CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 10 febbraio 2011 (1)

Causa C‑272/09 P

KME Germany AG, già KM Europa Metal AG

KME France SAS, già Tréfimétaux SA

KME Italy SpA, già Europa Metalli SpA

«Impugnazione – Concorrenza – Intesa per la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei mercati – Fattori presi in considerazione nella determinazione delle ammende – Competenza del Tribunale – Controllo giurisdizionale effettivo»





1.        Tre imprese collegate hanno partecipato, con altre imprese, ad accordi per la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei mercati e a pratiche concordate sul mercato dei tubi industriali in rame, in violazione dell’art. 81 CE (divenuto art. 101 TFUE), e sono state sanzionate con ammende dalla Commissione.

2.        Per fissare le ammende, la Commissione ha tenuto conto dei criteri enunciati nei propri orientamenti applicabili, nonché di varie circostanze aggravanti e attenuanti.

3.        Le tre imprese in questione hanno adito il Tribunale (2) chiedendo una significativa riduzione delle ammende loro inflitte e lamentando cinque errori specifici nella determinazione degli importi.

4.        Il loro ricorso è stato integralmente respinto (3) ed esse hanno proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte deducendo cinque motivi, di cui i primi quattro corrispondono ai primi quattro motivi dedotti dinanzi al Tribunale. Il quinto motivo di impugnazione solleva invece una più ampia questione relativa alla portata e alla natura del controllo che il Tribunale deve svolgere nell’esercizio della sua competenza anche di merito in relazione alle sanzioni pecuniarie.

 Ambito normativo

 Diritti dell’uomo e fondamentali

5.        L’art. 6, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU») dispone, in particolare, quanto segue:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...)».

6.        L’art. 6, nn. 2 e 3, prevede ulteriori garanzie per coloro che siano «accusat[i] di un reato», comprese la presunzione di innocenza e la disponibilità di vari mezzi volti a garantire la loro difesa.

7.        L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (4), intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», dispone in particolare quanto segue:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge (…)».

8.        La nota esplicativa a tale articolo enuncia, tra l’altro, che il secondo comma corrisponde all’art. 6, n. 1, della CEDU, con la seguente precisazione:

«Nel diritto dell’Unione il diritto a un giudice non si applica solo a controversie relative a diritti e obblighi di carattere civile. È una delle conseguenze del fatto che l’Unione è una comunità di diritto come la Corte ha constatato nella causa 294/83, Parti ecologiste “Les Verts” contro Parlamento europeo (sentenza del 23 aprile 1986, Racc. 1986, pag. 1339). Tuttavia, fatta eccezione per l’ambito di applicazione, le garanzie offerte dalla CEDU si applicano in modo analogo nell’Unione».

9.        L’art. 49 della Carta è rubricato «Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene». Per quanto riguarda le pene, l’art. 49, n. 3, dispone che «[l]e pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». Secondo la nota esplicativa, ciò «riprende il principio generale della proporzionalità dei reati e delle pene sancito dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (…)».

10.      L’articolo 51 della Carta definisce l’ambito di applicazione della stessa. A termini dell’art. 51, n. 1:

«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze» (5).

 Disposizioni del Trattato

11.      L’art. 81, n. 1, CE (divenuto, in seguito a una lieve modifica, art. 101, n. 1, TFUE) dispone quanto segue:

«Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel:

a)      fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;

(…)

c)      ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

(…)».

12.      L’art. 229 CE (divenuto, in seguito a una lieve modifica, art. 261 TFUE) così recita:

«I regolamenti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio e dal Consiglio in virtù delle disposizioni del presente trattato possono attribuire alla Corte di giustizia una competenza giurisdizionale anche di merito per quanto riguarda le sanzioni previste nei regolamenti stessi».

13.      Più in generale, l’art. 230 CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 263 TFUE) affida alla Corte il controllo di legittimità sugli atti delle istituzioni, compresa la Commissione, «per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del presente trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere».

14.      Ai sensi dell’art. 225, n. 1, CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 256, n. 1, TFUE), il Tribunale è competente, in linea di principio, a conoscere di tali procedimenti in primo grado, fatto salvo il diritto di impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia per i soli motivi di diritto.

 Applicazione del diritto della concorrenza

15.      L’art. 15 del regolamento del Consiglio n. 17 (6), che era applicabile all’epoca dei fatti, disponeva, in particolare, quanto segue:

«2.      La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto [(7)] ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)       commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81, n. 1, CE/101, n. 1, TFUE];

(…)

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

(…)

4.      Le decisioni prese a norma de[l] paragraf[o] (…) 2 non hanno un carattere penale» (8).

16.      L’art. 17 del regolamento n. 17 disponeva:

«La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito ai sensi dell’articolo [229 CE/261 TFUE] per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione commina una ammenda o una penalità di mora; essa può sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda o la penalità di mora inflitta» (9).

17.      All’epoca dei fatti erano applicabili anche gli orientamenti per il calcolo delle ammende della Commissione del 1998 (in prosieguo: gli «orientamenti») (10). Il preambolo di tali orientamenti enunciava, tra l’altro, quanto segue:

«I principi indicati negli orientamenti riportati in appresso dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà ormai sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti [(11)]».

18.      Il punto 1 degli orientamenti specificava che l’importo di base era determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, i soli criteri indicati all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

19.      Per quanto riguarda la gravità, a termini della sezione 1 A, si doveva tenere conto della natura dell’infrazione, del suo «impatto concreto sul mercato, quando [fosse] misurabile», e dell’estensione del mercato geografico rilevante. Erano previste tre categorie: infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi; le ultime includevano le restrizioni orizzontali quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati, per le quali era prevista un’«ammenda applicabile» di oltre EUR 20 milioni. Era inoltre possibile «differenziare il trattamento da riservare alle imprese in funzione della natura delle infrazioni commesse», ed era necessario «valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e (…) occorrerà fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo».

20.      Per quanto riguarda la durata, ai sensi della sezione 1 B occorreva distinguere tra infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a un anno), per le quali non era prevista alcuna maggiorazione dell’ammenda applicabile in funzione della gravità, di media durata (in generale per periodi da uno a cinque anni), che comportavano una maggiorazione dell’ammenda fino al 50%, e di lunga durata (in generale per periodi superiori a cinque anni), che comportavano una maggiorazione dell’ammenda «applicabile per ciascun anno (…) pari al 10%» (12). L’ammenda applicabile in funzione della gravità e la maggiorazione applicata in funzione della durata costituivano congiuntamente l’importo di base dell’ammenda irrogata.

21.      Il punto 2 enunciava che l’importo di base poteva essere aumentato in caso di circostanze aggravanti che annoveravano, inter alia, la recidiva della medesima impresa o delle medesime imprese per un’infrazione del medesimo tipo.

22.      Il punto 3 prevedeva che l’importo di base poteva essere ridotto per specifiche circostanze attenuanti quali, tra l’altro: la non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite (secondo trattino), l’aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti) (terzo trattino) e la collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione della Commissione del 1996 sulla cooperazione (sesto trattino) (13).

