CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate l’11 aprile 2013 ( 1 )

Causa C‑5/12

Marc Betriu Montull

contro

Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado de lo Social n. 1 de Lleida (Spagna)]

«Politica sociale — Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Direttiva 76/207/CEE — Articoli 2 e 5 — Direttiva 92/85/CEE — Articolo 8 — Diritto a un congedo di maternità in favore di madri lavoratrici subordinate — Possibile utilizzo da parte della madre lavoratrice subordinata o del padre lavoratore subordinato — Madre lavoratrice autonoma — Esclusione del diritto a un congedo per il padre lavoratore subordinato — Direttiva 96/34/CE — Accordo quadro sul congedo parentale — Diritti della madre e del padre — Padri biologici e padri adottivi»

I – Introduzione

1.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, depositata presso la cancelleria della Corte il 3 gennaio 2012, verte sull’interpretazione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro ( 2 ), e della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES ( 3 ).

2.

Le questioni poste dal Juzgado de lo Social n. 1 de Lleida [Tribunale per la legislazione in materia sociale di Lleida] (Spagna) rientrano nell’ambito di una controversia tra il sig. Betriu Montull e l’Instituto Nacional de la Seguridad Social [Istituto nazionale della previdenza sociale] (in prosieguo: l’«INSS») riguardo all’applicazione del combinato disposto dell’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori ( 4 ) e dell’articolo 113 bis della legge generale in materia previdenziale ( 5 ). L’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori ( 6 ) prevede un congedo di maternità di sedici settimane, di cui le prime sei successive al parto vengono prese obbligatoriamente dalla madre del bambino. La madre può quindi decidere di trasferire al padre interamente o in parte il restante periodo del congedo di maternità. L’articolo 133 bis della legge generale in materia previdenziale prevede un’indennità di maternità per i periodi di riposo accordati per la maternità in applicazione dell’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori.

3.

Il sig. Betriu Montull è un lavoratore dipendente iscritto al regime generale spagnolo di previdenza sociale. La sig.ra Macarena Ollé, Procuradora de los Tribunales [figura professionale distinta sebbene con tratti affini a quelli dell’avvocato], è assicurata presso la Mutualidad General de los Procuradores, regime separato dal sistema spagnolo di previdenza sociale ( 7 ).

4.

Dopo la nascita del loro figlio, avvenuta il 20 aprile 2004 a Lleida e, presumo, con il consenso della madre, come previsto dalla legislazione spagnola, il sig. Betriu Montull chiedeva un’indennità di maternità per il periodo successivo alle sei settimane di riposo obbligatorio che la madre deve prendere subito dopo il parto. Con decisioni del 28 luglio e dell’8 agosto 2004, la domanda è stata respinta dall’INSS. A parere di quest’ultimo, poiché la madre non era iscritta presso alcun regime previdenziale pubblico e, di conseguenza, non era titolare del diritto originario al congedo all’origine della situazione protetta dal sistema previdenziale, il padre, in un caso di maternità biologica, dispone non già di un diritto individuale, autonomo e indipendente, bensì soltanto di un diritto necessariamente derivato da quello della madre.

5.

Il 13 settembre 2004 il sig. Betriu Montull ha presentato dinanzi al giudice del rinvio un ricorso contro la decisione dell’INSS per chiedere il riconoscimento del suo diritto all’indennità, facendo valere, tra le altre questioni, una violazione del principio della parità di trattamento.

6.

Il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni nazionali di cui trattasi, che concepiscono il diritto del padre all’indennità come derivato da quello della madre, violino il principio della parità tra uomini e donne.

II – Contesto normativo

A – Diritto dell’Unione

1. La direttiva 76/207

7.

L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 76/207 così recita:

«Scopo della presente direttiva è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso “principio della parità di trattamento”».

8.

L’articolo 2 di tale direttiva prevede quanto segue:

«1.   Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

(…)

3.   La presente direttiva non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.

4.   La presente direttiva non pregiudica le misure volte a promuovere la parità delle opportunità per gli uomini e le donne, in particolare ponendo rimedio alle disparità di fatto che pregiudicano le opportunità delle donne nei settori di cui all’articolo 1, paragrafo 1».

9.

Ai sensi dell’articolo 5 di detta direttiva:

«1.   L’applicazione del principio della parità trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso.

2.   A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché:

a)

siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento;

b)

siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro, nei regolamenti interni delle imprese nonché negli statuti delle professioni indipendenti;

c)

siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento, originariamente ispirate da motivi di protezione non più giustificati; per le disposizioni contrattuali di analoga natura, le parti sociali siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni».

2. La direttiva 92/85/CEE

10.

La direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) ( 8 ) ha per oggetto, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, «l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento».

11.

L’articolo 8 della direttiva 92/85, intitolato «Congedo di maternità», prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

2.   Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

3. La direttiva 96/34

12.

Ai sensi dell’articolo 1, la direttiva 96/34 mira ad attuare l’accordo quadro sul congedo parentale concluso il 14 dicembre 1995 tra le organizzazioni interprofessionali a carattere generale (UNICE, CEEP e CES), e che figura nell’allegato della direttiva stessa.

13.

In forza della clausola 1, punto 2, dell’accordo quadro allegato alla direttiva 96/34, l’«accordo si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, dai contratti collettivi o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro».

14.

La clausola 2 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 96/34, intitolata «Congedo parentale», dispone quanto segue:

«1.

Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali.

2.

Per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne le parti firmatarie del presente accordo considerano che il diritto al congedo parentale previsto alla clausola 2.1 dovrebbe, in linea di principio, essere attribuito in forma non trasferibile.

3.

Le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale sono definite dalla legge e/o dai contratti collettivi negli Stati membri, nel rispetto delle prescrizioni minime del presente accordo. (…)».

B – Diritto spagnolo

15.

Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, lo Statuto dei lavoratori trova applicazione nei confronti di coloro che prestano volontariamente servizio a titolo oneroso a favore di un terzo all’interno di un’organizzazione e sotto la direzione di una persona fisica o giuridica, denominata «datore di lavoro o imprenditore».

16.

Conformemente all’articolo 1, paragrafo 3, dello Statuto dei lavoratori:

«Sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente legge:

(…)

g)

in generale, qualsiasi attività svolta in condizioni diverse da quelle stabilite al paragrafo 1 del presente articolo (…)».

17.

L’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, nella versione applicabile all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che risalgono al 2004 ( 9 ), dispone quanto segue:

«In caso di parto, il contratto è sospeso per una durata ininterrotta di 16 settimane, (…). Il periodo di sospensione è ripartito a piacimento dell’interessata, purché almeno 6 settimane seguano immediatamente il parto (…)».

