CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 12 settembre 2013 ( 1 )

Causa C‑409/12

Backaldrin Österreich The Kornspitz Company GmbH

contro

Pfahnl Backmittel GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Patent- und Markensenat (Austria)]

«Marchi — Articolo 12, paragrafo 2, lettera a) — Direttiva 2008/95/CE — Motivi di decadenza — Marchio divenuto la generica denominazione commerciale di un prodotto per il quale è registrato — Condizioni oggettive e soggettive di decadenza — Determinazione del pubblico di riferimento ai fini della valutazione — Inattività del titolare del marchio — Disponibilità di denominazioni alternative — Mancata indicazione dell’esistenza del marchio da parte degli intermediari»

1. 

I marchi caratterizzano non solo il nostro sistema economico e i comportamenti d’acquisto. In maniera sottile, ma inequivocabile, essi hanno lasciato la loro impronta anche sul nostro linguaggio. Alcuni marchi hanno plasmato la nostra idea di un oggetto al punto da aver trovato ingresso nel lessico corrente come denominazione dello stesso oggetto ( 2 ).

2. 

Il mutamento del significato di un marchio non è esente da problemi per il suo titolare. Un marchio che sia divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto per il quale è registrato, è suscettibile di decadenza in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE ( 3 ) (in prosieguo: la «direttiva»). Nella presente causa si offre alla Corte l’opportunità di precisare ulteriormente le condizioni di detto motivo di decadenza. Nello specifico, si pongono le seguenti questioni: per quale pubblico il marchio debba divenire la denominazione del prodotto, quando si riscontri un’inattività rilevante, e se la disponibilità di denominazioni alternative equivalenti per il prodotto costituisca una condizione per la decadenza del marchio. Mentre la Corte, nella causa Björnekulla Fruktindustrier ( 4 ), ha preso fondamentalmente posizione sul tema di cui alla prima delle questioni menzionate e ha espresso alcune prime indicazioni sulla seconda questione nella causa Levi Strauss ( 5 ), con riguardo alla terza questione pregiudiziale essa è chiamata ad affrontare una materia del tutto nuova.

3. 

Le questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia sulla validità del marchio «Kornspitz» sorta tra la titolare del marchio, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company GmbH (in prosieguo: la «Backaldrin»), e la sua concorrente, Pfahnl Backmittel GmbH (in prosieguo: la «Pfahnl»). Il marchio è invero divenuto in alcuni casi per i consumatori, ma non per i fornai, la designazione generica di un tipo di pane.

I – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione

4.

L’articolo 2 della direttiva ( 6 ) determina quali segni possono fungere da marchi:

«Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese».

5.

Di conseguenza, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva dispone:

«1.   Sono esclusi dalla registrazione o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

(…)

b)

i marchi privi di carattere distintivo;

(…)

d)

i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio».

6.

L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva stabilisce quanto segue:

«2.

Fatto salvo il paragrafo 1, il marchio di impresa è suscettibile inoltre di decadenza qualora, dopo la data di registrazione:

a)

sia divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato».

B – Normativa nazionale

7.

L’articolo 33 ter, paragrafo 1, del Markenschutzgesetz (legge austriaca in materia di tutela dei marchi; in prosieguo: l’«MSchG»), il quale traspone l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, recita:

«Chiunque può chiedere la cancellazione di un marchio qualora, dopo la data di registrazione, sia divenuto, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, la generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio per il quale è registrato».

II – Fatti e causa principale

8.

La Backaldrin è titolare del marchio denominativo austriaco «Kornspitz» (n. 108 725), registrato alla classe 30 della classificazione di Nizza ( 7 ) con priorità a far data dal 13 dicembre 1984, sia per prodotti da forno, prodotti di pasticceria, anche pronti da passare in forno, sia per i prodotti grezzi e intermedi (ad esempio farina e impasti) necessari per la fabbricazione di siffatti prodotti. Il presente procedimento riguarda esclusivamente la registrazione del marchio per prodotti da forno (finiti), e non quella per i prodotti grezzi e intermedi.

9.

La Backaldrin produce sotto il marchio «Kornspitz» un preparato per la panificazione composto di diversi tipi di farina e crusca, semi di lino e sale, che essa consegna prevalentemente ai fornai. Questi ultimi mescolano acqua, latte e lievito, danno una forma e cuociono in forno il prodotto finito, che vendono direttamente o tramite negozi di generi alimentari, dagli stessi riforniti, come «Kornspitz», con l’autorizzazione della Backaldrin.

10.

Secondo quanto accertato dal giudice del rinvio, il prodotto finito realizzato dai fornai presenta un sapore e una forma tipici. La standardizzazione del prodotto da forno è oggetto di controversia tra le parti. La Backaldrin asserisce di garantire, attraverso la ricetta, corsi di formazione e la licenza non esclusiva per l’utilizzo del marchio da parte dei fornai, un prodotto da forno standard di forma identica e senza aggiunta di ulteriori ingredienti oltre a quelli menzionati nel precedente paragrafo. La Pfahnl sostiene, invece, che i fornai sarebbero liberi nella preparazione finale del prodotto da forno e non verrebbero controllati dalla Backaldrin, il che determinerebbe una sensibile diversità del prodotto finito in termini di forma e di ingredienti aggiunti.

11.

Il prodotto da forno commercializzato sotto il marchio «Kornspitz» gode di ampia notorietà presso i consumatori finali in Austria ed è ivi acquistabile ovunque: la Backaldrin fornisce il preparato per la panificazione, in base ai suoi dati, a 1200 delle 1500 panetterie austriache, nonché a molte altre all’estero.

12.

In base agli accertamenti compiuti dal giudice di primo grado – e contestati dalla Backaldrin in sede di impugnazione –, la grande maggioranza dei consumatori finali ritiene «Kornspitz» la denominazione di una tipologia di prodotti da forno e non un’indicazione della provenienza da una determinata impresa. I concorrenti e i fornai, invece, sanno che «Kornspitz» costituisce un marchio.

13.

Il giudice del rinvio ha accertato che i fornai riforniti dalla Backaldrin, di norma, non informano i loro clienti del fatto che essi producono il prodotto da forno in questione utilizzando un preparato per la panificazione acquistato dalla Backaldrin.

14.

È la Backaldrin stessa che svolge attività di marketing e pubblicità in relazione al suo marchio. Per quanto riguarda la tutela del marchio contro violazioni del diritto di marchio poste in essere da terzi, il giudice del rinvio constatava che siffatte violazioni non avrebbero costituito un numero cospicuo. In base agli accertamenti della divisione di annullamento, esclusivamente in quattro casi la Backaldrin non avrebbe agito o avrebbe agito solo tardivamente contro fornai che vendevano un prodotto come «Kornspitz», senza averlo prodotto con il preparato per la panificazione della Backaldrin.

15.

La Pfahnl sostiene che la Backaldrin non svolgerebbe azione di monitoraggio del mercato in ordine agli usi illegittimi del suo marchio. La denominazione «Kornspitz» sarebbe stata registrata nella quarantesima edizione dell’Österreichisches Wörterbuch [dizionario austriaco] e in un elenco dei termini prettamente austriaci presente in Wikipedia. La Backaldrin deduceva che ai fornai è messo a disposizione materiale pubblicitario, che essi fanno riferimento al marchio a volte con una «®» o con la dicitura «Kornspitz» e che nessun dizionario menziona la parola senza indicare la sua qualità di marchio. Inoltre, i consumatori, in particolare nelle zone urbane con grandi panetterie e filiali, saprebbero che i prodotti da forno non sono una produzione locale.

III – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

16.

In data 14 maggio 2010, la Pfahnl chiedeva, sulla base dell’articolo 33 ter, paragrafo 1, dell’MSchG, la cancellazione del marchio «Kornspitz» sia per prodotti da forno sia per i relativi prodotti di base. La divisione di annullamento dell’Ufficio brevetti austriaco disponeva, in data 26 luglio 2011, la cancellazione del marchio in relazione a tutti i prodotti indicati. Contro tale decisione è diretta l’impugnazione della Backaldrin dinanzi al giudice del rinvio.

17.

La Pfahnl fondava la sua richiesta adducendo che il termine «Kornspitz» è divenuto, presso produttori, consumatori e commercianti, la denominazione di un prodotto da forno di farina scura, che termina a punta alle due estremità. Pertanto, il segno non sarebbe più idoneo a distinguere i prodotti della Backaldrin da quelli di altri produttori.

18.

In riferimento alla registrazione del marchio per prodotti grezzi e intermedi, la Backaldrin obietta che sarebbe esclusa una cancellazione già per il fatto che i fornai e i commercianti di generi alimentari continuerebbero a intendere il termine «Kornspitz» come un marchio. Con riguardo alla registrazione per i prodotti finiti, la Backaldrin contesta il fatto che i fornai, i commercianti di generi alimentari e i consumatori percepiscano il marchio come designazione generica. Quand’anche sia svanita nei consumatori la consapevolezza di un marchio, la conoscenza della qualità di marchio diffusa presso i fornai e i commercianti di generi alimentari escluderebbe, tuttavia, la trasformazione nella designazione generica. Una cancellazione del marchio sarebbe inoltre esclusa giacché sarebbero disponibili termini alternativi per la denominazione del prodotto da forno come «Knusperspitz», «Kerni», «Bio Urkornweckerl», «Kornstange», «Kornweckerl» oppure «Alpenspitz». Una cancellazione del marchio senza giustificazione violerebbe altresì la proprietà di Backaldrin, tutelata quale diritto fondamentale.

19.

Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, l’Oberster Patent- und Markensenat, ai fini dell’analisi della questione se il marchio contestato nel presente caso sia divenuto la generica denominazione del prodotto, fa dei distinguo in ordine ai diversi prodotti per i quali il marchio è stato registrato. Nella misura in cui il marchio sia stato registrato per prodotti grezzi e intermedi, il mercato del prodotto sarebbe composto prevalentemente da fornai e commercianti di generi alimentari, consapevoli della qualità di marchio propria della denominazione. A tal riguardo sarebbe esclusa una cancellazione e dovrebbe essere modificata la decisione della divisione di annullamento dell’ufficio brevetti austriaco senza la necessità della proposizione di una domanda pregiudiziale.

20.

Tuttavia, per quanto attiene alla registrazione per «prodotti da forno» e «pasticceria», il mercato del prodotto sarebbe composto anzitutto dai consumatori finali. In base agli accertamenti compiuti dal giudice di primo grado – contestati dalla Backaldrin –, questi ultimi ritengono «Kornspitz» la denominazione di una determinata tipologia di prodotti da forno. Non si potrebbe dedurre dalla giurisprudenza della Corte se una trasformazione del marchio nella designazione generica sia possibile nel caso in cui solo i consumatori e non anche i commercianti e gli intermediari percepiscano il segno come un termine generico. La dottrina di lingua tedesca e la giurisprudenza austriaca si orienterebbero per una risposta negativa.

21.

Il giudice del rinvio ritiene che si potrebbe desumere dalla giurisprudenza della Corte che la percezione degli intermediari sia rilevante solo nel caso in cui influenzi la scelta di acquisto dei consumatori finali. Nel caso di specie, però, i fornai non avrebbero alcun interesse ad evidenziare che utilizzano un preparato per la panificazione e non lavorano «in maniera tradizionale». Così, le informazioni in possesso dei fornai non incidono sulla scelta di acquisto del consumatore. Tuttavia, se, seguendo tale tesi, ci si concentrasse esclusivamente sul consumatore, sarebbero proprio i marchi affermati sul mercato ad essere minacciati più seriamente dal pericolo di decadenza. Inoltre, a seguito della decadenza del marchio per il prodotto da forno, verrebbe pregiudicato il marchio per il preparato per la panificazione, in quanto la perdita del marchio per il prodotto da forno comporterebbe che i concorrenti potrebbero ora aggiungere al prodotto di base l’indicazione della destinazione «für Kornspitze». Sarebbe dubbio se ciò sia compatibile con la tutela della proprietà intellettuale quale diritto fondamentale.

22.

Inoltre, il giudice del rinvio chiede se possa essere rimproverata alla Backaldrin una rilevante inattività. Inattività o ritardo in quattro casi di violazione del diritto di marchio non potrebbero aver determinato la trasformazione di un marchio nella designazione generica. Tuttavia, ci si domanda se la Backaldrin avrebbe dovuto esigere dai fornai la tutela del marchio o se avrebbe dovuto rendere maggiormente visibile lo stesso marchio nella sua funzione di indicazione di origine.

23.

Infine, il giudice del rinvio rileva che la giurisprudenza austriaca, per ragioni di interesse generale, ritiene nondimeno decaduto un marchio considerato ancora come tale negli scambi commerciali, nel caso in cui i consumatori finali lo percepiscano come una generica denominazione del prodotto, senza che sia disponibile nel commercio una denominazione alternativa. In tal caso sussisterebbe un’esigenza commerciale di un libero uso della denominazione.

24.

Alla luce delle precedenti considerazioni, l’Oberster Patent- und Markensenat, in data 11 luglio 2012, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in forza dell’articolo 267 TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se un marchio sia divenuto una “generica denominazione commerciale di un prodotto o servizio” ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE (direttiva sui marchi), quando

a)

i commercianti sono consapevoli che si tratta di un’indicazione di origine, ma di norma non lo rivelano ai consumatori finali, e

b)

i consumatori finali (anche) per tale motivo non percepiscono più il marchio come indicazione di origine, bensì come generica denominazione commerciale di prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato.

2)

Se un’“inattività” ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE possa essere riscontrata già per il fatto che il titolare del marchio non interviene benché i commercianti non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registrato.

3)

Se un marchio che, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, è divenuto per [gli utilizzatori] finali, ma non nel settore commerciale, una generica denominazione […], debba essere dichiarato decaduto quando, e anche soltanto quando, i consumatori finali, [per] mancanza di alternative equivalenti, devono servirsi di tale denominazione».

25.

La Backaldrin, la Pfahnl, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, la Repubblica italiana e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte.

26.

All’udienza del 29 maggio 2013 hanno presentato presentazioni orali la Backaldrin, la Pfahnl, la Repubblica federale di Germania e la Commissione.

IV – Valutazione giuridica

A – Premesse

27.

