CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 15 maggio 2012 ( 1 )

Causa C-219/11

Brain Products GmbH

contro

BioSemi VOF e altri

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof, Germania)

«Libera circolazione delle merci — Direttiva 93/42/CEE — Nozione di “dispositivo medico” — Prodotto destinato ad un uso non medico»

I – Introduzione

1.

La creazione del marchio CE, il quale contrassegna, in taluni specifici ambiti, i prodotti che soddisfano i requisiti fondamentali previsti dalle norme del diritto dell’Unione, ha rappresentato una pietra miliare nella realizzazione del mercato unico. Grazie a tale marchio, infatti, moltissimi prodotti circolano liberamente, senza che gli Stati membri possano ostacolarne la vendita sulla base di proprie disposizioni nazionali.

2.

Uno dei settori in cui il diritto dell’Unione ha introdotto il sistema del marchio CE è quello dei dispositivi medici, disciplinato dalla direttiva 93/42/CEE ( 2 ) (in prosieguo anche: la «direttiva»). Nella presente causa la Corte dovrà chiarire quale sia esattamente l’ambito applicativo di tale direttiva, e in particolare se vi rientrino prodotti che, sebbene corrispondano ad una delle definizioni in essa contenute, non sono destinati ad essere utilizzati per uno scopo medico.

II – Contesto normativo

A – Premessa

3.

L’approccio dell’Unione in materia di armonizzazione dei prodotti che possono essere commercializzati nel mercato unico si è evoluto nel corso del tempo. In una prima fase, la tendenza generale è stata quella di predisporre norme molto dettagliate, contenenti un elevato numero di prescrizioni tecniche minuziose. Una regolamentazione con un simile livello di dettaglio ha tuttavia inconvenienti considerevoli: essa è di laboriosa realizzazione, e rischia di non riuscire a tenere il passo dell’evoluzione tecnologica.

4.

Per questo, a partire dalla metà degli anni Ottanta, il legislatore ha deciso di adottare un atteggiamento diverso nei confronti dell’armonizzazione tecnica. Il momento iniziale del c.d. «nuovo approccio», come la nuova strategia viene indicata, è una risoluzione adottata dal Consiglio il 7 maggio 1985 ( 3 ). Tale documento delinea già con chiarezza i due elementi essenziali del nuovo orientamento: a) armonizzazione legislativa limitata ai requisiti essenziali, e b) ruolo centrale attribuito alle norme (tecniche) armonizzate.

5.

Nel «nuovo approccio» l’armonizzazione legislativa è limitata ai «requisiti essenziali» dei prodotti, specificati in una serie di direttive settoriali. La conformità ai requisiti essenziali è testimoniata, per un prodotto, dall’apposizione del marchio CE. In generale, la conformità ai requisiti essenziali è attestata, sotto la propria responsabilità, dal produttore.

6.

La conformità ai requisiti essenziali viene presunta per i prodotti che si conformano alle «norme armonizzate». Le norme armonizzate sono standard tecnici elaborati, a livello nazionale e dell’Unione, dagli organi competenti per la normalizzazione industriale. Il rispetto delle norme armonizzate non è obbligatorio, ma viene fortemente incoraggiato dal legislatore, proprio attraverso tale presunzione di conformità. Un produttore può dimostrare il rispetto dei requisiti essenziali senza seguire le norme armonizzate: ciò costituisce tuttavia, nella maggior parte dei casi, un’inutile complicazione. Nella prassi, i prodotti sono generalmente fabbricati nel rispetto delle norme armonizzate.

7.

Le direttive «nuovo approccio» sono piuttosto numerose, e coprono un ampio ventaglio di prodotti, dai giocattoli ( 4 ) agli esplosivi ( 5 ), dagli apparecchi radio ( 6 ) agli ascensori ( 7 ). Se un prodotto ricade nell’ambito applicativo di una (o più) direttive «nuovo approccio», esso deve rispettare i requisiti essenziali in essa (o esse) previsti, e deve di conseguenza essere contrassegnato dal marchio CE.

B – La direttiva

8.

Nel caso in esame la direttiva di riferimento disciplina, come ho già indicato, i dispositivi medici.

9.

La definizione di «dispositivo medico» si trova all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva, ed è la seguente:

«qualunque strumento, apparecchio, impianto, software, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software destinato dal fabbricante ad essere impiegato specificamente con finalità diagnostiche e/o terapeutiche e necessario al corretto funzionamento del dispositivo, destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo a fini di:

diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia;

diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap;

studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico;

intervento sul concepimento,

la cui azione principale voluta nel o sul corpo umano non sia conseguita con mezzi farmacologici né immunologici né mediante metabolismo, ma la cui funzione possa essere assistita da questi mezzi (…)».