Nonostante quanto disposto nel precedente paragrafo, e fatte salve le sei settimane di riposo obbligatorio per la madre immediatamente successive al parto, nel caso in cui il padre e la madre lavorino, quest’ultima può, all’inizio del periodo di congedo di maternità, decidere che il padre fruisca di una parte determinata e ininterrotta del periodo di riposo successivo al parto, contemporaneamente o successivamente al congedo della madre, salvo che, nel momento previsto per il ritorno della madre al lavoro, tale ritorno comporti un rischio per la salute di quest’ultima.

(…)

Nei casi di adozione e di affidamento, sia preadottivo che permanente, di minori fino ai sei anni di età, il contratto è sospeso per una durata ininterrotta di sedici settimane, che può essere prolungata, in caso di adozione o affidamento multiplo, di due settimane per ciascun figlio minorenne a partire dal secondo, che iniziano a decorrere, a scelta del lavoratore, dalla sentenza di adozione o dalla decisione amministrativa o giurisdizionale di affidamento, provvisoria o definitiva. Una sospensione di sedici settimane è parimenti prevista nei casi di adozione o affidamento di minori di età superiore ai sei anni, quando si tratti di minori disabili o di minori che, a causa delle circostanze o esperienze personali, o in quanto provengono da un paese estero, presentino particolari difficoltà di inserimento sociale e familiare, debitamente attestate dai servizi sociali competenti. Nel caso in cui il padre e la madre lavorino, il periodo di sospensione viene ripartito a piacimento degli interessati che potranno usufruirne simultaneamente o consecutivamente, ma sempre per periodi ininterrotti ed entro i limiti indicati.

Nel caso in cui entrambi i genitori fruiscano simultaneamente del periodo di congedo, la somma dei rispettivi periodi di riposo non potrà essere superiore alle sedici settimane previste nei precedenti paragrafi né eccedere le settimane attribuite in caso di parto, adozione o affidamento multipli.

(…)».

18.

L’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori è stato successivamente modificato dalla legge organica n. 3/2007 in favore dell’effettiva uguaglianza tra donne e uomini (Ley orgánica 3/2007 para la igualdad efectiva de mujeres y hombres), del 22 marzo 2007 (BOE n. 71, del 23 marzo 2007, pag. 12611). Per quanto qui rileva, l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori è stato modificato con l’aggiunta del comma seguente:

«Qualora la madre non abbia diritto ad una sospensione dell’attività lavorativa con il correlativo diritto a talune prestazioni in forza delle norme regolanti tale attività, l’altro genitore ha diritto ad una sospensione del contratto di lavoro per il periodo che avrebbe dovuto essere corrisposto alla madre, compatibilmente con l’esercizio del diritto riconosciuto nell’articolo seguente [sospensione del contratto di lavoro legata alla paternità]. (…)» ( 10 ).

19.

L’articolo 133 bis della legge generale in materia previdenziale così prevede:

«Ai fini dell’indennità di maternità si considerano situazioni protette la maternità, l’adozione e l’affidamento, sia preadottivo che permanente, durante i periodi di riposo di cui i lavoratori fruiscano in virtù di tali situazioni, conformemente all’articolo 48, paragrafo 4 del testo consolidato dello Statuto dei lavoratori, adottato con il Real decreto législatif 1/1995 (regio decreto legislativo) del 24 marzo 1995, ed all’articolo 30, paragrafo 3, della legge 30/1984 relativa alla riforma della funzione pubblica, del 2 agosto 1984».

III – Procedimento principale e questioni pregiudiziali

20.

Oltre ai fatti descritti ai paragrafi da 3 a 5 supra, va rilevato che il 20 aprile 2005 il giudice del rinvio ha proposto al Tribunal Constitucional (Corte costituzionale) una questione vertente sulla conformità dell’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori con la Costituzione spagnola. Con sentenza del 19 maggio 2011 la Corte costituzionale ha giudicato che la disposizione de qua non era contraria agli articoli 14 (principio di non discriminazione), 39 (protezione sociale, economica e giuridica della famiglia) e 41 (sistema di previdenza sociale) della Costituzione.

21.

Tuttavia, il giudice del rinvio nutre dubbi riguardo alla conformità di tale disposizione con il diritto dell’Unione e, più in particolare, con il principio generale della parità di trattamento.

22.

Il giudice del rinvio rileva che non vi sono contestazioni riguardo al periodo di riposo obbligatorio di sei settimane che la madre è tenuta a prendere subito dopo il parto. Per quanto riguarda, invece, il periodo ulteriore di dieci settimane, egli osserva che, essendo il diritto del padre concepito come un diritto derivato da quello della madre, la legislazione nazionale tratta in modo diverso il padre e la madre lavoratori subordinati anche se le rispettive situazioni sono analoghe.

23.

Secondo il giudice del rinvio, il periodo di sospensione del contratto con il diritto di mantenere il posto di lavoro, di cui all’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, fatte salve le sei settimane successive al parto, deve essere considerato come un congedo parentale e come una misura intesa a conciliare la vita familiare con quella professionale, giacché la condizione biologica della gravidanza e del parto, che riguarda esclusivamente la donna, è determinante solo per il periodo di riposo obbligatorio per la madre.

24.

Tale giudice ritiene pertanto che il periodo di congedo di cui al procedimento principale debba poter essere utilizzato indifferentemente dalla madre o dal padre, qualora entrambi abbiano la qualità di lavoratori subordinati e nella loro qualità di genitori del bambino.

25.

Secondo il giudice del rinvio, la legge spagnola de qua attua anche una disparità di trattamento tra il padre biologico e il padre adottivo. Infatti, in caso di adozione l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori consente al padre e alla madre, qualora lavorino entrambi, di ripartire a loro piacimento il periodo di riposo. In tal caso il diritto al congedo si configura dunque non già come diritto originario della madre, che può cederlo al padre, bensì come un periodo di sospensione ripartito di comune accordo tra il padre e la madre. Di conseguenza, in caso di adozione il padre lavoratore subordinato iscritto a un regime del sistema previdenziale potrà fruire interamente del congedo e percepire l’indennità corrispondente, anche se la madre non è una lavoratrice iscritta a un regime del sistema previdenziale, mentre, nella medesima situazione, in caso di maternità biologica e di parto, il padre non potrà fruire delle ultime dieci settimane del periodo di congedo, poiché tale diritto al congedo è considerato come un diritto originario della madre.

26.