Come spesso accade nel diritto dei marchi, la chiave per la soluzione delle questioni sollevate dal giudice del rinvio risiede nella funzione svolta dalla tutela di un marchio. La funzione essenziale della tutela dei marchi, come si evince dal considerando 11 della direttiva e dalla costante giurisprudenza della Corte, è la cosiddetta «funzione d’origine». Un marchio consente al consumatore o all’utilizzatore finale di identificare l’origine del prodotto contrassegnato ( 8 ) e di distinguerlo da un prodotto di provenienza diversa ( 9 ). A tal riguardo, il consumatore non deve poter identificare il fabbricante «reale» del prodotto, cioè quell’impresa che produce materialmente detto prodotto ( 10 ). Ciò non corrisponderebbe alla realtà dell’odierna economia fondata sulla divisione del lavoro, in cui i prodotti sono fabbricati su licenza in catene di produzione complesse. Un marchio garantisce piuttosto che il prodotto è fabbricato sotto il controllo di un’impresa – la titolare del marchio ( 11 ).

28.

Tuttavia, se un marchio mira a consentire primariamente la determinazione dell’origine di un prodotto nel senso dell’impresa che ne controlla la fabbricazione, allora è semplicemente logico che, in forza dell’articolo 2 della direttiva, possano fungere da marchi solo quei segni adatti a distinguere i prodotti di un’impresa da quelli di altre imprese. I segni privi di un siffatto carattere distintivo non possono essere registrati ( 12 ). Un siffatto carattere distintivo manca, ad esempio, nei segni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio per designare il prodotto. A termini dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera d), della direttiva, ad essi osta un impedimento alla registrazione ( 13 ). L’articolo 3 della direttiva riguarda casi in cui il marchio già a priori non svolge la sua funzione di indicazione di origine. Un segno che solo dopo la sua registrazione come marchio è divenuto di uso comune e non è percepito dal pubblico rilevante come indicazione di origine, è però ugualmente privo di carattere distintivo. L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva dispone, a determinate condizioni, la decadenza per siffatti marchi ( 14 ).

29.

Le citate disposizioni rappresentano un insieme coerente di regole che deve essere interpretato nel suo contesto. Oltre alla giurisprudenza relativa alla direttiva e alla direttiva 89/104/CEE ( 15 ) dalla stessa sostituita, deve essere applicata, a tal riguardo, anche la giurisprudenza relativa al regolamento sul marchio comunitario, che contiene analoghe disposizioni ( 16 ).

30.

Sebbene la decadenza di un marchio che si è trasformato in una designazione generica trovi una motivazione adeguata nel venir meno della funzione d’origine del marchio, si deve sottolineare che ciò costituisce una grave conseguenza per il titolare del marchio – molto più grave della mancata registrazione di una designazione generica come marchio all’inizio della sua vita economica. L’ingresso di un marchio nell’uso del linguaggio corrente come nozione dello stesso prodotto evidenzia, inoltre, il successo di una faticosa, spesso pluriennale, attività del titolare del marchio il cui prodotto è divenuto per tutti il sinonimo della stessa tipologia merceologica. In molti casi il titolare del marchio, con l’introduzione di un prodotto particolarmente innovativo, ha perfino creato quella tipologia di prodotto ora designata con il suo marchio.

31.

Il legislatore era chiamato a compiere, a tal riguardo, un esaustivo contemperamento di interessi, in cui occorreva prendere in considerazione, da un lato, l’interesse della collettività e della concorrenza al libero uso di un termine che il pubblico destinatario non ritiene più collegato ad un’origine e il cui monopolio costringe i concorrenti ad evitarlo, in qualche caso ricorrendo ad un’alternativa che si palesa artificiosa. Dall’altro lato, era necessario includere nel contemperamento l’interesse dei proprietari i cui marchi godono inoltre, in quanto proprietà intellettuale, della tutela fornita dall’articolo 17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali e dall’articolo 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 17 ). Nel suo contemperamento degli interessi, il legislatore riteneva che la trasformazione del marchio nella generica denominazione di un prodotto può essere opposta al titolare del marchio solo se essa si basa sulla sua attività o inattività ( 18 ).

32.

L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva richiede pertanto, sotto il profilo della fattispecie oggettiva, che il marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale del prodotto o servizio per il quale è registrato. La disposizione presuppone, a titolo di fattispecie soggettiva, che la trasformazione si sia verificata a seguito dell’attività o inattività del titolare del marchio.

33.

Il presente procedimento offre alla Corte la possibilità di precisare ulteriormente entrambe le suddette condizioni. La prima e la terza questione pregiudiziale riguardano la fattispecie oggettiva, sulla quale mi concentrerò in primo luogo, la seconda questione concerne invece la fattispecie soggettiva.

B – Fattispecie oggettiva (prima e terza questione pregiudiziale)

1. Prima questione pregiudiziale

34.

Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede per quale pubblico un marchio debba essere divenuto la generica denominazione di un prodotto, affinché sia soddisfatta la fattispecie oggettiva e sussista il pericolo di decadenza del marchio in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva. Specificamente il giudice chiede se sia sufficiente a tal riguardo il fatto che i consumatori finali non percepiscano più la denominazione come indicazione di origine, mentre i commercianti abbiano mantenuto tale percezione, ma non ne informino, di regola, i consumatori finali.

35.

La Backaldrin, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese e la Commissione ritengono che, in casi come quello di specie, sia i consumatori sia gli intermediari debbano essere presi in considerazione come pubblico di riferimento. Ad avviso della Pfahnl e della Repubblica italiana, nel presente caso, occorre tener conto dei soli consumatori.

a) Presa in considerazione della funzione di qualità

36.

Tuttavia, prima di potermi dedicare alla questione del pubblico di riferimento, devo approfondire l’argomento dedotto a tal proposito dalla Backaldrin e dalla Repubblica federale di Germania.

37.

La Backaldrin e la Repubblica federale di Germania sostengono che, nella valutazione del cambiamento di percezione del marchio in generica denominazione, occorre far riferimento non solo alla funzione d’origine di un marchio, ma anche alla sua funzione di qualità ovvero di garanzia, e dunque determinare se il pubblico interessato associ specifiche caratteristiche e una qualità costante al prodotto distribuito con il marchio.

38.

Nel corso dell’udienza la Commissione ha rigettato tale tesi. Se, nel contesto dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, si dovessero prendere in considerazione tutte le funzioni di un marchio, si escluderebbe la decadenza e quindi mancherebbe alla disposizione un ambito di applicazione. La conseguenza di un’organizzazione del processo di fabbricazione in cui sia concessa libertà operativa al licenziatario dovrebbe essere un’adeguata reazione del consumatore e non la perdita del marchio.

39.

È fuori discussione il fatto che i marchi, oltre alla loro funzione essenziale – la funzione d’origine ( 19 ) – svolgono una serie di ulteriori funzioni ( 20 ). La Corte ha precisato nella sua giurisprudenza che il titolare di un marchio può invocare il proprio diritto esclusivo conferito dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva in caso di violazione non solo della funzione d’origine di un marchio, ma anche di quella di garanzia della qualità di un prodotto, oppure di comunicazione, investimento o pubblicità ( 21 ). La Corte non ha finora stabilito se tali funzioni svolgano un ruolo anche nella valutazione della questione se un segno sia divenuto una designazione generica.

40.

La funzione di qualità è, in tale valutazione, priva di pertinenza.

41.

