione della società e ha fatto cancellare la SEMEA dal registro delle imprese. Il 18 dicembre 2008, il consiglio comunale del Comune di Millau ha confermato il subentro nel patrimonio societario della SEMEA. Al passivo della società risultava, inter alia, il credito controverso della Commissione, accompagnato dal richiamo che la SEMEA aveva fatto valere la prescrizione e che la creditrice non aveva più insistito nella sua richiesta di pagamento. In relazione a tale operazione non era stato richiesto l’assenso della Commissione.

IV – La sentenza impugnata

19.

Per consentire l’azionabilità in giudizio del credito controverso nonostante la cancellazione della SEMEA nel registro delle imprese, la Commissione ha chiesto al Tribunal de commerce de Rodez (Francia) la nomina di un mandatario ad hoc quale rappresentante della società.

20.

Accolta tale richiesta, la Commissione ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale – segnatamente in nome proprio – da un lato, nell’aprile 2010, nei confronti della SEMEA (causa T‑168/10) e, dall’altro, nel dicembre 2010, nei confronti del Comune di Millau (causa T‑572/10), il quale, secondo la Commissione, risponderebbe in via solidale per il credito controverso, avendo il Comune rilevato il passivo della SEMEA. I due procedimenti, in quanto connessi, sono stati riuniti ai fini della sentenza.

21.

I convenuti hanno eccepito la prescrizione. Il Comune convenuto ha inoltre contestato in via preliminare la competenza del Tribunale, adducendo che ad esso non fosse opponibile la clausola, applicabile al contratto di sovvenzione, che prevedeva la competenza dei giudici dell’Unione. In subordine, per il caso di accoglimento della domanda di pagamento della Commissione con riferimento al credito controverso, i convenuti hanno proposto domanda riconvenzionale fondata sull’articolo 340 TFUE e sull’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali. Avendo atteso a lungo prima di far valere il credito controverso, la Commissione avrebbe violato il dovere di buona amministrazione ad essa incombente e il principio della certezza del diritto; ciò avrebbe generato un diritto al risarcimento del danno dei convenuti nei confronti della Commissione, corrispondente, nel quantum, all’importo richiesto da quest’ultima, cosicché, in definitiva, l’obbligo di pagamento dei convenuti sarebbe venuto meno.

22.

Con sentenza del 19 settembre 2012, il Tribunale ha sostanzialmente accolto i ricorsi della Commissione respingendo le domande riconvenzionali dei convenuti. La SEMEA ed il Comune di Millau sono stati condannati in solido a versare alla Commissione la somma di EUR 41 012, oltre interessi di mora.

23.

La competenza del Tribunale è stata ritenuta sussistente nei confronti del Comune, in quanto «per effetto della stipulazione di una clausola contrattuale a favore di terzi tra la SEMEA e la [C]ommune de Millau, quest’ultima [sarebbe] soggetta ad una clausola compromissoria a favore dell’Unione» ( 4 ). «Dai principi generali del diritto contrattuale risulta che [l]’esistenza di [una] stipulazione a favore di terzi può anche desumersi dallo scopo del contratto o dalle circostanze del caso concreto» ( 5 ). Il Comune avrebbe inteso rispondere «con piena cognizione di causa» ( 6 ) – e senza esprimere riserve nei confronti della clausola compromissoria contenuta nel contratto di sovvenzione – del debito della SEMEA, assoggettandosi in tal modo alla clausola compromissoria del contratto di sovvenzione.

V – Impugnazione

24.

Nel novembre 2012, lo studio legale che aveva rappresentato la SEMEA ed il Comune di Millau dinanzi al Tribunale, ha depositato presso la Corte un atto di impugnazione con il quale chiede sostanzialmente, in nome delle parti convenute nel procedimento di primo grado, l’annullamento della sentenza impugnata insistendo, in subordine, sulla domanda riconvenzionale proposta in primo grado.

25.

All’atto di impugnazione del 19 novembre 2012 è stato allegato un voluminoso fascicolo. Esso contiene, inter alia, una procura a proporre impugnazione rilasciata dal Comune di Millau e una lettera del mandatario ad hoc della SEMEA, avv B., nominato per il procedimento di primo grado, indirizzata ad uno dei summenzionati avvocati. Tale lettera è datata 15 novembre 2012. L’avv B., pur auspicando, nella medesima, un’impugnazione della sentenza di primo grado, riconosce al contempo che il suo incarico quale mandatario ad hoc della SEMEA è cessato già nell’agosto del 2012.

26.

Nell’ottobre del 2013, alla luce di tale discrepanza temporale, la cancelleria della Corte ha chiesto al summenzionato studio legale di produrre la procura concernente la SEMEA per il procedimento di impugnazione. Nel novembre 2013, nei termini impartitigli, lo studio legale ha prodotto un’ordinanza del Tribunal de Commerce de Rodez del 5 novembre 2013, dalla quale si evince che l’avv B., su richiesta dei summenzionati avvocati del 29 ottobre 2013, è stato nominato per un periodo di sei mesi mandatario ad hoc della SEMEA per il procedimento di impugnazione in corso.

27.

Avverso la sentenza del Tribunale le ricorrenti deducono quattro motivi di impugnazione.

28.

In primo luogo, il Comune di Millau sostiene che i giudici dell’Unione non sono competenti a conoscere del ricorso concernente il Comune. Secondo il diritto pubblico francese, la conclusione di una clausola compromissoria per mezzo di una stipulazione a favore di terzi sarebbe impossibile per una persona giuridica. Non esisterebbe neanche un accordo in tal senso.

29.

In secondo luogo, la SEMEA sostiene di essersi liberata dei propri debiti trasferendo il suo patrimonio, nel corso della sua liquidazione, al Comune, il quale costituisce una persona giuridica solvibile di diritto pubblico.

30.

In terzo luogo, le ricorrenti deducono l’erronea applicazione, da parte del Tribunale, delle norme francesi in materia di prescrizione.

31.

In quarto luogo, le ricorrenti contestano al Tribunale di non aver riconosciuto che l’inerzia duodecennale della Commissione integri una violazione dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Le ricorrenti non avrebbero pertanto potuto adottare in tempo utile misure intese alla soddisfazione del credito della Commissione. L’entità degli interessi di mora richiesti sarebbe dovuto al fatto che la Commissione non aveva riscosso celermente il credito controverso, sussistendo pertanto un nesso causale fra il danno asserito e il comportamento della Commissione.

VI – Analisi dell’impugnazione

32.

