SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

2 febbraio 2012 ( *1 )

«Impugnazione — Dumping — Regolamento (CE) n. 1472/2006 — Importazioni di calzature con tomaie in cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam — Regolamento (CE) n. 384/96 — Articoli 2, paragrafo 7, 9, paragrafo 5, e 17, paragrafo 3 — Status di impresa operante in economia di mercato — Trattamento individuale — Campionamento»

Nella causa C-249/10 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 18 maggio 2010,

Brosmann Footwear (HK) Ltd, con sede in Kowloon (Cina),

Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, con sede in Zhongshan (Cina),

Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd, con sede in Guangzhou (Cina),

Risen Footwear (HK) Co. Ltd, con sede in Kowloon,

rappresentate da L. Ruessmann, A. Willems, S. De Knop e C. Dackö, avocats,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da J.-P. Hix e R. Szostak, in qualità di agenti, assistiti da G. Berrisch, Rechtsanwalt, e da N. Chesaites, barrister,

convenuto in primo grado,

Commissione europea, rappresentata da T. Scharf e H. van Vliet, in qualità di agenti,

Confederazione europea dell’industria calzaturiera (CEC),

intervenienti in primo grado,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. J. Malenovský, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. G. Arestis (relatore) e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 25 maggio 2011,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 settembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la loro impugnazione la Brosmann Footwear (HK) Ltd (in prosieguo: la «Brosmann»), la Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, la Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd (in prosieguo: la «Lung Pao») e la Risen Footwear (HK) Co. Ltd, chiedono alla Corte di annullare la sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 4 marzo 2010, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T-401/06, Racc. pag. II-671; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui à stato respinto il loro ricorso diretto all’annullamento parziale del regolamento (CE) n. 1472/2006 del Consiglio, del 5 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»).

Contesto normativo

2

Le disposizioni che disciplinano l’applicazione di misure antidumping da parte dell’Unione europea sono contenute nel regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004 (GU L 77, pag. 12; in prosieguo: il «regolamento di base»).

3

Quanto alle condizioni per la concessione dello status di impresa operante in economia di mercato (in prosieguo: il «SEM»), l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base così statuisce:

a)

Nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un’economia di mercato, (...) il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure al prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi; compresa la Comunità, oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nella Comunità per un prodotto simile, se necessario debitamente adeguato per includere un equo margine di profitto.

Un paese terzo ad economia di mercato viene opportunamente selezionato, tenendo debitamente conto di tutte le informazioni attendibili di cui si disponga al momento della scelta. Si deve inoltre tener conto dei termini e, se lo si ritiene opportuno, viene utilizzato un paese terzo ad economia di mercato sottoposto alla stessa inchiesta.

Le parti interessate sono informate subito dopo l’apertura dell’inchiesta in merito al paese terzo ad economia di mercato che si prevede di utilizzare e hanno dieci giorni di tempo per presentare osservazioni.

b)

Nel caso di inchieste relative ad importazioni in provenienza dalla Repubblica popolare cinese, (...) il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta (...) sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. Qualora ciò non sia possibile, si applica il regime di cui alla lettera a).

c)

La domanda di cui alla lettera b) dev’essere fatta per iscritto e deve contenere prove sufficienti in ordine al fatto che il produttore opera in condizioni di economia di mercato. Ciò si verifica quando:

le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi, inclusi ad esempio le materie prime, le spese per gli impianti tecnologici e la manodopera, la produzione, le vendite e gli investimenti, vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali, ed i costi dei principali mezzi di produzione riflettano nel complesso i valori di mercato;

le imprese dispongano di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile indipendente e che siano d’applicazione in ogni caso in linea con le norme internazionali in materia di contabilità;

i costi di produzione e la situazione finanziaria delle imprese non siano soggette a distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato relativamente alle svalutazioni anche degli attivi, alle passività di altro genere, al commercio di scambio e ai pagamenti effettuati mediante compensazione dei debiti;

le imprese in questione siano soggette a leggi in materia fallimentare e di proprietà che garantiscano certezza del diritto e stabilità per la loro attività,

e

le conversioni del tasso di cambio siano effettuate ai tassi di mercato.

Si procede ad un accertamento se il produttore soddisfa i criteri summenzionati entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, dopo aver sentito il comitato consultivo e dopo aver dato all’industria comunitaria la possibilità di presentare osservazioni. Quest’accertamento resta valido durante l’inchiesta».

4

L’articolo 3 del regolamento di base, intitolato «Accertamento di un pregiudizio», ai suoi paragrafi 1, 2 e 7, dispone quanto segue:

«1.   Ai fini del presente regolamento si intende per pregiudizio, salvo altrimenti disposto, un pregiudizio grave, la minaccia di pregiudizio grave a danno dell’industria comunitaria, oppure un grave ritardo nella creazione di tale industria. Il termine è interpretato in conformità con le disposizioni del presente articolo.

2.   L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

(…)

7.   Oltre alle importazioni oggetto di dumping, vengono esaminati i fattori noti che contemporaneamente causano pregiudizio all’industria comunitaria per evitare che il pregiudizio dovuto a tali fattori sia attribuito alle importazioni oggetto di dumping a norma del paragrafo 6. I fattori che possono essere presi in considerazione a questo proposito comprendono, tra l’altro, il volume e i prezzi delle importazioni non vendute a prezzi di dumping, la contrazione della domanda oppure le variazioni dell’andamento dei consumi, le restrizioni commerciali attuate da produttori di paesi terzi e comunitari la concorrenza tra gli stessi, nonché gli sviluppi tecnologici e le prestazioni dell’industria comunitaria in materia di esportazioni e di produttività».

5

Quanto alle condizioni per l’avvio di un’inchiesta antidumping, l’articolo 5, paragrafi 2, 3 e 4, del regolamento di base dispone quanto segue:

«2.   La denuncia di cui al paragrafo 1 deve contenere elementi di prova relativi all’esistenza del dumping, del pregiudizio e del nesso di causalità tra le importazioni assertivamente oggetto di dumping e il preteso pregiudizio. (...)

(...)

3.   La Commissione esamina, per quanto possibile, l’esattezza e l’adeguatezza degli elementi di prova contenuti nella denuncia, per determinare se siano sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta.

