SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)

11 aprile 2013 ( *1 )

«Impugnazione — Concorrenza — Intesa — Mercato italiano dell’acquisto e della prima trasformazione del tabacco greggio — Pagamento dell’ammenda da parte del codebitore solidale — Interesse ad agire — Onere della prova»

Nel procedimento C-652/11 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 15 dicembre 2011,

Mindo Srl, in liquidazione giudiziaria, con sede in Roma (Italia), rappresentata da G. Mastrantonio, C. Osti e A. Prastaro, avvocati,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da N. Khan e L. Malferrari, in qualità di agenti assistiti F. Ruggeri Laderchi e R. Nazzini, avvocati, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Settima Sezione),

composta dal sig. G. Arestis, presidente di sezione, dai sigg. J.-C. Bonichot e A. Arabadjiev (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 ottobre 2012,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la Mindo Srl (in prosieguo: la «Mindo») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 5 ottobre 2011, Mindo Srl/Commissione (T-19/06, Racc. pag. II-6795), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento parziale e, in via subordinata, alla riforma della decisione C (2005) 4012 finale della Commissione del 20 ottobre 2005, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE] (caso COMP/C.38.281/B.2 – Tabacco greggio – Italia), (GU 2006, L 353, pag. 45, in prosieguo: la «decisione controversa»), e in via subordinata, ad una domanda di riduzione dell’ammenda inflittale.

Fatti e la decisione controversa

2

La Mindo Srl è una società italiana attualmente in liquidazione giudiziaria, avente come attività principale la prima trasformazione del tabacco greggio. Essa era originariamente un’impresa familiare che è stata acquistata nel 1995 da una controllata della Dimon Inc. In seguito a tale acquisizione, la sua denominazione sociale è divenuta Dimon Italia Srl. Il 30 settembre 2004, le sue quote sociali sono state vendute a quattro persone fisiche non aventi alcun legame con il gruppo Dimon e la sua denominazione sociale è divenuta Mindo. Nel maggio del 2005 la Dimon Inc. ha proceduto ad una fusione con la Standard Commercial Corporation per formare una nuova entità denominata Alliance One International, Inc. (in prosieguo: la «AOI»).

3

Il 19 febbraio 2002 la Commissione delle Comunità europee ha ricevuto una richiesta di immunità in materia di ammende da parte di uno dei trasformatori di tabacco greggio in Italia, vale a dire la Deltafina SpA.

4

Il 4 aprile 2002 la Commissione ha ricevuto dalla Mindo, all’epoca ancora Dimon Italia Srl, una richiesta di immunità in materia di ammende e, in via subordinata, una richiesta di riduzione di qualsiasi ammenda, nonché, l’8 aprile 2002, taluni elementi di prova.

5

Il 9 aprile 2002 la Commissione ha accusato ricevimento della richiesta di immunità in materia di ammende presentata dalla Mindo quanto la sua domanda di riduzione di qualsiasi ammenda. Essa ha informato tale società del fatto che la sua richiesta di immunità non soddisfaceva i criteri della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3).

6

Il 20 ottobre 2005 la Commissione ha adottato la decisione controversa, in cui ha constatato che, nel periodo tra il 1995 e l’inizio del 2002, i trasformatori di tabacco greggio in Italia interessati dalla decisione controversa, tra i quali la Mindo, avevano posto in essere diverse pratiche che configuravano un’infrazione unica e continuata all’articolo 81, paragrafo 1, CE.

7

La Commissione ha precisato in particolare che, dal momento che il gruppo al quale apparteneva la Mindo nel periodo dell’infrazione aveva cessato di esistere in seguito alla sua fusione con il gruppo Standard Commercial Corporation, l’AOI, in qualità di successore legale di tale gruppo, era destinataria della decisione controversa. Anche la Mindo, in qualità di successore legale della Dimon Italia Srl, era destinataria di tale decisione.

8

La Commissione ha fissato in EUR 12,5 milioni l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla Mindo, maggiorata del 25% a titolo del carattere molto grave della violazione e del 60% a titolo della durata di sei anni e quattro mesi della violazione. Essa ha limitato la responsabilità della Mindo al 10% del suo fatturato nell’esercizio sociale più recente. La Commissione ha accolto la richiesta di riduzione dell’ammenda della Mindo e l’ha ridotta del 50% a titolo della cooperazione. Di conseguenza, la Commissione ha fissato l’importo finale dell’ammenda da infliggere alla Mindo e all’AOI in EUR 10 milioni, l’AOI essendo responsabile per l’intero e la Mindo responsabile in solido nel limite di EUR 3,99 milioni.

