Causa C‑288/10

Wamo BVBA

contro

JBC NV

e

Modemakers Fashion NV

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank van koophandel te Dendermonde)

«Art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura — Direttiva 2005/29/CE — Pratiche commerciali sleali — Normativa nazionale che vieta gli annunci di riduzione di prezzo e quelli che alludono a tale riduzione»

Massime dell’ordinanza

Ravvicinamento delle legislazioni — Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori — Direttiva 2005/29

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2005/29)

La direttiva 2005/29, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione nazionale la quale preveda un divieto generale di annunci di riduzione di prezzi e di quelli che alludono ad una riduzione siffatta nel corso del periodo precedente a quello delle vendite in saldo, nei limiti in cui detta disposizione persegua finalità dirette alla tutela dei consumatori. Spetta al giudice del rinvio valutare se ciò avvenga nella causa principale.

Dal momento che la direttiva 2005/29 opera un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, gli Stati membri non possono adottare, come previsto espressamente dall’art. 4 di quest’ultima, misure più restrittive di quelle definite da detta direttiva, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori.

La stessa direttiva stabilisce, al suo allegato I, un elenco tassativo di 31 pratiche commerciali che, ai sensi dell’art. 5, n. 5, di tale direttiva, sono considerate sleali «in ogni caso». Di conseguenza, come precisa espressamente il diciassettesimo ‘considerando’ di detta direttiva, tali pratiche commerciali sono le uniche che possono essere considerate sleali senza costituire oggetto di una valutazione caso per caso ai sensi delle disposizioni degli artt. 5‑9 della direttiva di cui trattasi.

Orbene, pratiche consistenti nell’annunciare ai consumatori riduzioni di prezzi non figurano all’allegato I della direttiva 2005/29. Pertanto, non possono essere vietate in ogni caso, ma solo in esito ad un’analisi specifica che ne consenta di stabilire il carattere sleale.

(v. punti 28, 33, 37-38, 40 e dispositivo)







ORDINANZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

30 giugno 2011 (*)

«Art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Normativa nazionale che vieta gli annunci di riduzione di prezzo e quelli che alludono a tale riduzione»

Nel procedimento C‑288/10,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal rechtbank van koophandel te Dendermonde (Belgio), con decisione del 2 giugno 2010, pervenuta in cancelleria il 10 giugno 2010, nella causa

Wamo BVBA

contro

JBC NV,

Modemakers Fashion NV,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, dai sigg. J.-J. Kasel, A. Borg Barthet, E. Levits e M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. A. Calot Escobar

intendendo statuire con ordinanza motivata in conformità dell’art. 104, n. 3, primo comma, del suo regolamento di procedura,

sentito l’avvocato generale,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da una parte, la Wamo BVBA (in prosieguo: la «Wamo»), la quale gestisce la catena di negozi di abbigliamento ZEB, e, dall’altra, la JBC NV e la Modemakers Fashion NV, due imprese che gestiscono negozi concorrenti, in merito ad annunci di riduzione di prezzo inviati dalla Wamo ai suoi clienti.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’Unione

3        Il sesto, l’ottavo e il diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva sulle pratiche commerciali sleali enunciano quanto segue:

«(6)      La presente direttiva ravvicina (…) le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi. (…). Essa non riguarda e lascia impregiudicate le legislazioni nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra professionisti. Tenuto pienamente conto del principio di sussidiarietà, gli Stati membri, ove lo desiderino, continueranno a poter disciplinare tali pratiche, conformemente alla normativa comunitaria. (…).

(...)

(8)      La presente direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori. (…)

(...)

(17)      È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

4        L’art. 1 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali così dispone:

«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

5        L’art. 2 di tale direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...);

d)      “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate: “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(...)».

6        L’art. 3, n. 1, della suddetta direttiva dispone quanto segue:

«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

7        Ai sensi dell’art. 4 della stessa direttiva:

«Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva».

8        L’art. 5 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, recante il titolo «Divieto delle pratiche commerciali sleali», è formulato nel seguente modo:

«1.      Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.      Una pratica commerciale è sleale se:

a)      è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)      [è] falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

(...)

4.      In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

a)      ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7,

o

b)      aggressive di cui agli articoli 8 e 9.