23.      La comunicazione sulla cooperazione definiva le condizioni alle quali le imprese che cooperavano con la Commissione nel corso dei suoi accertamenti relativi ad un’intesa potevano evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero state loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare.

24.      Il punto 4 della sezione A della comunicazione sulla cooperazione enunciava quanto segue: «La Commissione ritiene che sia nell’interesse della Comunità accordare un trattamento favorevole alle imprese che cooperano alle condizioni precisate in prosieguo. Il vantaggio che i consumatori ed i cittadini traggono dalla certezza che tali pratiche siano scoperte e vietate è primario rispetto all’interesse d’infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese che, cooperando con la Commissione, le consentono di scoprire e sanzionare un’intesa o le sono d’ausilio in tale compito». Le sezioni B, C e D specificavano i tipi di comportamento per i quali un’impresa che avesse partecipato ad attività anticoncorrenziali poteva comunque godere di un trattamento favorevole. Essi recitano quanto segue:

«B.      NON IMPOSIZIONE O NOTEVOLE RIDUZIONE DELLE AMMENDE

L’impresa la quale:

a)      denunci l’intesa segreta alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata;

b)      sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa;

c)      abbia cessato di partecipare all’attività illecita al più tardi al momento in cui denuncia l’intesa;

d)      fornisca alla Commissione tutte le informazioni utili nonché tutti i documenti e gli elementi probatori di cui dispone riguardante l’intesa e assicuri una permanente e totale cooperazione per tutto il corso dell’indagine;

e)      non abbia costretto un’altra impresa a partecipare all’intesa né abbia svolto un ruolo di iniziazione o determinante nell’attività illecita,

beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda, che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione, o della totale non imposizione della medesima.

C. IMPORTANTE RIDUZIONE DELL’AMMONTARE DELL’AMMENDA

L’impresa che, soddisfatte le condizioni di cui al punto B, lettere da b) ad e), denunci l’intesa segreta dopo che la Commissione abbia proceduto ad accertamenti, previa decisione, presso imprese partecipanti all’intesa stessa, senza che tali accertamenti abbiano potuto fornire una base sufficiente per giustificare l’avvio del procedimento in vista dell’adozione di una decisione, beneficia di una riduzione dal 50% al 75% dell’ammontare dell’ammenda.

D.      SIGNIFICATIVA RIDUZIONE DELL’AMMONTARE DELL’AMMENDA

1.      Un’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione.

2.      Ciò può verificarsi in particolare:

–        se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

–        se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

 Imposizione e determinazione delle ammende nel caso di specie

25.      Il 16 dicembre 2003, a seguito di vari accertamenti, la Commissione ha adottato una decisione (14) con cui constatava che sei imprese – la Wieland Werke AG (in prosieguo: la «Wieland»), la Outokumpu Oyj, la Outokumpu Copper Products OY (in prosieguo indicate congiuntamente come la «Outokumpu»), la KM Europa Metal AG (in prosieguo: la «KME Germany»), la Europa Metalli SpA (in prosieguo: la «KME Italy») e la Tréfimétaux SA (in prosieguo: la «KME France») – avevano violato le disposizioni di cui all’art. 81, n. 1, CE e – a datare dal 1° gennaio 1994 – di cui all’art. 53, n. 1, dell’Accordo SEE partecipando, tra il 3 maggio 1988 e il 22 marzo 2001, ad un insieme di accordi e di pratiche concordate consistenti nella fissazione dei prezzi e nella spartizione del mercato nel settore dei tubi industriali. La KME Germany, la KME France e la KME Italy (che dal 1995 fanno parte del gruppo KME; in prosieguo indicate congiuntamente come la «KME») erano le ricorrenti in primo grado e sono le ricorrenti nel presente procedimento.

26.      Alla KME sono state inflitte ammende per un totale di EUR 39,81 milioni (15). Il procedimento con cui la Commissione ha determinato l’importo in questione è sintetizzato come segue ai punti 11‑22 della sentenza impugnata:

«11      Per quanto riguarda, in primo luogo, la fissazione dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione, consistente essenzialmente nella fissazione dei prezzi e nella ripartizione dei mercati, costituisse per sua stessa natura un’infrazione molto grave (punto 294 della decisione impugnata).

12      Al fine di determinare la gravità dell’infrazione, la Commissione ha anche tenuto conto del fatto che il cartello aveva avuto un impatto sull’intero territorio dello Spazio economico europeo (SEE) (punto 316 della decisione impugnata). La Commissione ha inoltre esaminato gli effetti reali dell’infrazione e ha constatato che l’intesa aveva “esercitato [globalmente] un impatto sul mercato” (punto 314 della decisione impugnata).

13      Ai fini di quest’ultima constatazione essa si è fondata, in particolare, sui seguenti indizi. In primo luogo, essa ha tenuto conto dell’attuazione dell’intesa riferendosi al fatto che i partecipanti si informavano reciprocamente sui volumi di vendita e sui livelli dei prezzi (punto 300 della decisione impugnata). In secondo luogo, taluni elementi del fascicolo avrebbero dimostrato che i prezzi erano scesi in periodi di scarso rispetto dell’accordo collusivo e sarebbero aumentati notevolmente durante altri periodi (punto 310 della decisione impugnata). In terzo luogo, la Commissione si è riferita alla quota di mercato collettiva del 75‑85% detenuta dai membri dell’intesa (punto 310 della decisione impugnata). In quarto luogo, la Commissione ha constatato che le rispettive quote di mercato delle partecipanti all’intesa erano rimaste relativamente stabili per tutta la durata dell’infrazione, sebbene vi fossero stati spostamenti di clienti da un partecipante all’altro (punto 312 della decisione impugnata).

14      Infine, sempre nell’ambito della determinazione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto del fatto che il mercato dei tubi industriali in rame costituiva un settore importante, il cui valore nel SEE è stato stimato in 288 milioni di euro (punto 318 della decisione impugnata).

15      Tenuto conto di tutte queste circostanze, la Commissione ha concluso che l’infrazione di cui trattasi doveva essere considerata molto grave (punto 320 della decisione impugnata).

16      In secondo luogo, la Commissione ha proceduto ad un trattamento differenziato delle imprese coinvolte, al fine di tener conto della effettiva capacità economica di ciascuna di arrecare un pregiudizio significativo alla concorrenza. A tal riguardo, la Commissione ha rilevato l’esistenza di una differenza, sul mercato dei tubi industriali nel SEE, tra le quote di mercato detenute, da una parte, dal gruppo KME, leader nel mercato SEE con il [riservato]% delle quote di mercato e, dall’altra, dalla Outokumpu e dalla Wieland, detentrici rispettivamente del [riservato] e del 13,4% delle quote di mercato. Alla luce di questa differenza, l’importo iniziale dell’ammenda inflitta all’Outokumpu e alla Wieland è stato fissato al 33% di quello inflitto al gruppo KME, ovvero 11,55 milioni di euro per l’Outokumpu e per la Wieland e 35 milioni di euro per il gruppo KME (punti 327 e 328 della decisione impugnata).

