CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 6 settembre 2012 ( 1 )

Causa C-206/11

Georg Köck

contro

Schutzverband gegen unlauteren Wettbewerb

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]

«Direttiva 2005/29/CE — Armonizzazione — Tutela dei consumatori — Pratiche commerciali sleali delle imprese — Articolazione procedurale degli strumenti per combattere le pratiche commerciali sleali — Normativa di uno Stato membro che prescrive il requisito della previa autorizzazione delle vendite di liquidazione»

Indice

 

I – Introduzione

 

II – Contesto normativo

 

1. Diritto dell’Unione

 

2. Normativa nazionale

 

III – Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

 

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

 

V – Principali argomenti delle parti

 

VI – Valutazione giuridica

 

A – Osservazioni introduttive

 

B – Analisi delle questioni giuridiche

 

1. Applicabilità della direttiva 2005/29

 

a) Campo d’applicazione ratione materiae

 

b) Campo d’applicazione ratione personae

 

c) Assenza d’eccezione

 

d) Conclusione intermedia

 

2. Aspetti di diritto processuale della questione pregiudiziale

 

a) Competenze di controllo delle autorità amministrative nazionali

 

b) Potere delle autorità di effettuare un controllo ex ante

 

c) Compatibilità con la direttiva di un divieto di legge con riserva di autorizzazione collegato a sanzioni

 

d) Controllo giurisdizionale della decisione amministrativa

 

i) Esposizione della problematica

 

ii) Discrezionalità degli Stati membri in materia procedurale

 

iii) Divieto di elusione dell’obbligo di eseguire una valutazione caso per caso

 

e) Conclusione intermedia

 

3. Aspetti di diritto sostanziale della questione pregiudiziale

 

a) Osservazioni generali

 

b) Analisi della struttura dei due strumenti normativi

 

i) Struttura normativa della direttiva 2005/29

 

ii) Le norme sostanziali dell’UWG sull’annuncio di vendite di liquidazione

 

c) Compatibilità delle norme sostanziali con la direttiva 2005/29

 

i) Imposizione di divieti generali

 

ii) Requisito della motivazione per l’annuncio di una vendita di liquidazione

 

– Annuncio della cessazione e del trasferimento dell’attività

 

– Altri motivi citati nell’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG

 

d) Conclusione intermedia

 

4. Conclusioni riassuntive

 

VII – Conclusione

I – Introduzione

1.

Il commercio e la connessa questione della tutela delle parti coinvolte nello scambio delle prestazioni, che oggi si definirebbero imprenditori e consumatori, hanno ricevuto un’attenzione particolare già nella mitologia greca e romana. Quando vi era da proteggere i mercanti e i loro clienti si scomodavano addirittura gli dei. Nella mitologia greca, ad esempio, Ermes (e Mercurio nella mitologia romana) era il patrono sia dei commercianti che degli scambi, dei viaggiatori e dei pastori. Al giorno d’oggi la protezione dei consumatori e dei commercianti non è appannaggio degli dei, ma piuttosto delle leggi e delle giurisdizioni terrene. Queste sono finalizzate a tenere in adeguata considerazione e a conciliare gli interessi sia dei consumatori che dei commercianti.

2.

Nel presente procedimento pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE l’Oberster Gerichtshof dell’Austria (in prosieguo: il «giudice del rinvio») chiede alla Corte di giustizia dell’Unione europea di interpretare la direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali nel mercato interno ( 2 ). La domanda verte sostanzialmente sulla questione se le disposizioni della suddetta direttiva ostino ad una normativa nazionale in base alla quale un annuncio di una vendita di una liquidazione deve essere necessariamente preceduto da un’autorizzazione da parte di un’autorità amministrativa.

3.

La domanda si pone nell’ambito di una controversia che vede contrapposti il sig. Köck, che esercita un’impresa individuale, e lo Schutzverband gegen unlauteren Wettbewerb (Associazione per la tutela contro gli atti di concorrenza sleale; in prosieguo: lo «Schutzverband»), un organismo che, in forza del diritto nazionale, ha un legittimo interesse alla lotta contro le pratiche commerciali sleali. Fra le parti vi è disaccordo circa il fatto se il sig. Köck avesse il diritto di annunciare una vendita di liquidazione senza disporre dell’autorizzazione dell’autorità amministrativa distrettuale, necessaria ai sensi del diritto nazionale. Al riguardo, si pone fra l’altro la questione se la direttiva 2005/29 consenta ad uno Stato membro, nelle more della trasposizione della stessa nel proprio ordinamento giuridico, di subordinare in via generale l’annuncio di una vendita di liquidazione all’ottenimento di un’autorizzazione, prevedendo sanzioni nel caso di violazione dell’obbligo normativo di presentare una domanda a tal fine, in assenza di un esame di merito della correttezza di una siffatta pratica commerciale.

4.

La presente causa si differenzia sotto un profilo sostanziale dalle altre cause in cui alla Corte di giustizia è stato del pari chiesto di pronunciarsi sull’applicazione conforme al diritto dell’Unione della direttiva 2005/29, e precisamente perché nella fattispecie la questione non verte solo sull’applicazione dei precetti di natura sostanziale della direttiva, bensì soprattutto sull’articolazione processuale degli strumenti di contrasto delle pratiche commerciali sleali all’interno dei singoli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Occorrerà dunque affrontare la questione se il legislatore dell’Unione abbia preso le distanze dall’approccio dell’armonizzazione completa, valido in linea di principio per i precetti di natura sostanziale della direttiva, per concedere agli Stati membri un margine di manovra discrezionale in ambito processuale.

II – Contesto normativo

1. Diritto dell’Unione

5.

L’articolo 1 della direttiva 2005/29 così recita:

«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

6.

L’articolo 2 della direttiva 2005/29 stabilisce:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

d)

“pratiche commerciali tra imprese e consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(…)».

7.

L’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva così recita:

«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

8.

L’articolo 5 della direttiva, sotto la rubrica «Divieto delle pratiche commerciali sleali», dispone quanto segue:

«1.   Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.   Una pratica commerciale è sleale se:

a)

è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)

falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

(…)

5.   L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

9.

L’articolo 11 della direttiva, sotto la rubrica «Applicazione», stabilisce quanto segue:

«1.   Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori.

Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali le persone o le organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali sleali, inclusi i concorrenti, possono:

a)

promuovere un’azione giudiziaria contro tali pratiche commerciali sleali,

e/o

b)

sottoporre tali pratiche commerciali sleali al giudizio di un’autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un’adeguata azione giudiziaria.

(…)

2.   Nel contesto delle disposizioni giuridiche di cui al paragrafo 1, gli Stati membri conferiscono all’organo giurisdizionale o amministrativo il potere, qualora ritengano necessari detti provvedimenti tenuto conto di tutti gli interessi in causa e, in particolare, dell’interesse generale:

a)

di far cessare le pratiche commerciali sleali o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per ingiungere la loro cessazione,

oppure

b)

qualora la pratica commerciale sleale non sia stata ancora posta in essere ma sia imminente, di vietare tale pratica o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per vietarla,

anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito, oppure in merito all’intenzionalità o alla negligenza da parte del professionista.

Gli Stati membri prevedono inoltre disposizioni affinché i provvedimenti di cui al primo comma possano essere adottati nell’ambito di un procedimento d’urgenza:

con effetto provvisorio,

oppure

con effetto definitivo,

fermo restando che compete ad ogni Stato membro scegliere una delle due opzioni.

Inoltre, al fine di impedire che le pratiche commerciali sleali la cui sospensione sia stata ordinata da una decisione definitiva continuino a produrre effetti, gli Stati membri possono conferire all’organo giurisdizionale o all’autorità amministrativa il potere:

a)

di far pubblicare tale decisione (...),

b)

di far pubblicare inoltre una dichiarazione rettificativa.

(…)

Allorché i poteri di cui al paragrafo 2 sono esercitati esclusivamente da un’autorità amministrativa, le sue decisioni sono sempre motivate. In questo caso, devono essere inoltre previste procedure in base alle quali l’esercizio improprio o ingiustificato dei poteri dell’autorità amministrativa e le omissioni improprie o ingiustificate nell’esercizio dei poteri stessi possano essere oggetto di ricorso giurisdizionale».

10.

All’allegato I della direttiva («Pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali») sono citate in particolare le seguenti pratiche commerciali ingannevoli:

«4.

Asserire che un professionista (incluse le sue pratiche commerciali) o un prodotto è stato approvato, accettato o autorizzato da un organismo pubblico o privato quando esso non lo sia stato o senza rispettare le condizioni dell’approvazione, dell’accettazione o dell’autorizzazione ricevuta.

(…)

7.

Dichiarare falsamente che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole.

(…)

15.

Affermare che il professionista sta per cessare l’attività o traslocare, ove non stia per farlo».

2. Normativa nazionale

11.

La direttiva 2005/29 è stata recepita in Austria a partire dal 12 dicembre 2007 mediante una modifica ( 3 ) del Bundesgesetz gegen den unlauteren Wettbewerb 1984 ( 4 ) (legge federale sulla concorrenza sleale; in prosieguo: l’«UWG»).

12.

Il punto 7 dell’allegato I della direttiva 2005/29 è stato ripreso testualmente nell’ambito della novella dell’UWG del 2007 al punto 7 dell’allegato dell’UWG.

La sottosezione 4a dell’UWG (articoli 33a-33f), già introdotta nel 1992 nell’UWG, contiene le seguenti disposizioni sotto la rubrica «Annuncio di vendite di liquidazione»:

«Articolo 33a.

1)   Per annuncio di una vendita di liquidazione ai sensi della presente legge federale si intendono tutti i pubblici avvisi o le comunicazioni rivolte ad un’ampia cerchia di persone, dai quali sia desumibile l’intenzione di procedere alla vendita al dettaglio, in tempi accelerati, di merci in grande quantità, e che siano al contempo idonei a generare l’impressione che il professionista sia costretto, in virtù di particolari circostanze, a vendere in tempi ristretti ed offra pertanto la propria merce a condizioni o prezzi straordinariamente vantaggiosi. Avvisi o comunicazioni in cui figurano le parole “saldi”, “liquidazione”, “liquidazione totale”, “vendita rapida”, “vendita sottocosto”, “svuotiamo il nostro magazzino” o parole aventi un significato analogo sono da intendersi comunque come annuncio di una vendita di liquidazione.

2)   Non rientrano tuttavia nell’ambito delle disposizioni di cui agli articoli 33a-33e gli avvisi e le comunicazioni concernenti vendite di fine stagione, vendite stagionali per smaltimento rimanenze, vendite preinventario e simili, nonché le vendite speciali generalmente in uso nel ramo commerciale di cui trattasi e in determinati periodi dell’anno (per esempio “settimana bianca” o “settimana del cappotto”).

3)   Queste disposizioni lasciano impregiudicato il punto 7 dell’allegato.

Articolo 33b.

L’annuncio di una vendita di liquidazione è consentito solo dietro autorizzazione dell’autorità amministrativa del distretto competente in base al luogo della vendita. La richiesta di autorizzazione deve essere formulata per iscritto e deve contenere le seguenti informazioni:

1.

la merce oggetto di vendita, classificata per quantità, natura e valore commerciale;

2.

il luogo esatto della vendita;

3.

il periodo durante il quale deve avere luogo la vendita;

4.

i motivi alla base della vendita di liquidazione, quali il decesso del titolare, la cessazione dell’attività o la cessazione della vendita di un determinato tipo di merce, il trasferimento del negozio, una catastrofe naturale e simili;

5.

(…)

Articolo 33c.

1)   L’autorità amministrativa del distretto, prima di decidere sulla richiesta di autorizzazione, deve invitare la Landeskammer der gewerblichen Wirtschaft [Camera di commercio del Land] competente in base al luogo della vendita di liquidazione a presentare una perizia entro un termine di due settimane.

2)   L’autorità amministrativa del distretto deve pronunciarsi sulla richiesta entro un mese dal suo ricevimento.

3)   L’autorizzazione deve essere negata qualora non ricorra alcuno dei motivi di cui all’articolo 33b, punto 4, oppure qualora la vendita non sia destinata a protrarsi per un periodo di tempo ininterrotto. L’autorizzazione deve inoltre essere negata qualora la vendita ricada nel periodo fra l’inizio della penultima settimana prima di Pasqua e Pentecoste, fra il 15 novembre e Natale, oppure debba prolungarsi per un periodo superiore a sei mesi, fatti salvi i casi di decesso del titolare, di catastrofe naturale o altri casi parimenti degni di essere presi in considerazione. Qualora l’attività commerciale esista da meno di tre anni, l’autorizzazione deve essere rilasciata solo nei casi di decesso del titolare, di catastrofe naturale o in altri casi parimenti degni di essere presi in considerazione.

4)   (...)

Articolo 33d.

1)   Ciascun annuncio di vendita di liquidazione deve contenere i motivi della vendita accelerata, il periodo in cui deve avere luogo la vendita e una descrizione generale delle merci destinate a tale vendita. Queste informazioni devono corrispondere a quelle contenute nella decisione di autorizzazione.

