CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PEDRO CRUZ VILLALÓN
presentate all’udienza del 13 gennaio 2011 (1)
Causa C‑137/10
Comunità europee
contro
Région de Bruxelles-Capitale
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Belgio)]
«Diritto delle istituzioni – Funzionamento – Requisiti della delega, da parte della Commissione ad un’altra istituzione, ai fini della rappresentanza processuale dell’Unione – Validità del mandato in assenza di indicazione nominativa della persona fisica abilitata a rappresentare l’istituzione mandante – Competenza del giudice nazionale a pronunciarsi in materia – Validità della rappresentanza processuale del Consiglio da parte del suo segretario generale aggiunto»
1. La causa in esame presenta due questioni di natura e portata estremamente diverse. La prima, relativa all’attribuzione della rappresentanza dell’Unione per la sua comparizione ordinaria in giudizio dinanzi a un giudice nazionale, non è più attuale nei termini puntuali in cui è stata proposta. La rappresentanza della Comunità, attribuita espressamente ed in via esclusiva alla Commissione dall’art. 282 CE per qualsivoglia procedimento, è stata sostituita, nell’art. 335 TFUE, dall’attribuzione della rappresentanza a ciascuna delle istituzioni dell’Unione per le questioni connesse al loro rispettivo funzionamento. L’art. 282 CE si applica, in questa sede, solo ratione temporis.
La seconda questione, al contrario, presenta una dimensione atemporale, in quanto si riferisce ad una questione di principio quale la competenza dei giudici nazionali ai fini dell’esame della validità degli atti dell’Unione.
I – Contesto normativo
A – Diritto dell’Unione
2. Ai sensi dell’art. 7, n. 1, in fine, CE:
«Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dal presente trattato».
3. L’art. 207, nn. 2 e 3, CE, dispone quanto segue:
«2. Il Consiglio è assistito dal segretariato generale, sotto la responsabilità di un segretario generale, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, coadiuvato da un segretario generale aggiunto che è responsabile del funzionamento del segretariato generale. Il segretario generale ed il segretario generale aggiunto sono nominati dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata.
Il Consiglio decide in merito all’organizzazione del segretariato generale.
3. Il Consiglio adotta il proprio regolamento interno».
4. Dal canto suo, l’art. 282 CE stabilisce:
«In ciascuno degli Stati membri, la Comunità ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalle legislazioni nazionali; essa può in particolare acquistare o alienare beni immobili e mobili e stare in giudizio. A tale fine, essa è rappresentata dalla Commissione».
5. L’art. 59, n. 1, del regolamento finanziario (2) dispone quanto segue:
«1. Le funzioni di ordinatore sono esercitate dall’istituzione».
6. L’art. 60, nn. 1-3, del medesimo regolamento finanziario così recita:
«1. L’ordinatore è incaricato in ogni istituzione di eseguire le entrate e le spese secondo i principi di una sana gestione finanziaria e di garantirne la legittimità e la regolarità.
2. Per eseguire le spese, l’ordinatore delegato e sottodelegato procede agli impegni di bilancio ed agli impegni giuridici, alla liquidazione delle spese e all’emissione degli ordini di pagamento, nonché agli atti preliminari necessari all’esecuzione degli stanziamenti.
3. L’esecuzione delle entrate comporta la formazione delle previsioni di crediti, l’accertamento dei diritti da recuperare e l’emissione degli ordini di riscossione. Comporta anche, se necessario, la rinuncia ai crediti accertati».
7. L’art. 23 del Regolamento interno del Consiglio (3) ai nn. 2 e 5, dispone quanto segue:
«2. Il Consiglio decide in merito all’organizzazione del segretariato generale.
Sotto l’autorità del Consiglio, il segretario generale e il segretario generale aggiunto adottano tutte le misure necessarie per assicurare il buon funzionamento del segretariato generale».
«5. Il segretario generale, assistito dal segretario generale aggiunto, ha piena competenza in materia di gestione degli stanziamenti iscritti nella sezione II (Consiglio) del bilancio e adotta tutte le misure necessarie per assicurare la corretta gestione degli stessi. Egli realizza gli stanziamenti in conformità alle disposizioni del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee».
B – Diritto nazionale
8. Ai sensi degli artt. 1 e 2, n. 1, del regio decreto 23 agosto 1948 che disciplina la procedura dinanzi alla sezione amministrativa del Conseil d’État:
Articolo 1
«Il Conseil d’État conosce delle domande, questioni e ricorsi previsti dagli artt. 7, nn. 1, 8, 9 e 10 della legge, in forza di atto sottoscritto dalla parte o da un avvocato di nazionalità belga iscritto presso l’Albo dell’Ordine degli avvocati».
Articolo 2
«La domanda dev’essere datata e deve contenere:
1. Il nominativo, la qualifica e la residenza o sede della parte ricorrente.
2. L’oggetto della domanda o del ricorso unitamente ad un’esposizione dei fatti e dei motivi.
3. Il nominativo, la residenza o sede della controparte».
II – Fatti
9. Il 20 novembre 2002, il Consiglio dell’Unione europea presentava al Governo della Région de Bruxelles‑Capitale una domanda di autorizzazione urbanistica ai fini della realizzazione di determinati lavori nell’edificio denominato «Justus Lipsius». L’autorizzazione veniva rilasciata con decisioni del 12 e del 22 dicembre 2003, a condizione che il beneficiario versasse la somma di EUR 1 109 750 a titolo di oneri di urbanizzazione.