17      Atteso che la creazione del gruppo KME era avvenuta nel 1995, la Commissione ha diviso l’importo iniziale dell’ammenda inflitta al gruppo, ossia 35 milioni di euro, in due parti. La prima per il periodo dal 1988 al 1995 (distinguendo la KME Germany dalla KME France e dalla KME Italy) e la seconda per il periodo dal 1995 al 2001 (considerando le tre imprese come costituenti un gruppo). Detto importo iniziale è stato quindi suddiviso nel seguente modo: 8,75 milioni di euro per la KME Germany (dal 1988 al 1995); 8,75 milioni di euro in solido per la KME Italy e la KME France (dal 1988 al 1995) e 17,50 milioni di euro per il gruppo KME, vale a dire in solido per la KME Germany, la KME France e la KME Italy (dal 1995 al 2001) (punto 329 della decisione impugnata).

18      In terzo luogo, al fine di tener conto della necessità di fissare l’ammenda ad un livello che le garantisse un effetto deterrente, la Commissione ha maggiorato l’importo iniziale dell’ammenda inflitta all’Outokumpu del 50%, portandolo quindi a 17,33 milioni di euro, considerando che il fatturato mondiale di quest’ultima, superiore a cinque miliardi di euro, indicava che essa disponeva di dimensioni e di una potenza economica tali da autorizzare detta maggiorazione (punto 334 della decisione impugnata).

19      In quarto luogo, la Commissione ha qualificato la durata dell’infrazione, che si è protratta dal 3 maggio 1988 al 22 marzo 2001, come “lunga”. La Commissione ha dunque giudicato appropriato maggiorare l’importo iniziale delle ammende inflitte alle imprese in esame del 10% per ogni anno di partecipazione al cartello. Pertanto, la Commissione ha maggiorato del 55% l’importo iniziale dell’ammenda inflitta al gruppo KME per il periodo dal 1995 al 2001 e del 70% l’importo iniziale delle ammende inflitte alla KME Germany, da una parte, nonché alla KME Italy e alla KME France, dall’altra, per il periodo dal 1988 al 1995. L’importo di base delle ammende è stato quindi fissato a 56,88 milioni di euro per tutto il gruppo KME (punti 338, 342 e 347 della decisione impugnata) [(16)].

20      In quinto luogo, a titolo di circostanze aggravanti, l’importo di base dell’ammenda inflitta all’Outokumpu è stato maggiorato del 50% in quanto si era resa colpevole di recidiva, poiché era stata destinataria della decisione della Commissione 18 luglio 1990, 90/417/CECA, relativa ad una procedura ai sensi dell’art. 65 [CA] concernente l’accordo e le pratiche concordate posti in essere dai produttori europei di prodotti piatti di acciaio inossidabile laminati a freddo (GU L 220, pag. 28) (punto 354 della decisione impugnata).

21      In sesto luogo, a titolo di circostanze attenuanti, la Commissione ha rilevato che, senza la cooperazione dell’Outokumpu, essa avrebbe potuto dimostrare l’esistenza dell’infrazione soltanto per un periodo di quattro anni e, di conseguenza, ha ridotto l’importo di base della sua ammenda di un ammontare pari a 22,22 milioni di euro, di modo che l’importo di base coincida con l’ammenda che le sarebbe stata inflitta per un tale periodo (punto 386 della decisione impugnata).

22      In settimo ed ultimo luogo, a norma della sezione D della comunicazione del 1996 sulla cooperazione, la Commissione ha provveduto ad una riduzione dell’importo delle ammende del 50% per l’Outokumpu, del 20% per la Wieland e del 30% per il gruppo KME (punti 402, 408 e 423 della decisione impugnata)».

 Sintesi della sentenza impugnata

27.      Il ricorso della KME era intitolato «Ricorso ai sensi degli artt. 225 e 230 CE». Con esso, la KME chiedeva che il Tribunale volesse:

–        ridurre sostanzialmente l’ammenda;

–        condannare la Commissione alle spese del giudizio nonché ai costi sostenuti dalla KME per fornire una garanzia bancaria invece del pagamento dell’ammenda, in attesa della sentenza del Tribunale; e

–        prendere ogni provvedimento che il Tribunale potesse considerare appropriato.

28.      A sostegno di tali richieste, la KME deduceva cinque motivi, tutti vertenti sulla fissazione dell’importo dell’ammenda: a) l’inadeguata presa in considerazione dell’impatto concreto dell’intesa per il calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda, b) una valutazione inadeguata delle dimensioni del mercato rilevante, c) un aumento erroneo dell’ammenda per via della durata dell’infrazione, d) la mancata considerazione di circostanze attenuanti nonché e) un’applicazione erronea della comunicazione sulla cooperazione. Il Tribunale ha respinto i cinque motivi e, pertanto, il ricorso nella sua interezza.

29.      Per quanto riguarda il primo motivo (l’inadeguata presa in considerazione dell’impatto concreto dell’intesa), il Tribunale ha dichiarato che la Commissione poteva procedere ad un trattamento differenziato tra i partecipanti in funzione della quota di mercato detenuta da ciascuno di essi; che le intese, in particolare quelle volta alla fissazione dei prezzi e alla ripartizione della clientela, erano per la loro stessa natura così gravi da meritare le ammende più severe, a prescindere dall’impatto sul mercato, e che, «ad abundantiam», la Commissione aveva dimostrato sufficientemente l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante.

30.      Con il secondo motivo, la KME sosteneva che la Commissione aveva valutato erroneamente le dimensioni del mercato della produzione di tubi in rame sulla base del fatturato includendo i costi della materia prima (cioè del rame), mentre tali costi erano determinati, e talora sopportati direttamente dall’acquirente; una valutazione corretta avrebbe dovuto essere basata sul valore aggiunto dai fabbricanti. Il Tribunale ha constatato che nessuna valida ragione impone che il fatturato di un mercato rilevante sia calcolato escludendo taluni costi di produzione e che, malgrado la sua natura approssimativa, il fatturato viene considerato attualmente tanto dal legislatore quanto dalla Commissione e dalla Corte come criterio adeguato per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese.

31.      Per quanto attiene al terzo motivo (aumento erroneo dell’ammenda – del 10% annuo – per via della durata dell’infrazione), il Tribunale ha constatato che, senza confondere la gravità con la durata dell’infrazione, la Commissione aveva esercitato il suo legittimo potere discrezionale entro i limiti delle regole che si era imposta negli orientamenti e che l’aumento del 125% per una durata di dodici anni e dieci mesi non era sproporzionato.

32.      Con il quarto motivo, la KME sosteneva che, contrariamente ai suoi stessi orientamenti, la Commissione non aveva tenuto conto di talune presunte circostanze attenuanti: i) il fatto che, sebbene non si fosse sistematicamente astenuta dall’esecuzione degli accordi, la KME li aveva messi in pratica in modo limitato; ii) il fatto che la KME aveva posto fine all’infrazione immediatamente e volontariamente dopo gli accertamenti effettuati dalla Commissione; iii) la situazione economica difficile del settore dei tubi industriali e iv) il fatto che la KME aveva fornito informazioni decisive o che completavano mezzi di prova detenuti dalla Commissione. Il Tribunale ha constatato, rispettivamente, che: i) la KME non aveva effettivamente adottato un comportamento concorrenziale e che un’attuazione limitata non costituiva un elemento sufficientemente attenuante; ii) la riduzione dell’ammenda in base alla cessazione – in particolare – di un’infrazione intenzionale sin dai primi interventi della Commissione rientra nel potere discrezionale di quest’ultima e dipende dalla sua valutazione delle circostanze; iii) la Commissione non è tenuta a considerare come circostanza attenuante la cattiva salute finanziaria di un settore, e iv) la Commissione dispone di un potere discrezionale per quanto riguarda l’applicazione delle circostanze attenuanti, e non l’ha esercitato in modo errato nel considerare che era stata la Outokumpu e non la KME a fornire le informazioni importanti.