2)   Una volta decorso il periodo di vendita indicato nella decisione di autorizzazione, è proibito qualsiasi annuncio di una vendita di liquidazione.

3)   Durante il periodo di vendita indicato nella decisione di autorizzazione, la vendita delle merci indicate nell’annuncio è consentita solo nella quantità indicata nella decisione di autorizzazione. È proibito qualsiasi rifornimento di merci di tali categorie.

4)   (…)».

13.

L’articolo 34, paragrafo 3, dell’UWG contiene la seguente disposizione relativa, tra l’altro, alla sottosezione 4a:

«Salva l’applicazione di eventuali sanzioni penali, contro chiunque contravvenga alle disposizioni della presente sezione può essere proposta azione per inibitoria e, in caso di dolo o colpa, azione per risarcimento danni. Tali azioni possono essere esercitate soltanto dinanzi ai giudici ordinari. (...)».

III – Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

14.

Il sig. Köck esercita un’attività di impresa commerciale individuale ad Innsbruck. Egli ha annunciato, in un’inserzione, una «svendita totale» della propria merce, pubblicizzandola davanti ai propri locali di vendita con pannelli pubblicitari e adesivi sulle vetrine. Egli ha ivi utilizzato, accanto all’espressione «svendita totale», anche formule quali «fuori tutto» e «sconti fino al 90%». Per annunciare la vendita di liquidazione il convenuto non aveva richiesto un’autorizzazione all’autorità amministrativa del distretto.

15.

Lo Schutzverband è dell’avviso che l’annuncio sia contrario agli articoli 33a e segg. dell’UWG. In base a tale normativa, l’annuncio di una vendita di liquidazione effettuato dal sig. Köck sarebbe ammissibile solo previa autorizzazione dell’autorità amministrativa del distretto. Tale disciplina sarebbe compatibile con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e dovrebbe pertanto continuare ad essere applicata.

16.

Lo Schutzverband ha pertanto proposto dinanzi al Landesgericht Innsbruck azione inibitoria volta a vietare al sig. Köck l’annuncio di una vendita di liquidazione in assenza della necessaria autorizzazione rilasciata dall’autorità amministrativa distrettuale. Il sig. Köck nega che vi sia stata una violazione delle disposizioni in materia di vendite di liquidazione. Egli si sarebbe limitato a procedere ad una vendita stagionale non soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’articolo 33a, paragrafo 2, dell’UWG. Con ordinanza del 15 giugno 2010, il Landesgericht Innsbruck ha fatto propria la tesi giuridica del sig. Köck.

17.

Su ricorso dello Schutzverband, l’Oberlandesgericht Innsbruck ha emesso con ordinanza del 6 agosto 2010 il provvedimento cautelare richiesto. Il giudice d’appello è dell’avviso che il convenuto abbia annunciato una vendita di liquidazione soggetta ad obbligo di autorizzazione ai sensi dell’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG. Non essendo egli in possesso di un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 33b dell’UWG, la domanda intesa ad ottenere un provvedimento inibitorio ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 3, dell’UWG doveva essere accolta.

18.

Il sig. Köck ha presentato ricorso per cassazione («Revision») dinanzi all’Oberster Gerichtshof avverso la suddetta ordinanza. In base alla valutazione provvisoria dell’Oberster Gerichtshof questo mezzo di impugnazione non doveva essere accolto in applicazione degli articoli 33a e segg., dell’UWG. Il suddetto giudice nazionale, tuttavia, nutre dubbi circa la compatibilità di tali disposizioni con la direttiva 2005/29. Esso ha quindi deciso di sospendere il procedimento relativo a detto ricorso e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

Se gli articoli 3, paragrafo 1, e 5, paragrafo 5, della direttiva 2005/29 o altre disposizioni di tale direttiva ostino ad una normativa nazionale, ai sensi della quale l’annuncio di una vendita di liquidazione non autorizzato dall’autorità amministrativa competente è illegittimo e deve pertanto essere vietato nell’ambito di un procedimento giurisdizionale, senza che il giudice debba in altro modo verificare, in tale procedimento, il carattere ingannevole, aggressivo o altrimenti sleale di tale pratica commerciale.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

19.

La decisione di rinvio pregiudiziale, datata 12 aprile 2011, è pervenuta nella cancelleria della Corte il 2 maggio 2011.

20.

Le parti del procedimento principale, i governi della Repubblica d’Austria e del Regno del Belgio nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte nel termine previsto dall’articolo 23 dello Statuto della Corte.

21.

All’udienza orale del 21 maggio 2012 sono comparsi i rappresentanti delle parti del procedimento principale, i rappresentanti del governo della Repubblica d’Austria e del Regno del Belgio nonché il rappresentante della Commissione per svolgere osservazioni orali.

V – Principali argomenti delle parti

22.

Il sig. Köck suggerisce alla Corte di rispondere affermativamente alla questione pregiudiziale. Egli asserisce l’incompatibilità con la direttiva 2005/29 di una normativa come quella in oggetto, che consente alle autorità amministrative di negare l’autorizzazione all’annuncio di una vendita di liquidazione, anche ove la pratica commerciale in discorso non sia né ingannevole né aggressiva o altrimenti sleale.

23.

Egli sostiene l’applicabilità della direttiva 2005/29 alla fattispecie di cui al procedimento principale in quanto, da un lato, l’annuncio di una vendita di liquidazione corrisponde alla definizione di pratica commerciale e, dall’altro, le disposizioni nazionali controverse sono finalizzate a tutelare non solo i concorrenti bensì anche i consumatori. Ad abundantiam, sostiene che l’annuncio da esso effettuato non consisteva in un annuncio di una vendita di liquidazione ai sensi dell’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG, bensì piuttosto in un annuncio di una vendita stagionale non soggetta ad obbligo di autorizzazione ai sensi dell’articolo 33a, paragrafo 2, dell’UWG.

24.

Egli ritiene inoltre che il punto 7 dell’allegato I della direttiva 2005/29 non sia applicabile alla fattispecie di cui al procedimento principale, in quanto non è stata effettuata una dichiarazione esplicita relativa ad una determinata durata della vendita di liquidazione, che in realtà è una vendita stagionale. Egli sostiene inoltre che la tutela giuridica del singolo non sarebbe garantita dal diritto nazionale, in quanto non si può pretendere che le imprese interessate richiedano, mediante la procedura amministrativa, la disapplicazione dell’articolo 33c, paragrafo 3, dell’UWG a motivo dell’incompatibilità con il diritto dell’Unione.

25.

Sia lo Schutzverband che il governo austriaco sono dell’avviso che le disposizioni nazionali controverse relative all’autorizzazione delle vendite di liquidazione da parte dell’autorità non rientrino nel campo di applicazione della direttiva 2005/29. Questa tesi sarebbe corroborata sia dal nono considerando sia dall’articolo 3, paragrafo 8, della direttiva, secondo cui essa non pregiudica «[le] condizioni di stabilimento e [i] regimi di autorizzazione». Il governo austriaco sostiene che l’inapplicabilità della direttiva 2005/29 discende anche dal fatto che questa non disciplina i rapporti giuridici fra imprese e autorità.

26.

Entrambe le parti svolgono ad abundantiam considerazioni nel caso in cui la Corte di giustizia dovesse pronunciarsi a favore dell’applicabilità della direttiva 2005/29. Esse fanno notare, fra l’altro, che la maggior parte delle vendite di liquidazione, come ad esempio le vendite di fine stagione, le vendite preinventario, ecc. non sono né vietate né soggette ad obbligo di autorizzazione in Austria. Solo l’annuncio di determinate vendite di liquidazione speciali necessita di un’autorizzazione. La normativa nazionale controversa, pertanto, non costituisce un divieto generalizzato e di principio contro determinate pratiche commerciali. Peraltro, l’articolo 11 della direttiva consente agli Stati membri di introdurre strumenti idonei ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali. Fra questi, secondo il governo austriaco, è annoverabile anche una verifica ex ante delle pratiche commerciali sleali, che presenta vantaggi rispetto ad una mera verifica a posteriori. Quest’ultima, almeno nel caso dell’annuncio di vendite di liquidazione, non risponderebbe in modo sufficiente all’obiettivo sancito all’articolo 13 della direttiva di stabilire sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per punire le violazioni contro le disposizioni nazionali di recepimento.

27.

Entrambe le parti prendono posizione sull’articolazione della procedura amministrativa e giurisdizionale del diritto austriaco: lo Schutzverband fa riferimento all’obbligo delle autorità austriache di interpretare, nell’ambito della procedura di esame dell’istanza di autorizzazione, le disposizioni nazionali alla luce della finalità di cui alla direttiva 2005/29, al fine di conseguire l’obiettivo perseguito con essa. Inoltre esso sottolinea che il giudice chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un procedimento inibitorio accerta solitamente la sussistenza di un annuncio ai sensi dell’articolo 33a dell’UWG. Qualora sussista un annuncio di vendita soggetta ad obbligo di autorizzazione senza che quest’ultima sia stata rilasciata da un’autorità amministrativa, ciò potrebbe essere comunque contrario ai requisiti di diligenza professionale di cui all’articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/29. Il governo austriaco, dal canto suo, sottolinea che le autorità amministrative austriache devono autorizzare l’annuncio di una vendita di liquidazione qualora questo non sia ingannevole e non sia in contrasto con le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29.

28.

Lo Schutzverband suggerisce alla Corte di rispondere negativamente alla questione pregiudiziale. Il governo austriaco, dal canto suo, propone di rispondere alla questione pregiudiziale affermando che la direttiva 2005/29 non osta ad una normativa nazionale ai sensi della quale l’annuncio di determinate vendite straordinarie di liquidazione deve essere autorizzato dall’autorità.

29.

Il governo belga suggerisce alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale affermando che la direttiva 2005/29 non osta ad una normativa nazionale ai sensi della quale l’annuncio di una vendita di liquidazione è subordinato al previo rilascio di un’autorizzazione, qualora quest’ultima sia finalizzata solo a tutelare gli interessi dei concorrenti. Spetterebbe tuttavia al giudice nazionale valutare quest’ultimo aspetto. Peraltro, il governo belga sottolinea che la suddetta pratica commerciale non figura nell’elenco di cui all’allegato I della direttiva.

30.

La Commissione propone di rispondere affermativamente alla questione pregiudiziale. Quanto all’applicabilità della direttiva 2005/29 alla fattispecie di cui al procedimento principale, essa mette in luce che gli annunci di vendite di liquidazione devono essere considerati come pratiche commerciali. Le disposizioni controverse, inoltre, non sarebbero finalizzate a tutelare esclusivamente i concorrenti, bensì anche i consumatori. Un divieto generalizzato con riserva di autorizzazione, come quello di cui alla normativa nazionale controversa, tuttavia, non sarebbe compatibile con l’articolo 5, paragrafi 2, 4 e 5, della direttiva 2005/29 né con i punti 7 e 15 dell’allegato I della stessa. Un siffatto meccanismo non sarebbe inoltre conciliabile con l’approccio di armonizzazione completa perseguito dalla direttiva. L’articolo 11 della direttiva, in base al quale gli Stati membri sono tenuti ad introdurre mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali, non prevede un siffatto esame ex ante di tutte le pratiche commerciali interessate da parte delle autorità amministrative nazionali. Le disposizioni nazionali controverse non possono nemmeno essere giustificate dall’articolo 3, paragrafo 8, della direttiva in quanto questa disposizione si applica solo alle professioni regolamentate, e ciò non si attaglia alla fattispecie di cui al procedimento principale. Secondo la Commissione, dal punto 4 dell’allegato I della direttiva non è nemmeno desumibile un argomento che deponga a favore dell’ammissibilità di un divieto generalizzato con riserva di autorizzazione.

VI – Valutazione giuridica

A – Osservazioni introduttive

31.

Il legislatore dell’Unione ha prescritto agli Stati membri di trasporre la direttiva 2005/29 entro il 12 giugno 2007, mentre l’applicazione definitiva doveva avvenire a partire dal 12 dicembre 2007. Avendo nel frattempo tutti gli Stati membri adempiuto tale obbligo di trasposizione e applicazione entro i termini ( 5 ), è giunto il momento di chiedersi se le norme siano state trasposte regolarmente nei singoli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Solo una trasposizione ottimale può garantire il conseguimento dello scopo della direttiva di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori ( 6 ).

32.

Sull’attuazione conforme alla direttiva in Belgio ( 7 ), Germania ( 8 ), Polonia ( 9 ), Austria ( 10 ) e Svezia ( 11 ), la Corte ha già avuto occasione di prendere posizione indirettamente in diverse pronunce pregiudiziali ( 12 ). Sebbene, infatti, la sua competenza nell’ambito delle domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE consista nell’interpretare il diritto dell’Unione e non, ad esempio, nel pronunciarsi sulla compatibilità della normativa nazionale con lo stesso ( 13 ), proprio quest’attività interpretativa ha contribuito ad una migliore comprensione dell’importanza e della portata delle singole disposizioni della direttiva. Ciò, a sua volta, ha consentito agli Stati membri di adeguare ex post le proprie normative di attuazione per soddisfare i precetti del diritto dell’Unione ( 14 ).

