CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 3 maggio 2012 ( 1 )

Causa C-376/11

Pie Optiek

contro

Bureau Gevers

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour d’appel di Bruxelles (Belgio)]

«Politica industriale — Internet — Dominio di primo livello .eu — Regolamento (CE) n. 874/2004 — Articoli 12, paragrafo 2, e 21, paragrafo 1, lettera a) — Regolamento (CE) n. 733/2002 — Articolo 4, paragrafo 2, lettera b) — Nozione di “licenziatario di diritti preesistenti” — Registrazioni speculative ed abusive — Registrazione di un nome in assenza di “diritti o interessi legittimi” — Diritto dei marchi»

I – Introduzione

1.

Il presente procedimento verte su una domanda di pronuncia pregiudiziale con la quale la Cour d’appel di Bruxelles (in prosieguo: il «giudice del rinvio»), ai sensi dell’articolo 267 TFUE, ha sottoposto alla Corte due questioni concernenti l’interpretazione del regolamento (CE) n. 733/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 aprile 2002, relativo alla messa in opera del dominio di primo livello .eu ( 2 ), nonché del regolamento (CE) n. 874/2004 della Commissione, del 28 aprile 2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione ( 3 ).

2.

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la registrazione del nome di dominio «lensworld.eu» fra la SPRL Pie Optiek (in prosieguo: la «Pie Optiek») – una società belga che vende tramite Internet prodotti per l’ottica – e la SA Bureau Gevers (in prosieguo: la «Bureau Gevers») – una società belga operativa nella consulenza in materia di proprietà intellettuale – nonché la ASBL European Registry for Internet Domains (in prosieguo: la «EURid»), competente per l’assegnazione dei nomi di dominio .eu. Con i suoi ricorsi proposti davanti ai giudici nazionali, la Pie Optiek intende, da un lato, far dichiarare che la registrazione di detto nome di dominio a favore della Bureau Gevers è stato effettuato in maniera speculativa e abusiva. Dall’altro, vorrebbe che esso le venga trasferito.

3.

A sostegno della richiesta essa fa valere, in sostanza, che la Bureau Gevers non ha alcun diritto alla registrazione di detto nome di dominio, in quanto quest’ultima non sarebbe «titolare di un diritto preesistente» ai sensi del regolamento n. 874/2004. Titolare di un siffatto diritto sarebbe, piuttosto, la società americana Walsh Optical. Tuttavia, quest’ultima non sarebbe legittimata a chiedere la registrazione, in quanto essa stessa avrebbe la sua sede al di fuori dell’Unione europea e pertanto non soddisferebbe le condizioni di legge. Secondo la Pie Optiek, le due società hanno fatto ricorso ad uno stratagemma per eludere le condizioni inerenti alla legittimazione, concludendo, nello specifico, un contratto denominato «accordo di licenza», con il quale la Bureau Gevers si sarebbe obbligata a mettere a disposizione il proprio nome e il proprio indirizzo nell’Unione europea, al fine di consentire alla sua cliente americana di procedere alla registrazione del nome di dominio in questione. Inoltre, la Pie Optiek mette in dubbio che nel procedimento principale sussista invero un accordo di licenza in senso propriamente giuridico, atteso che sarebbe stato concesso alla Bureau Gevers solo il potere di registrare, ma non di utilizzare il marchio, ad esempio al fine di commercializzare beni o servizi con tale marchio.

4.

Oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale è pertanto, anzitutto, la questione se nel procedimento principale si possa parlare, in senso propriamente giuridico, di un accordo di licenza relativo al marchio denominativo «lensworld». Inoltre, si pone la questione se sia compatibile con il diritto dell’Unione il fatto di consentire ad una società non legittimata alla presentazione di una richiesta, in ragione della sua sede sita in un paese terzo, di procedere nondimeno alla registrazione di un nome di dominio in virtù di un accordo di licenza concluso con una società avente sede nell’Unione. Il presente procedimento solleva questioni fondamentali, sia per quanto riguarda la natura giuridica dei contratti di licenza, sia per quanto attiene al rapporto tra diritto della proprietà intellettuale e diritto dell’Unione in materia di Internet, che necessitano di un esame approfondito. A tal proposito, occorrerà interpretare, oltre ai suddetti regolamenti, anche la direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri ( 4 ) in materia di marchi d’impresa ovvero il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario ( 5 ).

II – Contesto normativo

A – Il regolamento n. 733/2002

5.

L’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 733/2002 dispone che il Registro registra «nel dominio di primo livello .eu, a cura di qualsiasi conservatore del Registro accreditato, i nomi di dominio richiesti da (...) qualsiasi impresa che abbia la propria sede legale, amministrazione centrale o sede di affari principale nel territorio della Comunità europea».

6.

Secondo l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento, la Commissione adotta «regole di politica pubblica relative alla messa in opera e al funzionamento del dominio di primo livello .eu e i principi di politica pubblica in materia di registrazione. Tale politica include segnatamente (...) una politica pubblica in materia di registrazione abusiva e a fini di speculazione dei nomi di dominio, compresa la possibilità di procedere per fasi alla registrazione di nomi di dominio per assicurare ai titolari di diritti preesistenti riconosciuti o stabiliti dalla legislazione nazionale e/o comunitaria e agli organismi pubblici un adeguato lasso di tempo per la registrazione dei loro nomi (...)».

7.

In applicazione di detta disposizione la Commissione ha adottato il regolamento n. 874/2004.

B – Il regolamento n. 874/2004

8.

L’articolo 2, paragrafi 1-3, del regolamento n. 874/2004, dispone quanto segue:

«I soggetti legittimati di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 733/2002 possono registrare uno o più nomi di dominio nel dominio di primo livello .eu.

Fatto salvo il capo IV, un nome di dominio specifico è riservato all’uso del soggetto legittimato la cui richiesta sia stata ricevuta per prima dal registro, secondo modalità tecniche corrette e conformemente al presente regolamento. Ai fini del presente regolamento, tale criterio di precedenza è denominato principio “primo arrivato, primo servito”.

Una volta registrato, un nome di dominio non può essere oggetto di una nuova registrazione fino alla scadenza e mancato rinnovo della registrazione oppure fino alla sua revoca».

9.

Il capo IV di tale regolamento riguarda la registrazione per fasi. L’articolo 10, paragrafo 1, primo e secondo comma, recita:

«I titolari di diritti preesistenti riconosciuti o stabiliti dal diritto nazionale o comunitario e gli enti pubblici possono chiedere la registrazione di nomi di dominio durante un periodo di registrazione per fasi prima dell’avvio della registrazione generale del dominio .eu.

Per “diritti preesistenti” si intendono, tra l’altro, marchi nazionali registrati, marchi comunitari registrati (…)».

10.

L’articolo 12, paragrafo 2, primo, secondo e terzo comma, del regolamento medesimo così dispone:

«Il periodo di registrazione per fasi ha una durata di quattro mesi. La procedura di registrazione generale dei nomi di dominio non ha inizio prima del completamento del periodo di registrazione per fasi.

La registrazione per fasi si compone di due parti della durata di due mesi ciascuna.

Nel corso della prima parte della procedura di registrazione per fasi può essere richiesta la registrazione come nomi di dominio esclusivamente dei marchi nazionali registrati, dei marchi comunitari registrati, delle indicazioni geografiche e dei nomi di cui all’articolo 10, paragrafo 3. Tale registrazione può essere richiesta dai titolari o licenziatari di diritti preesistenti e dagli enti pubblici di cui all’articolo 10, paragrafo 1».

11.

L’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento è rubricato «Registrazioni speculative e abusive» e prescrive quanto segue:

«Un nome di dominio registrato è revocabile, a seguito di una procedura giudiziaria o extragiudiziale, qualora sia identico o presenti analogie tali da poter essere confuso con un nome oggetto di un diritto riconosciuto o stabilito dal diritto nazionale o comunitario, quali i diritti di cui all’articolo 10, paragrafo 1, e ove tale nome di dominio:

a)

sia stato registrato da un titolare che non possa far valere un diritto o un interesse legittimo sul nome; oppure

b)

sia stato registrato o sia usato in malafede».

