CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
YVES BOT
presentate il 17 novembre 2011 ( 1 )
Causa C-221/10 P
Artegodan GmbH
contro
Commissione europea
«Impugnazione — Art. 288, n. 2, CE — Responsabilità extracontrattuale dell’Unione — Presupposti — Violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli — Norme di competenza — Autorità di cosa giudicata — Decisione relativa alla revoca delle autorizzazioni di immissione in commercio di medicinali per uso umano contenenti amfepramone»
I – Antecedenti della causa
1. |
Con la sua impugnazione, l’Artegodan GmbH (in prosieguo: l’«Artegodan») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea 3 marzo 2010, Artegodan/Commissione ( 2 ), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso per risarcimento in forza degli artt. 235 CE e 288, n. 2, CE, inteso ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa dell’adozione della decisione della Commissione 9 marzo 2000, C (2000) 453, relativa alla revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio dei medicinali per uso umano contenenti amfepramone ( 3 ). |
2. |
Gli antecedenti della controversia, il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata possono essere così riassunti ( 4 ). |
3. |
L’Artegodan è titolare di un’autorizzazione di immissione in commercio (in prosieguo: l’«AIC») per il Tenuate retard, un medicinale contenente amfepramone, sostanza anoressizzante anfetaminica. Nel settembre del 1998 essa ha ripreso tale AIC e la commercializzazione del Tenuate retard in Germania. |
4. |
In seguito a una nuova valutazione dell’amfepramone su richiesta di uno Stato membro, la Commissione europea ha adottato la decisione controversa, con cui ingiungeva agli Stati membri di revocare «le autorizzazioni nazionali di immissione in commercio di cui all’art. 3, primo comma, della direttiva 65/65(/CEE) ( 5 ), che si riferiscono ai medicinali (contenenti amfepramone), elencati all’allegato I», rinviando alle conclusioni scientifiche, allegate al parere definitivo del comitato per le specialità medicinali (in prosieguo: il «CPMP») dell’Agenzia europea per la valutazione dei medicinali (EMEA) del 31 agosto 1999 relativo a tale sostanza ( 6 ). |
5. |
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale il 30 marzo 2000, l’Artegodan ha chiesto l’annullamento della decisione controversa deducendo, segnatamente, l’incompetenza della Commissione, nonché la violazione degli artt. 11 e 21 della direttiva 65/65. |
6. |
Con decisione 11 aprile 2000 del Bundesinstitut für Arzneimittel und Medizinprodukte (Istituto federale per i prodotti farmaceutici e medicinali) la Repubblica federale di Germania, in esecuzione della decisione controversa, ha revocato l’AIC del Tenuate retard. |
7. |
Con sentenza 26 novembre 2002, Artegodan e a./Commissione ( 7 ), il Tribunale ha, in particolare, annullato la decisione controversa nella parte in cui riguardava i medicinali commercializzati dall’Artegodan, accogliendo il motivo fondato sull’incompetenza della Commissione. Inoltre, il Tribunale ha dichiarato che, anche supponendo che la Commissione fosse stata competente ad adottare tale decisione, quest’ultima sarebbe comunque viziata da illegittimità per violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, che precisa le condizioni alle quali è subordinata la sospensione o la revoca delle AIC ad opera delle autorità competenti degli Stati membri. |
8. |
La Commissione ha presentato un’impugnazione contro questa sentenza, deducendo motivi relativi, da un lato, al ragionamento del Tribunale sulla mancanza di competenza della Commissione e, dall’altro, all’interpretazione da parte del Tribunale delle condizioni di revoca delle AIC, quali definite dall’art. 11, primo comma, della direttiva 65/65. |
9. |
Con sentenza 24 luglio 2003, Commissione/Artegodan e a. ( 8 ), la Corte ha respinto il ricorso per il motivo che, senza bisogno di pronunciarsi sugli altri motivi avanzati dalla Commissione, si doveva constatare che il Tribunale aveva giustamente dichiarato che quest’ultima era incompetente ad adottare, in particolare, la decisione controversa e che questa doveva pertanto essere annullata. |
10. |
Il 6 ottobre 2003 le autorità tedesche competenti hanno comunicato all’Artegodan la revoca della succitata decisione 11 aprile 2000. A partire da novembre 2003 l’Artegodan ha reimmesso in commercio il Tenuate retard. |
11. |
Con lettera del 9 giugno 2004, la ricorrente ha chiesto alla Commissione il risarcimento dei danni, stimati in EUR 1652926,19, che essa avrebbe subito a causa della decisione controversa. |
12. |
Con lettera del 9 novembre 2004 la Commissione ha respinto tale domanda, facendo valere che le condizioni della responsabilità extracontrattuale della Comunità europea non erano soddisfatte, in mancanza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario. In risposta a una lettera dell’Artegodan del 10 marzo 2005 la Commissione ha confermato la propria posizione in una lettera datata 20 aprile 2005. |
13. |
Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 7 dicembre 2005, l’Artegodan proponeva un ricorso inteso ad ottenere il risarcimento del danno che avrebbe subito a causa dell’adozione della decisione controversa. |
14. |
Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso proposto dall’Artegodan. |
15. |
Dopo aver formulato alcune osservazioni preliminari sulle condizioni per far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità e sulla portata della sentenza Artegodan e a./Commissione, citata, che annullava la decisione controversa, sulle quali dovrò pronunciarmi in prosieguo, il Tribunale ha dichiarato quanto segue sui motivi presentati dall’Artegodan. |
16. |
Il Tribunale ha innanzitutto respinto, in quanto infondato, il motivo basato sul presupposto che la circostanza che la Commissione abbia oltrepassato la propria competenza sia idonea a far sorgere la responsabilità della Comunità, sulla base del rilievo che le norme sulla competenza violate non sono preordinate a conferire diritti ai singoli, senza che si renda pertanto necessario, a suo avviso, esaminare se l’inosservanza di tali norme costituisca una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario. |
17. |
Pronunciandosi, di seguito, sul motivo relativo alla violazione delle condizioni di revoca di una AIC ai sensi dell’art. 11 della direttiva 65/65, il Tribunale ha dichiarato che si trattava di una disposizione mirante a conferire diritti alle imprese interessate da una decisione di revoca o di sospensione di un’AIC. Esso ha tuttavia dichiarato che la violazione di detta disposizione non poteva essere ritenuta una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità. |
18. |
Con riguardo, infine, ai motivi relativi alla violazione dei principi di proporzionalità e di buona amministrazione, il Tribunale, dopo aver indicato che il motivo relativo ad una violazione del principio di proporzionalità doveva essere considerato assorbito da quello relativo alla violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, ha dichiarato che il motivo relativo ad una violazione sufficientemente qualificata del principio di buona amministrazione doveva essere respinto in quanto infondato. |
II – Conclusioni delle parti
19. |
Con la sua impugnazione l’Artegodan chiede che la Corte voglia:
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20. |
