CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 28 giugno 2012 ( 1 )

Causa C-124/11

Bundesrepublik Deutschland

contro

Karen Dittrich

Causa C-125/11

Bundesrepublik Deutschland

contro

Robert Klinke

Causa C-143/11

Jörg-Detlef Müller

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Bundesverwaltungsgericht (Germania)]

«Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Normativa nazionale che attribuisce ai dipendenti pubblici un sussidio in caso di malattia — Familiari che possono beneficiare del sussidio — Esclusione delle unioni civili registrate — Ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE — Nozione di “retribuzione”»

1. 

Nel contesto di tre procedimenti giurisdizionali volti a chiarire se i partner di un’unione civile registrata abbiano diritto a fruire di una prestazione che l’ordinamento tedesco garantisce alle coppie sposate, il Bundesverwaltungsgericht chiede alla Corte di giustizia se tale pretesa possa fondarsi sul principio della parità di trattamento imposto dal diritto dell’Unione nell’ambito delle condizioni di lavoro e dell’occupazione.

2. 

Con tale occasione si offre alla Corte di giustizia la possibilità di delineare la sua giurisprudenza sull’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000 ( 2 ), che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. In questo caso si tratta di stabilire se la direttiva si applichi ai sussidi per malattia previsti per i dipendenti pubblici.

3. 

Per tale ragione si dovrà esaminare se detti sussidi costituiscano una retribuzione ai sensi della direttiva 2000/78, la cui applicabilità ai casi controversi dipende – come emerge da un’interpretazione congiunta del suo tredicesimo considerando e dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) – dall’eventuale assimilazione del sussidio in parola ad una «retribuzione» nell’accezione data a tale nozione dall’articolo 141 del Trattato CE (divenuto articolo 157 TFUE). A tale proposito sarà necessario approfondire i criteri utilizzati dalla Corte di giustizia nelle sentenze pronunciate in materia, circoscritte finora al caso delle pensioni di vecchiaia, per poi determinare la portata dell’inapplicabilità della direttiva 2000/78, alla luce del suo articolo 3, paragrafo 3, ai pagamenti effettuati dai regimi pubblici o assimilati.

I – Ambito normativo

A – Diritto dell’Unione

4.

Il tredicesimo considerando della direttiva 2000/78 così recita:

«La presente direttiva non si applica ai regimi di sicurezza sociale e di protezione sociale le cui prestazioni non sono assimilate ad una retribuzione, nell’accezione data a tale termine ai fini dell’applicazione dell’artico 141 del trattato CE, e nemmeno ai pagamenti di qualsiasi genere effettuati dallo Stato allo scopo di dare accesso al lavoro o di salvaguardare posti di lavoro».

5.

L’articolo 1 della direttiva 2000/78 illustra la finalità della stessa nei termini seguenti:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

6.

Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2000/78:

«1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(…)».

7.

Il campo di applicazione della direttiva 2000/78 viene stabilito nel suo articolo 3:

«1.   Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

c)

all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

(…)

3.   La presente direttiva non si applica ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale.

(…)».

B – Diritto nazionale

1. Normativa sulle unioni civili

8.

La Gesetz über die Eingetragene Lebenspartnerschaft (legge sulle unioni civili registrate; in prosieguo: l’«LPartG»), del 16 febbraio 2001 ( 3 ), nella versione modificata dall’articolo 7 della legge 6 luglio 2009 ( 4 ), all’articolo 1, paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Due persone dello stesso sesso costituiscono un’unione civile quando dichiarano dinanzi ad un pubblico ufficiale dello stato civile, personalmente e in presenza l’una dell’altra, che intendono realizzare insieme un’unione stabile. Le dichiarazioni prestate non possono essere assoggettate a condizioni o termini».

9.

A norma dell’articolo 5 della LPartG, i partner di un’unione civile «sono reciprocamente obbligati a contribuire in modo adeguato ai bisogni della comunità partenariale (…)».

2. La normativa sui sussidi per i dipendenti pubblici

10.