4.   Un’inchiesta può essere avviata a norma del paragrafo 1 unicamente se previo esame del grado di sostegno o di opposizione alla denuncia espresso dai produttori comunitari del prodotto simile, è stato accertato che la denuncia è presentata dall’industria comunitaria o per suo conto. La denuncia si considera presentata dall’industria comunitaria, o per suo conto, se è sostenuta dai produttori comunitari che complessivamente realizzano oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione alla denuncia. L’inchiesta tuttavia non può essere aperta se i produttori comunitari che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia effettuano meno del 25% della produzione totale de[l] prodotto simile realizzata dall’industria comunitaria».

6

A termini dell’articolo 9, paragrafi 5 e 6, del regolamento di base:

«5.   Il dazio antidumping viene istituito per l’importo adeguato a ciascun caso e senza discriminazione sulle importazioni di prodotti per le quali è stato accertato che sono oggetto di dumping e che causano pregiudizio, indipendentemente dalla fonte, salvo quelle effettuate dagli esportatori i cui impegni sono stati accettati a norma del presente regolamento. Il regolamento che impone i dazi indica i nomi dei fornitori oppure, qualora non sia possibile e, come regola generale, nei casi citati nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), il nome del paese fornitore interessato.

Nei casi in cui si applica l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), viene tuttavia fissato un dazio individuale per gli esportatori in grado di dimostrare, presentando richieste debitamente motivate, che:

a)

nel caso di imprese di proprietà interamente o parzialmente straniera o di joint venture, sono liberi di rimpatriare i capitali e i profitti;

b)

i prezzi e i quantitativi dei prodotti esportati, come pure le condizioni di vendita, sono determinati liberamente;

c)

la maggior parte delle azioni appartiene a privati, che i funzionari statali che ricoprono cariche nel consiglio di amministrazione o si trovano in una posizione direttiva chiave sono in minoranza o che la società è sufficientemente libera dall’ingerenza dello Stato;

d)

le conversioni del tasso di cambio vengono effettuate ai tassi di mercato;

e)

l’ingerenza dello Stato non è tale da consentire l’elusione dei dazi qualora si concedano aliquote diverse ai singoli esportatori.

6.   Se la Commissione ha svolto un esame limitato a norma dell’articolo 17, il dazio antidumping applicato alle importazioni provenienti da esportatori o da produttori che si sono manifestati conformemente all’articolo 17, ma che non sono stati inseriti nell’esame, non supera la media ponderata del margine di dumping stabilito per le parti inserite nel campione. (...). Si applicano dazi individuali alle importazioni provenienti da esportatori o produttori che sono stati sottoposti ad un esame individuale, a norma dell’articolo 17».

7

Per quanto concerne la tecnica consistente nel ricorso al campionamento, l’articolo 17, paragrafi 1 e 3, del regolamento di base dispone che:

«1.   Nei casi in cui il numero di denunzianti, esportatori o importatori, tipi di prodotto o operazioni è molto elevato, l’inchiesta può essere limitata ad un numero adeguato di parti, prodotti o operazioni con l’utilizzazione di campioni statisticamente validi, sulla base delle informazioni disponibili al momento della selezione, oppure al massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(…)

Qualora l’esame sia stato limitato ai sensi del presente articolo, viene comunque determinato un margine di dumping individuale per gli esportatori o i produttori non inseriti nella selezione iniziale che presentino le informazioni necessarie entro i termini fissati dal presente regolamento, a meno che il numero di esportatori o produttori sia talmente elevato da rendere l’esame dei singoli casi indebitamente gravoso e da impedire la tempestiva conclusione dell’inchiesta».

8

L’articolo 18, paragrafi 3 e 4, del regolamento di base è formulato come segue:

«3.   Le informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise e che le informazioni siano state presentate correttamente entro i termini siano verificabili e la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza.

4.   Se le informazioni o gli elementi di prova non sono accettati, la parte che li ha forniti viene immediatamente informata del motivo e ha la possibilità di dare ulteriori spiegazioni entro il termine specificato. Se le spiegazioni non sono considerate soddisfacenti, i motivi che hanno giustificato il rifiuto degli elementi di prova o delle informazioni vengono resi noti ed indicati nelle conclusioni pubblicate».

Fatti

9

Gli antefatti della controversia sono esposti dal Tribunale ai punti 10-42 della sentenza impugnata, nei seguenti termini:

«10

L[e] (…) ricorrenti, sono società produttrici ed esportatrici di calzature stabilite in Cina.

11

Le importazioni di calzature originarie della Cina e ricadenti sotto taluni codici della nomenclatura combinata erano soggette al regime dei contingenti quantitativi scaduto il 1o gennaio 2005.

12

A seguito di una denuncia depositata il 30 maggio 2005 dalla Confederazione europea dell’industria calzaturiera (in prosieguo: la “CEC”), la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping riguardante le importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam. L’avviso di apertura di tale procedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 7 luglio 2005 (GU C 166, pag. 14; in prosieguo: l’“avviso di apertura”).

13

In considerazione dell’elevato numero di parti interessate, al punto 5.1, lett. a), dell’avviso di apertura si è stabilito di ricorrere alla tecnica del campionamento, in conformità all’art. 17 del regolamento di base.

14

Le ricorrenti hanno contattato la Commissione fornendole, il 25 e il 26 luglio 2005, le informazioni richieste dal punto 5.1, lett. a), i), e lett. e), dell’avviso di apertura al fine di far parte del campione di produttori esportatori che tale istituzione si proponeva di selezionare in base all’art. 17 del regolamento di base e al fine di ottenere il riconoscimento del SEM o, altrimenti, di beneficiare di un trattamento individuale (in prosieguo: il “TI”).

15

In data 23 marzo 2006 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 553, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 98, pag. 3; in prosieguo: il “regolamento provvisorio”).

16

Ai sensi del nono “considerando” del regolamento provvisorio, l’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o aprile 2004 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il “periodo d’inchiesta”). L’esame degli elementi utili all’accertamento del pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o gennaio 2001 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il “periodo considerato”).

