Causa C‑45/09

Gisela Rosenbladt

contro

Oellerking Gebäudereinigungsges. mbH

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbeitsgericht Hamburg)

«Direttiva 2000/78/CE — Discriminazioni fondate sull’età — Cessazione del rapporto di lavoro per raggiungimento dell’età pensionabile»

Massime della sentenza

1.        Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Domanda nuova su una questione già decisa dalla Corte — Ricevibilità

(Art. 267 TFUE)

2.        Politica sociale — Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Direttiva 2000/78 — Divieto di discriminazione fondata sull’età

(Direttiva del Consiglio 2000/78, art. 6, n. 1)

3.        Politica sociale — Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Direttiva 2000/78 — Divieto di discriminazione fondata sull’età

(Direttiva del Consiglio 2000/78, art. 6, n. 1)

4.        Politica sociale — Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Direttiva 2000/78 — Divieto di discriminazione fondata sull’età

(Direttiva del Consiglio 2000/78, artt. 1 e 2)

1.        L’art. 267 TFUE permette sempre ad un giudice nazionale, ove questo lo ritenga opportuno, di deferire nuovamente alla Corte questioni di interpretazione. Inoltre, nell’ambito del procedimento avviato in virtù dell’art. 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi. Questo è il caso in cui il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità di una normativa nazionale che prevede una clausola di cessazione automatica del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati al compimento del sessantacinquesimo anno di età, per raggiungimento dell’età pensionabile, con la direttiva 2000/78. Pertanto, una domanda di pronuncia pregiudiziale, vertente sul carattere eventualmente discriminatorio di una simile clausola, deve considerarsi ricevibile.

(v. punti 31, 32, 34, 35)

2.        L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una disposizione nazionale in forza della quale sono considerate valide le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per raggiungimento da parte del lavoratore subordinato dell’età pensionabile, nei limiti in cui, da un lato, detta disposizione sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata da una finalità legittima relativa alla politica dell’occupazione e di mercato del lavoro e, dall’altro, i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. L’attuazione di tale disposizione mediante un contratto collettivo non è di per sé esente da qualsiasi controllo giurisdizionale bensì, conformemente ai dettami dell’art. 6, n. 1, di tale direttiva, deve anch’essa perseguire una siffatta finalità legittima in modo appropriato e necessario.

Difatti, da un lato, stante l’ampio margine discrezionale di cui dispongono gli Stati membri nella scelta non soltanto di perseguire uno scopo determinato in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzarlo, tali clausole sono oggettivamente e ragionevolmente giustificate dal momento che la cessazione dei rapporti di lavoro per raggiungimento dell’età pensionabile dei lavoratori subordinati può giovare direttamente ai giovani lavoratori, favorendone l’inserimento professionale, reso difficile in un contesto di perdurante disoccupazione, e che i diritti dei lavoratori più anziani possono essere peraltro adeguatamente tutelati. Tale meccanismo si basa su un equilibrio tra considerazioni di ordine politico, economico, sociale, demografico e/o di bilancio e dipende dalla scelta di prolungare la durata della vita attiva dei lavoratori o, al contrario, di prevedere un pensionamento precoce di questi ultimi.

D’altra parte, tale meccanismo, distinto dal licenziamento e dalle dimissioni, ha un fondamento contrattuale. Esso riconosce, non solo ai lavoratori subordinati ed ai datori di lavoro mediante accordi individuali, ma anche alle parti sociali la facoltà di avvalersi, attraverso contratti collettivi − e quindi con una flessibilità non trascurabile −, della sua applicazione, in modo da poter tenere debitamente conto non solo della situazione globale del mercato del lavoro interessato, ma altresì delle caratteristiche specifiche delle attività lavorative in questione. Considerati tali elementi, non appare irragionevole che le autorità di uno Stato membro reputino che una misura che autorizza le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per raggiungimento da parte del lavoratore subordinato dell’età pensionabile possa essere appropriata e necessaria per raggiungere finalità legittime di politica nazionale del lavoro e dell’occupazione.

(v. punti 41, 43, 44, 49, 51, 53, dispositivo 1)

3.        L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una misura come la clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati che hanno raggiunto l’età pensionabile di 65 anni, prevista dal contratto collettivo applicabile erga omnes ai lavoratori subordinati del settore delle pulizie industriali.

Difatti, da un lato, garantendo ai lavoratori una certa stabilità dell’impiego e, a lungo termine, la promessa di un pensionamento prevedibile, e offrendo al contempo ai datori di lavoro una certa flessibilità nella gestione del loro personale, la clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro riflette un equilibrio tra interessi divergenti ma legittimi, che si inseriscono in un complesso sistema di relazioni lavorative strettamente legato alle scelte politiche in materia di pensioni e di occupazione.

Dall’altro, stante il fatto che la normativa nazionale dello Stato membro interessato non vieta ad una persona che ha raggiunto un’età che le consente di ottenere la liquidazione dei suoi diritti pensionistici di proseguire un’attività lavorativa e che, inoltre, un lavoratore che si trova in una situazione del genere continua a beneficiare della protezione contro le discriminazioni fondate sull’età, la cessazione ipso iure del suo rapporto di lavoro non ha l’effetto automatico di costringere gli interessati a ritirarsi definitivamente dal mercato del lavoro. Di conseguenza, detta disposizione non istituisce un regime imperativo di pensionamento d’ufficio. Essa non osta a che un lavoratore che lo desideri, ad esempio per motivi economici, continui la propria attività lavorativa oltre l’età pensionabile e non priva della tutela contro le discriminazioni fondate sull’età i lavoratori subordinati che hanno raggiunto l’età pensionabile qualora essi desiderino rimanere in attività e cerchino un nuovo impiego. Considerati tali elementi, la normativa nazionale non eccede quanto necessario per la realizzazione delle finalità perseguite, tenuto conto dell’ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri ed alle parti sociali in materia di politica sociale e dell’occupazione.