33.      Con il quinto motivo (riduzione insufficiente dell’importo dell’ammenda a titolo della comunicazione sulla cooperazione), la KME sosteneva che: i) taluni terzi avevano ricevuto un trattamento più favorevole in precedenti procedimenti; ii) le informazioni fornite dalla KME avrebbero dovuto comportare una riduzione superiore al 30% e iii) la Commissione aveva violato il principio della parità di trattamento concedendo alla Outokumpu una riduzione del 50%. Il Tribunale ha constatato, rispettivamente, che: i) il fatto che la Commissione avesse concesso in passato una certa percentuale di riduzione per un determinato comportamento non implicava che essa fosse tenuta a concedere la medesima percentuale in occasione della valutazione di un comportamento analogo nell’ambito di un procedimento successivo; ii) poteva essere censurato soltanto un errore manifesto di valutazione da parte della Commissione, poiché essa dispone di un ampio potere discrezionale per valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da un’impresa, segnatamente in rapporto ai contributi offerti da altre imprese, e nella specie non sussisteva tale errore manifesto, e iii) che non sussisteva un trattamento discriminatorio in quanto la KME e la Outokumpu non si trovavano in situazioni analoghe.

 Motivi di impugnazione

34.      La KME ha dedotto cinque motivi di impugnazione, che possono essere riassunti come segue.

35.      In primo luogo, dichiarando che la Commissione aveva sufficientemente dimostrato sul piano giuridico che l’intesa aveva un impatto sul mercato rilevante, fattore che dev’essere preso in considerazione per stabilire l’importo di base dell’ammenda della KME, il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione e fornito una motivazione inadeguata e illogica per il rigetto del primo motivo di ricorso. Inoltre, accogliendo la conclusione della Commissione secondo cui la prova econometrica fornita dalla KME non aveva dimostrato che l’infrazione nel suo complesso non aveva avuto alcun impatto sul mercato, il Tribunale avrebbe manifestamente snaturato i fatti e le prove dedotti dinanzi ad esso.

36.      In secondo luogo, accogliendo la valutazione della Commissione relativa alle dimensioni del mercato interessato dall’intesa (tubi industriali), che includeva il fatturato relativo ad un mercato a monte separato (quello del rame), sebbene i partecipanti all’intesa non fossero verticalmente integrati in tale mercato a monte, il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione e fornito una motivazione insufficiente per il rigetto del secondo motivo della KME.

37.      In terzo luogo, il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione e fornito una motivazione oscura, illogica e inadeguata accogliendo la parte rilevante della decisione e respingendo il terzo motivo di ricorso della KME, secondo cui la Commissione avrebbe applicato in maniera errata gli orientamenti e violato i principi della proporzionalità e della parità di trattamento, imponendo la percentuale massima di aumento dell’importo di base dell’ammenda della KME in funzione della durata.

38.      In quarto luogo, il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione respingendo la quarta parte del quarto motivo di ricorso della KME e accogliendo la parte rilevante della decisione, in cui la Commissione ha negato alla KME il beneficio di una riduzione dell’ammenda per la cooperazione al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole, in violazione degli orientamenti nonché dei principi di lealtà e della parità di trattamento.

39.      In quinto luogo, il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione e il diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva omettendo di esaminare in modo approfondito e dettagliato gli argomenti della KME e mostrando una deferenza distorta alla discrezionalità della Commissione.

40.      Ritengo che il quinto e ultimo di tali motivi di impugnazione debba essere esaminato per primo, dato che il giudizio della Corte sulla questione generale relativa alla portata, all’intensità e alla natura del controllo che deve essere svolto dal Tribunale in casi di questo tipo influirà sull’approccio ai primi quattro motivi di impugnazione, ciascuno dei quali critica un esercizio specifico distinto di detto controllo.

 Sul quinto motivo di impugnazione: il controllo giurisdizionale effettivo

 Passaggi pertinenti della sentenza impugnata

41.      La KME cita i seguenti passaggi della sentenza impugnata a sostegno del suo argomento secondo cui il Tribunale avrebbe «mostrato una deferenza eccessiva e irragionevole alla discrezionalità della Commissione»:

«92      (...) la gravità dell’infrazione viene accertata in funzione di numerosi elementi, in ordine ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità (…)».

«103      (…) [C]ompete alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale (…), la percentuale di maggiorazione che intende applicare per la durata dell’infrazione».

«115      (…) [L]’adozione degli orientamenti non ha privato di rilievo la giurisprudenza precedente, secondo cui la Commissione dispone di un potere discrezionale che le consente di prendere o di non prendere in considerazione taluni elementi all’atto di stabilire l’importo delle ammende che essa intende infliggere, in particolare in funzione delle circostanze del caso di specie. Pertanto, in assenza di indicazioni di carattere imperativo negli orientamenti riguardo alle circostanze attenuanti che possono essere prese in considerazione, deve ritenersi che la Commissione abbia conservato un certo margine per valutare in modo globale l’entità di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende in ragione di circostanze attenuanti».

«129      (…) [L]a Commissione dispone di un potere discrezionale per quanto riguarda l’applicazione delle circostanze attenuanti (…)».

42.      Tali passaggi possono essere letti nel contesto dell’osservazione svolta «a titolo preliminare» dal Tribunale nei punti 32‑37 della sentenza impugnata, sebbene tali passaggi non siano specificamente richiamati dalla KME:

«32      (…) giova rammentare, da una parte, che dai punti 290‑387 della decisione impugnata emerge che le ammende inflitte dalla Commissione a causa dell’infrazione lo sono state in forza dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e, dall’altra, che sebbene nella decisione impugnata la Commissione non si riferisca esplicitamente agli orientamenti (…), è pacifico che essa abbia determinato l’importo delle ammende in applicazione del metodo in essi definito.

33      Gli orientamenti, benché non possano essere qualificati come norme giuridiche, enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui la Commissione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni compatibili con il principio della parità di trattamento (v. sentenza della Corte 18 maggio 2006, causa C‑397/03 P, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. I‑4429, punto 91, nonché la giurisprudenza ivi citata).

34      Spetta dunque al Tribunale verificare, nell’ambito del controllo di legittimità delle ammende inflitte dalla decisione impugnata, se la Commissione abbia esercitato il suo potere discrezionale secondo il metodo esposto negli orientamenti e, qualora dovesse constatare che essa se ne è discostata, verificare se tale scostamento sia giustificato e motivato adeguatamente. Al riguardo, occorre rilevare che la Corte ha confermato la validità, da un lato, del principio stesso degli orientamenti e dall’altro, del metodo ivi indicato (sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punti 252‑255, 266, 267, 312 e 313).