C – La direttiva 89/104

12.

L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/104, che è rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone, inter alia, quanto segue:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

b)

un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa».

13.

L’articolo 8 di detta direttiva, intitolato «Licenza», stabilisce che:

«1.   Il marchio di impresa può essere oggetto di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o parte del territorio di uno Stato membro. Le licenze possono essere esclusive o non esclusive.

2.   Il titolare di un marchio comunitario può far valere i diritti conferiti da tale marchio contro un licenziatario che trasgredisca una clausola del contratto di licenza per quanto riguarda la sua durata, la forma disciplinata dalla registrazione nella quale si può usare il marchio, la natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è rilasciata, il territorio in cui il marchio può essere apposto o la qualità dei prodotti fabbricati o dei servizi forniti dal licenziatario».

III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

14.

La Pie Optiek è una società belga attiva nella vendita tramite Internet di lenti a contatto, occhiali ed altri articoli per gli occhi. Essa è titolare di un marchio figurativo del Benelux, comprendente il segno denominativo «Lensworld», depositato l’8 dicembre 2005 e registrato il 4 gennaio 2006, per prodotti e servizi nelle classi 5, 9 e 44, conformemente all’accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi. Essa gestisce il sito www.lensworld.be.

15.

La Bureau Gevers è una società belga attiva nella consulenza in materia di proprietà intellettuale.

16.

La Walsh Optical è una società americana con sede nel New Jersey, anch’essa attiva nel settore della vendita tramite Internet delle lenti a contatto e di altri articoli di occhialeria. La Walsh Optical gestisce dal 1998 il sito www.lensworld.com ed era inoltre titolare del marchio del Benelux «Lensworld», depositato il 20 ottobre 2005 e registrato il 26 ottobre 2005, per prodotti e servizi nella classe 35. Detto marchio è stato cancellato il 30 ottobre 2006.

17.

Il 18 novembre 2005, la Walsh Optical sottoscriveva un accordo di licenza («license agreement»; in prosieguo: l’«accordo») con la Bureau Gevers. In forza del suo articolo 1, tale accordo è diretto ad autorizzare il licenziatario a registrare un nome di dominio a suo nome, ma per conto del concedente la licenza, vale a dire della Walsh Optical, a definire i diritti e gli obblighi di ciascuna parte nel corso dell’accordo di licenza, nonché ad organizzare la procedura secondo la quale il licenziatario avrebbe trasferito il nome (i nomi) di dominio .eu al concedente la licenza o alla persona indicata da quest’ultimo. Ai sensi dell’articolo 3, il concedente la licenza pagherà gli onorari del licenziatario. L’articolo 4 dell’accordo dispone che il licenziatario fatturerà i suoi servizi al concedente la licenza. Secondo l’articolo 5 dell’accordo, il licenziatario è tenuto ad attivarsi, nella misura del possibile, al fine di presentare una richiesta .eu ed ottenere una registrazione .eu per il nome (i nomi) di dominio.

18.

Dalle osservazioni presentate dalla EURid risulta che la prima parte della registrazione per fasi di cui al capo IV del regolamento n. 874/2004 è cominciata il 7 dicembre 2005. Nello stesso giorno la Bureau Gevers presentava all’EURid una richiesta di registrazione del nome di dominio «lensworld.eu», a suo nome, ma per conto della Walsh Optical. Tale nome di dominio è stato assegnato alla Bureau Gevers il 10 luglio 2006. Nel frattempo, il 17 gennaio 2006, anche la Pie Optiek presentava una richiesta di registrazione del nome di dominio «lensworld.eu», che le veniva rifiutata a causa della richiesta anteriormente presentata dal Bureau Gevers.

19.

La domanda presentata dalla Pie Optiek dinanzi al tribunale arbitrale della Repubblica ceca, organismo incaricato della composizione delle liti relative ai nomi di dominio .eu, diretta a farsi trasferire il nome di dominio «lensworld.eu», veniva respinta in data 12 marzo 2007. Il 13 aprile 2007, la Pie Optiek citava in giudizio la Bureau Gevers dinanzi al Tribunal de première instance (tribunale di primo grado) di Bruxelles. L’8 maggio 2007, la EURid interveniva volontariamente in tale procedimento. Il ricorso veniva rigettato con sentenza del 14 dicembre 2007. L’appello presentato dinanzi al giudice del rinvio è diretto avverso tale sentenza di primo grado.

20.

Il giudice del rinvio nutre dubbi riguardo all’interpretazione della nozione di «licenziatari di diritti preesistenti» contemplata dall’articolo 12, paragrafo 2, terzo comma, del regolamento n. 874/2004, nonché di quella di «diritto o interesse legittimo» di cui all’articolo 21, paragrafo 1, lettera a), del medesimo regolamento. Per tale motivo, ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 874/2004 debba essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui il diritto preesistente di cui trattasi è un diritto di marchio, i termini «licenziatari di diritti preesistenti» possono riferirsi ad una persona che è stata autorizzata dal titolare del marchio unicamente a registrare a suo nome, ma per conto del concedente la licenza, un nome di dominio identico o simile al marchio, senza tuttavia essere autorizzata a fare usi diversi del marchio o uso del segno in quanto marchio, come, ad esempio, per commercializzare prodotti o servizi recanti il marchio.

2)

In caso di soluzione affermativa di questa questione,

se l’articolo 21, paragrafo 1, lettera a) del regolamento n. 874/2004 debba essere interpretato nel senso che «un diritto o un interesse legittimo» esiste anche se il «licenziatario di diritti preesistenti» ha proceduto alla registrazione del nome di dominio .eu a suo nome, ma per conto del titolare del marchio, quando quest’ultimo non è legittimato, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 733/2002».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

21.

La decisione di rinvio, datata 29 giugno 2011, è pervenuta alla cancelleria della Corte il 15 luglio 2011.

22.

Le parti del procedimento principale, la EURid, nonché la Commissione, hanno presentato osservazioni scritte entro il termine stabilito dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia.

23.

Nell’udienza del 21 marzo 2012, hanno presentato le loro osservazioni orali i rappresentanti delle parti del procedimento principale, della EURid e della Commissione.

V – Principali argomenti delle parti

24.

Farò riferimento agli argomenti delle parti, in quanto pertinenti, nell’ambito delle mie osservazioni.

VI – Valutazione giuridica

A – Osservazioni preliminari

25.

Il 7 dicembre 2005 era la data di inizio della registrazione dei nomi di dominio di Internet sotto il dominio di primo livello .eu. L’introduzione di tali nomi di dominio si basa sul piano d’azione dell’Unione europea «eEurope 2002» ( 6 ), che, al punto «Accelerare il commercio elettronico», fissava l’obiettivo della «creazione di un nome di dominio Internet di primo livello .eu». Attraverso la creazione di tale dominio di primo livello geografico (cosiddetto «country-code Top-Level-Domain»; in breve il «ccTLD»), il mercato interno doveva godere di maggiore visibilità nell’ambito del centro di scambi commerciali virtuale basato su Internet e accelerare il commercio elettronico. Con l’uso di tale dominio si intendeva evidenziare chiaramente il nesso di organizzazioni, imprese e persone fisiche con l’Unione, il quadro normativo associato e il mercato europeo.

26.

Al fine di introdurre tale nuovo dominio europeo di primo livello, l’Unione ha creato un’ampia cornice normativa. Se all’inizio il sistema mondiale dei nomi di dominio si è largamente sviluppato come un fenomeno principalmente tecnico, senza che fossero stabilite specificamente le condizioni quadro per la registrazione e l’uso, l’Unione, con l’introduzione dei nomi di dominio .eu, ha colmato la lacuna principalmente attraverso l’adozione di due strumenti giuridici. Nel regolamento quadro n. 733/2002 e nel regolamento n. 874/2004 emanato per la sua esecuzione si trovano, insieme con le disposizioni concernenti questioni tecniche, in particolare, normative riguardanti i segni distintivi.

27.