(v. punti 68, 74-77, dispositivo 2)

4.        Gli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro dichiari applicabile erga omnes un contratto collettivo contenente una clausola che disponga la cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati operanti nel settore delle pulizie industriali, a condizione che esso non privi i lavoratori che ricadono nella sfera di applicazione di detto contratto collettivo della protezione offerta loro dalle citate disposizioni contro le discriminazioni fondate sull’età.

Infatti, la direttiva 2000/78 non disciplina, in quanto tale, le circostanze in cui gli Stati membri possono dichiarare applicabile erga omnes un contratto collettivo, anche se gli Stati membri sono tenuti a garantire, con appropriate misure legislative, regolamentari o amministrative, che tutti i lavoratori possano beneficiare, in tutta la sua portata, della protezione offerta loro dalla direttiva 2000/78 contro le discriminazioni fondate sull’età.

(v. punti 79, 80, dispositivo 3)







SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

12 ottobre 2010 (*)

«Direttiva 2000/78/CE – Discriminazioni fondate sull’età – Cessazione del rapporto di lavoro per raggiungimento dell’età pensionabile»

Nel procedimento C‑45/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Arbeitsgericht Hamburg (Germania), con decisione 20 gennaio 2009, pervenuta in cancelleria il 2 febbraio 2009, nella causa

Gisela Rosenbladt

contro

Oellerking Gebäudereinigungsges. mbH,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot e A. Arabadjiev, presidenti di sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič, J. Malenovský, L. Bay Larsen, dalla sig.ra P. Lindh (relatore) e dal sig. T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 23 febbraio 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la sig.ra Rosenbladt, dall’avv. K. Bertelsmann, Rechtsanwalt;

–        per la Oellerking Gebäudereinigungsges. mbH, dall’avv. P. Sonne, Rechtsanwalt;

–        per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

–        per il governo danese, dalla sig.ra B. Weis Fogh, in qualità di agente;

–        per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente;

–        per il governo italiano, dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;

–        per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra V. Jackson, in qualità di agente, assistita dal sig. T. Ward, barrister;

–        per la Commissione europea, dai sigg. J. Enegren e V. Kreuschitz, in qualità di agenti;

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 aprile 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Rosenbladt e la Oellerking Gebäudereinigungsges. mbH (in prosieguo: la «Oellerking») in merito alle condizioni di cessazione del suo rapporto di lavoro.

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

3        Il venticinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/78 così recita:

«Il divieto di discriminazione basata sull’età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell’occupazione. Tuttavia in talune circostanze, delle disparità di trattamento in funzione dell’età possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. È quindi essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell’occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate».

4        A termini del suo art. 1, la direttiva 2007/78 «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

5        L’art. 2 della direttiva 2000/78, rubricato «Nozione di discriminazione», dispone quanto segue:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)      sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)      tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii)      nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.

(...)».

6        Ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2000/78, rubricato «Giustificazione delle disparità di trattamento collegate all’età»:

«1.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

a)      la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

b)      la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l’accesso all’occupazione o a taluni vantaggi connessi all’occupazione;

c)      la fissazione di un’età massima per l’assunzione basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o la necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento.

2.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di un’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità, compresa la fissazione per tali regimi di età diverse per lavoratori o gruppi o categorie di lavoratori e l’utilizzazione, nell’ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali non costituisca una discriminazione fondata sull’età purché ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso».

7        L’art. 16 della direttiva 2000/78, rubricato «Conformità», recita:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie per assicurare che

a)      tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parità di trattamento siano abrogate;

b)      tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano il lavoro autonomo e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate».

 La normativa nazionale

 La legge generale sulla parità di trattamento

8        La direttiva 2000/78 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico tedesco con la legge generale 14 agosto 2006 sulla parità di trattamento (Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz, BGBl. I, pag. 1897; in prosieguo: l’«AGG»). Tale legge così dispone al suo art. 1, intitolato «Finalità della legge»:

«La presente legge ha l’obiettivo di impedire o di eliminare qualsiasi discriminazione basata sulla razza o sull’origine etnica, sul sesso, sulla religione o sulle convinzioni personali, sull’handicap, sull’età o sull’identità sessuale».

9        L’art. 2 dell’AGG, intitolato «Ambito di applicazione», recita:

«(1)  Le discriminazioni derivanti da uno dei motivi menzionati all’art. 1 sono vietate dalla presente legge per quanto riguarda:

(…)

2.       Le condizioni di occupazione e di lavoro, comprese la retribuzione e le condizioni di licenziamento, in particolare quelle riportate nei contratti collettivi e nei contratti individuali di lavoro, e le misure adottate al momento dell’esecuzione e della cessazione di un rapporto di lavoro, nonché in caso di avanzamento di carriera.

(…)

(4)       Ai licenziamenti si applicano le sole disposizioni sulla protezione generale e specifica contro il licenziamento.

(…)».

10      Ai sensi dell’art. 7 dell’AGG, intitolato «Divieto di discriminazione»:

«(1)  I dipendenti non possono essere discriminati in ragione di uno dei motivi riportati all’art. 1; ciò vale anche qualora l’autore della discriminazione solamente supponga l’esistenza di uno dei motivi riportati all’art. 1 al momento della discriminazione.

(…)».

11      L’art. 10 dell’AGG, intitolato «Ammissibilità di talune disparità di trattamento collegate all’età», così dispone:

«1.      Fatto salvo l’art. 8, è ammissibile una disparità di trattamento collegata all’età laddove essa sia oggettiva, ragionevole e giustificata da una finalità legittima. I mezzi per il conseguimento di tale finalità devono essere appropriati e necessari. Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

(…)

5.       un accordo che prevede la cessazione del rapporto di lavoro, senza licenziamento né dimissioni, in una data in cui il lavoratore può richiedere una pensione in ragione della sua età, fatto salvo l’art. 41 del sesto libro del codice della previdenza sociale (…)».