33.

Sino ad oggi le domande di pronuncia pregiudiziale dei giudici degli Stati membri erano riferite esclusivamente alle disposizioni della direttiva sulla cui base è possibile valutare la natura sleale delle pratiche commerciali. A questo proposito è stato possibile stabilire che l’incompatibilità delle rispettive normative nazionali era sostanzialmente riconducibile al fatto che esse erano contrarie all’approccio finalizzato alla completa armonizzazione perseguito dalla direttiva nel settore della concorrenza sleale ( 15 ). Mediante l’adozione di divieti generalizzati per singole pratiche commerciali gli Stati membri hanno voluto ampliare illegittimamente l’elenco esaustivo di pratiche commerciali vietate contenuto nell’allegato I della direttiva ( 16 ). Ciò ha costituito anche l’oggetto della causa C-540/08 (Mediaprint), relativa al divieto di vendite accompagnate da premi sancito dall’UWG austriaco. A seguito di ciò, la Corte di giustizia ha anche stabilito che la direttiva osta ad una siffatta normativa nazionale impostata come divieto generalizzato ( 17 ).

B – Analisi delle questioni giuridiche

34.

Vi sono determinati parallelismi fra la suddetta causa e la presente, in quanto questa domanda di pronuncia pregiudiziale è finalizzata a far affermare alla Corte di giustizia che la normativa nazionale controversa relativa all’annuncio di vendite di liquidazione è strutturata del pari come divieto generalizzato contrario alla direttiva 2005/29. A questo proposito non deve sfuggire che la problematica sollevata contiene anche una componente di diritto processuale: il giudice nazionale, infatti, chiede di sapere se un divieto con riserva di autorizzazione, come quello previsto dal diritto austriaco, sia conforme ai precetti della direttiva. Collegata a ciò è la questione dell’articolazione processuale degli strumenti di contrasto delle pratiche commerciali sleali, per cui si dovrà esaminare se la direttiva consenta un controllo ex ante delle suddette pratiche commerciali da parte dell’autorità amministrativa. In considerazione del fatto che la suddetta questione non ha formato sino ad oggi oggetto di giurisprudenza della Corte, essa merita un’analisi distinta.

35.

Per fornire al giudice nazionale una risposta utile come anche per maggiore chiarezza dividerò la mia trattazione della questione pregiudiziale in tre diverse aree tematiche: in primo luogo esaminerò se la direttiva 2005/29 sia applicabile alla fattispecie di cui alla causa principale e, pertanto, se possa essere utilizzata come parametro per valutare la regolare trasposizione del diritto dell’Unione nel diritto nazionale. Successivamente affronterò la suddetta problematica di diritto processuale ed esaminerò se le disposizioni nazionali sull’autorizzazione dell’annuncio di vendite di liquidazione siano conformi ai precetti di diritto sostanziale della direttiva.

1. Applicabilità della direttiva 2005/29

a) Campo d’applicazione ratione materiae

36.

Per rientrare nel campo d’applicazione ratione materiae della direttiva 2005/29 la normativa nazionale controversa dovrebbe avere ad oggetto una pratica commerciale nell’ambito degli scambi fra imprese e consumatori. Sotto questo profilo occorre osservare che l’articolo 2, lettera d), della direttiva definisce, ricorrendo ad una formulazione particolarmente ampia, la nozione di pratica commerciale come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» ( 18 ). Misure pubblicitarie come quelle di cui alla fattispecie della causa principale, che si riferiscono alla vendita di prodotti a consumatori a prezzi ridotti in una circostanza speciale, rientrano chiaramente nel contesto di una strategia commerciale di un professionista e sono direttamente legate alla promozione e alla vendita. Conseguentemente, esse rappresentano pratiche commerciali nell’accezione della suddetta definizione, per cui disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi, che ne regolano in dettaglio l’esercizio, rientrano nel campo d’applicazione ratione materiae della direttiva.

b) Campo d’applicazione ratione personae

37.

La riconducibilità della disciplina nazionale controversa nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2005/29 dipende dal fatto che essa sia rivolta, al pari della direttiva stessa, anche alla tutela dei consumatori. Nella sentenza Mediaprint ( 19 ) la Corte di giustizia ha affermato che una normativa nazionale sulle pratiche commerciali sleali è compresa nel campo d’applicazione della direttiva anche quando non è intesa a proteggere solo i consumatori, bensì persegue anche altri scopi. Come risulta infatti dal sesto considerando della direttiva, restano escluse da tale campo solo le disposizioni nazionali che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra professionisti. Pertanto, anche qualora la normativa sull’annuncio di vendite di liquidazione di cui agli articoli 33a e segg. dell’UWG fosse intesa a tutelare non solo i consumatori ma anche i concorrenti o persino prevalentemente i concorrenti, questo non escluderebbe l’applicabilità della direttiva.

38.

Come ha chiarito più volte la Corte nella sua giurisprudenza ( 20 ) spetta al giudice del rinvio, cui incombe anche l’interpretazione del diritto nazionale, stabilire se la disposizione nazionale controversa persegua effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori al fine di verificare se una siffatta disposizione possa rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva. A tale proposito occorre osservare che il giudice a quo nella sua decisione di rinvio pregiudiziale ( 21 ) fa sostanzialmente propria la constatazione che un annuncio di vendite di liquidazione ai sensi della definizione contenuta nell’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG è «senza dubbio una pratica commerciale nell’accezione della direttiva 2005/29», per cui è sottinteso che la normativa controversa rientra nel campo d’applicazione della stessa. Si ammette pertanto implicitamente che la normativa in oggetto è in ogni caso finalizzata anche alla tutela dei consumatori.

39.

Vi sono alcuni elementi che depongono a favore di una siffatta conclusione. Come si desume dalle osservazioni del governo austriaco ( 22 ) e dello Schutzverband ( 23 ), dalla giurisprudenza dei giudici austriaci ( 24 ) e dalla dottrina giuridica ( 25 ), la finalità della disciplina sulle vendite di liquidazione di cui all’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG consiste nel prevenire l’abuso di vendite di liquidazione (fittizie) che utilizzano l’attrattiva degli annunci pubblici, secondo i quali un imprenditore è costretto da circostanze eccezionali ad effettuare una vendita di liquidazione a condizioni o prezzi straordinariamente vantaggiosi. Questa normativa riguarda solo vendite di liquidazione annunciate, tanto più che attraverso di esse si evoca l’impressione di vantaggi straordinari in caso di acquisto. Si può facilmente abusare di siffatti annunci al fine di influenzare psicologicamente il pubblico degli acquirenti e a danno dei concorrenti. Per contrastare questo fenomeno, l’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG associa l’ammissibilità di tali annunci all’ottenimento di un’autorizzazione rilasciata da un’autorità. In tal modo si intende tenere conto della protezione dei professionisti e dei concorrenti da pratiche commerciali sleali, da un lato, e dei clienti dall’influenza psicologica, dall’altro.

40.

Conseguentemente, ai fini del presente procedimento, si deve partire comunque dall’assunto che la presente normativa rientra anche nel campo d’applicazione ratione personae della direttiva 2005/29, aspetto che comunque deve essere ancora confermato dal giudice a quo.

c) Assenza d’eccezione

41.

L’applicabilità della direttiva 2005/29 potrebbe essere affermata solo qualora nella fattispecie di cui alla causa principale non fosse pertinente alcuna eccezione. Nelle sue osservazioni lo Schutzverband mette in dubbio l’applicabilità della direttiva richiamandosi all’articolo 3, paragrafo 8. In base a questa norma, che esclude determinate materie dal campo d’applicazione ratione materiae, la «direttiva non pregiudica (...) [i] regimi di autorizzazione, (...) o altre norme specifiche che disciplinano le professioni regolamentate (...)». Lo Schutzverband desume da ciò che i regimi di autorizzazione, come i controlli preventivi da parte delle autorità, incluse le disposizioni degli articoli 33b e segg. dell’UWG relativi alla procedura di autorizzazione che deve essere svolta dall’autorità e il necessario contenuto decisorio, esulano dal citato campo di applicazione. A questa argomentazione si può ribattere, tuttavia, che la fattispecie di cui alla causa principale non verte su una specifica disciplina nazionale per una «professione regolamentata» nell’accezione della suddetta disposizione. Questa deroga, pertanto, non è applicabile.

d) Conclusione intermedia

42.

In base alle considerazioni che precedono occorre affermare che nulla nella fattispecie di cui alla causa principale induce a concludere che la direttiva 2005/29 non potrebbe applicarsi alla suddetta fattispecie. Al giudice del rinvio, tuttavia, incombe verificare questa conclusione.

2. Aspetti di diritto processuale della questione pregiudiziale

43.

Dopo avere concluso per l’applicabilità in linea di principio della direttiva 2005/29 occorre poi verificare se il legislatore austriaco, nel predisporre gli strumenti processuali per l’attuazione della direttiva a livello nazionale, abbia rispettato anche i precetti del diritto dell’Unione ivi contenuti. In considerazione della molteplicità delle questioni giuridiche sollevate dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, le affronterò in sequenza a beneficio della chiarezza.

a) Competenze di controllo delle autorità amministrative nazionali

44.

La prima questione di natura processuale sollevata dalla domanda di pronuncia pregiudiziale è se la direttiva 2005/29 consenta di verificare la slealtà delle pratiche commerciali da parte delle autorità amministrative. Ritengo che la risposta a tale domanda si possa evincere dalle disposizioni di cui agli articoli 11 e 12 della direttiva, da cui risulta che gli Stati membri sono autorizzati ad introdurre procedimenti giudiziari o procedimenti dinanzi ad autorità amministrative per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della suddetta direttiva. La natura alternativa di entrambi i tipi di procedimenti, espressa chiaramente nel tenore letterale («organi giurisdizionali o amministrativi») delle singole disposizioni, indica che la scelta della procedura adeguata è sostanzialmente lasciata alla discrezionalità degli Stati membri ( 26 ). In questo contesto si deve affermare che la direttiva 2005/29 consente senz’altro di delegare alle autorità amministrative il controllo della lealtà delle pratiche commerciali.

b) Potere delle autorità di effettuare un controllo ex ante

45.

Un’ulteriore questione di natura procedurale che si pone nella fattispecie, come già osservato, riguarda il fatto se la direttiva 2005/29 consenta un controllo ex ante di siffatte pratiche commerciali da parte delle autorità amministrative. A questo proposito, come ha correttamente sostenuto il giudice nazionale nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale ( 27 ), occorre rilevare che la direttiva non lo vieta esplicitamente. Nessun elemento della direttiva permette di desumere che quest’ultima autorizzi unicamente controlli ex post ed escluda pertanto la possibilità di prevedere, per determinate pratiche commerciali, il rilascio previo di un’autorizzazione da parte di un’autorità amministrativa. Come illustrerò in prosieguo, tramite un’interpretazione del tenore letterale e della sistematica delle disposizioni pertinenti possono essere persino addotti argomenti a favore della compatibilità di un siffatto controllo ex ante con la direttiva.

46.

Innanzitutto, dalla disposizione centrale di cui all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2005/29 discende l’obbligo incombente agli Stati membri, sancito dal diritto dell’Unione, «[di garantire] che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori». Ciò significa che la compatibilità di una misura di uno Stato membro con una direttiva è subordinata alla condizione che tale misura sia «adeguata» ed «efficace» a far terminare le pratiche commerciali sleali. Come ho già affermato nelle conclusioni da me presentate nella causa Banco Español de Crédito ( 28 ), agli Stati membri è stato concesso un ampio margine di discrezionalità ( 29 ), tanto più che teoricamente sono ipotizzabili diverse misure che soddisfano entrambi i requisiti. In ultima analisi, potrebbero essere escluse solamente le misure palesemente inadeguate e inefficaci. Questa disposizione, come si riscontra anche nel caso di altri strumenti giuridici nel campo della tutela dei consumatori ( 30 ), tiene conto delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri.

47.

La direttiva stabilisce, all’articolo 11, paragrafi 1 e 2, di quali misure concrete possa trattarsi, prevedendo ad esempio la facoltà di una persona o di un’organizzazione, che secondo la legislazione nazionale ha un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali sleali, di promuovere un’azione giudiziaria contro siffatte pratiche ( 31 ) e/o di sottoporle al giudizio di un’autorità amministrativa. L’articolo 11, paragrafo 2, inoltre, prevede una serie di poteri delle autorità giurisdizionali e amministrative nazionali, di cui esse devono essere dotate per vietare le pratiche commerciali sleali. A ciò si aggiunge la concessione della tutela cautelare nonché la prescrizione di misure finalizzate ad eliminare le conseguenze di questo tipo di pratiche commerciali. Che l’elenco di tali misure non sia affatto esaustivo ( 32 ), ma che comunque rappresenti uno standard minimo cui gli Stati membri devono attenersi ( 33 ), risulta, da un lato, dalla norma centrale di cui all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, che tratta in generale di «mezzi» senza specificare in dettaglio le singole misure. Esso è precisato solo dalla norma di cui al secondo comma, in cui si legge che i mezzi in questione «includono» le misure di seguito specificate. Il tenore letterale della suddetta disposizione indica che gli Stati membri devono comunque inserire nei loro ordinamenti giuridici le misure esplicitamente citate. Esso, tuttavia, non permette di concludere che ad essi sarebbe vietato dalla legge includere altri procedimenti o mezzi di ricorso che siano parimenti adeguati ed efficaci.