La Bundesbeamtengesetz (legge sui dipendenti pubblici federali; in prosieguo: la «BBG») stabilisce il diritto dei pubblici dipendenti federali a ricevere un sussidio in caso di malattia. Ai sensi dell’articolo 80 della BBG, tale sussidio si estende, in determinate circostanze, al coniuge di tale dipendente nonché ai figli a carico.

11.

La disciplina applicabile fino al 14 febbraio 2009 conferiva il diritto al sussidio al coniuge e ai figli a carico di un pubblico dipendente federale, ma senza estenderlo alla persona con cui il funzionario stabilisse un’unione civile registrata. Non si trattava, in nessun caso, di un sussidio incondizionato, poiché, nel caso del coniuge, quest’ultimo poteva ottenerlo solo se i suoi redditi fossero inferiori ad EUR 18 000 o qualora, pur usufruendo di un’assicurazione malattia, non avesse accesso alle prestazioni dell’assicurazione, o se tali prestazioni fossero state sospese a tempo indeterminato, a causa di un’esclusione individuale dovuta a disabilità congenite o a determinate malattie. Sussisteva pertanto un diritto al sussidio in caso di dipendenza economica del coniuge di un beneficiario, dovuta ad un reddito troppo basso o ad una copertura assicurativa che si rivelasse incolpevolmente inadeguata.

12.

Sulla base del mandato contenuto nell’articolo 80, paragrafo 4, del BBG, il Ministro federale degli Interni ha promulgato il Bundesbeihilfeverordnung (regolamento in materia di sussidi federali; in prosieguo: il «BBhV»), del 13 febbraio 2009 ( 5 ), che, per quanto qui interessa, mantiene il regime anteriore, escludendo i membri delle unioni civili registrate dai beneficiari del sussidio per malattia.

13.

In epoca successiva a quella dei fatti in discussione, ma senza avere rilevanza per la soluzione delle cause principali, è stata operata una riforma legislativa, in virtù della quale i membri delle unioni civili registrate sono stati inclusi tra i beneficiari del sussidio controverso ( 6 ).

II – Fatti

14.

I ricorrenti a quo, pubblici dipendenti federali, hanno costituito unioni civili registrate con partner che dipendono economicamente da loro.

15.

I ricorrenti nelle cause C-124/11 e C-125/11, avendo reclamato il sussidio per malattia e ricevuto una prima risposta negativa da parte dell’amministrazione, ottenevano un riconoscimento dei loro diritti da parte del Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo) di Berlino, il quale ha ritenuto che, sebbene i partner delle unioni civili registrate non rientrino tra i beneficiari dei sussidi, essi ne abbiano tuttavia diritto in base alla direttiva 2000/78, in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, tali sussidi costituiscono una «retribuzione», ai sensi della direttiva, poiché sono erogati unicamente in virtù del rapporto di lavoro e non quale prestazione del regime pubblico generale di previdenza o di protezione sociale.

16.

Per contro, la richiesta del ricorrente nella causa C-143/11 è stata respinta tanto dall’amministrazione quanto dalla giurisdizione del contenzioso amministrativo, adducendo che non era stata commessa una violazione della direttiva 2000/78 poiché la situazione di un coniuge e quella di un partner di un’unione civile registrata non sarebbero state assimilabili.

17.

In ogni caso, ognuna delle parti pregiudicate dalla rispettiva decisione giurisdizionale ha proposto un ricorso per «Revision» dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale).

18.

Il giudice del rinvio parte dal presupposto che la normativa nazionale non includa i partner delle unioni civili registrate tra i potenziali beneficiari dei sussidi statali previsti per i pubblici dipendenti federali in caso di malattia. Tuttavia, tra i beneficiari di tali sussidi figurerebbero invece, eventualmente, i coniugi dei dipendenti medesimi.

19.