12      Durante il periodo compreso tra il 18 agosto e l’11 dicembre 2006, l’art. 10 dell’AGG includeva, tra le disparità di trattamento fondate sull’età che potevano essere autorizzate, quella riportata qui di seguito:

«7.       l’accordo individuale o collettivo sulla non licenziabilità di lavoratori aventi una determinata età e anzianità aziendale, a patto che in tal modo non venga gravemente diminuita la tutela dal licenziamento di altri lavoratori nell’ambito della scelta sociale di cui all’art. 1, terzo comma, della legge sulla protezione contro il licenziamento (Kündigungsschutzgesetz)».

 Il codice della previdenza sociale

13      Nella sua versione in vigore tra il 1° gennaio 1992 e il 31 luglio 1994, l’art. 41, n. 4, del sesto libro del codice della previdenza sociale, relativo al regime legale di previdenza sociale (Sozialgesetzbuch sechstes Buch; in prosieguo: il «SGB VI») era così redatto:

«Il diritto dell’affiliato ad una pensione di vecchiaia in ragione della sua età non può essere considerato un motivo idoneo a condizionare lo scioglimento di un rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro ai sensi della legge sulla protezione contro il licenziamento. In caso di licenziamento per esigenze aziendali stringenti, il diritto di un lavoratore subordinato ad una pensione di vecchiaia in ragione della sua età non può essere preso in considerazione, nell’ambito della scelta fondata su criteri sociali, prima che abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età. Un accordo per il quale un rapporto di lavoro termina in una data in cui il lavoratore ha diritto ad una pensione di vecchiaia è efficace solo qualora l’accordo sia stato concluso o confermato dal lavoratore nei tre anni precedenti tale data».

14      Sulla base di tale ultima disposizione, la giurisprudenza nazionale ha considerato nulle e non avvenute le clausole dei contratti collettivi che prevedono la cessazione automatica del rapporto di lavoro del lavoratore dipendente che ha compiuto il sessantacinquesimo anno di età [sentenza del Bundesarbeitsgericht 1° dicembre 1993 (7 AZR 428/93, BAGE 75, 166)].

15      In seguito, il legislatore è intervenuto per evitare che i limiti di età previsti dai contratti collettivi fossero considerati invalidi ai sensi di detta giurisprudenza. Pertanto, nel periodo tra il 1° agosto 1994 ed il 31 luglio 2007, l’art. 41, n. 4, terza frase, del SGB VI era così redatto:

«Un accordo che prevede la cessazione del rapporto di lavoro di un lavoratore subordinato senza licenziamento o dimissioni in una data in cui il lavoratore può chiedere una pensione di vecchiaia prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età si applica nei confronti del lavoratore come concluso al compimento del sessantacinquesimo anno di età, a meno che l’accordo sia stato concluso o confermato dal lavoratore nei tre anni precedenti tale data».

16      A partire dal 1° gennaio 2008, l’art. 41 del SGB VI è così redatto:

«Pensione di vecchiaia e protezione contro il licenziamento

Il diritto dell’affiliato ad una pensione di vecchiaia non può essere considerato un motivo idoneo a condizionare la cessazione di un rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro in forza della legge sulla protezione contro il licenziamento. Un accordo che prevede la cessazione del rapporto di lavoro di un lavoratore subordinato senza licenziamento o dimissioni in una data in cui tale dipendente può chiedere una pensione di vecchiaia prima di raggiungere il limite di età ordinario vale nei confronti del lavoratore come concluso al raggiungimento del limite di età ordinario, a meno che l’accordo sia stato concluso o sia stato confermato dal lavoratore nei tre anni precedenti tale data». 

 La legge sui contratti collettivi

17      Durante il periodo compreso tra il 28 novembre 2003 e il 7 novembre 2006, l’art. 5 della legge sui contratti collettivi (Tarifvertragsgesetz, BGBl. 1969 I, pag. 1323), intitolato «Efficacia obbligatoria erga omnes», era così redatto:

«(1)  Il Ministro dell’Economia e del Lavoro, su domanda di una parte contraente di un contratto collettivo, e d’intesa con un comitato composto da tre rappresentanti delle organizzazioni datoriali nazionali e da tre rappresentanti sindacali, può dichiarare un contratto collettivo applicabile erga omnes qualora

1.       i datori di lavoro vincolati da detto contratto collettivo occupino almeno il 50% dei lavoratori dipendenti che rientrano nell’ambito di applicazione del contratto collettivo e

2.       la dichiarazione di applicabilità erga omnes appaia imposta dall’interesse generale.

Si può prescindere dalle condizioni elencate ai nn. 1 e 2 qualora la dichiarazione di applicabilità erga omnes appaia necessaria al fine di porre rimedio ad uno stato di necessità sociale.

(…)».

 Il contratto collettivo applicabile erga omnes per i lavoratori subordinati del settore delle pulizie industriali

18      A partire dal 1987, l’art. 19, punto 8, del contratto collettivo applicabile erga omnes per i lavoratori subordinati del settore delle pulizie industriali (Allgemeingültiger Rahmentarifvertrag für die gewerblichen Beschäftigten in der Gebäudereinigung; in prosieguo: l’«RTV») recita:

«Nei limiti in cui non sia stato diversamente convenuto nel contratto individuale (...), il rapporto di lavoro cessa alla fine del mese in cui il lavoratore/la lavoratrice possa richiedere una pensione di vecchiaia, al più tardi alla fine del mese in cui il lavoratore/la lavoratrice compie 65 anni».

19      Con una comunicazione pubblicata il 3 aprile 2004, il Ministro dell’Economia e del Lavoro ha dichiarato detto contratto applicabile erga omnes a decorrere dal 1° gennaio 2004.

 Causa principale e questioni pregiudiziali

20      Per 39 anni, l’attività lavorativa della sig.ra Rosenbladt è consistita nello svolgimento di lavori di pulizia in una caserma di Hamburg-Blankenese (Germania).

21      A partire dal 1° novembre 1994, la sig.ra Rosenbladt è stata impiegata dalla Oellerking, impresa di pulizie, sulla base di un contratto di lavoro a tempo parziale (due ore al giorno, dieci ore a settimana) che prevede una retribuzione mensile lorda pari a EUR 307,48.