48.

L’articolo 11, paragrafo 2, lettera b), prevede inoltre esplicitamente la facoltà delle autorità amministrative di vietare una pratica commerciale sleale, qualora essa «non sia stata ancora posta in essere ma sia imminente». Con ciò si intende un divieto preventivo da parte dell’autorità. Tanto la somiglianza con questo meccanismo di divieto preventivo quanto l’elencazione non esaustiva delle misure di contrasto delle pratiche commerciali sleali sono indicative della compatibilità di un meccanismo di controllo ex ante con la direttiva 2005/29. Lo stesso dicasi per il rispetto dei criteri di adeguatezza e di efficacia di cui all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva, tanto più che non potrebbero esistere dubbi circa il fatto che il riconoscimento il più tempestivo possibile di pratiche commerciali sleali contribuisce a vietarle ancor prima che esse dispieghino effetti distorsivi sulla concorrenza.

49.

Le considerazioni svolte dal governo austriaco ( 34 ) circa lo scopo normativo della disciplina sull’annuncio di vendite di liquidazione mi sembrano rilevanti in questo contesto. Il governo evidenzia che nel caso di vendite di liquidazione soggette all’obbligo di autorizzazione di cui agli articoli 33a e segg. dell’UWG, una valutazione ex post delle pratiche commerciali sleali non sarebbe efficace in quanto nella maggior parte dei casi l’impresa cessa di esistere una volta conclusa la vendita di liquidazione. Ai sensi dell’articolo 33a dell’UWG per annuncio di una vendita di liquidazione si intendono «tutti i pubblici avvisi o le comunicazioni rivolte ad un’ampia cerchia di persone, dai quali sia desumibile l’intenzione di procedere alla vendita al dettaglio, in tempi accelerati, di merci in grande quantità, e che siano al contempo idonei a generare l’impressione che il professionista sia costretto, in virtù di particolari circostanze, a vendere in tempi ristretti ed offra pertanto la propria merce a condizioni o prezzi straordinariamente vantaggiosi. Avvisi o comunicazioni in cui figurano le parole “saldi”, “liquidazione”, “liquidazione totale”, “vendita rapida”, “vendita sottocosto”, “svuotiamo il nostro magazzini” o parole aventi un significato analogo, sono da intendersi comunque come annuncio di una vendita di liquidazione».

50.

Indipendentemente dalla questione se siffatti pubblici annunci debbano essere qualificati come «pratiche commerciali sleali» nell’accezione della direttiva 2005/29, cosa che è in ultima analisi lasciata ad una valutazione caso per caso, l’intervento tempestivo delle autorità appare giustificato a causa delle citate circostanze di una vendita di liquidazione, che motivano una particolare urgenza. Una disciplina che conferisca all’autorità amministrativa competenze di controllo preventivo relativamente alle pratiche commerciali soddisfa i requisiti di adeguatezza ed efficacia di cui all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2005/29.

51.

Pertanto, la direttiva 2005/29 consente in linea di principio agli Stati membri di conferire alle proprie autorità amministrative competenze di controllo preventivo relativamente alle pratiche commerciali.

c) Compatibilità con la direttiva di un divieto di legge con riserva di autorizzazione collegato a sanzioni

52.

Qualora si conferisca agli Stati membri un potere analogo, occorre anche conseguentemente riconoscere loro la competenza fondamentale di ripensare il proprio diritto processuale nazionale in modo tale che l’esercizio di determinate pratiche commerciali, qualificabili in determinate circostanze come sleali, sia soggetto ad un divieto ex lege con riserva di autorizzazione. Non costituisce in linea di principio una violazione della direttiva 2005/29, se ai professionisti viene imposto l’obbligo di ottenere un’autorizzazione amministrativa prima di effettuare una vendita pubblica di liquidazione, tanto più che questo requisito di legge costituisce semplicemente una modalità procedurale finalizzata a rendere possibile il controllo preventivo da parte delle autorità amministrative. Se non sono note le intenzioni di un professionista di annunciare la vendita di liquidazione, come già osservato ( 35 ), è infatti inutile, molto verosimilmente, effettuare una siffatta verifica. Sotto questo profilo una siffatta articolazione normativa delle modalità procedurali degli Stati membri soddisfa i requisiti di adeguatezza ed efficacia stabiliti all’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva al fine di contrastare le pratiche commerciali sleali.

53.

Del resto nulla nella direttiva 2005/29 impedisce che gli Stati membri, nell’articolare sotto il profilo procedurale tale divieto di legge con riserva di autorizzazione, prevedano nella normativa interna che, in caso di inosservanza del divieto, le autorità amministrative si debbano limitare ad accertare l’assenza di un’autorizzazione, senza pronunciarsi sul merito già in questa fase procedurale. Ciò però solo a patto che al professionista sia data facoltà di avviare di seguito il procedimento amministrativo ordinario e di fare domanda per il rilascio di un’autorizzazione, in modo che si decida nel merito da dove prendere le mosse.

54.

Solo in tal caso, infatti, la creazione legislativa del divieto con riserva di autorizzazione svolgerebbe la funzione di elemento di un meccanismo procedurale volto a garantire un controllo preventivo. Se al professionista la corrispondente facoltà fosse invece negata – nella causa principale però non vi sono indizi in tal senso – una creazione del genere produrrebbe l’effetto di un divieto definitivo equivalente a un divieto generale di esercitare pratiche commerciali, cosa che non trova alcun fondamento nella direttiva 2005/29. Un siffatto divieto definitivo ex post sarebbe in contraddizione non solo con l’orientamento liberista della direttiva a favore della libertà d’impresa ( 36 ), ma anche con il suo assetto normativo, secondo cui in linea di principio le pratiche commerciali sono permesse purché non presentino le caratteristiche che configurano la slealtà. Come ha infatti affermato la Corte di giustizia nella sentenza Mediaprint, una pratica commerciale che rientri nell’ambito di applicazione della direttiva senza figurare nel suo allegato I può essere considerata sleale, e quindi essere vietata, solo in esito a un’analisi specifica, segnatamente alla luce dei criteri stabiliti dagli articoli 5-9 della direttiva stessa ( 37 ). Per di più si tratterebbe di una sanzione sproporzionata rispetto all’obiettivo di garantire l’esecuzione della direttiva. L’argomento sarà approfondito nell’esame delle questioni di diritto sostanziale.

55.

La circostanza che le violazioni di cui agli articoli 33 e seg. dell’UWG sono passibili di sanzione pecuniaria non denota di per sé incompatibilità con la direttiva 2005/29, tanto più che quest’ultima nell’articolo 13 impegna espressamente gli Stati membri a determinare «le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva». La stessa disposizione prevede inoltre che gli Stati membri adottino «tutti i provvedimenti necessari» per garantirne l’applicazione. Tali sanzioni devono essere «efficaci, proporzionate e dissuasive» ( 38 ). Dato che, in linea di principio, la previsione di una sanzione pecuniaria è idonea a indurre i professionisti a rispettare la legge e a segnalare alle autorità l’intenzione di annunciare una liquidazione – eventualmente corrispondente ai criteri che configurano una pratica commerciale sleale ai sensi della direttiva – non vi sono dubbi sul fatto che tale sanzione sia efficace e al tempo stesso dissuasiva. Non esistono indizi del carattere sproporzionato di una siffatta sanzione pecuniaria rispetto all’obiettivo perseguito di contrastare le pratiche commerciali sleali.

d) Controllo giurisdizionale della decisione amministrativa

i) Esposizione della problematica

56.

Un altro aspetto procedurale sollevato dal giudice del rinvio nella sua domanda riguarda l’ampiezza del potere di valutazione del giudice nazionale nel quadro di azioni inibitorie proposte da concorrenti ex articolo 34, paragrafo 3, dell’UWG. Il giudice chiede in sostanza se un giudice nazionale possa essere tenuto per legge a vietare a un professionista di annunciare una vendita di liquidazione per l’unico motivo che non è stato autorizzato senza dover verificare, nell’ambito dello stesso procedimento, il carattere ingannevole, aggressivo o altrimenti sleale di quella pratica commerciale.

57.

A mio avviso, per rispondere a questa domanda vanno considerati in primo luogo gli effetti giuridici prodotti da tale divieto giurisdizionale nell’ordinamento nazionale. Una disciplina procedurale come quella in esame non soddisfa per nulla le prescrizioni della direttiva se ha per risultato quello di far vietare una data pratica commerciale, con efficacia definitiva, senza che un esame caso per caso ne abbia prima accertato il carattere sleale. Si è già sottolineata la cogenza del requisito dell’esame caso per caso affinché si possa stabilire un divieto del genere ( 39 ).

58.

Come spiegherò nelle mie considerazioni, sono ipotizzabili alcune casistiche in cui lo svolgimento di una valutazione del genere non è pienamente garantito. Su questo punto, la direttiva 2005/29 vieterebbe agli Stati membri di prescrivere per legge ai propri giudici che in casi del genere si devono limitare a verificare l’osservanza dell’obbligo di autorizzazione.

ii) Discrezionalità degli Stati membri in materia procedurale

59.

Prima di trattare tali tipologie specifiche di casi è però consigliabile chiarire alcuni aspetti della competenza degli Stati membri in materia di articolazione delle azioni inibitorie. Va approfondita soprattutto la questione del tipo di controllo che devono svolgere i giudici nazionali competenti per tali azioni. In altri termini: il giudice investito di un’azione inibitoria può limitarsi a verificare l’osservanza di una formalità quale il rilascio di un’autorizzazione o è invece tenuto, ai sensi della normativa dell’Unione, a verificare l’effettivo carattere sleale della pratica commerciale in questione ai sensi della direttiva 2005/29?

60.

Come già rilevato, in linea di principio gli Stati membri godono di ampia discrezionalità nell’articolazione procedurale degli strumenti per il contrasto delle pratiche commerciali sleali ( 40 ). Se, ai sensi della normativa dell’Unione, si riconosce agli Stati membri – come qui si argomenta – il potere di vigilare sulla lealtà dei rapporti commerciali attribuendo ad autorità nazionali la competenza di una verifica ex ante, è logica conseguenza concedere agli Stati membri anche il potere di prevedere nei propri ordinamenti che, nell’ambito delle azioni inibitorie, i giudici debbano applicare lo stesso metro giuridico delle autorità. Ciò è tanto più vero in quanto il divieto giurisdizionale di annunciare una liquidazione in seguito a ricorso di un concorrente ex articolo 34, paragrafo 3, dell’UWG serve essenzialmente a garantire con i mezzi della giurisdizione ordinaria l’efficacia di una creazione legislativa come quella in esame ( 41 ). Le azioni inibitorie non sono altro che «mezzi» ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2005/29, ai quali possono ricorrere i concorrenti per censurare l’inosservanza dell’obbligo di autorizzazione. Come lo Schutzverband ha spiegato in modo convincente nelle sue osservazioni orali, in ultima analisi la previsione legislativa di un provvedimento giudiziale di divieto serve a costringere il professionista ad attenersi alla procedura autorizzativa ex articolo 33b dell’UWG.

61.

Per configurare la tutela giuridica in modo coerente a livello nazionale è necessario che autorità amministrative e giudici applichino lo stesso metro nel verificare se il professionista abbia agito secondo diritto. Se il professionista ha contravvenuto all’obbligo di autorizzazione sancito dall’articolo 33b dell’UWG, in linea di principio è legittimo che l’ordinamento nazionale preveda che, nell’ambito di un procedimento ex articolo 34, paragrafo 3, dell’UWG, il controllo giurisdizionale debba limitarsi a stabilire se, in base alle normative interne, l’annuncio previsto fosse soggetto all’obbligo di autorizzazione e se la corrispondente autorizzazione sia stata ottenuta, senza che il giudice debba pronunciarsi in modo già vincolante sul carattere sleale della pratica commerciale in esame.

62.

Va quindi rilevato che in linea di principio la direttiva 2005/29 consente agli Stati membri di prevedere in via legislativa che, nell’ambito delle azioni inibitorie, il giudice nazionale debba limitare il proprio controllo alla verifica dell’osservanza dell’obbligo di autorizzazione.

iii) Divieto di elusione dell’obbligo di eseguire una valutazione caso per caso

63.

Il margine d’azione concesso agli Stati membri nell’articolazione di siffatti «mezzi» non è tuttavia illimitato e può essere sfruttato solo entro i limiti stabiliti dalla direttiva 2005/29. Per la problematica da trattare in questa sede, ciò significa che le azioni inibitorie non possono assolutamente essere articolate in modo tale da vanificare l’obbligo di compiere una valutazione caso per caso, nell’ambito dello stesso procedimento giudiziario o ex post, previsto dalla normativa dell’Unione.