17

Tenuto conto della necessità di stabilire un valore normale relativamente ai prodotti dei produttori esportatori cinesi e vietnamiti ai quali non possa accordarsi il SEM, è stata effettuata una visita di verifica destinata a fissare il valore normale in base a dati attinenti ad un paese analogo, nella fattispecie la Repubblica [federale] del Brasile, nei locali di tre società brasiliane (ottavo “considerando” del regolamento provvisorio).

18

Per quanto riguarda il prodotto in esame, dai “considerando” 10, 11, 40 e 41 del regolamento provvisorio risulta che questo riguarda essenzialmente i sandali, gli stivali, le calzature urbane e le scarpe da città, fabbricati tutti con tomaie di cuoio naturale o ricostituito. Inoltre, dai “considerando” da 12 a 31 del regolamento provvisorio risulta che la Commissione ha espunto dalla definizione del prodotto in esame le calzature sportive con tecnologie speciali (Special Technology Athletic Footwear; in prosieguo: le “STAF”) e che vi ha incluso le calzature per bambini. Ai sensi del “considerando” 38 del regolamento provvisorio, per tutte le calzature con tomaia di cuoio, benché varino molto per stile e per tipo, le caratteristiche essenziali, l’uso finale e la percezione dei consumatori sono fondamentalmente gli stessi. Tutti questi tipi e stili diversi di calzature sono pertanto, ai sensi del “considerando” 39 dello stesso regolamento, in concorrenza diretta tra loro e sono in ampia misura interscambiabili.

19

La Commissione ha quindi concluso, al “considerando” 52 del regolamento provvisorio, che tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito prodotti e venduti nei paesi di cui trattasi e in Brasile, così come quelli prodotti e venduti dall’industria comunitaria sul mercato della Comunità, erano simili ai tipi esportati dai paesi in questione nella Comunità.

20

Nell’accertamento del dumping la Commissione ha fatto ricorso alla tecnica del campionamento. Secondo il “considerando” 55 del regolamento provvisorio, dei produttori esportatori cinesi che hanno manifestato la volontà di essere compresi nel campione, 154 hanno effettuato esportazioni nella Comunità durante il periodo d’inchiesta. Ai sensi dello stesso “considerando”, queste società sono state inizialmente ritenute società che hanno collaborato e sono state selezionate per la formazione del campione.

21

Dal “considerando” 57 del regolamento provvisorio risulta che la Commissione ha infine selezionato un campione comprendente tredici produttori esportatori cinesi, che rappresentano più del 20% del volume delle esportazioni cinesi nella Comunità. Secondo il “considerando” 59 del medesimo regolamento, i criteri adottati ai fini della selezione in discorso erano, in primo luogo, le dimensioni del produttore esportatore in termini di vendite all’esportazione nella Comunità e, in secondo luogo, le dimensioni dello stesso in termini di vendite sul mercato interno. Per quanto concerne quest’ultimo criterio, al “considerando” 60 del regolamento provvisorio la Commissione ha affermato che i dati relativi alle vendite sul mercato interno aumentavano la rappresentatività del campione fornendo informazioni sui prezzi e sui costi connessi alla produzione e alla vendita del prodotto in esame nei mercati interni. Secondo il “considerando” 61 del regolamento provvisorio, le società cinesi inserite nel campione rappresentavano il 25% dei quantitativi esportati nella Comunità e il 42% delle vendite effettuate nel mercato interno cinese dagli esportatori che hanno cooperato all’inchiesta. In base a questo stesso “considerando”, l’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto in esame non ha influito significativamente sulla rappresentatività dei campioni.

22

Ai sensi del “considerando” 62 del regolamento provvisorio, i produttori esportatori esclusi dal campione sono stati informati che tutti i dazi antidumping ad essi relativi sarebbero stati calcolati in conformità delle disposizioni dell’art. 9, n. 6, del regolamento di base. Quanto alle domande presentate da tali produttori esportatori in ordine ad un esame individuale del margine di dumping ai sensi dell’art. 9, n. 6, e dell’art. 17, n. 3, del regolamento di base, al “considerando” 64 del regolamento provvisorio la Commissione ha ritenuto che un loro esame individuale sarebbe stato indebitamente gravoso e avrebbe impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta. In tale contesto, il margine di dumping di questi produttori è stato determinato stabilendo la media ponderata dei margini di dumping delle società incluse nel campione (“considerando” 135 e 143 del regolamento provvisorio).

23

Una delle tredici società inizialmente incluse nel campione non ha risposto al questionario antidumping che la Commissione le ha inviato (“considerando” 63 del regolamento provvisorio).

24

Per quanto concerne la definizione dell’industria comunitaria, al “considerando” 150 del regolamento provvisorio la Commissione ha rilevato che i denuncianti rappresentavano il 42% della produzione comunitaria totale del prodotto in esame. Secondo i “considerando” 65 e 151 del regolamento provvisorio, la Commissione ha selezionato un campione di dieci produttori comunitari in base al volume di produzione e all’ubicazione di questi. I produttori inclusi nel campione rappresenterebbero il 10% della produzione dei denuncianti. Quindi, si è ritenuto che gli 814 produttori comunitari per conto dei quali era stata depositata la denuncia costituissero l’«industria comunitaria» ai sensi dell’art. 5, n. 4, del regolamento di base (“considerando” 152 del regolamento provvisorio).

25

Per quanto riguarda l’identità dei produttori comunitari inseriti nel campione, la Commissione ha rilevato che nella Comunità taluni avevano clienti che si rifornivano anche in Cina e in Vietnam e che quindi beneficiavano direttamente delle importazioni in causa. Detti produttori si troverebbero pertanto in “una posizione sensibile”, giacché alcuni dei loro clienti possono non vedere di buon occhio il fatto che abbiano presentato o sostenuto una denuncia contro presunte pratiche di dumping pregiudizievole. Tali produttori riterrebbero dunque di “correre il rischio di ritorsioni” da parte di alcuni dei loro clienti, i quali potrebbero eventualmente decidere di mettere fine alle loro relazioni commerciali. La Commissione ha pertanto accolto la richiesta di trattamento confidenziale delle società incluse nel campione per quanto riguarda la divulgazione del loro nome (ottavo “considerando” del regolamento provvisorio).