9

Il 14 febbraio 2006, l’AOI ha pagato l’intero importo dell’ammenda che era stata inflitta ad essa e alla Mindo dalla Commissione.

10

Il 4 luglio 2006, la Mindo è stata posta in liquidazione, senza averne mai informato il Tribunale.

11

Il 5 marzo 2007, ai sensi dell’articolo 161 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, come modificato (Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 6 aprile 1942, supplemento ordinario n. 81; in prosieguo: la «legge fallimentare»), la Mindo ha presentato una domanda di ammissione al concordato preventivo con cessione dei beni dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, sezione fallimentare. Con decreto del 27 novembre 2007, detto giudice ha omologato il concordato preventivo proposto dalla Mindo.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

12

Con ricorso depositato il 20 gennaio 2006 nella cancelleria del Tribunale, la Mindo ha chiesto l’annullamento parziale della decisione controversa nonché, in via subordinata, la riduzione dell’ammenda inflitta alla Mindo e, in solido, all’AOI.

13

Durante l’udienza, svoltasi il 29 novembre 2010, la Commissione, essendo venuta a conoscenza, qualche giorno prima, del fatto che la ricorrente era in liquidazione giudiziaria dal mese di luglio 2006, ha fatto valere, sostanzialmente, che quest’ultima aveva perduto il suo interesse ad agire. Il Tribunale ha quindi invitato la Mindo a fornirgli qualsiasi informazione e documento rilevanti in merito a qualsiasi accordo da essa concluso con l’AOI per quanto riguardava il pagamento dell’ammenda da parte di quest’ultima e la possibilità di proporre un’azione per il rimborso di una parte dell’ammenda pagata. La Mindo ha ottemperato a tale richiesta.

14

Con lettera del 30 marzo 2011, l’AOI ha risposto a quesiti posti dal Tribunale indicando, in sostanza, che essa non aveva ancora proposto un’azione per il rimborso nei confronti della Mindo, in quanto preferiva attendere l’esito del procedimento dinanzi al Tribunale.

15

Essa ha osservato anzitutto che, per avviare un’azione siffatta, sarebbe stata costretta con ogni probabilità a cercare di ottenere una sentenza ed un ordine di pagamento fondato su tale sentenza e che, in caso di annullamento totale o parziale dell’ammenda da parte del Tribunale, sarebbe stata obbligata a restituire alla Mindo, con gli interessi, l’importo rimborsato, il che avrebbe reso l’intero procedimento lungo, oneroso e dispendioso. L’AOI ha poi considerato che la propria azione non fosse prescritta e che non lo sarebbe stata prima della fine del procedimento dinanzi al Tribunale. Essa ha infine ricordato che l’esistenza di una procedura di concordato preventivo non impediva ad un creditore di adire i giudici competenti per ottenere una sentenza di accertamento nei confronti del debitore oggetto di detto concordato e di chiedere un ordine di pagamento fin dall’adozione del decreto di omologazione.

16

Al termine dell’esame delle circostanze della causa e segnatamente dell’oggetto della domanda, il Tribunale ha concluso che la Mindo non aveva dimostrato il proprio interesse esistente ed effettivo alla continuazione del procedimento ed ha considerato che, di conseguenza, non vi era luogo a provvedere sul suo ricorso.

Conclusioni delle parti

17

Con la sua impugnazione, la Mindo chiede l’annullamento della sentenza impugnata nel suo complesso, il rinvio della causa dinanzi al Tribunale per riesame nel merito e la condanna della Commissione alla totalità delle spese.

18

La Commissione chiede il rigetto dell’impugnazione e la condanna della Mindo alle spese.

Sull’impugnazione

19

A sostegno della sua impugnazione, la Mindo deduce due motivi. Con il primo motivo, essa fa valere, in sostanza, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto qualificando in modo inesatto la sua situazione e dichiarando di conseguenza che essa non aveva alcun interesse ad agire. Il secondo motivo, dedotto in via subordinata, attiene ad una violazione del diritto dell’AOI e della Mindo ad un equo processo.

20

La Commissione sostiene che il primo motivo di impugnazione è manifestamente irricevibile e che il secondo è manifestamente infondato.

Sulla ricevibilità del primo motivo

21

Secondo una giurisprudenza costante, dagli articoli 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE, 58, primo comma, dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché 168, paragrafo 1, lettera d), e 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura di quest’ultima risulta che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda (v. sentenze del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C-274/99 P, Racc. pag. I-1611, punto 121, e del 24 gennaio 2013, 3F/Commissione, C-646/11 P, punto 51).