64.

In linea con le osservazioni precedenti riferite al procedimento amministrativo ( 42 ), il divieto giurisdizionale non può indurre per esempio a negare al professionista il diritto di avviare di seguito il procedimento amministrativo ordinario e fare domanda per il rilascio dell’autorizzazione. Se così fosse, infatti, il divieto giurisdizionale non avrebbe più la funzione di garantire per via procedurale il rispetto della competenza delle autorità al controllo ex ante. Si tratterebbe piuttosto di un divieto giurisdizionale definitivo equivalente a un divieto generale di esercitare pratiche commerciali.

65.

Alla luce di queste considerazioni, una disciplina nazionale come quella in esame sarebbe in ogni caso incompatibile con la direttiva in oggetto se la circostanza che l’autorizzazione ex ante non è stata ottenuta inducesse a vietare irrimediabilmente la pratica interessata senza che il suo carattere sleale fosse sottoposto a oggettiva verifica in sede giurisdizionale o amministrativa. In altri termini, deve rimanere possibile per l’imprenditore ottenere una valutazione di merito caso per caso, nell’ambito di un procedimento giudiziale o amministrativo, anche se inizialmente non ha rispettato la procedura né ottenuto l’autorizzazione ex ante. Non si può far discendere automaticamente da tale ipotesi il divieto permanente di una pratica commerciale di per sé leale. Altra questione è l’ammissibilità di una sanzione inflitta all’imprenditore per il semplice fatto di aver contravvenuto alle norme amministrative nazionali. Data l’autonomia procedurale che la direttiva 2005/29 riconosce agli Stati membri, in linea di principio non vi è nulla da obiettare ( 43 ). Vi sarebbe però da obiettare se le norme procedurali nazionali inducessero a bloccare, sotto il profilo giuridico o pratico, una pratica commerciale leale e quindi di per sé non rischiosa ( 44 ).

66.

Un rischio accentuato di blocco esisterebbe per esempio nelle tipologie di casi in cui il fattore tempo assume particolare rilevanza per il professionista. Così sarebbe per esempio nel caso della liquidazione di articoli stagionali ( 45 ), che naturalmente trovano smercio solo in certi periodi dell’anno. Un divieto giurisdizionale di annunciare la liquidazione per il periodo interessato per mancanza dell’autorizzazione avrebbe l’effetto pratico di un divieto assoluto. È vero che il professionista in linea di principio potrebbe richiedere l’autorizzazione in un secondo momento, però dal suo punto di vista non avrebbe più senso effettuare una vendita di liquidazione al di fuori del periodo interessato. Di conseguenza, in fin dei conti ogni provvedimento giudiziale in cui si accerti esclusivamente l’inosservanza dell’obbligo di autorizzazione indurrebbe già a vietare in via permanente un intervento di per sé innocuo. Va invece osservato che infliggere un divieto permanente sulla base di una mera irregolarità amministrativa è contrario allo scopo della direttiva 2005/29 di far vietare solo quelle pratiche commerciali che siano effettivamente aggressive, ingannevoli o altrimenti sleali.

67.

Il legislatore austriaco sembra aver tenuto conto di tali tipologie specifiche di casi esentando ex ante le cosiddette «vendite di fine stagione» dall’obbligo di autorizzazione nell’articolo 33a, paragrafo 2, dell’UWG. Scopo di tali vendite di fine stagione, legate alle usanze commerciali, è permettere ai commercianti di sbarazzarsi delle scorte residue, specialmente di articoli tipicamente stagionali e di moda. Servono quindi a ripulire i magazzini e sono volte a evitare la svalutazione delle merci e ad accrescere la liquidità ( 46 ). Come si evince sia dalle osservazioni orali del governo austriaco che dalla giurisprudenza austriaca ( 47 ), tali vendite di fine stagione comprendono gli articoli stagionali di cui sopra ma anche merci che non rientrano necessariamente nella categoria ( 48 ), perciò si deve verosimilmente presumere che l’ordinamento austriaco dia un’interpretazione ampia a questa deroga. Ammesso che l’osservazione sia corretta, l’articolo 33a, paragrafo 2, dell’UWG concorrerebbe in definitiva a ridurre il rischio che si blocchi in pratica l’esercizio di una pratica commerciale leale. Infatti, l’attività commerciale del professionista sarebbe allora considerata fin dall’inizio esente dall’obbligo di autorizzazione, il che avrebbe per effetto che non sarebbe soggetta ad alcun requisito procedurale, e perciò ad alcuna restrizione, a patto che le sue pratiche commerciali non siano dichiarate sleali ai sensi delle norme vigenti. Sotto questo aspetto la normativa nazionale in esame, almeno per quanto riguarda la tipologia di casi qui trattata, soddisferebbe in linea di principio le prescrizioni della direttiva 2005/29.

68.

In conclusione va osservato che la normativa nazionale in esame non può indurre a vietare al professionista definitivamente e a tempo indeterminato l’esercizio di una pratica commerciale di per sé leale. Si deve invece dare al professionista la possibilità di ottenere dalle autorità competenti una decisione di merito in forza dell’allegato I e dei criteri sanciti dagli articoli 5-9 della direttiva 2005/29. Accertare se le norme procedurali interne prevedano sufficienti garanzie in tal senso è compito del giudice del rinvio, che ha conoscenza diretta delle circostanze locali e competenza esclusiva in materia di interpretazione del diritto interno.

e) Conclusione intermedia

69.

L’analisi svolta sugli aspetti procedurali della questione pregiudiziale ha rivelato che in linea di principio la direttiva 2005/29 non osta a una normativa nazionale come quella oggetto della causa principale, ai sensi della quale l’annuncio di una vendita di liquidazione non è ammissibile se manca l’autorizzazione dell’autorità amministrativa competente e deve quindi essere vietato in via giudiziaria, senza che il giudice in tale procedimento debba verificare il carattere ingannevole, aggressivo o altrimenti sleale di tale pratica commerciale, purché sia garantito che una pratica commerciale di per sé leale non rimanga vietata in via definitiva. Al professionista deve essere offerta la possibilità di ottenere, in via giudiziaria o amministrativa, una valutazione caso per caso del carattere leale della pratica commerciale interessata ( 49 ).

3. Aspetti di diritto sostanziale della questione pregiudiziale

a) Osservazioni generali

70.

La regolare trasposizione nell’ordinamento austriaco delle norme di diritto sostanziale della direttiva 2005/29 – almeno per quanto attiene all’ambito specifico dell’annuncio di vendite di liquidazione – è uno dei problemi essenziali della causa in esame. La questione della compatibilità con la direttiva delle norme contenute negli articoli 33a e segg. dell’UWG si pone perché sono questi i fondamenti giuridici sui quali le autorità amministrative dovranno alla fine basare la decisione di rilasciare o meno l’autorizzazione al professionista. Negare un’autorizzazione in virtù di un fondamento giuridico in contrasto con la direttiva sarebbe una decisione amministrativa anch’essa in contrasto con la direttiva. Il giudice del rinvio intende non escludere che alcuni di questi fondamenti giuridici non siano conformi alla direttiva ( 50 ).

71.

L’incompatibilità delle norme nazionali in questione potrebbe discendere dal fatto che prescrivono alle autorità amministrative uno schema decisionale che non corrisponde a quello della direttiva 2005/29. Di tale schema potrebbero far parte anche i criteri in base ai quali le autorità amministrative devono valutare l’eventuale carattere sleale di una pratica commerciale. Tenendo presente che la direttiva persegue la piena armonizzazione della disciplina sostanziale in materia, qualsiasi deviazione dai suoi precetti andrebbe considerata una violazione della normativa dell’Unione. In un caso del genere, dato il primato applicativo del diritto dell’Unione, nei rapporti con i cittadini le autorità amministrative potrebbero disapplicare le norme interne non conformi, come spiega giustamente il giudice del rinvio rimandando alla giurisprudenza della Corte in materia ( 51 ).

b) Analisi della struttura dei due strumenti normativi

72.

Per poter accertare se la direttiva 2005/29 osti alle norme dettate dagli articoli 33a e segg. dell’UWG in materia di annuncio di vendite di liquidazione, occorre prima analizzare e poi confrontare la struttura normativa delle disposizioni essenziali di entrambi gli strumenti.

i) Struttura normativa della direttiva 2005/29

73.

Il fulcro della direttiva 2005/29 è costituito dalla clausola generale di cui all’articolo 5, paragrafo 1, che dispone il divieto di esercitare pratiche commerciali sleali. Che cosa debba intendersi in dettaglio per «sleale» è precisato dall’articolo 5, paragrafo 2, ai sensi del quale una pratica commerciale è sleale, da un lato, se è contraria alle «norme di diligenza professionale», dall’altro, se è idonea a «falsare in misura rilevante» il comportamento economico del consumatore. Ai sensi del paragrafo 4 sono sleali, in particolare, le pratiche commerciali ingannevoli (articoli 6 e 7) o aggressive (articoli 8 e 9). Il paragrafo 5 rinvia all’allegato I e alle pratiche commerciali ivi elencate, le quali «sono considerate in ogni caso sleali». Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della direttiva.

74.

Ai fini dell’applicazione delle norme da parte dei giudici nazionali e delle autorità amministrative, da ciò consegue che per prima cosa ci si deve rifare all’elenco dei 31 casi di pratiche commerciali sleali di cui all’allegato I. Se una pratica commerciale è sussumibile in una di quelle fattispecie, deve essere vietata. Ulteriori verifiche, per esempio, degli effetti prodotti, non sono previste. Se il caso di specie non rientra nell’elenco di pratiche vietate, va verificato se ricorra una delle ipotesi esemplificative previste dalla clausola generale: pratiche commerciali ingannevoli e aggressive. Solo in caso contrario sarà applicata direttamente la clausola generale di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva.

ii) Le norme sostanziali dell’UWG sull’annuncio di vendite di liquidazione

75.

Ai sensi dell’articolo 33b dell’UWG, l’annuncio di una vendita di liquidazione è consentito solo previa autorizzazione dell’autorità amministrativa del distretto competente in base al luogo della vendita. L’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG precisa che cosa si debba intendere per «annuncio di una vendita di liquidazione» ed elenca inoltre una serie di slogan abitualmente utilizzati in occasione di tali annunci. Come si evince dalle spiegazioni fornite dal governo austriaco ( 52 ) e dallo Schutzverband ( 53 ), però, non tutti gli annunci sono soggetti all’obbligo di autorizzazione. Ne sono esclusi gli avvisi e le comunicazioni di cui all’articolo 33a, paragrafo 2, dell’UWG, che riguardano vendite di fine stagione, vendite stagionali per smaltimento rimanenze, vendite preinventario e simili, nonché le vendite speciali generalmente in uso nel ramo commerciale di cui trattasi e in determinati periodi dell’anno.

76.

Ai sensi dell’articolo 33b, paragrafo 4, la richiesta di autorizzazione interessata deve comprendere i motivi alla base della vendita, quali il decesso del titolare, la cessazione dell’attività o la cessazione della vendita di un determinato tipo di merce, il trasferimento del negozio, una catastrofe naturale e simili.

77.

Ai sensi dell’articolo 33c, paragrafo 3, l’autorizzazione deve essere negata qualora non ricorra nessuno dei motivi di cui sopra o la vendita non sia destinata a protrarsi per un periodo di tempo ininterrotto. L’autorizzazione deve inoltre essere negata qualora la vendita ricada nel periodo fra l’inizio della penultima settimana prima di Pasqua e Pentecoste, fra il 15 novembre e Natale, oppure debba prolungarsi per un periodo superiore a sei mesi, fatti salvi i casi di decesso del titolare, di catastrofe naturale o altri casi parimenti degni di essere presi in considerazione. Qualora l’attività commerciale esista da meno di tre anni, l’autorizzazione deve essere rilasciata solo in caso di decesso del titolare, di catastrofe naturale o in altri casi parimenti degni di essere presi in considerazione.

c) Compatibilità delle norme sostanziali con la direttiva 2005/29

i) Imposizione di divieti generali

78.

Se si confrontano tra loro le strutture normative dei due strumenti, si nota per prima cosa che l’UWG elenca una serie di divieti generali che non trovano corrispettivo nella direttiva 2005/29.

79.

Ciò diventa palese solo se si osservano le norme interne interessate in collegamento tra loro. La disposizione legislativa dell’articolo 33b dell’UWG, in cui si istituisce l’obbligo di autorizzazione per poter annunciare una vendita di liquidazione, va interpretato in collegamento con l’articolo 33c, paragrafo 3, dello stesso. Il carattere di divieto trova espressione nell’istruzione legislativa data alle autorità amministrative nell’articolo 33c, paragrafo 3, dell’UWG: negare l’autorizzazione se la vendita presenta le caratteristiche meglio individuate in questa disposizione. L’autorizzazione va poi negata se la vendita non sia destinata a protrarsi per un periodo di tempo ininterrotto, se è prevista in certi periodi dell’anno (in corrispondenza di festività religiose come Pasqua, Pentecoste e Natale) o se il professionista non soddisfa il criterio di una durata minima dell’attività pari a tre anni ( 54 ). I criteri fissati da questa disposizione di legge non sono inclusi nell’elenco delle pratiche commerciali sleali di cui nell’allegato I della direttiva 2005/29, né si riallacciano al carattere concretamente ingannevole, aggressivo o altrimenti sleale di questa pratica commerciale, come si può evincere dalle spiegazioni del giudice del rinvio ( 55 ).

