CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 26 aprile 2012 ( 1 )

Causa C-36/11

Pioneer Hi Bred Italia Srl

contro

Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato]

«Agricoltura — Organismi geneticamente modificati — Direttiva 2002/53/CE — Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole — Organismi geneticamente modificati iscritti nel catalogo comune — Regolamento (CE) n. 1829/2003 — Articolo 20 — Prodotti esistenti — Direttiva 2001/18/CE — Articolo 26 bis — Misure intese a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti — Misure nazionali che, nelle more dell’adozione di misure fondate sull’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE, vietano la messa in coltura di organismi geneticamente modificati iscritti nel catalogo comune e autorizzati come prodotti esistenti»

1. 

Ora che il dibattito politico e giuridico circa la necessità di ampliare o meno il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri per limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati ( 2 ) autorizzati su tutto o parte del loro territorio è più vivo che mai ( 3 ), la presente domanda di pronuncia pregiudiziale consente di fare il punto sullo stato attuale del diritto dell’Unione.

2. 

Detta domanda verte principalmente sull’interpretazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio ( 4 ), come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008 ( 5 ).

3. 

Tale articolo, intitolato «Misure volte ad evitare la presenza involontaria di OGM», così recita:

«1.

Gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti.

2.

La Commissione raccoglie e coordina le informazioni basate su studi condotti a livello comunitario e nazionale, osserva gli sviluppi quanto alla coesistenza negli Stati membri e, sulla base delle informazioni e delle osservazioni, sviluppa orientamenti sulla coesistenza di colture geneticamente modificate, convenzionali e organiche».

4. 

Successivamente, la Commissione ha adottato due raccomandazioni a tal riguardo. Si tratta innanzitutto della raccomandazione della Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003, recante orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche ( 6 ). Detta raccomandazione è stata poi abrogata e sostituita dalla raccomandazione della Commissione del 13 luglio 2010, recante orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche ( 7 ).

5. 

Queste raccomandazioni delineano i principi generali volti a guidare gli Stati membri quando intendono adottare misure per garantire la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche.

6. 

Nei due testi la Commissione muove dal principio che nessuna forma di agricoltura, sia essa convenzionale, biologica o basata sull’impiego di OGM, deve essere esclusa all’interno dell’Unione. Per permettere ai produttori e ai consumatori di poter scegliere tra questi tre tipi di produzione, è necessario mantenere separati i metodi di produzione. Le misure di coesistenza mirano, in quest’ottica, ad evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti per prevenire il potenziale pregiudizio economico ( 8 ) e la commistione tra colture transgeniche e non transgeniche ( 9 ).

7. 

Le misure di coesistenza possono consistere, ad esempio, nel fissare distanze di isolamento tra i campi destinati alla coltura degli OGM e quelli destinati alle colture convenzionali o biologiche, nella creazione di zone cuscinetto, nell’installazione di barriere per il polline o, ancora, nell’applicazione di sistemi di rotazione colturale ( 10 ).

8. 

Nella presente causa, il Consiglio di Stato deve valutare la conformità al diritto dell’Unione di una normativa nazionale che subordina il rilascio delle autorizzazioni nazionali alle coltivazioni di OGM all’adozione, da parte delle regioni, di misure di coesistenza. Esso desidera ricevere chiarimenti sulla portata dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, letto alla luce delle raccomandazioni del 23 luglio 2003 e del 13 luglio 2010. In quest’ottica, il Consiglio di Stato sottopone alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, qualora lo Stato membro abbia ritenuto di subordinare il rilascio dell’autorizzazione alle coltivazioni di OGM, ancorché iscritti nel [catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE ( 11 ) (in prosieguo: il «catalogo comune»)], a misure di carattere generale idonee a garantire la coesistenza con colture convenzionali o biologiche, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18(…), letto alla luce della [raccomandazione del 23 luglio 2003] e della sopravvenuta [raccomandazione del 13 luglio 2010], debba essere interpretato nel senso che, nel periodo antecedente l’adozione delle misure generali: a) l’autorizzazione debba essere rilasciata, avendo ad oggetto OGM iscritti nel [catalogo comune]; b) ovvero, l’esame dell’istanza di autorizzazione debba essere sospeso in attesa dell’adozione delle misure di carattere generale; c) ovvero, l’autorizzazione debba essere rilasciata, con le prescrizioni idonee ad evitare nel caso concreto il contatto, anche involontario, delle colture transgeniche autorizzate con le colture convenzionali o biologiche circostanti».