35      L’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione derivante dall’adozione degli orientamenti, infatti, non è incompatibile con il mantenimento di un potere discrezionale sostanziale da parte della Commissione. Gli orientamenti contengono vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il suo potere discrezionale conformemente alle disposizioni del regolamento n. 17, quali interpretate dalla Corte (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 34 supra, punto 267).

36      Di conseguenza, nei settori in cui la Commissione ha conservato un potere discrezionale, per esempio in ordine alla percentuale di maggiorazione a causa della durata, il controllo di legittimità operato su tali valutazioni si limita a quello dell’assenza di errore manifesto nella valutazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 18 luglio 2005, causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione, Racc. pag. II‑2917, punti 64 e 79).

37      Il potere discrezionale della Commissione ed i limiti che essa vi ha apportato, in linea di principio, non pregiudicano peraltro l’esercizio, da parte del giudice comunitario, della sua competenza anche di merito (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑2501, punto 538), che lo abilita a sopprimere, a ridurre o ad aumentare l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza della Corte 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. I‑1331, punti 60‑62; sentenza del Tribunale 21 ottobre 2003, causa T‑368/00, General Motors Nederland e Opel Nederland/Commissione, Racc. pag. II‑4491, punto 181)».

 Sintesi degli argomenti

 Impugnazione della KME

43.      La KME addebita al Tribunale di non avere svolto un esame approfondito e dettagliato degli argomenti da essa dedotti in primo grado, nonché la sua «eccessiva deferenza» alla discrezionalità della Commissione, che esso avrebbe dimostrato confermando un’ammenda sproporzionata. Tali carenze, secondo la KME, lederebbero il diritto fondamentale ad un controllo giurisdizionale completo, effettivo ed equo della decisione controversa da parte di un giudice imparziale ed indipendente.

44.      Il diritto della concorrenza dell’Unione è caratterizzato dall’interazione tra la Commissione, in veste di inquirente, accusatore e organo decisorio, e il giudice, che fornisce un certo controllo esterno. Tuttavia, la giurisprudenza non ha mai chiarito il significato, la portata e la ratio precisi del margine di discrezionalità riconosciuto alla Commissione, tenuto conto dell’equilibrio istituzionale tra i due organismi.

45.      Le condizioni di tale interazione sono state influenzate dall’evoluzione del ruolo della Commissione nell’attuazione della politica della concorrenza a partire dall’adozione del regolamento n. 17. Nel 1962 la CEE era composta da sei Stati membri e vi era scarsa esperienza o accettazione del diritto europeo della concorrenza. Le notifiche costituivano un’utile fonte di informazione che consentiva alla Commissione di esercitare un controllo a priori e di elaborare la propria politica di attuazione; il suo ruolo consisteva principalmente nell’istruire e nel garantire la certezza del diritto emanando decisioni formali di esenzione, di archiviazione o di attestazione negativa. Benché la Commissione esercitasse già congiuntamente poteri di indagine, di promozione del procedimento e decisori, le indagini e i procedimenti sanzionatori erano relativamente infrequenti e le ammende generalmente lievi. In tale contesto era ragionevole, logico ed equo che la Corte di giustizia dichiarasse nella sentenza Consten e Grundig (17) che, poiché l’esercizio dei poteri della Commissione implicava necessariamente complesse valutazioni di questioni economiche, il controllo giurisdizionale di dette valutazioni doveva tener conto di tale natura limitandosi all’esame della rilevanza dei dati di fatto e delle conseguenze giuridiche che la Commissione ne aveva tratto. Inoltre, l’autolimitazione della Commissione rendeva meno cruciale la questione della definizione di limiti chiari all’esercizio dei suoi poteri in materia di ammende.

46.      Tuttavia, sarebbe arbitrario, pericoloso ed ingiusto applicare la stessa «deferenza giudiziaria» alla discrezionalità della Commissione nel contesto dell’attuale regime di attuazione del diritto della concorrenza dell’Unione europea, caratterizzato da ammende sempre più elevate, che hanno inevitabilmente un impatto economico e finanziario sulle imprese, sugli azionisti e sui lavoratori, e conducono di fatto a una «trasformazione in senso penale» del diritto della concorrenza. Le norme sulla concorrenza dell’Unione sono disposizioni direttamente applicabili che non lasciano spazio alla discrezionalità politica nella loro interpretazione ed applicazione, sicché sarebbe consentito solo un grado molto limitato di deferenza da parte dei giudici nel controllo dell’applicazione di tali regole da parte della Commissione in un caso specifico.

47.      Nell’attuale regime introdotto dal regolamento n. 1/2003, l’art. 101 TFUE viene applicato nella sua interezza non solo dalla Commissione, ma anche dalle autorità per la concorrenza e dai giudici nazionali. Non è mai stato sostenuto che un giudice nazionale che applica l’art. 101 TFUE in singoli casi disponga di un ampio potere discrezionale, cui i giudici superiori debbano deferenza in fase di impugnazione.

48.      La competenza della Commissione nel valutare complesse situazioni di fatto e/o economiche non può giustificare il riconoscimento alla stessa di un ampio potere discrezionale nell’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione. Anzi, un controllo approfondito in casi complessi rientra nelle funzioni del Tribunale, che sono state definite in reazione alle critiche secondo cui l’intensità del controllo giurisdizionale esercitato all’epoca non era più conforme ai requisiti posti da un regime legale che aveva iniziato ad intaccare significativamente i diritti individuali attraverso un’attuazione rigorosa delle norme sulla concorrenza. Inoltre, sia il Tribunale che la Corte hanno spesso effettuato, con risultati soddisfacenti, un controllo giurisdizionale particolarmente intenso di casi complessi. L’intensità del controllo del Tribunale non diminuisce in funzione della complessità dei fatti in discussione, ma dipende dalla sua valutazione in ordine al tipo di esame necessario ed appropriato nelle circostanze di ciascun caso.

49.      Inoltre, il Tribunale dispone di una competenza anche di merito riguardo alle sanzioni comminate in materia di concorrenza. Nell’esercizio di tale competenza esso non dovrebbe riconoscere alla Commissione un potere discrezionale per quanto concerne l’adeguatezza e la proporzionalità di un’ammenda o del metodo utilizzato per calcolarla – a maggior ragione se si considera la natura penale di fatto di tali ammende e l’esigenza scaturente dalla CEDU di un controllo giurisdizionale effettivo su qualsiasi decisione amministrativa con cui venga irrogata una sanzione di natura penale. Pertanto, il Tribunale è tenuto ad esaminare il modo in cui la Commissione ha valutato la gravità e la durata del comportamento illecito in ogni singolo caso e può imporre la propria valutazione annullando, riducendo o aumentando l’ammenda. Il pieno esercizio di tale competenza anche di merito comporta il controllo non solo della legittimità formale dell’ammenda, ma anche della sua adeguatezza, attraverso una valutazione autonoma della gravità del comportamento da sanzionare e dell’equità complessiva della sanzione alla luce di tutte le circostanze specifiche di ciascun caso.