22      Tale contratto prevede che, conformemente all’art. 19, punto 8, dell’RTV, esso scada al termine del mese civile a partire dal quale la dipendente può percepire una pensione di vecchiaia, cioè al più tardi al termine del mese durante il quale essa compie il sessantacinquesimo anno di età.

23      Conformemente a detta clausola, il 14 maggio 2008, la Oellerking ha notificato alla sig.ra Rosenbladt la cessazione del suo rapporto di lavoro a decorrere dal 31 maggio 2008, a causa del fatto che essa aveva raggiunto l’età pensionabile.

24      Con lettera 18 maggio 2008, la sig.ra Rosenbladt ha comunicato al suo datore di lavoro la propria intenzione di continuare a lavorare. Malgrado la sua opposizione, il contratto di lavoro dell’interessata ha cessato di produrre i propri effetti il 31 maggio 2008. Cionondimeno, la Oellerking ha proposto alla sig.ra Rosenbladt un nuovo rapporto di lavoro a decorrere dal 1° giugno 2008, per la durata del processo.

25      Il 28 maggio 2008, la sig.ra Rosenbladt ha proposto all’Arbeitsgericht Hamburg (giudice del lavoro di Amburgo) un’azione diretta contro il datore di lavoro, facendo valere che la cessazione del proprio rapporto di lavoro era illegittima, in quanto costitutiva di una discriminazione fondata sull’età. Essa sostiene che un limite di età come quello previsto dall’art. 19, punto 8, dell’RTV è ingiustificabile alla luce tanto dell’art. 4 della direttiva 2000/78, quanto dell’art. 6 di quest’ultima.

26      Dal 1° giugno 2008, la sig.ra Rosenbladt percepisce una pensione dal regime legale di assicurazione contro la vecchiaia per un importo pari a EUR 253,19 mensili, cioè EUR 228,26 netti.

27      Il giudice del rinvio dubita della compatibilità della clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro prevista all’art. 19, punto 8, dell’RTV con il principio di parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro sancito dal diritto primario dell’Unione e dalla direttiva 2000/78.

28      Ciò considerato, l’Arbeitsgericht Hamburg ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)       Se, dopo l’entrata in vigore [dell’AGG], le disposizioni di contratti collettivi di lavoro che operano una differenziazione in funzione del requisito dell’età, anche se la suddetta legge non lo prevede espressamente (come invece faceva prima l’art. 10, punto 7, della stessa AGG), siano compatibili con il divieto di discriminazione in base all’età di cui agli artt. 1 e 2, n. 1, della direttiva 2000/78.

2)      Se una norma di diritto nazionale che consente allo Stato, alle parti di un contratto collettivo di lavoro e alle parti di un singolo contratto di lavoro di prevedere una cessazione automatica del rapporto di lavoro al raggiungimento di un certo limite di età prefissato (nella presente fattispecie, al compimento del 65° anno di età) violi il divieto di discriminazione in base all’età di cui agli artt. 1 e 2, n. 1, della direttiva 2000/78, allorché in tale Stato membro da decenni vengono regolarmente applicate clausole di quel tipo ai rapporti di lavoro di quasi tutti i lavoratori, indipendentemente dalla situazione economica, sociale e demografica nonché dalle condizioni concrete del mercato del lavoro di volta in volta esistenti.

3)      Se un contratto collettivo di lavoro che consente al datore di lavoro di porre fine a un rapporto di lavoro al raggiungimento di un certo limite di età prefissato (nella presente fattispecie, al compimento del 65° anno di età) violi il divieto di discriminazione in base all’età di cui agli artt. 1 e 2, n. 1, della direttiva 2000/78, allorché in tale Stato membro da decenni vengono regolarmente applicate clausole di quel tipo ai rapporti di lavoro di quasi tutti i lavoratori, indipendentemente dalla rispettiva situazione economica, sociale e demografica nonché dalle condizioni concrete del mercato del lavoro di volta in volta esistenti.

4)      Se uno Stato che dichiari il carattere vincolante a livello generale di un contratto collettivo di lavoro in base al quale il datore di lavoro è autorizzato a porre fine a un rapporto di lavoro al raggiungimento [da parte del lavoratore] di un certo limite di età prefissato (nella presente fattispecie, al compimento del 65° anno di età), e che mantenga tale validità generale, violi il divieto di discriminazione in base all’età di cui agli artt. 1 e 2, n. 1, della direttiva 2000/78, allorché ciò avviene indipendentemente dalla situazione economica, sociale e demografica nonché dalle condizioni concrete del mercato del lavoro di volta in volta esistenti».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

29      L’Irlanda fa valere che le questioni sollevate sono sostanzialmente identiche a quelle risolte dalla Corte con la sentenza 5 marzo 2009, causa C‑388/07, Age Concern England (Racc. pag. I‑1569). Inoltre, la seconda, la terza e la quarta questione riguarderebbero l’applicazione del diritto dell’Unione, piuttosto che la sua interpretazione. La Corte dovrebbe quindi dichiararsi incompetente.

30      Tanto le parti nella causa principale quanto il governo tedesco contestano la ricevibilità della prima questione. Essi ritengono sostanzialmente che il giudice del rinvio abbia fatto riferimento ad una disposizione dell’AGG che non è applicabile alla controversia principale, privando così detta questione di pertinenza.

31      Tali argomenti non sono fondati. A prescindere dal fatto che le questioni sulle quali la Corte si è pronunciata nella citata sentenza Age Concern England non sono identiche a quelle sollevate nei presenti procedimenti, occorre rammentare che l’art. 267 TFUE permette sempre ai giudici nazionali, ove lo ritengano opportuno, di deferire nuovamente alla Corte delle questioni di interpretazione (sentenza 27 marzo 1963, cause riunite 28/62‑30/62, Da Costa en Schaake NV e a., Racc. pag. 57, in particolare pag. 74). Inoltre, dal tenore letterale della domanda di pronuncia pregiudiziale risulta chiaramente che il giudice del rinvio chiede l’interpretazione del diritto dell’Unione e, in particolare, della direttiva 2000/78 per poter risolvere la controversia principale.