22

Occorre rilevare che la Mindo ha dedotto errori di diritto commessi dal Tribunale, indicando in modo sufficientemente preciso gli elementi contestati della sentenza impugnata, in particolare il suo punto 87, e specificando le ragioni per cui essa ritiene che tali elementi siano viziati da siffatti errori.

23

La Commissione non può quindi legittimamente eccepire l’irricevibilità del primo motivo.

Nel merito del primo motivo

–Argomenti delle parti

24

In primo luogo, la Mindo sostiene che, pagando l’importo integrale dell’ammenda, l’AOI è divenuta sua creditrice, in forza degli articoli 2055, secondo comma, e 1299 del codice civile italiano. Conformemente all’articolo 2946 dello stesso codice, il diritto dell’AOI di richiedere il rimborso alla Mindo sarebbe soggetto al termine decennale di prescrizione ordinaria. Il Tribunale avrebbe quindi commesso un errore considerando, ai punti 85 e seguenti della sentenza impugnata, che l’annullamento o la riforma della decisione controversa non procurerebbe alcun beneficio alla Mindo, in quanto il diritto dell’AOI di richiedere il recupero del suo credito sarebbe sorto il giorno del pagamento dell’ammenda ed il termine di prescrizione dell’azione di cui essa dispone a tal fine sarebbe di dieci anni.

25

In secondo luogo, la Mindo fa valere che il Tribunale ha commesso un errore, concludendo nel senso dell’assenza di prove dell’esistenza di un credito dell’AOI nei suoi confronti, nonché di una possibilità o di un’intenzione, da parte dell’AOI di proporre un’azione di recupero di tale credito. Da un lato, la Mindo avrebbe dimostrato l’esistenza del proprio debito nei confronti dell’AOI producendo prove riguardanti il regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e l’effettivo diritto di recupero dell’AOI nella propria risposta alle osservazioni della Commissione relative ai documenti prodotti dalla Mindo stessa su domanda del Tribunale. Dall’altro, essa non sarebbe stata tenuta a dimostrare l’intenzione dell’AOI di recuperare il credito, bensì soltanto il suo diritto di proporre un’azione a tal fine.

26

In terzo luogo, la Mindo deduce che il Tribunale ha erroneamente valutato l’onere della prova, basandosi, per fondare la propria sentenza, sulla constatazione che «non [era] escluso» che l’AOI si fosse accollata il pagamento della parte dell’ammenda spettante alla Mindo. La Mindo ha precisato in udienza che tale constatazione del Tribunale comportava che essa non aveva alcuno strumento per difendersi e costituiva un’inversione dell’onere della prova. La valutazione complessiva, da parte del Tribunale, della mancanza di interesse ad agire della Mindo si baserebbe su considerazioni speculative riguardanti l’intenzione dell’AOI ed altre contingenze prive di fondamento.

27

A tal riguardo, la Commissione risponde che la parte dell’ammenda spettante alla Mindo è stata integralmente pagata dall’AOI, la quale, alla data della pronuncia della sentenza impugnata, non aveva ancora avviato un’azione per ottenerne il recupero e che tra tali due entità esisteva un accordo segreto, in base al quale l’AOI si sarebbe assunta la responsabilità del comportamento anticoncorrenziale della Mindo.

28

Secondo la Commissione, il Tribunale non ha fondato la propria argomentazione su considerazioni legate all’ordinamento italiano, bensì su una serie di osservazioni di fatto che sono in contrasto con l’affermazione secondo cui l’AOI aveva il diritto di avviare un’azione di recupero nei confronti della Mindo. Al riguardo, essa ha precisato in udienza che, a suo avviso, «in una situazione normale» e in assenza di qualsiasi altro accordo, il pagamento da parte dell’AOI dell’importo dell’ammenda spettante alla Mindo comportava, in conformità all’ordinamento italiano vigente, il sorgere, in capo all’AOI, di un diritto di agire nei confronti della Mindo per ottenere il rimborso di tale importo, ma che il Tribunale, fondandosi sulle prove prodotte, aveva considerato che l’AOI e la Mindo dovevano aver concluso un accordo in forza del quale l’AOI non aveva più il diritto di perseguire la Mindo a tal fine.