5.      L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

 Il diritto nazionale

9        L’art. 49 della legge 14 luglio 1991 sulle pratiche commerciali e sull’informazione e la tutela dei consumatori (Belgisch Staatsblad 29 agosto 1991; in prosieguo: la «LPPC»), è così redatto:

«Per l’applicazione della presente legge, si deve intendere per vendita in saldo qualunque offerta di vendita o vendita al consumatore che viene praticata ai fini del rinnovo stagionale dell’assortimento di un venditore tramite lo smaltimento accelerato e a prezzi ridotti di prodotti, annunciata con la denominazione “Saldi”, “Opruiming”, “Solden” o “Schlussverkauf”, o con qualsiasi altra denominazione equivalente».

10      L’art. 52, n. 1, della LPPC stabilisce quanto segue:

«Nei settori dell’abbigliamento, degli articoli in cuoio, di pelletteria e delle calzature, le [vendite in saldo] possono avere luogo solamente nel periodo compreso tra il 3 gennaio e il 31 gennaio incluso e tra il 1° luglio e il 31 luglio compreso. (...)».

11      L’art. 53 della LPPC dispone nei seguenti termini:

«1.       Durante i periodi precedenti ai saldi dal 15 novembre al 2 gennaio incluso e dal 15 maggio al 30 giugno incluso, per i settori di cui all’art. 52, n. 1, è vietato effettuare annunci di riduzioni di prezzi e altresì quelli che alludono alle dette riduzioni, (...) indipendentemente dal luogo o dai mezzi di comunicazione applicati.

(...).

Prima di un periodo precedente ai saldi, è vietato effettuare annunci o allusioni a riduzioni di prezzi che abbiano effetto durante tale periodo.

Senza pregiudizio delle disposizioni dell’art. 48, n. 4, le vendite di liquidazione effettuate in un periodo precedente ai saldi non possono essere accompagnate da un annuncio di riduzioni di prezzi tranne nei casi e alle condizioni che il Re determina.

2.       I decreti adottati in applicazione dell’art. 52, n. 2, menzionano i periodi precedenti ai saldi durante i quali si applica il divieto di cui al n. 1.

In mancanza di normativa ai sensi dell’art. 52, n. 2, il divieto previsto al n. 1 si applica altresì alle [vendite in saldo] contemplate da detto art. 52, n. 2.

(...).

4.       Il divieto di annuncio di riduzioni di prezzi stabilito nei nn. 1 e 2 non è applicabile alle vendite di prodotti effettuate nel corso di manifestazioni commerciali occasionali, di una durata massima di quattro giorni, organizzate una sola volta all’anno da raggruppamenti locali di venditori o con la loro partecipazione.

Il Re può fissare le condizioni in cui dette manifestazioni possono essere organizzate».

12      La LPPC è stata abrogata dalla legge 6 aprile 2010 relativa alle pratiche del mercato e alla tutela del consumatore (Belgisch Staatsblad 12 aprile 2010, pag. 20803). Tale legge è entrata in vigore il 12 maggio 2010 e prevede, all’art. 32, una disposizione avente la stessa natura dell’art. 53 della LPPC.

 Causa principale e questione pregiudiziale

13      Nel mese di dicembre del 2009, la Wamo ha trasmesso un invito ad alcuni suoi clienti ai fini di una vendita privata nei suoi negozi dal 18 al 20 dicembre 2009 incluso. In tale invito era precisato che i clienti selezionati, presentando la loro carta fedeltà, avrebbero potuto beneficiare in questi tre giorni di prezzi fortemente ridotti.

14      Il 18 dicembre 2009 la JBC NV e la Modemakers Fashion NV hanno chiesto al rechtbank van koophandel te Dendermonde (Tribunale commerciale di Dendermonde) di dichiarare che tale invito costituiva un annuncio vietato dall’art. 53 della LPPC. Con ordinanza emessa lo stesso giorno, detto giudice ha vietato alla Wamo di praticare una qualsiasi riduzione di prezzi nei suoi negozi fino al 1° gennaio 2010, pena l’imposizione di un’ammenda pari a EUR 2 500 per ogni infrazione constatata.

15      La Wamo ha proposto una terza opposizione avverso detta ordinanza, facendo valere che l’art. 53 della LPPC, da un lato, vieta non la concessione di riduzioni, bensì i messaggi pubblicitari che annunciano riduzioni siffatte e, dall’altro, che tale disposizione è comunque contraria alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali e, pertanto, non può essere applicata.