In base alle considerazioni che precedono, il Juzgado de lo Social de Lleida n. 1 ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se la direttiva [76/207] e la direttiva [96/34] ostino ad una disposizione nazionale come, segnatamente, l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, che configura la titolarità del diritto al congedo per maternità in caso di parto, trascorso il periodo delle sei settimane successive al parto, e facendo salvi i casi in cui sia messa in pericolo la salute della madre, come un diritto originario ed autonomo delle madri lavoratrici subordinate e come un diritto derivato dei padri lavoratori subordinati, i quali possono fruire di detto congedo solo nei limiti in cui anche la madre del bambino abbia lo status di lavoratrice subordinata e decida di cederne al padre il godimento di una parte determinata.

2)

Se risulti contraria al principio della parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, una disposizione nazionale, come, segnatamente, l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, che, in caso di parto, concepisce la sospensione del contratto di lavoro con mantenimento del posto di lavoro, la cui copertura finanziaria è a carico del sistema previdenziale, come un diritto originario della madre e non del padre, anche dopo che sia trascorso il periodo delle sei settimane successive al parto, e facendo salvi i casi in cui sia messa in pericolo la salute della madre, talché la possibilità che un lavoratore subordinato ottenga il congedo in parola dipende dalla circostanza che anche la madre del bambino sia una lavoratrice subordinata.

3)

Se sia contraria al principio della parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, una disposizione nazionale, come, segnatamente, l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, che riconosce un diritto originario alla sospensione del contratto di lavoro, con mantenimento del posto di lavoro, la cui copertura finanziaria è a carico del sistema previdenziale, ai padri lavoratori subordinati che adottino un figlio, mentre, nel caso dei padri lavoratori subordinati che abbiano un figlio biologico, essa riconosce loro non già un diritto di sospensione individuale, autonomo e indipendente, ma unicamente un diritto derivato dal diritto della madre».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

27.

Hanno presentato osservazioni scritte l’INSS, i governi spagnolo e polacco e la Commissione europea. Tali parti hanno svolto osservazioni orali all’udienza che si è tenuta il 21 febbraio 2013.

V – Analisi

A – La ricevibilità delle questioni pregiudiziali

28.

Il governo spagnolo ritiene che le questioni pregiudiziali siano irricevibili. A suo avviso la decisione di rinvio non espone le ragioni precise che giustificano la rilevanza delle questioni pregiudiziali, il che ne evidenzia la natura puramente ipotetica. Il giudice del rinvio avrebbe infatti chiesto alla Corte un parere consultivo sull’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione in combinato disposto con l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori.

29.

All’udienza, anche l’INSS ha sostenuto che le questioni pregiudiziali sono irricevibili. A suo avviso, dato che l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori prevede un congedo per una durata ininterrotta di sedici settimane, le questioni pregiudiziali proposte nove anni dopo il parto sono giocoforza ipotetiche, poiché vengono espresse in un momento in cui la possibilità di usufruire di tale congedo è esclusa.

30.

Secondo una costante giurisprudenza, il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione fra la Corte ed i giudici nazionali per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che son loro necessari per la soluzione della controversia che sono chiamati a dirimere. Nell’ambito di detta cooperazione le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte. La funzione assegnata alla Corte nell’ambito dei procedimenti di pronuncia pregiudiziale consiste, infatti, nel contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri e non nell’esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche ( 11 ).

31.

Nel caso di specie, dalla decisione del giudice del rinvio e dalle questioni pregiudiziali proposte emerge che quest’ultimo si chiede se le disposizioni del diritto dell’Unione, ossia le direttive 76/207 e 96/34, ostino a una norma come quella prevista dall’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori. Benché, in realtà, nella controversia principale il sig. Bertiu Montull abbia chiesto di usufruire dell’«indennità di maternità» prevista dall’articolo 133 bis della legge generale in materia previdenziale e benché tale legge non definisca le condizioni per avere diritto all’indennità in questione, essa tuttavia, tramite lo stesso articolo 133 bis, fa rinvio all’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori che fissa tali condizioni.

32.

Considerato il diretto collegamento tra queste due disposizioni espressamente previsto dal legislatore spagnolo, non capisco perché le questioni del giudice del rinvio sarebbero di natura generale o ipotetica né perché la risposta della Corte alle suddette questioni sarebbe priva di interesse per la soluzione della controversia di cui al procedimento principale.

33.

Inoltre, per quanto riguarda le osservazioni dell’INSS esposte supra al paragrafo 29, ritengo che, anche ammettendo la presunta impossibilità per il sig. Betriu Montull di godere retroattivamente del congedo de quo, quest’ultimo, oltre a richiedere un’indennità, può in ogni caso far valere i suoi diritti al risarcimento nei confronti dell’INSS, come del resto quest’ultimo ha dichiarato in udienza.

34.

Pertanto, considero ricevibili le questioni pregiudiziali.

35.

Tuttavia, occorre rilevare sin da ora che, dato che il giudice del rinvio non ha esposto nella decisione di rinvio il contesto normativo nazionale relativo al congedo parentale, mi asterrò dall’esaminare la questione se la direttiva 96/34 osti a una misura come quella prevista dall’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori ( 12 ).

B – Sul merito delle questioni pregiudiziali

1. Argomenti

36.

Per quanto riguarda la prima questione, l’INSS considera che non è contraria alla direttiva 92/85 la mancata autorizzazione del trasferimento al padre del diritto di percepire l’indennità di maternità nel caso in cui la madre non vi abbia essa stessa diritto a causa della sua iscrizione volontaria a una mutua che non riconosce tale protezione, dal momento che nessuno può trasferire un diritto che non ha.

37.

L’INSS osserva che il congedo parentale previsto dalla direttiva 96/34 è diverso da quello oggetto del procedimento principale. Secondo l’INSS il diritto al congedo parentale è trasposto nel diritto spagnolo dall’articolo 46, paragrafo 3, dello Statuto dei lavoratori, ai sensi del quale «i lavoratori hanno diritto a un periodo di prolungamento del congedo non superiore a tre anni al fine di occuparsi del figlio naturale, adottivo o in affidamento permanente o precedente l’adozione, anche in caso di affidi provvisori, a decorrere dalla data di nascita del figlio, o, eventualmente, della decisione giudiziaria o amministrativa». Questo congedo parentale sarebbe diretto a conciliare le responsabilità professionali e familiari dei genitori lavoratori (uomini o donne) mentre il congedo di cui trattasi nel procedimento principale avrebbe la finalità di preservare la salute della madre e le relazioni particolari tra la madre e il neonato dopo il parto.

38.

Per quanto riguarda la seconda questione, l’INSS osserva che il sig. Betriu Montull non ha usufruito del congedo de quo perché la sig.ra Macarena Ollé, madre del loro figlio, era iscritta volontariamente alla Mutualidad Gerneral de los Procuradores e non al regime previdenziale generale. Secondo l’INSS, il diritto di sospendere l’attività professionale in occasione della maternità, con il correlativo diritto di percepire un’indennità durante il periodo di congedo e la possibilità di condividere tale congedo retribuito con il padre del bambino, dipende non già dalla qualità di lavoratrice subordinata della madre, bensì dalla sua scelta di iscriversi o meno nell’ambito della tutela del sistema previdenziale previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi.