50.      La portata del potere discrezionale della Commissione (ammesso che esista) in casi come quello in esame andrebbe definita restrittivamente e il grado di deferenza (ammesso che esista) dell’organo giurisdizionale a detto potere discrezionale dovrebbe essere limitato in misura corrispondente. La natura tecnica di un caso non dovrebbe indurre il giudice a rinunciare al proprio dovere di garantire il rispetto della legge.

51.      Altra questione è se il controllo previsto dal sistema giudiziario dell’Unione sia sufficientemente ampio ed intenso da assicurare il grado di tutela richiesto dall’art. 6, n. 1, della CEDU. Il dibattito su tale questione si è intensificato con riguardo non solo al cumulo di poteri di indagine, di promozione del procedimento e decisionali in capo alla Commissione, ma anche alla progressiva «trasformazione in senso penale» delle norme sulla concorrenza dell’Unione. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto da tempo che l’attuazione del diritto amministrativo, compresa l’irrogazione di ammende, non è incompatibile con l’art. 6, n. 1, della CEDU. Tuttavia, sebbene per soddisfare le esigenze poste da detta disposizione non occorra che tale attuazione sia pienamente «giurisdizionalizzata», devono esistere garanzie procedurali sufficientemente forti ed un controllo giurisdizionale effettivo con piena competenza a sindacare le decisioni amministrative. Le esigenze che un sistema di controllo giurisdizionale deve soddisfare per essere conforme all’art. 6, n. 1, della CEDU non sono ancora state del tutto chiarite, ma è dubbio se l’attuale sistema di attuazione delle norme sulla concorrenza dell’Unione, compreso il controllo giurisdizionale, soddisfi tali esigenze.

52.      Il diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice è sancito anche dall’art. 47 della Carta. La giurisprudenza conferma che i destinatari di decisioni con le quali la Commissione commina ammende nei procedimenti in materia di concorrenza hanno diritto ad un processo equo, e che il loro diritto ad un giudice imparziale sarebbe violato qualora non fosse possibile ricorrere dinanzi ad un giudice dotato di pieni poteri giurisdizionali ai sensi della CEDU.

 Risposta della Commissione

53.      La Commissione sostiene, in primo luogo, che il motivo di impugnazione è troppo generico ed impreciso per essere valutato dalla Corte [sicché esso non soddisferebbe i requisiti di cui all’art. 112, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura], ed è quindi irricevibile; in secondo luogo, la sentenza del Tribunale sarebbe basata su valutazioni proprie e il motivo di impugnazione sarebbe quindi infondato.

54.      Per quanto riguarda la mancanza di precisione, la KME deduce una serie di argomenti a favore di un controllo approfondito delle decisioni della Commissione da parte del Tribunale, ma ammette che un sistema di attuazione del diritto amministrativo abbinato al controllo con pieni poteri giurisdizionali è compatibile con l’art. 6, n. 1, della CEDU. Essa ammette inoltre che il Tribunale e la Corte, in linea di principio, sono in grado di esercitare un controllo adeguato e lo hanno effettivamente esercitato. La KME, pertanto, non contesta la struttura fondamentale del controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione.

55.      Pertanto, la KME avrebbe dovuto a) specificare le parti della sentenza in cui il Tribunale non avrebbe esaminato adeguatamente i suoi argomenti, b) specificare il criterio secondo cui dovrebbe essere esaminata la qualità del controllo di detto giudice e c) dimostrare perché, secondo tale criterio, il Tribunale non avrebbe esaminato adeguatamente i suoi argomenti. Essa ha invece citato quattro passaggi della sentenza che fanno riferimento alla discrezionalità della Commissione, senza spiegare perché dimostrerebbero che il Tribunale non ha controllato adeguatamente la decisione della Commissione alla luce degli argomenti della KME.

56.      Infatti, non è chiaro quale sia il criterio in base al quale andrebbe valutato il controllo svolto dal Tribunale conformemente all’art. 6, n. 1, della CEDU, neppure qualora si accolga la tesi della KME secondo cui le ammende previste dal diritto della concorrenza dell’Unione hanno natura «penalistica». La KME evita il dibattito sulle possibili implicazioni di tale affermazione per quanto riguarda l’adeguatezza della modalità di controllo.

57.      La Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito che le esigenze dell’art. 6, n. 1, della CEDU variano anche all’interno dalla categoria generale delle «accuse di natura penalistica». Poiché il diritto dell’Unione considera espressamente le ammende previste dal diritto della concorrenza come sanzioni che non hanno natura penalistica, esse esulano dal «nocciolo duro» del diritto penale individuato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e le garanzie attinenti ai procedimenti penali non sono necessariamente applicabili con il massimo rigore.

58.      In ogni caso, il Tribunale dispone chiaramente di «pieni poteri giurisdizionali» ai sensi dell’art. 6, n. 1, della CEDU (da non confondere con la nozione di diritto dell’Unione della competenza anche di merito a sindacare le sanzioni economiche). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato inadeguato un ricorso giurisdizionale contro atti amministrativi limitato al controllo degli errori di diritto e che non consente quindi al giudice di correggere gli errori di fatto. Tuttavia, sebbene possa rendersi necessario per il giudice verificare anche la proporzionalità, un controllo limitato a taluni aspetti non è incompatibile, di per sé, con la nozione di «pieni poteri giurisdizionali» ai sensi dell’art. 6, n. 1, della CEDU.

59.      Per quanto riguarda la seconda affermazione, secondo cui la sentenza del Tribunale è basata su constatazioni proprie, la Commissione sostiene che, nonostante i riferimenti alla sua discrezionalità, il Tribunale abbia effettuato un controllo approfondito ed effettivo del calcolo dell’ammenda e sia pervenuto alle proprie conclusioni secondo cui il secondo, il terzo e il quarto motivo della KME erano infondati (18). A tal riguardo, il Tribunale ha esaminato gli argomenti della KME nel merito e ne ha dichiarato l’infondatezza, concordando effettivamente con la Commissione, e non per «deferenza alla sua discrezionalità». Qualunque sia la modalità di controllo richiesta dall’art. 6, n. 1, della CEDU, il Tribunale l’ha rispettata.

 Valutazione

60.      La KME afferma sostanzialmente che il Tribunale, riconoscendo che varie valutazioni operate dalla Commissione nella determinazione delle ammende rientravano nella sua discrezionalità e omettendo quindi di effettuare la propria valutazione al riguardo, non ha sottoposto la decisione controversa al controllo richiesto dalla CEDU e dalla Carta.