La Commissione propone un’impugnazione incidentale e conclude che la Corte voglia:
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III – Esame delle impugnazioni
21. |
A sostegno della sua impugnazione, l’Artegodan solleva due motivi relativi ad una violazione dell’art. 288, n. 2, CE. |
22. |
Con il primo motivo, l’Artegodan sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti 73-75 della sentenza impugnata, che la violazione, ad opera della Commissione, delle norme di competenza come fissate dalla direttiva 75/319/CEE ( 9 ) non è tale da far sorgere la responsabilità della Commissione, atteso che tali norme non sono preordinate a conferire diritti ai singoli. |
23. |
Con il secondo motivo, l’Artegodan sostiene che il Tribunale, nell’ambito della valutazione della natura sufficientemente qualificata della violazione delle condizioni di revoca di un’AIC, di cui all’art. 11 della direttiva 65/65, applica in modo troppo rigoroso le condizioni che determinano la responsabilità extracontrattuale della Comunità, in un modo che le appare incompatibile con l’art. 288, n. 2, CE. |
24. |
Con la sua impugnazione incidentale, la Commissione addebita al Tribunale di avere dichiarato a priori irricevibile, ai punti 44-48 della sentenza impugnata, il suo motivo di difesa attinente alla mancanza di violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, per il motivo che questo osta all’autorità di cosa giudicata acquisita dalla sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata. |
25. |
A mio avviso, l’esame dell’impugnazione incidentale della Commissione deve intervenire prima dell’esame del secondo motivo sollevato dall’Artegodan nell’impugnazione principale, nella misura in cui pone la questione se il Tribunale potesse a buon diritto attribuire l’autorità di cosa giudicata al riconoscimento, ad opera del Tribunale, di una violazione, da parte della Commissione, dell’art. 11 della direttiva 65/65. Una soluzione negativa di questa questione, ovvero considerare che la questione preliminare relativa all’esistenza o meno di un’illegittimità restava aperta, potrebbe indurre la Corte a risolvere essa stessa detta questione, il che potrebbe incidere sulla rilevanza di un esame del secondo motivo sollevato dall’Artegodan nell’impugnazione principale. |
26. |
Esaminerò dunque successivamente il primo motivo invocato dall’Artegodan nell’impugnazione principale, l’impugnazione incidentale della Commissione e poi, eventualmente, il secondo motivo sollevato dall’Artegodan a sostegno dell’impugnazione principale. |
A – Sul primo motivo invocato dall’Artegodan nell’impugnazione principale
1. Gli argomenti delle parti
27. |
Con il suo primo motivo, l’Artegodan sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto giudicando, ai punti 73-75 della sentenza impugnata, che la violazione ad opera della Commissione delle norme di competenza come stabilite dalla direttiva 75/319 non è tale da far sorgere la responsabilità della Comunità, per il motivo che dette norme non sono preordinate a conferire diritti ai singoli. |
28. |
Pur ammettendo che tutte le norme di competenza non mirano necessariamente a tutelare i cittadini e le imprese nella Comunità, l’Artedogan ritiene che le cose stiano diversamente se queste norme fissano il contesto giuridico nel quale la Comunità può adottare provvedimenti vincolanti nei confronti dei cittadini o delle imprese, nell’ambito delle sue prerogative di pubblici poteri. Dunque, le norme che fissano i limiti della competenza della Comunità non riguarderebbero soltanto le relazioni tra questa e gli Stati membri, ma sarebbero anche volte, almeno in parte, a tutelare i cittadini e le imprese, destinatari di un’eventuale misura vincolante, contro l’azione di un’istituzione dell’Unione europea priva di qualsiasi fondamento giuridico. |
29. |
Peraltro, l’Artegodan fa valere che dette norme mirano a garantire la tutela delle persone interessate da siffatte misure, atteso che devono consentire di garantire che dette misure possano essere adottate soltanto dall’autorità che possiede la perizia necessaria secondo il legislatore. |
30. |
Secondo l’Artegodan, negando qualsiasi funzione di tutela dei terzi alle norme di competenza, il Tribunale non rispetta i principi generali comuni ai diritti degli Stati membri che, in virtù dell’art. 288, n. 2, CE, devono servire come criterio per la sussistenza della responsabilità extracontrattuale della Comunità. Essa indica, a questo riguardo, che in diritto tedesco le norme di competenza normativa hanno una funzione di tutela dei terzi. |
31. |
Inoltre, l’Artegodan considera che la violazione di una norma giuridica che non è intesa a tutelarla difficilmente può conferirle il diritto di ottenere l’annullamento di una misura fondata su detta norma. |
32. |
La Commissione sostiene che, applicando le condizioni che fanno sorgere la responsabilità extracontrattuale risultanti dalla giurisprudenza e non riconoscendo l’esistenza di una violazione di una norma di diritto volta a conferire diritti ai singoli ai sensi di detta giurisprudenza, il Tribunale non ha commesso un errore di diritto. |
33. |
A suo avviso, l’argomentazione dell’Artegodan si fonda su una distinzione derivante dal diritto amministrativo tedesco, che non trova riscontro nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione europea, né nei principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che non si è tradotta nel diritto dell’Unione. |
34. |
A questo riguardo, la Commissione sostiene che non spetta ad essa dimostrare la mancanza di un principio generale di diritto che sia comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, ma piuttosto all’Artegodan stabilire l’esistenza, nel diritto dell’Unione, del principio generale di diritto che essa invoca. Orbene, la mera circostanza di citare una nozione o una tradizione giuridica presenti in un unico Stato membro sarebbe insufficiente, tanto più che la Corte avrebbe già rifiutato di riconoscere l’esistenza nel diritto dell’Unione di un principio generale comune ai diritti degli Stati membri con riguardo ad un regime di responsabilità previsto dagli ordinamenti giuridici di un gran numero di detti Stati ( 10 ). |
35. |
Con riferimento all’argomento secondo il quale, garantendo che l’autorità investita del potere decisionale dispone della perizia necessaria, le norme di competenza in causa mirano a garantire la tutela dei singoli, la Commissione sostiene che non vi è alcun dubbio che il legislatore dell’Unione, in diversi regolamenti e direttive relativi al settore dei medicinali, ha già riconosciuto alla Commissione la competenza ad adottare decisioni nel delicato settore della tutela della salute e che la circostanza che siffatta competenza non le è stata riconosciuta per l’adozione della decisione controversa non incide sul fatto che essa possiede le conoscenze tecniche richieste in questo settore. |
36. |