–Giudizio della Corte

29

Occorre ricordare che l’obbligo di motivare le sentenze discende dall’articolo 36 dello Statuto della Corte, applicabile al Tribunale in virtù dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto e dell’articolo 81 del regolamento di procedura del Tribunale. Secondo costante giurisprudenza, la motivazione di una sentenza deve far apparire in modo chiaro e non equivoco il ragionamento del Tribunale, in modo tale da consentire agli interessati di conoscere le ragioni della decisione adottata ed alla Corte di esercitare il proprio sindacato giurisdizionale (v. sentenza del 19 dicembre 2012, Mitteldeutsche Flughafen e Flughafen Leipzig-Halle/Commissione, C-288/11 P, punto 83 nonché giurisprudenza citata).

30

Occorre rilevare, inoltre, che il difetto o l’insufficienza di motivazione rientra nella violazione delle forme sostanziali e costituisce un motivo di ordine pubblico che deve essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 30 marzo 2000, VBA/Florimex e a., C-265/97 P, Racc. pag. I-2061, punto 114, nonché ordinanza del 7 dicembre 2011, Deutsche Bahn/UAMI, C-45/11 P, punto 57).

31

È giocoforza constatare che molte delle conclusioni della sentenza impugnata sono viziate da una siffatta insufficienza di motivazione.

32

In primo luogo, va ricordato che, con la decisione controversa, la Commissione ha inflitto all’AOI e alla Mindo un’ammenda di EUR 10 milioni, specificando che la Mindo era responsabile in solido del pagamento di EUR 3,99 milioni. Come rilevato dal Tribunale al punto 82 della sentenza impugnata, l’AOI ha pagato, il 14 febbraio 2006, l’intero importo dell’ammenda.

33

Il Tribunale ha giustamente constatato che, conformemente all’articolo 2 della decisione controversa, la Mindo è una delle società destinatarie della decisione controversa e che essa era responsabile in solido del pagamento dell’ammenda per EUR 3,99 milioni.

34

Al punto 85 della sentenza impugnata, il Tribunale ha affermato che «l’annullamento o la riforma della decisione impugnata nel senso richiesto dalla [Mindo] non le procurerebbe alcun beneficio, atteso che l’ammenda che le è stata inflitta è già stata interamente pagata dall’[AOI], suo codebitore solidale e che quest’ultima (...) non ha agito nei suoi confronti per ottenere il rimborso di una parte dell’importo dell’ammenda pagata, sebbene siano trascorsi più di cinque anni da tale pagamento». Il Tribunale ha inoltre constatato, al punto 87 della sentenza impugnata, che la Mindo non aveva sufficientemente dimostrato che l’AOI era titolare di un credito nei suoi confronti.

35

Tuttavia, la Mindo ha fatto valere, a tal riguardo, dinanzi al Tribunale, che il pagamento, da parte dell’AOI, della totalità dell’ammenda ha fatto sorgere in capo all’AOI un credito di cui la Mindo potrebbe rispondere in qualità di debitrice in solido di una parte dell’ammenda inflitta dalla Commissione a tali due imprese.

36

Risulta inoltre dalle risposte della Mindo del 6 gennaio 2011 ai quesiti posti dal Tribunale, che, «dopo aver pagato l’intero debito al creditore, una parte legata da un’obbligazione solidale può chiedere agli altri debitori in solido il rimborso dell’importo del debito pagato in loro nome». Risulta peraltro dalle osservazioni della Commissione sui documenti prodotti ai sensi dell’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale, il 21 febbraio 2011, che era pacifico tra le parti il fatto che il diritto italiano relativo al rapporto tra le parti responsabili in solido di un credito conferisse all’AOI il diritto di chiedere alla Mindo di contribuire al pagamento dell’ammenda.

37

Orbene, malgrado tale argomentazione, il Tribunale ha affermato che il pagamento, da parte dell’AOI, della totalità dell’ammenda non era sufficiente per far sorgere in capo all’AOI un credito di cui la Mindo potrebbe rispondere in qualità di debitrice in solido dell’ammenda. Occorre constatare, a tal riguardo, che il Tribunale ha omesso di motivare sufficientemente tale affermazione.

38

Inoltre, la Mindo ha sollevato a più riprese dinanzi al Tribunale, come risulta dal punto 72 della sentenza impugnata e dagli atti del fascicolo, il problema della prescrizione del diritto ad agire dell’AOI e, in particolare, l’argomento secondo cui l’AOI dispone, a decorrere dalla data in cui essa ha pagato l’intero importo dell’ammenda che era stata inflitta dalla Commissione a tali due società, del diritto di esercitare un’azione nei confronti della Mindo che le consentiva di esigere da quest’ultima una partecipazione per la sua quota dell’ammenda. La Mindo ha fatto valere che tale diritto si sarebbe prescritto solo il 14 febbraio 2016.