80.

La normativa in esame, se considerata oggettivamente, deve essere intesa come divieto generale di determinate pratiche commerciali, tanto più che il professionista può contare sul rilascio dell’autorizzazione solo in presenza di particolari circostanze. A loro volta tali circostanze sono, da un lato, definite in modo molto restrittivo («decesso del titolare») e, dall’altro, alla maniera di una clausola generale («catastrofe naturale», «casi altrettanto degni di essere presi in considerazione»), tanto che per il cittadino diventa probabilmente difficile capire quali siano le tipologie di casi in cui l’autorizzazione può essere concessa in via d’eccezione. In questo contesto, come ha più volte dichiarato la Corte, la necessità di garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione impone agli Stati membri non solo di conformare le proprie leggi a quest’ultimo, ma anche di farlo mediante disposizioni giuridiche atte a delineare una situazione sufficientemente precisa, chiara e trasparente da consentire ai singoli di conoscere pienamente i loro diritti e di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali ( 56 ). A questo proposito va inoltre ricordato che una maggiore certezza del diritto sia per i consumatori che per le imprese era uno degli scopi perseguiti con l’adozione della direttiva, come risulta dal dodicesimo considerando. Tali soggetti dovrebbero essere in grado di fare affidamento su un unico quadro normativo, basato su un approccio giuridico chiaramente definito che disciplini ogni aspetto delle pratiche commerciali sleali nell’Unione europea. In tal modo si dovrebbero eliminare le barriere commerciali derivanti dalla frammentazione delle disposizioni nazionali in materia di pratiche commerciali sleali. La normativa oggetto della controversia tuttavia, come spiega giustamente la Commissione ( 57 ), non tiene conto a sufficienza di tali scopi.

81.

La scarsa certezza giuridica produce effetti a scapito sì del consumatore, ma soprattutto del professionista. Se infatti l’autorità amministrativa nega l’autorizzazione richiesta in linea con questo principio di regola-eccezione, il professionista non può annunciare la vendita di liquidazione senza infrangere la legge e rischiare una sanzione pecuniaria. Dal suo punto di vista questa normativa rappresenta perciò un divieto generale di annunciare liquidazioni del tipo definito nell’articolo 33a, paragrafo 1, dell’UWG.

82.

Le considerazioni che precedono implicano che la norma dell’articolo 33c, paragrafo 3, dell’UWG comprende tipologie di fattispecie che vanno al di là di quelle che l’allegato I della direttiva 2005/29 qualifica come pratiche commerciali in ogni caso sleali. Considerando solo la sistematica legislativa dell’UWG, ciò si nota per esempio dal fatto che il legislatore austriaco ha sì incorporato nella legge l’elenco dell’allegato I quasi testualmente, ma allo stesso tempo ha anche mantenuto la norma preesistente dell’articolo 33c, paragrafo 3, dell’UWG. Oggi perciò le due normative esistono in parallelo senza che siano state contemperate sotto il profilo della tecnica normativa. Poiché ciò ha per effetto finale di ampliare unilateralmente l’elenco conclusivo delle casistiche di cui all’allegato I della direttiva 2005/29, tale normativa nazionale deve essere considerata in contrasto con i precetti della direttiva.

ii) Requisito della motivazione per l’annuncio di una vendita di liquidazione

83.

Va inoltre rilevato che l’UWG condiziona il rilascio dell’autorizzazione al soddisfacimento di determinati presupposti. Ai sensi dell’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG, un presupposto formale essenziale per la decisione dell’autorità amministrativa sulla richiesta consiste nell’indicazione dei «motivi» per cui si intende effettuare una vendita di liquidazione. La disposizione cita alcuni dei motivi che giustificano il rilascio di un’autorizzazione. Dalla sua formulazione («e simili») si può dedurre che l’elencazione contenuta non è esaustiva, cosicché le autorità amministrative, a quanto pare, godono di discrezionalità rispetto agli altri motivi sottoposti alla loro attenzione ( 58 ).

84.

Di per sé l’obbligo di indicare i motivi, come requisito formale, non solleva dubbi rispetto alla compatibilità con la direttiva 2005/29, tanto più che serve esclusivamente a segnalare in anticipo all’autorità amministrativa che è previsto l’annuncio di una vendita di liquidazione. Sotto questo aspetto rappresenta una necessità procedurale per far conoscere ex ante alle autorità la situazione di partenza e permettere loro di prendere una decisione di merito. In altri termini, serve a rendere possibile l’esame ex ante della pratica commerciale interessata da parte delle autorità.

85.

Dal punto di vista del diritto sostanziale, però, i «motivi» citati nella legge come esempi assumono rilievo, poiché rappresentano criteri sulla scorta dei quali le autorità possono giungere a una conclusione sul carattere eventualmente sleale di un annuncio. Se nel caso concreto questi «motivi» sussistono, l’autorizzazione deve essere concessa. Pur non avendo questi criteri un corrispondente esatto nelle pratiche di cui all’allegato I della direttiva, non è comunque da escludere che si possano classificare tra quelle citate nei punti 7 e 15 dell’allegato. È un aspetto da studiare in dettaglio.

– Annuncio della cessazione e del trasferimento dell’attività

86.

Secondo il punto 15 dell’allegato I della direttiva, «affermare che il professionista sta per cessare l’attività o traslocare, ove non stia per farlo» rappresenta una pratica commerciale da considerare in ogni caso sleale. L’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG traspone questa regola nell’ordinamento nazionale in modo tale che un richiedente possa motivare l’annuncio di una vendita di liquidazione, tra l’altro, con il fatto che prevede la cessazione o il trasferimento dell’azienda. Nell’esaminare la richiesta, l’autorità amministrativa avrebbe il potere di controllare il grado di veridicità di tale affermazione ed eventualmente, nel caso in cui non corrisponda ai fatti, di negare l’autorizzazione. L’esistenza di un potere di verifica sostanziale in capo all’autorità sembra tanto più indispensabile in quanto il legislatore austriaco ha ripreso quasi testualmente questa tipologia di casi nel punto 15 dell’allegato dell’UWG. In tali condizioni la regolare attuazione dei precetti della direttiva sembra essere garantita. Sotto questo aspetto, perciò, non vi sono dubbi riguardo alla compatibilità della normativa con la direttiva 2005/29.

– Altri motivi citati nell’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG

87.

In riferimento agli altri criteri citati nell’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG («decesso del titolare», «cessazione della vendita di un determinato tipo di merce», «catastrofe naturale e simili») va osservato che, dal punto di vista della tecnica normativa, si tratta qui di fattispecie eccezionali al cui ricorrere l’annuncio di una vendita di liquidazione è eccezionalmente consentito. Nel caso della normativa nazionale in oggetto, quindi, non si tratta semplicemente di articolare sotto il profilo procedurale una riserva di verifica amministrativa nel quadro di un controllo preventivo, bensì di un effettivo divieto generale e sostanziale al quale ci si può sottrarre solo in casi stabiliti con precisione. Tuttavia, come spiegato in modo esauriente nelle conclusioni da me presentate nelle cause C-261/07 (VTB-VAB) e C-299/07 (Galatea) ( 59 ) nonché nella causa C-540/08 (Mediaprint) ( 60 ), una creazione legislativa in cui una data pratica commerciale è vietata in linea di principio e permessa solo in casi eccezionali è in contrasto sia con la struttura normativa che con l’orientamento liberista della direttiva 2005/29. Ciò è stato confermato anche dalla Corte nelle sentenze pronunciate in materia ( 61 ).

88.

A differenza della normativa nazionale in esame, infatti, la direttiva presume la lealtà di una pratica commerciale a meno che non sussistano i presupposti specificamente previsti per vietarla. Questa differenza essenziale nella struttura normativa ( 62 ) non è compensata, per esempio, dal fatto che l’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG preveda una serie di fattispecie eccezionali tipizzate, eventualmente addirittura ampliabili attraverso la prassi amministrativa. Tanto più che le fattispecie che fanno eccezione a divieti di principio, come quelle in esame, non sono adatte a coprire tutte le tipologie di casi in cui, a norma della direttiva 2005/29, una pratica commerciale ammissibile deve essere accettata, in quanto non permettono una valutazione caso per caso da parte dei giudici e delle autorità nazionali competenti.

89.

L’impostazione liberista espressa nella direttiva rispecchia uno specifico orientamento di politica legislativa volto a garantire la realizzazione dell’obiettivo del legislatore dell’Unione, sancito nel quarto e nel quinto considerando nonché nell’articolo 1 della direttiva: rimuovere, attraverso norme uniformi a livello comunitario, gli ostacoli alla circolazione transfrontaliera di servizi e di merci o alla libertà di stabilimento che risultano dalla molteplicità delle norme nazionali in materia di pratiche commerciali sleali, e ciò nella misura necessaria ad un corretto funzionamento del mercato interno e al raggiungimento di un livello elevato di tutela dei consumatori.

90.

Sulla scorta di tutto ciò, occorre rilevare che la norma dell’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG travalica i precetti della direttiva 2005/29 nella misura in cui stabilisce criteri che possono colpire tra l’altro anche gli annunci di vendite di liquidazione probabilmente non qualificabili come pratiche commerciali sleali.

d) Conclusione intermedia

91.

Una normativa nazionale come quella oggetto della controversia, che istituisce un divieto di principio per gli annunci di vendite di liquidazione e li condiziona in via esclusiva al verificarsi di determinate fattispecie eccezionali, senza prevedere la possibilità di tenere conto a sufficienza di tutte le circostanze del caso concreto, è per sua natura più restrittiva e severa delle norme della direttiva 2005/29.

92.

Occorre a tal proposito rilevare che le norme dettate dagli articoli 33a e segg. dell’UWG riguardano un settore soggetto ad armonizzazione completa e al quale non si applicano le disposizioni transitorie di cui all’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva.

93.

Nessuna delle eccezioni espressamente disciplinate dalla direttiva 2005/29 è pertinente. Per esempio, né il governo austriaco né lo Schutzverband hanno dimostrato in modo convincente che la normativa nazionale oggetto della controversia è da classificare in uno dei settori di cui al nono considerando della direttiva («condizioni di stabilimento» e «regimi di autorizzazione»). In ogni caso, dal punto di vista della metodica giuridica, non si può attribuire a questo considerando alcun significato giuridico diverso da quello dell’articolo 3, paragrafo 8, tanto più che quest’ultima norma ne riprende i contenuti essenziali nel dispositivo della direttiva e fa così intendere più chiaramente la reale intenzione normativa del legislatore. È stato già rilevato che questa norma eccezionale non trova applicazione nella causa principale ( 63 ). Diversamente da quanto avanzato dal governo austriaco nell’udienza, uno Stato membro non può richiamarsi neanche in modo generico alla fattispecie di divieto di cui al punto 4 dell’allegato I della direttiva per subordinare le pratiche commerciali in genere alla riserva di un’autorizzazione amministrativa, come avviene nella causa principale. Sono le normative nazionali che devono piuttosto soddisfare continuamente e pienamente le prescrizioni della direttiva. A prescindere da ciò, va ricordato che la fattispecie di divieto citata include altri casi oltre a quelli presunti dal governo austriaco, ossia quei procedimenti con i quali un organo privato o pubblico riconosce la qualità di un professionista (per esempio serietà o abilitazione a esercitare) o dei suoi prodotti (per esempio marchi di qualità, attestati di regolarità fiscale). A livello di finalità normativa, questa fattispecie di divieto punta a tutelare il consumatore da affermazioni del professionista contrarie alla realtà, e perciò fuorvianti, secondo cui lui o il prodotto offerto avrebbero ricevuto un riconoscimento del genere ( 64 ). Nelle osservazioni orali il governo austriaco non ha dimostrato che il procedimento autorizzativo a norma dell’UWG persegue questa finalità.

94.

In conclusione, perciò, la normativa austriaca sugli annunci di vendite di liquidazione di cui agli articoli 33a e segg. dell’UWG, nella sua concreta articolazione di divieto generale con riserva di autorizzazione, finisce per ampliare l’elenco conclusivo delle pratiche commerciali vietate di cui all’allegato I della direttiva, cosa che però è appunto preclusa agli Stati membri data l’armonizzazione completa e massima prodottasi con la direttiva 2005/29. Gli ampliamenti unilaterali dell’elenco da parte degli Stati membri sono vietati in quanto, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, questo può essere modificato solo mediante revisione della direttiva stessa.

95.

Considerato quanto precede, giungo alla conclusione che una normativa nazionale come quella in esame non soddisfa i precetti di diritto sostanziale della direttiva 2005/29 ( 65 ).