10.

L’articolo 2 della direttiva, rubricato «Immissione in commercio e messa in servizio», chiarisce che i prodotti rientranti nella definizione di cui all’articolo precedente possono essere immessi in commercio soltanto qualora rispettino le condizioni previste dalla direttiva. Ai sensi del successivo articolo 3, ciò significa, in sostanza, che i prodotti devono rispettare i «requisiti essenziali» indicati all’allegato I.

11.

L’articolo 5 della direttiva, rubricato «Rinvio alle norme», fissa nei termini seguenti il principio della presunzione di conformità per i prodotti che rispettano le norme armonizzate:

«Gli Stati membri presumono conformi ai requisiti essenziali di cui all’articolo 3 i dispositivi che soddisfano le norme nazionali corrispondenti, adottate in applicazione delle norme armonizzate i cui numeri di riferimento sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (…)».

12.

L’articolo 17 della direttiva, infine, stabilisce l’obbligo di marcatura CE per tutti i prodotti che rispettano i requisiti essenziali.

13.

Le norme armonizzate a cui fa riferimento l’articolo 5 della direttiva sono periodicamente pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Da ultimo, l’elenco delle norme armonizzate relative ai dispositivi medici è stato pubblicato nel mese di agosto 2011 ( 8 ).

C – Le linee guida della Commissione

14.

La Commissione pubblica regolarmente linee guida relative all’interpretazione delle direttive «nuovo approccio», con lo scopo principale di fornire orientamenti ai produttori di beni potenzialmente soggetti agli obblighi previsti dalla normativa dell’Unione. Tali documenti non sono giuridicamente vincolanti: è tuttavia opportuno non trascurarne l’esistenza, quantomeno per conoscere quella che, attualmente, è l’interpretazione delle norme seguita nella prassi.

15.

In materia di dispositivi medici, in particolare, merita di essere qui segnalato un documento (MEDDEV 2.1/1) pubblicato dalla Commissione nell’aprile 1994, e dedicato alla definizione di alcune nozioni-chiave contenute nella direttiva ( 9 ). Per quanto riguarda la nozione di «dispositivo medico», la Commissione indica esplicitamente, nel documento, che «i dispositivi medici sono articoli destinati ad essere usati per uno scopo medico» ( 10 ). Il testo prosegue indicando che «il produttore determina (...) lo specifico scopo medico» del prodotto.

III – Fatti e questione pregiudiziale

16.

La società di diritto olandese BioSemi commercializza un prodotto denominato «ActiveTwo». Si tratta di un sistema in grado di registrare segnali elettrici provenienti dal corpo umano, e più precisamente dal cervello (EEG), dal cuore (ECG) e dai muscoli (EMG). Sebbene tali tipi di misurazioni siano frequenti in ambito sanitario (elettrocardiogramma, elettroencefalogramma, etc.), il prodotto in questione non si indirizza ad un pubblico medico, e nella documentazione relativa ad esso viene indicato in modo esplicito che non è destinato ad attività di diagnosi e/o di cura. Gli utilizzatori primari del prodotto, che ha natura modulare e può essere quindi configurato in base alle esigenze dei clienti, sono ricercatori impegnati in attività di studio, soprattutto nel campo delle scienze cognitive.

17.

Il prodotto non è provvisto di marchio CE attestante la conformità alla direttiva sui dispositivi medici. Tale circostanza è attualmente messa in chiara evidenza, tra l’altro, sul sito Internet del produttore. In tale sito è anche indicato che l’ActiveTwo è un prodotto non destinato ad usi medici.

18.

La società Brain Products è una concorrente di BioSemi, ed ha avviato un’azione in giustizia nei confronti di quest’ultima, partendo dal presupposto che, indipendentemente dalla destinazione d’uso, il sistema prodotto da BioSemi debba essere considerato un dispositivo medico ai sensi della direttiva, e certificato quindi come tale.

19.

L’azione intentata da Brain Products è stata respinta in primo e in secondo grado, e pende ora dinanzi al Bundesgerichtshof. A differenza dei giudici di prima e di seconda istanza, che hanno escluso la necessità di una conformità alla direttiva per un dispositivo esplicitamente non destinato ad un uso medico, il giudice del rinvio nutre dubbi in proposito, e ha di conseguenza sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se un prodotto destinato dal fabbricante ad essere utilizzato sull’uomo a fini di studio di un processo fisiologico costituisca un dispositivo medico, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), terzo trattino, della direttiva 93/42/CEE, solo qualora sia indirizzato a uno scopo medico».

IV – Sulla questione pregiudiziale

20.

