CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 14 aprile 2011 (1)

Causa C‑119/10

Frisdranken Industrie Winters BV

contro

Red Bull GmbH

(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden, Paesi Bassi)

«Direttiva 89/104/CEE – Diritto dei marchi – Diritto del titolare di un marchio registrato di vietare un uso non autorizzato del proprio marchio – Uso di un segno – Nozione – Riempimento di lattine con bevande per conto di terzi – Merci da esportare – Rischio di confusione – Pubblico»





I –    Introduzione

1.        Chiunque, senza esserne autorizzato, faccia uso nel commercio di un marchio altrui o di un segno simile viola i diritti del titolare del suddetto marchio. Questo principio è applicabile, però, anche ad un’impresa che si occupa, per conto di terzi, di riempire con bevande lattine contrassegnate con i segni controversi? E quali sono le conseguenze, nel caso in cui le suddette merci siano destinate ad essere direttamente esportate fuori dal territorio in cui il marchio è protetto? Sono queste le questioni che si pongono nel presente procedimento.

II – Contesto normativo

2.        È determinante la prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (2) (in prosieguo: la «direttiva sui marchi d’impresa»).

3.        I diritti derivanti dal marchio d’impresa sono stabiliti all’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa:

«1)      Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2)      (…)

3)      Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a)      di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)      l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.

4)      (…)».

4.        Oltre a questo atto normativo si deve citare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (3).

5.        L’art. 1 della direttiva 2004/48 ne descrive l’oggetto:

«La presente direttiva concerne le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Ai fini della presente direttiva i termini “diritti di proprietà intellettuale” includono i diritti di proprietà industriale».

6.        L’art. 11, terza frase, della direttiva disciplina i diritti nei confronti degli intermediari:

«Gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE» (4).

III – Fatti e domande di pronuncia pregiudiziale

7.        La Red Bull GmbH (in prosieguo: la «Red Bull») produce e commercializza – contraddistinta dal marchio d’impresa RED BULL noto a livello mondiale – una cosiddetta bevanda energetica. La Red Bull ha effettuato per questo marchio registrazioni internazionali che valgono, tra l’altro, per i paesi del Benelux.

8.        La Frisdranken Industrie Winters BV (in prosieguo: la «Winters») è un’impresa che si occupa principalmente del c.d. «riempimento» di lattine con bevande prodotte da essa stessa o da terzi.

9.        La Smart Drinks Ltd. (in prosieguo: la «Smart Drinks»), una persona giuridica di diritto delle Isole Vergini britanniche e ivi avente sede, è una concorrente della Red Bull.

10.      Su incarico della Smart Drinks, la Winters ha riempito lattine con bevande rinfrescanti. A tal fine, la Smart Drinks ha fornito lattine vuote alla Winters, con le relative chiusure, recanti tutti i segni, le decorazioni e i testi necessari. Le lattine fornite alla Winters erano provviste, tra l’altro, dei segni «BULLFIGHTER, «PITTBULL», «RED HORN», successivamente modificato in «LONG HORN», e «LIVE WIRE». La Smart Drinks ha fornito alla Winters anche l’estratto della bevanda rinfrescante. Quindi la Winters ha riempito le lattine, secondo le indicazioni/ricette della Smart Drinks, con una certa quantità di estratto, lo ha allungato con acqua e eventualmente anidride carbonica, e ha chiuso le lattine. La Winters ha messo poi le lattine riempite nuovamente a disposizione della Smart Drinks, che le ha esportate in seguito in paesi al di fuori del Benelux.

11.      La Winters non ha reso alla Smart Drinks altro servizio – per quanto riguarda la fattispecie in esame – se non il riempimento delle lattine. Non si è configurata alcuna vendita e/o consegna dei prodotti da parte della Winters alla Smart Drinks o a terzi.

12.      Il 2 agosto 2006 la Red Bull ha chiesto, nell’ambito di un procedimento sommario, di intimare alla Winters la cessazione di ogni ulteriore uso di diversi segni identici ai marchi della Red Bull, indicati nell’atto di citazione. A questo proposito ha sostenuto che la Winters, riempiendo le lattine su cui sono apposti i segni succitati, avrebbe violato i corrispondenti diritti di marchio della Red Bull.