16      Ritenendo che la soluzione della controversia di cui è adito dipendesse dall’interpretazione di detta direttiva, il rechtbank van koophandel te Dendermonde ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la [direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali] osti ad una disposizione nazionale, come quella di cui all’art. 53 della [LPPC], che vieta annunci di diminuzioni di prezzo e allusioni al riguardo nel corso di periodi determinati».

 Sulla questione pregiudiziale

17      Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che preveda un divieto generale, durante il periodo precedente a quello delle vendite in saldo, in determinati settori, di procedere ad annunci di riduzione di prezzi e di quelli che alludono a tale riduzione.

18      Ai sensi dell’art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, laddove la soluzione di una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata contenente riferimento alla giurisprudenza di cui trattasi.

19      La Corte ritiene che ciò si verifichi nella presente causa nei limiti in cui la soluzione di una questione sottoposta può essere chiaramente desunta, in particolare, dalle sentenze 14 gennaio 2010, causa C‑304/08, Plus Warenhandelsgesellschaft (Racc. pag. I‑217, punti 35-51), e 9 novembre 2010, causa C‑540/08, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag (Racc. pag. I‑10909, punti 15-38).

20      Per risolvere la questione sottoposta, occorre determinare, in via preliminare, se l’art. 53, n. 1, della LPPC, il quale costituisce ratione temporis la disposizione applicabile ai fatti della causa principale, persegua finalità attinenti alla tutela dei consumatori, in modo da poter rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali.

21      Infatti, conformemente al suo ottavo ‘considerando’, detta direttiva «tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori» e garantisce, come stabilisce in particolare il suo art. 1, «un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori» (citata sentenza Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 24).

22      Per contro, sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, conformemente al sesto ‘considerando’ di quest’ultima, le legislazioni nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledono «unicamente» gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra professionisti (v. citate sentenze Plus Warenhandelsgesellschaft, punto 39, e Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 21).

23      In proposito, occorre rilevare che le finalità dell’art. 53, n. 1, della LPPC non risultano espressamente dalla decisione di rinvio.

24      Infatti, in primo luogo, il rechtbank van koophandel te Dendermonde, il quale si riferisce in particolare alla sentenza dell’Arbitragehof (Corte di arbitrato del Belgio) 2 marzo 1995, emessa oltre dieci anni prima dell’adozione della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali, si limita a segnalare che, «nel passato», il periodo di astensione dalle comunicazioni precedente ai saldi previsto da detta disposizione perseguiva un duplice obiettivo, vale a dire, da un lato, garantire la trasparenza dei prezzi applicati immediatamente prima e durante il periodo dei saldi, a beneficio della tutela dei consumatori, e, dall’altro, garantire l’uguaglianza delle possibilità di vendita tra i commercianti e tutelare l’esistenza dei piccoli commercianti.

25      In secondo luogo, a parere del giudice del rinvio, per giustificare il divieto di cui all’art. 53, n. 1, della LPPC, si deve verificare se tale provvedimento «possa contribuire effettivamente alla tutela del consumatore».

26      In tal senso, la decisione di rinvio non consente di stabilire se l’art. 53, n. 1, della LPPC persegua effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori.

27      Orbene, va ricordato che non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione del diritto interno, dato che tale compito incombe esclusivamente al giudice del rinvio. Infatti, la Corte è tenuta a prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal provvedimento di rinvio (ordinanza 24 aprile 2009, causa C‑519/08, Koukou, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata).

28      Pertanto, spetta al giudice del rinvio e non alla Corte stabilire se la disposizione nazionale di cui trattasi nella causa principale persegua effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori al fine di verificare se una siffatta disposizione possa rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali.

29      Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio pervenisse ad una siffatta conclusione, occorre poi determinare se gli annunci di riduzione di prezzi e quelli che alludono a tale riduzione, oggetto del divieto in questione nella causa principale, costituiscano pratiche commerciali ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali e siano, pertanto, soggetti alle prescrizioni sancite da quest’ultima (v., in tal senso, citate sentenze Plus Warenhandelsgesellschaft, punto 35, e Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 16).