Da un lato, è stato disposto che l’introduzione dei nomi di dominio .eu dovesse effettuarsi attraverso un procedimento di registrazione per fasi («sunrise period») ( 7 ), in cui veniva garantito ai titolari di diritti sui segni distintivi un accesso privilegiato ai nomi di dominio .eu corrispondenti a tali segni. Nel corso della prima parte del «sunrise period» della durata di due mesi (dal 7 dicembre 2005 al 6 febbraio 2006), i titolari di marchi nazionali, marchi comunitari, indicazioni geografiche e denominazioni di origine potevano presentare domande di registrazione dei relativi domini. Anche i licenziatari erano legittimati a partecipare, in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, [terzo] comma, del regolamento n. 874/2004. Da detta disposizione la Bureau Gevers deduce di avere il diritto di registrare il nome di dominio «lensworld.eu». Nel corso della seconda parte del «sunrise period» potevano essere richiesti anche i nomi di dominio basati su altri diritti protetti dal diritto nazionale come, ad esempio, identificatori di imprese, nomi di imprese, titoli distintivi di opere letterarie e artistiche protette, marchi non registrati e nomi commerciali.

28.

Dall’altro lato, la normativa include disposizioni dirette a proteggere i titolari di diritti preesistenti, ma anche altri soggetti legittimati, dalle registrazioni speculative e abusive dei nomi di dominio .eu. La Pie Optiek invoca tali disposizioni per far revocare la registrazione effettuata a favore della Bureau Gevers. Tenuto conto del fatto che la Bureau Gevers presentava la richiesta del nome di dominio «lensworld.eu» ancora prima della Pie Optiek, ottenendone la registrazione, appare rilevante ai fini della risoluzione della controversia la questione se la Bureau Gevers possa essere considerata effettivamente come «licenziataria di un diritto preesistente» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, [terzo] comma, del regolamento n. 874/2004. Qualora fosse confermata la sua qualità di licenziataria, la decisione della EURid di non accogliere la richiesta di registrazione presentata dalla Pie Optiek dovrebbe essere considerata legittima. Ciò costituisce l’oggetto della prima questione pregiudiziale, che deve essere esaminata in primo luogo in base all’ordine dato.

B – Sulla prima questione pregiudiziale

1. Inesistenza di un accordo di licenza

29.

Con la prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede, in sostanza, cosa debba intendersi con la nozione di «licenziatario di un diritto preesistente» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, [terzo] comma, del regolamento n. 874/2004, qualora il diritto preesistente consista in un diritto di marchio.

30.

A tal riguardo, occorre precisare che il regolamento n. 874/2004 non contiene una definizione di tale nozione, né rinvia alle legislazioni degli Stati membri. Secondo costante giurisprudenza, tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio d’uguaglianza esigono che una disposizione di diritto dell’Unione che non contenga alcun richiamo espresso al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve di regola dar luogo, nell’intera Unione, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi ( 8 ). Dato che, nel caso di specie, l’atto che necessita di interpretazione è un regolamento di esecuzione, deve essere preferita l’interpretazione che renda quest’ultimo compatibile con le disposizioni del regolamento di base ( 9 ).

31.

La nozione di «licenziatario di un diritto preesistente» si compone di due elementi. Da un lato, si tratta della nozione di «diritto preesistente», la cui determinazione non pone, tuttavia, particolari difficoltà nel presente procedimento pregiudiziale, visto che il regolamento menziona espressamente, all’articolo 10, paragrafo 1, secondo comma, le singole categorie di diritti, tra cui si trovano infatti, inter alia, i marchi nazionali registrati. Tenuto conto del fatto che il Belgio, i Paesi Bassi e il Lussemburgo costituiscono uno spazio giuridico unitario con una normativa uniforme in materia di marchi ed un ufficio marchi comune per tutti e tre i paesi ( 10 ), il marchio del Benelux registrato a favore della Walsh Optical può essere qualificato giuridicamente come un marchio nazionale ai sensi di detta disposizione.

32.

Al contrario, risulta più complessa la definizione dell’accordo di licenza. Infatti, da essa dipende la soluzione della questione centrale se la Walsh Optical, attraverso l’accordo concluso con la Bureau Gevers, abbia validamente concesso a quest’ultima una licenza sul marchio registrato. Pertanto, occorrerà indagare se il diritto dell’Unione contempli una definizione legale dell’accordo di licenza e, conseguentemente, andrà esaminato se l’accordo in questione corrisponda peraltro a tale definizione.

33.

Come ho già esposto nelle mie conclusioni presentate nella causa Falco Privatstiftung und Rabitsch ( 11 ), le norme dell’Unione in materia di tutela della proprietà intellettuale disciplinano invero la facoltà di concedere licenze ( 12 ), ma non recano disposizioni riguardanti la conclusione dell’accordo di licenza. Dai pertinenti testi normativi si può inferire unicamente che il contratto di licenza è un contratto sinallagmatico, il cui nucleo essenziale consiste nel fatto che il licenziante concede al licenziatario il diritto di utilizzare determinati diritti di proprietà intellettuale e il licenziatario paga, a tal fine, un corrispettivo al concedente la licenza. Mediante la concessione della licenza, il licenziante consente al licenziatario di realizzare attività che, in assenza di licenza, costituirebbero una violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Il termine licenza, derivante dalla parola latina «licet», ha il significato originario di «autorizzazione per utilizzare un bene o per esercitare un’attività». Conformemente al principio dell’autonomia privata, è possibile stabilire per contratto una limitazione della licenza; essa può essere esclusiva o non esclusiva oppure essere limitata nello spazio, nel tempo o in base al modo della sua utilizzazione ( 13 ).

34.

La Corte ha aderito a detta concezione del nucleo essenziale di un contratto di licenza, stabilendo, nella sentenza emanata nella causa Falco Privatstiftung e Rabitsch, che l’obbligo del titolare di un diritto di proprietà intellettuale di non contestare l’utilizzazione di tale diritto compiuta dalla controparte dietro pagamento di un corrispettivo sia un elemento caratteristico degli accordi di licenza. Secondo la Corte, esso costituisce un sostanziale criterio distintivo rispetto al contratto di servizi. Diversamente da quest’ultimo tipo di contratto, il titolare del diritto di proprietà intellettuale non effettua alcuna prestazione concedendo lo sfruttamento del diritto in questione, impegnandosi esclusivamente a consentire che la controparte sfrutti liberamente tale diritto ( 14 ). La Corte ha, invece, considerato indifferente un eventuale obbligo del licenziatario di sfruttare il diritto di proprietà intellettuale concesso ( 15 ).

35.

Tuttavia, secondo una nuova teoria sostenuta dalla dottrina giuridica, la licenza non si può intendere come una mera tolleranza dello sfruttamento e pertanto come un’obbligazione puramente passiva del concedente la licenza nel senso di una rinuncia all’esercizio dei suoi diritti di opposizione. I sostenitori di detta teoria ritengono anzi che la licenza conceda anche un diritto positivo di sfruttamento ( 16 ). Come andrò ad esporre di seguito, si può dedurre da alcuni atti giuridici dell’Unione che la licenza, nel diritto dell’Unione, sia concepita effettivamente come una vera e propria autorizzazione per lo sfruttamento e non come una mera tolleranza. La nozione di licenza si può definire nella sua fisionomia attraverso un’analisi comparativa dei diversi atti giuridici dell’Unione ( 17 ).

36.

Nel diritto dell’Unione si rinvengono norme relative alla licenza in particolare in due contesti normativi. Da un lato, nell’ambito dei regolamenti aventi ad oggetto la configurazione dei diritti di protezione dell’Unione, la licenza è considerata come una forma di sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. Finora, con la normativa comunitaria che disciplina la privativa per le varietà vegetali, il marchio comunitario e i disegni e modelli comunitari, l’Unione ha già istituito tre regimi originari di protezione europea ed è pronto un progetto di regolamento sul brevetto comunitario. Come dimostra in maniera esemplare l’articolo 22, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario ( 18 ), il tenore delle disposizioni relative alla licenza è formulato dal punto di vista del licenziatario. L’ordine delle parole «contro il licenziatario che violi [in ordine alle clausole] concernenti la durata della licenza, la forma prevista dalla registrazione nella quale il marchio può essere utilizzato (…)» porta alla conclusione che al licenziatario venga concessa un’autorizzazione. Il fatto che, nel diritto dell’Unione, la licenza sia concepita come un’autorizzazione per lo sfruttamento e non come una mera tolleranza è reso ancor più chiaro nei lavori preparatori del regolamento sul marchio comunitario, nonché delle pertinenti direttive dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno. In tal senso, nel memorandum sul marchio comunitario ( 19 ), la licenza viene definita come il «contratto con il quale un marchio viene messo a disposizione di un altro a fini di utilizzo». Infine, le direttive concernenti il regolamento sul marchio comunitario ( 20 ) recitano così: «La semplice tolleranza o il consenso unilaterale espresso a un terzo dal titolare di un marchio all’uso di tale marchio non costituisce una licenza». Tale approccio è del pari confermato dall’articolo 4, della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale ( 21 ), a termini del quale gli strumenti di protezione istituiti dalla direttiva devono spettare, oltre al titolare del diritto, anche ai soggetti «autorizzati a disporre di questi diritti», tra cui è menzionato specificamente il licenziatario.