13.      Entrambi i giudici di merito hanno affermato che la Winters ha violato i marchi della Red Bull. Il giudizio circa l’identità fra i segni utilizzati e il marchio dovrebbe basarsi astrattamente su un consumatore medio nell’area del Benelux.

14.      Lo Hoge Raad, presso cui la Winters ha presentato un ricorso per cassazione, sottopone ora le seguenti questioni alla Corte di giustizia:

«1. a) Se il mero «riempimento» di confezioni già provviste di un segno debba essere inteso come uso di detto segno nel commercio, ai sensi dell’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa, anche se detto riempimento avviene come servizio reso ad un altro, e su suo incarico, per contraddistinguere i prodotti di detto committente.

b)       Se, ai fini della soluzione della questione 1. a), rilevi se sussista una violazione di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), ovvero lett. b), della direttiva sui marchi d’impresa.

2.       In caso di soluzione affermativa della questione 1. a), se l’uso del segno possa essere vietato nel Benelux, anche in forza dell’art. 5 della direttiva sui marchi, qualora i prodotti recanti il segno siano esclusivamente destinati all’esportazione verso paesi al di fuori del territorio

a)      del Benelux ovvero

b)      dell’Unione europea

ed essi all’interno di detto territorio –? salvo nell’azienda dove ha avuto luogo il riempimento –? non possano essere percepiti dal pubblico.

3.       In caso di soluzione affermativa della questione 2) a) o b), quale criterio debba essere applicato per giudicare se si configuri una violazione del marchio: se valga il criterio della percezione del consumatore (normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto) nel Benelux (o nell’Unione europea) – che in tal caso, nelle circostanze della fattispecie, non può essere determinato se non in via presuntiva o astratta –? ovvero se al riguardo occorra seguire un altro criterio, ad esempio la percezione del consumatore nel paese in cui i prodotti vengono esportati».

15.      La Frisdranken Industrie Winters BV, la Red Bull GmbH e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte e orali. Inoltre, all’udienza del 10 marzo 2011 ha preso parte anche la Repubblica di Polonia.

IV – Valutazione giuridica

16.      Il presente procedimento solleva tre questioni fondamentali, ossia, in primo luogo, se un prestatore di servizi che per conto altrui riempia di una bevanda una lattina contrassegnata con segni simili a marchi d’impresa violi il diritto di marchio [questione 1. a)], in secondo luogo, se il marchio d’impresa sia violato anche quando i suddetti prodotti siano destinati all’esportazione al di fuori del territorio in cui il marchio d’impresa è protetto (questione n. 2) e, in terzo luogo, in base a quale criterio debba essere giudicato il rischio di confusione nel caso di merci da esportare (questione n. 3).

A –    Sulla questione n. 1. a)

17.      Con la questione n. 1 a) il giudice del rinvio intende sapere se il mero riempimento con bevande di lattine già provviste di un segno debba essere considerato come uso del suddetto segno nel commercio nell’accezione di cui all’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa, anche qualora il riempimento costituisca un servizio reso ad un altro, e su suo incarico, avente ad oggetto i prodotti di quest’ultimo.

18.      Ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva sui marchi di impresa, il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo in forza del quale egli ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al suo marchio. (5)

19.      Inoltre, le azioni elencate all’art. 5, n. 3, della direttiva sui marchi d’impresa, fra cui in particolare l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro condizionamento [lett. a)], ne costituiscono usi (6).

20.      Il riempimento con bevande di lattine su cui figurano i segni in questione corrisponde all’apposizione dei suddetti segni sulle bevande, in quanto queste ultime sono necessariamente associate con i segni presenti sul contenitore (7). Si potrebbe conseguentemente supporre che la Winters utilizzi i suddetti segni per i prodotti nell’accezione di cui all’art. 5, n. 1, della direttiva sui marchi d’impresa.

21.      La Corte di giustizia ha tuttavia affermato che l’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva sui marchi d’impresa deve essere interpretato, in linea di principio, nel senso che contempla l’uso di un segno identico o simile al marchio per prodotti venduti o servizi forniti dal terzo (8).

22.      In questo contesto, la Corte di giustizia ha fatto riferimento anche alla struttura dell’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa: l’uso di un segno per prodotti o servizi ai sensi dei nn. 1 e 2 di tale articolo è un uso diretto a distinguere i detti prodotti o servizi, mentre il n. 5 dello stesso articolo riguarda, dal canto suo, «l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi» (9).