30      Al riguardo, occorre rilevare che l’art. 2, lett. d), della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali definisce, impiegando una formulazione particolarmente estesa, la nozione di «pratica commerciale» come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» (citate sentenze Plus Warenhandelsgesellschaft, punto 36, e Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 17).

31      Orbene, campagne promozionali, come quelle oggetto della causa principale, il cui obiettivo consiste nell’attirare consumatori nei locali commerciali di un commerciante si iscrivono chiaramente nel contesto della strategia commerciale di un operatore e sono rivolte direttamente alla promozione e all’incremento delle sue vendite. Ne discende che esse configurano pratiche commerciali ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali e ricadono, conseguentemente, nel suo ambito di applicazione ratione materiae (v., in tal senso, citata sentenza Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 18 e la giurisprudenza ivi citata).

32      Ciò premesso, si deve verificare se la direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali osti a un divieto di annunciare riduzioni di prezzi, come quello previsto dall’art. 53, n. 1, della LPPC.

33      In proposito, occorre rammentare anzitutto che, dato che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali realizza un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, gli Stati membri non possono adottare, come previsto espressamente dall’art. 4 di quest’ultima, misure più restrittive di quelle definite da detta direttiva, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori (citata sentenza Plus Warenhandelsgesellschaft, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).

34      Inoltre, occorre altresì rilevare che l’art. 5 di detta direttiva enuncia i criteri che consentono di determinare le circostanze in cui una pratica commerciale deve essere considerata sleale e, pertanto, vietata.

35      In tal senso, conformemente al n. 2 di tale articolo, una pratica commerciale è sleale se è contraria alle norme di diligenza professionale e falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio.

36      Inoltre, l’art. 5, n. 4, della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali definisce due categorie precise di pratiche commerciali sleali, vale a dire le «pratiche ingannevoli» e le «pratiche aggressive» che soddisfano i criteri specificati, rispettivamente, agli artt. 6 e 7 nonché 8 e 9 di tale direttiva.

37      Infine, la stessa direttiva stabilisce, al suo allegato I, un elenco tassativo di 31 pratiche commerciali che, ai sensi dell’art. 5, n. 5, di tale direttiva, sono considerate sleali «in ogni caso». Di conseguenza, come precisa espressamente il diciassettesimo ‘considerando’ di detta direttiva, tali pratiche commerciali sono le uniche che possono essere considerate sleali senza costituire oggetto di una valutazione caso per caso ai sensi delle disposizioni degli artt. 5‑9 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (citate sentenze Plus Warenhandelsgesellschaft, punto 45, e Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 34).

38      Quanto alla legislazione nazionale oggetto della causa principale, è pacifico che pratiche consistenti nell’annunciare ai consumatori riduzioni di prezzi non figurano all’allegato I della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali. Pertanto, non possono essere vietate in ogni caso, ma solo in esito ad un’analisi specifica che ne consenta di stabilire il carattere sleale (v., in tal senso, citata sentenza Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 35).

39      Tuttavia, è giocoforza constatare che l’art. 53, n. 1, della LPPC vieta in generale gli annunci di riduzione di prezzi e quelli che alludono ad una riduzione siffatta, senza che sia necessario determinare, con riguardo al contesto di fatto di ciascun caso di specie, se l’operazione commerciale in questione presenti carattere «sleale» alla luce dei criteri sanciti dagli artt. 5‑9 della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali (v., in tal senso, citate sentenze Plus Warenhandelsgesellschaft, punto 48, e Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag, punto 36).

40      Ciò considerato, la questione sottoposta va risolta dichiarando che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, la quale preveda un divieto generale di annunci di riduzione di prezzi e di quelli che alludono ad una riduzione siffatta nel corso del periodo precedente a quello delle vendite in saldo, nei limiti in cui detta disposizione persegua finalità dirette alla tutela dei consumatori. Spetta al giudice del rinvio valutare se ciò avvenga nella causa principale.

 Sulle spese

41      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, la quale preveda un divieto generale di annunci di riduzione di prezzi e di quelli che alludono ad una riduzione siffatta nel corso del periodo precedente a quello delle vendite in saldo, nei limiti in cui detta disposizione persegua finalità dirette alla tutela dei consumatori. Spetta al giudice del rinvio valutare se ciò avvenga nella causa principale.

Firme


* Lingua processuale: l’olandese.