L’impugnazione solleva questioni di diritto sostanziale e processuale. Per quanto riguarda la SEMEA, è anzitutto dubbio se sia stata validamente proposta un’impugnazione in nome della società. Tale questione deve essere esaminata per prima (sub A). Occorre poi affrontare la questione, sollevata con il primo motivo di impugnazione, se i giudici dell’Unione fossero effettivamente competenti a conoscere, in particolare, del ricorso proposto dalla Commissione nei confronti del Comune di Millau (sub B). Successivamente devono essere esaminati, per quanto rilevanti, i motivi di impugnazione sostanziali (sub C e D). In relazione ai medesimi si pone in via preliminare la questione se, e in qual misura, l’applicazione del diritto nazionale da parte del Tribunale possa costituire oggetto di sindacato da parte della Corte nell’ambito dell’impugnazione.

A – La questione della regolarità dell’impugnazione della SEMEA

33.

Alla luce degli elementi risultanti dagli atti, occorre partire dal presupposto che gli avvocati comparsi per la SEMEA, al momento della proposizione dell’impugnazione nel novembre 2012, non erano regolarmente incaricati a tal fine. L’incarico del mandatario ad hoc della SEMEA, infatti, era cessato già nell’agosto del 2012, cosicché l’approvazione della proposizione dell’impugnazione da questi espressa nel novembre del 2012 non costituisce una «procura» ai sensi dell’articolo 119 in combinato con l’articolo 168 del regolamento di procedura della Corte. Gli avvocati hanno pertanto agito in un primo momento – probabilmente senza esserne consapevoli – come rappresentanti processuali senza mandato ( 7 ).

34.

A fronte della contestazione del difetto di procura da parte della cancelleria della Corte circa un anno dopo il deposito dell’atto di impugnazione, gli avvocati medesimi hanno chiesto al Tribunal de commerce competente la nomina di un mandatario ad hoc per il giudizio di impugnazione. Veniva nominato l’avv. B., il quale già nel novembre del 2012 – allora, peraltro, senza essere a ciò legittimato – si era pronunciato a favore della proposizione di un’impugnazione in nome della SEMEA.

35.

Occorre acclarare se, alla luce di tale stato delle cose, si possa ritenere che l’impugnazione per la SEMEA sia stata validamente proposta.

36.

L’articolo 119, paragrafo 4, del regolamento di procedura della Corte, applicabile anche alle impugnazioni ai sensi dell’articolo 168 del regolamento di procedura ( 8 ), disciplina anzitutto, secondo il suo tenore letterale, il caso del mancato deposito della procura. L’articolo 119, paragrafo 4, del regolamento di procedura, fa riferimento, infatti, ai «documenti» non depositati, senza pronunciarsi sui vizi sostanziali attinenti alla procura. La disposizione ha pertanto principalmente ad oggetto la fattispecie in cui un avvocato, al momento di depositare l’atto di impugnazione, pur essendo stato incaricato dal cliente della proposizione dell’impugnazione, abbia omesso di allegare a suddetto atto di impugnazione la prova corrispondente. Ai sensi dell’articolo 119, paragrafo 4, del regolamento di procedura, quest’ultima può essere prodotta entro un termine fissato dalla cancelleria della Corte; qualora ciò non avvenga, la Corte decide «se l’inosservanza di questa formalità comporti l’irricevibilità (…) per vizio di forma».

37.

Dal regolamento di procedura non è possibile desumere direttamente le conseguenze legate al caso in cui non solo non sia stata prodotta la procura dinanzi alla Corte, ma, al momento del deposito dell’atto di impugnazione, mancasse effettivamente anche un mandato degli avvocati. Né tantomeno la lettera della disposizione fornisce indicazioni sulla questione se un’impugnazione proposta in assenza di procura possa essere autorizzata a posteriori dalla parte interessata, potendo in tal modo essere sanato con effetto retroattivo un vizio sostanziale attinente alla procura. Il presente caso ha tuttavia ad oggetto esattamente tale questione.

38.

Validi argomenti sembrano deporre prima facie, per l’ipotesi di un’impugnazione proposta in assenza di mandato, nel senso di un vizio insanabile. La Corte, infatti, ha rilevato più volte che i requisiti di ricevibilità devono essere soddisfatti, in linea di principio, con riferimento alla situazione esistente nel momento in cui il procedimento diviene pendente dinanzi alla Corte ( 9 ).

39.

È pur vero che la Corte, nel caso di litisconsorzio attivo, ha ritenuto sufficiente, ai fini della ricevibilità dell’intero procedimento, che solo uno dei ricorrenti fosse legittimato ad agire al momento della proposizione del ricorso ( 10 ); tuttavia, ciò è stato sostanzialmente motivato da argomenti di economia processuale ( 11 ). Questi ultimi non sono trasponibili al caso della SEMEA. Da un lato, nella specie, i motivi di impugnazione di entrambe le ricorrenti non coincidono, ragion per cui considerazioni di economia processuale militano, piuttosto, nel senso dell’astensione dall’esame dell’impugnazione della SEMEA in caso di sua palese irricevibilità. Dall’altro, un gravame proposto in assenza di procura è inficiato da un vizio ben più grave rispetto ad un mero difetto di legittimazione ad agire. La parte non legittimata ad agire, infatti, avrà quanto meno incaricato validamente il proprio rappresentante processuale di interporre per la stessa un gravame e sarà tenuta, in caso di soccombenza, anche a sostenerne le spese. Tale conseguenza giuridica sarebbe difficilmente trasponibile al caso di assenza di mandato, al contrario: qualora un rappresentante senza mandato proponga l’impugnazione motu proprio, eventuali conseguenze in termini di costi difficilmente potranno gravare sul preteso ricorrente, bensì, tutt’al più, sul falsus procurator. Del resto, sarebbe paradossale procedere alla verifica della fondatezza di un gravame la cui proposizione non sia ascrivibile all’asserita parte per difetto di mandato.

40.

Nella giurisprudenza della Corte sono tuttavia ravvisabili anche orientamenti dai quali è possibile desumere che gli articoli 119, paragrafo 4, e 168, paragrafo 4, del regolamento di procedura – sulla scorta di un’interpretazione estensiva del loro tenore – potrebbero essere applicabili non solo alla produzione di prove mancanti, bensì anche alla sanatoria di un vizio sostanziale della procura.

41.

In tal senso, la Corte, in un caso di dubbia validità del mandato conferito all’avvocato che rappresentava la parte, ha ritenuto sufficiente che, successivamente alla proposizione del ricorso, il mandato in questione venisse confermato dal soggetto competente ( 12 ). La circostanza che il corrispondente documento fosse stato rilasciato solo successivamente alla proposizione del ricorso, non è stata censurata dalla Corte. L’avvocato generale Darmon ha sottolineato, in relazione all’antecedente normativo dell’articolo 119, paragrafo 4, del regolamento di procedura, allora in vigore, che sarebbe stato «eccessivamente formal[e] [limitare] i vantaggi di questa norma ai soli casi in cui sia prodotto, dopo il deposito dell’atto introduttivo, un “instrumentum” anteriore a quest’ultimo» ( 13 ).