23.      La suddetta giurisprudenza mirava anzitutto ad evidenziare che l’utilizzo di segni deve essere diretto a contraddistinguere i prodotti e i servizi. Ciò si verifica nella specie, in quanto i segni in questione sono diretti a contraddistinguere le bevande della Smart Drinks dalle altre bevande.

24.      Recentemente, tuttavia, la Corte ha sottolineato che l’uso di un segno identico o simile al marchio del titolare da parte di un terzo comporta, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale (10). A favore di questa tesi depone il nesso sistematico fra gli artt. 5 e 6 della direttiva sui marchi d’impresa, cui ha fatto riferimento già in precedenza la Corte di giustizia. Atteso che i termini «prodotto» e «servizio» che compaiono all’art. 6, n. 1, lett. b) e c), della direttiva sui marchi di impresa si riferiscono necessariamente ai prodotti e servizi venduti o forniti dal terzo, anche l’utilizzo dei segni ai sensi dell’art. 5 si deve parimenti riferire, in linea di principio, ai prodotti e ai servizi del terzo che ne fa uso (11).

25.      Seguendo questa impostazione non vi è alcuna violazione del marchio da parte della Winters. Quest’ultima, infatti, non utilizza i segni nel contesto della propria comunicazione commerciale. L’impresa, in particolare, non vende le lattine di bevande su cui sono apposti i segni in questione, bensì, in ultima analisi, offre soltanto un servizio: il riempimento di lattine.

26.      Il suddetto servizio è completamente indipendente dai segni controversi o dal marchio della Red Bull. Sotto questo profilo, esso si distingue dai casi di utilizzo per prodotti o servizi altrui che la Corte aveva sussunto sotto l’art. 5, n. 1, della direttiva sui marchi d’impresa. Questi riguardavano servizi rivolti a determinati prodotti contraddistinti da un marchio (12) o che, attraverso la pubblicità comparativa, venivano distinti da altri servizi contraddistinti da marchi (13). In questi casi i marchi venivano utilizzati nella comunicazione commerciale.

27.      La Corte di giustizia ha peraltro riconosciuto che, eventualmente, l’utilizzo può altresì riguardare i prodotti o i servizi di un’altra persona per conto della quale il terzo agisce (14). Nel caso che aveva dato origine al procedimento si trattava di un commissionario che vendeva le merci contrassegnate per conto del proprietario (15).

28.      Il riempimento con bevande di lattine contrassegnate, tuttavia, non è paragonabile alla vendita per conto altrui. Il commissionario si presenta al consumatore con i segni controversi e, pertanto, se ne serve nella propria comunicazione commerciale, per cui il consumatore può creare un nesso fra il commissionario e il marchio (16). Un’azienda che si occupa di riempimento e che acquisisce visibilità con i segni controversi solo nei confronti del proprio committente, invece, non può essere associata al marchio.

29.      Non si tratta, pertanto, di un’eccezione riconosciuta al principio secondo il quale, ai fini della disciplina sui marchi d’impresa, i segni sono utilizzati solo nell’ambito della propria comunicazione commerciale.

30.      Il presente caso, tuttavia, potrebbe essere utilizzato come pretesto per sviluppare una ulteriore deroga per le imprese che si occupano di riempimento.

31.      A favore di questa tesi depone soprattutto il fatto che nella causa principale è evidente il sospetto di una violazione del marchio d’impresa a causa della notorietà del marchio della Red Bull. Ciò è tanto più vero in quanto la stessa Winters, secondo quanto da essa affermato, riempie lattine di bevande per la Red Bull e, pertanto, doveva conoscere il marchio.

32.      Siffatti elementi soggettivi, tuttavia, non possono rilevare, in quanto la violazione del diritto di marchio è indipendente dalla colpa – sebbene i diritti al risarcimento del danno presuppongano, ad esempio secondo la normativa tedesca, il dolo o la colpa (17).

33.      Una siffatta eccezione, peraltro, esporrebbe prestatori di servizi come la Winters a rischi inopportuni. Non ne sarebbero colpite soltanto le aziende che si occupano di riempimento, bensì tutte le imprese che effettuano confezionamenti di prodotti per conto altrui o che lavorano sui confezionamenti (18). Esse, in pratica, non potrebbero affatto garantire che i marchi scelti da un committente non violino marchi altrui.