9. 

Tale questione trae origine da una controversia fra la Pioneer Hi Bred Italia Srl (in prosieguo: la «Pioneer») e il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali in merito alla legittimità di una nota con cui quest’ultimo comunicava alla Pioneer che, nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, di norme atte a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche, esso non poteva procedere all’istruttoria della sua richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di ibridi di mais geneticamente modificati, derivati dal mais MON 810, già iscritti nel catalogo comune.

10. 

Nel formulare la sua questione il Consiglio di Stato sembra muovere dalla premessa secondo cui uno Stato membro può validamente prevedere una procedura volta ad autorizzare, a livello nazionale, la messa in coltura di un OGM quand’anche esso benefici già di un’autorizzazione a livello di Unione. Sarà necessario verificare, innanzitutto, la correttezza di detta premessa.

11. 

Verificheremo, in secondo luogo, se uno Stato membro possa legittimamente far valere la mancata attuazione di piani di coesistenza a livello regionale per rifiutare la messa in coltura sul suo territorio di un OGM autorizzato in base al diritto dell’Unione.

I – Il contesto fattuale e giuridico del rinvio pregiudiziale

A – Lo status giuridico del mais MON 810

12.

L’immissione in commercio del mais MON 810 è stata autorizzata, su richiesta della Monsanto Europe SA ( 12 ), con la decisione 98/294/CE ( 13 ).

13.

La direttiva 2001/18, in base al suo articolo 34, doveva essere trasposta entro il 17 ottobre 2002. Essa ha abrogato e sostituito la direttiva 90/220/CEE ( 14 ), sulla base della quale era stata rilasciata l’autorizzazione all’immissione in commercio del mais MON 810.

14.

Un prodotto come il mais MON 810 rientrava nell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2001/18, in quanto prodotto autorizzato a norma della direttiva 90/220 prima del 17 ottobre 2002. La Monsanto Europe tuttavia non ha effettuato, entro il termine del 17 ottobre 2006, una notifica all’autorità nazionale competente in forza dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2001/18. Detta società non ha quindi chiesto il rinnovo dell’autorizzazione all’immissione in commercio del mais MON 810 in conformità della procedura di cui all’articolo 17 di detta direttiva.

15.

Conformemente ai suoi settimo e undicesimo considerando, il regolamento n. 1829/2003 prevede una procedura comunitaria di autorizzazione unica, utilizzata, in particolare, per i mangimi che contengono OGM o sono costituiti o prodotti a partire da OGM nonché per gli OGM da impiegare come materiale di base per la produzione di tali alimenti.

16.

È nel quadro delle disposizioni di detto regolamento che la Monsanto Europe ha inteso proseguire la commercializzazione del mais MON 810. L’11 luglio 2004, infatti, la Monsanto Europe ha notificato alla Commissione il mais MON 810, ai sensi, in particolare, dell’articolo 20, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento, quale «prodotto esistente» rientrante nella sezione 1 del capo III del regolamento n. 1829/2003 ( 15 ). Il 4 maggio 2007, la stessa ha chiesto il rinnovo dell’autorizzazione all’immissione sul mercato del mais MON 810 sulla base dell’articolo 20, paragrafo 4, del medesimo regolamento. Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 4, di detto regolamento, nelle more del procedimento di rinnovo l’autorizzazione iniziale continua a produrre effetti.

17.

Con la sentenza dell’8 settembre 2011, Monsanto e a. ( 16 ), la Corte ha dichiarato che l’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento n. 1829/2003, che autorizza la prosecuzione dell’utilizzo dei prodotti che esso disciplina, è applicabile all’utilizzo in quanto sementi di prodotti che sono stati notificati ( 17 ).

18.

A termini dell’articolo 20, paragrafo 5, del medesimo regolamento, «[i] prodotti di cui al paragrafo 1 e i mangimi che li contengono o sono da essi derivati sono soggetti alle disposizioni del presente regolamento, in particolare degli articoli 21, 22 e 34, che si applicano per analogia».

19.