Il Bundesverwaltungsgericht nutre dubbi riguardo all’applicabilità della direttiva 2000/78 ai casi di cui si discute nei procedimenti a quibus. Qualora la direttiva fosse applicabile, ne conseguirebbe che i partner delle unioni civili registrate dovrebbero ricevere lo stesso trattamento riservato ai coniugi, e pertanto i singoli coinvolti nei detti procedimenti avrebbero diritto al sussidio pubblico controverso.

20.

Il giudice del rinvio ritiene che l’applicabilità della direttiva 2000/78 dipenda dalla qualificazione giuridica del sussidio pubblico in questione. Nello specifico si tratta di stabilire se tale sussidio costituisca un elemento della retribuzione ai sensi dell’articolo 157 TFUE – caso in cui risulterebbe d’applicazione la direttiva 2000/78 – oppure se costituisca una prestazione del regime pubblico di previdenza sociale o equivalente e, quindi, rimanga escluso dall’ambito di applicazione della citata direttiva.

21.

Secondo il Bundesverwaltungsgericht i criteri utilizzati dalla Corte di giustizia per distinguere le pensioni di vecchiaia in funzione dell’origine del loro finanziamento non risultano adeguati nell’ambito dei regimi di tutela della salute; tra l’altro perché il sussidio per malattia non dipende dalla durata del rapporto di pubblico impiego.

III – Questione pregiudiziale

22.

Alla luce di tali considerazioni il Bundesverwaltungsgericht ha sottoposto alla Corte la seguente questione:

«Se la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, si applichi alle disposizioni nazionali sulla concessione di un sussidio statale ai dipendenti pubblici nei casi di malattia».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

23.

Le domande di pronuncia pregiudiziale C-124/11 e C-125/11 sono state registrate presso la cancelleria della Corte il 9 marzo 2011. La domanda C-143/11 è stata registrata il 24 marzo 2011.

24.

Le tre domande di pronuncia pregiudiziale sono state riunite con ordinanza del presidente della Corte di giustizia del 27 maggio 2011.

25.

Hanno presentato osservazioni scritte la sig.ra K. Dittrich, i sigg.ri R. Klinke e J.D. Müller nonché la Commissione.

26.

All’udienza del 3 maggio 2012 erano presenti per svolgere osservazioni orali i rappresentanti delle parti.

27.

Nella lettera di convocazione all’udienza le parti sono state invitate a fornire per iscritto ulteriori precisazioni sulle modalità di finanziamento del sussidio controverso, chiarendo, in particolare, se esso sia finanziato totalmente o parzialmente attraverso contributi a carico della Repubblica federale di Germania, in qualità di datore di lavoro dei pubblici dipendenti federali, oppure attraverso il bilancio della previdenza sociale. Il termine impartito per apportare tali precisazioni scadeva il 13 aprile 2012.

V – Argomenti delle parti

28.

I ricorrenti nel procedimento principale sostengono che la direttiva 2000/78 sia applicabile al sussidio controverso. E ciò perché, secondo loro, e in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, da un lato, ogni forma di retribuzione ai sensi dell’articolo 157 TFUE sarebbe compresa nell’ambito di applicazione di tale direttiva e, dall’altro, la nozione di occupazione includerebbe anche il rapporto che lega un dipendente pubblico allo Stato ( 7 ).

29.

I ricorrenti affermano che non si possa opporre alla qualifica del sussidio in parola come prestazione retributiva il fatto che il relativo regime sia stabilito per legge, poiché, in questo caso, il legislatore agisce nella veste di datore di lavoro e non di pubblico potere. Non si potrebbe neppure obiettare che i dipendenti pubblici costituiscono una categoria generale di lavoratori, e al riguardo i ricorrenti invocano la sentenza del 17 maggio 1990, Barber ( 8 ), né, infine, che detto sussidio non dipende dalla durata del rapporto di lavoro e che il suo importo non è calcolato in funzione degli ultimi stipendi percepiti. In definitiva, i ricorrenti sostengono che tali circostanze possono risultare rilevanti al momento di determinare la natura delle pensioni di vecchiaia, ma non al fine di precisare se il sussidio controverso sia o meno una retribuzione.