26

Per quanto attiene al livello che le misure antidumping provvisorie devono raggiungere per eliminare il pregiudizio, al “considerando” 284 del regolamento provvisorio, la Commissione ha precisato che l’industria comunitaria poteva prevedere di ottenere un margine di utile del 2% sul fatturato in assenza di pratiche di dumping pregiudizievole. Secondo lo stesso “considerando”, questo margine di utile corrisponde al più alto livello di utile conseguito dall’industria comunitaria nel corso del periodo considerato e in particolare nel 2002, quando le quote di mercato dei paesi in questione erano relativamente limitate rispetto a quelle registrate durante il periodo d’inchiesta.

27

Con lettere del 7 e del 12 aprile 2006, in applicazione dell’art. 14, n. 2, e dell’art. 20, n. 1, del regolamento di base, la Commissione ha inviato alle ricorrenti, rispettivamente, una copia del regolamento provvisorio e un documento contenente informazioni sugli elementi specifici dei fatti e delle considerazioni principali in base ai quali sono stati istituiti dazi antidumping provvisori (in prosieguo: il “documento informativo intermedio”). La Commissione ha invitato le ricorrenti a trasmetterle loro eventuali osservazioni su tali documenti entro l’8 maggio 2006.

28

Con lettere dell’8 maggio 2006 due delle ricorrenti, la Brosmann (...) e la Lung Pao (...), hanno trasmesso alla Commissione proprie osservazioni sul regolamento provvisorio e sul documento informativo intermedio.

29

Il 2 giugno 2006 ha avuto luogo un incontro tra la Lung Pao e la Commissione presso la sede di quest’ultima.

30

Con fax dell’8 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti, in applicazione dell’art. 20, nn. 2-4, del regolamento di base, un documento di informazione finale sui principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di dazi antidumping definitivi. La Commissione ha invitato le ricorrenti a trasmetterle proprie osservazioni sul documento di informazione finale entro il 17 luglio 2006.

31

Con lettera del 28 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alle ricorrenti un documento di informazione finale supplementare.

32

Con lettere del 17 luglio e del 2 agosto 2006 tre delle ricorrenti, la Brosmann, la Seasonable Footwear (Zhongshan)[Ltd], la Lung Pao nonché la Novi Footwear (Far East) Pte Ltd, hanno trasmesso alla Commissione proprie osservazioni sul documento di informazione finale e sul documento di informazione finale supplementare. Con lettera del 7 agosto 2006 l’altra ricorrente, la Risen Footwear (HK) Co. [Ltd] ha trasmesso alla Commissione le sue osservazioni sul documento di informazione finale supplementare.

33

Il 5 ottobre 2006 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento [controverso]. In forza del [medesimo], il Consiglio ha istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature per lo sport, delle STAF, delle pantofole ed altre calzature da camera e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Cina e ricadenti sotto vari codici della nomenclatura combinata (articolo 1 del regolamento [controverso]). L’aliquota del dazio antidumping definitivo applicabile al prezzo netto franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, delle calzature fabbricate dalle ricorrenti, è stato stabilito al 16,5%. Ai sensi dell’art. 3 del regolamento [controverso], esso resta in vigore per un periodo di due anni.

34

Per quanto attiene al prodotto in esame, il Consiglio ha confermato le valutazioni della Commissione (v. punto 18 supra), secondo cui le STAF dovrebbero essere escluse dalla definizione dello stesso, mentre vi dovrebbero essere incluse le calzature per bambini (“considerando” 19 e 25 del regolamento [controverso]). Per contro il Consiglio ha respinto le domande dirette ad escludere dalla definizione del prodotto in esame sei tipi di calzature, tra cui le calzature che ricorrono a tecnologie brevettate. Relativamente a questa categoria di calzature, il Consiglio ha rilevato che una tecnologia brevettata non rappresentava di per sé una modifica sostanziale delle caratteristiche che ne fanno calzature destinate ad un uso normale. Pertanto, tali calzature rimarrebbero in concorrenza con la produzione comunitaria del prodotto in esame (“considerando” 37 del regolamento [controverso]).

35

Per quanto riguarda la rappresentatività del campione dei produttori cinesi, al “considerando” 44 del regolamento [controverso] il Consiglio ha sottolineato che le società in esso selezionate rappresentavano più del 12% delle quantità esportate nella Comunità dai produttori che hanno cooperato all’inchiesta. Dal momento che l’art. 17 del regolamento di base non prevedrebbe una soglia per quanto attiene al livello di rappresentatività, ai sensi di tale disposizione il campione selezionato sarebbe rappresentativo.

36

Al “considerando” 46 del regolamento [controverso] il Consiglio ha altresì specificato che la metodologia applicata doveva garantire la maggiore rappresentatività possibile dei campioni e includere nel massimo volume rappresentativo di esportazioni, tale da poter essere ragionevolmente esaminato nell’ambito dell’inchiesta, alcune società che effettuano vendite rappresentative nel mercato interno.

37

Quanto al campione dei produttori comunitari, ai “considerando” da 53 a 59 del regolamento [controverso] il Consiglio ha respinto tutte le censure che ne mettevano in dubbio la rappresentatività e, pertanto, ha confermato le valutazioni che la Commissione aveva effettuato nel regolamento provvisorio (v. punto 24 supra).

38

Per quanto attiene alle questioni connesse alle domande formulate da varie società dirette alla concessione del SEM, su cui la Commissione non si era pronunciata, il Consiglio ha dedicato ad esse i “considerando” da 60 a 65 del regolamento [controverso].

39

Secondo tali “considerando”, il fatto che la Commissione non abbia risposto individualmente a ciascuna domanda ad essa presentata al riguardo non configura una violazione del regolamento di base. Al contrario, tale circostanza sarebbe conforme al suo art. 17. La metodologia di campionamento di cui a tale articolo sarebbe applicabile anche nel caso in cui un numero elevato di società interessate chiedessero la concessione del SEM o di un TI. Nel caso di specie, il numero straordinariamente elevato di richieste presentate dalle società interessate non avrebbe lasciato all’amministrazione altra possibilità che esaminare soltanto quelle provenienti dalle società del campione onde conciliare gli obblighi riconducibili ad un’analisi del dossier il più individualizzata possibile con il rispetto delle scadenze imperative. Ciò avrebbe implicato l’applicazione a tutte le società non selezionate nel campione del margine medio ponderato calcolato per le imprese del campione. Ne discenderebbe che anche le censure formulate nel corso del procedimento amministrativo, secondo cui il calcolo del dumping non sarebbe rappresentativo, dovrebbero essere respinte.