39.

Per quanto riguarda la terza questione, l’INSS ritiene che la disparità di trattamento tra i padri lavoratori subordinati, a seconda che siano padri adottivi o biologici, è pienamente giustificata poiché, nel caso di un genitore biologico, è ragionevole che il diritto sia esclusivamente previsto per la madre, la quale deve potersi riprendere dalla gravidanza e dal parto, mentre la sospensione del contratto in caso di adozione o di affidamento sarebbe finalizzata a facilitare l’integrazione armoniosa del bambino nella cellula familiare, cosa che riguarda indistintamente il padre o la madre.

40.

Il governo spagnolo osserva che il legislatore spagnolo ha legiferato nel rispetto della lettera dell’articolo 8 della direttiva 92/85 e del margine di discrezionalità che in esso viene lasciato agli Stati membri. Secondo il governo spagnolo, il fatto che la madre possa non solo rinunciare integralmente al periodo successivo alle sei settimane di riposto che deve obbligatoriamente prendere dopo il parto, ma anche condividerlo o cederlo al padre rispetta il tenore e la finalità della direttiva 92/85 permettendo di coinvolgere il padre negli adempimenti familiari.

41.

Il governo spagnolo considera che la possibilità di sospendere il contratto di lavoro mantenendo il posto in caso di adozione è conforme alle disposizioni delle direttive 96/34 e 76/207. A suo avviso, la direttiva 96/34 riconosce che la nascita e l’adozione di un bambino non sono casi equivalenti, in quanto la clausola 2, punto 3, lettera c), dell’accordo quadro allegato dispone che gli Stati membri potranno in particolare adattare le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale alle circostanze particolari dell’adozione. Esso conseguentemente ritiene che il legislatore europeo lasci agli Stati membri un margine di discrezionalità per adattare il congedo parentale alle circostanze particolari dell’adozione.

42.

Secondo il governo polacco, se il legislatore nazionale permette ai padri lavoratori di beneficiare di parte del congedo di maternità, è legittimo che tale diritto sia derivato da quello della madre lavoratrice. Esso rileva che è alla madre del bambino, e non al padre, che il diritto dell’Unione accorda il congedo di maternità. Una volta acquisito, è vero che la madre può rinunciare a una parte dello stesso e trasferirla al padre, ma quest’ultimo non potrà pretendere di occuparsi del bambino e di beneficiare del congedo di maternità al posto della madre. Una tale soluzione sarebbe contraria agli obiettivi del congedo di maternità che mirano a proteggere la madre e la sua relazione con il proprio figlio. Il governo polacco ritiene che se una donna che non ha lo status di lavoratore non ha acquisito alcun diritto a un congedo, a maggior ragione non potrà trasferirlo al padre del bambino. Esso rileva che soltanto un’analisi che presuppone il carattere derivato del diritto del padre del bambino a usufruire del congedo di maternità consente di preservare la funzione fondamentale di tale congedo e di differenziarlo dal congedo parentale.

43.

Secondo il governo polacco, il diritto al congedo di adozione e le condizioni per il suo esercizio non sono previsti nel diritto dell’Unione e rimangono di competenza esclusiva del legislatore nazionale, ragion per cui non possono essere valutati sotto il profilo del principio generale della parità di trattamento.

44.

La Commissione osserva che la legislazione spagnola si colloca al di fuori dell’ambito di applicazione della direttiva 92/85, poiché un lavoratore (di sesso maschile) non potrebbe in nessun caso beneficiare del congedo di maternità ai sensi di tale direttiva. Secondo la Commissione, l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori stabilisce una disparità di trattamento fondata sul sesso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 76/207, tra le madri aventi lo status di lavoratore subordinato e i padri aventi lo stesso status. Questa disparità di trattamento non può essere giustificata da ragioni legate alla tutela della gravidanza e della maternità, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207.

45.

La Commissione sostiene che il periodo di sospensione del contratto di lavoro di dieci settimane, di cui al procedimento principale, si distingue in tal senso dai periodi di riposo obbligatorio per la madre, in particolare dalle sei settimane immediatamente successive al parto. Essa rileva che le sei settimane immediatamente successive al parto costituiscono un periodo di riposo obbligatorio per la madre, periodo che pertanto è legato alla protezione della madre e delle particolari relazioni tra la madre e il proprio bambino nel corso del periodo successivo al parto.

46.

Per contro, secondo la Commissione, nel permettere al padre di beneficiare di un periodo successivo di dieci settimane, la legislazione spagnola distacca tale periodo dal fatto biologico della maternità. Nella legislazione spagnola questo periodo sarebbe concepito come un periodo dedicato alle cure e alla protezione del bambino, del quale possono beneficiare tanto la madre quanto il padre lavoratori subordinati.

47.

La Commissione considera che le conclusioni cui la Corte è pervenuta nella sua sentenza del 30 settembre 2010 nella causa Roca Álvarez ( 13 ) sono applicabili al caso di specie. Secondo la Commissione, gli articoli 2 e 5 della direttiva 76/207, anche nel caso di specie, debbono essere interpretati nel senso che ostano a una misura nazionale, come quella oggetto della controversia di cui al procedimento principale, che riconosce alle madri lavoratrici subordinate il diritto alla sospensione del contratto di lavoro in caso di parto, oltre le sei prime settimane di riposo obbligatorio per la madre, mentre i padri lavoratori subordinati possono beneficiare di tale sospensione solo se anche la madre ha lo status di lavoratore subordinato.

48.

La Commissione sostiene di non disporre di elementi sufficienti per poter concludere che il periodo di riposo previsto dall’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, fatta eccezione per le sei settimane di riposo obbligatorio per la madre, costituisce un congedo parentale ai sensi della direttiva 96/34.

2. Analisi

a) Sulla prima e sulla seconda questione

49.

Con la prima e la seconda questione, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le direttive 76/207 e 96/34, nonché il principio della parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede una disparità di trattamento fondata sul sesso, in quanto riconosce alle madri lavoratrici subordinate il diritto alla sospensione del contratto di lavoro in caso di parto, oltre le sei settimane di riposo obbligatorio per la madre dopo il parto, e facendo salvi i casi in cui vi sia pericolo per la sua salute, mentre i padri lavoratori subordinati possono fruire di tale sospensione soltanto se anche la madre possiede lo status di lavoratore subordinato e sceglie (come consentito dalla legislazione de qua) di cedere al padre una parte determinata di tale congedo.