39

Orbene, il Tribunale si è limitato ad affermare a tal riguardo che «[sono] trascorsi più di cinque anni» dal pagamento effettuato dall’AOI e che la Mindo non aveva sufficientemente dimostrato che l’AOI «[era] ancora in grado» di recuperare tale credito, senza però verificare se il diritto dell’AOI di esercitare l’azione in questione fosse o meno prescritto, sebbene la Mindo avesse dedotto dinanzi ad esso le disposizioni dell’ordinamento italiano relative alla prescrizione decennale dell’azione del codebitore in solido e sebbene gli argomenti dedotti a tal riguardo fossero stati presentati in modo sufficientemente chiaro e preciso per consentire al Tribunale di prendere posizione.

40

Di conseguenza, occorre considerare che, poiché l’AOI aveva pagato il debito della Mindo, il Tribunale non poteva concludere, come ha fatto ai punti 85 e 87 della sentenza impugnata, che l’annullamento o la riforma della decisione controversa non avrebbe procurato alcun beneficio alla Mindo e che quest’ultima non aveva sufficientemente dimostrato che l’AOI era titolare di un credito nei suoi confronti, senza chiarire affatto perché tale pagamento non fosse sufficiente per far sorgere un credito in capo all’AOI.

41

Dagli elementi che precedono risulta che, omettendo così di rispondere ad una parte centrale dell’argomentazione della Mindo, il Tribunale ha violato l’obbligo di motivazione ad esso incombente in forza dell’articolo 36 dello statuto della Corte, reso applicabile a quest’ultimo ai sensi dell’articolo 53, primo comma, dello stesso statuto, e dell’articolo 81 del regolamento di procedura del Tribunale.

42

In secondo luogo, il Tribunale, al punto 87 della sentenza impugnata, ha affermato che, anche supponendo che l’AOI fosse titolare di un credito nei confronti della Mindo, quest’ultima non aveva sufficientemente dimostrato neanche che l’AOI fosse «ancora in grado» di recuperare il proprio credito.

43

Orbene, risulta dal punto 71 della sentenza impugnata che la Mindo ha fatto valere dinanzi al Tribunale che, conformemente all’ordinamento italiano vigente, essa poteva essere oggetto in futuro di un’azione ripetitoria da parte dell’AOI. Nella sua risposta a taluni quesiti posti dal Tribunale, il 20 maggio 2011, la Mindo ha chiarito, in particolare, che, conformemente all’ordinamento italiano, i «titolari di crediti sorti anteriormente alla sentenza», come l’AOI, possono proporre, anche dopo la fine dell’esecuzione del concordato preventivo, un’azione giudiziaria nei confronti della Mindo al fine di ottenere un’ingiunzione di pagamento, pur rispettando le quote ed i termini fissati nel concordato preventivo.

44

Per rispondere a tale argomento, il Tribunale non poteva quindi limitarsi a rilevare, come ha fatto al punto 91 della sentenza impugnata, che la Mindo non aveva fornito alcuna spiegazione riguardo alle ragioni per cui essa considerava l’AOI un «creditore anteriore» o alle ragioni per cui quest’ultima non aveva cercato di iscrivere il proprio credito.

45

Inoltre, sebbene la Mindo sostenesse che l’AOI era ancora in grado di esigere il proprio credito, il Tribunale non ha tenuto conto dell’argomento, che si rivela determinante a tal riguardo per la Mindo, secondo il quale, come risulterebbe da una risposta ai quesiti posti dal Tribunale l’8 luglio 2011, il concordato preventivo consentiva all’impresa insolvente di ristrutturare il proprio debito con l’insieme dei suoi creditori e proseguire in tal modo le proprie attività.

46

Ne consegue che la motivazione fornita dal Tribunale nella sentenza impugnata non lascia apparire in modo chiaro e non equivoco, segnatamente in modo tale da consentire alla Corte di esercitare il proprio sindacato giurisdizionale, le ragioni per cui esso ha considerato che la Mindo non aveva sufficientemente dimostrato che l’AOI era in grado di recuperare il proprio credito e che, pertanto, tale motivazione non soddisfa il requisito posto dalla giurisprudenza menzionata al punto 29 della presente sentenza.