37.

Inoltre, esistono norme sulle licenze nell’ambito del diritto della concorrenza. Così, ad esempio, il regolamento (CE) n. 772/2004 della Commissione, del 27 aprile 2004, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia ( 22 ), nonché le linee direttrici pubblicate a tal riguardo dalla Commissione, si fondano chiaramente sulla concezione della licenza come diritto contrattuale di sfruttamento. La nozione di licenza si può inoltre dedurre indirettamente dalle norme in materia di licenze obbligatorie – previste, ad esempio, dalla direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche ( 23 ). Esse precisano che una licenza costituisce, di norma, un’autorizzazione per lo sfruttamento di una privativa dietro un corrispettivo periodico. Il fatto che la licenza, nel diritto dell’Unione, non debba essere considerata come una mera rinuncia a far valere i diritti di opposizione conferiti dalla privativa, ma come un diritto positivo di sfruttamento, emerge, infine, anche dalle norme sul principio dell’esaurimento.

38.

A prescindere dalla questione se, dal punto di vista dogmatico, debba ritenersi quale caratteristica principale di un contratto di licenza, a seconda alla tesi giuridica, la rinuncia all’esercizio di un diritto o piuttosto la concessione da parte del licenziante di un’autorizzazione per lo sfruttamento, va considerato che le opinioni summenzionate coincidono in gran parte nel senso che, attraverso la concessione di una licenza, in ultima analisi, viene accordato al licenziatario il potere di sfruttare un diritto di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, modelli) temporaneamente o in modo permanente, e precisamente in una misura altrimenti sottoposta al diritto di proibizione e di uso del titolare del diritto protetto ( 24 ).

39.

Come tale va di certo inteso solo l’uso conforme alla destinazione di tale diritto di proprietà industriale ( 25 ), precisamente per quanto riguarda la commercializzazione di determinati beni o servizi, in quanto, in caso contrario, la concessione di una licenza non avrebbe alcun senso dal punto di vista economico. La concessione negoziale di un diritto su un bene immateriale non costituisce un fine in se stesso, ma si realizza, di norma, in vista di uno sfruttamento economico da parte del beneficiario ( 26 ).

40.

Anche il legislatore dell’Unione si basa evidentemente su tale premessa, come si deduce già indirettamente dal tenore dell’articolo 22 del regolamento n. 40/94 e dell’articolo 8 della direttiva 89/104, ove si dispone che il marchio può essere oggetto di licenze per i prodotti e i servizi per i quali è registrato. Si fa riferimento rispettivamente a due diverse categorie (prodotti e servizi), tipicamente destinate alla commercializzazione. Le menzionate disposizioni in materia di marchi, pertanto, devono interpretarsi nel senso che con la concessione della licenza viene consentito al licenziatario di contrassegnare con il marchio determinati prodotti o servizi da lui commercializzati. Di conseguenza, si deve presumere che il licenziatario, di regola, utilizzerà a fini commerciali il pertinente diritto di proprietà industriale.

41.

Inoltre, ove si ricorra ad un approccio economico, non può trascurarsi il fatto che il concedente la licenza, non di rado, avrà interesse allo sfruttamento del marchio attraverso il suo uso nel commercio. Infatti, il concedente la licenza non solo riceve un corrispettivo finanziario per la concessione in uso, che già di per sé costituisce per lui un importante incentivo economico. A seconda dell’accordo, egli può ottenere un canone di licenza o persino una partecipazione agli utili conseguiti dal licenziatario ( 27 ). Inoltre, l’uso del marchio da parte del licenziatario assicura che ne venga conservato il carattere distintivo e che il marchio possa continuare a realizzare le sue funzioni – alle quali dedicherò specificamente la mia attenzione di seguito ( 28 ).

42.

Tale aspetto risulta particolarmente rilevante nel caso in cui il titolare della privativa, per qualsiasi motivo, non sia in condizione di sfruttare il marchio in prima persona, il che, tenuto conto della complessità dell’odierna vita economica, non è assolutamente infrequente. In un sistema economico in cui, in ragione della crescente interdipendenza e internazionalizzazione dei processi economici, è diventato difficile sfruttare economicamente un monopolio in un determinato settore dell’economia in modo esclusivo e pieno, per non parlare della necessità di un continuo sviluppo tecnico-creativo ( 29 ), lo sfruttamento di beni immateriali non è più realizzato unicamente e direttamente dal titolare del diritto, ma con la partecipazione di altri operatori economici che, insieme, sono in grado di assicurare uno sfruttamento ottimale. La concessione di licenze rende possibile esplorare diverse possibilità di sfruttamento e conquistare nuovi mercati di sbocco. Con il supporto del cosiddetto marketing, organizzato nel proprio interesse dal licenziatario al fine di attirare i clienti, aumenta il grado di notorietà del marchio a beneficio, in ultima analisi, dello stesso concedente la licenza ( 30 ). La licenza, pertanto, è funzionale ad uno sfruttamento ottimale dei diritti di proprietà intellettuale. Non da ultimo è per tale motivo che essa costituisce oggi la forma più frequente di sfruttamento commerciale di tali diritti, a fianco della cessione e del pegno. Di conseguenza, dal punto di vista del concedente la licenza, si può del pari spiegare la ragione per cui la licenza si concede normalmente in vista di un uso futuro ( 31 ).

43.

Senza dubbio, per «uso conforme alla destinazione», nel senso sopra indicato, si può intendere qualcosa di diverso in funzione del tipo di diritto di cui si tratta. I diritti si distinguono tra loro per l’estensione della protezione da essi conferita. Nel caso di specie, risulta ugualmente utile un approccio giuridico al fine di valutare se la legittimazione all’uso di un diritto di proprietà industriale faccia parte del nucleo essenziale del contratto di licenza. Oltre alle norme di legge che disciplinano la concessione di licenze relative a diritti di proprietà industriale e descrivono le caratteristiche essenziali dei singoli diritti, è rilevante ciò che le parti hanno stabilito contrattualmente nel caso concreto. Da tale accordo, quale espressione dell’autonomia contrattuale, è possibile trarre, in ultima analisi, alcune conclusioni sulla portata dei poteri oggetto di concessione ( 32 ).

44.

Nel caso di cui al procedimento principale, la Bureau Gevers e la Walsh Optical hanno concluso un contratto denominato «accordo di licenza» avente ad oggetto un diritto di marchio. La sola denominazione scelta dalle parti fornisce, tuttavia, poche indicazioni sul modo in cui tale accordo debba essere qualificato giuridicamente ( 33 ). Infatti, non solo è possibile che la qualificazione data dalle parti contraenti risulti erronea dal punto di vista giuridico, ma si deve altresì evitare che le parti, ricorrendo eventualmente ad una terminologia deliberatamente scelta, si sottraggano alle conseguenze giuridiche previste dal diritto dell’Unione ove si configuri un contratto di licenza. Nel caso in questione si tratta della legittimazione a registrare un nome di dominio in via privilegiata entro uno specifico periodo di registrazione anticipata («sunrise period»). In tale contesto, ritengo opportuno adottare un approccio oggettivo con il quale esaminare, in sostanza, se tale accordo, per il suo oggetto, fosse diretto a consentire alla Bureau Gevers un utilizzo del marchio in questione conforme alla destinazione.