A quanto risulta, fino ad ora l’interpretazione della direttiva richiesta dal giudice del rinvio non ha mai dato origine a dubbi, né nella prassi né nella giurisprudenza nazionale: si è infatti sempre ritenuto che la direttiva debba essere applicata soltanto a prodotti che, oltre a rientrare nella definizione astratta di «dispositivi medici» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), siano anche destinati ad essere utilizzati per scopi medici. In tal senso depongono le linee guida della Commissione nonché, sulla base delle informazioni desumibili dal fascicolo, le prassi amministrative tedesca e olandese.

21.

Va subito osservato, però, che la risposta alla questione pregiudiziale non è del tutto agevole. Si contrappongono infatti, da un lato, l’attraente semplicità di un’interpretazione letterale del terzo trattino della lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1 della direttiva, e, dall’altro, tutta una serie di argomenti che, sebbene meno significativi se considerati isolatamente, nel loro insieme costituiscono un considerevole contrappeso. Se la lettura isolata del terzo trattino depone a favore di una classificazione quale dispositivo medico del prodotto in esame, l’approccio sistematico e quello teleologico inducono, al contrario, a considerare che un tale prodotto non rientra nell’ambito applicativo della direttiva, e non deve pertanto essere certificato in quanto dispositivo medico.

22.

Anticipo subito che, a mio avviso, nell’insieme il secondo gruppo di argomenti appare più persuasivo dell’interpretazione letterale del terzo trattino. Di conseguenza, per le ragioni che ora indicherò, ritengo che un prodotto come l’«ActiveTwo» della società BioSemi non debba essere considerato un dispositivo medico ai sensi della direttiva.

A – L’interpretazione letterale

23.

A sostegno della tesi che ritiene che un prodotto come quello in discussione nella presente causa debba essere soggetto alle regole relative ai dispositivi medici può essere utilizzata l’interpretazione letterale dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), terzo trattino, della direttiva. È infatti chiaro che il sistema «ActiveTwo» svolge funzioni che possono essere definite di «studio (…) di un processo fisiologico»: si tratta infatti di un dispositivo in grado di registrare segnali elettrici emessi dal corpo umano, e più precisamente dal cuore, dal cervello e dai muscoli.

24.

Tale interpretazione è certo molto attraente, soprattutto per la sua semplicità. Vi sono, tuttavia, numerosi elementi che non possono essere trascurati e che mettono seriamente in dubbio la correttezza dell’approccio letterale.

25.

In primo luogo, l’interpretazione teleologica e quella sistematica della direttiva fanno propendere per una soluzione opposta rispetto a quella che scaturisce dall’interpretazione letterale: seguendo un approccio teleologico e sistematico, solo i prodotti che sono destinati ad avere un uso medico rientrano nell’ambito applicativo della direttiva.

26.

In secondo luogo, l’interpretazione letterale presenta non trascurabili inconvenienti, e potrebbe produrre conseguenze del tutto inaspettate.

27.

Esaminerò ora separatamente i due profili appena indicati, trattando prima dell’interpretazione sistematica e teleologica e, poi, dei problemi connessi all’interpretazione letterale.

28.

Va peraltro rilevato che, in ogni caso, il problema di classificazione sollevato dall’odierna questione pregiudiziale si può porre soltanto per i prodotti che possono rientrare nel terzo trattino della definizione. Nel caso dei prodotti di cui ai primi due trattini, infatti, l’uso a scopi medici è implicito nella loro stessa definizione, che fa riferimento ad attività di diagnosi, prevenzione, terapia, etc. Quanto ai prodotti di cui al quarto trattino, come vedremo tra poco, essi costituiscono una categoria del tutto speciale nelle intenzioni del legislatore, in ogni modo anch’essa riconducibile a uno scopo «medico».

B – L’interpretazione sistematica e teleologica

29.

Se ci si pone in una prospettiva di interpretazione sistematica e/o teleologica della direttiva, devono essere considerati dispositivi medici soltanto quelli che sono destinati ad essere utilizzati per uno scopo medico. Gli elementi che depongono in tal senso sono numerosi, e possono essere sintetizzati come segue.

1. Le scelte lessicali del legislatore

30.

Va innanzitutto evidenziato che la direttiva fa riferimento, fin dal titolo, a dispositivi «medici». Ciò indica già in modo chiaro quale era il contesto di riferimento del legislatore nella redazione della norma: l’idea era quella di delineare un quadro di riferimento in grado di tutelare in modo adeguato i soggetti che vengono a contatto con i prodotti, in modo attivo o passivo, in un contesto medico ( 11 ). Non appare pertanto conforme a tale idea di base della direttiva, che la permea interamente, farvi rientrare prodotti che sono destinati a non essere mai utilizzati in ambito medico. Tale è il caso di un dispositivo come l’«ActiveTwo»: esso infatti non è usato da medici (o, quantomeno, non da medici nell’ambito di attività di diagnosi e cura di malattie), e non è neppure usato su pazienti, bensì su soggetti volontari (i partecipanti agli esperimenti).