Peraltro, la Commissione considera che l’Artegodan non tenga conto delle diverse funzioni della domanda di risarcimento del danno e del ricorso di annullamento, come ricordate dal Tribunale nella sentenza impugnata, e che essa persiste nella sua argomentazione esposta in primo grado, senza precisare qualsivoglia errore di diritto nel ragionamento seguito dal Tribunale. La Commissione ritiene dunque che, secondo una giurisprudenza costante e come giustamente spiegato dal Tribunale, la violazione di una norma di diritto che ha determinato la nullità di una decisione non basta, di per sé, a considerare che questa norma sia preordinata a conferire diritti ai singoli e dunque a far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità. Infatti, un’interpretazione diversa equivarrebbe a svuotare di ogni senso il criterio di una «norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli», posto che l’illegalità sarebbe di per sé sufficiente per soddisfare la condizione relativa alla sussistenza della responsabilità extracontrattuale della Comunità. |
37. |
Inoltre, la Commissione osserva che il Tribunale non nega una funzione di tutela alle norme di competenza in quanto tali, ma che, come risulta chiaramente dai punti 73 e 74 della sentenza impugnata, l’esame del Tribunale verte su una norma di competenza precisa, derivante dalla direttiva 75/319. |
38. |
Infine, secondo la Commissione, la Corte ha preso espressamente posizione su questa questione in quanto, nella sentenza 13 marzo 1992, Vreugdenhil/Commissione ( 11 ), essa non ha dichiarato l’esistenza della condizione secondo la quale la norma di diritto violata deve avere una funzione di tutela dei singoli nel caso di una violazione delle norme di ripartizione delle competenze. |
2. Valutazione
39. |
La giurisprudenza assoggetta la sussistenza della responsabilità extracontrattuale della Comunità a diverse condizioni, tra le quali l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica diretta a conferire diritti ai singoli ( 12 ). |
40. |
L’individuazione di una norma giuridica così preordinata sembra porre difficoltà soprattutto se sono in causa, in particolare, la violazione di una norma di procedura o di forma di un atto adottato da un’istituzione e, dall’altra, quella di norme di ripartizione delle competenze, sia in modo orizzontale tra le istituzioni dell’Unione, sia in modo verticale tra siffatte istituzioni e gli Stati membri. Il Tribunale ha così potuto constatare che, nel caso di una censura puramente formale, l’eventuale insufficienza di motivazione di un atto regolamentare non è tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità ( 13 ). Peraltro la Corte, nella sentenza Vreugdenhil/Commissione, sopra citata, ha dichiarato che il sistema di ripartizione delle competenze tra le varie istituzioni della Comunità mira soltanto a garantire il rispetto dell’equilibrio istituzionale, ma non ha il fine di tutelare i singoli, tanto che la violazione di dette norme non può essere sufficiente, da sola, a comportare la responsabilità della Comunità ( 14 ). |
41. |
Alla luce dell’oggetto del motivo di cui trattasi, mi concentrerò sul caso delle norme di ripartizione delle competenze. Si può dunque escludere tanto rapidamente che esse possano avere un nesso, anche indiretto, con la tutela dei singoli? Qui si impone una riflessione, in considerazione delle aspre critiche di cui è stata oggetto la sentenza Vreugdenhil/Commissione, sopra citata. Alcun autori si sono infatti rammaricati per il fatto che «si afferma in via di principio che l’incompetenza non è un illecito grave e che la ripartizione delle competenze nelle Comunità non è in relazione con la tutela dei singoli» ( 15 ). Orbene, secondo questi stessi autori, «l’incompetenza è generalmente considerata come un vizio radicale, la prima degli illeciti, ed è palese che essa è in stretto rapporto con i diritti dei singoli. Attribuire la competenza ad un organismo o a un’istituzione piuttosto che a un altro può avere un’incidenza diretta sui diritti dei singoli» ( 16 ). Per un altro autore, la soluzione adottata dalla Corte «rimette brutalmente in discussione la giurisprudenza sviluppata nella sentenza Meroni ( 17 ), secondo la quale il principio di attribuzione, formulato nella fattispecie all’art. 3 CECA, consente di ravvisare nell’equilibrio dei poteri, caratteristica della struttura istituzionale della Comunità, una garanzia fondamentale accordata dal Trattato, segnatamente alle imprese e alle associazioni di imprese alle quali essa si applica» ( 18 ). |
42. |
Condivido le reticenze espresse riguardo alla soluzione adottata dalla Corte nella sentenza Vreugdenhil/Commissione, sopra citata, anche se forse vi si deve ravvisare non una posizione di principio da parte sua, ma una posizione legata alle circostanze della fattispecie ( 19 ). Dette reticenze valgono, a mio avviso, anche riguardo alla posizione adottata dal Tribunale nella sentenza impugnata, anche se questa volta è in discussione una norma di ripartizione verticale e non orizzontale delle competenze. |
43. |
Ritengo, infatti, che non sia indifferente, alla luce della tutela dei diritti dei singoli, che il legislatore dell’Unione decida di conferire il potere di prendere l’una o l’altra decisione ad una determinata autorità invece che a un’altra. Le motivazioni che sottendono questa scelta possono avere un legame con la tutela dei singoli, nel senso che il legislatore dell’Unione indica l’autorità che considera migliore per avvalersi delle prerogative di poteri pubblici nel settore in questione. Non si tratta, in linea di principio, o almeno lo si spera, di una scelta irrilevante o di una scelta dovuta al caso. La sua scelta infatti, ad esempio e se ci si concentra sulla fattispecie di cui trattasi nella causa in esame, può essere dettata dalla volontà di affidare all’autorità nazionale che ha rilasciato un’AIC il compito di decidere se convenga revocarla. Non intendo affermare che la Commissione non disporrebbe della perizia necessaria per prendere siffatta decisione. Occorre considerare che il legislatore dell’Unione, ad un certo momento, ha potuto legittimamente considerare che le autorità nazionali erano quelle meglio in grado di prendere la decisione di cui trattasi. |
44. |
Ammettere che la violazione di una norma di competenza non è tale da comportare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, atteso che non si tratterebbe di una norma che tutela i diritti dei singoli, equivale a presumere che la scelta così operata dal legislatore dell’Unione non ha alcuna influenza sul modo in cui sono garantiti o, a seconda dei casi, pregiudicati, i diritti dei singoli. Respingo una siffatta presunzione in quanto la qualità dell’autore di un atto, poiché condiziona ciò che è stato deciso, deve invece essere considerata come direttamente all’origine di un’eventuale violazione dei diritti dei singoli. Aggiungo che le conseguenze, in particolare quelle risarcitorie, che discendono dall’incompetenza dell’autore di un atto devono essere ponderate con maggiore attenzione nell’ambito di un’organizzazione internazionale retta dal principio di attribuzione delle competenze. |
45. |
Da queste considerazioni emerge che la sentenza impugnata deve essere, a mio avviso, annullata nella misura in cui il Tribunale ha dichiarato che le disposizioni pertinenti della direttiva 75/319, che delimitano i limiti delle rispettive competenze della Commissione e degli Stati membri, non sono preordinate a conferire diritti ai singoli. |
46. |
Propongo, adesso, di riassumere la controversia e quindi di esaminare se la violazione invocata delle norme di competenza possa essere considerata come sufficientemente qualificata. |
3. È sufficientemente qualificata la violazione delle pertinenti disposizioni della direttiva 75/319?