40

Tali considerazioni varrebbero del pari per le domande dirette alla concessione di un TI.

41

Per quanto riguarda la definizione dell’industria comunitaria, al “considerando” 157 del regolamento [controverso] il Consiglio ha sottolineato che nessuno dei denuncianti si era astenuto dal cooperare all’inchiesta. I questionari completi relativi al pregiudizio sarebbero stati inviati solo ai produttori comunitari inclusi nel campione, circostanza che dipenderebbe dalla natura stessa del campionamento (“considerando” 158 del regolamento [controverso]).

42

Quanto al livello che le misure antidumping definitive dovevano raggiungere al fine di eliminare il pregiudizio, al “considerando” 292 del regolamento [controverso] il Consiglio ha fatto riferimento a dati forniti dall’industria comunitaria successivamente all’imposizione dei dazi provvisori, che dimostrerebbero che il margine di utili del 2% fissato dal regolamento provvisorio (v. punto 26 supra) doveva essere riconsiderato. Su tale base il Consiglio ha portato detto margine di utili al 6% sul fatturato dell’industria comunitaria precisando che quest’ultima aveva conseguito un simile margine di profitto per calzature non soggette a dumping pregiudizievole».

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

10

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 dicembre 2006, le ricorrenti hanno presentato dinanzi al medesimo un ricorso diretto all’annullamento del regolamento controverso. Con atto depositato presso la detta cancelleria il 26 marzo 2007, la Commissione ha chiesto di intervenire nella causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 aprile 2007, la CEC ha parimenti chiesto di intervenire nella causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con ordinanza del 2 agosto 2007, il Presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha ammesso le domande di intervento presentate dalla Commissione e dalla CEC.

11

A sostegno del loro ricorso le ricorrenti deducono otto motivi, relativi rispettivamente:

alla violazione degli articoli 2, paragrafo 7, lettera b), e 9, paragrafo 5, del regolamento di base, nonché alla violazione dei principi di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento;

alla violazione degli articoli 2, paragrafo 7, lettera c), e 18 del regolamento di base nonché alla violazione del diritto di difesa;

ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base;

ad un errore manifesto di valutazione nonché alla violazione degli articoli 1, paragrafo 4, e 2 e 3 del regolamento di base;

ad un errore manifesto di valutazione nonché alla violazione dell’articolo 17 del regolamento di base e dell’articolo 253 CE;

ad un errore manifesto di valutazione nonché alla violazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base e dell’articolo 253 CE;

ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base; e

ad un errore manifesto di valutazione e alla violazione dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base.

12

Per respingere i primi due motivi di ricorso, il Tribunale ha affermato, ai punti 77 e 78 della sentenza impugnata che, in caso di ricorso alla tecnica del campionamento, il regolamento di base non attribuisce agli operatori non facenti parte del campione un diritto incondizionato al beneficio del calcolo di un margine di dumping individuale. A suo avviso, l’accettazione di una simile richiesta dipende, difatti, dalla decisione della Commissione relativa all’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base. Il Tribunale ha considerato che dal momento che la concessione del SEM o di un TI, conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, serve soltanto a determinare il metodo di calcolo del valore normale al fine di un calcolo dei margini di dumping individuali, la Commissione non è tenuta ad esaminare le richieste di SEM/TI presentate dagli operatori non facenti parte del campione, qualora essa abbia concluso, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, che il calcolo di tali margini renderebbe indebitamente gravoso il proprio compito e le impedirebbe la tempestiva conclusione dell’inchiesta. Il Tribunale ne ha dedotto, al punto 92 di detta sentenza, che dal momento che la Commissione non ha commesso errori omettendo di esaminare le domande di SEM/TI delle ricorrenti, queste ultime non potevano legittimamente far valere la scadenza del termine di tre mesi fissato dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base posto che questo termine concerneva i casi in cui la Commissione era tenuta a esaminare tali domande.

13

Quanto al terzo motivo di ricorso, il Tribunale l’ha respinto affermando, al punto 112 della sentenza impugnata, che la dichiarazione dei produttori comunitari, secondo cui essi sostenevano la denuncia, era sufficiente a provare l’esistenza di un sostegno alla denuncia ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base. Inoltre, il Tribunale ha considerato, ai punti 114 e 118 della medesima sentenza, che niente impedisce alla Commissione di tener conto, nell’ambito dell’inchiesta, di elementi che per loro natura vengono raccolti prima dell’apertura della stessa e che, nella fattispecie, il regolamento impugnato è stato adottato entro il termine di quindici mesi previsto dal regolamento di base.

14

Quanto al quarto motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e sulla violazione degli articoli 1, paragrafo 4, nonché 2 e 3 del regolamento di base, il Tribunale l’ha respinto in quanto le istituzioni avevano correttamente definito il prodotto interessato nel regolamento provvisorio e nel regolamento controverso. Il Tribunale ha parimenti respinto, al punto 156 della sentenza impugnata, il quinto motivo invocato dalle ricorrenti a sostegno del loro ricorso, con cui queste ultime contestavano, in sostanza la rappresentatività del campione di produttori esportatori selezionato in applicazione dell’articolo 17 del regolamento di base, nonché la motivazione del regolamento controverso a tal riguardo.

15

Per quanto concerne il sesto motivo, il Tribunale ha dichiarato, in particolare al punto 164 della sentenza impugnata, che la Commissione era in possesso delle informazioni necessarie per procedere alla costituzione del campione dei produttori comunitari sulla base dei criteri che, a suo avviso, erano i più pertinenti. Dal momento che le ricorrenti non hanno contestato la pertinenza di tali criteri, esso ha concluso che la loro argomentazione sulla costituzione del campione doveva essere respinta. Esso ha parimenti affermato, al punto 173 della sentenza impugnata, che le affermazioni delle ricorrenti sui dati falsi asseritamente forniti da due società italiane potevano essere ritenute pertinenti solo ove tali dati fossero idonei a mettere in discussione i fattori presi in considerazione dal Consiglio al fine di stabilire l’esistenza di un pregiudizio.