4. Conclusioni riassuntive

96.

Dall’analisi che precede risulta che la direttiva 2005/29 non osta a una normativa nazionale come quella in esame, che conferisce alle autorità amministrative la competenza di valutare le pratiche commerciali – nel caso specifico: l’annuncio di vendite di liquidazione – sotto l’aspetto della lealtà ( 66 ).

97.

Tanto meno la direttiva osta a una normativa secondo cui il professionista è tenuto a ottenere un’autorizzazione amministrativa prima di esercitare determinate pratiche commerciali associate al sospetto di slealtà. Questa creazione procedurale deve però essere giustificata da circostanze particolari. Deve servire allo scopo di consentire alle autorità amministrative un controllo preventivo in situazioni in cui sono da prevedere turbative alla lealtà della concorrenza difficili da interrompere ex post ( 67 ).

98.

In linea di principio la direttiva non osta a normative nazionali che sanzionino la violazione dell’obbligo legislativo di autorizzazione ( 68 ).

99.

Secondo la direttiva gli Stati membri possono anche, in linea di principio, riservare alle autorità e ai giudici competenti il compito di verificare unicamente l’osservanza dell’obbligo di autorizzazione, senza alcuna valutazione del carattere leale della pratica commerciale interessata ( 69 ). Ciò tuttavia non deve indurre a vietare definitivamente al professionista l’esercizio di una pratica commerciale di per sé leale. Va invece sempre data al professionista la possibilità di ottenere dalle autorità e dai giudici competenti una decisione di merito ai sensi dell’allegato I e dei criteri sanciti dagli articoli 5-9 della direttiva ( 70 ). Accertare se le norme procedurali interne prevedano sufficienti garanzie in tal senso è compito del giudice del rinvio, che ha conoscenza diretta delle circostanze locali e competenza esclusiva in materia di interpretazione del diritto nazionale ( 71 ). Per tener conto dei precetti della direttiva occorre garantire che il carattere leale della pratica commerciale interessata possa essere valutato sia nel corso del procedimento stesso che in seguito.

100.

La direttiva 2005/29 osta, invece, a norme interne di diritto sostanziale come quelle esaminate, che vietano in linea generale gli annunci di vendite di liquidazione e li consentono solo in determinati casi eccezionali ( 72 ).

VII – Conclusione

101.

Considerate le osservazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione sollevata dall’Oberster Gerichtshof come segue:

L’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio nonché il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») non ostano in linea di principio a una normativa nazionale di ordine procedurale come quella oggetto della causa principale, ai sensi della quale l’annuncio di una vendita di liquidazione non autorizzato dall’autorità amministrativa competente è illegittimo e deve pertanto essere vietato nell’ambito di un procedimento giurisdizionale, senza che il giudice debba in altro modo verificare, in tale procedimento, il carattere ingannevole, aggressivo o altrimenti sleale di tale pratica commerciale, purché sia garantito che una pratica commerciale di per sé leale non rimanga vietata in via definitiva. Al professionista deve essere offerta la possibilità di ottenere, in via giudiziaria o amministrativa, una valutazione caso per caso del carattere leale della pratica commerciale interessata.

L’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2005/29 ostano a una normativa nazionale di ordine sostanziale come quella oggetto della causa principale, che istituisce un divieto di principio per gli annunci di vendite di liquidazione e li condiziona in via esclusiva al verificarsi di determinate fattispecie eccezionali, senza prevedere la possibilità di tenere conto a sufficienza di tutte le circostanze del caso concreto.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22).

( 3 ) BGBl. I, n. 79/2007.

( 4 ) BGBl. I, n. 448/1984.

( 5 ) V., sullo stato di attuazione nei singoli Stati membri, Henning-Bodewig, F., «Die Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs in den EU-Mitgliedstaaten: eine Bestandsaufnahme», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht – Internationaler Teil, 2010, pagg. 273 e seg.

( 6 ) Il ravvicinamento delle norme sulla concorrenza sleale attraverso le direttive contribuisce a conseguire lo scopo dell’istituzione del mercato interno garantendo un livello elevato di tutela dei consumatori. Un vantaggio di questo metodo consiste nel fatto che con esso non entrano più in conflitto le libertà fondamentali in questione e le misure nazionali a tutela dei consumatori, in quanto il legislatore dell’Unione ha già contemperato entrambi gli interessi (v. solo sulla problematica delle modalità di vendita nel settore della normativa sugli scambi di merci Picod, F., «La jurisprudence Keck et Mithouard, a-t-elle un avenir», L’entrave dans le droit du marché intérieur, Bruxelles, 2011, pag. 47).

( 7 ) Sentenza del 23 aprile 2009, VTB-VAB e Galatea (C-261/07 e C-299/07, Racc. pag. I-2949).

( 8 ) Sentenza del 14 gennaio 2010, Plus Warenhandelsgesellschaft (C-304/08, Racc. pag. I-217).

( 9 ) Sentenza dell’11 marzo 2010, Telekomunikacja Polska (C-522/08, Racc. pag. I-2079).

( 10 ) Sentenza del 9 novembre 2010, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag (C-540/08, Racc. pag. I-10909; in prosieguo: «sentenza Mediaprint»). V., in relazione all’obbligo degli Stati membri di trasposizione corretta, Griller, S., «Direktwirkung und richtlinienkonforme Auslegung», 10 Jahre Anwendung des Gemeinschaftsrechts in Österreich, Vienna/Graz, 2006, pag. 91, che si occupa diffusamente dell’effetto delle direttive all’interno dell’ordinamento giuridico austriaco.

( 11 ) Sentenza del 12 maggio 2011, Ving Sverige (C-122/10, Racc. pag. I-3903).

( 12 ) Per una panoramica della giurisprudenza v. Namysłowska, M., «Trifft die Schwarze Liste der unlauteren Geschäftspraktiken ins Schwarze? Bewertung im Lichte der EuGH-Rechtsprechung», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht – Internationaler Teil, 2010, pag. 1033.

( 13 ) V., ex multis, sentenze del 15 luglio 1964, Costa (6/64, Racc. pag. 1251, in particolare pag. 1268); del 29 novembre 2001, De Coster (C-17/00, Racc. pag. I-9445, punto 23), e del 16 gennaio 2003, Pansard e a. (C-265/01, Racc. pag. I-683, punto 18).

( 14 ) Bernitz, U., «The unfair commercial practices directive: its scope, ambitions and relation to the law of unfair competition», The regulation of unfair commercial practices under EC Directive 2005/29 – New rules and techniques (a cura di Stephen Weatherill/Ulf Bernitz), parte dal presupposto che sarà necessario un considerevole numero di domande di pronuncia pregiudiziale per assicurare che la direttiva 2005/29 sia trasposta correttamente negli Stati membri. L’autore è dell’avviso che questo processo potrebbe comportare anche la presentazione di ricorsi per inadempimento da parte della Commissione contro gli Stati membri che cercano di preservare specifiche disposizioni nazionali contrarie alla direttiva.

( 15 ) Secondo Zimmermann, R., «The present state of European private law», American Journal of comparative law, 2009, pag. 479, la transizione da un’armonizzazione minima ad un’armonizzazione completa in alcuni settori del diritto dell’Unione comporterà difficoltà agli Stati membri. Basedow, J., «Der Europäische Gerichtshof und das Privatrecht», Archiv für die civilistische Praxis, 2010, pag. 190, ritiene che questa transizione comporterà un numero elevato di procedimenti pregiudiziali dinanzi alla Corte di giustizia. Sembra che questa previsione si stia avverando gradualmente nel contesto della direttiva 2005/29.

( 16 ) Come Micklitz, H.-W., «Full Harmonisation of Unfair Commercial Practices under Directive 2005/29», International review of intellectual property and competition law, Volume 40 (2009), punto 4, pag. 371, ha correttamente affermato, gli Stati membri nell’adottare la direttiva 2005/29 non erano del tutto consci della notevole influenza sulla propria normativa nazionale che avrebbe avuto l’approccio finalizzato ad un’armonizzazione completa.

( 17 ) Sentenza Mediaprint, cit. supra alla nota 10 (punto 38).

( 18 ) V. sentenze VTB-VAB e Galatea, cit. supra alla nota 7 (punto 50); Plus Warenhandelsgesellschaft, cit. supra alla nota 8 (punto 36), e Mediaprint, cit. supra alla nota 10 (punto 17), nonché ordinanza del 30 giugno 2011, Wamo (C-288/10, Racc. pag. I-5835, punto 30).

( 19 ) Sentenza Mediaprint, cit. supra alla nota 10 (punti 21-24).

( 20 ) V. ordinanza Wamo, cit. supra alla nota 18 (punto 28).

( 21 ) V. pag. 7 della decisione di rinvio.

( 22 ) V. punti 7 e 8 della memoria del governo austriaco.

( 23 ) V. punto 6 della memoria dello Schutzverband.

( 24 ) V. sentenze del Verwaltungsgerichtshof del 25 febbraio 1993 (riferimento: 93/04/0011) e del 14 aprile 1999 (riferimento: 98/04/0159, numero della raccolta: 15123 A/1999); sentenza dell’Oberster Gerichtshof del 25 marzo 2003 (riferimento: 4 Ob 48/03t).

( 25 ) V. Duursma, D., in UWG – Kommentar (a cura di Maximilian Gumpoldsberger/Peter Baumann), Vienna, 2006, § 33a, punto 1, pag. 1185, Wiltschek, L., UWG – Kommentar, 2a edizione, Vienna, 2007, § 33a-f, punto 1, pag. 1034, e Feik, R., Öffentliches Wirtschaftsrecht (a cura di Michael Holoubek/Michael Potacs), Vienna, 2002, pag. 177.

( 26 ) V. Holzmayr-Schrenk, T., Die Richtlinie über unlautere Geschäftspraktiken, Monaco, 2010, pag. 68, secondo cui sebbene la direttiva 2005/29 miri ad una armonizzazione completa, non prescrive un determinato regime nel campo della lotta alle pratiche commerciali sleali. Stolze, C., Harmonisierung des Lauterkeitsrechts in der EU – Unter besonderer Berücksichtigung der Sanktionssysteme, Amburgo, 2010, pag. 159, sottolinea gli articoli 11 e 12 della direttiva 2005/29, da cui risulta che gli Stati membri sono liberi di organizzare la protezione dalle pratiche commerciali sleali secondo il diritto amministrativo o civile. Alexander, C., «Die Sanktions- und Verfahrensvorschriften der Richtline 2005/29/EG über unlautere Geschäftspraktiken im Binnenmarkt – Umsetzungsbedarf in Deutschland?», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht – Internationaler Teil, 2005, pag. 810, evidenzia che il diritto dell’Unione sinora ha solamente unificato puntualmente le norme relative alle sanzioni e alla procedura degli Stati membri, omettendo di prescrivere un determinato sistema per combattere le pratiche commerciali sleali. La direttiva 2005/29 non modificherebbe nulla in merito all’accettazione, da parte del diritto dell’Unione, di diversi sistemi legislativi. Continua ad essere lasciata al legislatore nazionale la scelta fra la via amministrativa, penale o civile per contrastare le pratiche commerciali sleali. Ciatti, A., «La tutela amministrativa e giurisdizionale», Le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori (a cura di Giovanni De Cristofaro), Torino, 2007, pag. 267, spiega che mentre la direttiva 2005/29 presenta un elevato grado di precisione e dettaglio con riferimento ai requisiti di diritto sostanziale richiesti agli strumenti nazionali di trasposizione, ciò non si verifica per i meccanismi attuativi e sanzionatori, tanto più che al legislatore nazionale è concessa un’ampia libertà organizzativa.

( 27 ) V. punto 3 della decisione di rinvio pregiudiziale.

( 28 ) V. conclusioni presentate il 14 febbraio 2012 nella causa Banco Español de Crédito (sentenza del 14 giugno 2012, C-618/10, paragrafo 105).

( 29 ) V. Stolze, C., op. cit. alla nota 26, pag. 158, secondo cui la formulazione versatile della direttiva 2005/29 lascia agli Stati membri ampie possibilità organizzative nella trasposizione delle disposizioni di attuazione di cui agli articoli 11 e seg. Analogamente anche Koch, E., Die Richtlinie gegen unlautere Geschäftspraktiken – Aggressives Geschäftsgebaren in Deutschland und England und die Auswirkungen der Richtlinie, Amburgo, 2006, pag. 55. V. Henning-Bodewig, F., «Die Richtlinie 2005/29/EG über unlautere Geschäftspraktiken», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht – Internationaler Teil, 2005, pag. 633, che evidenzia che la direttiva 2005/29 ripete sostanzialmente la disciplina di cui alla direttiva 84/450/CEE. Come è noto, quest’ultima lascia un ampio margine discrezionale per tutte le tipologie di sistemi di diritto civile, penale e amministrativo, nella misura in cui questi combattano solo la concorrenza sleale con modalità adeguate ed effettive. Mediante la direttiva non si consegue una più ampia armonizzazione fra i sistemi estremamente diversi proprio nel campo legislativo. De Cristofaro, G., «Die zivilrechtlichen Folgen des Verstoßes gegen das Verbot unlauterer Geschäftspraktiken: eine vergleichende Analyse der Lösungen der EU-Mitgliedstaaten», Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht – Internationaler Teil, 2010, pag. 1023, critica le diverse normative che sono state adottate sulla base dell’articolo 11 della direttiva 2005/29 e ne deduce che l’ambizioso tentativo di un’armonizzazione completa degli ordinamenti giuridici degli Stati membri è fallito per quanto riguarda le pratiche commerciali sleali.

