Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Diritto delle società — Normativa nazionale che istituisce a favore dello Stato diritti speciali nella gestione di un’impresa privatizzata
(Artt. 56, n. 1, CE, 58 CE e 86, n. 2, CE)
Viene meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi dell’art. 56 CE uno Stato membro che mantiene in una società per azioni diritti speciali previsti a favore di detto Stato e di altri organismi pubblici, attribuiti in connessione con azioni privilegiate («golden shares») detenute da tale Stato nel capitale sociale della suddetta società, attinenti, segnatamente, all’elezione del presidente del consiglio di amministrazione e conferenti a questi un diritto di veto sulla nomina di un numero di amministratori non superiore a un terzo del totale, nonché per le risoluzioni di modifica dello statuto della società, quelle intese ad autorizzare la conclusione di contratti di gruppo in rapporto di parità o di subordinazione e quelle suscettibili, in qualsiasi modo, di compromettere l’approvvigionamento del paese di petrolio, gas o prodotti derivati.
Il diritto di veto, infatti, in quanto conferisce a tale Stato un’influenza sulla gestione e sul controllo della società non giustificata dall’ampiezza della partecipazione da esso detenuta in detta società, è idoneo a scoraggiare gli operatori di altri Stati membri dall’effettuare investimenti diretti nel capitale sociale di quest’ultima, dato che non potrebbero concorrere alla gestione e al controllo di tale società in proporzione al valore delle loro partecipazioni. Allo stesso modo, il diritto di veto in esame può avere un effetto dissuasivo sugli investimenti di portafoglio nella società, atteso che un eventuale rifiuto dello Stato membro di approvare una decisione importante, indicata dagli organi di tale società come rispondente all’interesse della stessa, può avere, effettivamente, un’influenza sul valore delle azioni di tale società e, quindi, sull’appetibilità di un investimento in siffatte azioni.
Per quanto riguarda il diritto di designare il presidente del consiglio di amministrazione, esso configura una restrizione alla libera circolazione dei capitali, dal momento che un simile specifico diritto costituisce una deroga rispetto al diritto societario comune, previsto da una misura legislativa nazionale ad esclusivo beneficio degli operatori pubblici. Sebbene sia vero che tale possibilità può essere attribuita dalla legge quale diritto di una minoranza qualificata, essa, in tal caso, deve essere accessibile a tutti gli azionisti e non deve essere riservata esclusivamente allo Stato. Difatti, limitando la possibilità degli azionisti diversi dallo Stato di partecipare al capitale sociale della società allo scopo di creare o di mantenere legami economici durevoli e diretti con la società stessa tali da consentire una partecipazione effettiva alla sua gestione o al suo controllo, il diritto di nominare un amministratore è idoneo a dissuadere gli investitori diretti di altri Stati membri dall’investire nel capitale di tale società.
Per quanto riguarda le deroghe consentite dall’art. 58 CE, certamente la necessità di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dello Stato membro interessato in caso di crisi, di guerra o di terrorismo può costituire un motivo di pubblica sicurezza e giustificare, eventualmente, un ostacolo alla libera circolazione dei capitali. Tuttavia, le esigenze di pubblica sicurezza, in particolare in quanto deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, devono essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ogni Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. Pertanto, la pubblica sicurezza può essere invocata solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività. Ove uno Stato membro si limiti a far valere il motivo attinente alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, senza precisare le ragioni esatte per cui ritiene che ciascuno dei diritti speciali controversi o l’insieme degli stessi consenta di evitare un simile pregiudizio a un interesse fondamentale quale l’approvvigionamento energetico, non si può accogliere la giustificazione fondata sulla pubblica sicurezza.
Peraltro, quanto alla proporzionalità della restrizione in oggetto, l’incertezza derivante dal fatto che l’esercizio dei diritti speciali che la detenzione di azioni privilegiate nel capitale sociale della società conferisce allo Stato non è assoggettato ad alcuna condizione o circostanza specifica ed oggettiva costituisce un grave pregiudizio alla libertà di circolazione dei capitali in quanto conferisce alle autorità nazionali, per quanto attiene alla facoltà di ricorrere a siffatti diritti, un margine di discrezionalità talmente ampio da non potersi ritenere proporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti.
Infine, l’art. 86, n. 2, CE non è applicabile alle summenzionate disposizioni nazionali e non può, pertanto, essere fatto valere quale giustificazione di tali disposizioni, in quanto queste configurano restrizioni alla libera circolazione dei capitali sancita dal Trattato. Infatti, l’art. 86, n. 2, CE, in combinato disposto con il n. 1 dello stesso articolo, consente di giustificare la concessione, da parte di uno Stato membro, ad un’impresa incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale, di diritti speciali o esclusivi contrari alle disposizioni del Trattato, qualora l’adempimento della specifica missione affidatale possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali diritti e purché lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione. Tuttavia, ciò non è oggetto di una normativa nazionale che attribuisce ad uno Stato membro diritti speciali in una società per azioni, in connessione con azioni privilegiate detenute da tale Stato nel capitale sociale della suddetta società.
(v. punti 57-60, 82-83, 85, 88, 90-92, 95, 97 e dispositivo)