Occorre, d’altra parte, precisare che, l’8 settembre 2004, la Commissione ha approvato l’iscrizione di 17 varietà derivate dal mais MON 810 nel catalogo comune disciplinato dalla direttiva 2002/53.

20.

Il rapporto tra i sistemi istituiti dal regolamento n. 1829/2003 e dalla direttiva 2002/53 è precisato all’articolo 4, paragrafo 5, di quest’ultima, il quale stabilisce che, «se materiale derivato da una varietà vegetale è destinato ad essere utilizzato in un alimento rientrante nel campo d’applicazione dell’articolo 3, o in un mangime rientrante nel campo d’applicazione dell’articolo 15 del regolamento (…) n. 1829/2003 (…), tale varietà può essere accettata soltanto se è stata approvata in conformità di tale regolamento».

21.

Da detti elementi si evince che il mais MON 810 non rientra soltanto nel sistema istituito dal regolamento n. 1829/2003, ma anche in quello previsto dalla direttiva 2002/53.

22.

Inoltre, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, che è stato ivi inserito con l’articolo 43, punto 2, del regolamento n. 1829/2003, ha un’applicazione generale e opera quindi anche nei riguardi di un OGM come il mais MON 810 ( 18 ).

B – I fatti del procedimento principale e il diritto nazionale applicabile

23.

La Pioneer è una società produttrice e distributrice, a livello mondiale, di sementi convenzionali e geneticamente modificate.

24.

Essa intende coltivare le varietà di mais MON 810 iscritte nel catalogo comune.

25.

Il 18 ottobre 2006, la Pioneer ha presentato al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali una richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di tali varietà ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212, del 24 aprile 2001 ( 19 ), il quale dispone quanto segue:

«(…) La messa in coltura dei prodotti sementieri (…) è soggetta ad autorizzazione con provvedimento del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e del Ministro della sanità, emanato previo parere della [Commissione per i prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate], nel quale sono stabilite misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate non entrino in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali e non arrechino danno biologico all’ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agro-ecologiche, ambientali e pedoclimatiche» ( 20 ).

26.

Con la nota n. 3734 del 12 maggio 2008, il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali – Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale della Repubblica italiana – ha comunicato alla Pioneer di non poter procedere all’istruttoria della sua richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di ibridi di mais geneticamente modificati, già iscritti nel catalogo comune, «nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, delle norme idonee a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche, come previsto dalla circolare [n. 269] del [Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali] del 31 marzo 2006».

27.

Occorre chiarire il contesto normativo che ha condotto all’adozione di una tale decisione.

28.

Il decreto legge n. 279 del 22 novembre 2004 ( 21 ), come modificato e convertito in legge dalla legge n. 5 del 28 gennaio 2005 ( 22 ), è diretto all’adozione di misure di coesistenza in attuazione della raccomandazione del 23 luglio 2003.

29.

L’articolo 3 del decreto legge n. 279 prevede l’adozione di tali misure di coesistenza con decreto di natura non regolamentare del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ed emanato previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

30.

In virtù di detto articolo e dell’articolo 4 del decreto legge n. 279, l’emanando decreto di natura non regolamentare deve definire le norme quadro per la coesistenza, in applicazione delle quali le regioni approveranno i propri piani di coesistenza mediante l’adozione di provvedimenti ad hoc.

31.

In conformità dell’articolo 4, comma 1, del decreto legge n. 279, il piano di coesistenza è adottato, con proprio provvedimento, da ciascuna regione e provincia autonoma e contiene le regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti che garantiscono la collaborazione degli enti territoriali locali, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

32.

L’articolo 8 del medesimo decreto legge enuncia che, fino all’adozione dei diversi piani di coesistenza, le colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di sperimentazione, non sono consentite.

33.

Con sentenza del 17 marzo 2006, pronunciata a seguito di un ricorso proposto dalla Regione Marche, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, in particolare, gli articoli 3, 4 e 8 del decreto legge n. 279.

34.

Per quanto riguarda, in particolare, detto articolo 4, essa ha dichiarato che tale articolo era lesivo della competenza legislativa delle regioni in materia di agricoltura, in quanto spetta a queste ultime esercitare il potere di disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali, notoriamente differenziati dal punto di vista morfologico e sul piano della rispettiva produzione.

35.