45.

A tal fine, è necessario rammentare brevemente la funzione svolta dal marchio nel commercio. Solo a seguito di detta premessa, infatti, si potranno trarre conclusioni in merito alla questione se sia stato stabilito o meno tra le parti un utilizzo conforme alla destinazione, vale a dire corrispondente alla funzione del marchio. A tal riguardo, l’ampia giurisprudenza della Corte relativa alla direttiva 89/104 e al regolamento n. 40/94 fornisce qualche indicazione.

46.

Come la Corte ha dichiarato in numerose occasioni, il marchio svolge diverse funzioni. La sua funzione essenziale consiste, in primo luogo, nel garantire ai consumatori l’origine del prodotto o del servizio ( 34 ). In tal modo, il marchio costituisce un mezzo di identificazione e di individualizzazione nel traffico commerciale. Tale cosiddetta funzione di indicazione d’origine presenta, tuttavia, diversi aspetti che non possono essere trascurati nella valutazione dell’importanza del marchio nella vita economica.

47.

La Corte ha fatto riferimento a tali diversi aspetti nella sentenza Arsenal Football Club ( 35 ), in cui ne ha esposto le rispettive interconnessioni in modo dettagliato e, insieme, chiaro. Ad avviso della Corte, il diritto dei marchi costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che l’Unione mira a stabilire e mantenere. In tale sistema, le imprese debbono essere in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all’esistenza di contrassegni distintivi che consentano di identificarli. In tale prospettiva, la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa. Infatti, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende istituire e preservare, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale possa essere attribuita la responsabilità della loro qualità.

48.

Da allora la Corte ha sviluppato la sua giurisprudenza sul diritto dei marchi sottolineando gli altri aspetti della funzione di indicazione d’origine e attribuendo ad essi un ruolo non meno rilevante. Ne sono testimonianza le sentenze L’Oréal e a. ( 36 ), nonché Google France e Google ( 37 ), in cui la Corte ha rammentato anzitutto tale funzione essenziale, per poi chiarire che il marchio, oltre alla garanzia della qualità del prodotto o del servizio di cui si tratta, svolge anche funzioni di comunicazione, investimento e pubblicità. Alla luce di detto chiarimento, non dovrebbe residuare alcun margine di dubbio sul fatto che anche nella giurisprudenza della Corte la funzione di indicazione di origine rappresenta solo una delle svariate funzioni e si trova sullo stesso piano della funzione di garanzia di qualità o di pubblicità ( 38 ). Di conseguenza, nella valutazione della questione se venga perseguito un uso del marchio conforme alla sua destinazione, devono essere prese in considerazione anche le altre funzioni da esso svolte nella vita economica.

49.

Secondo la Bureau Gevers, non era affatto oggetto dell’accordo che le venisse attribuita dalla Walsh Optical la facoltà di commercializzare in proprio prodotti o servizi utilizzando il marchio in questione. Tanto meno era stato stabilito che essa pubblicizzasse i prodotti della Walsh Optical sul mercato interno dell’Unione. Non esistono neppure elementi per ritenere che la Bureau Gevers intendesse fare investimenti nel marchio. Difatti, la Bureau Gevers non è per niente collegata con il segmento di mercato interessato. Al contrario, l’accordo in questione si limitava a stabilire che venisse affidato alla Bureau Gevers l’incarico di registrare a suo nome il nome di dominio «lensworld.eu». Pertanto, non era stato affatto convenuto tra le parti contraenti un uso del marchio che fosse quantomeno concordante con le sue funzioni specifiche. Non si può pertanto parlare di un uso previsto del marchio conforme alla destinazione.

50.

Infine, occorre ricordare ancora la circostanza che l’accordo stipulato non contiene alcuna indicazione in merito alla questione se il licenziatario debba essere autorizzato a far valere i diritti derivanti dal marchio nei confronti di terzi, sebbene anche tale aspetto costituisca abitualmente oggetto di ogni contratto di licenza. Gli accordi di licenza svolgono infatti, a tal riguardo, anche una funzione di risoluzione delle controversie ( 39 ), allorché contemplano disposizioni inerenti al modo di procedere qualora i concorrenti inizino una controversia con il licenziatario relativamente al diritto di proprietà industriale oppure il licenziatario non si attenga alle condizioni di licenza stabilite. Il primo aspetto risulta rilevante nel caso di licenza di un marchio proprio perché il marchio conferisce al suo titolare il diritto di vietare ai terzi l’uso non autorizzato di un marchio identico, come dispongono l’articolo 5 della direttiva 89/104 e l’articolo 9 del regolamento n. 40/94. Per poter essere qualificato come accordo di licenza avente ad oggetto un marchio, il contratto concluso tra la Bureau Gevers e la Walsh Optical avrebbe dovuto disciplinare quindi necessariamente detto aspetto. Dato che così non è stato, resta dubbio se possa qualificarsi come contratto di licenza.

51.

Alla luce del fatto che l’accordo controverso è privo degli elementi essenziali caratteristici di un contratto di licenza, vale a dire, in primo luogo, della concessione del diritto allo sfruttamento economico del marchio attraverso l’apposizione del contrassegno su prodotti o servizi, nonché, in secondo luogo, del potere di far valere i diritti conferiti dal marchio nei confronti di terzi, si pone la questione del modo in cui debba valutarsi sub specie iuris la circostanza che tale accordo contemplasse, nondimeno, il potere di registrare il nome di dominio. Così emerge la questione della qualificazione giuridica di tale accordo. A tal riguardo, vorrei far notare quanto segue.

52.

Da un lato, dal mio punto di vista, non si può seriamente dubitare che la concessione di detto potere debba essere interpretato giuridicamente nel senso di una rinuncia ad una parte dei diritti originari spettanti alla Walsh Optical in quanto titolare del marchio. Nel caso di specie, si tratta del diritto di registrare un nome di dominio riservato, in linea di principio, esclusivamente al titolare di un marchio nazionale ovvero comunitario. Per quanto riguarda la normativa in materia di domini .eu, le disposizioni dell’articolo 12 del regolamento n. 874/2004 prendono in considerazione il privilegio del titolare del marchio; esse, come già esposto nelle mie osservazioni preliminari, concedono a quest’ultimo la preferenza nella registrazione di nomi di dominio e mirano a proteggere il titolare del marchio dal pericolo che un terzo registri ancor prima di lui un identico nome di dominio.

53.

Dall’altro lato, non va trascurato che una rinuncia del titolare del marchio al suo diritto originario di richiedere la registrazione del corrispondente nome di dominio non può essere considerato equivalente alla rinuncia ai diritti conferiti dal marchio, effetto tipico di un contratto di licenza. Come ho già osservato, l’accordo concluso tra la Walsh Optical e la Bureau Gevers, infatti, non contemplerebbe un uso a fini commerciali del marchio ovvero del nome di dominio corrispondente. L’accordo era diretto, invero, ad uno scopo del tutto diverso da quello di un tipico accordo di licenza. Pertanto esso non corrisponde, dal punto di vista oggettivo, alla definizione di contratto di licenza che è alla base delle disposizioni di diritto dell’Unione.

54.

Di conseguenza, la Bureau Gevers non può essere considerata come un «licenziatario di un diritto preesistente» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 874/2004.

2. Qualificazione come contratto di servizi

55.

Eventualmente, l’accordo in questione potrebbe essere qualificato piuttosto, sotto il profilo giuridico, come un contratto avente ad oggetto una prestazione di servizi. Come la Corte ha stabilito nella sentenza Falco Privatstiftung e Rabitsch, la nozione di «servizi» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), secondo trattino, del regolamento n. 44/2001 implica che la parte che li presta effettui una determinata attività in cambio di un corrispettivo ( 40 ). Sulla base di tale definizione, la Corte ha delimitato i contratti di servizi rispetto ai contratti di licenza, pervenendo alla conclusione che non sussiste tra i due tipi di contratto alcuna corrispondenza per quanto concerne il loro oggetto ( 41 ).

56.