30.

Da parte sua, la Commissione condivide la tesi dei ricorrenti nei procedimenti principali. Avendo ricordato che, conformemente alla giurisprudenza, la nozione di retribuzione deve essere interpretata estensivamente, e quindi in modo tale da comprendere ogni prestazione o retribuzione concessa al lavoratore in ragione dell’attività svolta, sia in virtù di un contratto, sia di disposizioni di legge o di una decisione giurisdizionale, la Commissione adduce che, in materia di pensioni, la Corte di giustizia ha sempre considerato come unico criterio determinante – ma non esclusivo – il fatto che il diritto a pensione fosse riconosciuto in virtù del rapporto di lavoro che legava il lavoratore al suo ex datore di lavoro. A questo primo criterio se ne aggiungono altri tre di carattere supplementare, che consentono di considerare una pensione di vecchiaia come una prestazione erogata in base ad un regime professionale di previdenza sociale e, pertanto, come una retribuzione ai sensi dell’articolo 157 TFUE, distinguendola da una prestazione attribuita da un regime previdenziale pubblico, vale a dire: a) che la pensione non sia concessa ad una particolare categoria di lavoratori; b) che dipenda direttamente dalle ore di servizio prestate, e c) che il suo importo sia calcolato a partire dall’ultimo stipendio.

31.

Quanto al sussidio controverso, la Commissione rileva, in primo luogo, che esso costituisce una prestazione accordata ad una categoria particolare di lavoratori; in secondo luogo, che tale prestazione viene concessa in ragione di un rapporto di lavoro e che è legata allo stipendio o alla pensione di un dipendente pubblico, per cui costituisce un elemento di tale retribuzione; e, in terzo luogo, che gli altri criteri stabiliti dalla giurisprudenza con riferimento alle pensioni sono irrilevanti nel caso di specie, poiché, sia il criterio che si collega alle ore di lavoro prestate sia quello relativo al calcolo della prestazione in funzione dell’ultimo stipendio sono stati utilizzati dalla Corte di giustizia solamente per stabilire se le pensioni dei dipendenti pubblici possano essere considerate retribuzioni, nonostante la circostanza che, normalmente, non soddisfino i criteri che la Corte di giustizia ha considerato caratteristici di un regime pensionistico privato nella citata causa Barber. E infatti accade che, in quanto si tratta di un sussidio per malattia a favore dei dipendenti pubblici, non esiste un regime simile nell’ambito del diritto privato. Sarebbe perciò impossibile basarsi su analoghi regimi di diritto privato per stabilire criteri di delimitazione rispetto al regime legale di previdenza sociale.

32.

Di conseguenza, l’unico elemento determinante consiste nel fatto che il sussidio in questione viene concesso in virtù del rapporto di lavoro con lo Stato e che quest’ultimo agisce in qualità di datore di lavoro e non a titolo di soggetto assicuratore di un regime legale pubblico. Il sussidio in parola merita pertanto la qualifica di retribuzione ai sensi dell’articolo 157 TFUE, senza che a tale conclusione osti il fatto che esso viene concesso in virtù di disposizioni di legge o che risponde anche ad esigenze di politica sociale.

33.

In risposta all’invito cui ho accennato nel paragrafo 24 di queste conclusioni, tanto i ricorrenti nei procedimenti principali quanto il governo tedesco hanno risposto che il sussidio controverso è finanziato dalla Repubblica federale di Germania in qualità di datore di lavoro e non riceve cofinanziamenti da parte del sistema previdenziale.

VI – Valutazione

A – Considerazioni preliminari

34.

Come ho già accennato, le questioni pregiudiziali qui riunite vertono sull’applicabilità della direttiva 2000/78 in casi in cui si deve stabilire se i partner delle «unioni civili registrate» conformemente alla normativa di uno Stato membro abbiano il diritto di fruire di una prestazione che il diritto garantisce alle unioni matrimoniali.