Ciò deriva anzitutto da una corretta interpretazione della stessa funzione di qualità. Un marchio consente ad un’impresa di investire nella qualità del suo prodotto. Attraverso il marchio, infatti, il consumatore può identificare l’impresa responsabile della fabbricazione del prodotto e, sulla base delle sue esperienze, gratificare i produttori di alta qualità mediante l’acquisto del prodotto e sanzionare con l’indifferenza i produttori di bassa qualità ( 22 ). In tal senso un marchio funge da indicatore di caratteristiche costanti del prodotto ( 23 ).

42.

La funzione di qualità presuppone pertanto il fatto che un marchio svolga la sua funzione d’origine. L’avvocato generale Jacobs ha correttamente dichiarato, al riguardo, che i marchi «possono, in forza della loro funzione di indicatori di provenienza, costituire beni patrimoniali di valore, tra i quali va ricompreso il buon nome di un’impresa (o di un suo specifico prodotto)» ( 24 ). Detta funzione tutela le aspettative del consumatore relative al prodotto di un’impresa e non ad un termine percepito dal consumatore come designazione generica. Se il marchio non svolge più la sua funzione d’origine, in quanto è divenuto la designazione generica del prodotto, non può assolvere più neanche alla sua funzione di qualità.

43.

Se si facesse invece riferimento, nell’ambito della valutazione del mutamento di un marchio nella designazione generica, anche alla funzione di qualità, se si negasse dunque un siffatto mutamento in caso di marchi che abbiano perso la loro funzione d’origine, ma abbiano conservato la loro funzione di qualità, allora l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva non si applicherebbe mai, come la Commissione ha giustamente rilevato.

44.

Dunque, i consumatori associano, in primo luogo, anche ad ogni designazione generica (e non solo ai marchi) determinate caratteristiche costanti. Un croissant con la forma di una baguette oppure senza uno specifico sapore non sarebbe un croissant. Un tavolo con un piano verticale non sarebbe un tavolo.

45.

In secondo luogo, la funzione di qualità non tutela l’aspettativa di una qualità particolarmente elevata, ma solo quella di una qualità determinata. Al marchio A il consumatore può associare prodotti eccezionali, al marchio B prodotti di qualità media, al marchio C prodotti di qualità variabile ( 25 ). A questo riguardo non appare affatto chiaro quando debba venir meno una funzione di qualità separata dalla funzione d’origine.

46.

Pertanto, occorre anzitutto constatare che, in caso di mutamento di un marchio nella designazione generica, si deve fare riferimento alla sola funzione d’origine del marchio.

b) Pubblico di riferimento

47.

Sulla base della funzione d’origine del marchio, occorre ora chiarire quale sia il pubblico di riferimento nel contesto dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, per valutare se un marchio sia divenuto la generica denominazione di un prodotto.

48.

La Corte si è occupata di tale questione nella causa Björnekulla Fruktindustrier. La controversia principale all’origine della causa aveva ad oggetto un marchio per cetrioli a pezzi marinati, il quale, sebbene, in base alle risultanze di sondaggi, fosse divenuto per i consumatori una designazione generica, non lo era per l’alimentazione generale, le mense e le tavole calde.

49.

La Corte sottoponeva ad interpretazione letterale, sistematica e teleologica l’allora vigente articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 89/104/CEE, sostanzialmente identico all’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, affermando che l’intero processo di commercializzazione aveva come obiettivo l’acquisto del prodotto da parte di consumatori e utilizzatori finali. Il ruolo degli intermediari consisteva nell’individuare, anticipare, amplificare o orientare la domanda. Conformemente a ciò, la Corte riconosceva giustamente «che, nel caso in cui intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o all’utilizzatore finale di un prodotto coperto da un marchio registrato, gli ambienti di riferimento di cui tener conto per valutare se il detto marchio sia diventato la comune denominazione commerciale del prodotto in questione sono costituiti dall’insieme dei consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, dall’insieme degli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione di quest’ultimo» ( 26 ).

50.

Con riguardo alla presente causa, le parti traggono diverse conclusioni da tale giurisprudenza. Secondo la Backaldrin, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese e la Commissione, nel presente caso i fornai sono parte del pubblico di riferimento, in base alle caratteristiche del mercato del prodotto in questione. A tal proposito, la Repubblica francese e la Commissione ritengono decisivo il fatto che i fornai concorrano alla scelta del cliente. La Repubblica francese rileva che i fornai, in ragione del consapevole silenzio circa la qualità di marchio nei confronti dei consumatori, avrebbero un’ancora più ampia influenza sulla loro decisione di acquisto. La Repubblica federale di Germania deduce come argomento il processo di lavorazione realizzato dai fornai. La Commissione aggiunge che l’influenza degli intermediari crescerebbe in misura proporzionale al loro intervento sul prodotto. La Backaldrin deduce che, nel caso di prodotti offerti al consumatore finale senza confezione e che difficilmente offrono un’indicazione sui diritti di marchio, occorre riconoscere una grande importanza al punto di vista dei commercianti. Un marchio diverrebbe, di regola, una generica denominazione soltanto nel momento in cui solo una frazione del tutto irrilevante del pubblico interessato associ al segno un’indicazione dell’origine.

51.

La Pfahnl e la Repubblica italiana sostengono, invece, che i fornai, nella presente causa, non costituiscono parte del pubblico di riferimento. La Pfahnl deduce che i fornai non eserciterebbero alcuna influenza sulla decisione di acquisto dei consumatori, ma che questi ultimi sceglierebbero i prodotti da forno in modo indipendente e senza consulenza. Inoltre, il fornaio non sarebbe un intermediario, ma fabbricherebbe il prodotto, rendendo più agevole il proprio lavoro attraverso l’utilizzo di un prodotto per la panificazione. La Repubblica italiana ritiene l’opinione dei fornai priva di importanza, in quanto la loro consapevolezza della qualità di marchio non avrebbe alcuna influenza sulla decisione di acquisto dei consumatori finali.

52.

A termini della summenzionata giurisprudenza, di cui condivido l’analisi, nella valutazione se un marchio sia divenuto un termine generico occorre far riferimento anzitutto ai consumatori e, «a seconda delle caratteristiche del mercato», anche agli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione del prodotto. Pertanto, ci si chiede quali siano siffatte caratteristiche del mercato.

53.

Il tenore letterale dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, che l’avvocato generale Léger ha attentamente interpretato nella causa Björnekulla Fruktindustrier ( 27 ), non offre alcuna indicazione al riguardo.

54.

Dal contesto normativo si possono dedurre invero argomenti a favore del fatto che il consumatore finale deve essere posto al centro della valutazione, tuttavia esso non fornisce alcuna indicazione decisiva in ordine alla questione di quali caratteristiche del mercato debbano riscontrarsi affinché anche gli operatori professionali siano da includere nel pubblico di riferimento.

55.

In base a quanto premesso supra, nell’ambito dell’interpretazione sistematica, occorre notare che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera d), della direttiva osta alla registrazione di marchi «composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio». Tale impedimento alla registrazione – un caso speciale di assenza di carattere distintivo [articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva] – può essere superato, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, attraverso l’acquisizione di carattere distintivo.

56.