Per quanto concerne l’articolo 8 del medesimo decreto, la Corte Costituzionale lo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo in quanto appariva collegato in modo inscindibile alle altre disposizioni ritenute illegittime.

36.

Pertanto, rimangono in vigore gli articoli 1 e 2 del decreto legge n. 279, dai quali emerge la volontà del legislatore nazionale di avvalersi della possibilità di adottare le misure necessarie a evitare la presenza involontaria di OGM nelle altre colture, ovverosia le colture convenzionali o biologiche.

37.

In seguito alla succitata sentenza del 17 marzo 2006, il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha adottato la circolare n. 269 del 31 marzo 2006, nella quale considera che detta sentenza non rimette in discussione la legittimità del divieto di coltivare OGM in attesa dell’adozione di piani di coesistenza e che la dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 8 del decreto legge n. 279 deve essere intesa nel senso che, permanendo il divieto di coltivare OGM, occorre prevedere l’esercizio da parte dell’autorità regionale o provinciale della sua competenza in materia.

38.

Al punto 4 della suddetta circolare è precisato che, una volta che le regioni e le province autonome abbiano adottato le proprie disposizioni relative alla coesistenza, la procedura di autorizzazione degli OGM ai fini della loro coltivazione deve ancora concludersi positivamente, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 212/2001, le quali richiedono il rilascio di un’autorizzazione ministeriale.

39.

Al punto 5 della medesima circolare, il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali conclude come segue:

la coltivazione di OGM non è consentita fino all’adozione degli strumenti normativi regionali idonei a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche e all’individuazione di soluzioni adeguate tra regioni confinanti;

l’inosservanza di tale divieto comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto legislativo n. 212/2001.

40.

La succitata nota n. 3734 del 12 maggio 2008 s’inserisce nel quadro di quanto previsto nella circolare n. 269 del 31 marzo 2006.

41.

La Pioneer ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per l’annullamento di detta nota. È in tale contesto che il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale riportata al paragrafo 8 delle presenti conclusioni.

42.

Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale hanno presentato osservazioni scritte la Pioneer, i governi italiano e spagnolo nonché la Commissione. L’udienza si è tenuta il 21 marzo 2012, alla presenza della Pioneer, del governo italiano e della Commissione.

II – Analisi

43.

Prima di esaminare quale portata occorra riconoscere all’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, si deve verificare se uno Stato membro possa legittimamente sovrapporre un sistema nazionale di autorizzazione della messa in coltura degli OGM a quello previsto dal diritto dell’Unione. Come condiviso dallo stesso governo italiano nel corso dell’udienza, la risposta è, a mio avviso, negativa.

44.

Come abbiamo visto, l’impiego e la commercializzazione di sementi delle varietà del mais geneticamente modificato MON 810 possono essere considerati come autorizzati nell’ambito dell’Unione sulla base di un duplice fondamento.

45.

Lo sono, in primo luogo, in virtù del regolamento n. 1829/2003, giacché dette varietà costituiscono «prodotti esistenti» ai sensi dell’articolo 20 di detto regolamento. Un prodotto che è stato oggetto della corrispondente procedura di autorizzazione può essere utilizzato e commercializzato all’interno dell’Unione. Ciò emerge, per quanto attiene ai mangimi geneticamente modificati, dall’articolo 16, paragrafo 2, di detto regolamento, il quale prevede che «[n]essuno può immettere in commercio, usare o modificare un prodotto di cui all’articolo 15, paragrafo 1, a meno che per esso non sia stata rilasciata un’autorizzazione conformemente alla presente sezione e a meno che non vengano rispettate le pertinenti condizioni dell’autorizzazione». D’altra parte, l’articolo 19, paragrafo 5, del regolamento n. 1829/2003 stabilisce che «[l]’autorizzazione concessa conformemente alla procedura del presente regolamento è valida in tutta la Comunità».

46.

Inoltre, l’indicazione, contenuta nel primo considerando di detto regolamento, secondo cui «[l]a libera circolazione degli alimenti e dei mangimi sicuri e sani costituisce un aspetto essenziale del mercato interno e contribuisce in modo significativo alla salute e al benessere dei cittadini, nonché alla realizzazione dei loro interessi sociali ed economici», comporta che, a partire dal momento in cui un prodotto, in conformità delle procedure previste dal medesimo regolamento, sia stato oggetto di una valutazione scientifica che abbia accertato l’assenza di rischi di effetti negativi per l’ambiente o la salute, ed abbia quindi ricevuto l’autorizzazione a essere immesso sul mercato, una simile autorizzazione ha l’effetto di permettere la libera circolazione degli alimenti e dei mangimi in questione all’interno degli Stati membri.