50.

È pacifico che l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori prevede in caso di parto un congedo di durata ininterrotta di sedici settimane, di cui le sei settimane successive al parto vengono obbligatoriamente prese dalla madre. Inoltre, dal dettato di tale disposizione e dal fascicolo dinanzi alla Corte risulta chiaramente che la madre può decidere che il padre usufruisca interamente o in parte del restante periodo di congedo fino a un massimo di dieci settimane. A tal riguardo, va sottolineato che la scelta effettuata dalla madre nella controversia di cui al procedimento principale non viene messa in discussione.

51.

Inoltre, il giudice del rinvio non solleva questioni relative alle sei settimane di riposo obbligatorio per la madre dopo il parto ( 14 ), e non si tratta, nella fattispecie, di un rischio per la salute della madre, nel qual caso la madre non può decidere che sia il padre a usufruire del restante periodo di congedo ( 15 ).

52.

In via preliminare, è opportuno mettere a confronto l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori con l’articolo 8 della direttiva 92/85.

53.

Faccio notare che, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 92/85, le lavoratrici fruiscono di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte. Tale disposizione non prevede alcun congedo per il padre del bambino. A differenza di tale articolo, il cui ambito di applicazione ratione personae vale solo per le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ( 16 ), i lavoratori di sesso maschile rientrano, a certe condizioni, nell’ambito di applicazione dell’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori.

54.

Tuttavia, ritengo che lo stesso tenore letterale dell’articolo 8 della direttiva 92/85 permetta agli Stati membri di adottare misure addizionali o che vanno oltre le esigenze minime previste da tale disposizione, a patto evidentemente che tali esigenze minime siano rispettate ( 17 ). Al riguardo, considero, conformemente alle osservazioni del governo spagnolo riportate supra, al paragrafo 40, che l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, permettendo alla madre di far usufruire il padre del bambino del congedo di maternità interamente o in parte, vada oltre le esigenze minime previste dall’articolo 8 della direttiva 92/85 pur rispettando il regime vincolante che esso impone agli Stati membri.

55.

Infatti, da un lato, il congedo di maternità riservato alla madre è di sei settimane dopo il parto, mentre la direttiva 92/85 ne impone soltanto due (ripartite prima e/o dopo il parto), e, dall’altro lato, la possibilità per la madre di far usufruire il padre del rimanente periodo di congedo viene meno se, «nel momento previsto per il ritorno della madre al lavoro, tale ritorno comporti un rischio per la salute di quest’ultima» ( 18 ), il che rientra nell’obiettivo della direttiva 92/85, che è quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ( 19 ).

56.

A titolo di precisazione, va sottolineato che anche se l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 92/85 prevede che soltanto le due prime settimane (prima o dopo il parto) costituiscano un congedo di maternità obbligatorio, il diritto della madre del bambino di fruire delle quattordici settimane di congedo di maternità previste dall’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 92/85 non potrebbe in nessun caso essere revocato contro la sua volontà a beneficio del padre del bambino ( 20 ).

57.

Di conseguenza, considero che la possibilità per il padre del bambino di fruire, in certe condizioni ed esclusivamente su iniziativa della madre, di un congedo di dieci settimane come nella controversia di cui al procedimento principale, rispetti l’articolo 8 della direttiva 92/85.

58.

Tale possibilità dev’essere ancora esaminata alla luce della direttiva 76/207 ( 21 ). Secondo l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 76/207, essa mira all’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda, in particolare, l’accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro. Tale principio è precisato agli articoli 2 e 5 di detta direttiva. L’articolo 2, paragrafo 1, dispone che il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia. L’articolo 5, paragrafo 1, della citata direttiva prevede che l’applicazione di tale principio, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso ( 22 ).

59.

Come emerge chiaramente dalla decisione di rinvio, oltre le sei settimane di riposo successive al parto una madre lavoratrice subordinata ha, in linea di principio, il diritto di fruire di dieci settimane supplementari di congedo, mentre un padre lavoratore subordinato può beneficiare di queste dieci settimane soltanto con il consenso della madre (che non è in discussione nella controversia principale) e a condizione che i due genitori abbiano lo status di lavoratore subordinato.

60.

Di fatto, tale misura è analoga a quella discussa nella citata causa Roca Álvarez, che verteva sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafi 1, 3 e 4, nonché dell’articolo 5 della direttiva 76/207 e si inseriva nell’ambito di una controversia tra il signor Roca Álvarez e il suo datore di lavoro relativamente al rifiuto di quest’ultimo di concedergli un permesso detto «per allattamento».

61.

La normativa spagnola in discussione nella suddetta causa riservava, normalmente, il diritto al permesso detto «per allattamento» alle madri dei bambini, mentre il padre poteva beneficiare di questo permesso soltanto sul presupposto che i due genitori avessero lo status di lavoratore subordinato. In tal senso, la qualità di genitore non era sufficiente a consentire agli uomini con lo status di lavoratore subordinato di beneficiare del permesso, mentre lo era per le donne aventi lo stesso status ( 23 ).

62.

La Corte, dopo aver ricordato la sua giurisprudenza secondo la quale «le situazioni di un lavoratore di sesso maschile e di un lavoratore di sesso femminile, rispettivamente padre e madre di bambini in tenera età, sono infatti equiparabili sotto il profilo della necessità di ridurre il loro orario di lavoro giornaliero per occuparsi del bambino» ( 24 ), ha dichiarato che la normativa in questione stabiliva «una “discriminazione di trattamento fondata sul sesso”, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 76/207, tra le madri aventi lo status di lavoratore subordinato e i padri aventi lo stesso status» ( 25 ).

63.

La Corte ha poi esaminato se tale differenza di trattamento fosse giustificata ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 3 e 4, della direttiva 76/207, il quale precisa che tale direttiva fa salve le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità, nonché le misure volte a promuovere le pari opportunità per gli uomini e le donne, in particolare ponendo rimedio alle disparità di fatto che pregiudicano le opportunità delle donne in merito alle condizioni di lavoro.

64.

Secondo la Corte, il fatto che il permesso detto «per allattamento», in forza della normativa nazionale, potesse essere preso indifferentemente dal padre lavoratore subordinato o dalla madre lavoratrice subordinata implicava che l’alimentazione ed il tempo d’attenzione al bambino potevano essere garantiti tanto dal padre quanto dalla madre.

65.

Di conseguenza, tale normativa non poteva essere considerata come volta a garantire la protezione della condizione biologica della donna dopo la gravidanza o la protezione delle particolari relazioni tra la madre ed il proprio bambino, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207. Infatti, la normativa nazionale svincolava la concessione del permesso detto «per allattamento» dal fatto biologico dell’allattamento, con la conseguenza che esso non rientrava nell’eccezione prevista dall’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207.