47

In terzo luogo, il Tribunale, al punto 87 della sentenza impugnata, ha affermato che, anche supponendo che l’AOI fosse titolare di un credito nei confronti della Mindo, quest’ultima non aveva sufficientemente dimostrato neanche che l’AOI «avesse l’intenzione» di recuperare il proprio credito.

48

In tal modo, il Tribunale ha chiesto alla Mindo di produrre la prova dell’intenzione dell’AOI di recuperare il suo credito. Tale esigenza emerge altresì dal punto 91 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha considerato che la Mindo non aveva fornito alcuna spiegazione sulle ragioni per cui l’AOI non aveva neanche tentato di iscrivere il proprio credito nell’ambito della procedura di concordato e non vi si era opposta malgrado le conseguenze che un credito siffatto poteva avere sulla decisione degli altri creditori di aderire alla proposta di concordato preventivo.

49

Orbene, emerge dalla sentenza impugnata che, con lettera del 30 marzo 2011 e in risposta a quesiti scritti posti dal Tribunale, l’AOI ha dichiarato che aveva l’intenzione di agire per il recupero nei confronti della Mindo, che la sua azione di recupero non era ancora prescritta e che essa aspettava a tal fine che la controversia fosse decisa nel merito. Si deve quindi constatare che tale documento non ha formato oggetto di una valutazione da parte del Tribunale.

50

Così procedendo, il Tribunale ha subordinato l’interesse ad agire della Mindo alla condizione di provare l’intenzione di un terzo di avviare un’azione di recupero nei suoi confronti. Di conseguenza, facendo gravare sulla Mindo, al fine di dimostrare il suo interesse ad agire, l’onere di una prova che le era impossibile produrre, il Tribunale ha commesso un errore di diritto.

51

Alla luce di tutto quanto precede, occorre constatare che la conclusione cui è giunto il Tribunale al suddetto punto 87 della sentenza impugnata si fonda su una serie di indizi ripresi ai punti 85 e 88-92 di tale sentenza, alla luce dei quali il Tribunale ha considerato, al punto 93 della sentenza impugnata, che «non [era] escluso» che l’AOI si fosse accollata il pagamento della parte dell’ammenda spettante alla Mindo o che essa avesse rinunciato a chiedergliene il rimborso.

52

Emerge altresì dalla sentenza impugnata che il Tribunale ha invitato la Mindo a fornirgli qualsiasi informazione e documento rilevanti in merito a qualsiasi accordo da essa concluso con l’AOI per quanto riguarda il pagamento dell’ammenda da parte di quest’ultima e la possibilità di chiedere il rimborso di una parte dell’ammenda pagata. A tal riguardo, va rilevato che, come constatato dallo stesso Tribunale al punto 92 della sentenza impugnata, i documenti forniti dalla Mindo in risposta a tale richiesta non contenevano alcuna garanzia o indennità in suo favore quanto all’eventuale ammenda che la Commissione le avrebbe inflitto.

53

L’espressione impiegata al punto 93 della sentenza impugnata dimostra il carattere non conclusivo di detti indizi e la constatazione di una mera probabilità. Orbene, l’accertamento del difetto di interesse ad agire in capo al destinatario di una decisione della Commissione che gli infligge un’ammenda non può fondarsi su mere supposizioni, in particolare allorché il Tribunale ha omesso di tener sufficientemente conto di una serie di elementi dedotti dalla Mindo e diretti a gettare una luce diversa sulle circostanze del caso di specie o a dimostrare che l’AOI poteva ancora proporre un’azione ripetitoria e recuperare, quanto meno in parte, il proprio credito.

54

Risulta da quanto precede che, poiché, da un lato, il giudizio del Tribunale è viziato da insufficienza di motivazione e, dall’altro, il Tribunale ha fatto gravare sulla Mindo l’onere di una prova che le era impossibile produrre, la Mindo può legittimamente sostenere che il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando che essa non aveva un interesse ad agire.

55

Pertanto, e senza che occorra esaminare il secondo motivo, l’impugnazione deve essere accolta e la sentenza impugnata deve essere annullata.

56

Conformemente all’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta, o rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo. Nel caso di specie, lo stato della controversia non consente alla Corte una definizione di quest’ultima.

57

Occorre quindi rinviare la causa dinanzi al Tribunale e riservare le spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 5 ottobre 2011, Mindo/Commissione (T-19/06), è annullata.

 

2)

La causa è rinviata dinanzi al Tribunale dell’Unione europea.

 

3)

Le spese sono riservate.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.