10. Atteso che tale onere costituisce una tassa dalla quale le Comunità europee sono esenti ai sensi dell’art. 3 del Protocollo sui suoi privilegi e immunità (4), il Consiglio dell’Unione proponeva il relativo ricorso dinanzi al Comitato urbanistico (Collège d’urbanisme) della Région de Bruxelles‑Capitale. In mancanza di risposta del Comitato, il Consiglio proponeva ricorso, in data 10 novembre 2004, dinanzi al Governo della Région de Bruxelles‑Capitale.
11. Con decisione 14 luglio 2005, il Governo della Région de Bruxelles‑Capitale dichiarava irricevibile il ricorso del Consiglio in quanto tardivo. Il Governo della Région de Bruxelles‑Capitale ha ritenuto che il dies a quo per l’impugnazione degli oneri di urbanizzazione fosse costituito dalla data di notificazione all’unica persona di riferimento del Consiglio dell’Unione comparsa nel procedimento. Il Consiglio aveva affermato, al riguardo, che solo il suo segretario generale e il suo segretario generale aggiunto potevano rappresentarlo e generare la sua responsabilità.
12. Avverso detta risoluzione del Governo della Région de Bruxelles‑Capitale del 14 luglio 2005 il Consiglio dell’Unione ha proposto ricorso di annullamento dinanzi al Conseil d’État belga. Il Governo della Région de Bruxelles‑Capitale ha proposto controricorso, sollevando, con riguardo alla questione che rileva nella specie, eccezione di difetto di legittimazione attiva, considerato che il ricorso era stato proposto dalle «Comunità europee, rappresentate dal Consiglio dell’Unione europea in persona del suo segretario generale aggiunto, sig. Pierre de BOISSIEU», mentre dagli atti risultava una procura con la quale la Commissione dava espressamente mandato ad agire in giudizio al «sig. Jean-Claude PIRIS o qualsiasi altra persona da questi designata, per proporre dinanzi al Conseil d’État belga un ricorso di annullamento contro il decreto».
13. Il Conseil d’État belga, ritenendo incerta la portata dei menzionati artt. 282 e 207 del Trattato CE, in particolare per quanto riguarda la competenza del Conseil d’État ad assicurarsi che l’organo competente dell’Unione abbia deciso di agire in giudizio nel rispetto delle regole di rappresentanza ad essa applicabili, ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 234 CE, le seguenti questioni pregiudiziali.
III – Questioni sottoposte
14. «1) Se l’art. 282 del Trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’espressione «[a] tale fine, essa è rappresentata dalla Commissione», figurante nel secondo periodo di detto articolo, debba essere interpretato nel senso che un’istituzione è validamente incaricata di rappresentare la Comunità per il semplice fatto dell’esistenza di un mandato con cui la Commissione abbia delegato a tale istituzione i propri poteri di rappresentanza in giudizio della Comunità, a prescindere dalla circostanza che tale mandato abbia o meno designato nominalmente una persona fisica autorizzata a rappresentare l’istituzione delegata.
2) In caso di soluzione negativa, se un giudice nazionale quale il Conseil d’État possa verificare la ricevibilità di un ricorso proposto da un’istituzione europea debitamente incaricata dalla Commissione di agire in giudizio, ai sensi dell’art. 282, secondo periodo, CE, esaminando se tale istituzione sia rappresentata dalla persona fisica adeguatamente autorizzata a proporre un ricorso dinanzi al giudice nazionale.
3) In subordine, e in caso di soluzione affermativa alla questione precedente, se l’art. 207, n. 2, primo comma, primo periodo, CE, in particolare l’espressione «coadiuvato da un segretario generale aggiunto che è responsabile del funzionamento del segretariato generale», debba essere interpretato nel senso che il segretario generale aggiunto del Consiglio può validamente rappresentare il Consiglio ai fini della proposizione di un ricorso dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali».
IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia
15. La domanda di pronuncia pregiudiziale è pervenuta alla Corte il 15 marzo 2010.
16. Hanno presentato osservazioni il Governo belga, il Consiglio e la Commissione.
17. All’udienza, tenutasi il 10 novembre 2010, hanno svolto osservazioni orali i rappresentanti del Governo belga, del Consiglio e della Commissione.
V – Tesi delle parti
18. Le osservazioni della Commissione iniziano con due rilievi preliminari. Da una parte, essa afferma la propria convinzione del fatto che, conformemente alle norme sul funzionamento interno del Consiglio, sia stato il sig. Piris, assessore giuridico del Consiglio, o un membro del suo servizio giuridico da questi designato, ad aver affidato all’avvocato, sig. de Briey, l’avvio del procedimento dinanzi al Conseil d’État, sicché sarebbe stato sufficiente che il Conseil d’État si fosse accertato che i fatti si fossero effettivamente svolti in tal modo per poter respingere de plano l’eccezione opposta dalla Région de Bruxelles‑Capitale. Secondo la Commissione, la semplice menzione del segretario generale aggiunto quale essa figura nella prima pagina del ricorso non era assolutamente necessaria e avrebbe potuto essere ritenuta giuridicamente irrilevante. A suo avviso, qualora la Corte condividesse tale tesi, e al fine di agevolare al giudice del rinvio l’individuazione di una soluzione utile, potrebbe essere opportuno rispondere in tal senso prima di esaminare le questioni pregiudiziali nella forma in cui sono state sollevate.