35.

Le presenti questioni non vanno oltre tale interrogativo. Voglio dire che non si chiede se i ricorrenti nei procedimenti principali siano stati privati del diritto di ottenere lo stesso trattamento previsto per le persone unite in matrimonio, ma se sussistano i presupposti per ritenere che tali controversie debbano essere risolte applicando la direttiva 2000/78.

36.

Ci si attende pertanto che la Corte di giustizia si pronunci non su un’eventuale discriminazione, bensì soltanto sulla sussistenza della condizione che consentirebbe al giudice del rinvio di risolvere le controversie di cui è investito applicando la direttiva in parola. A tal fine è sufficiente limitarsi a stabilire se i sussidi in discussione costituiscano una retribuzione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78, laddove tale qualificazione a sua volta dipende dalla circostanza che il sussidio controverso possa essere assimilato ad una «retribuzione» ex articolo 157 TFUE, disposizione, questa, cui rinvia il tredicesimo considerando della direttiva per definire la detta nozione.

B – Condizioni per l’applicabilità della direttiva 2000/78

37.

Come giustamente segnala il Bundesverwaltungsgericht, l’applicabilità della direttiva 2000/78 dipende dalla circostanza che il sussidio controverso possa essere considerato una «retribuzione» ai sensi dell’articolo 157 TFUE.

38.

L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 dispone infatti che quest’ultima «si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene: (…) c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».

39.

Poiché, nel presente caso, si tratta di una prestazione erogata da un potere pubblico, occorre inevitabilmente tenere conto dell’eccezione contenuta nello stesso articolo 3 della direttiva 2000/78, il cui paragrafo 3 indica che «[l]a presente direttiva non si applica ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dai regimi statali o da regimi assimilabili, ivi inclusi i regimi statali di sicurezza sociale o di protezione sociale».

40.

Ciò nondimeno, tale eccezione deve intendersi alla luce di quanto disposto al tredicesimo considerando della direttiva 2000/78, secondo il cui tenore «[l]a presente direttiva non si applica ai regimi di sicurezza sociale e di protezione sociale le cui prestazioni non sono assimilate ad una retribuzione, nell’accezione data a tale termine ai fini dell’applicazione dall’articolo 141 del trattato CE, e nemmeno ai pagamenti di qualsiasi genere, effettuati dallo Stato allo scopo di dare accesso al lavoro o di salvaguardare posti di lavoro».

41.

Siffatta interpretazione integrata dell’articolo 3, paragrafo 3, e del tredicesimo considerando della direttiva 2000/78, accolta dalla Corte di giustizia nella sentenza Maruko ( 9 ), implica che non tutte le prestazioni erogate dai pubblici poteri siano escluse dall’applicazione della direttiva 2000/78; come del resto non lo sono tutte le prestazioni che vengono erogate, nell’ambito dei pubblici poteri, dagli enti previdenziali, bensì solo quelle che, essendo erogate da tali enti, non possono essere considerate «retribuzioni» ai sensi dell’(attuale) articolo 157 TFUE.

1. La nozione di «retribuzione»

42.

Per poter rispondere alla presente questione pregiudiziale è quindi necessario risolvere un’incognita alquanto precisa; cioè si deve stabilire se il sussidio controverso costituisca o meno una «retribuzione» ai sensi dell’articolo 157 TFUE, disposizione cui, come ripeto, rinvia alla direttiva 2000/78 per definire la nozione di retribuzione utilizzata dal suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c). Come vedremo, nel corso dell’esame relativo all’eventuale sussistenza di ognuno degli elementi costitutivi della nozione di «retribuzione», emergerà chiaramente la ragionevolezza dell’eccezione risultante dall’interpretazione integrata dell’articolo 3, paragrafo 3, e del tredicesimo considerando della direttiva 2000/78. Tale eccezione, in definitiva, non fa altro che specificare una conseguenza che deriva necessariamente dalla nozione stessa di «retribuzione».