47. |
L’Artegodan afferma che, nel caso di specie, non è necessaria una violazione sufficientemente qualificata delle norme in materia di competenza. Infatti, la delimitazione della competenza di un’istituzione rispetto a quella degli Stati membri sarebbe disciplinata esclusivamente dal diritto applicabile, dal momento che l’istituzione interessata non dispone a tale riguardo di alcun potere discrezionale. Pertanto, la Commissione, considerandosi illegittimamente competente, avrebbe manifestamente ecceduto i poteri conferitile dalla direttiva 75/319. Inoltre, l’Artegodan contesta l’argomentazione della Commissione secondo la quale non vi sarebbe stata una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario a seguito delle difficoltà sollevate dall’interpretazione delle norme pertinenti. |
48. |
La Commissione si fonda, infatti, su quest’ultimo aspetto per contestare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata. Essa invoca, segnatamente, la mancanza di precisione delle norme e l’assenza di una giurisprudenza ad esse relativa. Essa fa anche valere il contesto specifico in cui si trovava al momento di prendere la decisione controversa. A questo riguardo, essa osserva che la decisione è stata presa in una materia particolarmente delicata, fortemente regolamentata, nella quale la Commissione interviene per tutelare la salute pubblica. Ciò spiega che i rischi per la salute pubblica constatati dal CPMP imponevano alla Commissione di prendere una decisione. |
49. |
Di concerto con la Commissione, ritengo che nella fattispecie non sia soddisfatta la condizione relativa ad una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione. |
50. |
I criteri che consentono di stabilire l’esistenza o meno di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione sono esposti al punto 62 della sentenza impugnata, secondo il quale «soltanto la constatazione di un’irregolarità che, in circostanze analoghe, non sarebbe stata commessa da un’amministrazione normalmente prudente e diligente consente il sorgere della responsabilità della Comunità». Il Tribunale prosegue dichiarando che: «[s]petta pertanto al giudice comunitario, dopo aver stabilito, dapprima, se l’istituzione interessata disponesse di un margine discrezionale, prendere in considerazione, in un secondo tempo, la complessità della situazione da disciplinare, le difficoltà di applicazione o di interpretazione dei testi, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata e l’intenzionalità o l’inescusabilità dell’errore commesso». |
51. |
Preciso, innanzitutto, che, a mio avviso, la direttiva 75/319 non può essere interpretata nel senso che conferisce un margine di apprezzamento alla Commissione o agli Stati membri al fine di determinare chi sia competente per adottare le decisioni da prendere. |
52. |
Ritengo, poi, che, con riguardo agli altri criteri, l’adozione ad opera della Commissione della decisione controversa mentre essa non era competente a farlo non costituisca una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione. A questo riguardo, osservo che, per concludere nel senso dell’incompetenza della Commissione, il Tribunale, ai punti 112-155 della sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, sviluppa un ragionamento elaborato che testimonia la complessità del sistema introdotto dalla direttiva 75/319. Detto ragionamento sottolinea la difficoltà che poteva presentare, in particolare, l’interpretazione degli artt. 12 e 15 bis di questa direttiva. Per concludere che, nell’economia della direttiva 75/319, la nozione di AIC rilasciata secondo le disposizioni del capitolo III di questa direttiva, ai sensi del detto art. 15 bis, n. 1, non può essere interpretata nel senso che essa comprende anche le autorizzazioni armonizzate a seguito della consultazione del CPMP in forza del detto art. 12, il Tribunale analizza così con grande cura le complesse relazioni che intercorrono tra gli articoli compresi in questo capitolo. |
53. |
Peraltro, l’errore commesso dalla Commissione a mio avviso non può essere qualificato come inescusabile. Al contrario, riesco a capire che, di fronte alla mancanza di chiarezza dei testi e in presenza di rischi identificati per la salute pubblica, la Commissione ha potuto ritenere che prendere una decisione a livello comunitario fosse la cosa migliore, al fine di escludere qualsiasi rischio di decisioni unilaterali diverse degli Stati membri e dunque qualsiasi rischio per la salute pubblica e la realizzazione del mercato interno. |
54. |
Sotto il profilo della violazione delle norme di competenza, la domanda di risarcimento proposta dall’Artegodan a mio avviso deve essere respinta, atteso che non è soddisfatta la condizione di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione. |
55. |
Occorre, adesso, verificare se l’analisi svolta dal Tribunale per quanto concerne l’aspetto relativo alla violazione delle condizioni di revoca delle AIC, previste all’art. 11 della direttiva 65/65, possa essere rimessa in discussione o meno. Sotto questo profilo, la Commissione contesta, nella sua impugnazione incidentale, la premessa su cui si è fondato il Tribunale, ovvero quella di una violazione di questo articolo che sarebbe definitivamente stabilita a seguito del rigetto da parte della Corte, nella sua sentenza Commissione/Artegodan e a., sopra citata, dell’impugnazione proposta dalla Commissione avverso la sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata. Quest’ultimo ha infatti dichiarato, nella sentenza impugnata, che il motivo di difesa addotto dalla Commissione, relativo alla mancanza di violazione da parte sua di detto articolo, doveva essere considerato irricevibile, in quanto era contrario al principio dell’autorità di cosa giudicata, acquisita dalla sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata. È la correttezza di questa premessa che deve adesso essere verificata. |
B – L’esame dell’impugnazione incidentale
1. Gli argomenti delle parti
56. |
Con la sua impugnazione incidentale, la Commissione addebita al Tribunale di aver dichiarato a priori irricevibile, ai punti 44-48 della sentenza impugnata, il suo motivo di difesa relativo alla mancanza di una violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, per il motivo che questo è contrario all’autorità di cosa giudicata della sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata. |
57. |
Secondo la Commissione, il Tribunale si discosta così dalla giurisprudenza costante secondo la quale l’autorità di cosa giudicata riguarda i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente risolti dalla decisione giudiziaria di cui trattasi e sembra dare un’interpretazione estensiva dell’autorità di cosa giudicata di quest’ultima sentenza, secondo la quale questa può essere considerata isolatamente ed indipendentemente dalla sentenza in appello. |
58. |
A questo riguardo, la Commissione considera che il fatto che la sentenza del Tribunale sia stata impugnata e che sia stata pronunciata dalla Corte una sentenza d’appello non può essere ignorato per determinare la portata della sentenza adottata in primo grado dal Tribunale anche se, in definitiva, nel dispositivo l’appello è stato respinto. |
59. |
Peraltro, essa fa valere che la portata dell’autorità di cosa giudicata di una sentenza non può essere determinata unicamente in funzione del suo dispositivo, in quanto, secondo la giurisprudenza, detta autorità non riguarda solo il dispositivo di una sentenza, ma si estende ai motivi della sentenza stessa, che costituiscono il fondamento necessario del dispositivo e, di fatto, ne sono indissociabili. |
60. |
Orbene, il ragionamento del Tribunale significherebbe che, con il rigetto di un’impugnazione, tutte le osservazioni del Tribunale acquisiscono autorità di cosa giudicata, dal che discenderebbe che i motivi di una sentenza d’appello sarebbero privi di incidenza sulla determinazione della portata dell’autorità di cosa giudicata se un’impugnazione è respinta nel dispositivo di questa sentenza. |