42.

Sulla scorta di tale orientamento, l’articolo 119, paragrafo 4, e l’articolo 168 del regolamento di procedura, potrebbero essere interpretati nel senso che tale disposizione non solo disciplini la successiva produzione della prova della procura, mancante al momento della proposizione dell’impugnazione, bensì consenta parimenti di sanare il vizio consistente nell’assenza di mandato, ad esempio tramite la «conferma» a posteriori della proposizione dell’impugnazione.

43.

Un’interpretazione talmente estensiva, comprensiva di vizi sostanziali, conduce a risultati adeguati. Da un lato, essa assoggetta la riparazione di vizi della procura, a prescindere dal fatto se essi siano probatori o sostanziali, ad un tessuto normativo uniforme, impedendo in tal modo eventuali problemi di delimitazione e garantendo una disciplina della questione uniforme a livello dell’Unione, svincolata da letture nazionali. Dall’altro, poiché la cancelleria della Corte conserva la gestione della procedura, e può contribuire, mediante la fissazione di un termine adeguato, ad un rapido chiarimento dei casi dubbi, le esigenze della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia risultano debitamente tutelate.

44.

Nel caso dell’impugnazione proposta per la SEMEA, l’organo definitivamente competente per la regolarità della procura, vale a dire il Tribunal de commerce, successivamente al deposito dell’atto di impugnazione per la SEMEA, ha nominato, su relativa indicazione della Corte, un mandatario ad hoc. La sua nomina, analogamente alla «conferma» nella causa menzionata supra al paragrafo 41, è diretta a consentire lo svolgimento del procedimento di impugnazione in corso per la SEMEA. Alla SEMEA ha potuto in tal modo essere imputata la proposizione dell’impugnazione effettuata dal difensore, tanto più che il mandatario ad hoc nominato era la stessa persona che già circa un anno prima aveva approvato nei confronti dei difensori la proposizione dell’impugnazione per la SEMEA. Poiché nella nomina dell’avv. B. quale mandatario ad hoc della SEMEA deve essere pertanto ravvisata una conferma a posteriori della proposizione dell’impugnazione, occorre partire dal presupposto che il difetto di procura inficiante originariamente tale impugnazione sia stato sanato ai sensi dell’articolo 119, in combinato con l’articolo 168, paragrafo 4, del regolamento di procedura.

45.

Pertanto, sia l’impugnazione del Comune sia l’impugnazione della SEMEA sono state validamente proposte.

46.

In prosieguo, occorre verificare se la Commissione potesse fondare i ricorsi presentati nei confronti della SEMEA e del Comune sulla clausola compromissoria contenuta nel contratto concluso con la SEMEA medesima.

B – Rilevanza della clausola compromissoria nel presente procedimento

47.

La possibilità per la Commissione di avvalersi della clausola compromissoria contenuta nel contratto di sovvenzione è dubbia per un duplice ordine di motivi. Dal punto di vista formale, infatti, né il Comune convenuto né la Commissione, che ha proposto il ricorso, sono parti del contratto di sovvenzione contenente la clausola compromissoria in questione.

48.

La Commissione, che ha proposto ricorso in nome proprio nei confronti della SEMEA e del Comune, ha infatti partecipato alla conclusione del contratto di sovvenzione in veste di rappresentante della Comunità economica europea, ragion per cui, da un lato, sussistono dubbi circa la sua legittimazione ad agire nella causa in oggetto (legittimazione non contestata nella specie) e, dall’altro, non è evidente la possibilità per la Commissione di far discendere dalla clausola compromissoria di cui al contratto di sovvenzione diritti ad agire autonomi. Quest’ultimo aspetto, quale motivo di irricevibilità, deve essere esaminato d’ufficio (sub 1).

49.

Per contro, il Comune non aveva partecipato in alcun modo al contratto di sovvenzione, ma deve ciononostante vedersi opposta la clausola compromissoria contenuta in tale contratto – in tal senso la sentenza impugnata – in applicazione dei principi sulla stipulazione a favore di terzi. La sostenibilità di tale argomento dovrà essere verificata successivamente alla questione di ricevibilità concernente la Commissione (sub 2).

1. Questione della possibilità per la Commissione di far valere, in un procedimento avviato in proprio nome, la clausola compromissoria contenuta nel contratto concluso con la SEMEA

50.

Si tratta, in definitiva, di stabilire chi, nei ricorsi fondati su clausole compromissorie, possa stare in giudizio: l’Unione quale parte contrattuale o l’istituzione che l’abbia rappresentata in sede di conclusione del contratto.

51.

Dal tenore dell’articolo 272 TFUE non è dato evincere alcuna chiara indicazione idonea a risolvere tale questione, sebbene taluni elementi depongano nel senso che, nei procedimenti «in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dall’Unione ( 14 ) o per conto di questa», anche l’Unione in quanto tale deve assumere il ruolo di parte nel processo ( 15 ). Nella prassi sembra tuttavia avvenire, in genere, il contrario ( 16 ), in quanto, di regola, nel ricorso e nella parte introduttiva della successiva sentenza compare, in veste di parte, non l’Unione stessa, bensì l’istituzione dell’Unione che ha partecipato al rispettivo contratto contenente la clausola compromissoria ( 17 ).

52.

La sentenza impugnata non si esprime al riguardo. Tuttavia, la questione della corretta indicazione delle parti può, in definitiva, rimanere irrisolta. Nella specie, infatti, si tratta unicamente di valutare se la Commissione potesse far valere la clausola compromissoria controversa in relazione al ricorso proposto in nome proprio. A tale questione dovrà essere data risposta affermativa alla luce della giurisprudenza – complessivamente considerata – relativa allo status di parte dell’Unione dinanzi ai giudici dell’Unione ( 18 ), nella quale si ravvisa la tendenza a ritenere irrilevante l’erronea indicazione della parte rispetto all’Unione, fintantoché, nei confronti del convenuto, la materia del contendere risulti esattamente definita e, pertanto, l’esercizio dei diritti processuali da parte del medesimo non risulti compromesso. In relazione ad entrambi questi aspetti non possono sussistere dubbi nella specie.

53.

Di conseguenza, la Commissione, nel procedimento avviato in nome proprio, poteva far valere in ogni caso nei confronti della SEMEA la clausola compromissoria contenuta nel contratto concluso con quest’ultima.