34.      E proprio i marchi semplici, non noti ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva sui marchi d’impresa, infatti, esistono in numero non quantificabile (19). I prestatori di servizi non sono affatto in grado, in pratica, di verificarne il rispetto ad ogni commessa. Ciò vale in particolare per i marchi emblematici che, fino ad oggi, non possono essere ancora oggetto di ricerca automatizzata. Sarebbe ancora più difficile, nei casi di cui all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi d’impresa, rilevante nel caso di specie, verificare anche l’esistenza di marchi semplici sufficientemente simili di cui è possibile la violazione.

35.      Queste difficoltà nell’evitare violazioni dei marchi, pur non raggiungendo il livello che dovrebbe affrontare un prestatore di servizi di posizionamento su Internet che consenta ai propri clienti l’uso di marchi e di segni simili ai marchi a fini pubblicitari (20), sono, per propria natura, paragonabili. Nel presente caso, pertanto – analogamente al caso del servizio Internet – non è ravvisabile alcuna violazione del marchio da parte del prestatore di servizi.

36.      La Commissione teme invero che l’esclusione di una violazione del marchio da parte della società che si occupa per conto altrui del riempimento potrebbe essere un invito all’abuso, in quanto le imprese che mirano a violare i marchi affiderebbero a terzi le azioni costituenti una violazione.

37.      Il timore dell’abuso, tuttavia, può essere superato mediante l’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48. Questa disposizione consente l’emanazione di provvedimenti provvisori nei confronti di intermediari dei cui servizi si avvalga un terzo al fine di violare un diritto di proprietà intellettuale.

38.      Sebbene un siffatto provvedimento provvisorio presupponga del pari una violazione dei diritti di marchio, è sufficiente che l’utilizzo dei segni apposti sulle lattine possa essere attribuito al committente dell’intermediario. Fatta salva la seconda questione, è pacifico nel caso di specie che la committente Smart Drinks abbia scelto i segni in questione e li abbia utilizzati per identificare i propri prodotti (21).

39.      A differenza della sanzione per una violazione del marchio da parte dell’intermediario, l’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, pur non garantendo il risarcimento del danno, può essere utilizzato secondo la normativa nazionale sul concorso dell’intermediario, integrante un fatto illecito, alla violazione del marchio del committente – in particolare sotto forma di favoreggiamento. La mera colpa, tuttavia, non dovrebbe essere di norma sufficiente per fondare un concorso (22).

40.      Pertanto, la questione n. 1. a) deve essere risolta nel senso che il mero «riempimento» di confezioni già provviste di un segno non deve essere inteso come uso di detto segno nel commercio nell’accezione di cui all’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi d’impresa, qualora il riempimento avvenga esclusivamente come servizio reso ad un terzo, e su suo incarico.

B –    Sulla questione n. 1. b)

41.      Con la suddetta questione lo Hoge Raad intende sapere se rilevi la sussistenza di una violazione di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), ovvero lett. b), della direttiva sui marchi d’impresa.

42.      È dubbio se la suddetta questione abbia una qualche rilevanza ai fini della decisione, atteso che la Red Bull, in base alla domanda di pronuncia pregiudiziale e alle dichiarazioni da essa rese nella causa principale, si fonda sul marchio RED BULL e non è stato usato un segno identico ad esso. È pertanto esclusa l’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva sui marchi d’impresa.

43.      Laddove la Corte di giustizia dovesse comunque risolvere la suddetta questione, concordo con l’opinione delle parti in causa secondo cui, ai fini della risoluzione della questione n. 1, lett. a), non rileva la sussistenza di una violazione di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), ovvero b), della direttiva sui marchi d’impresa.