Il tenore letterale dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera d), della direttiva («linguaggio corrente»o«usi leali e costanti del commercio») sembra qualificare un termine come termine generico nel caso in cui venga considerato come tale dai consumatori o nel commercio ( 28 ). Ciò deporrebbe a favore del fatto che, di norma, nella valutazione della trasformazione di un termine in un termine generico, può essere sufficiente che il mutamento di significato si sia verificato presso i consumatori. Milita altresì a favore di tale osservazione, in particolare, il fatto che la Corte, nella valutazione delle questioni inerenti al carattere distintivo, ha fatto ripetuto riferimento al consumatore, precisamente al consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto ( 29 ). Tuttavia, si trovano anche esempi in cui la Corte ha incluso i commercianti nel pubblico interessato ( 30 ).

57.

Lo scopo della normativa è pertanto decisivo ai fini della determinazione delle caratteristiche del mercato in presenza delle quali occorre fare riferimento, nella valutazione del mutamento di un marchio in una designazione generica, anche agli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione del prodotto.

58.

Come si è già osservato, la funzione essenziale del marchio è la funzione d’origine. Nell’ambito della vendita di un prodotto, il marchio fornisce informazioni sulla provenienza del prodotto. Il marchio è così – come il linguaggio in generale – una parte di un processo di comunicazione, in tal caso tra venditori e acquirenti. Detto processo produce il risultato atteso e il marchio svolge la funzione che ne giustifica l’esistenza solo laddove entrambe le parti interessate alla comunicazione «capiscono» il marchio, sono cioè consapevoli della sua funzione d’origine. Quando uno dei due gruppi intende il marchio come una designazione generica, fallisce la trasmissione dell’informazione che doveva essere comunicata con il marchio. Di regola, ai fini della realizzazione della fattispecie oggettiva di cui all’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, è sufficiente che i consumatori considerino un marchio come se fosse una designazione generica. Ciò intendeva la Corte quando affermava che, in generale, «la percezione dell’ambiente dei consumatori o degli utilizzatori finali ha un ruolo determinante», in quanto il processo di commercializzazione ha come obiettivo l’acquisto del prodotto ( 31 ).

59.

Dal summenzionato processo di comunicazione tra venditori e acquirenti emergono chiaramente le caratteristiche che un mercato deve presentare, affinché un intermediario divenga importante ai fini della valutazione della genericità di un marchio. Nonostante che l’acquirente non sia consapevole della qualità di marchio, il marchio può, infatti, ancora svolgere la sua funzione d’origine, qualora un intermediario eserciti una determinante influenza sulla decisione di acquisto dell’acquirente e, in tal modo, la sua consapevolezza della funzione d’origine del marchio comporti la riuscita del processo di comunicazione. Così succede quando nel mercato di riferimento sia usuale che l’intermediario presti una consulenza atta a determinare la decisione di acquisto oppure sia addirittura lo stesso intermediario ad assumerla per il consumatore, come nel caso di farmacisti e medici con riguardo ai medicinali soggetti a prescrizione ( 32 ).

60.

Nel presente caso non si riscontra una siffatta determinante influenza sulla decisione di acquisto. I clienti di una panetteria assumono la loro decisione di acquisto senza alcuna consulenza e neppure influenze atte a determinare la loro stessa decisione.

61.

Il fatto che i fornai concorrano alla decisione dei clienti mediante l’acquisto di determinati preparati per la panificazione non modifica quest’ultima conclusione. L’acquisto del preparato non influisce sull’acquisto del prodotto da forno finito. Quest’ultimo è un prodotto diverso, fabbricato dal fornaio a partire da un prodotto di base e offerto sotto licenza al cliente.

62.

La stessa decisione dei fornai circa la propria offerta e l’assenza di informazioni ai loro clienti sulla qualità di marchio della denominazione di un prodotto da forno non rappresentano alcuna influenza determinante sulla decisione di acquisto dell’acquirente in riferimento a detto prodotto da forno. In base a quanto premesso, un’influenza del genere presupporrebbe che la funzione d’origine propria del marchio venga svolta dai fornai e, dunque, che questi ultimi influenzino la decisione di acquisto per quanto riguarda il consumatore nel processo di vendita tra venditore e consumatore. Nel presente caso, tuttavia, i fornai stessi producono il prodotto finito sotto licenza e si annoverano dunque tra i fabbricanti e non tra i consumatori. La limitazione della gamma di prodotti offerti e l’assenza di informazioni sulla qualità di marchio, invero, influenza di fatto la decisione di acquisto dei consumatori, tuttavia i fornai influenzano, in tal modo, detta decisione non per quanto riguarda l’acquirente, ma piuttosto con riferimento al venditore.

63.

La normativa europea in materia di marchi non rappresenta in alcun modo un caso eccezionale concentrandosi sul consumatore al fine di valutare se un marchio sia divenuto generico. Negli Stati Uniti d’America il giudice Learned Hand si è già da tempo pronunciato sulla rilevanza decisiva della percezione che il consumatore ha del termine in questione ( 33 ). Anche la Corte di giustizia della Comunità andina, nella valutazione della questione se un marchio sia divenuto una designazione generica, si basa sulla percezione del consumatore in quanto quest’ultimo rappresenterebbe l’«obiettivo della tutela dei marchi» ( 34 ).

64.

L’Oberster Gerichtshof austriaco – anche dopo la decisione della Corte resa nella causa Björnekulla Fruktindustrier – si basa invece, in linea di principio, su un’«analisi completa della percezione di tutti gli ambienti a contatto con il marchio», il che include, oltre ai consumatori finali, anche i fabbricanti e i commercianti. L’argomento addotto a tal riguardo consiste nel fatto che i consumatori finali tendono facilmente ad utilizzare i marchi come designazioni generiche ( 35 ).

65.

Tale argomento non mi appare convincente. È vero che i consumatori utilizzano i marchi di frequente come designazione generica, ma essi sono consapevoli, di norma, della loro qualità di marchi, il che non basta alla realizzazione della fattispecie oggettiva della decadenza. I casi in cui è svanita nel consumatore ogni consapevolezza circa la qualità di marchio sono relativamente rari. Tuttavia, ove ciò accada, il marchio non svolge più la sua funzione d’origine. Non si capisce perché in un siffatto caso il verificarsi della trasformazione di un marchio nella designazione generica, vale a dire la fattispecie oggettiva della decadenza, debba essere reso artificiosamente più complesso prendendo in considerazione come pubblico di riferimento un gruppo di confronto con spiccata consapevolezza del marchio. Anche la tutela a livello di diritto fondamentale della posizione proprietaria del titolare del marchio non giustifica un siffatto requisito. Essa viene già presa in considerazione per il fatto che la sola realizzazione della fattispecie oggettiva non ha come effetto la decadenza del marchio.

66.

Infine, non comporta una diversa conclusione interpretativa neanche l’osservazione del giudice del rinvio secondo cui, in caso di decadenza del marchio «Kornspitz» per prodotti da forno finiti, i concorrenti potrebbero apporre ai preparati per la panificazione la designazione «zur Herstellung von Kornspitzen» (destinato alla produzione di Kornspitz) e, in tal modo, il marchio della Backaldrin, registrato per i preparati per la panificazione, perderebbe valore. Il rischio della perdita di valore del marchio relativo ad un prodotto di base a seguito di decadenza del marchio relativo ad un prodotto finale discende dalla decisione di registrare il marchio per entrambe le categorie di prodotti, nonché dalla particolare organizzazione di produzione e distribuzione del prodotto finale, segnatamente dalla sua produzione da parte dei fornai e dalla licenza a essi concessa di vendere il prodotto finale usando il marchio. Tali decisioni sono state adottate dalla stessa titolare del marchio, che ha così creato il corrispondente rischio. Essa viene, tuttavia, tutelata attraverso l’esclusione della decadenza del marchio, nei limiti in cui il mutamento nella designazione generica non sia effetto della sua attività o inattività.