32      Occorre peraltro rammentare che, nell’ambito di un procedimento ex art. 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare, sentenze 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini, Racc. pag. I‑6199, punto 43, e 22 dicembre 2008, causa C‑414/07, Magoora, Racc. pag. I‑10921, punto 22).

33      Secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di pertinenza. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in tal senso, sentenza 7 giugno 2007, cause riunite da C‑222/05 a C‑225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I‑4233, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

34      Nella fattispecie, la controversia principale attiene al carattere eventualmente discriminatorio della clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro, per raggiungimento dell’età pensionabile, dei lavoratori subordinati che raggiungono il sessantacinquesimo anno di età, prevista all’art. 19, punto 8, dell’RTV. Il giudice del rinvio si interroga, segnatamente, sulla compatibilità di una regola siffatta con la direttiva 2000/78. Le questioni proposte sono sufficientemente precise da consentire alla Corte di risolverle utilmente.

35      La domanda di pronuncia pregiudiziale deve pertanto essere considerata ricevibile.

 Nel merito

 Sulla seconda questione

36      Con la sua seconda questione, che va esaminata in primo luogo, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione nazionale quale l’art. 10, punto 5, dell’AGG, nella parte in cui quest’ultima prevede che le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro a seguito del raggiungimento dell’età pensionabile da parte del lavoratore subordinato possano essere escluse dal divieto di discriminazioni fondate sull’età.

37      In via preliminare, si deve constatare che l’art. 10, punto 5, dell’AGG introduce una disparità di trattamento direttamente fondata sull’età ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza 16 ottobre 2007, causa C‑411/05, Palacios de la Villa, Racc. pag. I‑8531, punto 51).

38      L’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78 stabilisce che una disparità di trattamento in base all’età non costituisce discriminazione laddove essa sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. Il secondo comma di tale paragrafo riporta diversi esempi di disparità di trattamento aventi caratteristiche simili a quelle menzionate in detto primo comma.

39      L’art. 10 dell’AGG riprende sostanzialmente tali principi. Il punto 5 di tale disposizione comprende, tra gli esempi di disparità di trattamento fondate sull’età che possono essere giustificate, gli accordi che prevedono la cessazione del rapporto di lavoro, senza licenziamento né dimissioni, in una data in cui il lavoratore può richiedere una pensione in ragione della sua età. Pertanto, tale misura non introduce un regime imperativo di pensionamento obbligatorio, bensì autorizza i lavoratori ed i datori di lavoro a stipulare, mediante accordi individuali o collettivi, una modalità di estinzione dei rapporti di lavoro fondata sull’età pensionabile, indipendentemente dalle ipotesi di dimissioni o licenziamento.

40      L’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/78 non comprende le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro tra quelle riportate nell’elenco delle disparità di trattamento fondate sull’età che possono essere giustificate e, a tale titolo, non essere considerate discriminatorie. Tuttavia, tale circostanza non è in sé determinante. Infatti, detto elenco ha un valore meramente indicativo. Pertanto, gli Stati membri, nell’attuare tale direttiva, non sono tenuti a redigere un elenco specifico delle disparità di trattamento che possono essere giustificate da un obiettivo legittimo (sentenza Age Concern England, cit., punto 43). Qualora decidano di procedere in tal modo, nell’ambito del loro margine discrezionale, essi possono ricomprendere in detto elenco esempi di disparità di trattamento e di obiettivi diversi da quelli espressamente menzionati dalla direttiva in questione, a condizione che tali obiettivi siano legittimi ai sensi dell’art. 6, n. 1, di quest’ultima e che le disparità di trattamento siano appropriate e necessarie per la realizzazione di tali obiettivi.

41      In tale contesto, giova ricordare che gli Stati membri così come, eventualmente, le parti sociali a livello nazionale dispongono di un ampio margine discrezionale nella scelta non soltanto di perseguire uno scopo determinato fra altri in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure atte a realizzare detto scopo (v. sentenze 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold, Racc. pag. I‑9981, punto 63, e Palacios de la Villa, cit., punto 68).

42      Dai chiarimenti forniti dal giudice del rinvio emerge che il legislatore, in sede di adozione dell’art. 10, punto 5, dell’AGG, avrebbe inteso non rimettere in discussione, in nome della lotta contro le discriminazioni fondate sull’età, la situazione esistente, caratterizzata da un ricorso generalizzato alle clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro alla data in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile. Il giudice del rinvio sottolinea in tal senso che tali clausole sono frequentemente applicate da decenni, indipendentemente dalle condizioni sociali e demografiche e dalla situazione del mercato del lavoro.

43      Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, il governo tedesco ha osservato, segnatamente, che la legittimità delle clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati che raggiungono l’età pensionabile, clausole ammesse anche in numerosi Stati membri, riflette un consenso politico e sociale presente in Germania da diversi anni. Tale consenso si baserebbe anzitutto sull’idea di una ripartizione del lavoro tra le generazioni. La cessazione dei rapporti di lavoro di detti lavoratori gioverebbe direttamente ai giovani lavoratori, favorendone l’inserimento professionale, reso difficile in un contesto di perdurante disoccupazione. I diritti dei lavoratori più anziani sarebbero peraltro adeguatamente tutelati. Infatti, la maggior parte di loro desidererebbe cessare l’attività lavorativa al raggiungimento dell’età pensionabile, in quanto la pensione percepita offre loro un reddito sostitutivo dopo la perdita dello stipendio. La cessazione automatica del rapporto di lavoro presenterebbe altresì il vantaggio di non costringere i datori di lavoro a licenziare i lavoratori dichiarandoli non più idonei al lavoro, il che potrebbe rivelarsi umiliante per soggetti in età avanzata.