19. D’altra parte, a titolo di secondo rilievo preliminare, la Commissione manifesta la propria sorpresa per il fatto che la Région de Bruxelles‑Capitale, in quanto autorità pubblica di uno Stato membro, adotti tale atteggiamento processuale dinanzi al giudice a quo, trattandosi di un asserito vizio di forma di tale natura, considerato che non può ragionevolmente nutrire dubbio alcuno quanto alla volontà di agire in giudizio manifestata dal Consiglio e conosce perfettamente le competenze del segretario generale aggiunto e dell’assessore giuridico del Consiglio.
20. Quanto alla prima delle questioni sollevate, la Commissione deduce che, al fine di mitigare il monopolio rappresentativo fissato dall’art. 282 CE a favore della Commissione, detta istituzione è tenuta a conferire mandato alle altre istituzioni per esercitare in sua vece la rappresentanza processuale delle Comunità nelle cause che incidono sul loro rispettivo funzionamento. Il Trattato di Lisbona ha seguito tale logica nello stabilire, all’art. 335 TFUE, la rappresentanza diretta dell’Unione da parte di ciascuna delle istituzioni per le questioni connesse al loro funzionamento, senza necessità di un mandato da parte della Commissione (5).
21. Per tale prassi di conferimento di rappresentanza, che non è stata messa in discussione nel caso in esame, non sussiste alcuna normativa specifica che precisi le condizioni e le forme in cui si debba realizzare. In ogni caso, la Commissione ritiene che tale prassi non possa essere assoggettata alle condizioni specifiche dei singoli Stati membri, bensì che, a vantaggio dell’uniformità, debba essere il diritto dell’Unione a fissare un corpo di regole uniforme che la Commissione deve rispettare. In tal senso, la Commissione ritiene che per conferire mandato a un’altra istituzione sia necessario e sufficiente: 1) che si rispettino le regole che disciplinano l’adozione di decisioni nel suo interno; 2) che l’oggetto e la portata del mandato siano sufficientemente definiti e, infine, 3) che l’istituzione mandataria sia chiaramente identificata. Condizioni che, a suo avviso, sono tutte soddisfatte nel procedimento a quo.
22. Per il resto, la Commissione sostiene che, ancorché la prassi normalmente seguita sia questa, nessuna disposizione o principio generale la obbliga a designare una persona fisica concreta nell’ambito dell’istituzione cui sia stata conferita la rappresentanza come l’unica abilitata a rappresentarla. Di fatto, la designazione si compie sempre di concerto con l’istituzione interessata, sicché se la Commissione la effettuerà unilateralmente commetterà un’ingerenza ingiustificata nella sfera dell’autonomia amministrativa con detta istituzione.
23. Nel caso in esame, la Commissione deduce di aver menzionato esplicitamente l’assessore giuridico del Consiglio per rispondere esattamente al suggerimento fattole in tal senso proprio dal Consiglio stesso. Tale indicazione non era, tuttavia, giuridicamente necessaria ai fini della validità del mandato conferito al Consiglio, che consente inoltre la designazione di qualsiasi altra persona.
24. Quanto alla seconda questione, la Commissione sostiene che, una volta acclarato che all’istituzione sia stato conferito dalla Commissione idoneo mandato ad agire in giudizio, il giudice nazionale non deve compiere, in linea di principio, alcun esame complementare. In caso di dubbio, potrebbe, tutt’al più, verificare che la persona che compare dinanzi ad esso agisce per conto dell’istituzione, cosa che nel caso di specie è pacifica.
25. Per contro, la Commissione ritiene che il giudice nazionale non possa controllare la validità della designazione, né riguardo al mandato della Commissione, né riguardo alle regole interne dell’istituzione mandataria. In tal senso, non potrebbe verificare se la persona fisica che compare dinanzi ad esso soddisfi i requisiti necessari per essere designata, né se sia stata regolarmente designata dagli organi competenti e nelle dovute forme. Un controllo di tal genere presupporrebbe un’ingerenza nell’organizzazione interna dell’istituzione e indurrebbe il giudice nazionale a interpretare le sue regole di funzionamento interno.
26. Quanto alla terza questione, la Commissione deduce che il tenore dell’art. 207 CE non consente, alla luce della sua genericità, di determinare se la rappresentanza in giudizio del Consiglio sia inclusa tra le competenze del suo segretario generale aggiunto. Tuttavia, trattandosi dell’autorità più elevata della segreteria generale del Consiglio, di cui fa parte il servizio giuridico, è evidente che può validamente rappresentare in giudizio il Consiglio.
27. Conseguentemente, la Commissione suggerisce di risolvere le questioni sollevate dal Conseil d’État belga nei seguenti termini: «L’art. 282 CE, in particolare l’espressione «[a] tale fine, essa è rappresentata dalla Commissione», che figura nel secondo periodo di detto articolo, deve essere interpretato nel senso che un’istituzione è validamente incaricata di rappresentare la Comunità per il semplice fatto dell’esistenza di un mandato con cui la Commissione abbia delegato a tale istituzione i propri poteri di rappresentanza in giudizio della Comunità, a prescindere dalla circostanza che tale mandato abbia o meno designato nominalmente una persona fisica autorizzata a rappresentare l’istituzione delegata».