67.

Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione pregiudiziale come segue: l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva dev’essere interpretato nel senso che nel pubblico di riferimento di cui va tenuto conto per valutare se un marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale del prodotto per il quale è registrato rientrano innanzitutto i consumatori e gli utilizzatori finali. A seconda delle caratteristiche del mercato, occorre prendere in considerazione anche gli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione del prodotto. Le caratteristiche che depongono a favore di una siffatta presa in considerazione ricorrono, in particolare, qualora i rispettivi operatori professionali esercitino una determinata misura di influenza sulla decisione di acquisto del consumatore finale. Ove ciò non accada, un marchio è divenuto la generica denominazione del prodotto per il quale è stato registrato nel caso in cui esso venga percepito come tale dai consumatori finali, sebbene i commercianti, che fabbricano essi stessi il prodotto in questione a partire da un prodotto di base proveniente dal titolare del marchio e lo vendono usando il marchio con l’autorizzazione del titolare, siano consapevoli del fatto che si tratta di un’indicazione di origine e non lo comunichino, di norma, ai consumatori finali.

2. Terza questione pregiudiziale

68.

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se la decadenza di un marchio che, per il fatto dell’attività o inattività del suo titolare, è divenuto per i consumatori finali, ma non nel settore commerciale, una generica denominazione commerciale presupponga che non ci siano denominazioni alternative equivalenti del prodotto, cosicché il consumatore finale deve servirsi di tale denominazione.

69.

Il contesto della questione pregiudiziale è, secondo quanto accertato dall’Oberster Patent- und Markensenat, la giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof austriaco, secondo la quale il mutamento di un marchio nella designazione generica è escluso, in linea di principio, finché i commercianti lo percepiscono ancora come denominazione di origine. Tuttavia, una soluzione differente si imporrebbe ove non fosse disponibile nel commercio alcuna alternativa equivalente per il marchio divenuto, nella prospettiva dei consumatori finali, una designazione generica ( 36 ). Sebbene tale condizione, ad avviso del giudice del rinvio, non trovi alcun fondamento nel tenore letterale, nondimeno essa renderebbe possibile un equo contemperamento tra la posizione del titolare del marchio tutelata anche quale diritto fondamentale e l’interesse generale alla disponibilità di segni denominativi di prodotti e servizi.

70.

Secondo la Backaldrin, la trasformazione di un marchio in una designazione generica è esclusa nel caso in cui sussistano denominazioni alternative del prodotto. Ciò si dovrebbe ammettere anche nel caso in cui le denominazioni alternative non siano equivalenti al marchio sotto ogni aspetto, in particolare nell’ampiezza della sua diffusione.

71.

La Pfahnl ritiene il menzionato requisito non pertinente ai fini della valutazione della decadenza di un marchio. Non avrebbe alcun fondamento nel tenore letterale della direttiva, né nella sua impostazione sistematica o nella sua finalità. La Commissione sostiene tale orientamento.

72.

Neanche la Repubblica francese considera la presenza di termini alternativi come una condizione della possibilità che un marchio si trasformi in una designazione generica, per quanto le si possa attribuire nondimeno un’efficacia indiziaria. La Repubblica italiana ritiene l’assenza di denominazioni alternative soltanto un «fattore di rischio» che può contribuire al mutamento di un marchio in una designazione generica.

73.

A mio avviso, ai fini della verifica della decadenza di un marchio non è necessario indagare se nel commercio siano disponibili denominazioni alternative equivalenti del prodotto stesso.

74.

A tal proposito occorre anzitutto chiarire cosa intenda il giudice del rinvio quando sottolinea la «mancanza di alternative equivalenti». Con detta espressione non si può intendere che debba «esistere» oggettivamente un sinonimo. Il linguaggio è un fenomeno sociale, non uno spazio oggettivamente delimitato. Un termine spontaneamente inventato (dal titolare del marchio) non può rappresentare un’«alternativa equivalente». Il significato di una parola è, infatti, il suo uso nel linguaggio ( 37 ). Un contenuto, una volta introdotto, è soggetto, invero, al cambiamento del linguaggio corrente, tuttavia non si può certo semplicemente modificare di proposito. È la comunità linguistica, e non il giudice, a determinare pertanto se una parola rappresenti un’«alternativa» di una parola diversa, se la parola sia addirittura «equivalente». Essa può percepire una parola prima facie «equivalente» in modo diverso o respingere del tutto il suo utilizzo. Il criterio deve essere interpretato pertanto nel senso che occorrono sinonimi del termine introdotti nell’effettivo linguaggio corrente. Ciò corrisponde anche all’interpretazione fornita dall’Oberster Gerichtshof austriaco, che parla di un «termine alternativo in uso» ( 38 ).

75.

Un siffatto criterio non è però previsto dal tenore letterale della disposizione e non è compatibile con il suo scopo. La decadenza il cui rischio incombe per effetto di un mutamento di un marchio nella generica denominazione di un prodotto si giustifica, per quanto premesso, con l’impossibilità che il marchio svolga ancora la sua funzione d’origine. Con la decadenza, l’ordinamento giuridico soddisfa il bisogno della collettività di libera utilizzabilità del segno («imperativo di disponibilità») ( 39 ). Condizione di decadenza, stabilita per legge, non è però la prova di un’esigenza della collettività di poter utilizzare il segno, che può essere meno intensa nel caso in cui siano disponibili altri segni per il medesimo scopo. La condizione stabilita per legge è solo che il marchio sia divenuto la generica denominazione di un prodotto. Tale questione è però indipendente dall’introduzione di sinonimi nel linguaggio corrente.

76.

È da respingere, infine, l’argomento secondo cui il criterio discusso in tale questione pregiudiziale sarebbe necessario per assicurare la tutela della proprietà del titolare del marchio quale diritto fondamentale. Come si è già esposto, il legislatore ha soddisfatto il suo obbligo di contemperamento degli interessi della collettività e della posizione del titolare del marchio quale diritto fondamentale, esigendo per la decadenza del marchio, oltre al mutamento del marchio nel termine generico, che siano realizzate le condizioni della fattispecie soggettiva dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva. Non vi è, al riguardo, alcuno spazio per ulteriori criteri non scritti nella fattispecie oggettiva.

77.

Alla terza questione pregiudiziale va pertanto risposto che, ai fini della valutazione della decadenza di un marchio, è irrilevante che i consumatori finali, in mancanza di alternative equivalenti, debbano servirsi della denominazione in questione.

C – Fattispecie soggettiva (seconda questione pregiudiziale)

78.

La seconda questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio verte sulla fattispecie soggettiva dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, segnatamente sul quesito se il mutamento di significato del segno sia da imputare al titolare del diritto. Il giudice del rinvio chiede, a tal riguardo, se un’inattività possa essere riscontrata già nel fatto che il titolare del marchio non interviene benché i commercianti del suo prodotto non indichino alla clientela che si tratta di un marchio registrato.