54.

Occorre tuttavia acclarare se la clausola compromissoria fosse opponibile non solo alla SEMEA, bensì anche al Comune.

2. Questione dell’opponibilità al Comune della clausola compromissoria contenuta nel contratto concluso con la SEMEA

55.

Tale questione, quale motivo di irricevibilità di ordine pubblico, deve essere esaminata d’ufficio e a prescindere dalle censure sollevate con i motivi di impugnazione. Quattro sono gli aspetti da esaminare: in primo luogo, il tenore della clausola contenuta nel contratto concluso con la SEMEA; in secondo luogo, le operazioni post‑contrattuali; in terzo luogo, i criteri risultanti dall’articolo 272 TFUE, e, in quarto luogo, i requisiti probatori relativi alla clausola compromissoria risultanti dal regolamento di procedura.

a) Tenore della clausola compromissoria contenuta nel contratto della SEMEA

56.

Secondo il contratto concluso con la SEMEA, la Corte è «competente in via esclusiva a dirimere qualsiasi controversia relativa al contratto insorta tra le parti contraenti». Tale clausola vincola dunque, anzitutto, unicamente le parti contrattuali – la SEMEA e l’Unione – e non può essere opposta al Comune di Millau.

b) Operazioni post‑contrattuali

57.

Occorre anzitutto osservare che la Commissione non ha partecipato ad alcun accordo post‑contrattuale interessante la clausola compromissoria. Non risulta neanche documentato alcun contratto fra la SEMEA e il Comune, bensì unicamente delle distinte delibere dell’assemblea generale ovvero del consiglio municipale. Il Tribunale ( 19 ) ricorre peraltro ai principi generali del diritto contrattuale e perviene alla conclusione che le delibere comunali aventi ad oggetto un accollo dei debiti della SEMEA – nell’ambito del trasferimento dei beni patrimoniali dalla SEMEA al Comune – alla luce del loro obiettivo e tenuto conto del complesso delle circostanze, debbano essere intese come contratto a favore dell’Unione. Il Comune e la SEMEA avrebbero voluto fondare un credito dell’Unione nei confronti del Comune di Millau, e il Comune avrebbe inteso assoggettarsi «con piena cognizione di causa (…) relativa al credito controverso» alla clausola compromissoria contenuta nel contratto della SEMEA. Il fatto che, in assenza del consenso della creditrice, l’effetto liberatorio dell’accollo del debito voluto dalle parti non si sia verificato, sarebbe al riguardo irrilevante.

c) Analisi di tali operazioni post‑contrattuali sulla scorta dei criteri risultanti dall’articolo 272 TFUE

58.

Rilevanti per la questione se, in tal modo, sia stata pattuita una clausola compromissoria vincolante per il Comune, sono i criteri risultanti dall’articolo 272 TFUE ( 20 ), i quali, peraltro, devono essere interpretati restrittivamente ( 21 ), dal momento che l’articolo 272 TFUE costituisce una disposizione derogatoria.

59.

Il Tribunale ( 22 ) ritiene possibile che una clausola compromissoria, in forza dei principi del contratto a favore di terzi, possa essere conclusa completamente senza la partecipazione dell’Unione; si tratterebbe effettivamente non di un contratto stipulato dall’Unione, ma in ogni caso di un contratto stipulato «per conto di questa», ai sensi dell’articolo 272 TFUE.

60.

Tale tesi appare dubbia. Un contratto stipulato per conto dell’Unione incide su interessi sostanziali dell’Unione e, particolarmente in considerazione del fatto che l’articolo 272 TFUE, in quanto disposizione derogatoria, deve essere interpretato restrittivamente, può essere stipulato unicamente da istituzioni, organi o organismi che possono agire per conto dell’Unione. Terzi estranei non sono in grado di farlo. Un contratto stipulato unicamente con la partecipazione di terzi estranei all’Unione e non su iniziativa di organismi dell’Unione – come, nella specie, gli accordi post‑contrattuali fra la SEMEA e il Comune – non soddisfa pertanto i requisiti dettati dall’articolo 272 TFUE.

61.

A prescindere da tale rilievo, non è neanche possibile desumere che il Comune abbia inteso assoggettarsi ad una clausola compromissoria ai sensi dell’articolo 272 TFUE. Una volontà delle parti in tal senso – indispensabile per la conclusione di una clausola compromissoria – non può, da un lato, essere desunta dall’insieme delle circostanze che hanno caratterizzato gli accordi post‑contrattuali intercorsi fra la SEMEA e il Comune, né, dall’altro, essere affermata a priori. Ciò vale a maggior ragione in quanto, stando agli atti che documentano l’iter della liquidazione della SEMEA, la mera esistenza della clausola compromissoria né è stata menzionata dalla SEMEA né il Comune ne ha preso espressamente atto. Al contrario: né la delibera comunale del 18 dicembre 2008 né la relazione sulla liquidazione del 21 novembre 2008 contengono informazioni in tal senso; piuttosto, esse indicano, in maniera probabilmente fuorviante, che al contratto di sovvenzione controverso della SEMEA si applica la legge francese, il che, in ogni caso, non fa immediatamente pensare ad una competenza dei giudici dell’Unione a conoscere del credito controverso.

62.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, non può ritenersi che, con un contratto a favore di terzi, sia stata conclusa una clausola compromissoria che la Commissione possa far valere nei confronti del Comune.

63.

Tuttavia, persino qualora fosse esistito un consenso in tal senso fra la SEMEA e il Comune, si è posta inoltre la questione, da esaminare nel prosieguo, se siano stati soddisfatti i requisiti di prova richiesti per la clausola compromissoria dall’articolo 44, paragrafo 5 bis, del regolamento di procedura del Tribunale.

d) Requisiti di prova richiesti per la clausola compromissoria dall’articolo 44, paragrafo 5 bis, del regolamento di procedura del Tribunale

64.

Ai sensi dell’articolo 44, paragrafo 5 bis, del menzionato regolamento di procedura, al ricorso deve essere allegata la copia del contratto contenente la clausola compromissoria. In altre parole, la Commissione è tenuta dunque a fornire la prova documentale dell’esistenza della clausola compromissoria.

65.