Nelle mie conclusioni presentate in detta causa ( 42 ), ho provato a definire la nozione di «servizi» in primo luogo in senso astratto. A tal riguardo, sottolineavo che, per la definizione della nozione di «servizi» rivestivano cruciale importanza due aspetti. In primo luogo, l’usuale significato del termine «servizi» esige che colui che presta il servizio esegua una determinata attività; pertanto, la prestazione di servizi richiede una qualche attività ovvero un attivo comportamento da parte di colui che fornisce il servizio. In secondo luogo, i servizi, in linea di principio, devono essere prestati dietro corrispettivo.

57.

Per quanto attiene al procedimento principale, occorre constatare che la Bureau Gevers si è vincolata per contratto, dietro pagamento di un corrispettivo, ad attivarsi, nella misura del possibile, al fine di presentare una richiesta ed ottenere una registrazione .eu per il nome di dominio. In tale contesto, è evidente il fatto che il testo dell’accordo contrattuale parla espressamente di «servizi» a tal riguardo ( 43 ). Tutto quanto precede sembra indicare che la Bureau Gevers si sia effettivamente obbligata nei confronti della Walsh Optical allo svolgimento di un’attività, vale a dire alla prestazione di un servizio nel senso di cui alla summenzionata definizione. Di certo, la registrazione del nome di dominio è stata effettuata a nome della Bureau Gevers. Tuttavia, tenuto conto del fatto che quest’ultima non intendeva fare alcun uso del marchio ovvero del corrispondente nome di dominio in maniera conforme alla loro destinazione, si deve ritenere che detto servizio sia stato prestato esclusivamente nell’interesse della Walsh Optical. Alla luce di tali considerazioni, l’accordo in questione corrisponde alla definizione di un contratto di servizi.

3. Rischio di vanificazione della finalità della disciplina

58.

Ci si chiede se la qualificazione dell’accordo come contratto di servizi osti ugualmente all’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 2, [terzo] comma, del regolamento n. 874/2004. A mio avviso, non è possibile applicare tale disposizione alla fattispecie presente per le seguenti ragioni.

59.

In primo luogo, occorre tenere conto del fatto che la cerchia di soggetti legittimati alla richiesta di nomi di dominio .eu, in base al tenore dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 733/2002, si limita alle imprese e alle organizzazioni «aventi la sede prescritta dal loro statuto o il centro della loro amministrazione o il loro principale stabilimento all’interno dell’[Unione europea]». Un’analoga limitazione vige anche per le persone fisiche, in quanto esse devono essere residenti nell’Unione europea ( 44 ). Tale disciplina deve essere considerata, vista la sua chiarezza, come l’espressione di una decisione di principio del legislatore dell’Unione di cui è necessario tener conto nell’interpretazione del quadro normativo. Non sarebbe possibile una deroga a detta disciplina senza violarne in tal modo il tenore letterale.

60.

Sembra allora logico che la richiesta di un nome di dominio nell’ambito di un dominio di primo livello specifico di un paese abbia come condizione che il richiedente abbia la residenza nel paese identificato da detto dominio, tuttavia va considerato che la prassi internazionale non è uniforme al riguardo ( 45 ). Il numero di Stati che, ai fini della richiesta di un dominio nell’ambito del ccTLD proprio del paese, esigono che il richiedente risieda nel territorio nazionale è più o meno lo stesso del gruppo di quelli che rinunciano a tale requisito. Molti paesi – inclusi la Germania e il Regno Unito – non pretendono che il richiedente il dominio risieda nel paese o almeno considerano sufficiente la designazione di un rappresentante del richiedente stabilito nel territorio nazionale. Il legislatore dell’Unione, per quanto riguarda i domini .eu, sembra partire da un approccio più restrittivo. La norma fondamentale di cui all’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 733/2002 precisa che l’Unione intende rafforzare il carattere identificativo del ccTLD .eu, rifiutando a priori la registrazione ai richiedenti che non abbiano sede in uno Stato membro ( 46 ).

61.

Ciò è conforme altresì alla finalità perseguita dal regolamento n. 733/2002, come si può apprendere dal suo sesto considerando. Ne risulta, infatti, che il dominio di primo livello .eu aveva lo scopo di «offrire un nesso chiaramente identificabile con la Comunità, con il quadro normativo associato e con il mercato europeo». Alle imprese, alle organizzazioni e alle persone fisiche della Comunità dovrebbe essere resa possibile una registrazione in un dominio specifico che renda visibile tale nesso. Tale considerando indica che, a parere del legislatore dell’Unione, in tanto si può parlare di un nesso sufficiente di una determinata impresa con l’Unione, che la legittima alla registrazione del nome di dominio, in quanto essa abbia la sede prescritta dal suo statuto o il centro della sua amministrazione o il suo principale stabilimento all’interno dell’Unione. Come la Commissione ( 47 ) ha giustamente argomentato, il nesso di un’impresa con il mercato interno si esprime, da un lato, nello stabilimento nel territorio dell’Unione, dall’altro, però, anche attraverso l’utilizzazione del marchio nel commercio in relazione a prodotti o servizi.

62.

Ove si applichino tali criteri interpretativi al caso di specie, diventa palese che, per quanto concerne la Walsh Optical, un siffatto nesso con l’Unione non esiste. Detta impresa non ha la propria sede nell’Unione e non sussiste qualsivoglia elemento che faccia presumere che la stessa Walsh Optical ovvero la Bureau Gevers in qualità di supposto licenziatario intendano usare il marchio conformemente alla sua destinazione. In primo luogo, l’accordo controverso, come si è già osservato, non è diretto a tale risultato. In secondo luogo, occorre rilevare che il marchio del Benelux, sulla base del quale la Bureau Gevers fondava inizialmente la sua richiesta di registrazione, è stato cancellato il 30 ottobre 2006. Pertanto, la denominazione «lensworld» non gode più della protezione come marchio nell’ambito di applicazione del diritto dei marchi del Benelux. Inoltre, per tale motivo, le condizioni di legge richieste per la registrazione del nome di dominio sono venute meno per così dire a posteriori.

63.

Di conseguenza, sarebbe anche in contrasto con la ratio del regolamento n. 733/2002 il fatto di consentire ad imprese non legittimate di ottenere la registrazione del nome di dominio desiderato. Ciò dovrebbe valere anche nel caso in cui le disposizioni concernenti la legittimazione venissero, in ultima analisi, aggirate con una registrazione effettuata mediante il ricorso ad una costruzione giuridica quale il conferimento di un incarico ad un’altra organizzazione residente nell’Unione e dunque legittimata alla presentazione della richiesta. Un’interpretazione rigorosa dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 733/2002, diretta ad escludere ipotesi come quella di cui al caso di specie, appare necessaria al fine di assicurare un effetto utile a tale norma. Un’interpretazione che dovesse tollerare un siffatto comportamento comporterebbe che il nesso con l’Unione richiesto dal legislatore dell’Unione non risulti pienamente garantito, per cui la finalità della disciplina verrebbe vanificata.

64.

Pertanto, la circostanza che l’accordo concluso tra la Walsh Optical e la Bureau Gevers non debba qualificarsi come un contratto di licenza, ma come un contratto di servizi osta all’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 733/2002. Tenuto conto del fatto che, nel caso di specie, al momento della richiesta, non è stato rispettato un criterio essenziale di ammissibilità, il Registro non poteva registrare il nome di dominio in questione. Dato che, quindi, la registrazione si è realizzata in modo illegittimo, il Registro deve revocare di propria iniziativa il nome di dominio in questione in forza dell’articolo 20, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 874/2004.

4. Conclusione

65.

In base a tutto quanto premesso, la prima questione pregiudiziale va risolta nel senso che la nozione di «licenziatari di diritti preesistenti» di cui all’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 874/2004, deve essere interpretata nel senso che, in una situazione in cui il diritto preesistente di cui trattasi è un diritto di marchio, essa non comprende un soggetto autorizzato dal titolare del marchio unicamente a registrare, a suo nome, ma per conto del concedente la licenza, un nome di dominio identico o simile al marchio, senza tuttavia essere autorizzata a fare usi diversi del marchio o uso del segno in quanto marchio, come, ad esempio, per commercializzare prodotti o servizi recanti il marchio.

C – Sulla seconda questione pregiudiziale

66.