44      Va rilevato che la cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati che soddisfano le condizioni contributive e di anzianità per beneficiare della liquidazione dei loro diritti pensionistici fa parte, da molto tempo, del diritto del lavoro di numerosi Stati membri ed è uno strumento diffuso nei rapporti lavorativi. Tale meccanismo si basa su un equilibrio tra considerazioni di ordine politico, economico, sociale, demografico e/o di bilancio, e dipende dalla scelta di prolungare la durata della vita attiva dei lavoratori o, al contrario, di prevederne un pensionamento precoce (v., in tal senso, sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 69).

45      Pertanto, finalità di natura simile a quelle rilevate dal governo tedesco vanno ritenute, in principio, tali da giustificare «oggettivamente e ragionevolmente», «nell’ambito del diritto nazionale», come previsto dall’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78, una disparità di trattamento in ragione dell’età come quella stabilita dall’art. 10, punto 5, dell’AGG.

46      Occorre ancora verificare se una misura siffatta sia appropriata e necessaria ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

47      L’ammissibilità delle clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per il fatto che il lavoratore subordinato ha raggiunto l’età pensionabile non può essere considerata, in linea di principio, eccessivamente pregiudizievole per i legittimi interessi dei lavoratori di cui trattasi.

48      Infatti, una normativa come quella oggetto della causa principale non si basa unicamente su un’età determinata, ma prende altresì in considerazione la circostanza che gli interessati beneficino al termine della loro carriera lavorativa di una compensazione economica per mezzo di un reddito sostitutivo sotto forma di una pensione (v., in tal senso, sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 73).

49      Inoltre, il meccanismo di cessazione automatica dei rapporti di lavoro previsto da una misura come quella contenuta all’art. 10, punto 5, dell’AGG non autorizza i datori di lavoro a concludere unilateralmente un rapporto di lavoro qualora i lavoratori abbiano raggiunto un’età che consente loro di ottenere la liquidazione della pensione. Tale meccanismo, distinto dal licenziamento e dalle dimissioni, ha un fondamento contrattuale. Esso riconosce, non solo ai lavoratori subordinati ed ai datori di lavoro mediante accordi individuali, ma anche alle parti sociali la facoltà di avvalersi, attraverso i contratti collettivi − e quindi con una flessibilità non trascurabile −, dell’applicazione di tale meccanismo, in modo da poter tenere debitamente conto non solo della situazione globale del mercato del lavoro interessato, ma altresì delle caratteristiche specifiche delle attività lavorative di cui si tratti (sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 74).

50      La normativa di cui trattasi nella causa principale contiene inoltre una limitazione supplementare diretta a garantire che vi sia il consenso dei lavoratori subordinati nei casi in cui le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro possano essere applicate prima del raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria. Infatti, l’art. 10, punto 5, dell’AGG autorizza le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei dipendenti che hanno raggiunto l’età pensionabile, «fatto salvo l’art. 41 del sesto libro del codice della previdenza sociale». Orbene, quest’ultima disposizione impone, sostanzialmente, ai datori di lavoro di ottenere o confermare il consenso dei lavoratori su qualsiasi clausola di cessazione automatica del rapporto di lavoro per il fatto che il dipendente ha raggiunto l’età pensionabile qualora tale età sia inferiore all’età pensionabile ordinaria.

51      Considerati tali elementi, non appare irragionevole che le autorità di uno Stato membro reputino che una misura che autorizza le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per raggiungimento da parte del lavoratore subordinato dell’età pensionabile, come quella prevista all’art. 10, punto 5, dell’AGG, possa essere appropriata e necessaria per raggiungere finalità legittime di politica nazionale del lavoro e dell’occupazione come quelle richiamate dal governo tedesco (v., in tal senso, sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 72).

52      Una conclusione siffatta non implica però che clausole del genere, contenute in un contratto collettivo, siano esenti da qualsiasi controllo giurisdizionale effettivo alla luce delle disposizioni della direttiva 2000/78 e del principio della parità di trattamento. Un siffatto controllo si svolge in funzione delle caratteristiche specifiche della clausola oggetto dell’esame. Occorre infatti verificare, per ciascun contratto collettivo che preveda il meccanismo di cessazione automatica del rapporto di lavoro, il rispetto, in particolare, delle condizioni previste all’art. 6, n. 1, primo comma, di tale direttiva. Inoltre, l’art. 16, lett. b), di detta direttiva impone espressamente agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché «tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi (...) siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate».

53      Di conseguenza, la seconda questione va risolta dichiarando che l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una disposizione nazionale come l’art. 10, punto 5, dell’AGG, in forza della quale sono considerate valide le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per raggiungimento da parte del lavoratore subordinato dell’età pensionabile, nei limiti in cui, da un lato, detta disposizione sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata da una finalità legittima relativa alla politica del lavoro e di mercato del lavoro e, dall’altro, i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. L’attuazione di tale disposizione mediante un contratto collettivo non è di per sé esente da qualsiasi controllo giurisdizionale, bensì, conformemente ai dettami dell’art. 6, n. 1, di tale direttiva, deve anch’essa perseguire una siffatta finalità legittima in modo appropriato e necessario.

 Sulla prima e sulla terza questione

54      Con la prima e con la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 osti alla clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro prevista all’art. 19, punto 8, dell’RTV qualora il lavoratore subordinato abbia raggiunto l’età pensionabile, fissata al sessantacinquesimo anno di età.

55      Per risolvere tale questione occorre verificare se, da un lato, detta misura risponda ad una finalità legittima e se, dall’altro, essa sia appropriata e necessaria ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

56      Il giudice del rinvio osserva che il Bundesarbeitsgericht, nella sentenza 18 giugno 2008 (7 AZR 116/07), ha dichiarato tale disposizione dell’RTV compatibile con l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78. Tuttavia, esso dubita che detta soluzione possa essere estesa alla fattispecie della causa principale, la quale è successiva all’entrata in vigore dell’AGG.