C –    Sulla questione n. 2

44.      Lo Hoge Raad sottopone la questione n. 2 solo nel caso in cui la stessa impresa di riempimento commetta una violazione del marchio della Red Bull, in quanto probabilmente il suddetto giudice ritiene che le pretese fatte valere contro l’impresa di riempimento presuppongano una siffatta violazione. Questa tesi, tuttavia, sarebbe inesatta, in quanto il titolare del marchio, ai sensi dell’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, può ottenere un procedimento ingiuntivo per far cessare il riempimento nonché – a determinate condizioni – chiedere il risarcimento del danno per il concorso penale in una violazione del marchio, laddove il committente dell’impresa di riempimento – in questo caso la Smart Drinks – commetta una violazione del marchio nell’accezione di cui all’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa. Nonostante la soluzione suggerita per la questione n. 1, lett. a), è pertanto necessario risolvere anche la questione n. 2 per fornire al giudice del rinvio una risposta utile (23).

45.      Occorre chiarire se l’utilizzo di un segno possa essere proibito nell’area del Benelux ai sensi dell’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa anche quando i prodotti recanti il segno siano destinati esclusivamente all’esportazione verso paesi al di fuori di tale territorio o dell’Unione europea ed essi, all’interno di detto territorio – salvo nell’azienda che ha effettuato il riempimento – non possano essere percepiti dal pubblico.

1.      Sui requisiti di una violazione del marchio

46.      Depone a favore di una violazione di un marchio d’impresa il fatto che l’art. 5, n. 3, della direttiva sui marchi d’impresa prevede espressamente divieti di apporre il segno su prodotti o sul loro condizionamento [lett. a)] e di esportare prodotti contraddistinti dal segno [lett. c)]. Inoltre, è già stato evidenziato che le azioni enunciate all’art. 5, n. 3, costituiscono usi per prodotti o servizi (24).

47.      L’art. 5, n. 3, della direttiva sui marchi d’impresa, tuttavia, è applicabile solo ove siano soddisfatti i requisiti di cui all’art. 5, nn. 1 o 2.

48.      Nel caso di specie occorre esaminare l’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva sui marchi, in base al quale il titolare di un marchio d’impresa può vietare a tutti i terzi in commercio l’uso di un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio d’impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito ad un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

49.      Quando il giudice nazionale afferma che, a motivo della somiglianza dei segni utilizzati con il marchio della Red Bull sussiste un rischio di confusione, questi presupposti ricorrono prima facie. Un’esportazione dei prodotti non rileva al riguardo, atteso che questi sono destinati ad essere venduti, per cui i segni sono da utilizzarsi nel commercio.

50.      Non mancherebbe neanche un possibile pregiudizio alle funzioni del marchio (25), in quanto un rischio di confusione comporta necessariamente il rischio di pregiudicare la funzione d’origine (26).

2.      Sui casi di transito

51.      Sorgono tuttavia dubbi circa una violazione del marchio dai casi in cui la Corte di giustizia ha escluso una violazione del marchio nel transito di prodotti che violavano il marchio (27).

52.      Questi casi potrebbero essere interpretati nel senso che la Corte di giustizia, nonostante l’art. 5, n. 3, lett. c), della direttiva sui marchi d’impresa, ammette sia l’importazione che l’esportazione di siffatti prodotti.

53.      Questa, tuttavia, sarebbe un’interpretazione errata.

54.      Nei casi recenti di prodotti in transito, infatti, la Corte ha evidenziato la vigilanza doganale esistente per i prodotti (28). La causa verteva sul regime di transito esterno, in cui tutto era come se le merci, prima della loro immissione in libera pratica nel paese di destinazione, non fossero mai entrate nel territorio comunitario (29).

55.      Fintanto che sussiste la vigilanza doganale, le merci non possono essere commercializzate all’interno dell’Unione ­– in violazione del diritto di marchio (30). Solo qualora tali merci costituiscano oggetto di un atto di un terzo, effettuato mentre sono collocate sotto il regime del transito esterno, che ne implica necessariamente l’immissione in commercio di siffatti prodotti nel detto Stato membro di transito (31), il titolare del marchio può vietarne l’ulteriore transito.

56.      Le merci prodotte all’interno del territorio in cui il marchio è protetto non sono invece soggette, in linea di principio, ad alcuna vigilanza doganale. Esse, piuttosto, sono in libera pratica doganale in questo territorio, anche quando vi è l’intenzione di esportarle direttamente. Sussiste pertanto il rischio che le merci siano commercializzate all’interno del territorio per cui il marchio è registrato, sia che il titolare cambi parere, sia che terzi si impossessino delle merci.