Per quanto riguarda il Comune di Millau, la Commissione non ha fornito tale prova, né poteva fornirla, in quanto l’asserita stipulazione di una clausola compromissoria a favore della Commissione, come riconosciuto dal Tribunale nella sentenza impugnata ( 23 ), sarebbe desumibile unicamente «dallo scopo dell’accordo tra la SEMEA e la [C]ommune de Millau, nonché dalle circostanze del caso di specie» ( 24 ), e pertanto, qualora sussistesse, essa avrebbe il carattere non di un accordo redatto per iscritto bensì meramente tacito. Un accordo del genere non soddisfa i requisiti di prova di cui all’articolo 44, paragrafo 5 bis, del regolamento di procedura del Tribunale, il quale esige la produzione in giudizio di una copia, ossia di un documento che contiene la clausola controversa.

66.

È pur vero che la giurisprudenza ha interpretato estensivamente tale disposizione, ritenendo sufficiente la produzione di un progetto di convenzione non sottoscritto e della relativa corrispondenza ( 25 ) ovvero il riferimento effettuato dalle parti ad atti estranei al contratto ( 26 ). Tuttavia, l’articolo 44, paragrafo 5 bis, del menzionato regolamento di procedura risulterebbe svuotato del suo contenuto qualora si prescindesse completamente dall’elemento essenziale della disposizione: segnatamente, la necessità di produrre una copia scritta della clausola controversa, dalla quale sia possibile desumere direttamente quali parti abbiano designato, e con riguardo a quale contratto, la competenza dei giudici dell’Unione. La produzione di documenti che si limitino a consentire di trarre conclusioni in ordine ad eventuali accordi verbali o taciti, senza riportarne per iscritto il contenuto, non è a tal fine sufficiente, in quanto le circostanze esterne al documento difficilmente possono essere considerate quale «copia» di un contratto ( 27 ). L’articolo 44, paragrafo 5 bis, del regolamento di procedura del Tribunale, deve essere letto in stretta connessione con la posizione derogatoria attribuibile all’articolo 272 TFUE, quale disposizione esorbitante sulla competenza, deve pertanto essere interpretato in maniera restrittiva nei suoi elementi essenziali e non può essere inteso nel senso che sia possibile prescindere dalla produzione di un documento contenente in maniera chiara ed espressa la clausola compromissoria controversa.

67.

In tal senso, l’articolo 44, paragrafo 5 bis, è altresì inteso a preservare la certezza del diritto e, come si evince a contrario dall’articolo 44, paragrafo 6, del regolamento di procedura del Tribunale, diversamente dai requisiti di forma enunciati all’articolo 44, paragrafi da 3 a 5, esclude una sanatoria a posteriori tramite la successiva produzione dei documenti mancanti. Di conseguenza, qualora manchi la copia della clausola compromissoria al momento del deposito del ricorso, quest’ultimo deve essere dichiarato irricevibile.

68.

Poiché, nella specie, la Commissione, con riferimento al Comune di Millau non ha prodotto una copia della clausola compromissoria che soddisfacesse l’articolo 44, paragrafo 5 bis, del regolamento di procedura del Tribunale, il Tribunale non era competente a conoscere del ricorso proposto nei confronti del Comune. Dichiarando ciononostante ricevibile il ricorso proposto nei confronti del Comune, il Tribunale è pertanto incorso in un errore di diritto.

69.

Di conseguenza, l’impugnazione del Comune di Millau deve essere accolta. La sentenza impugnata deve essere annullata nella parte in cui il Comune viene condannato in solido e al pagamento delle spese, e il ricorso proposto nei suoi confronti deve essere respinto ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 1, secondo periodo, dello Statuto della Corte, in quanto la causa è matura per la decisione.

70.

Alla luce di tale conclusione interlocutoria, restano da esaminare in prosieguo unicamente i motivi di impugnazione dedotti dalla SEMEA. Nella misura in cui, con tali motivi, viene censurata – con riguardo alle norme francesi sulla prescrizione e sulla liquidazione – l’erronea applicazione del diritto nazionale, si pone anzitutto la questione se, e in caso di risposta affermativa, in quali termini, la Corte sia legittimata, nell’ambito dell’impugnazione, a verificare l’applicazione del diritto nazionale da parte del Tribunale. Infatti, qualora essa non sia legittimata al riguardo, ovvero lo sia solo limitatamente, si potrà soprassedere all’esame in dettaglio dei motivi di impugnazione dedotti. Tale questione deve essere affrontata nel prosieguo.

C – Sui motivi di impugnazione della SEMEA, con i quali viene censurata l’erronea applicazione del diritto nazionale da parte del Tribunale

71.

Occorre anzitutto acclarare se i motivi di impugnazione attinenti al diritto nazionale siano rilevanti nel giudizio di impugnazione.

72.

Il sindacato spettante alla Corte nel procedimento di impugnazione viene concretizzato nell’articolo 58 dello Statuto, ai sensi del quale «[l]’impugnazione proposta dinanzi alla Corte di giustizia deve limitarsi ai motivi di diritto. Essa può essere fondata su motivi relativi all’incompetenza del Tribunale, a vizi della procedura dinanzi al Tribunale recanti pregiudizio agli interessi della parte ricorrente, nonché alla violazione del diritto dell’Unione da parte del Tribunale».

73.

Prima facie, sembra pertanto esclusa la possibilità di eccepire nel giudizio di impugnazione eventuali errori di diritto nei quali possa essere incorso il Tribunale in sede di applicazione del diritto nazionale. Errori di diritto di tal genere, infatti, non costituirebbero, in linea di principio ( 28 ), una violazione del diritto dell’Unione, bensì unicamente del diritto nazionale. In considerazione dell’elencazione esaustiva delle competenze di cui all’articolo 58 dello Statuto, la Corte non è tuttavia competente, nell’ambito dell’impugnazione, ad esaminare il diritto nazionale ( 29 ).

74.

Quanto all’ipotesi di clausola compromissoria ex articolo 272 TUFE, alla luce dello stato attuale del diritto si deve pertanto ritenere, da un lato, che il Tribunale debba eventualmente procedere in primo grado, successivamente alla proposizione del ricorso, ad un’ampia verifica sulla scorta del diritto nazionale applicabile in forza di una scelta della legge. Dall’altro, tuttavia, alla luce dell’articolo 58 dello Statuto, alla Corte è in linea di principio preclusa, nel giudizio di impugnazione successivo alla sentenza di primo grado, l’analisi di motivi di impugnazione con i quali venga censurata unicamente l’erronea applicazione del diritto nazionale da parte del Tribunale.

75.

Tuttavia, nella costante giurisprudenza della Corte sono senz’altro ravvisabili sentenze nelle quali, nell’ambito di un’impugnazione – e segnatamente anche nel caso di clausole compromissorie ( 30 ) – l’applicazione in primo grado del diritto nazionale viene assoggettata ad un sindacato da parte della Corte, senza che ciò venga peraltro motivato in maniera circostanziata con riguardo all’articolo 58 dello Statuto della Corte.