2. I riferimenti ai «pazienti»

31.

È significativo il fatto che la direttiva contenga numerosi riferimenti ai «pazienti». Se la volontà del legislatore fosse stata quella di disciplinare anche prodotti destinati ad ambiti e a scopi diversi rispetto a quelli che sono tipici del settore medico, è verosimile che egli avrebbe utilizzato una terminologia differente per designare coloro che sono «soggetti passivi» dell’uso dei dispositivi. In nessun modo è infatti possibile definire come «pazienti» i partecipanti ad un esperimento nell’ambito delle scienze cognitive.

32.

A tale proposito, osservo che non pone a mio avviso problemi il fatto che rientrino senza eccezione tra i dispositivi medici tutti i prodotti che realizzano un «intervento sul concepimento», ai sensi del quarto trattino della medesima lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1. Infatti, sebbene l’utilizzatore di tali prodotti non sia in genere qualificabile come «paziente», vi sono alcuni elementi che devono essere tenuti presenti e che spiegano, a mio avviso, la scelta del legislatore di includere tali prodotti nel campo di applicazione della direttiva.

33.

Mi riferisco, in primo luogo, all’importanza che almeno alcuni di tali prodotti hanno ai fini della prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, messa in particolare evidenza dal legislatore nel diciottesimo considerando della direttiva, che recita:

«considerando che, nella lotta contro l’AIDS e tenuto conto delle conclusioni del Consiglio del 16 maggio 1989 riguardanti le future attività di prevenzione e di controllo dell’AIDS a livello comunitario, è necessario che i dispositivi medici utilizzati per la prevenzione contro il virus HIV presentino un elevato grado di protezione; che l’elaborazione e la fabbricazione di detti prodotti devono essere verificati da un organismo notificato».

34.

In altri termini, il legislatore ha considerato che questi dispositivi abbiano un ruolo troppo delicato ed importante per sottrarli all’inserimento nella direttiva, e che siano una sorta di «caso speciale», a prescindere dalla possibilità di collocarli in una delle altre categorie di prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del testo normativo.

35.

Osservo peraltro che i dispositivi in grado di prevenire la trasmissione di malattie rientrerebbero comunque nel campo di applicazione della direttiva, anche se il quarto trattino della lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1 non esistesse, e anche adottando un’interpretazione restrittiva che limitasse il detto campo di applicazione ai soli dispositivi aventi uno «scopo medico». Infatti, i prodotti per la prevenzione di malattie potenzialmente anche molto serie rientrano nella categoria di cui al primo trattino, che ingloba prodotti aventi quale scopo la «prevenzione (…) di una malattia».

36.

Inoltre, non si può trascurare il fatto che anche i dispositivi di controllo del concepimento che non sono utili a prevenire la trasmissione di malattie hanno sovente un profilo «medico» importante, sotto vari profili. Spesso si tratta di dispositivi il cui utilizzo consegue ad una specifica consultazione medica, e in taluni casi essi possono prevenire, se non specificamente una malattia, conseguenze dannose per la salute (ad esempio nel caso, indicato dalla Commissione, di donne per le quali una gravidanza comporterebbe rischi elevati).

37.

Infine, deve anche essere tenuto presente che le potenziali conseguenze di difetti o problemi di qualità nei prodotti finalizzati a controllare il concepimento sono estremamente importanti, sia dal punto di vista strettamente medico che da quello sociale e psicologico. È quindi del tutto comprensibile la volontà del legislatore di inserire simili dispositivi, sempre e comunque, nell’ambito applicativo della direttiva.

38.

Si deve anche aggiungere che tale prospettiva diagnostico/terapeutica della direttiva viene confermata dall’esame degli allegati alla stessa, che sono stati redatti dal legislatore con il chiaro e costante riferimento ad un utilizzo di tipo medico dei prodotti che devono essere certificati. Un esempio, in tale contesto, è fornito dall’allegato X, relativo alla valutazione clinica dei dispositivi: l’obiettivo medico è qui presente in modo chiaro e incontestabile.

3. L’assenza di riferimenti ad altri obiettivi della norma

39.