61. |
Siffatta interpretazione costituirebbe un errore di diritto, in quanto estenderebbe troppo l’autorità di cosa giudicata della sentenza pronunciata in primo grado nel caso di una sentenza in appello e non terrebbe sufficientemente conto dei motivi di quest’ultima. |
62. |
Pertanto, dichiarando, al punto 48 della sentenza impugnata, che, in seguito al rigetto da parte della Corte dell’impugnazione proposta dalla Commissione contro la sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, quest’ultima ha acquisito l’autorità di cosa giudicata relativamente a tutti i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente risolti dal Tribunale, quest’ultimo non terrebbe conto del fatto che, nella sentenza Commissione/Artegodan e a., citata, la Corte ha espressamente indicato di non avere esaminato il motivo di annullamento relativo ad una violazione delle condizioni di revoca di un’AIC, enunciate all’art. 11 della direttiva 65/65. |
63. |
Infatti, la Commissione osserva che, al punto 52 di quest’ultima sentenza, la Corte ha constatato che il Tribunale ha giustamente dichiarato che la Commissione era incompetente ad adottare la decisione controversa e che quest’ultima doveva pertanto essere annullata, «senza che occorra pronunciarsi sugli altri motivi e argomenti addotti dalla Commissione». |
64. |
Da ciò conseguirebbe che la Corte ha così identificato il motivo che sottende il dispositivo della sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, e che la nullità relativa all’asserita violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 non costituisce dunque un motivo su cui si fonda il dispositivo di detta sentenza, nel senso che esso sarebbe indispensabile per determinare il senso esatto di quanto dichiarato nel dispositivo. |
65. |
Inoltre, con riguardo al motivo di annullamento relativo all’incompetenza della Commissione, quest’ultima osserva che se, nella sentenza d’appello, la Corte constata l’incompetenza della Commissione, essa perviene tuttavia a questa conclusione sul fondamento di una motivazione e di argomenti che si discostano da quelli del Tribunale. |
66. |
Ciò premesso, la Commissione ritiene che il dispositivo e i motivi della sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, debbano essere letti alla luce del dispositivo e dei motivi della sentenza Commissione/Artegodan e a., citata, pronunciata dalla Corte nell’ambito dell’impugnazione, in quanto solo un’analisi e una lettura di queste due sentenze in parallelo consentono di determinare i motivi che, in definitiva, fondano l’annullamento della decisione controversa e acquisiscono autorità di cosa giudicata. |
67. |
Di conseguenza, la Commissione fa valere che il Tribunale si fonda su un’interpretazione estensiva ed erronea in diritto della portata dell’autorità di cosa giudicata quando è stata pronunciata una sentenza in appello e che, per questo fatto, anche la dichiarazione d’irricevibilità concernente il suo motivo di difesa relativo alle condizioni di revoca di un’AIC è inficiata da errore di diritto. |
68. |
In subordine, la Commissione chiede che, nell’ipotesi in cui la sua impugnazione incidentale sia giudicata irricevibile, la Corte proceda ad una sostituzione dei motivi criticati della sentenza impugnata, tenuto conto delle considerazioni che precedono. |
69. |
Ciò premesso, la Commissione sostiene che la questione della violazione delle condizioni di revoca di un’AIC, enunciate all’art. 11 della direttiva 65/65, resta aperta e propone alla Corte di pronunciarsi su questa questione nel senso che detta violazione non è accertata. |
70. |
In ogni caso, e in subordine, la Commissione sostiene che, se la Corte dovesse tuttavia giudicare illegittima la decisione controversa per violazione delle dette condizioni, occorre esaminare la questione della mancanza di una violazione sufficientemente qualificata nell’ambito dell’esame del secondo motivo. |
71. |
L’Artegodan sostiene che, per valutare l’autorità di cosa giudicata di una decisione giudiziaria, l’unico criterio decisivo è che detta decisione non sia più impugnabile, senza che abbia incidenza al riguardo il grado di giurisdizione in cui essa è stata adottata. |
72. |
Pertanto, a giudizio dell’Artegodan, una decisione giudiziaria acquisisce autorità di cosa giudicata se non esiste alcun mezzo di impugnazione avverso detta decisione, o, se esso esiste, se non è stata proposta alcuna impugnazione o, dopo l’esaurimento delle vie di ricorso possibili, la decisione iniziale non è stata riformata. |
73. |
Di conseguenza, l’Artegodan sostiene che, nella misura in cui l’affermazione del Tribunale di una violazione, da parte della Commissione, delle condizioni di revoca di un’AIC, enunciate all’art. 11 della direttiva 65/65, costituisce un punto di fatto che è stato risolto, se non necessariamente per lo meno effettivamente, dal Tribunale e, atteso che l’impugnazione proposta avverso la sentenza impugnata è stata respinta dalla Corte, detta affermazione ha acquisito autorità di cosa giudicata. |
74. |
A questo riguardo, l’Artegodan ritiene che la portata dell’autorità di cosa giudicata non possa dipendere dalla questione se i motivi della decisione di cui trattasi siano corretti o erronei. |
75. |
Infatti, secondo l’Artegodan, anche se non si può escludere che una decisione giudiziaria comporti un errore, l’autorità di cosa giudicata ha il fine di evitare che, anche in questo caso, una controversia già risolta con una decisione giudiziaria sia oggetto di un altro esame giudiziario e di sottrarla definitivamente ad ogni contestazione, nell’interesse di pacifici rapporti giuridici e della certezza del diritto. |
76. |
Infine, l’Artegodan fa valere l’irricevibilità della domanda in subordine della Commissione, concernente la sostituzione dei motivi della sentenza impugnata relativi alla portata dell’autorità di cosa giudicata, in quanto siffatta domanda è del tutto estranea all’economia della procedura di impugnazione e al diritto generale di procedura dinanzi alla Corte. |
2. Valutazione
77. |
Ricordo il contesto in cui la Corte è qui chiamata a pronunciarsi sulla portata del rispetto dell’autorità di cosa giudicata. |
78. |
Nella sua sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, il Tribunale, nella prima fase del suo ragionamento, ha dichiarato fondato il motivo relativo all’incompetenza della Commissione ( 20 ). Esso ha quindi indicato che, «anche supponendo che la Commissione sia stata competente ad adottare le decisioni impugnate, queste sarebbero comunque viziate da illegittimità per violazione delle disposizioni dell’art. 11 della direttiva 65/65» ( 21 ), prima di sviluppare la sua analisi in questo senso. |
79. |
Nell’ambito dell’impugnazione proposta dalla Commissione avverso questa sentenza, la Corte ha confermato l’analisi del Tribunale che dichiarava l’incompetenza di questa istituzione, «senza che occorra pronunciarsi sugli altri motivi e argomenti addotti dalla Commissione» ( 22 ). |
80. |
Da questa sentenza emerge dunque espressamente che la Corte non si è pronunciata sulla fondatezza dell’analisi del Tribunale che dichiarava la violazione delle condizioni di revoca delle AIC, previste all’art. 11 della direttiva 65/65. |
81. |
Questa constatazione è confermata, per quanto necessario, dalla lettura dell’ordinanza 11 gennaio 2007, Artegodan/Commissione ( 23 ), relativa alla valutazione delle spese in questa causa, che precisa che «[t]enuto conto della valutazione data alla prima questione di diritto, la Corte non ha dovuto esaminare la seconda questione, che era relativa all’interpretazione fatta dal Tribunale delle condizioni di revoca delle (AIC) e verteva sull’interpretazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 (…)» ( 24 ). La Corte proseguiva indicando che «ciò premesso, la portata della sentenza è limitata ad un’interpretazione e ad un’applicazione ai fatti della fattispecie dell’art. 15 bis della direttiva 75/319» ( 25 ). |