79.

Ad avviso della Backaldrin, si deve rispondere in senso negativo a tale questione. Si riscontrerebbe un’inattività rilevante qualora il titolare del marchio non agisse contro l’uso illecito del marchio da parte di terzi. Nel presente caso, tuttavia, la Backaldrin avrebbe consentito ai suoi clienti, i fornai, nell’ambito di una licenza non esclusiva, di commercializzare i prodotti da forno in questione usando il marchio «Kornspitz». Obbligare i fornai ad informare gli acquirenti del prodotto da forno circa la natura di marchio della denominazione «Kornspitz» non sarebbe usuale né potrebbe essere preteso nel commercio di alimenti freschi. La messa a disposizione di mezzi pubblicitari, che possono essere esposti nelle panetterie, dovrebbe essere sufficiente.

80.

La Pfahnl, la Repubblica francese, la Repubblica italiana e la Commissione rispondono, invece, in senso affermativo alla domanda. La titolare del marchio dovrebbe essere sufficientemente vigilante anche con riguardo alla tutela del carattere distintivo del suo marchio e sfruttare tutte le possibilità commerciali al fine di contrastare la trasformazione nella designazione generica. La titolare dovrebbe, conseguentemente, esortare i fornai a indicare il suo marchio. La Repubblica francese ritiene l’astenersi da ciò un indizio di rilevante inattività.

81.

A termini dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, il mutamento di un marchio nella generica denominazione di un prodotto non comporta di per sé la sua decadenza. Tale mutamento deve piuttosto essersi verificato «per il fatto dell’attività o inattività» del titolare del marchio. Il tenore letterale della norma non contempla, al riguardo, alcuna limitazione dell’inattività rilevante in forza della quale un marchio possa divenire una designazione generica.

82.

Nella causa Levi Strauss la Corte ha avuto l’opportunità di pronunciarsi su quale tipo di inattività sia sufficiente nell’ambito della fattispecie soggettiva e ha statuito: «Un’inattività (…) può anche corrispondere all’omesso ricorso in tempo utile, da parte del titolare di un marchio, all’articolo 5 di detta direttiva, al fine di chiedere all’autorità competente di vietare ai terzi interessati di usare il segno per cui sussiste un rischio di confusione con codesto marchio, poiché una siffatta domanda ha precisamente l’oggetto di preservare la capacità distintiva del suddetto marchio» ( 40 ). L’uso della parola «anche» indica che la Corte considerava il caso dalla stessa menzionato soltanto come un esempio di inattività rilevante.

83.

La portata degli obblighi del titolare del marchio si può determinare più dettagliatamente sulla base della ratio della norma. La direttiva mira a contemperare gli interessi del titolare di un marchio e quelli di altri operatori economici alla disponibilità di segni. Ne consegue che la tutela dei diritti del titolare del marchio non è incondizionata, ma quest’ultimo deve mostrarsi vigilante con riguardo alla tutela del suo marchio ( 41 ). Ciò si impone, a mio avviso, non solo in relazione alla tutela del marchio dalle violazioni, ma anche con riguardo al rischio che un marchio divenga una designazione generica. L’obbligo di vigilanza implica che il titolare del marchio monitori il mercato e adotti le misure di tutela del suo marchio che gli si possono ragionevolmente richiedere prima che esso si trasformi in una designazione generica.

84.

Spetta ai giudici nazionali accertare caso per caso quali misure siano opportune per il titolare del marchio e possano essergli ragionevolmente richieste. Esempi di siffatte misure si trovano sia nella prassi dell’UAMI, sia nella dottrina in materia. Ad esempio, vengono in considerazione la pubblicità, le avvertenze inserite in etichetta (oppure cartelli a fianco del prodotto con indicazione del nome del prodotto) o l’intervento presso gli editori di dizionari al fine di esortarli ad inserire un’indicazione della qualità di marchio propria di una parola ivi registrata ( 42 ). È lo stesso titolare del marchio a dover evitare di usare il marchio come una designazione generica ( 43 ) e a dover adottare gli strumenti che gli si possono ragionevolmente richiedere per contrastare un siffatto uso da parte di altri e portare all’attenzione del mercato la natura di marchio propria del segno ( 44 ). Laddove venga concessa una licenza d’uso del marchio, occorre adottare anche in tale contesto le misure di tutela del marchio che si possono ragionevolmente richiedere al titolare del marchio, segnatamente l’inserimento nella licenza di adeguate condizioni e la sorveglianza, in misura esigibile, sul loro rispetto.

85.

La seconda questione pregiudiziale dev’essere pertanto risolta nel senso che sussiste un’inattività ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva qualora il titolare del marchio non adotti le misure che possono essergli ragionevolmente richieste per tutelare il marchio dalla trasformazione nella designazione generica. In esse rientra anche un’adeguata azione presso i suoi licenziatari.

V – Conclusione

86.

Per i motivi sopra indicati, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali nei termini seguenti:

L’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE deve essere interpretato nel senso che nel pubblico di riferimento di cui va tenuto conto per valutare se un marchio sia divenuto la generica denominazione commerciale del prodotto per il quale è registrato rientrano innanzitutto i consumatori e gli utilizzatori finali. A seconda delle caratteristiche del mercato, occorre prendere in considerazione anche gli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione del prodotto. Le caratteristiche che depongono a favore di una siffatta presa in considerazione ricorrono, in particolare, qualora i rispettivi operatori professionali esercitino una determinata misura di influenza sulla decisione di acquisto del consumatore finale. Ove ciò non accada, un marchio è divenuto la generica denominazione del prodotto per il quale è stato registrato nel caso in cui esso venga percepito come tale dai consumatori finali, sebbene i commercianti, che fabbricano essi stessi il prodotto in questione a partire da un prodotto di base proveniente dal titolare del marchio e lo vendono usando il marchio con l’autorizzazione del titolare, siano consapevoli del fatto che si tratta di un’indicazione di origine e non lo comunichino, di norma, ai consumatori finali.

Ai fini della valutazione della decadenza di un marchio, è irrilevante che i consumatori finali, in mancanza di alternative equivalenti, debbano servirsi della denominazione in questione.

Sussiste un’inattività ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva qualora il titolare del marchio non adotti le misure che possono essergli ragionevolmente richieste per tutelare il marchio dalla trasformazione nella designazione generica. In esse rientra anche un’adeguata azione presso i suoi licenziatari.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Così, ad esempio, in tedesco, i marchi «Fön» [Deutsches Patent- und Markenamt (ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi), numero di registrazione 739154] oppure «Heroin» (registro dell’ufficio brevetti del Reich, n. 31650). A partire dal 30 settembre 1950 il marchio da ultimo menzionato non poteva più essere fatto valere. De Ridder, M., Heroin – Vom Arzneimittel zur Droge, Campus, Frankfurt/Main, 2000, pagg. 63 e 64. Per gli esempi in lingua francese, v. le conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Björnekulla Fruktindustrier, sentenza del 29 aprile 2004 (C-371/02, Racc. pag. I-5791, paragrafo 50).

( 3 ) Direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25).

( 4 ) Sentenza del 29 aprile 2004, Björnekulla Fruktindustrier (C-371/02, Racc. pag. I-5791).