16

Per quanto riguarda il settimo motivo di ricorso, vertente sull’errore manifesto di valutazione commesso per quanto riguarda il negativo andamento delle esportazioni dell’industria comunitaria, il Tribunale ha affermato, al punto 192 della sentenza impugnata, che il Consiglio aveva constatato giustamente, al duecentoventiquattresimo «considerando» del regolamento controverso, che la maggior parte della produzione comunitaria era destinata al mercato comunitario e che, pertanto, l’andamento delle esportazioni non poteva aver causato un pregiudizio grave all’industria comunitaria. Il Tribunale ha anche constatato, al punto 196 della sentenza impugnata, che gli effetti riconducibili alle importazioni provenienti da altri paesi terzi non erano atti a mettere in discussione il nesso di causalità sussistente tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Inoltre, come ha affermato il Tribunale al punto 199 di detta sentenza, allorché le istituzioni constatano che le importazioni di un prodotto sino ad allora soggetto a restrizioni quantitative aumentano a seguito del venir meno di dette restrizioni, esse possono tener conto di tale crescita ai fini della valutazione dalle stesse compiuta del pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Esso ne trae la conclusione, al punto 200 della medesima sentenza, che le istituzioni avevano tenuto conto di vari fattori, concernenti il pregiudizio e il nesso di causalità, relativi non solo all’ultimo trimestre del periodo d’inchiesta, ma anche al periodo considerato.

17

Infine, il Tribunale ha parimenti respinto l’ottavo motivo invocato dalle ricorrenti a sostegno del loro ricorso, secondo cui la valutazione del Consiglio, nel regolamento controverso, relativa al livello che dovevano raggiungere le misure antidumping definitive per eliminare il pregiudizio, era manifestamente erronea, affermando, al punto 208 della sentenza impugnata, che il Consiglio non aveva commesso un errore manifesto di valutazione fondandosi sul margine di utili che l’industria comunitaria aveva realizzato per altre calzature rispetto a quelle oggetto dell’inchiesta, giacché tali altre calzature sono sufficientemente vicine al prodotto in esame.

Conclusioni delle parti

18

Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata, in quanto il Tribunale non ha annullato il regolamento controverso e le ha condannate alle spese del procedimento dinanzi al Tribunale;

annullare il regolamento controverso; e

condannare il Consiglio alle spese dell’impugnazione e a quelle afferenti al procedimento dinanzi al Tribunale.

19

Il Consiglio chiede alla Corte:

in via principale, di respingere l’impugnazione;

in subordine, di rinviare la causa dinanzi al Tribunale; e

in ulteriore subordine, di respingere il ricorso e in ogni caso condannare le ricorrenti alle spese dell’impugnazione.

20

La Commissione conclude per il rigetto dell’impugnazione e per la condanna delle ricorrenti alle spese da essa sostenute.

Sull’impugnazione

21

A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti fanno valere nove motivi vertenti, in primo luogo, su un errore di diritto concernente l’applicazione degli articoli 2, paragrafo 7, e 9, paragrafo 5, del regolamento di base, in secondo luogo, su un errore di diritto relativo all’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base e su un difetto di motivazione quanto al termine di tre mesi come applicato alle domande di SEM/TI dei produttori cinesi rientranti nel campione, in terzo luogo, su un errore di diritto concernente l’applicazione di tale articolo 2, paragrafo 7, lettera c), quanto a tale medesimo termine come applicato alle domande di SEM/TI delle ricorrenti, in quarto luogo, su uno snaturamento degli elementi di prova, su un difetto di motivazione e su un errore di diritto per quanto riguarda l’applicazione degli articoli 3, paragrafi 2, 5 e 6, 4, paragrafo 1, nonché 5, paragrafo 4, del medesimo regolamento e, in quinto luogo, su un errore di diritto per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, di detto regolamento. Gli altri quattro motivi invocati a sostegno dell’impugnazione riguardano gli accertamenti del Tribunale relativi al pregiudizio dei produttori comunitari e vertono, in primo luogo, su un errore di diritto quanto all’applicazione dell’articolo 3 del regolamento di base e su uno snaturamento degli elementi di prova, in secondo luogo, su un errore di diritto commesso per quanto riguarda l’obbligo dell’autorità investigatrice di esaminare, con cura e imparzialità, tutti gli elementi pertinenti, in terzo luogo, su una violazione dell’articolo 253 CE e, in quarto luogo, su un errore di diritto commesso per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base.

Sui motivi vertenti su errori di diritto relativi all’applicazione degli articoli 2, paragrafo 7, e 9, paragrafo 5, del regolamento di base

22

Occorre esaminare congiuntamente i tre primi motivi dell’impugnazione nella parte in cui riguardano gli errori asseritamente commessi nel regolamento controverso a proposito delle domande di SEM/TI delle ricorrenti.

Argomenti delle parti

23

Con il loro primo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto per quanto riguarda l’applicazione degli articoli 2, paragrafo 7, lettera c), e 9, paragrafo 5, del regolamento di base, affermando che le istituzioni non erano tenute ad esaminare le domande di SEM/TI delle ricorrenti né di tenerne conto in un qualsiasi modo. Secondo queste ultime, se i produttori esportatori cinesi potevano dimostrare di soddisfare le condizioni previste da tali disposizioni, essi dovevano essere trattati come se fossero stabiliti in uno Stato membro diverso da quello dei produttori che non soddisfano tali condizioni, vale a dire uno Stato in cui non esiste un’economia di mercato. Per definizione, dette disposizioni potrebbero essere applicate solo in modo individuale, poiché implicherebbero che si proceda ad una caratterizzazione delle condizioni economiche in cui opera ciascuna società considerata individualmente. Le ricorrenti constatano che il Tribunale ha commesso un errore di diritto quando ha ridotto la loro domanda di SEM/TI ad una domanda diretta ad ottenere un margine di dumping individuale ai sensi dell’articolo 17 del regolamento di base. Ad ogni modo, esse avrebbero chiesto il riconoscimento del fatto che esse operano in una «Cina che conosce un’economia di mercato» e, pertanto, che il tasso del dazio medio ponderato applicabile ai produttori operanti in tali condizioni venga loro accordato. Inoltre, secondo le ricorrenti, il Tribunale ha commesso un errore di diritto ritenendo che le istituzioni potessero validamente far valere la circostanza che il numero di domande di SEM/TI era talmente rilevante che l’esame delle medesime avrebbe impedito loro di completare l’inchiesta in tempo utile.