57.      Il suddetto rischio di una violazione del marchio giustifica, ai sensi dell’art. 5 della direttiva sui marchi d’impresa, di vietare l’utilizzo del segno nel territorio per il quale il marchio è registrato qualora i prodotti su cui è apposto il segno siano destinati esclusivamente all’esportazione verso paesi al di fuori di tale territorio ed essi all’interno di detto territorio – salvo nell’azienda dove ha avuto luogo il riempimento – non possano essere percepiti dal pubblico.

D –    Sulla questione n. 3

58.      La questione n. 3 riguarda il criterio da utilizzarsi nell’esame di una violazione del marchio.

59.      Qualora un terzo faccia uso di un segno simile ad un marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, il titolare di quest’ultimo può opporsi all’uso del segno suddetto solo ove esista un rischio di confusione. Costituisce un rischio di confusione il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro (32).

60.      Con la questione n. 3, ora, si mira a determinare il pubblico da considerare nel caso di specie: se sia determinante la percezione di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, nel territorio in cui il marchio è registrato o se, sotto questo profilo, si debba prendere le mosse da un altro criterio, ad esempio la percezione di un consumatore proveniente dallo Stato in cui le merci vengono esportate.

61.      La risposta discende dalle considerazioni svolte per la questione n. 2 e, soprattutto, dall’effetto protettivo del marchio d’impresa, limitato territorialmente. Dal momento che la violazione del marchio mediante merci da esportare si fonda sul rischio di una commercializzazione all’interno della zona di protezione del marchio (33), occorre avere riguardo per la percezione di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, all’interno di questa zona.

V –    Conclusione

62.      Suggerisco pertanto di risolvere le questioni pregiudiziali come segue:

1)      Il mero «riempimento» di confezioni già provviste di un segno non deve essere inteso come uso di detto segno nel commercio, ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, laddove detto riempimento avvenga esclusivamente come servizio reso ad un terzo, e su suo incarico.

2)      L’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 consente di vietare l’uso di un segno che possa essere confuso con un marchio nel territorio per cui il marchio è registrato, qualora i prodotti recanti il marchio siano esclusivamente destinati all’esportazione verso paesi al di fuori di tale territorio ed essi, all’interno di detto territorio – salvo nell’azienda dove ha avuto luogo il riempimento – non possano essere percepiti dal pubblico.

3)      Il rischio di confusione deve essere verificato sulla base della percezione di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, all’interno del territorio in cui il marchio è registrato.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU 1989, L 40, pag. 1, da ultimo modificata dall’allegato XVII dell’Accordo sullo spazio economico europeo (GU 1994, L 1, pag. 482), abrogata e sostituita dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25).


3 – GU L 157, pag. 45.


4 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10).


5 – Sentenza 12 giugno 2008, causa C‑533/06, O2 Holdings & O2 (UK) (Racc. pag. I‑4231, punto 32).


6 – Sentenze 12 novembre 2002, causa C‑206/01, Arsenal Football Club (Racc. pag. I‑10273, punto 41); 25 gennaio 2007, causa C‑48/05, Adam Opel (Racc. pag. I‑1017, punto 20), e 23 marzo 2010, cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google (Racc. pag. I‑2417, punto 61).


7 – V. le conclusioni da me presentate il 7 aprile 2011 nella causa C‑46/10, Viking Gas (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafo 18).


8 – Sentenze Adam Opel (cit. supra, nota 6, punto 28) e O2 Holdings & O2 (UK) (cit. supra, nota 5, punto 34). V. anche sentenze 11 settembre 2007, causa C‑17/06, Céline (Racc. pag. I‑7041, punti 22 e seg.), nonché Google France e Google (cit. supra, nota 6, punto 60).


9 – Sentenze 23 febbraio 1999, causa C‑63/97, BMW (Racc. pag. I‑905, punto 38), e Céline (cit. supra alla nota 8, punto 20).


10 – Sentenza Google France e Google (cit. supra alla nota 6, punto 56).


11 – Sentenza Adam Opel (cit. supra, nota 6, punto 29).


12 – Nella sentenza BMW, cit. supra, nota 9, la questione verteva sulla riparazione di veicoli del suddetto marchio.


13 – La sentenza O2 Holdings & O2 (UK), cit. supra, nota 5, riguardava la pubblicità comparativa per servizi telefonici.