47.

L’impiego e la commercializzazione di sementi delle varietà del mais geneticamente modificato MON 810 sono, in secondo luogo, permessi all’interno dell’Unione in quanto dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune disciplinato dalla direttiva 2002/53.

48.

In base all’undicesimo considerando di tale direttiva, infatti, «[è] necessario che le sementi e le piante alle quali si applica [quest’ultima] possano essere commercializzate liberamente all’interno della Comunità dal momento della loro inserzione nel catalogo comune». L’articolo 16, paragrafo 1, di detta direttiva impone, perciò, agli Stati membri di vigilare «affinché, con effetto a partire dalla data di pubblicazione di cui all’articolo 17, le sementi delle varietà ammesse in applicazione delle disposizioni della presente direttiva o in base a principi corrispondenti a quelli stabiliti dalla presente direttiva non siano soggette ad alcuna restrizione di mercato per quanto concerne la varietà».

49.

Né il regolamento n. 1829/2003 né la direttiva 2002/53 consentono agli Stati membri di aggiungere a livello nazionale un controllo supplementare dei rischi che un OGM può presentare per l’ambiente o per la salute, dal quale dipenda la concessione o il rifiuto, da parte dell’autorità competente di uno Stato membro, di un’autorizzazione alla messa in coltura sul suo territorio. Allo stato attuale del diritto dell’Unione, il sistema che disciplina l’immissione in commercio degli OGM all’interno dell’Unione si basa, pertanto, su un’autorizzazione accordata a livello di Unione che consente di utilizzare e commercializzare liberamente gli OGM interessati sul territorio degli Stati membri. Subordinando in modo sistematico la messa in coltura degli OGM a un’autorizzazione nazionale, l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212/2001 è quindi in contrasto con il sistema creato dalla normativa dell’Unione.

50.

La Corte dovrebbe, pertanto, nella prima fase del suo ragionamento, rispondere al giudice del rinvio che OGM come gli ibridi di mais geneticamente modificati derivati dal mais MON 810, che sono stati autorizzati quali sementi ai fini della coltivazione in applicazione della direttiva 90/220 e che, nel rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003, sono stati notificati in quanto prodotti esistenti e hanno poi costituito oggetto di una domanda di rinnovo dell’autorizzazione in corso d’esame, e che sono stati iscritti nel catalogo comune disciplinato dalla direttiva 2002/53, non possono essere sottoposti a una procedura di autorizzazione nazionale.

51.

Se uno Stato membro individua, dopo il rilascio di un’autorizzazione di un OGM a livello di Unione, un rischio per l’ambiente o per la salute e auspica che detto rischio venga preso in considerazione, deve fare ricorso a una delle procedure previste a tal fine dalla normativa dell’Unione. Se ci atteniamo, viste le circostanze del procedimento principale, alla direttiva 2002/53 e al regolamento n. 1829/2003, dette procedure sono quelle di seguito indicate.

52.

In forza dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2002/53:

«A richiesta di uno Stato membro questo può essere autorizzato (…) a vietare l’impiego, in tutto o in parte del suo territorio, della varietà in questione o a prescrivere le condizioni appropriate di coltivazione della varietà e, nel caso di cui alla lettera c), le condizioni di impiego dei prodotti derivanti dalla sua coltivazione:

a)

qualora sia appurato che la coltivazione di tale varietà possa risultare dannosa dal punto di vista fitosanitario per la coltivazione di altre varietà o specie;

(…)

c)

qualora sussistano valide ragioni, diverse da quelle già indicate o che possono esserlo nel caso della procedura [di iscrizione nel catalogo nazionale delle varietà], per ritenere che la varietà presenta un rischio per la salute umana o l’ambiente».

53.