( 5 ) Sentenza del 27 aprile 2006, Levi Strauss (C-145/05, Racc. pag. I-3703, punto 34).

( 6 ) Cit. alla nota n. 3.

( 7 ) Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, nella sua versione modificata.

( 8 ) I marchi possono naturalmente contrassegnare anche i servizi. Dato che il presente caso riguarda, tuttavia, i prodotti, per ragioni di semplificazione farò sempre riferimento solo ai prodotti.

( 9 ) Sentenze del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar (C-482/09, Racc. pag. I-8701, punto 71); del 4 ottobre 2001, Merz & Krell (C-517/99, Racc. pag. I-6959, punto 22), e del 29 settembre 1998, Canon (C-39/97, Racc. pag. I-5507, punto 28).

( 10 ) V. le mie conclusioni nella causa Martin y Paz (C‑661/11, paragrafo 75).

( 11 ) Sentenze Canon, citata supra alla nota 9, punto 28, e del 17 ottobre 1990, HAG II (C-10/89, Racc. pag. I-3711, punti 13 e 14).

( 12 ) Articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

( 13 ) V. sentenza Merz & Krell, citata supra alla nota 9, punti 28 e 31, nonché conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Merz & Krell, citata supra alla nota 9, paragrafo 40.

( 14 ) Sentenza Björnekulla Fruktindustrier, citata supra alla nota 2, punto 22.

( 15 ) Prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 40, pag. 1).

( 16 ) V. articoli 4, 7, paragrafo 1, lettera d), e 51 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1). Anche il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU L 11, pag. 1), conteneva analoghe disposizioni.

( 17 ) Sentenza della CEDU Anheuser-Busch/Portogallo, dell’11 gennaio 2007 (n. 73049/01).

( 18 ) Sentenza Levi Strauss, citata supra alla nota 5, punto 19.

( 19 ) V. supra, paragrafo 27.

( 20 ) V. solo le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Arsenal Football Club, sentenza del 12 novembre 2002 (C-206/01, Racc. pag. I-10273, paragrafo 46).

( 21 ) Sentenze del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C-323/09, Racc. pag. I-8625, punto 38); del 23 marzo 2010, Google Francia e Google (da C-236/08 a C-238/08, Racc. pag. I-2417, punto 77); del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C-487/07, Racc. pag. I-5185, punto 58); v. Cornish, W. e a., Intellectual Property, London, Sweet & Maxwell, VII ed. 2010, pagg. da 658 a 661.

( 22 ) Jehoram, T. e a., European Trademark Law, Kluwer, Alpen aan den Rijn, 2010, pagg. 12 e 13.

( 23 ) Fezer, K.-.H., Markenrecht, C.H. Beck, München, IV ed. 2009, introduzione, paragrafo 8.

( 24 ) Conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Parfums Christian Dior, sentenza del 4 novembre 1997 (C-337/95, Racc. pag. I-6013, paragrafo 39) (corsivo solo qui).

( 25 ) Sulla diversa questione delle sanzioni in materia di marchi per le caratteristiche fortemente variabili di un prodotto, v. (nel diritto americano) Hennig-Bodewig, F., Die Qualitätsfunktion der Marke im amerikanischen Recht, GRUR Int. 1985, 445.

( 26 ) Sentenza Björnekulla Fruktindustrier, citata alla nota 2, punti 24 e 26.

( 27 ) Conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Björnekulla Fruktindustrier, citata alla nota 2, paragrafi da 29 a 43.

( 28 ) L’avvocato generale Léger ritiene tuttavia che dalla formulazione e dalla prassi dell’Ufficio Marchi si desuma che occorre basarsi sia sull’opinione del consumatore medio sia su quella degli ambienti professionali che si occupano della commercializzazione.

( 29 ) Sentenze del 6 maggio 2003, Libertel (C-104/01, Racc. pag. I-3793, punti 45 e 46); del 12 febbraio 2004, Koninklijke KPN Nederland (C-363/99, Racc. pag. I-1619, punto 76); del 12 febbraio 2004, Henkel (C-218/01, Racc. pag. I-1725, punto 50); del 21 ottobre 2004, UAMI/Erpo Möbelwerk (C-64/02 P, Racc. pag. I-10031, punto 43); del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee (C-108/97 e C-109/97, Racc. pag. I-2779, punto 53); conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Merz & Krell, citata supra alla nota 9, paragrafo 44, e conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella causa Levi Strauss, citata supra alla nota 5, paragrafo 23.

( 30 ) Sentenza Windsurfing Chiemsee, citata supra alla nota 29, punto 29.

( 31 ) Sentenza Björnekulla Fruktindustrier, citata supra alla nota 2, punto 24.

( 32 ) In tal senso, con riguardo però all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 40/94, v. sentenza del 26 aprile 2007, Alcon/UAMI (C-412/05 P, Racc. pag. I-3569, punto 56). V. pure le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Alcon/UAMI (paragrafi da 48 a 52).

( 33 ) Bayer Co. v. United Drug Co. (S.D.N.Y. 1921), 272 F. 505. V. Berner Intern. Corp. V. Mars Sales Co. (3rd Cir. 1993), 987 F.2d 975; Lemley, M. e McKenna, M., Is Pepsi Really a Substitute for Coke?, 100 Georgetown L.J. pagg. 2055, da 2066 a 2069 (2012).

( 34 ) Proceso 11-IP-2002.

( 35 ) 4 Ob 128/04h – Memory. L’argomento da ultimo menzionato viene invocato anche dalla giurisprudenza tedesca a favore di un’interpretazione restrittiva: OLG München, GRUR-RR 2006, pagg. 84, 85, «Memory».

( 36 ) OGH, 4 Ob 269/01i – Sony Walkman II del 29 gennaio 2002; v. OGH, 4 Ob 128/04h – Memory del 6 luglio 2004.

( 37 ) Wittgenstein, L., Philosophische Untersuchungen, Akademie Verlag, Berlin 2011, paragrafo 43.

( 38 ) OGH, 4 Ob 128/04h – Memory del 6 luglio 2004.

( 39 ) Sentenza del 10 aprile 2008, adidas e adidas Benelux (C-102/07, Racc. pag. I-2439, punti da 22 a 24).

( 40 ) Sentenza Levi Strauss, citata supra alla nota 5, punto 34.

( 41 ) Sentenza Levi Strauss, citata supra alla nota 5, punti 29 e 30.

( 42 ) Nei limiti in cui sussista un diritto a tal riguardo, esso deve essere esercitato. Direttive relative ai procedimenti dinanzi all’UAMI, versione finale: novembre 2007, parte D, sezione 2, pag. 9.

( 43 ) BK 595/2008-4 – 5HTP; De la Fuente García, E. in O’Callaghan Muñoz, X., Propiedad Industrial, Centro de Estudios Ramón Areces, Madrid, 2001, pag. 223.

( 44 ) Eisenführ, G. in Eisenführ, G. & Schennen, D., Gemeinschaftsmarkenverordnung, Carl Heymanns Verlag, Köln, III ed. 2010, Articolo 51, paragrafo 22; Galli, C. e a. in Bonilini G. & Confortini, M., Codice Commentato della Proprietà Industriale e Intellettuale, UTET, Milanofiori Assago 2011, pag. 191.