61.      Occorre dunque stabilire quale sia il controllo prescritto da tali strumenti, e le indicazioni più pertinenti sono riscontrabili nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

62.      La KME sostiene che i procedimenti per l’applicazione del diritto della concorrenza come quello in esame, in cui si constata che un’impresa ha tenuto un comportamento vietato e si commina un’ammenda per tale comportamento, hanno chiaramente natura penalistica ai sensi della CEDU. La Commissione rileva che le decisioni come quella controversa sono espressamente qualificate come decisioni che non hanno «natura penalistica» ma ammette che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ciò non costituisce un criterio decisivo; quand’anche dovessero essere considerate di natura penalistica ai sensi di tale giurisprudenza, esse esulerebbero comunque dal «nocciolo duro» del diritto penale individuato da detta Corte. La questione è rilevante, in quanto la Corte europea dei diritti dell’uomo ha richiesto per i procedimenti penali garanzie procedurali più stringenti e livelli di controllo più elevati di quelli previsti per i procedimenti civili e, nell’ambito del diritto penale, per il «nocciolo duro» più che per altri procedimenti.

63.      Per stabilire se un procedimento avente ad oggetto un comportamento illecito debba essere considerato «di natura penalistica» o meno, la Corte europea dei diritti dell’uomo tiene conto dei tre «criteri Engel», così denominati con riferimento alla sentenza in cui sono stati enunciati per la prima volta (19). In primo luogo, vi è la classificazione formale nell’ordinamento giuridico di cui trattasi, che tuttavia viene espressamente considerata «soltanto un punto di partenza». Nella sentenza Engel, così come in pronunce successive, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha attribuito notevolmente maggiore importanza – fino al punto di ignorare la classificazione di diritto nazionale – al secondo e al terzo criterio, vale a dire la natura dell’illecito e il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere. A tal riguardo, essa ha considerato rilevante la questione se la sanzione venga comminata in base ad una norma generale rivolta a tutti i cittadini anziché ad un gruppo caratterizzato da uno status specifico e se essa sia essenzialmente intesa come una punizione volta a scoraggiare la reiterazione del comportamento illecito anziché come una compensazione pecuniaria per i danni (20).

64.      Alla luce di tali criteri, non ho grandi difficoltà a concludere che il procedimento con cui viene irrogata un’ammenda per violazione del divieto di accordi per la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei mercati di cui all’art. 81, n. 1, CE rientra nella «parte penale» dell’art. 6 della CEDU, quale progressivamente definita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (21). Il divieto e la possibilità di irrogare un’ammenda sono previsti dalla legislazione primaria e derivata di applicazione generale; il fatto illecito implica un comportamento che viene generalmente considerato sleale e dannoso per il pubblico, un elemento che esso condivide con i reati in generale e che implica uno stigma evidente (22); un’ammenda fino al (23) 10% del fatturato annuo è indubbiamente grave e può persino costringere l’impresa a cessare la sua attività, e l’intento dichiarato è punire e dissuadere (24), senza alcun connotato risarcitorio.

65.      È vero che, come osservato dalla Commissione, nella sentenza Neste (25) la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che taluni aspetti dell’attuazione del diritto russo della concorrenza esulino dall’ambito penale. Mi sembra, tuttavia, che gli elementi di cui essa ha tenuto conto siano molto diversi da quelli di cui ci occupiamo in questa sede. È stato sottolineato che le pertinenti norme antimonopolistiche si applicavano solo ai rapporti che influivano sulla concorrenza nei mercati dei prodotti primari e avevano quindi una portata limitata, che esse erano intese a tutelare e ripristinare la concorrenza, e che le misure che potevano essere imposte non erano «sanzioni in quanto tali», ma ingiunzioni, accompagnate dalla confisca dei proventi illeciti intesa come strumento per garantire una compensazione pecuniaria, più che come una punizione volta a scoraggiare la reiterazione del comportamento illecito.

66.      Certamente, nella stessa decisione la Corte europea dei diritti dell’uomo ha anche sottolineato che alcuni tipi di comportamento monopolistico possono essere autorizzati ove sia dimostrato che perseguono un interesse comune (possibilità riconosciuta dall’art. 81, n. 3, CE, quanto meno in teoria, anche per gli accordi relativi alla fissazione dei prezzi e alla ripartizione dei mercati), mentre i comportamenti che integrano veri e propri reati, di regola, non sono soggetti a tale giustificazione utilitaristica, e la libera concorrenza sul mercato è un valore relativo, situazionale, le cui lesioni non sono di per sé stesse intrinsecamente illecite. Per quanto riguarda la prima di tali considerazioni, tuttavia, rilevo – con il dovuto rispetto per la Corte europea dei diritti dell’uomo – che non è difficile individuare comportamenti di innegabile rilevanza penale che tuttavia possono essere autorizzati in determinate circostanze. Il possesso di armi da fuoco può integrare un reato in generale, ma essere autorizzato in determinate situazioni per la tutela del pubblico; la vendita di talune droghe può configurare un reato in generale, ma essere autorizzata per determinate finalità mediche, e così via. E, per quanto riguarda la seconda considerazione, la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei mercati hanno ripercussioni sui consumatori, e quindi sul pubblico, che vanno al di là della «lesione della libertà di concorrenza» subita dalle imprese.

67.      Sebbene il procedimento sanzionatorio di cui è causa rientri quindi in ambito penale ai sensi della CEDU (e della Carta), concordo comunque sul fatto che, per usare i termini della sentenza Jussila (26), poiché esso «non f[a] parte del nocciolo duro del diritto penale, le garanzie offerte dal profilo penale (…) non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore». Ciò implica, in particolare, che possa essere compatibile con l’art. 6, n. 1, della CEDU il fatto che le sanzioni penali vengano comminate, in prima istanza, non da un «tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge», bensì da un organo amministrativo o non giurisdizionale che di per sé non soddisfa i requisiti posti dalla citata disposizione, purché la decisione di tale organo sia soggetta al successivo controllo di un organo dotato di pieni poteri giurisdizionali e rispondente ai suddetti requisiti (27). In altre parole, deve risultare chiaramente che le modalità di ricorso disponibili rendono possibile ovviare a qualsiasi carenza del procedimento di prima istanza (28).

68.      Sono state sollevate molte critiche contro il triplice ruolo della Commissione di inquirente, accusatore e organo decisorio nei procedimenti di applicazione del diritto della concorrenza e la KME ha citato alcune di tali critiche nella sua impugnazione (29). Tuttavia, per quanto possano esservi ragioni cogenti per ritenere che la Commissione non costituisca, sotto questo profilo, un «tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge», mi sembra che tali considerazioni siano, in realtà, estranee alla presente impugnazione. Infatti, l’argomento della KME non si basa sull’inadeguatezza del procedimento dinanzi alla Commissione, bensì su quello che essa considera un’inadeguatezza del controllo del Tribunale sull’esito di tale procedimento. Nel contesto della presente impugnazione è assodato che la Commissione è un organo amministrativo e non può separare del tutto le tre funzioni che esercita nel procedimento (30). La questione è se il Tribunale abbia esercitato «pieni poteri giurisdizionali» ai sensi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (31).

69.      Secondo la descrizione datane da detta Corte, i «pieni poteri giurisdizionali» implicano il «potere di annullare sotto tutti gli aspetti, su punti di fatto e di diritto, la decisione dell’organo inferiore». L’organo giurisdizionale incaricato del controllo «deve essere competente in particolare ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti della controversia di cui è investito» (32). La stessa Corte ha inoltre dichiarato che, per stabilire se un giudice di secondo grado disponga di «pieni poteri giurisdizionali», o garantisca un «controllo sufficiente» per rimediare ad una carenza di autonomia in primo grado, occorre tenere conto di elementi quali «l’oggetto della decisione impugnata, il modo in cui è maturata tale decisione e l’oggetto della controversia, compresi i motivi di impugnazione attuali e potenziali» (33).