28. Il Governo belga, dal canto suo, oltre a rilevare che i fatti del giudizio a quo sono precedenti all’entrata in vigore della riforma dell’art. 282 CE ad opera dell’art. 335 TFUE, sostiene che alla prima delle questioni occorra dare soluzione negativa, dato che, diversamente ragionando, si supporrebbe che, una volta conferita la rappresentanza da parte della Commissione, il Consiglio possa agire in giudizio mediante qualsivoglia agente.
29. Il Governo belga sostiene che un’applicazione restrittiva dell’art. 282 CE debba condurre alla conclusione secondo cui ogni azione in giudizio da parte della Comunità europea dovrebbe essere esercitata unicamente dalla Commissione, atteso che il principio di attribuzione delle competenze riconosciuto dall’art. 7, n. 1, in fine, del Trattato CE, non riguarda solo la delimitazione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri, bensì anche quella delle attribuzioni di ciascuna delle istituzioni comunitarie, le sole che potrebbero esercitare le rispettive competenze senza possibilità di delega.
30. Anche a voler ritenere che, malgrado le suesposte considerazioni, sia possibile una delega di competenza in presenza di taluni requisiti, il Governo belga deduce che tale delega dovrebbe essere assoggettata a interpretazione restrittiva considerato che, così facendo, si deroga alla ripartizione di competenze tra istituzioni risultante dalle disposizioni del Trattato CE. In forza di tale principio, il mandato conferito dalla Commissione per l’esercizio di una competenza che attribuitale dal Trattato deve essere svolto dall’istituzione o dalla persona mandatarie.
31. Nel caso di specie, è acclarato che la persona fisica che ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio non era quella designata dalla Commissione, vale a dire, il sig. Piris, e nemmeno un soggetto designato da quest’ultimo, come consentito, peraltro, dallo stesso mandato della Commissione mediante una sorta di subdelega sulla cui legittimità, a parere del Governo belga, ci si potrebbe legittimamente interrogare. Chi ha proposto ricorso dinanzi al giudice nazionale avrebbe agito, insomma, in assenza di qualsivoglia mandato.
32. Quanto alla seconda questione, il Governo belga sostiene che, secondo la giurisprudenza della Corte, il principio di autonomia delle istituzioni delle Comunità osti a che un giudice nazionale si ingerisca nelle loro competenze, sostituendosi nell’esercizio del suo potere decisionale. Per contro, dalla medesima giurisprudenza si evince che il giudice nazionale può verificare se un’istituzione abbia agito conformemente alla normativa ad essa applicabile. Conseguentemente, il Governo belga sostiene che un giudice nazionale possa verificare l’ammissibilità di un ricorso proposto da un’istituzione, controllando se essa agisca attraverso la persona fisica abilitata dalla Commissione a proporlo.
33. Per quanto attiene alla terza questione, il Governo belga deduce che l’art. 207, n. 2, del Trattato CE non conferisce, di per sé, alcun potere di rappresentanza al segretario generale aggiunto, senza che la sua responsabilità di gestione della segreteria generale possa assimilarsi a un potere rappresentativo, dato che le sue competenze si riferiscono all’organizzazione e all’amministrazione della segreteria generale, da una parte e, dall’altra, al corretto svolgimento delle attività del Consiglio e alla gestione del suo bilancio. Né tale prescrizione né l’art. 23 del Regolamento interno del Consiglio conferiscono al segretario generale aggiunto un potere di rappresentanza per agire in giudizio, sicché anche alla terza e ultima questione va data, secondo il Governo belga, soluzione negativa.
34. Il Consiglio, dal canto suo, deduce, quanto alla prima questione, che è pacifico che abbia ricevuto un sufficiente conferimento di rappresentanza da parte della Commissione conformemente all’art. 282 CE, norma, quest’ultima, da cui si evince solo che le istituzioni che intendano agire in giudizio con riguardo a questioni che le interessino direttamente devono tener conto, a tal fine, del conferimento di rappresentanza della Commissione. Né da tale articolo né da alcuna altra disposizione risulta, secondo il Consiglio, che il mandato sia validamente conferito solo se vi si indichi una persona che rappresenta l’istituzione interessata dinanzi al giudice nazionale competente. Il mandato all’istituzione per agire in giudizio sarebbe, pertanto, sufficiente perché la Comunità sia validamente rappresentata.
35. Se è pur certo, riconosce il Consiglio, che nessun elemento osta al fatto che nel mandato si menzioni una persona determinata, ciononostante, a suo avviso, il principio di autonomia amministrativa delle istituzioni e le sue regole di organizzazione interna continuano a trovare applicazione e, pertanto, il riferimento a una persona fisica non limita la portata del mandato conferito all’istituzione ai fini della sua rappresentanza dinanzi a un giudice nazionale.