In nessun punto della direttiva il legislatore ha mai lasciato trasparire la volontà di tutelare soggetti diversi rispetto a quelli che ho appena indicato. In effetti, la direttiva è principalmente finalizzata, come si è visto, a tutelare, sotto il profilo «attivo», coloro che usano i prodotti per esaminare e/o trattare i pazienti (medici, infermieri, etc.) e, sotto il profilo passivo, tre gruppi distinti di soggetti: persone ammalate (pazienti oggetto di terapie), persone che potrebbero essere ammalate (pazienti oggetto di esami clinici) e, infine, persone che potrebbero ammalarsi, o comunque soffrire serie conseguenze, nel caso di dispositivi difettosi o inaffidabili (utilizzatori di dispositivi per il controllo del concepimento).

4. Il ruolo riconosciuto alla destinazione del prodotto decisa dal fabbricante

40.

La direttiva contiene svariati riferimenti alla destinazione data ad un prodotto dal fabbricante. Ciò dimostra che tale elemento «soggettivo», lungi dall’essere irrilevante, deve invece essere tenuto presente per interpretare le disposizioni applicabili.

41.

Mi riferisco qui, in particolare, alla parte introduttiva della definizione di «dispositivo medico», contenuta alla lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1. Come si è visto più sopra riportando il testo della norma, infatti, essa introduce le quattro categorie già discusse indicando che costituisce un dispositivo medico ogni dispositivo «(…) destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo (…)» ( 12 ).

42.

Tale richiamo alla volontà del fabbricante non è qui di per sé decisivo, poiché esso fa riferimento alla volontà che il prodotto sia usato sull’uomo, e non a quella che sia usato sull’uomo a fini medici. È importante tuttavia tenere presente che la volontà del produttore relativamente all’uso di un determinato prodotto non è irrilevante, e che la classificazione ai sensi della direttiva non può avvenire soltanto sulla base di elementi oggettivi. Se mancasse il riferimento alla volontà del produttore, diverrebbe impossibile individuare un limite chiaro alla categoria dei dispositivi medici: la professione medica usa infatti molti prodotti che sono in una certa misura «funzionalmente» equivalenti a prodotti usati in altri settori. Si pensi agli strumenti chirurgici, che spesso sono simili, dal punto di vista del funzionamento, a strumenti usati da artigiani per la lavorazione del ferro o del legno: nessuno, tuttavia, penserebbe di richiedere la certificazione in quanto dispositivo medico per un martello o una sega per falegname.

5. Il principio della libera circolazione delle merci

43.

Tra gli obiettivi della direttiva, come indica anche il terzo considerando, c’è la realizzazione della libera circolazione dei dispositivi medici nel territorio dell’Unione. Più precisamente, la direttiva mira a conciliare la libera circolazione dei prodotti con la tutela della salute dei pazienti.

44.

Come la Corte ha rilevato, in particolare con riferimento a un ambito, quello dei medicinali, la cui disciplina muove da analoghe premesse ( 13 ), gli obblighi e le limitazioni imposti ad un prodotto devono essere interpretati realizzando un bilanciamento tra i principi, potenzialmente opposti, della tutela della salute e della libera circolazione. In tale ottica, è pertanto necessario leggere la direttiva – e, di conseguenza, l’obbligo di certificazione e marchio CE – adottando un paradigma interpretativo che rispetti tale principio di fondo, e limiti le restrizioni ai casi in cui esse appaiono giustificate per la tutela di un interesse superiore ( 14 ).

45.

Nei casi in cui un prodotto non è usato per scopi medici, ma per scopi di ricerca su volontari che non hanno particolari problemi di salute, la necessità di certificare il prodotto stesso come dispositivo medico può essere legittimamente messa in dubbio.

6. La prassi a livello dell’Unione e nazionale

46.

Non va neppure dimenticato che, a quanto risulta, la prassi a livello nazionale e dell’Unione si è finora orientata, senza eccezioni, nel senso che la direttiva si applica soltanto, in linea di principio, ai dispositivi destinati ad essere utilizzati per scopi medici.

47.

Si tratta di una circostanza che non è certamente decisiva, ma che sembra comunque indicare che i soggetti coinvolti nel processo legislativo (la Commissione e gli Stati membri) non hanno avuto dubbi sul modo in cui la direttiva deve essere interpretata.

7. L’analogia con il software

48.

La necessità di limitare l’applicazione della direttiva ai prodotti che sono destinati ad essere usati per uno scopo medico può essere sostenuta anche richiamando, per analogia, quanto l’articolo 1 della direttiva prevede in relazione al software.

49.

Come è noto, prodotti software sono utilizzati quotidianamente nella pratica medica, e il legislatore si è pertanto posto il problema di come evitare un’indiscriminata applicazione dei requisiti di conformità alla direttiva a qualunque programma per computer che potrebbe essere utilizzato in ambiente medico. La soluzione che è stata individuata consiste, anche in questo caso, nel mettere in forte evidenza la destinazione decisa dal fabbricante per il prodotto. Come si è visto, infatti, l’articolo 1 della direttiva indica che ricade nell’ambito applicativo della norma il software «destinato dal fabbricante ad essere impiegato specificamente con finalità diagnostiche e/o terapeutiche e necessario al corretto funzionamento del dispositivo» ( 15 ).