57      Il giudice del rinvio sottolinea che gli obiettivi perseguiti non sono menzionati nel contratto collettivo di cui trattasi nella causa principale.

58      Si deve rammentare che, in difetto di una precisazione, nella normativa nazionale controversa, circa l’obiettivo perseguito, occorre che altri elementi, attinenti al contesto generale della misura interessata, consentano l’identificazione dell’obiettivo sotteso a quest’ultima al fine di esercitare un sindacato giurisdizionale quanto alla sua legittimità e al carattere appropriato e necessario dei mezzi adottati per realizzare detto obiettivo (v. sentenze citate Palacios de la Villa, punto 57, e Age Concern England, punto 45).

59      A tal riguardo, il giudice del rinvio precisa che, secondo l’organismo che rappresentava gli interessi datoriali in sede di negoziati dell’RTV, l’art. 19, punto 8, di tale contratto collettivo era diretto a far prevalere una pianificazione adeguata e prevedibile della gestione del personale e delle assunzioni rispetto all’interesse dei lavoratori subordinati al mantenimento della loro situazione economica.

60      Lo stesso giudice ha fatto altresì riferimento alla citata sentenza del Bundesarbeitsgericht 18 giugno 2008, in cui si precisa che l’art. 19, punto 8, dell’RTV ha la finalità di agevolare l’occupazione giovanile, pianificare le assunzioni e consentire una buona gestione, equilibrata secondo le età, del personale delle imprese.

61      Occorre quindi esaminare se finalità di tale natura possano essere considerate legittime ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

62      La Corte ha già dichiarato che clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati che abbiano raggiunto l’età pensionabile sono giustificabili nell’ambito di una politica nazionale diretta a promuovere l’accesso all’impiego per mezzo di una migliore distribuzione di quest’ultimo sotto il profilo intergenerazionale, e si deve considerare che le finalità così perseguite, in linea di principio, giustifichino oggettivamente e ragionevolmente, nell’ambito dell’ordinamento nazionale, come previsto dall’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78, una disparità di trattamento fondata sull’età stabilita dagli Stati membri (v., in tal senso, sentenza Palacios de la Villa, cit., punti 53, 65 e 66). Ne consegue che finalità come quelle menzionate dal giudice del rinvio sono «legittime» ai sensi di tale disposizione.

63      Occorre pertanto esaminare se i mezzi adoperati per il conseguimento di tali finalità siano «appropriati e necessari».

64      Per quanto riguarda, in primo luogo, il carattere appropriato della clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro prevista dall’RTV, il giudice del rinvio ritiene che clausole di questo tipo, a causa della loro scarsa efficacia, non consentono la realizzazione delle finalità perseguite.

65      Sotto il profilo della finalità attinente alla promozione dell’occupazione, detto giudice rileva che le clausole di cessazione automatica del rapporto di lavoro del dipendente che ha raggiunto il sessantacinquesimo anno di età vengono utilizzate frequentemente e da molto tempo, senza che ciò abbia minimamente inciso sul livello occupazionale in Germania. Esso osserva inoltre che l’art. 19, punto 8, dell’RTV non vieta al datore di lavoro di assumere lavoratori di età superiore ai 65 anni, né esige che il datore di lavoro sostituisca il lavoratore che abbia raggiunto il sessantacinquesimo anno di età con un lavoratore più giovane.

66      Quanto alla finalità diretta a garantire una struttura armoniosa della piramide delle età nel settore dei lavori di pulizia, il giudice del rinvio dubita della sua pertinenza, considerata l’assenza di particolari rischi di invecchiamento della mano d’opera impiegata in tale settore.

67      Alla luce delle valutazioni del giudice del rinvio, va rilevato che la clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro di cui trattasi nella causa principale è il frutto di un accordo negoziato tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro che hanno così esercitato il loro diritto di contrattazione collettiva riconosciuto come diritto fondamentale (v., in tal senso, sentenza 15 luglio 2010, causa C‑271/08, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37). Il fatto di lasciare alle parti sociali il compito di definire un equilibrio tra i loro rispettivi interessi offre una flessibilità non trascurabile, dato che ciascuna delle parti può eventualmente recedere dall’accordo (v., in tal senso, sentenza Palacios de la Villa, cit., punto 74).

68      Garantendo ai lavoratori una certa stabilità dell’impiego e, a lungo termine, la promessa di un pensionamento prevedibile, e offrendo al contempo ai datori di lavoro una certa flessibilità nella gestione del loro personale, la clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro riflette quindi un equilibrio tra interessi divergenti ma legittimi, che si inseriscono in un complesso sistema di relazioni lavorative strettamente legato alle scelte politiche in materia di pensioni e di occupazione.

69      Di conseguenza, considerato l’ampio margine discrezionale riconosciuto alle parti sociali a livello nazionale nella scelta non solo del perseguimento di una determinata finalità in materia di politica sociale e dell’occupazione, ma anche nella definizione delle misure idonee alla sua realizzazione, non sembra irragionevole, per le parti sociali, ritenere che una misura come quella contenuta all’art. 19, punto 8, dell’RTV possa essere appropriata per il conseguimento delle finalità sopra menzionate.

70      In secondo luogo, il giudice del rinvio si interroga sul carattere necessario di una clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro come quella prevista all’art. 19, punto 8, dell’RTV.

71      Da un lato, la cessazione automatica dei rapporti di lavoro arrecherebbe un rilevante danno economico ai lavoratori del settore delle pulizie industriali in generale e alla sig.ra Rosenbladt in particolare. Poiché tale settore è caratterizzato da lavori scarsamente retribuiti e a tempo parziale, le pensioni del regime previdenziale legale non consentirebbero ai lavoratori di far fronte alle loro necessità vitali.

72      Dall’altro, esisterebbero misure meno incisive della cessazione automatica dei rapporti di lavoro. Ad esempio, per quanto riguarda l’interesse dei datori di lavoro a pianificare la loro politica di gestione del personale, secondo il giudice del rinvio sarebbe sufficiente che questi ultimi chiedessero ai propri dipendenti se intendono di continuare a lavorare dopo il raggiungimento dell’età pensionabile.