82. |
Nella sentenza impugnata, il Tribunale dichiara irricevibile il motivo di difesa della Commissione, relativo all’assenza di violazione, da parte sua, dell’art. 11 della direttiva 65/65, atteso che esso è contrario all’autorità di cosa giudicata della sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata ( 26 ). A questo riguardo il Tribunale osserva che, «in seguito al rigetto da parte della Corte dell’impugnazione proposta dalla Commissione contro la sentenza Artegodan e a./Commissione, citata, quest’ultima ha acquisito l’autorità di cosa giudicata relativamente a tutti i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente risolti dal Tribunale» ( 27 ). Il Tribunale prosegue dichiarando che «(l)a Commissione non è pertanto legittimata a rimettere in discussione gli accertamenti di fatto e di diritto effettuati dal Tribunale nella sentenza Artegodan e a./Commissione, citata, relativamente alla violazione delle condizioni di revoca dell’AIC di cui all’art. 11 della direttiva 65/65» ( 28 ). Il Tribunale precisa che «è del tutto irrilevante la circostanza invocata dalla Commissione secondo la quale la Corte non ha ritenuto necessario esaminare il motivo relativo alla violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 da parte del Tribunale, che era stato altresì dedotto a sostegno dell’impugnazione» ( 29 ). |
83. |
Il ragionamento svolto così dal Tribunale mi sembra criticabile in quanto equivale a presumere che la Corte, astenendosi dal pronunciarsi sul motivo relativo ad una violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, abbia implicitamente confermato l’analisi del Tribunale su questo aspetto. Peraltro, il Tribunale concentra la sua attenzione sulla sua sentenza Artegodan e a./Commissione, citata, alla quale conferisce autorità di cosa giudicata integrale, senza tenere conto del fatto che detta sentenza, che è stata oggetto di impugnazione, deve essere letta in relazione a quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza che essa ha pronunciato a seguito dell’impugnazione. Infatti, se una sentenza del Tribunale non è stata oggetto di un’impugnazione dinanzi alla Corte, occorre considerare che tanto il suo dispositivo, quanto i motivi che ne costituiscono il necessario fondamento, hanno acquisito un carattere definitivo ( 30 ). Per contro, se siffatta sentenza è stata oggetto di un’impugnazione dinanzi alla Corte, l’autorità di cosa giudicata di cui può avvalersi è circoscritta ai punti di fatto e di diritto che la Corte ha esplicitamente confermato. È per questo che, al fine di definire quanto è stato giudicato definitivamente, il Tribunale, contrariamente a quanto ha fatto, avrebbe dovuto attribuire rilevanza alla circostanza che la Corte non si è pronunciata sull’aspetto relativo alla violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, mentre l’analisi del Tribunale su questo punto era stata contestata dinanzi ad essa. Come giustamente osservato dalla Commissione, il fatto che un’impugnazione sia stata proposta avverso una sentenza del Tribunale e che una sentenza in appello sia stata pronunciata dalla Corte non può essere trascurato per determinare la portata dell’autorità di cosa giudicata della sentenza adottata in primo grado del Tribunale, anche se, in definitiva, l’impugnazione viene respinta nel dispositivo. |
84. |
Considero, di conseguenza, che l’autorità di cosa giudicata di cui gode la sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, alla luce della sentenza Commissione/Artegodan e a., sopra citata, non può essere estesa oltre la conferma che la Commissione era incompetente ad adottare le decisioni controverse. |
85. |
Siffatto approccio è conforme alla giurisprudenza costante, secondo la quale l’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale di cui trattasi ( 31 ). Infatti, è giocoforza constatare che, nella sua sentenza pronunciata sull’impugnazione, la Corte non ha risolto né «effettivamente» né «necessariamente» il punto di diritto relativo alla violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, atteso che emerge chiaramente da questa sentenza che essa non è pervenuta a detto esame e che essa stessa riconosce di non avere avuto bisogno di farlo. Adottando questa misura la Corte non ha esplicitamente confermato l’analisi del Tribunale su questo punto di diritto ( 32 ), essa ha soltanto stimato che la conferma di un’incompetenza della Commissione era sufficiente per respingere l’impugnazione. Del resto, la soluzione data dalla Corte a questo punto di diritto non può essere considerata derivante implicitamente o automaticamente dalla sua presa di posizione relativa al motivo relativo all’incompetenza della Commissione. |
86. |
Occorre inoltre precisare che l’autorità di cosa giudicata non riguarda solamente il dispositivo della decisione giudiziaria in esame. Essa si estende ai motivi di questa decisione che costituiscono il fondamento necessario del suo dispositivo e ne sono, di fatto, indissociabili ( 33 ). Orbene, nella misura in cui la Corte, nella sua sentenza Commissione/Artegodan e a., citata, non ha formulato una motivazione relativa ad una violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, il suo dispositivo poggia unicamente sui motivi relativi all’incompetenza della Commissione. |
87. |
Il Tribunale ha dunque, a mio avviso, adottato una concezione troppo estensiva della portata dell’autorità di cosa giudicata che può essere riconosciuta alla sua sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata. A questo proposito osservo che le sentenze del Tribunale non incorrono sempre nelle stesse critiche su questo punto in quanto alcune, in passato, hanno adottato una concezione più attenuata della portata dell’autorità di cosa giudicata in un contesto analogo ( 34 ). |
88. |
Dalle considerazioni che precedono discende che l’esistenza di una violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 non poteva essere considerata definitivamente accertata, con la lettura delle sentenze del Tribunale e della Corte. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dunque commesso un errore di diritto dichiarando irricevibile il motivo di difesa della Commissione che contestava una violazione di detto articolo. Detta sentenza deve dunque essere annullata su questo punto. |
89. |
Propongo alla Corte di verificare adesso essa stessa l’esistenza o meno di una violazione, ad opera della Commissione, dell’art. 11 della direttiva 65/65. |
3. L’esistenza o meno di una violazione, ad opera della Commissione, dell’art. 11 della direttiva 65/65
90. |
L’art. 11 della direttiva 65/65 disciplina le condizioni sostanziali di revoca di un’AIC. Esso dispone che «[l]e autorità competenti degli Stati membri sospendono o revocano l’autorizzazione all’immissione in commercio della specialità medicinale, allorché risulti che la specialità medicinale è nociva nelle normali condizioni d’impiego, allorché manchi l’effetto terapeutico, o allorché la specialità non abbia la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata. L’effetto terapeutico manca quando risulta che il medicinale non permette di ottenere risultati terapeutici». |
91. |
In occasione del procedimento definito dalla sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citato, le parti hanno esposto la loro posizione riguardo all’esistenza o meno di una violazione, ad opera della Commissione, di questo articolo. Mi riferisco, a questo riguardo, ai punti 157-169 di questa sentenza, che espongono delle tesi che, in sostanza, sono state confermate dalle parti nell’ambito del presente procedimento. |
92. |