50.

L’argomento non è decisivo, naturalmente, e potrebbe anche essere usato in senso contrario: se il legislatore avesse voluto limitare l’applicazione della direttiva ai soli prodotti destinati ad uno scopo medico avrebbe potuto specificarlo, come ha fatto per il software. Anche in questo caso, tuttavia, mi sembra che l’elemento più interessante sia costituito dal richiamo alla volontà del produttore: ciò conferma che gli elementi oggettivi che caratterizzano un prodotto non sono gli unici che possono essere presi in considerazione per determinare se esso ricada nell’ambito applicativo della direttiva.

C – Gli inconvenienti di un’interpretazione letterale

51.

A favore della limitazione del campo di applicazione della direttiva, almeno rispetto ai prodotti di cui al terzo trattino della lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1, ai soli dispositivi destinati dal produttore ad essere utilizzati per uno scopo medico, depongono, oltre agli argomenti che ho appena esposto, anche i numerosi e non trascurabili inconvenienti che deriverebbero da un’interpretazione più ampia.

52.

In primo luogo, stando alle informazioni che sono state fornite per iscritto e all’udienza, prodotti come il sistema ActiveTwo, oggetto del procedimento principale, non potrebbero più essere commercializzati se si dovesse imporre la loro certificazione quali dispositivi medici ai sensi della direttiva.

53.

Il sistema ActiveTwo, infatti, ha una natura variabile e modulare. Non si tratta di un dispositivo unico dalla configurazione predefinita, ma di un insieme di diversi componenti che l’acquirente compera e configura in base alle sue necessità (cioè, in pratica, in base al tipo di studi che devono essere svolti). Proprio tale natura intrinsecamente variabile del prodotto renderebbe impossibile sottoporlo ad una certificazione in quanto dispositivo medico, la quale presuppone un prodotto «standardizzato», di cui possono essere valutati parametri come il profilo rischi/benefici, l’accuratezza nelle misurazioni, etc.

54.

Si deve inoltre notare che, come ha sottolineato la Commissione nelle proprie osservazioni, l’allegato I alla direttiva, il quale contiene l’elenco dei requisiti essenziali necessari per la certificazione di un dispositivo medico, prevede, al punto I.1, che una condizione necessaria per la certificazione di un dispositivo medico è il fatto che «gli eventuali rischi associati all’uso previsto [siano] di livello accettabile in rapporto ai benefici apportati al paziente». Come si può vedere, tale formulazione comporterebbe, in un caso come il presente, almeno due problemi. Da un lato, una persona sana che partecipa volontariamente ad un esperimento scientifico non può, come già indicato, essere considerata un «paziente»: un paziente, in generale, è la persona ammalata o potenzialmente ammalata. Dall’altro lato, ed è questa la vera difficoltà, un prodotto utilizzato per svolgere uno studio, e non per diagnosticare o trattare una malattia, non produce, per definizione, alcun beneficio individuale ai soggetti sui quali viene utilizzato: in altre parole, i volontari che partecipano ad uno studio scientifico condotto utilizzando il sistema ActiveTwo non ricavano alcun diretto beneficio da tale partecipazione.

55.

La conseguenza è che il profilo rischi/benefici di un prodotto destinato a scopi puramente di ricerca è, rispetto alla singola persona, per definizione negativo ( 16 ). L’applicazione delle regole contenute nella direttiva potrebbe pertanto condurre, in linea di principio, a rifiutare sempre la certificazione per un simile prodotto.

56.

Il divieto totale di commercializzare un prodotto come l’ActiveTwo, nonché ogni altro prodotto avente simili caratteristiche, sembra tuttavia una conseguenza drastica e difficilmente giustificabile dell’interpretazione della direttiva. Tanto più che essa potrebbe avere effetti non soltanto sul mercato unico, ma anche sullo svolgimento di attività di ricerca scientifica.

57.

In secondo luogo, un’interpretazione della direttiva che dovesse ritenerla applicabile anche a prodotti non destinati ad un uso medico, purché corrispondenti alla generale definizione contenuta nel terzo trattino della lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1, condurrebbe a ritenere necessaria l’apposizione del marchio CE su moltissimi prodotti di uso comune che sono attualmente commercializzati, molto spesso, senza essere certificati conformi alla direttiva.

58.

