17.7.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/9


Impugnazione proposta il 7 maggio 2010 dalla Artegodan GmbH avverso la sentenza del Tribunale (Sesta Sezione) 3 marzo 2010, causa T-429/05, Artegodan GmbH/Commissione europea, altra parte nel procedimento: Repubblica federale di Germania

(Causa C-221/10 P)

2010/C 195/14

Lingua processuale: il tedesco

Parti

Ricorrente: Artegodan GmbH (rappresentanti: avv. ti U. Reese e A. Meyer-Sandrock)

Altra parte nel procedimento: Commissione europea, Repubblica federale di Germania

Conclusioni della ricorrente

La ricorrente conclude che la Corte voglia:

annullare la sentenza del Tribunale 3 marzo 2010, causa T-429/05;

condannare la convenuta a versare alla ricorrente l’importo di EUR 1 430 821,36 maggiorato degli interessi, fissati forfetariamente all’8%, per il periodo compreso tra il giorno di pronuncia della sentenza e l’integrale versamento; in subordine, rinviare la causa al Tribunale perché determini il quantum di tale diritto;

dichiarare che la convenuta è tenuta a risarcire alla ricorrente tutti i danni che essa subirà ancora in futuro a causa delle spese di marketing necessarie a far recuperare al Tenuate Retard la posizione sul mercato detenuta prima del ritiro dell’autorizzazione all’immissione in commercio di tale medicinale;

condannare la convenuta alle spese.

Motivi e principali argomenti

Con sentenza 3 marzo 2010 il Tribunale dell’Unione europea ha respinto il ricorso proposto dalla ricorrente inteso ad ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’illegittima revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale. Il ricorso è stato respinto sulla base del rilievo che la Commissione non avrebbe commesso una violazione qualificata delle disposizioni di diritto comunitario. La violazione delle norme in materia di competenza non potrebbe determinare il sorgere di alcuna responsabilità, dal momento che tali norme non sarebbero preordinate alla tutela degli interessi economici delle imprese. Per di più, la normativa rilevante rappresentata dall’art. 11 della direttiva 65/65 sarebbe imprecisa. La mancanza di precedenti a tal riguardo potrebbe ragionevolmente spiegare l’errore di diritto commesso dalla Commissione. Inoltre, occorrerebbe prendere in considerazione la complessità dell’esame del parere medico-tecnico. In definitiva, le valutazioni di diritto e di fatto da compiersi sarebbero state talmente complesse che la violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 non potrebbe essere ritenuta una violazione sufficientemente qualificata.

Con la sua impugnazione la ricorrente fa valere che le norme in materia di competenza, che limitano la competenza alla revoca di cui dispongono le istituzioni europee incidendo su posizioni giuridiche esistenti, sono finalizzate a tutelare i diritti dei singoli e delle imprese. A suo avviso, la violazione delle norme in materia di competenza avrebbe dovuto essere presa in considerazione nella valutazione della sussistenza di una violazione qualificata.

Si dovrebbe poi tener conto del fatto che la Commissione nell’adottare la sua decisione non avrebbe disposto di alcun margine di discrezionalità. Inoltre, la Commissione non si sarebbe limitata ad adottare una norma astratta, ma avrebbe revocato in modo mirato alla ricorrente una posizione giuridica esistente, attraverso un’azione amministrativa. I danni subiti dalla ricorrente, quindi, non deriverebbero soltanto dalle conseguenze indirette o dirette dell’adozione di una norma astratta, ma costituirebbero la finalità e il contenuto dello stesso provvedimento amministrativo concreto. La ricorrente pertanto ritiene che la Commissione avrebbe dovuto valutare in modo particolarmente accurato se la revoca dell’autorizzazione si fondasse su una base sufficiente.

A ciò non si opporrebbero il principio di preminenza della tutela della salute e la particolare importanza del principio di precauzione. Secondo la ricorrente, è pur vero che tali principi potrebbero giustificare inizialmente l’adozione e l’imposizione di provvedimenti sfavorevoli nei confronti delle imprese, anche in presenza di una situazione di fatto incerta. Tuttavia, al fine di stabilire l’equilibrio proprio dello Stato di diritto e la tutela del principio di proporzionalità, il diritto secondario dovrebbe poter consentire un’adeguata compensazione del danno.

Ciò non potrebbe essere contestato dal fatto che l’esclusione della tutela del diritto derivato sarebbe necessaria affinché il principio di precauzione possa trovare effettiva attuazione. In circostanze come quelle di cui trattasi, la Commissione, infatti, non disporrebbe di alcun potere discrezionale. In tali casi, l’applicazione del principio di precauzione non rischierebbe a priori di essere compromessa dalle possibili conseguenze connesse alla responsabilità.

Del pari, l’imprecisione della disposizione di cui all’art. 11 della direttiva 65/65 non potrebbe essere addotta al fine di escludere il diritto al risarcimento. Infatti, la ricorrente ritiene che è la Comunità, e non l’impresa in questione, a dover rispondere di un’eventuale imprecisione. La Comunità non potrebbe respingere domande di risarcimento di danno adducendo il fatto che essa, violando i suoi obblighi, non ha adottato norme sufficientemente chiare e univoche.

Neppure l’assenza di precedenti potrebbe esonerarla dalla sua responsabilità. Alle istituzioni comunitarie non spetterebbe alcun privilegio in materia di diritto della responsabilità nel senso di un “diritto a un primo errore”. Inoltre, il Tribunale avrebbe già pronunciato una sentenza definitiva in cui dichiarava che la decisione della Commissione era illegale dal punto di vista formale e materiale. Pertanto, nel momento in cui tale decisione è stata eseguita, esisteva già un precedente.

Anche la complessità della situazione di fatto e di diritto non sarebbe stata sufficiente, da sola, ad escludere la sussistenza di una violazione qualificata. Ciò varrebbe in ogni caso nei confronti di un’azione puramente amministrativa senza alcun margine discrezionale e di manovra che pregiudica in modo mirato posizioni giuridiche esistenti e causa danni materiali considerevoli in modo diretto e prevedibile.

Inoltre, le autorità competenti per le questioni attinenti al diritto relativo ai medicinali possiederebbero la competenza in materia e giuridica corrispondente. Di conseguenza, una complessità soltanto media, che è caratteristica di discussioni sul profilo della sicurezza e dell’efficacia dei medicinali, non potrebbe essere sufficiente ad escludere la sussistenza di una violazione qualificata.