Ne consegue, in sintesi, ad avviso dell’Artegodan, che la Commissione ha violato l’art. 11 della direttiva 65/65, in quanto ha fondato la sua decisione di revoca dell’AIC del medicinale considerato sulla mancanza di efficacia a lungo termine di quest’ultimo, non fondando detto motivo su nuovi dati scientifici. Nella sua replica all’impugnazione incidentale della Commissione, l’Artegodan si riferisce al punto 207 della sentenza Artegodan e a./Commissione, citata, nel quale il Tribunale ha dichiarato che il criterio dell’efficacia a lungo termine «non costituisce un criterio giuridico che integra o modula il criterio dell’efficacia, di cui all’art. 11 della direttiva 65/65, ma è un criterio puramente scientifico inerente specificamente alla valutazione dei medicinali nel trattamento dell’obesità». Da ciò essa desume che il criterio dell’efficacia a lungo termine è privo di pertinenza sotto il profilo giuridico. |
93. |
La Commissione contesta questa interpretazione dell’art. 11 della direttiva 65/65. A suo avviso, la mancanza di efficacia a lungo termine di un medicinale può giustificare il giudizio che detto medicinale presenti un rapporto rischi/benefici negativo. Essa rivela, a questo riguardo, che non è necessario che detta mancanza di efficacia a lungo termine risulti da dati scientifici nuovi derivanti da nuove prove o esami, se essa riposa su un nuovo consenso in seno alla comunità medica, che si rifletta, in particolare, negli orientamenti del CPMP e di altri organismi nazionali riconosciuti. La Commissione contesta peraltro l’opinione secondo la quale il criterio dell’efficacia a lungo termine non potrebbe essere preso in considerazione nell’ambito di una decisione di revoca di un’AIC. Essa osserva, infine, che l’efficacia terapeutica insufficiente dei medicinali contenenti la sostanza di cui trattasi, alla luce dei criteri scientifici attuali, è stata contemperata, conformemente all’art. 11 della direttiva 65/65, con i rischi presentati da questo tipo di sostanza, il che avrebbe indotto il CPMP a concludere per una relazione benefici/rischi sfavorevole. |
94. |
Condivido la posizione assunta dalla Commissione e ritengo, di conseguenza, che essa non abbia violato le condizioni di revoca dell’AIC, di cui all’art. 11 della direttiva 65/65, quando ha adottato la decisione controversa. |
95. |
Osservo, innanzitutto, che il disposto dell’art. 11 della direttiva 65/65 considera espressamente la mancanza di effetto terapeutico di un medicinale come una delle condizioni di revoca dell’AIC. Nulla indica che si debba considerare solo il criterio dell’effetto a breve termine, a scapito di quello dell’effetto a lungo termine. |
96. |
Occorre quindi precisare, come affermato dal Tribunale nella sentenza Artegodan e a./Commissione, sopra citata, e come risulta da una giurisprudenza ben consolidata, che, allorché un’istituzione comunitaria è chiamata a compiere valutazioni complesse, essa dispone di un ampio potere discrezionale, il cui esercizio è assoggettato ad un sindacato giurisdizionale che si limita a verificare se il provvedimento di cui trattasi non sia inficiato da errore manifesto o da sviamento di potere, o se l’autorità competente non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale ( 35 ). Da questo desumo che, quando è chiamata a valutare l’efficacia terapeutica a breve o a lungo termine di un medicinale, il che richiede valutazioni complesse da parte sua, l’autorità competente dispone di un ampio margine di discrezionalità. Nell’esercizio di questo potere discrezionale, detta autorità può decidere, in funzione della patologia che il medicinale mira a trattare e alla luce dei rischi determinati dall’assunzione del medesimo, di privilegiare il criterio dell’efficacia a lungo termine, al fine di valutare il rapporto rischi/benefici del medicinale stesso. Tanto il principio di precauzione quanto il carattere prioritario della tutela della salute pubblica militano del resto a favore di siffatto margine di manovra in capo all’autorità competente. |
97. |
È ovvio che occorre che i risultati della valutazione attuata dall’autorità competente riposino su elementi concreti tali da fondare, eventualmente, un rapporto rischi/benefici negativo che giustifichi la revoca di un’AIC. A mio avviso, siffatti elementi concreti, che devono andare oltre semplici dubbi, ricorrono non solo in presenza di nuovi dati scientifici derivanti da prove farmacologiche, ma anche se un consenso all’interno della comunità medica, riflesso da relazioni di specialisti, rimette in discussione l’efficacia terapeutica di un medicinale. A questo riguardo, ritengo che l’esperienza che si è potuta acquisire a seguito dell’utilizzazione di un medicinale per diversi anni sia tanto idonea a dimostrare l’efficacia o l’inefficacia di un medicinale quanto l’effettuazione di nuove prove farmacologiche. Inoltre, questa esperienza può rivelare che una valutazione dell’efficacia a breve termine di un medicinale risulta poco pertinente, in considerazione delle caratteristiche della patologia trattata, e che occorre dunque privilegiare una valutazione a lungo termine di detto medicinale. |
98. |
Orbene, mi sembra che siano proprio considerazioni di questo tenore che hanno guidato la Commissione quando essa ha adottato la decisione controversa. A questo riguardo, è utile ripercorrere il procedimento che ha portato all’adozione di detta decisione. |
99. |
Segnalo, innanzitutto, che la decisione controversa è stata preceduta dalla decisione della Commissione 9 dicembre 1996, C (96) 3608 def./1 ( 36 ), che, fondandosi su pareri emessi dal CPMP nel 1996, ha ingiunto agli Stati membri interessati di modificare taluni dati clinici figuranti nei riassunti delle caratteristiche del prodotto approvate in sede di rilascio dell’AIC dei medicinali di cui trattasi. Dette modifiche avevano sostanzialmente lo scopo di far figurare, da un lato, che la durata della cura non doveva superare i tre mesi e, dall’altro lato, che l’assunzione di questi medicinali poteva provocare un’ipertensione arteriosa, stabilendo anche una relazione tra questi due elementi. |
100. |
Detta decisione del 1996 non si è dunque spinta sino ad imporre una revoca dell’AIC per i prodotti in causa. Infatti, a quell’epoca, il CPMP aveva dichiarato che il rapporto rischi/benefici presentato dalle sostanze anoressizzanti era favorevole, salva la modifica del riassunto delle caratteristiche del prodotto concernenti i medicinali in causa. |
101. |
L’adozione, da parte della Commissione, di una posizione più rigorosa nella decisione controversa, ovvero una decisione di revoca dell’AIC, si spiega principalmente con la priorità che è stata allora accordata al criterio dell’efficacia a lungo termine dell’amfepramone nel trattamento dell’obesità. |
102. |
Questa scelta non è stata arbitraria, ma riposava, invece, su un complesso di elementi nuovi, atti a modificare la valutazione del rapporto rischi/benefici del medicinale di cui trattasi. |
103. |
Osservo, in particolare, che l’entrata in vigore nel mese di giugno 1998 degli orientamenti del CPMP sugli studi clinici di medicinali utilizzati nell’ambito del controllo del peso ha costituito il punto di partenza di un nuovo schema di valutazione, che teneva conto del fatto che l’obesità è uno stato clinico cronico che richiede una terapia a lungo termine per indurre e mantenere una perdita di peso. Del resto, un rapporto elaborato nell’aprile 1999 (rapporto Castot-Fosset Martinetti-Saint-Raymond) aveva concluso che l’amfepramone non aveva efficacia, per il motivo che la durata del trattamento con medicinali che contengono questa sostanza è limitata ad un periodo di tre mesi, il che sarebbe incompatibile con gli orientamenti che raccomandano un trattamento a lungo termine. A causa della mancanza di efficacia terapeutica e dei rischi connessi ad un trattamento a lungo termine, ovvero oltre i tre mesi, detto rapporto aveva concluso stabilendo un bilancio negativo rischi/benefici dell’amfepramone. Osservo, inoltre, che un documento di lavoro trasmesso il 12 aprile 1999 dal sig. Winkler ai membri del CPMP metteva in rilievo l’evoluzione dei criteri di valutazione, fondandosi sugli orientamenti del CPMP e sui nuovi orientamenti nazionali, che erano nello stesso senso. |