Si tratta, innanzitutto, di prodotti destinati ad un uso «casalingo», aventi funzioni uguali o simili a quelle di dispositivi utilizzati in ambito medico: bilance pesapersone, cardiofrequenzimetri, contapassi in grado di indicare il consumo calorico, etc. In generale, esistono due principali mercati per i prodotti con queste funzioni. Da un lato quello «medico-professionale», al quale sono destinati prodotti provvisti di certificazione, caratterizzati da prestazioni superiori e da prezzi più elevati. Dall’altro lato il mercato «domestico», con prodotti dalle prestazioni talvolta inferiori, in genere (anche se non sempre ( 17 )) non certificati come dispositivi medici, ma venduti ad un prezzo più basso. Imporre l’obbligo di conformità alla direttiva per tutti questi prodotti comporterebbe la forzata «fusione» dei due mercati, e un inevitabile aumento dei prezzi per i consumatori «ordinari».

59.

Ancora più estremo sarebbe poi il caso di prodotti come le parrucche e le unghie finte, che, sulla base di un’interpretazione letterale, rientrano anch’essi nel terzo trattino della definizione di dispositivo medico, poiché sono comunque prodotti che realizzano una «sostituzione o modifica dell’anatomia». Nessuno, a quanto mi risulta, ha tuttavia mai pensato di imporre la certificazione di tali prodotti come dispositivi medici.

60.

L’unico modo di evitare simili classificazioni «abnormi» è, in concreto, quello di considerare lo scopo a cui un prodotto è destinato, e di limitare l’obbligo di conformità alla direttiva ai soli prodotti che sono destinati ad essere utilizzati per uno scopo medico ( 18 ). Ciò significa, in concreto, che rientrano nel terzo trattino della definizione soltanto prodotti che sono destinati ad uno scopo di diagnosi/terapia, oppure che sono utilizzati nell’ambito di procedure mediche di qualunque tipo ( 19 ).

61.

Si deve peraltro anche aggiungere che vi sono taluni prodotti di igiene di uso comune, come ad esempio gli spazzolini da denti, che hanno anche funzioni di prevenzione di malattie, le quali potrebbero, in una lettura rigida, spingere per una loro classificazione tra i dispositivi medici disciplinati dalla direttiva. Anche in questo caso, tuttavia, nessuno sembra auspicare un simile risultato, che sarebbe paradossale ( 20 ).

D – Riepilogo

62.

Come si può vedere, numerosi elementi fanno ritenere che l’interpretazione esclusivamente letterale della definizione di «dispositivo medico» contenuta nella direttiva non sia soddisfacente. Appare più opportuno, al contrario, limitare il campo di applicazione della norma, e più precisamente del terzo trattino della lettera a) del paragrafo 2 dell’articolo 1, ai soli dispositivi che sono destinati ad avere uno scopo medico.

63.

Una precisazione è peraltro qui necessaria. Sebbene l’elemento principale per determinare la destinazione ad uso medico di un prodotto siano le indicazioni fornite dal produttore, un prodotto chiaramente destinato, per la sua stessa natura, soltanto ad un uso di tipo medico dovrà essere considerato come un dispositivo medico, anche se non indicato come tale dal produttore. In ogni modo, tale clausola anti-abusi non dovrebbe essere nella maggior parte dei casi necessaria, poiché – anche per evidenti ragioni di responsabilità professionale – la prassi costante delle strutture mediche è quella di acquistare esclusivamente prodotti che sono certificati ai sensi della direttiva.

64.

Non si deve peraltro ritenere che il fatto che un prodotto non sia classificato come dispositivo medico implichi che lo stesso possa presentare profili di particolare pericolosità per gli utilizzatori. Restano infatti applicabili tutte le altre disposizioni generali a tutela della sicurezza dei prodotti, ivi comprese quelle che impongono, ad esempio, la conformità e l’apposizione del marchio CE per tutte le apparecchiature elettriche ( 21 ), per tutte quelle che possono generare problemi di compatibilità elettromagnetica ( 22 ), etc. Paradossalmente, come la Commissione ha sottolineato all’udienza, altri tipi di certificazione impongono, in molti casi, requisiti ancora più severi di quelli richiesti per i dispositivi medici. Mentre infatti un dispositivo medico può in genere presentare rischi anche significativi, se essi sono compensati da adeguati benefici, nella maggior parte dei casi gli altri tipi di certificazione non permettono un simile bilanciamento, e tendono semplicemente ad imporre una minimizzazione di ogni possibile rischio.

V – Conclusione

65.

Sulla base delle considerazioni che precedono propongo pertanto alla Corte di rispondere nei termini seguenti alla questione pregiudiziale del Bundesgerichtshof:

«Un prodotto destinato dal fabbricante ad essere utilizzato sull’uomo a fini di studio di un processo fisiologico è un dispositivo medico, ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. a), terzo trattino, della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici, solo qualora sia destinato ad uno scopo medico».