La seconda questione pregiudiziale posta solo per il caso di soluzione affermativa della prima questione, non necessita di risposta.

VII – Conclusione

67.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali proposte dalla Cour d’appel di Bruxelles come segue:

La nozione di «licenziatari di diritti preesistenti» di cui all’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 874/2004 della Commissione, del 28 aprile 2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione, deve essere interpretata nel senso che, in una situazione in cui il diritto preesistente di cui trattasi è un diritto di marchio, essa non comprende un soggetto autorizzato dal titolare del marchio unicamente a registrare, a suo nome, ma per conto del concedente la licenza, un nome di dominio identico o simile al marchio, senza tuttavia essere autorizzata a fare usi diversi del marchio o uso del segno in quanto marchio, come, ad esempio, per commercializzare prodotti o servizi recanti il marchio.


( 1 ) Lingua originale delle conclusioni: il tedesco.

Lingua del procedimento: il francese.

( 2 ) GU L 113, pag. 1.

( 3 ) GU L 162, pag. 40.

( 4 ) GU L 40, pag. 1.

( 5 ) GU 1994, L 11, pag. 1.

( 6 ) «eEurope – Una società dell’informazione per tutti»: comunicazione relativa ad un’iniziativa della Commissione per il Consiglio europeo straordinario di Lisbona, 23-24 marzo 2000, COM(1999) 687 def.

( 7 ) V. in particolare, in merito al procedimento di registrazione per fasi, Bettinger, T., «New European Top-Level Domain .eu», in Domain Name Law and Practice, Oxford, 2005, pag. 44; Muñoz, R., «L’enregistrement d’un nom de domaine “.eu”», Journaux des tribunaux – Droit européen, giugno 2005, n. 120, pag. 161 e segg.

( 8 ) V. sentenze del 27 febbraio 2003, Adolf Truley (C-373/00, Racc. pag. I-1931, punto 35), e del 19 settembre 2000, Linster (C-287/98, Racc. pag. I-6917, punto 43).

( 9 ) Sentenza del 24 giugno 1993, Dr. Tretter (C-90/92, Racc. pag. I-3569, punto 11).

( 10 ) A partire dal 1o gennaio 1971, negli Stati del Benelux, la normativa in materia di marchi commerciali individuali e collettivi è dettata dalla legge uniforme del Benelux sui marchi. Secondo tale legge, un marchio può avere efficacia solo nell’intero territorio del Benelux; il diritto non può essere diviso su base territoriale. Pertanto, il diritto comune dei marchi del Benelux ha sostituito in gran parte le precedenti legislazioni nazionali autonome in materia di marchi (v., a tal riguardo, Evrard, J./Péters, P., La Défense de la Marque dans le Benelux, seconda edizione, Brüssel, 2000, pagg. 8 e 17; Verkade, F., «Angleichung des nationalen Markenrechts in der EWG: Benelux-Staaten», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht Internationaler Teil, 1992, pag. 92).

( 11 ) V. le conclusioni da me presentate il 27 gennaio 2009, nella causa Falco Privatstiftung und Rabitsch (C-533/07, sentenza del 23 aprile 2009, Racc. pag. I-3327, paragrafo 50).

( 12 ) Così, in materia di diritto d’autore, il trentesimo considerando della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10), stabilisce che i diritti oggetto di tale direttiva possono essere trasferiti, ceduti o dati in uso in base a contratti di licenza, senza pregiudizio delle disposizioni legislative nazionali applicabili in materia di diritto d’autore e diritti connessi. Nel settore del diritto dei marchi, l’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento n. 40/94, dispone che il marchio comunitario può essere oggetto di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, e per la totalità o parte della Comunità. Anche il futuro regolamento sul brevetto comunitario recherà disposizioni sul contratto di licenza; infatti, la proposta di regolamento del Consiglio relativo al brevetto comunitario [COM(2000) 412 def.] stabilisce, all’articolo 19, che il brevetto comunitario può formare oggetto di licenze, nella sua totalità o per una sua parte, per tutti i territori della Comunità o per una loro parte, e che tali licenze possono essere esclusive o non esclusive.

( 13 ) V. Vögele, A./Borstell, T./Engler, G., Handbuch der Verrechnungspreise, terza edizione, München, 2011, paragrafo 352, i quali sottolineano che nella conclusione di contratti di licenza vige, in linea di principio, la libertà contrattuale per cui le parti possono concordare determinate restrizioni del contenuto della licenza che possono essere di tipo spaziale, temporale, materiale o personale.

( 14 ) Sentenza del 23 aprile 2009, Falco Privatstiftung und Rabitsch (C-533/07, Racc. pag. I-3327, punto 31).

( 15 ) Ibidem, punto 32.

( 16 ) V. Stumpf, H./Groß, M., Der Lizenzvertrag, ottava edizione, Frankfurt am Main, 2005, paragrafo 13, pag. 36; Ubertazzi, B., «IP-Lizenzverträge und die EG-Zuständigkeitsverordnung», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht Internationaler Teil, 2010, pag. 115.

( 17 ) V., in particolare, McGuire, M.-R., «Der Gerichtsstand des Erfüllungsorts nach Art. 5 Nr. 1 EuGVO bei Lizenzverträgen – Anmerkung zur Entscheidung EuGH Rs. C-533/07 – Falco Privatstiftung und Thomas Rabitsch/Gisela Weller-Lindhorst», Zeitschrift für Gemeinschaftsprivatrecht, 2010, pag. 99.

( 18 ) GU L 78, pag. 1.

( 19 ) Commissione europea, «Memorandum per l’istituzione di un marchio CEE», SEC(76) 2462 def.

( 20 ) «Direttive relative ai procedimenti dinanzi all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli)», parte E, capitolo 5: Licenze (consultabile all’indirizzo http://oami.europa.eu/ows/rw/resource/documents/CTM/guidelines/licences_de.pdf).

( 21 ) GU L 195, pag. 16.

( 22 ) GU L 123, pag. 11.

( 23 ) GU L 213, pag. 13.

( 24 ) V. Pahlow, L., Lizenz und Lizenzvertrag im Recht des Geistigen Eigentums, Tübingen, 2006, pag. 182, il quale passa in rassegna le diverse opinioni esistenti nella dottrina giuridica in ordine al nucleo essenziale della licenza. Mentre alcuni discutono di un mero «permesso», altri parlano di un «diritto di sfruttamento». Ad avviso dell’autore è opportuno far riferimento al «minimo comun denominatore» e concepire la licenza del tutto generalmente come un «diritto di uso». Analogamente v. pure Miguel Asensio, P.A., «Jurisprudencia española y comunitaria de Derecho internacional privado», Revista española de Derecho Internacional, 2009, pag. 201, il quale ritiene che l’interpretazione di un contratto di licenza quale semplice rinuncia all’esercizio di un diritto nel senso precisato dalla sentenza Falco Privatstiftung und Rabitsch sia troppo restrittiva, in quanto non è così in molte fattispecie contrattuali. D’altro canto, la normativa spagnola in materia di brevetti, ad esempio, disporrebbe che il concedente la licenza debba garantire al licenziatario la possibilità di utilizzazione. Nondimeno, l’autore non considera erronea la definizione impiegata dalla Corte nella sentenza summenzionata, in quanto essa dipenderebbe dalle circostanze del caso di specie. Gouga, A., Die Übertragung und Lizenzierung der Marke nach griechischem und deutschem Recht unter Berücksichtigung des europäischen Markenrechts, München, 1996, pag. 230, sottolinea, a giusto titolo, che, in base all’interpretazione giuridica invalsa, il nucleo essenziale del diritto sul marchio consisterebbe tanto in poteri negativi di opposizione, quanto in poteri positivi di uso, al punto che sarebbe ammissibile, dal punto di vista giuridico, interpretare la licenza di marchio anche nel senso di un diritto positivo di uso. Bühling, J., «Die Markenlizenz im Rechtsverkehr», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht Internationaler Teil, 2010, pag. 196, rileva che le licenze relative ai diritti di proprietà industriale possono essere descritti, di norma, come il diritto di sfruttare il diritto di proprietà industriale in una misura altrimenti sottoposta al diritto di proibizione e di uso del suo titolare. In tal senso anche Martiny, Münchener Kommentar zum BGB, quinta edizione, 2010, paragrafo 222; Stimmel, U., «Die Beurteilung von Lizenzverträgen unter der Rom I-Verordnung», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht Internationaler Teil, 2010, pag. 782; Vögele, A./Borstell, T./Engler, G., op. cit. (nota 13), paragrafo 351.