24

Per quanto riguarda il secondo motivo, le ricorrenti affermano che il Tribunale ha commesso un errore di diritto non esaminando il loro argomento secondo cui le istituzioni hanno violato l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base per aver omesso di pronunciarsi sulla domanda di SEM/TI dei produttori cinesi facenti parte del campione, entro tre mesi dall’apertura dell’inchiesta. Non fornendo alcuna motivazione a tal proposito, il Tribunale avrebbe violato il suo obbligo di motivazione.

25

Con il loro terzo motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto ritenendo che le ricorrenti non potessero invocare l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base per quanto riguarda le loro proprie domande di SEM, in quanto il periodo di tre mesi «concerne i casi in cui la Commissione è tenuta a esaminare» le domande di SEM/TI.

26

Secondo il Consiglio, il primo motivo consiste in una ripetizione del motivo quale invocato in primo grado e respinto dal Tribunale. Il Consiglio sostiene che è pacifico che gli esportatori non rientranti nel campione e la cui domanda di SEM non è stata accolta, conformemente all’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, non possono ottenere un margine di dumping individuale a prescindere se siano stabiliti o meno in uno Stato ad economia di mercato. Di conseguenza, nel caso di Stati non aventi un’economia di mercato, il SEM/TI ha lo scopo di permettere alle imprese facenti parte del campione, o a quelle la cui domanda è stata accolta conformemente a tale articolo 17, paragrafo 3, di ottenere un margine di dumping individuale. Ad ogni modo, le ricorrenti non hanno rivendicato il diritto di beneficiare di un margine di dumping individuale o di un tasso individuale del dazio in primo grado e, di conseguenza, il loro argomento è irrilevante.

27

La Commissione ricorda che l’argomento essenziale delle ricorrenti consiste nel sostenere che l’esame delle domande di SEM/TI degli operatori che non fanno parte del campione può essere utile anche quando un margine di dumping individuale non sia stato attribuito a tali operatori. Esse affermerebbero che tale esame potrebbe essere utile se, pertanto, gli operatori interessati potevano ottenere il dazio (medio ponderato) degli operatori facenti parte del campione che ha beneficiato del SEM o di un TI. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto, senza essere contestato dalle ricorrenti, che ciò non era possibile nella fattispecie. Secondo la Commissione, queste ultime non presentano alcun argomento idoneo a giustificare un obbligo, per le istituzioni, di valutare ciascuna domanda di SEM/TI, anche quando le medesime decidono di ricorrere al metodo del campionamento, obbligo che il Tribunale avrebbe applicato in modo erroneo.

28

Per quanto riguarda il secondo motivo di impugnazione, il Consiglio e la Commissione sostengono principalmente che il medesimo è irricevibile in quanto costituisce un motivo nuovo invocato per la prima volta in sede di impugnazione.

29

Quanto al terzo motivo, il Consiglio considera che il termine di tre mesi di cui trattasi si applica espressamente all’«accertamento se il produttore soddisfa i criteri del SEM». Quando tale questione non è esaminata, tale termine di tre mesi non si applicherebbe. Secondo la Commissione, le istituzioni non erano obbligate ad esaminare le domande di SEM/TI delle ricorrenti, per le medesime ragioni esposte in risposta al primo motivo di impugnazione. Tale motivo non sarebbe dunque fondato.

Giudizio della Corte

30

Occorre rilevare, in via preliminare, che secondo l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, nel caso di importazioni in provenienza da paesi non retti da un’economia di mercato, in deroga alle norme stabilite ai paragrafi 1-6 della medesima disposizione, in linea di principio, il valore normale è determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato.

31

Tuttavia, in virtù del paragrafo 7, lettera b), di detto articolo, nel caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza in particolare dalla Cina, il valore normale è determinato a norma dell’articolo 2, paragrafi 1-6, del regolamento di base qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta e in funzione dei criteri e delle procedure di cui al medesimo paragrafo 7, lettera c), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile interessato.

32

Va sottolineato che l’onere della prova incombe al produttore che desidera valersi del SEM in virtù dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base. A tale scopo, il medesimo paragrafo 7, lettera c), primo comma, prevede che la domanda presentata da un tale produttore deve contenere prove sufficienti, come specificate in quest’ultima disposizione, del fatto che esso opera in condizioni di un’economia di mercato. Non spetta dunque alle istituzioni dell’Unione provare che il produttore non soddisfa le condizioni previste per beneficiare di detto status. Per contro, a tali istituzioni compete valutare se gli elementi forniti dal produttore interessato siano sufficienti per dimostrare che le condizioni poste dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), primo comma, sono soddisfatte per riconoscergli il SEM e al giudice dell’Unione compete verificare se tale valutazione non sia viziata da un errore manifesto.

33

Come emerge dal punto 14 della sentenza impugnata, le ricorrenti hanno contattato la Commissione fornendole le informazioni richieste dal punto 5.1, lettera a), sub i), e lettera e), dell’avviso di apertura al fine di ottenere il riconoscimento del SEM o, altrimenti, di beneficiare di un TI. Le istituzioni dell’Unione non hanno effettuato un esame individuale di dette domande.

34

Emerge infatti dal sessantunesimo «considerando» del regolamento controverso che le istituzioni interessate hanno considerato, riferendosi all’articolo 17 del regolamento di base, che gli esportatori, per la natura stessa dell’operazione di campionamento, non possono beneficiare di una valutazione individuale. È inoltre stato precisato, al detto «considerando», che il numero di richieste di SEM/TI era così elevato che il loro esame individuale, effettuato talvolta in altri casi, sarebbe risultato impossibile dal punto di vista amministrativo. Le istituzioni dell’Unione hanno ritenuto ragionevole, in tali circostanze, applicare allo stesso modo a tutte le società non incluse nel campione il margine medio ponderato calcolato per tutte le società del campione.