( 1 ) Lingua originale: l’italiano.

( 2 ) Direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici (GU L 169, pag. 1), come successivamente modificata.

( 3 ) Pubblicata nella GU C 136, del 4 giugno 1985, pag. 1.

( 4 ) Direttiva 88/378/CEE del Consiglio, del 3 maggio 1988, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti la sicurezza dei giocattoli (GU L 187, pag. 1).

( 5 ) Direttiva 93/15/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, relativa all’armonizzazione delle disposizioni relative all’immissione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile (GU L 121, pag. 20).

( 6 ) Direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformità (GU L 91, pag. 10).

( 7 ) Direttiva 95/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 1995, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori (GU L 213, pag. 1).

( 8 ) Comunicazione della Commissione nell’ambito dell’applicazione della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici (Pubblicazione di titoli e riferimenti di norme armonizzate ai sensi della direttiva) (GU C 242, del 19 agosto 2011, pag. 8).

( 9 ) Il documento è disponibile sul sito Internet della Commissione. Alla data delle presenti conclusioni, l’elenco delle linee guida disponibili in materia di dispositivi medici può essere consultato all’indirizzo: http://ec.europa.eu/health/medical-devices/documents/guidelines/index_en.htm.

( 10 ) Punto 1.1 b) del documento. Il corsivo è mio, anche se il testo della Commissione sottolinea l’espressione «scopo medico».

( 11 ) V. anche, in proposito, il terzo e il quinto considerando della direttiva, che fanno riferimento alla sicurezza e alla protezione per «pazienti», «utilizzatori» e «terzi».

( 12 ) Il corsivo è mio.

( 13 ) Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311, pag. 67). V., in particolare, il quarto e il quinto considerando.

( 14 ) V., ad esempio, sentenze del 15 novembre 2007, Commissione/Germania (C-319/05, Racc. pag. I-9811, punti 62 e 71); del 15 gennaio 2009, Hecht-Pharma (C-140/07, Racc. pag. I-41, punto 27). V. anche, per analogia, sentenza del 14 giugno 2007, Medipac-Kazantzidis (C-6/05, Racc. pag. I-4557, punto 52).

( 15 ) Il corsivo è mio.

( 16 ) Al massimo, tale profilo potrebbe essere neutrale per dispositivi privi di qualsivoglia rischio, anche minimo. D’altra parte, come è noto, nel mondo reale il rischio zero non esiste.

( 17 ) In taluni casi, alcuni prodotti sono certificati come dispositivi medici pur essendo principalmente destinati ad un pubblico non professionale. Si tratta di una scelta commerciale dei produttori, legata all’immagine del prodotto e spesso connessa ad un prezzo superiore dello stesso.

( 18 ) Il giudice del rinvio, che è contrario a limitare l’obbligo di conformità ai soli prodotti destinati ad un uso medico, ritiene possibile escludere comunque l’applicazione della direttiva per i prodotti in cui lo «studio (…) di un processo fisiologico» sarebbe non lo «scopo» del prodotto stesso, ma solo il «mezzo» per raggiungere un altro scopo. La distinzione non mi pare convincente: lo scopo di un cardiofrequenzimetro per uso domestico è misurare il battito cardiaco, esattamente come nel caso della parte ECG del sistema ActiveTwo. Se ciò che propone il giudice del rinvio è un esame dello scopo ulteriore a cui il prodotto può essere destinato (perdere peso, migliorare la propria forma fisica, etc.), rilevo che ciò ci riconduce nell’ambito di una valutazione soggettiva, esattamente come quella relativa alla destinazione del prodotto da parte del suo fabbricante. In tale ottica, se si deve verificare a quale scopo ultimo è destinato un cardiofrequenzimetro «casalingo», si dovrà anche verificare a quale scopo ultimo è destinato il sistema ActiveTwo. Il risultato è che, in entrambi i casi, manca uno scopo medico.

( 19 ) Come è stato anche rilevato all’udienza, non vi sono dubbi che, ad esempio, una protesi impiantabile costituirà sempre un dispositivo medico, dal momento che l’impianto avviene nel corso di un’operazione chirurgica. Il fatto che la protesi sia impiantata per ragioni terapeutiche o puramente estetiche è dunque irrilevante.

( 20 ) V. anche le linee guida della Commissione, MEDDEV 2.1/1, cit. alla nota 9, punto I.1, lett. d).

( 21 ) Direttiva 2006/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione (Versione codificata) (GU L 374, pag. 10).

( 22 ) Direttiva 2004/108/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica e che abroga la direttiva 89/336/CEE (GU L 390, pag. 24).