73      Per esaminare se la misura di cui trattasi nella causa principale ecceda quanto necessario per la realizzazione delle finalità perseguite ed arrechi un pregiudizio eccessivo agli interessi dei lavoratori che raggiungono il sessantacinquesimo anno di età, a partire dal quale possono ottenere la liquidazione dei loro diritti pensionistici, occorre ricollocare tale misura nel contesto normativo in cui essa si inserisce e prendere in considerazione tanto il danno che essa può causare ai soggetti interessati, quanto i vantaggi che ne traggono la società nel suo complesso e gli individui che la compongono.

74      Dai chiarimenti forniti dal giudice del rinvio nonché dalle osservazioni presentate alla Corte risulta che il diritto del lavoro tedesco non vieta ad una persona che ha raggiunto un’età che le consente di ottenere la liquidazione dei suoi diritti pensionistici di proseguire un’attività lavorativa. Inoltre, risulta da tali chiarimenti che un lavoratore che si trova in una situazione del genere continua a beneficiare della protezione contro le discriminazioni fondate sull’età ai sensi dell’AGG. Il giudice del rinvio ha precisato al riguardo che l’AGG vieta che ad una persona che si trovi nella situazione della sig.ra Rosenbladt, dopo la cessazione del suo rapporto di lavoro per raggiungimento dell’età pensionabile, venga negato un impiego, vuoi dal suo ex datore di lavoro, vuoi da un terzo, per motivi legati alla sua età.

75      Ricollocata in tale contesto, la cessazione ipso iure del rapporto di lavoro derivante da una misura come quella contenuta all’art. 19, punto 8, dell’RTV non ha l’effetto automatico di costringere le persone interessate a ritirarsi definitivamente dal mercato del lavoro. Di conseguenza, detta disposizione non istituisce un regime imperativo di pensionamento d’ufficio (v., in tal senso, sentenza Age Concern England, cit., punto 27). Essa non osta a che un lavoratore che lo desideri, ad esempio per motivi economici, continui la propria attività lavorativa oltre l’età pensionabile. Essa non priva della tutela contro le discriminazioni fondate sull’età i lavoratori subordinati che hanno raggiunto l’età pensionabile qualora essi desiderino rimanere in attività e cerchino un nuovo impiego.

76      Considerati tali elementi, si deve ritenere che una misura come quella contenuta all’art. 19, punto 8, dell’RTV non ecceda quanto necessario per la realizzazione delle finalità perseguite, tenuto conto dell’ampio margine discrezionale riconosciuto agli Stati membri ed alle parti sociali in materia di politica sociale e dell’occupazione.

77      La prima e la terza questione vanno quindi risolte dichiarando che l’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una misura come la clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati che hanno raggiunto l’età pensionabile di 65 anni prevista all’art. 19, punto 8, dell’RTV.

 Sulla quarta questione

78      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede se il divieto di discriminazioni fondate sull’età sancito agli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 osti a che uno Stato membro dichiari applicabile erga omnes un contratto collettivo contenente una clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro come quella contenuta all’art. 19, punto 8, dell’RTV, senza prendere in considerazione la situazione economica, sociale e demografica nonché la situazione del mercato del lavoro.

79      La direttiva 2000/78 non disciplina, in quanto tale, le circostanze in cui gli Stati membri possono dichiarare applicabile erga omnes un contratto collettivo. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti a garantire, con appropriate misure legislative, regolamentari o amministrative, che tutti i lavoratori possano beneficiare, in tutta la sua portata, della protezione offerta loro dalla direttiva 2000/78 contro le discriminazioni fondate sull’età. L’art. 16, lett. b), di tale direttiva impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché «tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi (...) siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate». Se un contratto collettivo non è contrario agli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78, lo Stato membro di cui trattasi è libero di renderlo obbligatorio per persone da esso non vincolate (v., per analogia, sentenza 21 settembre 1999, causa C‑67/96, Albany, Racc. pag. I‑5751, punto 66).

80      Alla luce di tali considerazioni, la quarta questione va risolta dichiarando che gli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro dichiari applicabile erga omnes un contratto collettivo come quello di cui trattasi nella causa principale, a condizione che esso non privi i lavoratori che ricadono nella sfera di applicazione di detto contratto collettivo della protezione offerta loro dalle citate disposizioni contro le discriminazioni fondate sull’età.

 Sulle spese

81      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una disposizione nazionale come l’art. 10, punto 5, della legge generale sulla parità di trattamento (Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz), in forza della quale sono considerate valide le clausole di cessazione automatica dei rapporti di lavoro per raggiungimento da parte del lavoratore subordinato dell’età pensionabile, nei limiti in cui, da un lato, detta disposizione sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata da una finalità legittima relativa alla politica dell’occupazione e di mercato del lavoro e, dall’altro, i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. L’attuazione di tale disposizione mediante un contratto collettivo non è di per sé esente da qualsiasi controllo giurisdizionale, bensì, conformemente ai dettami dell’art. 6, n. 1, di tale direttiva, deve anch’essa perseguire una siffatta finalità legittima in modo appropriato e necessario.

2)      L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una misura come la clausola di cessazione automatica dei rapporti di lavoro dei lavoratori subordinati che hanno raggiunto l’età pensionabile di 65 anni prevista all’art. 19, punto 8, del contratto collettivo applicabile erga omnes per i lavoratori subordinati del settore delle pulizie industriali (Allgemeingültiger Rahmentarifvertrag für die gewerblichen Beschäftigten in der Gebäudereinigung).

3)      Gli artt. 1 e 2 della direttiva 2000/78 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro dichiari applicabile erga omnes un contratto collettivo come quello di cui trattasi nella causa principale, a condizione che esso non privi i lavoratori che ricadono nella sfera di applicazione di detto contratto collettivo della protezione offerta loro dalle citate disposizioni contro le discriminazioni fondate sull’età.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.