L’articolo 18 della medesima direttiva prevede peraltro che, «[s]e è accertato che la coltivazione di una varietà, iscritta nel catalogo comune (…), possa[,] in uno Stato membro, nuocere dal punto di vista fitosanitario alla coltivazione di altre varietà o specie, presentare un rischio per l’ambiente o per la salute umana, il suddetto Stato membro può essere autorizzato, su sua richiesta (…), a vietare in tutto o in parte del suo territorio la commercializzazione delle sementi o dei materiali di moltiplicazione di tale varietà. In caso di pericolo imminente di propagazione di organismi nocivi, di pericolo imminente per la salute umana o per l’ambiente, questo divieto può essere fissato dallo Stato membro interessato nella domanda depositata sin[o al] momento della decisione definitiva che dovrà essere presa entro tre mesi».

54.

Per quanto attiene alle procedure previste dal regolamento n. 1829/2003, si deve far riferimento all’articolo 22 di quest’ultimo, che permette, riguardo ai mangimi geneticamente modificati ( 23 ), la modifica, la sospensione e la revoca delle autorizzazioni, su iniziativa dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare o su domanda di uno Stato membro o della Commissione.

55.

Gli Stati membri possono inoltre adottare misure d’emergenza in conformità dell’articolo 34 di detto regolamento, in base al quale, «[q]uando sia manifesto che prodotti autorizzati dal [medesimo] regolamento o conformemente allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente[,] (…) sono adottate misure conformemente alle procedure previste agli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 [ ( 24 )]». Nella citata sentenza Monsanto e a. la Corte ha stabilito che, «ai fini dell’adozione di misure di emergenza, l’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 impone agli Stati membri di dimostrare, oltre all’urgenza, l’esistenza di una situazione in grado di comportare un rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente» ( 25 ).

56.

Di contro, gli Stati membri non possono invocare l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, che, lo ricordiamo, conferisce loro la facoltà di adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, al fine di impedire in maniera generalizzata la messa in coltura sul loro territorio di un OGM autorizzato ai sensi del regolamento n. 1829/2003 e iscritto nel catalogo comune in conformità della direttiva 2002/53. La finalità delle misure volte a garantire la coesistenza delle diverse colture deve, a tal proposito, essere distinta chiaramente dallo scopo delle procedure prima descritte nel dettaglio.

57.

Come precisato nelle raccomandazioni del 23 luglio 2003 e del 13 luglio 2010, le misure di coesistenza sono volte a mantenere la diversità delle forme di agricoltura per permettere, da una parte, ai produttori di scegliere quali tipi di colture intendono privilegiare e, dall’altra, ai consumatori di scegliere quali tipi di alimenti, geneticamente modificati o non, preferiscono consumare. L’esercizio effettivo di tali scelte dipende dall’adozione di misure che garantiscano l’esistenza di filiere di produzione separate.

58.

Mirando a evitare la presenza involontaria di OGM negli altri prodotti, le misure di coesistenza consentono, inoltre, di prevenire il pregiudizio economico potenziale che potrebbe risultare a carico dei produttori di colture convenzionali e biologiche, in particolare nel caso di superamento del valore soglia a partire dal quale la presenza di OGM deve essere segnalata nell’etichettatura.

59.

Le misure di coesistenza previste all’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 hanno, in quest’ottica, per obiettivo principale quello di permettere alle diverse forme di agricoltura di coesistere. Come indicato sopra, tali misure possono consistere nel fissare distanze di isolamento tra i campi destinati alla coltura degli OGM e quelli destinati alle colture convenzionali o biologiche, nella creazione di zone cuscinetto, nell’installazione di barriere per il polline o, ancora, nell’applicazione di sistemi di rotazione colturale.

60.

Ispirato dalla preoccupazione di garantire le migliori condizioni possibili di coesistenza tra i differenti tipi di colture, e non da quella di escludere in modo generalizzato un determinato tipo di coltura per motivi legati alla tutela della salute o dell’ambiente, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 si distingue pertanto nettamente dalle procedure che permettono agli Stati membri di opporsi, per tali ragioni, alla coltura di un OGM sul loro territorio.

61.