76.

Suggerisco alla Corte di riconsiderare tale orientamento giurisprudenziale. Infatti, da un lato, esso non è conforme al chiaro tenore dell’articolo 58 dello Statuto della Corte. Dall’altro, sussiste una certa discrepanza rispetto alla sentenza pronunciata dalla Grande Sezione nella causa Edwin ( 31 ), nella quale la Corte – peraltro in relazione ad una controversia in materia di diritto dei marchi e senza esplicito riferimento all’articolo 58 dello Statuto – riassume nei seguenti termini il suo potere di verifica in relazione al diritto nazionale nel giudizio di impugnazione: «Per quanto riguarda l’esame, nell’ambito di un giudizio di impugnazione, delle constatazioni compiute dal Tribunale in ordine alla suddetta normativa nazionale, la Corte è competente ad esaminare, anzitutto, se il Tribunale, sulla scorta dei documenti e delle altre prove sottopostegli, non abbia snaturato il tenore letterale delle disposizioni nazionali in questione o della giurisprudenza nazionale ad esse relativa od anche degli scritti della dottrina riguardanti tali disposizioni; poi, se il Tribunale non abbia formulato, con riguardo a tali elementi, constatazioni che si pongono manifestamente in contrasto con il loro contenuto; e, infine, se il Tribunale non abbia, nell’esaminare il complesso degli elementi, attribuito ad uno di essi, allo scopo di accertare il contenuto della normativa nazionale in questione, una portata che non gli spetta in rapporto agli altri elementi, purché ciò risulti in modo manifesto dagli elementi del fascicolo» ( 32 ). La Corte ritiene che, qualora sia chiamata a decidere in veste di giudice dell’impugnazione, una correzione dell’applicazione del diritto nazionale sia dunque opportuna unicamente nei casi di snaturamento ovvero laddove il Tribunale sia incorso in un manifesto errore di diritto ( 33 ).

77.

In ciò non è ravvisabile un contrasto con l’articolo 58 dello Statuto, il quale, alla luce del suo tenore, sottrae in toto il diritto nazionale dal metro di verifica della Corte. Piuttosto, quest’ultima traspone, mutatis mutandis, al trattamento del diritto nazionale, il metodo di verifica cui essa ricorre, sempre nel giudizio di impugnazione, in relazione allo snaturamento dei fatti, censurabile a livello del diritto dell’Unione ( 34 ).

78.

Tale metodo di verifica consente alla Corte, nei casi di manifesta erronea applicazione del diritto nazionale da parte del Tribunale – ma appunto solo in tali casi – a fronte di un corrispondente motivo di impugnazione, di intervenire e annullare la sentenza erronea ( 35 ).

79.

Tale soluzione, elaborata nella causa Edwin per il diritto dei marchi, può, stando alla sua formulazione e alla sua sostanza, essere generalizzata, sussistendo validi motivi per trasporla anche al procedimento di impugnazione nei casi di clausole compromissorie. La compressione della tutela giurisdizionale conseguente al fatto che non tutte le violazioni del diritto nazionale da parte del Tribunale possono dar luogo in secondo grado ad un annullamento della sentenza di primo grado, deve essere accettata, tenuto conto dell’inequivocabile contenuto normativo dell’articolo 256, paragrafo 1, TFUE, in combinato con l’articolo 58 dello Statuto della Corte. A ciò potrebbe rimediare unicamente il legislatore dell’Unione. Non deve essere temuto l’insorgere di situazioni problematiche con riguardo alla tutela giurisdizionale effettiva. Da un lato, il principio della tutela giurisdizionale effettiva non esige necessariamente più gradi di sindacato giurisdizionale; dall’altro, la Corte conserva la facoltà, anche quale giudice dell’impugnazione, di annullare, nel caso di manifesta erronea applicazione del diritto nazionale, la sentenza di primo grado, a fronte di un corrispondente motivo di impugnazione.

80.

Muovendo da tale premessa, in relazione alla controversia in esame si pone, da un lato, la questione se possa ritenersi sussistente un caso di manifesta erronea applicazione del diritto nazionale censurabile nel giudizio di impugnazione. Dall’altro, in caso di soluzione affermativa di questa prima questione, sorge l’ulteriore questione se la ricorrente SEMEA abbia contestato tale circostanza anche con un motivo di impugnazione sufficientemente circostanziato e che meriti accoglimento nel merito.

81.

Poiché già la prima questione deve essere risolta, nella specie, in senso negativo, l’esame della seconda diviene superfluo. Il Tribunale, infatti, ha esaminato attentamente la normativa e la giurisprudenza francesi concernenti la controversa problematica della prescrizione e della liquidazione, presentando soluzioni plausibili, a fronte delle quali non possono trovare accoglimento né l’eccezione di snaturamento né la censura di errore manifesto.

82.

Di conseguenza, i motivi di impugnazione dedotti al riguardo dalla SEMEA devono essere respinti.

83.

Infine, occorre esaminare il motivo di impugnazione dedotto dalla SEMEA in relazione al rigetto della sua domanda riconvenzionale. Tale motivo di impugnazione si fonda, sostanzialmente, sull’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, ossia è plasmato dal diritto dell’Unione e deve essere esaminato in maniera esauriente.

D – Sulla domanda riconvenzionale della SEMEA

84.

Con la sua domanda riconvenzionale, la SEMEA chiede, in subordine, il risarcimento del danno corrispondente al credito controverso preteso dalla Commissione, oltre interessi, e fonda sostanzialmente la propria domanda sulla responsabilità extracontrattuale dell’Unione e sul diritto ad una buona amministrazione, garantito a livello di diritti fondamentali. La Commissione, avendo indugiato a chiedere il pagamento del proprio credito e, in particolare, avendo lasciato trascorrere circa dodici anni fra la prima e la seconda diffida, sarebbe incorsa in una violazione dell’articolo 41 della Carta. Ciò avrebbe comportato, inter alia, il cumulo di considerevoli interessi di mora altrimenti evitabili.

85.

La fattispecie in esame solleva sostanzialmente la questione se, e in caso affermativo a quali condizioni, possa essere censurata una negligenza da parte della Commissione nella riscossione dei propri crediti sotto il profilo del diritto ad una buona amministrazione, e se, per tale motivo, il diritto della Commissione al soddisfacimento dei propri crediti possa venir meno, a prescindere dalla prescrizione e prima del suo verificarsi. La circostanza che la SEMEA affronti tale tematica sotto forma di domanda riconvenzionale può essere dovuta al fatto che l’istituto della decadenza, desunto nel diritto tedesco dal principio di buona fede, è sconosciuto al diritto francese ( 36 ). In definitiva, si tratta tuttavia di eccezioni opposte ai crediti principali e accessori della ricorrente fondate su diritti fondamentali. La domanda dovrà essere quindi valutata alle luce di tali considerazioni.

