Parole chiave
Massima

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1. Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38 — Aventi diritto — Familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di Stati terzi — Presupposto — Cittadino dell’Unione che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38, artt. 2, punto 2, e 3, n. 1; direttiva del Consiglio 2003/86, art. 3, n. 3)

2. Cittadinanza dell’Unione europea — Disposizioni del Trattato — Ambito di applicazione — Cittadino dell’Unione che non abbia mai esercitato il suo diritto alla libera circolazione — Presupposto per l’inclusione — Applicazione di provvedimenti che abbiano l’effetto di privarlo del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione

(Artt. 20 TFUE e 21 TFUE)

3. Diritti fondamentali — Rispetto della vita privata e della vita familiare — Diniego del diritto di soggiorno ai familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di Stati terzi

(Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 7)

4. Cittadinanza dell’Unione europea — Disposizioni del Trattato — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Diniego, da parte di uno Stato membro, del riconoscimento di un diritto di soggiorno ai familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di uno Stato terzo

(Artt. 20 TFUE e 21 TFUE)

5. Accordi internazionali — Accordo di associazione CEE-Turchia — Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Regola di standstill di cui all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale — Portata

(Protocollo addizionale all’Accordo di associazione CEE-Turchia, art. 41, n. 1)

Massima

1. Le direttive 2003/86, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, e 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, non sono applicabili ai cittadini di Stati terzi che chiedono un diritto di soggiorno per raggiungere cittadini dell’Unione, loro familiari, che non abbiano mai fatto uso del loro diritto alla libera circolazione e abbiano sempre soggiornato nello Stato membro di cui possiedono la cittadinanza.

Infatti, da un lato, ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2003/86, questa non si applica ai familiari di cittadini dell’Unione. Dall’altro, a trarre dalla direttiva 2004/38 diritti di ingresso e soggiorno in uno Stato membro non sono tutti i cittadini di Stati terzi, bensì unicamente quelli che risultino familiari, ai sensi dell’art. 2, punto 2, di detta direttiva, di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, stabilendosi in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di cui egli ha la cittadinanza.

(v. punti 47, 56, 58)

2. La posizione di un cittadino dell’Unione il quale non abbia fatto uso del diritto alla libera circolazione non può essere assimilata, per questa sola ragione, a una situazione puramente interna. Infatti, poiché lo status di cittadino dell’Unione è volto ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, l’art. 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status suddetto.

Tale criterio, relativo alla privazione del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione, si riferisce a ipotesi contrassegnate dalla circostanza che il cittadino dell’Unione si trova obbligato, di fatto, ad abbandonare il territorio non solo dello Stato membro di cui è cittadino, ma anche dell’Unione considerata nel suo complesso.

Con riferimento al diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di Stati terzi, questo criterio riveste pertanto un carattere molto particolare in quanto concerne l’ipotesi in cui, malgrado la circostanza che il diritto derivato relativo al diritto di soggiorno dei cittadini di Stati terzi non sia applicabile, un diritto di soggiorno non può, in via eccezionale, essere negato al cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino di uno Stato membro, pena pregiudicare l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione di cui gode quest’ultimo cittadino. La mera circostanza che possa apparire auspicabile al cittadino di uno Stato membro, per ragioni economiche o per mantenere l’unità familiare nel territorio dell’Unione, che i suoi familiari, che non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro, possano soggiornare con lui nel territorio dell’Unione, non basta di per sé a far ritenere che il cittadino dell’Unione sarebbe costretto ad abbandonare il territorio dell’Unione qualora un tale diritto non gli fosse concesso.

(v. punti 61-62, 64, 66-68)

3. Se un giudice nazionale ritiene, alla luce delle circostanze della controversia sottoposta al suo esame, che le posizioni dei familiari di un cittadino dell’Unione cittadini di uno Stato terzo siano soggette al diritto dell’Unione, esso dovrà valutare se il diniego del diritto di soggiorno di questi ultimi leda il diritto al rispetto della vita privata e familiare, previsto dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Viceversa, qualora ritenga che dette posizioni non rientrino nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione, esso dovrà condurre un siffatto esame alla luce dell’art. 8, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Infatti, tutti gli Stati membri hanno aderito a tale Convenzione, che consacra, nel suo art. 8, il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

(v. punti 72-73)

4. Il diritto dell’Unione, e in particolare le disposizioni di quest’ultimo in materia di cittadinanza dell’Unione, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro neghi al cittadino di uno Stato terzo il soggiorno sul proprio territorio, quando detto cittadino è intenzionato a risiedere con un suo familiare, cittadino dell’Unione e residente in tale Stato membro di cui possiede la cittadinanza, il quale non ha mai fatto uso del suo diritto alla libera circolazione, purché un diniego siffatto non comporti, per il cittadino dell’Unione interessato, la privazione del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

(v. punto 74, dispositivo 1)

5. L’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale all’Accordo di associazione CEE-Turchia dev’essere interpretato nel senso che occorre considerare come nuova restrizione, ai sensi di detta disposizione, l’adozione di una nuova disciplina più restrittiva della precedente, la quale costituiva a sua volta un mitigamento di una disciplina anteriore in materia di presupposti per l’esercizio della libertà di stabilimento dei cittadini turchi al momento dell’entrata in vigore di questo protocollo nel territorio dello Stato membro interessato.

Infatti, la portata dell’obbligo di «standstill» si estende ad ogni nuovo ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento, della libera prestazione di servizi o della libera circolazione dei lavoratori, che consista in un aggravamento dei presupposti esistenti a una certa data, di modo che occorre assicurarsi che gli Stati membri non si discostino dallo scopo perseguito con le clausole di standstill, rimettendo in discussione disposizioni da loro adottate a favore di dette libertà dei cittadini turchi, successivamente all’entrata in vigore del protocollo addizionale o della decisione n. 1/80 o del consiglio di associazione CEE-Turchia sul loro territorio.

(v. punti 94, 101, dispositivo 2)