14 – Sentenza Google France e Google (cit. supra, nota 6, punto 60) e ordinanza 19 febbraio 2009, causa C‑62/08, UDV North America (Racc. pag. I‑1279, punti 43‑51).


15 – Ordinanza UDV North America (cit. supra, nota 14).


16 – Ordinanza UDV North America (cit. supra, nota 14, punti 47‑49).


17 – V. art. 14, n. 6, della Markengesetz (legge sui marchi d’impresa) tedesca.


18 – La Corte di giustizia si sta attualmente occupando, nelle cause C‑400/09, Orifarm e a. (GU C 312, pag. 23) e C‑207/10, Paranova Danmark e Paranova Pack (GU C 179, pag. 23), ancora pendenti, dell’analoga questione se l’impresa che si occupa del confezionamento e/o il committente del riconfezionamento deve figurare nel caso di riconfezionamento di farmaci importati parallelamente.


19 – Al 28 febbraio 2011, ad esempio, erano registrati soltanto presso l’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno più di 700 000 marchi comunitari (http://oami.europa.eu/ows/rw/resource/documents/OHIM/statistics/ssc009‑statistics_of_community_trade_marks_2011.pdf, visitato il 16 marzo 2011).


20 – V. sentenza Google France e Google (cit. supra, nota 6, punti 56 e seg.).


21 – V., in questo senso, la sentenza Google France e Google (cit. supra, nota 6, punti 51 e seg.).


22 – V., per quanto riguarda il diritto tedesco, l’art. 830 del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile tedesco) e gli artt. 26 e 27 dello Strafgesetzbuch (codice penale tedesco), nonché, in particolare, relativamente alla violazione dei marchi, Hacker, F., «§ 14 – Ausschließliches Recht – Rechtsfolgen der Markenverletzung», in Ströbele/Hacker, Markengesetz‑Kommentar, 9ª edizione, Carl‑Heymanns‑Verlag, Colonia 2009, pag. 794, punto 272.


23 – V., sulla necessità dell’interpretazione della domanda di pronuncia pregiudiziale con riferimento ad una risposta utile, soprattutto le sentenze 12 luglio 1979, causa 244/78, Union Laitière Normande (Racc. pag. 2663, punto 5), 12 dicembre 1990, causa C‑241/89, SARPP (Racc. pag. I‑4695, punto 8), e 29 gennaio 2008, causa C‑275/06, Promusicae (Racc. pag. I‑271, punto 42).


24 – V., supra, paragrafo 19.


25 – V., su questa ulteriore condizione di una violazione del marchio, le sentenze Arsenal Football Club (cit. supra, nota 6, punto 51); 18 giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a. (Racc. pag. I‑5185, punto 60); 23 marzo 2010, causa Google France e Google (cit. supra, nota 6, punto 76), nonché 8 luglio 2010, causa C‑558/08, Portakabin e Portakabin (Racc. pag. I‑6963, punto 29).


26 – V. le sentenze L’Oréal e a. (cit. supra, nota 25, punto 59) e Portakabin e Portakabin (cit. supra, nota 25, punti 50 e segg.) e le conclusioni presentate dall’avvocato generale Poiares Maduro il 22 settembre 2009 nelle cause riunite da C‑236/08 a C‑238/08, Google France e Google (Racc. pag. I‑2417, paragrafo 100).


27 – Sentenze 23 ottobre 2003, causa C‑115/02, Rioglass e Transremar (Racc. pag. I‑12705); 18 ottobre 2005, causa C‑405/03, Class International (Racc. pag. I‑8735), e 9 novembre 2006, causa C‑281/05, Montex Holdings (Racc. pag. I‑10881).


28 – Sentenze Class International (cit. supra, nota 27, punti 37 e segg.), e Montex Holdings (cit. supra, nota 27, punti 16 e segg.).


29 – Sentenza Montex Holdings (cit. supra, nota 27, punto 18).


30 – V. le conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs il 26 maggio 2005, nella causa C‑405/03, Class International (Racc. pag. I‑8735, paragrafo 36).


31 – Sentenza Montex Holdings (cit. supra, nota 27, punto 23).


32 – Sentenza Portakabin e Portakabin (cit. supra, nota 25, punti 50 e seg. e giurisprudenza ivi citata).


33 – V., supra, soprattutto paragrafi 56 e seg.