35

Ai punti 72-80 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’argomento delle ricorrenti secondo cui il regolamento di base obbligava la Commissione ad esaminare qualsiasi richiesta individuale di SEM/TI presentata dagli operatori stabiliti in un paese non avente un’economia di mercato. Esso ha pertanto affermato, al punto 78, che la Commissione non era tenuta ad esaminare le domande di SEM/TI presentate dagli operatori non facenti parte del campione, qualora essa avesse concluso, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 3, di detto regolamento, che il calcolo dei margini di dumping avrebbe reso indebitamente gravoso il proprio compito e le avrebbe impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

36

Tuttavia, il Tribunale ha commesso un errore di diritto in quanto ha considerato che la Commissione non era tenuta ad esaminare le domande di SEM fondate sull’articolo 2, paragrafo 7, lettere b) e c), del regolamento di base, provenienti da operatori non facenti parte del campione.

37

A tal proposito, va rilevato, in primo luogo, che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, fa parte delle disposizioni di tale regolamento dedicate alla sola determinazione del valore normale, mentre l’articolo 17 del medesimo regolamento, relativo al campionamento, fa parte delle disposizioni vertenti segnatamente sui metodi disponibili per la determinazione del margine di dumping. Pertanto, si tratta di disposizioni aventi contenuto e finalità diverse.

38

In secondo luogo, l’obbligo, in capo alla Commissione, di pronunciarsi su una domanda di un operatore che desidera beneficiare del SEM emerge espressamente dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base. Infatti, tale disposizione stabilisce l’obbligo di determinare il valore normale, conformemente ai paragrafi 1-6 del medesimo articolo, ove emerga, sulla base di richieste debitamente motivate e presentate da uno o più produttori, che le condizioni di un’economia di mercato prevalgono per tali produttori. Un tale obbligo relativo al riconoscimento delle condizioni economiche in cui opera ciascun produttore, per quanto riguarda la fabbricazione e la vendita di prodotti simili interessati, non è condizionato dal modo in cui verrà calcolato il margine di dumping.

39

In terzo luogo, secondo l’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), secondo comma, del regolamento di base, la questione se il produttore soddisfi i criteri menzionati al primo comma del medesimo paragrafo 7, lettera c), per beneficiare del SEM deve essere decisa entro tre mesi dall’avvio dell’inchiesta.

40

Occorre pertanto accogliere i tre primi motivi invocati dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnazione, nella parte in cui sono fondati su una violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base. Occorre dunque annullare la sentenza impugnata senza che sia necessario esaminare gli altri motivi di impugnazione.

Sul ricorso di primo grado

41

Conformemente all’articolo 61 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. In tal caso, essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta. Ciò si verifica nella fattispecie.

42

Risulta innanzitutto dai punti 36-40 della presente sentenza che la Commissione avrebbe dovuto esaminare le richieste motivate che le ricorrenti le avevano sottoposto sulla base dell’articolo 2, paragrafo 7, lettere b) e c), del regolamento di base per poter beneficiare del SEM nell’ambito della procedura antidumping cui fa riferimento il regolamento controverso. Deve essere constatato, poi, che non è escluso che un tale esame avrebbe condotto all’imposizione, nei loro confronti, di un dazio antidumping definitivo diverso dal dazio del 16,5% che è loro applicabile alla luce dell’articolo 1, paragrafo 3, del regolamento controverso. Infatti, emerge da tale medesima disposizione che un dazio antidumping definitivo del 9,7% è stato imposto nei confronti dell’unico operatore cinese figurante nel campione che ha ottenuto il SEM. Orbene, come emerge dal punto 38 della presente sentenza, se la Commissione avesse constatato che le condizioni di un’economia di mercato prevalevano anche per le ricorrenti, queste ultime, quando il calcolo di un margine di dumping individuale non era possibile, avrebbero dovuto beneficiare parimenti di quest’ultimo tasso.

43

Ciò premesso, occorre annullare il regolamento controverso nella parte in cui riguarda le ricorrenti.

Sulle spese

44

Ai sensi dell’articolo 122, primo comma, del suo regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 69, paragrafo 2, del medesimo regolamento, articolo applicabile al procedimento di impugnazione ai sensi dell’articolo 118 dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il paragrafo 4 del medesimo articolo 69, prevede, al primo comma, che le istituzioni intervenute nella causa sopportino le proprie spese e, al terzo comma, che la Corte può condannare una parte interveniente, diversa da quelle espressamente menzionate ai commi precedenti, a sopportare le proprie spese.

45

Poiché l’impugnazione delle ricorrenti è stata accolta ed il regolamento controverso è annullato nella parte in cui le riguarda, occorre condannare il Consiglio a sopportare le spese sostenute dalle ricorrenti, sia in primo grado sia nell’ambito del presente procedimento, conformemente alle domande di queste ultime in tal senso. Peraltro, la Commissione e la CEC sopportano le proprie spese sostenute sia in primo grado sia nell’ambito del presente procedimento.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 4 marzo 2010, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (T-401/06), è annullata.

 

2)

Il regolamento (CE) n. 1472/2006 del Consiglio, del 5 ottobre 2006, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, è annullato nella parte in cui riguarda la Brosmann Footwear (HK) Ltd, la Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, la Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd e la Risen Footwear (HK) Co. Ltd.

 

3)

Il Consiglio dell’Unione europea è condannato a sopportare le spese sostenute dalla Brosmann Footwear (HK) Ltd, dalla Seasonable Footwear (Zhongshan) Ltd, dalla Lung Pao Footwear (Guangzhou) Ltd e dalla Risen Footwear (HK) Co. Ltd sia nel procedimento di primo grado sia nell’ambito del presente procedimento.

 

4)

La Commissione europea e la Confederazione europea dell’industria calzaturiera (CEC) sopportano le proprie spese sostenute sia nel procedimento in primo grado sia nell’ambito del presente procedimento.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.