66.

La Corte ha inoltre dichiarato in tale sentenza che il fatto che solo la madre avente lo status di lavoratore subordinato fosse titolare del diritto a beneficiare del permesso detto «per allattamento», mentre il padre avente lo stesso status poteva soltanto usufruire di questo diritto senza averne la titolarità, era tale da perpetuare una distribuzione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne mantenendo gli uomini in un ruolo sussidiario a quello delle donne per quanto riguarda l’esercizio della loro funzione genitoriale. La Corte ha poi affermato che il fatto di negare la fruizione del permesso ai padri aventi lo status di lavoratore subordinato, per la sola ragione che la madre del bambino non beneficiava di questo status, poteva avere come esito che una donna lavoratrice autonoma si vedesse obbligata a limitare la propria attività professionale e a farsi carico da sola degli oneri conseguenti alla nascita di suo figlio, senza poter ricevere un aiuto dal padre di quest’ultimo. Secondo la Corte, la normativa nazionale de qua non eliminava né riduceva le disuguaglianze di fatto che possono esistere, per le donne, nella realtà della vita sociale, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 76/207, né configurava «una misura che mira[va] ad una parità sostanziale e non formale riducendo le disuguaglianze di fatto che possono verificarsi nella vita sociale e, così, a prevenire o a compensare, ai sensi dell’articolo 157, paragrafo 4, TFUE, gli svantaggi nella carriera professionale delle persone interessate» ( 26 ).

67.

Riprendendo il ragionamento della Corte nella citata sentenza Roca Álvarez, appare evidente che la misura di cui al procedimento principale stabilisce, con riguardo ai periodi di riposo oggetto di tale procedimento, una disparità di trattamento fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 76/207, tra le madri aventi lo status di lavoratore subordinato e i padri aventi lo stesso status.

68.

Come dichiarato dalla Corte al punto 24 della citata sentenza Roca Álvarez, le situazioni di un lavoratore di sesso maschile e di un lavoratore di sesso femminile, rispettivamente padre e madre di bambini in tenera età, sono equiparabili sotto il profilo della necessità di ridurre il loro orario di lavoro giornaliero per occuparsi del bambino.

69.

Occorre poi esaminare se tale discriminazione contraria all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 76/207 possa essere giustificata in applicazione dei paragrafi 3 e 4 di tale medesimo articolo, i quali permettono di derogare al principio della parità di trattamento.

70.

Per quanto riguarda, in primo luogo, la protezione della gravidanza e della maternità, secondo una costante giurisprudenza, riservando agli Stati membri il diritto di mantenere in vigore o di istituire norme destinate a garantire tale protezione, l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207 riconosce la legittimità, in relazione al principio della parità di trattamento tra i sessi, da un lato, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza, e, dall’altro, della protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino, durante il periodo successivo al parto ( 27 ).

71.

Tuttavia, a differenza delle sei settimane di riposo immediatamente successive al parto che, ai fini della protezione della sua condizione biologica, debbono essere obbligatoriamente prese dalla madre, il congedo di dieci settimane di cui al procedimento principale non può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207. Infatti, prevedendo che la madre potrà, all’inizio del periodo di congedo per maternità, decidere che al di là delle prime sei settimane l’altro genitore fruisca di una parte determinata e continua delle successive dieci settimane di riposo, il legislatore spagnolo ha svincolato queste dieci settimane di congedo dalla condizione biologica della madre e, di conseguenza, dalla finalità dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207. Pertanto, tale congedo non rientra nell’ambito di applicazione di questa disposizione ( 28 ).

72.

Inoltre, le circostanze del procedimento principale debbono essere distinte da quelle della citata sentenza Hofmann. Infatti, come emerge da tale sentenza, il congedo per maternità oggetto della suddetta causa era integralmente riservato alla madre, ad esclusione di ogni altra persona, e strettamente legato alla protezione della condizione biologica della madre ( 29 ).

73.

Da quanto precede consegue che, come per il permesso detto «per allattamento» di cui alla citata sentenza Roca Álvarez, il congedo di dieci settimane nel caso di specie è accordato ai lavoratori nella loro sola qualità di genitori del bambino e non è legato alla protezione della condizione biologica della donna dopo la gravidanza o delle particolari relazioni tra la donna ed il proprio bambino ( 30 ).

74.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’eccezione prevista dall’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 76/207, che permette di derogare al principio di non discriminazione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della stessa direttiva, al fine di promuovere le pari opportunità tra uomini e donne e di ridurre le disuguaglianze di fatto che influiscono sulle opportunità delle donne nell’ambito delle condizioni di lavoro, secondo una «costante giurisprudenza [tale disposizione] ha lo scopo preciso e limitato di autorizzare provvedimenti che, pur apparendo discriminatori, mirano effettivamente a eliminare o a ridurre le disparità di fatto che possono esistere nella realtà della vita sociale. Tale norma autorizza misure nazionali in materia di accesso al lavoro, compresa la promozione, le quali, favorendo in special modo le donne, perseguono lo scopo di migliorare la loro capacità di competere sul mercato del lavoro e di coltivare una carriera in posizione di parità rispetto agli uomini (...). Il citato articolo 2, paragrafo 4, mira a ottenere una parità sostanziale anziché formale riducendo le disuguaglianze di fatto che possono intervenire nella vita sociale e, pertanto, ad evitare o a compensare, in conformità all’articolo 157, paragrafo 4, TFUE, gli svantaggi nella carriera professionale delle persone interessate (...)» ( 31 ).

75.

Il governo spagnolo osserva che, autorizzando la cessione del periodo volontario al padre, anziché perderne il godimento in caso di rinuncia, la legislazione de qua mira a correggere la tradizionale ripartizione dei ruoli tra uomini e donne che mantiene gli uomini in un ruolo subordinato nell’esercizio delle funzioni genitoriali.

76.

A mio avviso, anche se siffatto obiettivo di promuovere la correzione degli effetti che potrebbero contribuire a perpetuare una ripartizione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne è lodevole e dev’essere incoraggiato, è sufficiente ricordare che la Corte ha dichiarato, al punto 36 della citata sentenza Roca Álvarez, che il fatto che solo la madre avente lo status di lavoratore subordinato fosse titolare del diritto a beneficiare del permesso di cui alla suddetta causa, mentre il padre avente lo stesso status poteva soltanto usufruire di questo diritto senza averne la titolarità, era invece tale da perpetuare una distribuzione tradizionale dei ruoli tra uomini e donne mantenendo gli uomini in un ruolo sussidiario a quello delle donne per quanto riguarda l’esercizio della loro funzione genitoriale. La Corte ha aggiunto che l’esclusione della fruizione del permesso del padre lavoratore subordinato, per la sola ragione che la madre del bambino non beneficia di questo status, potrebbe avere come esito proprio che una donna si veda obbligata a limitare la propria attività professionale e a farsi carico da sola degli oneri conseguenti alla nascita del figlio, senza poter ricevere un aiuto dal padre di quest’ultimo ( 32 ). Tale ragionamento è applicabile mutatis mutandis a una misura come quella di cui alla causa principale. Di conseguenza, la disparità di trattamento istituita da una misura come quella de qua non può essere giustificata ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, della direttiva 76/207.