104. |
Possono essere menzionati altri elementi, come un rapporto del 17 agosto 1999, in cui i sigg. Garattini e de Andres-Trelles hanno raccomandato la revoca dal mercato dei medicinali contenenti amfepramone. Essi sottolineavano, in particolare, che rischi molto elevati possono essere accettati se sono compensati da benefici. A loro avviso, se il beneficio è quasi insignificante, non si può ammettere nessun livello di rischio potenzialmente rilevante. |
105. |
Anche il parere definitivo del CPMP del 31 agosto 1999, che raccomanda la revoca delle AIC dei medicinali contenenti amfepramone, nonché le conclusioni scientifiche allegate a detto parere, alle quali rinvia la decisione controversa, evidenziano, in maniera circostanziata, un rapporto rischi/benefici sfavorevole se si tiene conto del criterio dell’efficacia a lungo termine. |
106. |
Alla luce di questi elementi, sarebbe a mio avviso contraddittorio con il riconoscimento del carattere prioritario della tutela della salute pubblica ammettere che l’autorità competente non può reagire a nuove valutazioni scientifiche convergenti da parte degli specialisti che concludono che il medicinale di cui trattasi, a causa della sua mancanza di efficacia a lungo termine e dei rischi che presenta per la salute dei pazienti, non presenta più un rapporto positivo rischi/benefici. La circostanza che il cambiamento nel risultato delle valutazioni si fonda principalmente su una modifica del criterio considerato in precedenza, nella specie l’efficacia a lungo termine, non osta a che la revoca di un’AIC possa essere considerata come sufficientemente giustificata. |
107. |
Nella misura in cui la decisione controversa si fonda su un complesso di elementi nuovi che, considerati nel loro insieme, rivelavano in modo convergente che i medicinali contenenti amfepramone non consentivano di lottare efficacemente, ovvero a lungo termine, contro l’obesità, ritengo che la Commissione non abbia ecceduto i limiti che circoscrivono il suo margine di discrezionalità e non abbia dunque violato le condizioni di revoca delle AIC, di cui all’art. 11 della direttiva 65/65. Ne consegue che sotto questo aspetto non le si può rimproverare alcun illecito. La domanda di risarcimento proposta dall’Artegodan deve di conseguenza essere respinta. |
108. |
Data la mancanza di illegittimità accertata, si rivela inutile esaminare il secondo motivo sollevato dall’Artegodan nell’impugnazione principale, relativo all’analisi del Tribunale sulla valutazione della natura sufficientemente qualificata della violazione delle condizioni di revoca di un’AIC, di cui all’art. 11 della direttiva 65/65. Questo motivo è inconcludente in quanto, quand’anche si rivelasse giustificato nel merito, esso non sarebbe idoneo a soddisfare la domanda dell’Artegodan, tenuto conto delle considerazioni che precedono. |
IV – Conclusione
109. |
Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:
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( 1 ) Lingua originale: il francese.
( 2 ) Causa T-429/05 (Racc. pag. II-491, in prosieguo: la «sentenza impugnata»).
( 3 ) In prosieguo: la «decisione controversa».
( 4 ) Per un’esposizione dell’ambito normativo, rinvio ai punti 1-10 della sentenza impugnata.
( 5 ) Direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative ai medicinali (GU 1965, n. 22, pag. 369), come modificata, da ultimo, dalla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/39/CEE, (GU L 214, pag. 22, in prosieguo: la «direttiva 65/65»).
( 6 ) CPMP/2163/99.
( 7 ) Cause riunite T-74/00, T-76/00, T-83/00-T-85/00, T-132/00, T-137/00 e T-141/00 (Racc. pag. II-4945).
( 8 ) C-39/03 P (Racc. pag. I-7885).
( 9 ) Seconda direttiva del Consiglio 20 maggio 1975 concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialità medicinali (GU L 147, pag. 13), come modificata dalla direttiva 93/39 (in prosieguo: la «direttiva 75/319»).
( 10 ) La Commissione fa riferimento alla sentenza della Corte 9 settembre 2008, cause riunite C-120/06 P e C-121/06 P, FIAMM e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. I-6513).
( 11 ) Causa C-282/90 (Racc. pag. I-1937).
( 12 ) V., in particolare, sentenze della Corte 24 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione (Racc. pag. I-5291, punto 42), nonché 19 aprile 2007, causa C-282/05 P, Holcim (Germania)/Commissione (Racc. pag. I-2941, punto 47).
( 13 ) Sentenza del Tribunale 20 marzo 2001, causa T-18/99, Cordis/Commissione (Racc. pag. II-913, punto 79 e giurisprudenza citata).
( 14 ) Punti 20-22. Nella sua sentenza 6 dicembre 2001, causa T-43/98, Emesa Sugar/Consiglio (Racc. pag. II-3519), il Tribunale ha anche dichiarato, con riguardo ad un motivo in virtù del quale il Consiglio dell’Unione europea non sarebbe più, in forza di tale disposizione, competente ratione temporis ad adottare la decisione impugnata, che «è difficilmente concepibile che tale disposizione possa costituire una norma di diritto che conferisce diritti ai singoli» (punto 63, che rinvia alla sentenza Vreugdenhil/Commissione, cit. supra).
( 15 ) De Guillenchmidt, M., e Bonichot, J.C., Les petites affiches, 1992, n. 112, pag. 11.
( 16 ) Idem.
( 17 ) Sentenza 13 giugno 1958, causa 9/56, Meroni/Alta Autorità (Racc. pag. 9, 11).
( 18 ) X, Revue Europe, maggio 1992, comm. n. 162, pag. 8. V., nello stesso senso, Fines, F., «Le recours en responsabilité extracontractuelle de la Communauté européenne», La semaine juridique — Édition générale, 1993, II-22093, pag. 286, in particolare pag. 291.
( 19 ) V., in questo senso, Constantinesco, V., «Chronique de jurisprudence du Tribunal et de la Cour de justice des Communautés européennes», Journal du droit international, 1993, pag. 391, in particolare pag. 404 e segg.
( 20 ) Punto 155.
( 21 ) Punto 156.
( 22 ) Sentenza Commissione/Artegodan e a., cit. (punto 52).
( 23 ) Cause riunite C-440/01 P(R)-DEP e C-39/03 P-DEP.
( 24 ) Punto 36.
( 25 ) Punto 37.
( 26 ) Punti 47 e 87.
( 27 ) Punto 48.
( 28 ) Idem.
( 29 ) Idem.
( 30 ) V., in particolare, sentenza 19 febbraio 2009, causa C-308/07 P, Gorostiaga Atxalandabaso/Parlamento (Racc. pag. I-1059, punto 57 e giurisprudenza citata).
( 31 ) V., segnatamente, sentenza 29 marzo 2011, causa C-352/09 P, ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (Racc. pag. I-2359, punto 123 e giurisprudenza ivi citata).
( 32 ) Allo stesso modo non si può considerare che un controllo di legittimità comprenda tutti i motivi invocati, se il giudice comunitario ha statuito unicamente su alcuni di essi. V., a questo riguardo, sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, C-250/99 P-C-252/99 P e C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. I-8375, punti 43-52), nonché sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite T-305/94- T-307/94, T-313/94-T-316/94, T-318/94, T-325/94, T-328/94, T-329/94 e T-335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, (Racc. pag. II-931, punti 81-84).
( 33 ) V., in particolare, sentenza 1o giugno 2006, cause riunite C-442/03 P e C-471/03 P, P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione (Racc. pag. I-4845, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
( 34 ) V. sentenza del Tribunale 14 giugno 1995, causa T-61/92, de Compte/Parlamento (Racc. FP pag. I-A-145 e II-449, punti 39-42).
( 35 ) Punto 201 e giurisprudenza ivi citata.
( 36 ) Decisione concernente l’AIC dei medicinali per uso umano contenenti le seguenti sostanze: clobenzorex, norpseudoefedrina, fentermina, fenproporex, mazindol, amfepramone, fendimetrazina, fenmetrazina, méfenorex.