86.

Occorre pertanto verificare sotto quale profilo il diritto fondamentale ad una buona amministrazione possa essere pertinente in un contesto di diritto contrattuale, se esso possa estinguere diritti di natura contrattuale ovvero se esso possa ostare, quale eccezione impeditiva, al sorgere di interessi di mora.

87.

Anzitutto, la Commissione era libera di gestire le proprie questioni patrimoniali a propria discrezione, nell’ambito del diritto nazionale applicabile in forza dell’accordo con la SEMEA, e di sfruttare anche i termini di prescrizione previsti dalla legge. Difficilmente l’articolo 41 della Carta può essere inteso nel senso che esso, al posto dei chiari termini di prescrizione cui sono soggetti i crediti ex contractu, fissi genericamente un meno concreto «termine ragionevole». Ciò non sarebbe funzionale né alla certezza del diritto né agli interessi di entrambe le parti. In altri termini: ai fini del trattamento di questioni che rientrano nella materia contrattuale sono anzitutto considerati «ragionevoli» ai sensi della Carta quei termini sui quali le parti si sono accordate contrattualmente.

88.

Qualora la Commissione proceda, nondimeno, alla riscossione dei propri crediti, essa, essendo assoggettata alla Carta, è tenuta a regolare tale questione, la quale riguarda anche la controparte contrattuale, entro un termine ragionevole. Tale considerazione non può essere rimessa in discussione neanche dal fatto che alla controparte contrattuale non incombano, nei suoi confronti, obblighi risultanti dalla Carta. La Commissione non può, malgrado ciò, sottrarsi al rispetto dei diritti fondamentali tramite una «fuga nel diritto privato».

89.

Nel caso in esame, il comportamento della Commissione appare problematico sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto essa, da un lato, – con la richiesta di pagamento del 27 aprile 1993 – ha messo in moto dal punto di vista temporale il decorso degli interessi di mora, mentre dall’altro, con un silenzio di circa dodici anni, ha fatto sentire al sicuro la debitrice, per fare poi pressione solo a partire dal 18 novembre 2005, ma a questo punto in maniera continuata, per ottenere saldo dei crediti in sospeso, maggiorati di interessi considerevoli, il cui importo, nel frattempo, ha superato addirittura il credito principale, secondo quanto affermato dalla SEMEA, senza essere contraddetta al riguardo.

90.

Poiché alla Commissione incombeva l’obbligo, discendente dai diritti fondamentali, di procedere ad una rapida riscossione del proprio credito, obbligo al quale essa non ha adempiuto fino al 18 novembre 2005, nell’indugio al recupero del credito va ravvisato un comportamento che si pone in un rapporto di causalità diretta con gli interessi di mora accumulatisi medio tempore.

91.

Il fatto che il Tribunale abbia ciononostante respinto integralmente la domanda riconvenzionale anche in relazione agli interessi per difetto di un nesso di causalità, in quanto il mancato pagamento sarebbe stato imputabile unicamente alla SEMEA ( 37 ), senza sufficiente esame della sussistenza di una violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, non regge tuttavia ad una verifica di diritto. Piuttosto, il rigetto della domanda riconvenzionale nell’ambito dell’impugnazione è fondato unicamente con riferimento al credito principale e agli interessi maturati a decorrere dal 18 novembre 2005. Per il resto, la richiesta della SEMEA dedotta tramite domanda riconvenzionale è volta, in definitiva, ad ottenere una corrispondente riduzione del diritto della ricorrente.

92.

Occorre, infine, affrontare la questione delle spese.

E – Sulle spese

93.

Poiché l’impugnazione del Comune di Millau era fondata, la Commissione sopporterà le spese del Comune. Poiché la SEMEA, con la sua impugnazione, è rimasta in parte soccombente e in parte vittoriosa, quest’ultima e la Commissione sopporteranno ciascuna le proprie spese (articolo 184, paragrafo 2, in combinato con l’articolo 138, paragrafi 2 e 3, del regolamento di procedura della Corte).

VII – Conclusione

94.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di dichiarare quanto segue:

1)

La sentenza del Tribunale del 19 settembre 2012, Commissione europea/SEMEA e Commune de Millau (T‑168/10 e T‑572/10), è annullata nella parte in cui condanna il Comune di Millau, in qualità di debitore solidale della SEMEA, a versare alla Commissione europea EUR 41 012, oltre interessi di mora, nonché a sopportare le proprie spese e le spese della Commissione nella causa T‑572/10.

2)

La sentenza del Tribunale del 19 settembre 2012, Commissione europea/SEMEA e Commune de Millau (T‑168/10 e T‑572/10), è annullata nella parte in cui condanna la SEMEA al pagamento di interessi di mora dal 27 aprile 1993 al 18 novembre 2005.

3)

Il ricorso proposto dalla Commissione contro il Comune di Millau nella causa T‑572/10 è respinto in quanto irricevibile.

4)

L’impugnazione della SEMEA è respinta quanto al resto.

5)

La Commissione sopporterà le spese del Comune di Millau e le proprie spese. La SEMEA sopporterà le proprie spese.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Tale questione è stata lasciata aperta nelle mie conclusioni del 27 gennaio 2011, presentate nella causa Edwin/UAMI (C-263/09 P, Racc. pag. I-5853, paragrafi da 84 fino a 86), in quanto, in tal sede, non era rilevante ai fini della decisione.

( 3 ) Nel suo antecedente normativo, l’articolo 238 CE, nonché nell’articolo 181 del Trattato CEE, rilevante al momento della conclusione del contratto, si parla di «Comunità».

( 4 ) Punto 132 della sentenza impugnata.

( 5 ) Punto 138 della sentenza impugnata.

( 6 ) Punto 139 della sentenza impugnata.

( 7 ) Il fatto che, secondo il diritto francese, un avvocato può essere considerato sufficientemente autorizzato (mandat ad litem) anche in assenza di una prova concreta del mandato, non rileva per il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione.

( 8 ) Diversa era la situazione giuridica esistente in base al previgente regolamento di procedura della Corte, in vigore sino alla fine di ottobre 2012. Cfr. al riguardo l’articolo 38, paragrafo 5, lettera b), del medesimo, non applicabile al procedimento di impugnazione, come affermato nella sentenza della Corte del 16 novembre 2000, Metsä-Serla e a./Commissione (C-294/98 P, Racc. pag. I-10065, punto 15).