77.

Nella sua prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio fa riferimento anche alla direttiva 96/34 che attua l’accordo quadro sul congedo parentale.

78.

Va osservato che il giudice nazionale non ha indicato, nella decisione di rinvio, il contesto giuridico nazionale relativo al congedo parentale. Più in particolare, il giudice del rinvio non ha indicato la rilevanza, al riguardo, dell’articolo 46, paragrafo 3, dello Statuto dei lavoratori e il nesso tra tale disposizione e l’articolo 48, paragrafo 4, del suddetto Statuto. Di conseguenza, considero che, non essendo descritto nel fascicolo il contenuto della normativa spagnola in materia di congedo parentale, non vi è motivo di esaminare se la direttiva 96/34 osti a una misura come quella prevista dall’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori.

79.

In ogni modo, poiché ritengo che l’articolo 2, paragrafi 1, 3 e 4, nonché l’articolo 5 della direttiva 76/207 ostino a una misura nazionale come quella prevista dall’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, non è necessario esaminare quest’ultima disposizione alla luce della direttiva 96/34.

80.

Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di dichiarare, in risposta alla prima e alla seconda questione pregiudiziale, che l’articolo 2, paragrafi 1, 3 e 4, nonché l’articolo 5 della direttiva 76/207 debbono essere interpretati nel senso che ostano a una misura nazionale, come quella di cui trattasi al procedimento principale, la quale prevede una disparità di trattamento fondata sul sesso, in quanto riconosce alle madri lavoratrici subordinate il diritto alla sospensione del contratto di lavoro, oltre le sei settimane di riposo obbligatorio per esse dopo il parto, mentre i padri lavoratori subordinati possono fruire di tale sospensione solo se la madre, che sceglie di cedere al padre una parte determinata di tale congedo, abbia anch’essa lo status di lavoratore subordinato.

b) La terza questione

81.

Le risposte che suggerisco di dare alla prima e alla seconda questione pregiudiziale possono dispensarmi dal rispondere alla terza, con cui si interroga la Corte riguardo alla compatibilità con il principio della parità di trattamento di una disposizione nazionale, come l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, che riconosce un diritto originario alla sospensione del contratto di lavoro e alla copertura finanziaria a carico del sistema previdenziale ai padri lavoratori subordinati quando adottano un bambino, mentre, nel caso in cui abbiano un figlio biologico, il diritto ad essi riconosciuto è soltanto un diritto derivato da quello della madre.

82.

Mi permetto tuttavia di rilevare che, sebbene dal fascicolo dinanzi alla Corte emerga che l’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori opera una discriminazione netta ed evidente tra i padri adottivi e i padri biologici a sfavore di questi ultimi, il diritto dell’Unione non contiene alcuna disposizione che tuteli direttamente un padre biologico il quale risulti vittima di simile discriminazione. Tale discriminazione non è considerata né dal Trattato FUE né da alcuna direttiva e in particolare dalla direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ( 33 ) e che, in tale materia, è finalizzata alla lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali ( 34 ).

83.

Inoltre, come indicato supra al paragrafo 53, i lavoratori (di sesso maschile) non rientrano nella sfera di applicazione ratione personae della direttiva 92/85 che riguarda unicamente le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. L’intervento del legislatore dell’Unione sarebbe necessario al fine di ampliarne l’ambito di applicazione ai lavoratori (di sesso maschile) e di eliminare l’inevitabile nesso tra il congedo di maternità previsto dalla suddetta direttiva e la condizione biologica di una lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento.

84.

Infine, la disparità di trattamento in questione non rientra neppure nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207 che riguarda unicamente la discriminazione tra uomini e donne. Nel caso di specie, la disparità di trattamento è operata fra lavoratori di sesso maschile.

85.

Al limite, ci si potrebbe chiedere se una discriminazione come quella di cui trattasi sia conforme o meno alla clausola 2 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 96/34 che, al punto 1, non distingue affatto tra la nascita o l’adozione di un bambino ai fini della concessione di un diritto individuale a un congedo parentale e, al punto 3, permette agli Stati membri, nel rispetto delle prescrizioni minime della citata direttiva, di definire le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale. Sono incline a pensare che una disparità di trattamento così netta tra i padri adottivi e i padri biologici, quando il punto 1 della clausola 2 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 96/34 non fa alcuna differenza tra nascita e adozione, vada oltre il rispetto delle prescrizioni minime richiesto dal punto 3 della clausola 2 di tale accordo quadro.

86.

Ciò detto, alla luce della risposta che ho dato al paragrafo 78 supra e della mancanza di descrizione nel fascicolo del contenuto della normativa spagnola in materia di congedo parentale, non è possibile pronunciarsi utilmente sulla terza questione.

VI – Conclusione

87.

Alla luce di quanto sopra considerato, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Juzgado de lo Social de Lleida nei seguenti termini:

L’articolo 2, paragrafi 1, 3 e 4, nonché l’articolo 5 della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, debbono essere interpretati nel senso che ostano a una misura nazionale, come quella di cui trattasi al procedimento principale, la quale prevede una disparità di trattamento fondata sul sesso, in quanto riconosce alle madri lavoratrici subordinate il diritto alla sospensione del contratto di lavoro, oltre le sei settimane di riposo obbligatorio per esse dopo il parto, mentre i padri lavoratori subordinati possono fruire di tale sospensione solo se la madre, che sceglie di cedere al padre una parte determinata di tale congedo, abbia anch’essa lo status di lavoratore subordinato.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU L 39, pag. 40. La direttiva 76/207 è stata modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 (GU L 269, pag. 15). Poiché ai sensi dell’articolo 2, la direttiva 2002/73 doveva essere trasposta dagli Stati membri entro il 5 ottobre 2005, tale direttiva non si applica ratione temporis ai fatti della causa principale, risalenti al 2004. La direttiva 76/207 è stata abrogata, con effetto dal 15 agosto 2009, dall’articolo 34 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23). Nonostante tali modifiche, ritengo che le presenti conclusioni rimangano rilevanti per l’interpretazione della direttiva 2006/54. Più in particolare, l’articolo 28 della direttiva 2006/54 dispone che quest’ultima non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità e che la sua applicazione lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34 e della direttiva 92/85. Inoltre, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2006/54, intitolato «[a]zione positiva», «[g]li Stati membri possono mantenere o adottare misure ai sensi dell’articolo [157, paragrafo 4, TFUE] volte ad assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne nella vita lavorativa». Di conseguenza, ritengo che la direttiva 2006/54 non abbia mutato la sostanza delle disposizioni della direttiva 76/207 applicabili ai fatti del procedimento principale.