36. Il Consiglio sottolinea che è corretto che nel mandato figuri il nome del suo assessore giuridico, sig. Piris, senza che la sua rappresentanza susciti alcun problema all’interno delle istituzioni, ove siano state rispettate tutte le procedure interne. Il sig. Piris, dal canto suo, conformemente ai termini del mandato, ha designato un avvocato esterno, il sig. de Briey, per proporre ricorso dinanzi al giudice nazionale in rappresentanza delle Comunità. In altri termini, la menzione espressa del sig. Piris nel mandato della Commissione rende espliciti ad extra i poteri dell’assessore giuridico del Consiglio ai fini della designazione dell’avvocato, sig. de Briey.
37. Il Consiglio deduce che nel ricorso proposto dal sig. de Briey figura anche il nome del segretario generale aggiunto del Consiglio, cosa che non era necessaria, dal momento che, spettandogli per statuto la gestione della segreteria generale ai sensi dell’art. 207 CE, non occorreva assolutamente che fosse menzionato espressamente anche nel mandato della Commissione, essendo in tal senso sufficiente il conferimento di rappresentanza al Consiglio. A fortiori, non era nemmeno necessario che il segretario generale aggiunto fosse designato dal sig. Piris. Al contrario, il nome di quest’ultimo figurava nel mandato poiché, in quanto mandatario del potere di esecuzione di bilancio del segretario generale aggiunto, era tenuto a rivolgersi a un avvocato esterno.
38. Il Consiglio sostiene che, in considerazione della sua posizione con riguardo alla prima questione, non occorra procedere alla soluzione della seconda. A suo avviso, un giudice nazionale non può verificare se l’istituzione che sia parte di un giudizio pendente dinanzi ad esso sia rappresentata dalla persona fisica adeguata, a meno che l’istituzione stessa non metta in discussione tale rappresentanza. In caso contrario, incorrerebbe in un’intrusione inammissibile nella sfera di autonomia delle istituzioni comunitarie. Secondo il Consiglio, il giudice nazionale può verificare solo il vincolo sussistente tra il Consiglio stesso, che agisce in rappresentanza delle Comunità in forza dell’art. 282 CE, da una parte, e l’avvocato esterno che lo rappresenta, dall’altra. In altre parole, può verificare solo la sussistenza di un mandato conferito dalla Commissione e la designazione di un avvocato ai fini della sua rappresentanza dinanzi a tale giudice. L’effettività di tale questione, nel caso in esame, non è stata messa in discussione né dal Conseil d’État belga né dalla controparte nel giudizio a quo.
39. Quanto alla terza questione, il Consiglio deduce che, in considerazione della posizione assunta rispetto alla seconda, non occorre procedere alla sua soluzione. Tuttavia, oltre a sottolineare che l’oggetto del giudizio a quo riguarda l’immunità fiscale delle Comunità, il Consiglio afferma che, conformemente all’art. 207, n. 2, CE, all’art. 59, n. 1, del regolamento finanziario, all’art. 23, nn. 2 e 5, del regolamento interno del Consiglio e alle norme interne relative all’attuazione del bilancio del Consiglio, adottate il 20 dicembre 2002, il segretario generale aggiunto esercita, in quanto rappresentante della sua istituzione, le funzioni di ordinatore per la sezione del bilancio delle Comunità relativa al Consiglio. In quanto ordinatore, e conformemente all’art. 60, nn. 1 e 3, del regolamento finanziario, deve eseguire le entrate e le spese del bilancio secondo i principi di una sana gestione finanziaria garantendone la legittimità e la regolarità. È in tale contesto che si inserisce la decisione del segretario generale aggiunto, in quanto responsabile della gestione dei crediti della sua istituzione, di proporre ricorso dinanzi al giudice nazionale al fine di evitare che il Consiglio debba soddisfare, a spese del suo bilancio, la somma richiesta, a suo avviso indebitamente, dalla Région de Bruxelles‑Capitale.
40. Il Consiglio conclude che, essendo stata legittimamente conferita la rappresentanza dalla Commissione al Consiglio affinché quest’ultimo potesse agire in giudizio in nome delle Comunità, il suo rappresentante in materia per statuto, vale a dire il sig. de Boissieu, quale segretario generale aggiunto incaricato del buon funzionamento e della gestione della segreteria, nell’esercizio delle sue prerogative, rappresentava legittimamente il Consiglio dinanzi al giudice nazionale, senza che occorresse a tal fine un mandato esplicito né della Commissione né del sig. Piris, essendo sufficiente il mandato conferito dalla Commissione al Consiglio in quanto istituzione, in forza di disposizioni di diritto primario.
VI – Analisi
41. Occorre sottolineare, in primo luogo, che quanto si chiede alla Corte di giustizia nel giudizio in oggetto con le tre questioni proposte non è la soluzione del caso concreto esposto nel ricorso, vale a dire se la Comunità sia correttamente rappresentata nello specifico procedimento dinanzi al Conseil d’État belga. Lo stesso tenore di tali questioni evidenzia che quanto si attende dalla Corte di giustizia è una risposta in astratto a questioni altrettanto astratte. Non si tratta, pertanto, di decidere se le persone intervenute in nome della Comunità nel giudizio a quo potessero farlo validamente, ma di precisare quale sia il regime di rappresentanza della Comunità, quando essa compare dinanzi a un giudice nazionale ai sensi dell’art. 282 CE. Sarà il Conseil d’État belga, sulla base della decisione della Corte di giustizia in ordine a tale questione di diritto, a decidere ciò che, applicando ad casum detta pronuncia, ritenga adeguato ai fini della soluzione della controversia sottoposta al suo esame.