( 9 ) Sentenze della Corte del 19 ottobre 1995, Rendo e a./Commissione (C-19/93 P, Racc. pag. I-3319); del 9 giugno 2011, Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione (C-71/09 P, C-73/09 P e C-76/09 P, Racc. pag. I-4727, punto 31 e da 36 a 40), nonché del 24 ottobre 2013, Deutsche Post/Commissione (C‑77/12 P, punto 65); l’articolo 119, paragrafo 4, del regolamento di procedura ha, da questo punto di vista, natura derogatoria.

( 10 ) Sentenza della Corte del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione (C-313/90, Racc. pag. I-1125, punto 31).

( 11 ) La sentenza Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione (cit. supra, nota 9) rileva al riguardo al punto 38: «La suddetta giurisprudenza si basa sulla considerazione che, in una simile situazione, è comunque necessario esaminare la fondatezza del ricorso, per cui è irrilevante determinare se tutti i ricorrenti dispongano effettivamente della legittimazione ad agire».

( 12 ) Sentenza della Corte dell’11 maggio 1989, Maurissen e Union syndicale/Corte dei conti (193/87 e 194/87, Racc. pag. 1045, punto 33).

( 13 ) Paragrafo 42 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Darmon nella causa citata alla nota 12.

( 14 ) Nella specie in quanto succeduta indirettamente alla Comunità economica europea.

( 15 ) V. anche articolo 335 TFUE.

( 16 ) V. ad es. sentenze della Corte del 10 giugno 1999, Commissione/Montorio (C-334/97, Racc. pag. I-3387); del 13 novembre 2008, Commissione/Alexiadou (C-436/07 P, Racc. pag. I-152*), nonché del 18 novembre 2010, ArchiMEDES/Commissione (C-317/09 P, Racc. pag. I-150*).

( 17 ) V. al riguardo Karpenstein in Grabitz/Hilf/Nettesheim, articolo 272 TFUE, punto 9, che reputa che ciò «non sollevi problemi, nella misura in cui e fintantoché emerga che le rispettive istituzioni abbiano agito in veste di rappresentanti».

( 18 ) Con riguardo all’identità delle parti rispetto all’Unione, nel caso di ricorso proposto da un funzionario (articolo 270 TFUE) e delle domande di risarcimento del danno (articolo 340 TFUE) – alla luce del tenore della norma, il quale fa parimenti generico riferimento all’«Unione» – si pone il medesimo problema sorto in relazione all’articolo 272 TFUE. Nel caso del ricorso proposto da un funzionario, nella giurisprudenza viene fatto sempre riferimento – come anche nel caso della clausola compromissoria – contrariamente al testo della disposizione, all’organo dell’autorità che ha il potere di nomina. V. per contro, con riferimento alla giurisprudenza non uniforme elaborata in relazione all’articolo 340 TFUE, le sentenze del Tribunale del 6 luglio 1995, Odigitria/Consiglio e Commissione, (T-572/93, Racc. pag. II-2025, punto 22, dove viene fatto riferimento all’istituzione), e del 4 febbraio 1998, Bühring/Consiglio e Commissione (T-246/93, Racc. pag. II-171, punto 26, dove viene fatto riferimento alla Comunità).

( 19 ) V. in particolare punti da 132 a 143 della sentenza impugnata.

( 20 ) Fondamentale al riguardo la sentenza della Corte del 7 dicembre 1976, Pellegrini/Commissione e Flexon-Italia (23/76, Racc. pag. 1807).

( 21 ) V., inter alia, sentenza del Tribunale dell’8 maggio 2007, Citymo/Commissione (T-271/04, Racc. pag. II-1375, punto 53) e punto 116 della sentenza impugnata.

( 22 ) V. in particolare punti da 133 a 136 della sentenza impugnata.

( 23 ) V. in particolare punti da 138 a 141 della sentenza impugnata.

( 24 ) Punti 140 e 141 della sentenza impugnata.

( 25 ) Sentenza Pellegrini/Commissione e Flexon-Italia, cit. alla nota 19, punto 10.

( 26 ) Sentenza della Corte del 26 novembre 1985, Commissione/CO.DE.MI. (318/81, Racc. pag. 3693, punti 9 e 10).

( 27 ) Eccessivamente liberale, per contro, la sentenza Citymo/Commissione, cit. alla nota 21, punto 56), secondo la quale dovrebbe essere sufficiente «quando i documenti prodotti dalla ricorrente consentono al giudice comunitario adito di avere una conoscenza sufficiente dell’accordo, intervenuto tra le parti in causa, di sottrarre ai giudici nazionali la controversia tra le medesime in merito al contratto, per rimetterla ai giudici comunitari». Circostanze esterne agli atti non possono segnatamente assumere rilievo determinante.

( 28 ) Quanto all’ipotesi specifica del diritto nazionale «incorporato» in un atto giuridico dell’Unione, v. le conclusioni presentate il 27 gennaio 2011 dall’avvocato generale Mengozzi nella causa Evropaïki Dynamiki/EZB (C-401/09 P, Racc. pag. I-4911, paragrafi da 71 a 74).

( 29 ) Estesamente al riguardo le mie conclusioni presentate nella causa Edwin, cit. alla nota 2, paragrafi da 70 a 78.

( 30 ) V. ad es. sentenza della Corte del 10 luglio 2003, Commissione/CCRE, (C-87/01 P, Racc. pag. I-7617, punti da 56 a 64), nonché sentenza ArchiMEDES, cit. alla nota 16, punti 51 e segg.

( 31 ) Sentenza della Corte del 5 luglio 2011, (C-263/09 P, Racc. pag. I-5853).

( 32 ) Sentenza Edwin, cit. alla nota 31, punto 53.

( 33 ) V. al riguardo le conclusioni presentate il 28 novembre 2013 dall’avvocato generale Bot nella causa UAMI/National Lottery Commission (C‑530/12 P, paragrafi da 78 a 87).

( 34 ) Critiche al riguardo le conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot, cit. alla nota 33.

( 35 ) In tal modo, il suo modus operandi è simile al criterio di valutazione limitato impiegato anche da taluni giudici d’appello nazionali in sede di controllo dell’applicazione del diritto straniero. V. al riguardo nota 40 delle mie conclusioni nella causa Edwin.

( 36 ) Fondamentale e in una prospettiva giuridico‑comparatistica v. in proposito Ranieri, F., «Verwirkung et renonciation tacite», Mélanges en l’honneur de Daniel Bastian, Librairies techniques, Parigi 1974, pagg. da 427 a 452.

( 37 ) V. punti da 108 a 111 della sentenza impugnata.