43.

Ai sensi dell’articolo 157 TFUE, per retribuzione s’intende «il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo». In tale nozione è quindi presente un elemento materiale (salario o trattamento e vantaggi), un elemento soggettivo (datore di lavoro e lavoratore) e un elemento causale (il rapporto di lavoro). Occorre verificare se tutti i detti elementi ricorrano nel caso del sussidio controverso.

44.

Per quanto riguarda l’elemento materiale, non ho dubbi che il riferimento a «tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura», di cui all’articolo 157 TFUE, offra una copertura sufficiente al contenuto del sussidio controverso. Con tale prestazione, infatti, viene rimborsata al lavoratore una somma compresa tra il 50% e l’80% delle spese sanitarie che quest’ultimo abbia sopportato per se stesso o per determinate persone a suo carico ( 10 ).

45.

A mio giudizio nei casi in esame sussiste anche l’elemento causale. Difatti, il sussidio è riservato ai pubblici dipendenti federali in quanto tali e in virtù del loro status. Inoltre, tale sussidio è riservato ai detti funzionari nella misura in cui, oltre ad essere dipendenti pubblici federali, lavorino effettivamente in tale condizione. Così si evince dall’articolo 2, paragrafo 2, della BBhV, in virtù del quale i dipendenti pubblici federali che fruiscono di un congedo non retribuito hanno altresì diritto al sussidio purché il congedo non sia superiore ad un mese. È evidente, secondo me, il nesso di causalità tra il sussidio in questione ed il rapporto di lavoro ( 11 ).

46.

Rimane, infine, da esaminare l’elemento più complesso. Il sussidio in esame costituisce una prestazione in denaro cui ha diritto un dipendente pubblico federale in virtù del rapporto di lavoro che lo lega ad un’amministrazione federale. Orbene, si deve stabilire se si tratti di una prestazione pagata dal «datore di lavoro al lavoratore», come esige l’articolo 157 TFUE. Questo punto, secondo me, costituisce il nocciolo duro della questione.

2. In particolare, sul finanziamento della prestazione materiale

47.

Una prestazione percepita da un lavoratore in ragione del rapporto di lavoro che lo lega al suo datore di lavoro può costituire una «retribuzione» ai sensi dell’articolo 157 TFUE solo se il soggetto che la eroga è lo stesso datore di lavoro. Altre prestazioni di cui possa fruire il lavoratore, pur erogate in ragione del suo rapporto di lavoro, rimangono pertanto escluse dalla nozione che qui interessa, e, quindi, la relativa eventuale copertura rispetto alla discriminazione deve essere ricercata al di fuori della direttiva 2000/78.

48.

Per tale ragione si spiega che non tutte le prestazioni previdenziali possono rientrare nella nozione di «retribuzione», ma solo quelle che, oltre a costituire una retribuzione «in ragione del rapporto di lavoro», sono pagate dal datore di lavoro, sebbene attraverso un ente previdenziale, cioè indirettamente.

49.

Come già tempestivamente segnalato dalla Corte di giustizia nella sentenza del 25 maggio 1971, Defrenne ( 12 ), i regimi previdenziali «permettono ai lavoratori di fruire di un sistema legale al cui finanziamento i lavoratori, i datori di lavoro ed eventualmente la pubblica amministrazione contribuiscono non tanto in funzione del rapporto di lavoro, quanto in base a considerazioni di politica sociale» (punto 8), talché «il contributo del datore di lavoro al finanziamento di tali sistemi non costituisce quindi pagamento, diretto o indiretto, di vantaggi al lavoratore» (punto 9), laddove, inoltre, «quest’ultimo d’altra parte, fruirà normalmente delle prestazioni previste dalla legge, non in ragione dei contributi del datore di lavoro, ma per il solo fatto di essere in possesso dei requisiti indicati dalla legge per la concessione della prestazione» (punto 10).

50.