( 30 ) Gli articoli 11 e 12 della direttiva 2005/29 sono identici agli articoli 4-6 della direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, sulla pubblicità ingannevole (GU L 250, pag. 17). L’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 presenta a sua volta una certa analogia con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), in base al quale «[g]li Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». V., a questo proposito, le mie osservazioni nelle conclusioni presentate il 6 dicembre 2011 nella causa Invitel (sentenza del 26 aprile 2012, C-472/10, paragrafo 38).

( 31 ) V., sul significato dell’azione rappresentativa nel campo del diritto della tutela del consumatore, le mie conclusioni nella causa Invitel, cit. supra alla nota 30 (paragrafi 36 e seg.).

( 32 ) V. Massaguer, J., El nuevo derecho contra la competencia desleal – La Directiva 2005/29/CE sobre las Prácticas Comerciales Desleales, Madrid, 2006, pag. 144.

( 33 ) V. le conclusioni da me presentate nella causa Banco Español de Crédito, cit. supra alla nota 28 (paragrafo 105). V. Stuyck, J., «Enforcement of consumer rights and legal redress for consumers in the EU: An institutional model», New frontiers of consumer protection (a cura di Fabrizio Cafaggi/H.-W. Micklitz), Oxford, 2009, pagg. 72 e seg., che richiama l’attenzione, da una parte, sulla competenza degli Stati membri di articolare liberamente le possibilità di attuazione dei diritti a livello nazionale, dall’altra, sulla circostanza che la direttiva 2005/29 impone agli Stati membri determinati requisiti minimi derivanti dal diritto dell’Unione che essi sono tassativamente tenuti ad osservare.

( 34 ) V. punto 18 della memoria del governo austriaco.

( 35 ) V. paragrafo 49 delle presenti conclusioni.

( 36 ) V. le conclusioni da me presentate nelle cause VTB VAB e Galatea (sentenza cit. alla nota 7, paragrafo 81) e Mediaprint (sentenza cit. alla nota 10, paragrafo 74).

( 37 ) Sentenza Mediaprint, cit. supra alla nota 10 (punto 43).

( 38 ) Se non si vuole imputare al legislatore europeo un inutile doppione normativo, si può considerare che l’articolo 13 della direttiva 2005/29 sia una norma specifica sulle conseguenze giuridiche (sanzioni) previste dall’ordinamento interno in caso di violazione del principio di lealtà e che l’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, della direttiva faccia invece riferimento agli aspetti esecutivi e procedurali. La netta distinzione tra i due ambiti, pur non essendo mantenuta nell’intero testo della direttiva, riveste comunque un’importanza limitata ai fini della sua trasposizione negli ordinamenti nazionali. V. in questo senso Alexander, C., op. cit. alla nota 26, pag. 811.

( 39 ) V. paragrafo 53 delle presenti conclusioni.

( 40 ) V. paragrafo 46 delle presenti conclusioni.

( 41 ) Come si evince dall’articolo 34, paragrafo 3, dell’UWG, il diritto di richiedere un provvedimento inibitorio può essere fatto valere solo dinanzi al giudice ordinario, ossia il giudice civile. Per tale diritto, ai sensi di tale norma, la colpa è tanto poco rilevante quanto l’intenzione di conseguire un vantaggio, mediante l’inosservanza della normativa, nei confronti dei concorrenti che la rispettano. Lo stesso vale per il diritto di richiedere la rimozione degli effetti dell’illecito ex articolo 15 dell’UWG. Inoltre, anche in caso di violazione delle norme amministrative della sezione II, di cui fanno parte le disposizioni oggetto della controversia, entra in gioco la tutela cautelare ex articolo 24 dell’UWG (v. Duursma, D., in UWG – Kommentar, op. cit. alla nota 25, § 34, punto 4, pag. 1203).

( 42 ) V. paragrafo 53 delle presenti conclusioni.

( 43 ) V. paragrafo 55 delle presenti conclusioni.

( 44 ) La procedura civile degli Stati membri non è affatto sottratta ai precetti del diritto dell’Unione. Soprattutto non può rendere praticamente impossibile o bloccare l’esercizio delle posizioni giuridiche conferite dalla normativa dell’Unione. Deve prevedere mezzi di impugnazione che consentano di dare a tale normativa efficace esecuzione (v. Hess, B., Europäisches Zivilprozessrecht, Heidelberg, 2010, § 11, pag. 621, punto 7). Per quanto attiene alla problematica in esame, lo scopo della direttiva 2005/29 sarebbe vanificato se si consentisse che una pratica commerciale di per sé leale fosse definitivamente vietata per il solo motivo che non è stato rispettato un requisito procedurale (in questo caso: l’obbligo di autorizzazione). Nel porre in essere le procedure occorre conciliare l’interesse del legislatore nazionale (in questo caso, la segnalazione tempestiva alle autorità delle pratiche commerciali potenzialmente sleali) con l’interesse del legislatore dell’Unione a vietare solo le pratiche commerciali effettivamente sleali. Per garantire che una posizione giuridica (in questo caso: il libero esercizio di una pratica commerciale leale) non sia irrimediabilmente compromessa, il legislatore nazionale deve mettere a disposizione i necessari mezzi di impugnazione.

( 45 ) Rientrano in quest’ambito, tra gli altri, gli articoli tipicamente usati in occasioni tradizionali come Natale, Capodanno, Carnevale e Pasqua (per esempio decorazioni, costumi, certi alimenti e prelibatezze, fuochi d’artificio).

( 46 ) V. Duursma, D., in UWG – Kommentar, op. cit. alla nota 25, § 33a, punto 11, pag. 1189, e Wiltschek, L., UWG – Kommentar, op. cit. alla nota 25, § 33a-f, punto 59, pag. 1039.

( 47 ) V. sentenze dell’Oberster Gerichtshof del 16 giugno 1987 (riferimento: 4 Ob 342/87) e del 29 giugno 1993 (riferimento: 4 Ob 54/93); sentenza del Verwaltungsgerichtshof del 16 dicembre 1998 (riferimento: 97/04/0090).

( 48 ) V. sentenza dell’Oberster Gerichtshof del 29 giugno 1993 (riferimento: 4 Ob 54/93), in cui si è giudicata ammissibile la vendita di tappeti orientali nel quadro di una vendita di fine stagione sebbene questo tipo di merce non facesse parte dei tipici articoli stagionali.

( 49 ) L’esempio dei precetti procedurali contenuti nella direttiva 2005/29 ai fini della sua trasposizione nei singoli Stati membri illustra chiaramente lo stretto collegamento esistente tra i livelli normativi sovranazionale e nazionale. Il legislatore della direttiva si limita a stabilire norme generiche e requisiti minimi e per il resto rimette al legislatore nazionale l’articolazione più dettagliata degli strumenti di esecuzione. Entrambi i livelli normativi fanno parte di un «sistema a due livelli» intrecciati tra loro, come descritto in Grundmann, S., «Systemdenken und Systembildung», in Europäische Methodenlehre (a cura di Karl Riesenhuber), 2a edizione, Berlino, 2010, § 10, punto 2, pag. 287.

( 50 ) V. punto 5 della decisione di rinvio.

( 51 ) V. punto 6 della decisione di rinvio.

( 52 ) V. punto 2 della memoria del governo austriaco.

( 53 ) V. punti 4 e seg. della memoria dello Schutzverband.

( 54 ) V. Seidelberg, H., «Überblick über das aktuelle Ausverkaufsrecht», Recht und Wettbewerb, n. 162, 2003, pag. 2, il quale, a proposito di questa normativa, già esistente prima della trasposizione della direttiva 2005/29 nell’ordinamento austriaco, afferma che gli annunci di vendite di liquidazione sono soggetti a «periodi di interdizione fissati per legge». Tale definizione è palesemente fondata sull’idea che la normativa in questione istituisca un divieto di principio.

( 55 ) V. punto 5 della decisione di rinvio.

( 56 ) V. in tal senso, con riferimento alle direttive, sentenze del 28 febbraio 1991, Commissione/Italia (C-360/87, Racc. pag. I-791, punto 12), e del 15 giugno 1995, Commissione/Lussemburgo (C-220/94, Racc. pag. I-1589, punto 10); v. altresì sentenze del 18 gennaio 2001, Commissione/Italia (C-162/99, Racc. pag. I-541, punti 22-25), e del 6 marzo 2003, Commissione/Lussemburgo (C-478/01, Racc. pag. I-2351, punto 20). In dettaglio sui presupposti di una corretta trasposizione delle direttive negli ordinamenti nazionali, v. Schweitzer, M./Hummer, W./Obwexer, W., Europarecht, Vienna, 2007, pag. 73, punto 268.

( 57 ) V. punto 45 della memoria della Commissione.

( 58 ) V. Duursma, D., in UWG – Kommentar, op. cit. alla nota 25, § 33b, punto 3, pag. 1191. L’autore sottolinea che, oltre ai motivi di autorizzazione espressamente citati, vengono in rilievo come circostanze che motivano l’autorizzazione solo circostanze analoghe alle fattispecie citate nell’articolo 33b, paragrafo 4, dell’UWG, che quindi mettono il richiedente in una situazione concorrenziale particolare e divergente da quella dei concorrenti. Per contro le circostanze che interessano tutti i collaboratori [N.d.T: nella versione spagnola, «concorrenti»] del richiedente allo stesso modo, anche se si tratta di eventi che portano in sé il marchio della «forza maggiore», non hanno il potere di giustificare l’autorizzazione dell’annuncio di vendita per il singolo richiedente.

( 59 ) V. le conclusioni da me presentate il 21 ottobre 2008 nelle cause VTB-VAB e Galatea (sentenza cit. alla nota 7, paragrafi 84-89).

( 60 ) V. le conclusioni da me presentate nella causa Mediaprint (sentenza cit. alla nota 10, paragrafo 76).

( 61 ) V. sentenze VTB-VAB, cit. supra alla nota 7 (punti 64 e 65), e Mediaprint, cit. supra alla nota 10 (punti 39 e 40).

( 62 ) V. Wiebe, A., «Umsetzung der Geschäftspraktikenrichtlinie und Perspektiven für eine UWG- Reform», Juristische Blätter, 2/2007, pag. 79, il quale giunge alla conclusione che la direttiva 2005/29 presenta una struttura sistemica diversa rispetto all’UWG attualmente in vigore. A suo parere, in sede di trasposizione il legislatore austriaco non può ignorare tale diversità strutturale. L’autore propone che siano affrontati il lavoro di trasposizione e i molteplici problemi posti al legislatore dalla ristrettezza del campo di applicazione, dal contenuto e dalla struttura della direttiva. Secondo l’autore ciò non si può fare con qualche integrazione ma richiede una riforma strutturale di ampio respiro. La spinta liberalizzatrice che emana dal livello europeo, e che è già stata ripresa dall’Oberster Gerichtshof, può essere sfruttata dal legislatore per una riforma più ampia, il cui risultato non solo soddisfi le esigenze di certezza del diritto e trasparenza, ma presenti anche una tenuta a lungo termine.

( 63 ) V. paragrafo 41 delle presenti conclusioni.

( 64 ) V. Büllesbach, E., Auslegung der irreführenden Geschäftspraktiken des Anhangs I der Richtlinie 2005/29/EG über unlautere Geschäftspraktiken, Monaco, 2008, pagg. 53 e seg.

( 65 ) V. Schuhmacher, W., «Das Ende der österreichischen per-se-Verbote von Geschäftspraktiken gegenüber Verbrauchern», Wirtschaftsrechtliche Blätter, 2010, n. 12, pagg. 615 e seg., il quale è dell’opinione che le disposizioni degli articoli 33a e segg. dell’UWG configurino un divieto di per sé dai confini molto ampi per gli annunci ai quali si riferiscono. Poiché l’articolo 33b dell’UWG, in mancanza di previa autorizzazione, vieta anche un annuncio pubblico veritiero di un’effettiva vendita di liquidazione, a suo parere la norma va al di là di quanto disposto in materia dall’allegato dell’UWG e risulta pertanto inapplicabile. L’autore giunge alla conclusione che ciò fa cadere anche l’obbligo di autorizzazione nel suo complesso.

( 66 ) V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.

( 67 ) Ibid., paragrafo 51.

( 68 ) Ibid., paragrafo 55.

( 69 ) Ibid., paragrafi 53 e 61.

( 70 ) Ibid., paragrafi 53 e seg. e 63 e seg.

( 71 ) Ibid., paragrafo 68.

( 72 ) Ibid., paragrafo 95.