Certamente non è escluso che, in considerazione delle caratteristiche proprie di una zona geografica, quali le condizioni climatiche, la topografia, i modelli produttivi e i sistemi di rotazione delle colture o le strutture aziendali, la sola adozione di misure tecniche possa rivelarsi insufficiente per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali o biologiche. In una tale situazione, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 potrebbe essere interpretato nel senso che esso consente a uno Stato membro di vietare la coltura di OGM all’interno di una zona precisa del suo territorio ( 26 ). In conformità del principio di proporzionalità, una tale possibilità sarà tuttavia subordinata alla rigorosa dimostrazione del fatto che altre misure non sarebbero sufficienti per controllare, nel medesimo contesto, la presenza di OGM all’interno delle colture convenzionali o biologiche vicine.

62.

Al di fuori di questa ipotesi particolare e in mancanza di una tale dimostrazione, uno Stato membro non può invocare l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 per impedire la messa in coltura sul suo territorio di OGM autorizzati ai sensi del regolamento n. 1829/2003 e iscritti nel catalogo comune in conformità della direttiva 2002/53.

63.

Alla luce di dette osservazioni, relative alla portata che occorre, a mio avviso, riconoscere all’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, ritengo che detto articolo non permetta neppure a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di un OGM in attesa dell’adozione, a livello nazionale, regionale o locale, di misure di coesistenza.

64.

Oltre al fatto che, ai sensi dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, l’adozione da parte degli Stati membri di misure di coesistenza è solo facoltativa, si deve sottolineare che ammettere il contrario significherebbe aggiungere una condizione supplementare all’immissione in commercio di un OGM autorizzato a livello di Unione, la quale dipenderebbe dalla sollecitudine degli Stati membri nell’adottare eventuali misure di coesistenza, in contrasto con il sistema istituito dal regolamento n. 1829/2003.

65.

Una simile interpretazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 avrebbe peraltro l’effetto di permettere agli Stati membri di vietare la messa in coltura sul loro territorio di un OGM autorizzato ai sensi del regolamento n. 1829/2003 e iscritto nel catalogo comune in conformità della direttiva 2002/53 al di fuori delle procedure appositamente previste da questi due testi normativi e costituirebbe, così, un agile strumento per eludere tali procedure.

66.

In applicazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, gli Stati membri continuano, ovviamente, a poter adottare in ogni momento, nel rispetto del principio di proporzionalità, a livello vuoi nazionale vuoi regionale o locale, le misure volte a garantire la coesistenza delle colture geneticamente modificate, convenzionali e biologiche. Tuttavia, essi non possono addurre la mancata previsione e attuazione da parte loro di misure di coesistenza, seppur per ragioni di ripartizione interna delle competenze, per impedire, nelle more, la messa in coltura sul loro territorio di un OGM autorizzato ai sensi del regolamento n. 1829/2003 e iscritto nel catalogo comune in conformità della direttiva 2002/53.

67.

Alla luce degli elementi esposti propongo, quindi, alla Corte di rispondere al giudice del rinvio che l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro, nelle more dell’adozione, a livello nazionale, regionale o locale, di misure volte a evitare la presenza involontaria di OGM in altre colture, si opponga alla coltivazione sul suo territorio di un OGM autorizzato ai sensi del regolamento n. 1829/2003 e iscritto nel catalogo comune in conformità della direttiva 2002/53.

III – Conclusione

68.

Tutto ciò considerato, propongo alla Corte di rispondere nella maniera seguente al Consiglio di Stato:

«Organismi geneticamente modificati come gli ibridi di mais geneticamente modificati derivati dal mais MON 810, che sono stati autorizzati quali sementi ai fini della coltivazione in applicazione della direttiva 90/220/CE del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, e che, nel rispetto delle condizioni enunciate all’articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, sono stati notificati in quanto prodotti esistenti e hanno poi costituito oggetto di una domanda di rinnovo dell’autorizzazione in corso d’esame, e che sono stati iscritti nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, come modificata dal regolamento n. 1829/2003, non possono essere sottoposti a una procedura di autorizzazione nazionale.

L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro, nelle more dell’adozione, a livello nazionale, regionale o locale, di misure volte a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture, si opponga alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati».


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) In prosieguo: gli «OGM».