La circostanza che la direttiva 2000/78 non si applichi «ai regimi di sicurezza sociale e di protezione sociale le cui prestazioni non sono assimilate ad una retribuzione, nell’accezione data a tale termine ai fini dell’applicazione dall’articolo [157 TFUE]» (tredicesimo considerando), comporta che, in quanto tale assimilazione è possibile solo qualora la prestazione ricevuta dal lavoratore venga pagata dal datore di lavoro, si renderà necessario stabilire se il finanziamento del regime previdenziale spetti, sotto tale profilo, al datore di lavoro, al lavoratore o alla pubblica amministrazione. E solo nei limiti in cui, una volta accertato il finanziamento da parte del datore di lavoro, si possa concludere nel senso che il regime previdenziale eroga in realtà una prestazione che è indirettamente pagata dal primo, sarà possibile affermare che si tratta di una «retribuzione» ai sensi dell’articolo 157 TFUE.

51.

Tale impostazione deve parimenti valere per gli enti previdenziali, in particolare, e per qualsiasi regime pubblico di finanziamento delle prestazioni lavorative, in generale. E questo perché, essendo decisivo il fatto che la prestazione sia pagata in ultimi termini dal datore di lavoro, si deve considerare irrilevante la circostanza che questi la paghi direttamente o attraverso un intermediario, e, in quest’ultimo caso, che il responsabile della corresponsione sia un organismo privato o un ente pubblico, qualunque esso sia, se si tratta di un soggetto di diritto pubblico, saranno irrilevanti la sua forma giuridica ed il regime che ne regola il funzionamento.

52.

Ciò comporta la necessità di determinare in ciascun caso specifico chi finanzia la prestazione concessa al lavoratore. Partendo dal soggetto pagatore finale, e dopo aver constatato che esso non coincide con il datore di lavoro, occorre verificare se tale soggetto non sia altro che un intermediario di quest’ultimo. In quanto si tratta di prestazioni erogate da enti pubblici, in generale, o, in particolare, da enti previdenziali, si dovrà stabilire se tali prestazioni siano finanziate con contributi dovuti dal datore di lavoro o se, invece, siano finanziate a carico di altri contribuenti, dei lavoratori stessi, della pubblica amministrazione o agli uni e agli altri in diversa misura. Come è evidente, date le differenze rilevabili al riguardo tra gli Stati membri, è ovvio che tale compito può spettare unicamente al rispettivo giudice nazionale.

53.

A mio parere il criterio dell’imputabilità del finanziamento – unitamente a quelli relativi all’elemento materiale della prestazione ed alla «causa» di quest’ultima rinvenibile nel rapporto di lavoro – può rivelarsi maggiormente utile, essendo trasversale, del criterio relativo alla delimitazione dei beneficiari della prestazione o di quello relativo alla maggiore o minore corrispondenza tra quest’ultima ed altre prestazioni equivalenti nell’ambito dell’assistenza privata.

54.

Ragionamento analogo deve valere sicuramente anche rispetto alle prestazioni che consistono in una pensione di vecchiaia, nonché per quelle aventi ad oggetto un sussidio per malattia. Poiché si tratta di una prestazione materiale erogata in ragione di un rapporto di lavoro, ciò che importa stabilire è unicamente se chi la finanzia sia o meno il datore di lavoro. Ritengo che non si possano ignorare i vantaggi offerti da tale formula al fine di semplificare il problema della qualificazione di una prestazione come «retribuzione» agli effetti dell’articolo 157 TFUE ( 13 ).

C – L’oggetto dei procedimenti principali

55.

Per quanto attiene ai casi in discussione nei procedimenti all’origine delle presenti questioni pregiudiziali, dalle informazioni fornite alla Corte di giustizia si evince che le prestazioni controverse derivano dal rapporto di lavoro che lega i dipendenti pubblici federali all’Amministrazione federale e che sono finanziate direttamente a carico del bilancio federale, a sua volta alimentato, a tal fine, con fondi pubblici apportati dallo Stato membro in qualità di datore di lavoro dei detti dipendenti federali.