( 3 ) GU L 145, pag. 4. La direttiva 96/34 è stata abrogata, con effetto dall’8 marzo 2012, dall’articolo 4 della direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell’8 marzo 2010, che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE (GU L 68, pag. 13). Nonostante le modifiche apportate dalla direttiva 2010/18 al regime giuridico applicabile al congedo parentale, ritengo che quest’ultima non abbia mutato la sostanza delle disposizioni della direttiva 96/34 invocate nelle osservazioni presentate nel caso di specie alla Corte.

( 4 ) Si applica al procedimento principale il testo consolidato della legge sullo Statuto dei lavoratori (Texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores), adottato con il regio decreto legislativo n. 1/1995, del 24 marzo 1995 (BOE n. 75, del 29 marzo 1995, pag. 9654), come modificato dalla legge 39/1999 intesa a promuovere la conciliazione della vita familiare e professionale dei lavoratori (Ley 39/1999 para promover la conciliación de la vida familiar y laboral de las personas trabajadoras), del 5 novembre 1999 (BOE n. 266, del 6 novembre 1999, pag. 38934; in prosieguo: lo «Statuto dei lavoratori»), è applicabile al procedimento principale.

( 5 ) Ley General de la Seguridad Social, approvata con il regio decreto legislativo n. 1/1994, del 20 giugno 1994 (BOE n. 154, del 29 giugno 1994, pag. 20658), nella versione derivante dalla legge n. 39/1999 (in prosieguo: la «legge generale in materia previdenziale»).

( 6 ) Nella versione applicabile all’epoca dei fatti della controversia principale.

( 7 ) Come emerge dal fascicolo dinanzi alla Corte, il sistema previdenziale spagnolo si compone di un regime generale e di regimi speciali. Un Procurador de los Tribunales in Spagna può scegliere di iscriversi al regime speciale dei lavoratori autonomi, che fa parte integrante del sistema previdenziale spagnolo, o alla Mutualidad General de los Procuradores, un ente privato di previdenza sociale professionale riservato ai Procuradores de los Tribunales. L’iscrizione alla Mutualidad General de los Procuradores può inoltre avere carattere complementare rispetto al sistema previdenziale spagnolo.

( 8 ) GU L 348, pag. 1.

( 9 ) V. supra paragrafi da 3 a 5.

( 10 ) Come emerge dal fascicolo dinanzi alla Corte e dal dettato dell’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, successivo alla modifica introdotta dalla legge organica n. 3/2007, se tale versione modificata fosse stata in vigore all’epoca dei fatti del presente caso di specie, la controversia nella causa principale non sarebbe sorta, in quanto il padre avrebbe potuto sospendere il suo contratto e usufruire di un’indennità indipendentemente dal fatto che la madre fosse o meno iscritta ad un regime del sistema previdenziale. All’udienza, l’INSS e il governo spagnolo hanno confermato questa interpretazione.

( 11 ) Sentenza del 15 settembre 2011, Unió de Pagesos de Catalunya (C-197/10, Racc. pag. I-8495, punti da 16 a 18 e giurisprudenza ivi citata).

( 12 ) V. supra, paragrafi 78 e 86.

( 13 ) C-104/09, Racc. pag. I-8661.

( 14 ) Come indicato nella decisione di rinvio, «[t]ale periodo non è in discussione».

( 15 ) V. articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori.

( 16 ) Articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 92/85.

( 17 ) V., al riguardo, l’uso che nella disposizione de qua viene fatto due volte del termine «almeno». A mio avviso, tale interpretazione è suffragata dal primo considerando della direttiva 92/85 il quale fa riferimento al suo fondamento giuridico, ossia l’articolo 118 A del Trattato CEE, il quale prevede che il Consiglio adotti mediante direttive le «prescrizioni minime» per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori. V. anche, in tale senso, articolo 153 TFUE.

( 18 ) Articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori.

( 19 ) Sentenza dell’11 ottobre 2007, Paquay (C-460/06, Racc. pag. I-8511, punto 27).

( 20 ) Al punto 58 della sentenza del 27 ottobre 1998, Boyle e a. (C-411/96, Racc. pag. I-6401), la Corte ha dichiarato «che, sebbene gli Stati membri siano tenuti, ai sensi dell’articolo 8 della (…) direttiva [92/85], ad adottare le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane, si tratta di un diritto cui le lavoratrici possono rinunciare, eccezione fatta per le due settimane di congedo obbligatorio, previste dal n. 2».

( 21 ) L’articolo 48, paragrafo 4, dello Statuto dei lavoratori, prevedendo un periodo di sospensione del contratto di lavoro, incide sulle condizioni di lavoro ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 76/207.

( 22 ) V., in tal senso, sentenza Roca Álvarez, cit. (punti 19 e 20).

( 23 ) Ibidem (punti 22 e 23).

( 24 ) V. sentenze Roca Álvarez, cit. (punto 24); del 29 novembre 2001, Griesmar (C-366/99, Racc. pag. I-9383, punto 56), e del 19 marzo 2002, Lommers (C-476/99, Racc. pag. I-2891, punto 30).

( 25 ) Ibidem (punto 25).

( 26 ) Ibidem (punti da 36 a 38).

( 27 ) Sentenze Roca Álvarez, cit. (punto 27); del 12 luglio 1984, Hofmann (184/83, Racc. pag. 3047, punto 25); del 14 luglio 1994, Webb (C-32/93, Racc. pag. I-3567, punto 20); del 30 giugno 1998, Brown (C-394/96, Racc. pag. I-4185, punto 17), e del 1o febbraio 2005, Commissione/Austria (C-203/03, Racc. pag. I-935, punto 43).

( 28 ) Sentenza del 19 novembre 1998, Høj Pedersen e a. (C-66/96, Racc. pag. I-7327, punti da 54 a 56).

( 29 ) Sentenza Hofmann, cit. (punti 25 e 26).

( 30 ) V., per analogia, sentenza Roca Álvarez, cit. (punto 31).

( 31 ) Ibidem (punti 33 e 34).

( 32 ) Ibidem (punto 37).

( 33 ) GU L 303, pag. 16.

( 34 ) V. articolo 1.