42. L’art. 282 CE attribuiva alla Commissione lo status di rappresentante della Comunità all’unico fine di rendere possibile l’esercizio, «in ciascuno degli Stati membri», della capacità giuridica riconosciuta alla Comunità come persona giuridica. Una capacità nella quale la disposizione include, in particolare, la facoltà di «stare in giudizio».
43. Si tratta, quindi, di una rappresentanza organica, in forza della quale la Commissione costituiva l’unico interlocutore legittimato della Comunità nelle sue relazioni con gli Stati membri disciplinate esclusivamente dai rispettivi ordinamenti nazionali, vale a dire nelle relazioni in cui la Comunità agisce nel suo status di persona giuridica di diritto privato, priva, pertanto, per così dire, di qualsivoglia imperium e assoggettata quindi al diritto nazionale al pari di qualsiasi cittadino.
44. In quanto rappresentante della Comunità ex art. 282 CE, la Commissione esercitava una competenza specifica, di pura rappresentanza ad extra nell’ambito del diritto nazionale, indipendente da quelle che le spettano ad intra nell’ordinamento comunitario. Nell’esercizio di tale funzione di rappresentanza, la Commissione operava come se fosse la Comunità, facendo valere nel rispettivo ordinamento nazionale la volontà della Comunità che risultava dai procedimenti di produzione di norme e atti giuridici fissati dal diritto comunitario. La volontà manifestata non era, pertanto, quella della Commissione, bensì quella concordata mediante il corretto esercizio delle competenze attribuite dai Trattati ai differenti organi della Comunità e imputabile, quindi, in ultima analisi, alla Comunità stessa.
45. La rappresentanza della Comunità da parte di uno dei suoi organi non priva gli altri di alcuna delle loro prerogative, né può pregiudicarli nell’esercizio delle stesse o rendere più difficile l’adempimento delle loro responsabilità quando, per il loro interesse, risulta necessario che la Comunità agisca come persona giuridica nel contesto del diritto di uno Stato membro. La Commissione sta in giudizio, in quanto rappresentante della Comunità, quando interessi alla Comunità, secondo il parere di quel suo organo le cui attribuzioni richiedono, per il loro corretto esercizio, di stare in giudizio dinanzi ai giudici nazionali.
46. Tale è, in ogni caso, la logica assunta dall’art. 335 TFUE, il quale, seppur inapplicabile al caso in esame, presenta una certa rilevanza interpretativa, in quanto è giunto a formalizzare la prassi osservata nell’applicazione dell’art. 282 CE (6), ai sensi del quale ora, ferma restando la rappresentanza comune dell’Unione esercitata dalla Commissione, essa «è rappresentata da ciascuna delle istituzioni, in base alla loro autonomia amministrativa, per le questioni connesse al funzionamento della rispettiva istituzione». Tale corrispondenza tra la titolarità di una potestà, da una parte, e la comparizione in giudizio in un processo come modo per garantire il suo esercizio, dall’altro, non solo serve ad una migliore efficacia nello svolgimento della prima, ma anche all’interesse di una buona amministrazione della giustizia ove le parti coinvolte nel contraddittorio processuale potranno definire l’oggetto della controversia dinanzi al giudice nei termini più adeguati rispetto ad una realtà che è loro particolarmente vicina in quanto titolari degli interessi in conflitto. In tal senso la Corte ha già avuto modo di affermare che, quando la Comunità sia chiamata a rispondere di un atto di uno dei suoi organi, la buona amministrazione della giustizia richiede che compaia per essa dinanzi al giudice l’organo che ha generato la responsabilità che le si imputa (sentenza 13 novembre 1973, Werhahn Hansamühle, punto 7 (7)).
47. La competenza attribuita alla Commissione dall’art. 282 CE si limita, quindi, per quanto rileva in questa sede, alla rappresentanza istituzionale della Comunità dinanzi ai giudici degli Stati membri. La volontà rappresentata non è quella della Commissione, bensì quella della Comunità, vale a dire, in ogni caso, quella del suo organo nella cui sfera di attribuzioni si colloca l’azione a livello comunitario che necessita, ai fini della sua efficacia giuridica, della partecipazione di un giudice nazionale. Pertanto, l’attribuzione della rappresentanza ex art. 282 CE, lungi dal ridurre ad unità, a beneficio della Commissione, la molteplicità di responsabilità affidate ad intra alle diverse istituzioni, deve essere intesa come un’attribuzione strumentale a servizio delle diverse responsabilità istituzionali nella sua proiezione ad extra dinanzi ai giudici degli Stati membri.
48. A sua volta, si è creata la prassi reiterata e pacifica del conferimento di rappresentanza da parte della Commissione alle diverse istituzioni per rappresentare in giudizio la Comunità quando ciò è risultato necessario per il loro funzionamento. Tale prassi è quella che, come rilevato supra, è stata poi formalizzata dall’art. 335 TFUE attualmente vigente. Nessuno ha posto in discussione – né potrebbe seriamente farlo – che tale conferimento di rappresentanza, per così dire, «interno», sia giuridicamente ineccepibile, dal momento che né l’art. 282 CE lo esclude, né la natura dell’attribuzione prevista da tale disposizione impedisce che sia, infine, l’istituzione effettivamente interessata quella che rappresenta in giudizio la Comunità per la difesa dei suoi interessi in quanto persona giuridica. In definitiva, è la migliore difesa degli interessi comunitari quella che sembra porsi a fondamento della prassi che ha portato ad affidare sistematicamente la rappresentanza della Comunità in giudizio all’istituzione che meglio poteva difendere tali interessi.