( 25 ) V. Gouga, A., op. cit. (nota 24), pag. 190, per il quale la nozione di licenza comprende ogni potere concesso dal licenziante al licenziatario di utilizzare il diritto di proprietà industriale o le sue fasi preliminari allo stesso modo del titolare, sebbene in diversa misura.

( 26 ) In tal senso Pfaff, D./Nagel, S., Lizenzverträge, terza edizione, 2010, paragrafo 7, secondo il quale i contratti di licenza, in base all’interpretazione invalsa, sono caratterizzati dal fatto che il titolare di una posizione giuridica protetta in modo assoluto (ad esempio, il titolare di un brevetto) concede ad un altro l’autorizzazione di utilizzare e sfruttare le invenzioni o i procedimenti protetti.

( 27 ) V. Stumpf, H./Groß, M., op. cit. (nota 16), paragrafo 117, pag. 95.

( 28 ) V. Bühling, J., op. cit. (nota 24), pag. 199, il quale fa riferimento al vincolo di scopo della licenza di marchio. In conformità ad esso, la licenza dovrebbe garantire le funzioni del marchio, ma nel contempo rafforzare lo stesso marchio, nonché incrementare il suo valore a favore del concedente la licenza.

( 29 ) V., a proposito degli accordi di licenza nel settore delle tecnologie, Brinker, I., EU-Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), seconda edizione, Baden-Baden, 2009, articolo 81 TCE, paragrafo 96, pag. 911, il quale afferma che la conclusione di contratti di licenza sia uno strumento importante che agevola e promuove significativamente l’immissione in commercio di prodotti all’interno del mercato comune. Chi sviluppa una determinata tecnologia e non è in condizione di utilizzarla pienamente e di produrre, opterebbe, non di rado, per una sua concessione in licenza a imprese terze, cui sia assegnata una determinata area territoriale nella quale i licenziatari possano svolgere l’attività in via esclusiva e commercializzare i prodotti realizzati sulla base della tecnologia in questione. Licenzianti e licenziatari, ma anche la collettività, potrebbero trarre vantaggio dalla diffusione della tecnologia basata su un contratto di licenza.

( 30 ) V. Pahlow, L., op. cit. (nota 24), pag. 218.

( 31 ) Ibid., pag. 225.

( 32 ) V. Pahlow, L., op. cit. (nota 24), pag. 187, il quale sostiene che il concreto accordo tra le parti, nonché le disposizioni legislative possono fornire informazioni sul contenuto della licenza.

( 33 ) V. Vögele, A./Borstell, T./Engler, G., op. cit. (nota 13), paragrafo 362, ad avviso del quale per differenziare i contratti di licenza riguardanti i beni economici immateriali oggetto di licenza non è determinante la denominazione dei contratti. Sarebbe anzi decisivo, dal punto di vista sia giuridico sia fiscale, stabilire quali beni economici immateriali vengano effettivamente utilizzati in virtù del contratto.

( 34 ) V. sentenze del 23 maggio 1978, Hoffmann-La Roche/Centrafarm (102/77, Racc. pag. 1139, punto 7); del 10 ottobre 1978, Centrafarm/American Home Products Corporation (3/78, Racc. pag. 1823, punti 11 e 14), e del 17 ottobre 1990, HAG (C-10/89, Racc. pag. I-3711, punto 14). V., in ordine alla funzione di indicazione d’origine del marchio, Wollmann, H., EU- und EG-Vertrag (a cura di Heinz Mayer), articolo 81 TCE, punto 156, pag. 53.

( 35 ) V. sentenza del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C-206/01, Racc. pag. I-10273, punti 47 e 48).

( 36 ) V. sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C-487/07, Racc. pag. I-5185, punto 58).

( 37 ) V. sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google (da C-236/08 a C-238/08, Racc. pag. I-2417, punto 77).

( 38 ) In tal senso Bühling, J., op. cit. (nota 24), pag. 199. V. Sakulin, W., Trademark protection and freedom of expression, Alphen aan den Rijn, 2011, pag. 51, il quale attribuisce grande importanza al fatto che la Corte, nelle sentenze L’Oréal e Google, abbia considerato, in ultima analisi, ugualmente meritevoli di protezione le altre funzioni del marchio. Va ricordato, in tale contesto, che l’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer aveva già sostenuto, nelle sue conclusioni presentate il 13 giugno 2002 nella causa Arsenal Football Club (paragrafo 47, sentenza cit. supra alla nota 35), che le altre funzioni del marchio fossero meritevoli di protezione.

( 39 ) V. Pahlow, L., op. cit. (nota 24), pag. 236.

( 40 ) V. sentenza Falco Privatstiftung und Rabitsch (cit. supra alla nota 14, punto 29).

( 41 ) Ibidem, punto 41.

( 42 ) V. le mie conclusioni nella causa Falco Privatstiftung und Rabitsch Falco Privatstiftung und Rabitsch (cit. supra alla nota 11, paragrafo 57).

( 43 ) La clausola 4.2 dell’accordo recita così: «Il licenziatario fatturerà i propri servizi al concedente la licenza» («Licensee will charge Licensor for its services»).

( 44 ) V. Scheunemann, K., Die .eu Domain – Registrierung und Streitbeilegung, Münster, 2008, pag. 115.

( 45 ) In alcuni Stati (Argentina, Austria, Belgio, Cina, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Polonia, Russia Svizzera, Svezia, Regno Unito) i nomi di dominio possono essere registrati sotto il ccTLD proprio del paese senza la necessità di alcun requisito o condizione locale. Secondo tale prassi, chiunque può registrare un nome di dominio, a prescindere dalla sua nazionalità, dalla sua residenza o dal suo luogo di stabilimento. La sola restrizione consiste nel divieto dei nomi di dominio considerati contrari al buon costume, i quali possono essere esclusi dalla registrazione o annullati a posteriori.

La maggioranza dei registri nazionali utilizza un sistema semirestrittivo, in base al quale non è necessario presentare documentazione a supporto del fatto che un marchio registrato corrisponda ad un nome di dominio. Tuttavia, la cerchia dei legittimati a presentare la richiesta è limitata a quei soggetti che dimostrino una presenza locale o un collegamento territoriale con il paese del ccTLD. Con riguardo a tali requisiti sussistono specifiche differenze. In alcuni Stati si richiede sia la nazionalità sia la residenza nel paese interessato, in altri è necessaria la prova di uno stabilimento ovvero un’attività commerciale nel paese (Bulgaria, Canada, Repubblica ceca, Giappone, Ungheria, Malta, Norvegia, Singapore, Stati Uniti d’America) o nell’Unione europea (Italia) oppure almeno la designazione di un agente stabilito nel paese in questione (Germania, Lussemburgo).

Altri registri nazionali consentono la registrazione solo nel caso in cui il richiedente abbia un nesso territoriale con il paese o uno stabilimento nel rispettivo paese e, in più, possa documentare di essere titolare di un diritto di proprietà industriale corrispondente al nome di dominio (Australia). In altri Stati il nome di dominio deve essere presente in particolari categorie di diritti su marchi o su nomi e, inoltre, il richiedente deve avere un effettivo nesso con il paese (Irlanda). In altri Stati i restrittivi requisiti di registrazione si applicano solo alla registrazione diretta sotto il ccTLD, mentre la registrazione sotto i domini di primo livello è soggetto a requisiti meno rigorosi o addirittura a nessuno (India, Hong Kong, Spagna). V., al riguardo, Bettinger, T., «Registration requirements and dispute resolution», in Domain Name Law and Practice, Oxford, 2005, pag. 44.

( 46 ) V. Kipping, D., Das Recht der .eu-Domains, München, 2008, pag. 4, paragrafo 11.

( 47 ) V. paragrafo 30 della memoria della Commissione.