56.

In siffatto contesto tutto conduce a ritenere che, conformemente alle ragioni esposte nelle presenti conclusioni, le prestazioni di cui trattasi meritino in questo caso la qualifica di «retribuzioni» ai sensi dell’articolo 157 TFUE, discendendone quindi che la direttiva 2000/78 è applicabile alle disposizioni nazionali che regolano dette prestazioni.

57.

Ciò osservato, spetta al giudice nazionale verificare in ultima analisi se, effettivamente, il finanziamento delle citate prestazioni sia imputabile, in considerazione del regime specifico di queste ultime, allo Stato membro in qualità di datore di lavoro dei dipendenti pubblici interessati nei procedimenti principali.

VII – Conclusione

58.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di giustizia di rispondere alla questione pregiudiziale nei seguenti termini:

«La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, è applicabile alle disposizioni nazionali relative alla concessione di sussidi statali ai dipendenti pubblici in caso di malattia, qualora il finanziamento di tali sussidi sia imputabile principalmente allo Stato in qualità di datore di lavoro pubblico, circostanza questa, che deve essere verificata dal giudice nazionale».


( 1 ) Lingua originale: lo spagnolo.

( 2 ) GU L 303, pag. 16.

( 3 ) BGBl. I, pag. 266.

( 4 ) BGBl. I, pag. 1696.

( 5 ) BGBl. I, pag. 326.

( 6 ) Riforma del BBhV del 13 luglio 2011 (BGBl. I, pag. 1394).

( 7 ) Sentenze del 1o aprile 2008, Maruko (C-267/06, Racc. pag. I-1757), e del 23 ottobre 2003, Schönheit e Becker (C-4/02, Racc. pag. I-12575).

( 8 ) Causa C-262/88, Racc. pag. I-1889, punto 26.

( 9 ) V., più recentemente, sentenza del 10 maggio 2011, Römer (C-147/08, punto 32).

( 10 ) La Corte di giustizia ha progressivamente adottato un criterio assai ampio per integrare il contenuto materiale della nozione di «retribuzione». Essa ha infatti dichiarato che costituiscono retribuzioni le agevolazioni in materia di trasporti [sentenza del 9 febbraio 1982, Garland (12/81, Racc. pag. 359, punto 9)], le gratificazioni natalizie [sentenza del 9 settembre 1999, Krüger (C-281/97, Racc. pag. I-5127, punto 17)], e le compensazioni corrisposte per la partecipazione a corsi di formazione [sentenza del 4 giugno 1992, Bötel (C-360/90, Racc. pag. I-3589, punti 12-15)]. Credo che non si incontrino difficoltà ad inserire in tale elenco una retribuzione come quella in parola.

( 11 ) Poco importa, mi sembra, la circostanza che la prestazione in cui consiste materialmente la retribuzione persegua un fine piuttosto che un altro. Intendo dire che è irrilevante che si tratti di una controprestazione strictu sensu, di un incentivo alla produttività o di una misura finalizzata al miglioramento delle condizioni di lavoro. L’elemento determinante in questo caso è la causa della prestazione, non il fine da essa perseguito. La prestazione deve trarre origine da un rapporto di lavoro (che perciò costituisce la sua «ragion» d’essere, a termini dell’articolo 157 TFUE) e può rispondere a qualsiasi finalità che il datore di lavoro abbia legittimamente fissato.

( 12 ) Causa 80/70 (Racc. pag. 445).

( 13 ) Né si può ignorare il suo contributo al fine di ottenere un certo livello di uniformità materiale dei regimi degli Stati membri, al di là delle differenze formali risultanti dai loro rispettivi sistemi previdenziali e della fornitura pubblica di prestazioni nonché del loro potere discrezionale in materia. Al riguardo, v. Krebber, S., «Art. 157», in Callies, Ch./Ruffert, M., EUV/AEUV, 4a ed., Ch. Beck, Monaco di Baviera, 2011, n. 28.