49. Naturalmente, solo a partire dall’entrata in vigore dell’art. 335 TFUE è possibile la rappresentanza diretta dell’Unione da parte dell’istituzione direttamente interessata, distinta dalla Commissione, ancorché il regime precedente non impedisse la rappresentanza delegata se ricorreva l’apposito conferimento di rappresentanza «interno» da parte della Commissione.
50. La questione decisiva, allora, è quella relativa alle modalità con cui deve formalizzarsi tale conferimento di poteri. Deve senz’altro sussistere una volontà inequivoca e chiara di conferire la rappresentanza della Comunità ad un’altra istituzione. Deve peraltro ritenersi che tale volontà di conferire la rappresentanza sia sempre preceduta da un’altra volontà, rispetto alla quale essa è, appunto, strumentale: la volontà di comparire in giudizio, che non deve necessariamente essere solo ed esclusivamente quella della Commissione, bensì parimenti quella dell’istituzione il cui funzionamento impone tale comparizione in giudizio come mezzo più adeguato ai fini del corretto esercizio delle sue funzioni.
51. Naturalmente nulla impedisce che, nel legittimo esercizio della sua competenza ex art. 282 CE, la Commissione rappresenti direttamente la Comunità anche nel caso della difesa in giudizio degli interessi più immediati di un’altra istituzione. Risulta evidente che la logica della distribuzione razionale delle funzioni istituzionali a vantaggio dell’interesse superiore della Comunità doveva prevalere – come effettivamente è accaduto in passato – sulla prassi che ora è stata sancita, sul piano normativo, con l’art. 335 TFUE.
52. Se è pur vero, senza dubbio, che non sussiste alcun obbligo di conferire la rappresentanza ad un’altra istituzione per rappresentare in giudizio la Comunità, quando la Commissione ha deciso in tal senso non sembra, tuttavia, che possa subordinare la rappresentanza conferita ad alcuna condizione. Non solo quanto alle modalità di esercizio della tutela giurisdizionale degli interessi della Comunità, ma nemmeno quanto alle persone che devono agire per l’istituzione cui è stata conferita la rappresentanza. Diversamente ragionando si presupporrebbe un’ingerenza inaccettabile nell’ambito dell’autonomia istituzionale e organizzativa di quest’ultima (8). D’altronde, ciò risulterebbe in contrasto con la ragione stessa del conferimento di poteri, che altro non è, come ripeto, se non quella di consentire la tutela degli interessi della Comunità da parte dell’organo che, in ogni caso, può garantirli al meglio in ragione della sua conoscenza dell’oggetto della controversia.
53. Alla luce di quanto sopra, risulta chiaro che la Commissione dovrebbe limitarsi a conferire formalmente la rappresentanza all’istituzione alla quale affida la rappresentanza in giudizio della Comunità in difesa degli interessi direttamente rilevanti, senza designare «nominalmente una persona fisica autorizzata a rappresentare l’istituzione delegata», secondo i termini della prima questione sollevata dal Conseil d’État.
54. Il discorso è diverso se una tale designazione nominativa eventualmente effettuata renda invalida, di per sé, un concreto conferimento di rappresentanza, laddove non venga rispettata. Se, come sembra verificarsi nel caso in esame, conformemente a quanto dedotto dalla Commissione, la prassi venuta in essere è quella di compiere designazioni di tal sorta di concerto con l’istituzione interessata, il suo valore deve ridursi all’ambito meramente interno della Comunità quanto alla preparazione della difesa.
55. La Comunità, pertanto, ai sensi dell’art. 282 CE, era validamente rappresentata dinanzi ai giudici nazionali sia dalla Commissione, sia dall’istituzione alla quale essa aveva formalmente conferito la rappresentanza ad agire in giudizio in un caso concreto. Istituzione che, essendole stata conferita la rappresentanza, eserciterà la rappresentanza conferita in quanto tale e, pertanto, secondo il procedimento previsto per la formazione e l’esercizio della sua volontà istituzionale, vale a dire, mediante le persone autorizzate ad agire in suo nome e, quindi, a rappresentarla.
56. Da quanto sopra esposto consegue che alla terza delle questioni sollevate dal Conseil d’État si deve dare soluzione positiva. Infatti, tra le persone che possono agire validamente in nome del Consiglio è compreso il suo segretario generale aggiunto se, come nel caso in esame, l’interesse comunitario necessario della presenza in giudizio della Comunità incide sul presupposto di quest’ultima, ove del rispetto della sua disposizione ed esecuzione è personalmente responsabile detto segretario, ai sensi dell’art. 23, nn. 2 e 5, del Regolamento interno del Consiglio.