( 3 ) V. la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, del 13 luglio 2010, sulla libertà per gli Stati membri di decidere in merito alla coltivazione di colture geneticamente modificate [COM(2010) 380 def.], e la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio, presentata dalla Commissione europea il 13 luglio 2010 [COM(2010) 375 def.]. V. altresì la risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 5 luglio 2011 relativa a detta proposta. Quest’ultima ha per oggetto di permettere agli Stati membri di addurre motivi diversi dalla valutazione scientifica dei rischi ambientali e sanitari per vietare o limitare la coltivazione degli OGM sul loro territorio. Molti Stati membri hanno manifestato la loro ferma opposizione a tale proposta della Commissione, cosicché la Presidenza danese dell’Unione europea sta attualmente cercando di addivenire a un compromesso che possa essere accettato dagli Stati membri.

( 4 ) GU L 106, pag. 1.

( 5 ) GU L 81, pag. 45; in prosieguo: la «direttiva 2001/18».

( 6 ) GU L 189, pag. 36; in prosieguo: la «raccomandazione del 23 luglio 2003».

( 7 ) GU C 200, pag. 1; in prosieguo: la «raccomandazione del 13 luglio 2010».

( 8 ) Questo pregiudizio economico, in particolare, può essere il risultato di un obbligo di etichettatura che segnali la presenza di OGM nel prodotto in caso di superamento del valore soglia dello 0,9%.

( 9 ) Per un’analisi complessiva della problematica, v., in particolare, Rosso Grossman, M., «Coexistence of Genetically Modified, Conventional, and Organic Crops in the European Union: The Community Framework», The Regulation of Genetically Modified Organisms: Comparative Approaches, Oxford University Press, 2010, pag. 123.

( 10 ) V. il catalogo indicativo di misure per la coesistenza contenuto al punto 3 dell’allegato alla raccomandazione del 23 luglio 2003.

( 11 ) Direttiva del Consiglio, del 13 giugno 2002 (GU L 193, pag. 1), come modificata dal regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 2002/53»).

( 12 ) In prosieguo: la «Monsanto Europe».

( 13 ) Decisione della Commissione, del 22 aprile 1998, concernente l’immissione in commercio di granturco geneticamente modificato (Zea mays L. Linea MON 810) a norma della direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 131, pag. 32).

( 14 ) Direttiva del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (GU L 117, pag. 15).

( 15 ) Dal momento che il mais MON 810 è una varietà di mais geneticamente modificato che sembra essere impiegata prevalentemente per l’alimentazione degli animali, mi concentrerò nel prosieguo unicamente sulla sezione 1 del capo III del regolamento n. 1829/2003, che si riferisce all’autorizzazione e alla vigilanza riguardo ai mangimi geneticamente modificati. Occorre tuttavia precisare che la Monsanto Europe ha anche notificato alla Commissione come «prodotto esistente» il mais MON 810 in applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettere a) e b), di detto regolamento, il quale rientra nella sezione 1 del capo II di quest’ultimo, dedicata all’autorizzazione e alla sorveglianza riguardo agli alimenti geneticamente modificati. Nei limiti in cui le disposizioni contenute nella sezione 1 del capo II del regolamento n. 1829/2003 e quelle contenute nella sezione 1 del capo III dello stesso regolamento sono simili, il fatto di riferirsi unicamente alle disposizioni contenute in quest’ultima sezione non influisce sul ragionamento.

( 16 ) Da C-58/10 a C-68/10, Racc. pag. I-7763.

( 17 ) Punto 55.

( 18 ) La priorità riconosciuta alla normativa settoriale, in conformità a quanto previsto all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2001/18, non riguarda il suo articolo 26 bis.

( 19 ) GURI n. 131, dell’8 giugno 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 212/2001».

( 20 ) L’articolo 1, comma 5, del decreto legislativo n. 212/2001 enuncia, inoltre, che «chi mette in coltura prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate senza l’autorizzazione di cui al comma 2 è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni o dell’ammenda fino a 100 milioni di lire. La stessa sanzione si applica in caso di revoca o di sospensione dell’autorizzazione».

( 21 ) GURI n. 280, del 29 novembre 2004.

( 22 ) GURI n. 22, del 28 gennaio 2005; in prosieguo: il «decreto legge n. 279».

( 23 ) Le disposizioni applicabili agli alimenti geneticamente modificati sono contenute nell’articolo 10 del regolamento n. 1829/2003.

( 24 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1).

( 25 ) Punto 81.

( 26 ) V., in questo senso, la raccomandazione del 23 luglio 2003 (punto 2.1.5) e, in termini più espliciti, la raccomandazione del 13 luglio 2010 (punto 2.4).