57. Anche se, nei termini in cui è stata sollevata, la seconda questione dovrebbe essere risolta solo in caso di soluzione negativa alla prima, è tuttavia opportuno precisare che gli organi giurisdizionali degli Stati membri non possono verificare la regolarità del conferimento di rappresentanza della Commissione a un’altra istituzione comunitaria. Applicando al caso in esame la giurisprudenza in materia di attribuzione dello status di funzionario o agente dell’Unione (9) risulta evidente che l’eventuale controllo di un conferimento di rappresentanza della Commissione a favore del Consiglio può essere unicamente di competenza della stessa giurisdizione comunitaria, dal momento che qualsivoglia intromissione su tale punto da parte dei giudici nazionali presupporrebbe un’ingerenza contra ius nella sfera di autonomia delle istituzioni dell’Unione.
58. Perciò, anche nell’ipotesi di un conferimento di rappresentanza manifestamente invalido, il giudice nazionale poteva solo sollevare la relativa questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.
59. La competenza dei giudici nazionali, pertanto, resta limitata al controllo della regolarità giuridica dell’atto in forza del quale la Comunità – mediante l’organo che la rappresenta secondo il diritto dell’Unione – conferisce la rappresentanza ad un concreto rappresentante in giudizio per comparire dinanzi al giudice dello Stato membro quando la normativa processuale nazionale lo impone. Poiché si tratta di un requisito strettamente nazionale che non incide sullo status di chi compare in giudizio, bensì sulla forma della comparizione in giudizio, l’Unione, che in tale contesto si limita ad agire come persona giuridica priva di qualsivoglia imperium, non può sottrarsi alla sua necessità. Risulta parimenti chiaro che non può sottrarsi alla pronuncia definitiva dell’organo giurisdizionale dello Stato alla cui giurisdizione si è assoggettata.
VII – Sintesi
60. Da tutte le suesposte considerazioni discende che, sempre nei termini astratti in cui il Conseil d’État belga ha sollevato le sue questioni, il conferimento di rappresentanza previsto dall’art. 282 CE non impone la designazione nominativa di una persona fisica determinata né, nell’ipotesi della designazione esplicita di una persona, la comparizione in giudizio mediante una persona diversa rende invalido il conferimento di rappresentanza all’istituzione mandataria, purché tale persona possa agire genericamente in nome di tale istituzione, come nel caso del segretario generale aggiunto del Consiglio. D’altra parte, solo la Corte di giustizia può pronunciarsi in ordine alla validità del conferimento di rappresentanza interno di cui trattasi. Al giudice nazionale, per contro, resta solo ed esclusivamente il controllo del potere che, nel caso di specie, sia richiesto dal diritto nazionale per comparire in giudizio in persona del legale rappresentante.
VIII – Conclusione
61. Sulla base delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nel seguente modo ai quesiti formulati dal Conseil d’État belga:
«1) L’art. 282 CE, in particolare l’espressione “[a] tale fine, essa è rappresentata dalla Commissione”, deve essere interpretato nel senso che un’istituzione diversa dalla Commissione è validamente incaricata di rappresentare la Comunità per il semplice fatto che quest’ultima ha delegato all’istituzione medesima i propri poteri di rappresentanza in giudizio della Comunità, a prescindere dalla circostanza che nel mandato sia stata nominalmente designata o meno una persona fisica autorizzata a rappresentare l’istituzione delegata.
2) L’art. 207, n. 2, primo comma, primo periodo, CE, in particolare l’espressione “coadiuvato da un segretario generale aggiunto che è responsabile del funzionamento del segretariato generale”, deve essere interpretato nel senso che il segretario generale aggiunto del Consiglio può validamente rappresentare il Consiglio ai fini della proposizione di un ricorso dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali.
3) Un giudice nazionale quale il Conseil d’État belga non può verificare autonomamente la regolarità del conferimento di rappresentanza “interno” effettuato ai sensi dell’art. 282 CE, ed è obbligato, in tal caso, a sottoporre la relativa questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia».
1 – Lingua originale: lo spagnolo.
2 – Regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 25 giugno 2002, n. 1605, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (GU L 248 del 16 settembre 2002, pag. 1).
3 – Decisione del Consiglio (CECA, Euratom) 5 giugno 2000, 2000/396/CE, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU L 149 del 23 giugno 2000, pag. 21).
4 – Allegato al Trattato CE ai sensi del Trattato di Amsterdam.
5 – Art. 335 TFUE: «In ciascuno degli Stati membri, l’Unione ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalle legislazioni nazionali; essa può in particolare acquistare o alienare beni immobili e mobili e stare in giudizio. A tale fine, essa è rappresentata dalla Commissione. Tuttavia, l’Unione è rappresentata da ciascuna delle istituzioni, in base alla loro autonomia amministrativa, per le questioni connesse al funzionamento della rispettiva istituzione».
6 – In tal senso, v. per tutti Becker, U., Artikel 282 (Rn. 15), in Schwarze, J. (ed.), EU-Kommentar, 2ª ed., Nomos, Baden-Baden, 2009.
7 – Causa 63-69/72 (Racc. pag. 1229).
8 – Principio di autonomia amministrativa che, come ha osservato la Commissione, è già stato riconosciuto da questa Corte, nel contesto del Trattato CECA, nella sentenza 12 luglio 1957, cause riunite 7/56, 3/57-7/57, Algera e a./Assemblée commune (Racc. pag. 81).
9 – Per tutte, sentenza 8 settembre 2005, causa C-288/04, AB (Racc. 2005 pag. I-7837, punto 31).