70.      Mi sembra che non possano esservi molti dubbi sul fatto che la «competenza anche di merito» conferita al Tribunale dall’art. 229 CE e dall’art. 17 del regolamento n. 17 soddisfi tali presupposti per quanto riguarda i ricorsi aventi ad oggetto l’importo dell’ammenda inflitta, anche se si tratta, come rileva la Commissione, di una nozione diversa dal criterio dei «pieni poteri giurisdizionali» adottato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che va inteso nel senso che include anche i ricorsi contro, ad esempio, l’effettiva constatazione di un’infrazione (in merito alla quale il Tribunale può valutare, e di fatto valuta – ancorché entro certi limiti –, se essa sia alla base della causa di cui è investito). Nella specie, tuttavia, si tratta solo di un ricorso avente ad oggetto l’ammontare di un’ammenda, e non ritengo di dover estendere oltre la mia analisi. Tutto ciò premesso, la competenza anche di merito ad annullare, ridurre o aumentare l’ammenda, senza limiti quanto ai motivi (di fatto o di diritto) per i quali tale competenza può essere esercitata, deve necessariamente fornire, a mio avviso, la garanzia richiesta dall’art. 6 della CEDU, quanto meno in teoria.

71.      Può tuttavia sorgere la questione se, in una determinata fattispecie, il Tribunale abbia effettivamente esercitato tale competenza nel modo corretto, e si tratta precisamente della questione sollevata dalla KME nel caso in esame.

72.      È una questione legittima, ma la sua analisi, secondo me, presuppone una serie di distinguo, di carattere sia generale che individuale, e il modo in cui è stata sollevata va esaminato alla luce di alcune critiche della Commissione.

73.      In primo luogo, ritengo che rivesta la massima importanza il modo in cui il Tribunale ha svolto effettivamente il proprio controllo, mentre il modo in cui l’ha descritto è meno rilevante. Così, dai riferimenti al grado di discrezionalità, scelta o libertà di cui dispone la Commissione non si deve necessariamente dedurre che il Tribunale non abbia adempiuto il suo dovere di valutare, in risposta agli argomenti della KME, il modo in cui è stata fissata l’ammenda. Né, viceversa, si può desumere dall’uso dell’espressione «nell’esercizio dei suoi pieni poteri giurisdizionali» che il Tribunale abbia esercitato correttamente il suo potere di valutazione. Ogni caso deve essere esaminato sulla base del suo contenuto reale.

74.      Da quanto precede discende che, a prescindere dalla portata della competenza del Tribunale, il procedimento dinanzi ad esso si svolge in contraddittorio. Né l’art. 6 della CEDU né la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiedono che un «tribunale indipendente e imparziale» svolga indagini, di propria iniziativa, su questioni che non sono state sollevate dinanzi ad esso. Ovviamente, la giurisprudenza di detta Corte presuppone che siano state sollevate in tal modo determinate questioni di ordine pubblico (relative essenzialmente alle garanzie procedurali), ma, sotto altri aspetti, l’esercizio da parte del Tribunale della sua competenza anche di merito deve essere valutato a fronte del contenuto degli argomenti sui quali gli è stato chiesto di pronunciarsi.

75.      Tuttavia, rilevo che il Tribunale ha chiesto alla Commissione di produrre una serie di documenti del suo fascicolo amministrativo e che quest’ultima ha prodotto oltre 500 pagine di risposta. Ciò è indice quanto meno di una completezza del controllo tale da soddisfare i requisiti della CEDU e della Carta. Rimane però ancora da verificare, sulla base della sentenza stessa, se tale controllo sia stato del tipo richiesto. In altre parole, con esso si è solo verificato che la Commissione non avesse oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale, o si è anche esaminata (ove richiesto dalla KME) la valutazione operata entro tali limiti?

76.      Passo ora ad esaminare due critiche specifiche mosse dalla Commissione agli argomenti addotti dalla KME.

77.      Una questione formale sollevata dalla Commissione solo in udienza riguarda il fatto che il ricorso in primo grado della KME era stato espressamente proposto in forza dell’art. 230 CE, e non dell’art. 229 CE. Ciò sembrava quindi indicare che la KME non chiedesse al Tribunale neppure di esercitare la sua competenza anche di merito e, pertanto, essa non si trovava in una posizione tale da poterne criticare l’asserita inerzia.

78.      Questo, di per sé, non mi pare un indizio significativo. Il riferimento all’art. 230 CE è contenuto unicamente nel titolo del ricorso. Il semplice fatto che la KME chiedesse una riduzione della sua ammenda è sufficiente a chiarire che essa chiedeva al Tribunale di esercitare la competenza anche di merito di cui dispone in ordine alle sanzioni, più che un mero controllo di legittimità. Siffatto controllo, se favorevole alla ricorrente, avrebbe potuto condurre unicamente all’annullamento dell’ammenda, lasciando alla Commissione il compito di comminare una nuova ammenda conformemente alla motivazione della sentenza. In tutto il ricorso si insiste tuttavia su una riduzione dell’ammenda, che il Tribunale può disporre solo sul fondamento dell’art. 229 CE e dell’art. 17 del regolamento n. 17.

79.      D’altro canto, si deve ricordare che la KME non ha specificamente chiesto al Tribunale di calcolare nuovamente l’ammenda, ma semmai di adeguarne l’importo alla luce degli asseriti vizi della decisione controversa.

80.      La seconda critica della Commissione sembra più seria. Essa rileva, sostanzialmente, che, per quanto la KME possa avere chiesto in generale al Tribunale di esercitare assiduamente la propria competenza anche di merito in casi come quello in esame, essa non ha indicato le modalità esatte del controllo che avrebbe dovuto essere esercitato, né un passaggio della sentenza impugnata in cui tali modalità non siano state osservate.

81.      Sul punto concordo con quanto affermato dalla Commissione. Il quinto motivo di impugnazione della KME viene presentato più come una critica generale all’intero sistema di attuazione del diritto della concorrenza dell’Unione e del ruolo svolto dal Tribunale in tale sistema che come un’indicazione di specifiche omissioni, nella sentenza impugnata, da parte del Tribunale stesso. Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, l’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza impugnata e gli argomenti di diritto specificamente dedotti (34).

82.      Di regola, la constatazione di tale carenza in un motivo di impugnazione condurrebbe ad una semplice dichiarazione di irricevibilità. Mi sembra, tuttavia, che tale approccio potrebbe non risultare del tutto appropriato nel caso di specie. È vero che il quinto motivo della KME, in quanto motivo autonomo, non fornisce alla Corte indicazioni sufficientemente precise per stabilire se e in quale misura il Tribunale possa avere specificamente omesso di effettuare un controllo adeguato. Tuttavia, si tratta di un argomento che può fornire un ulteriore criterio in base al quale valutare i rimanenti motivi di impugnazione – come peraltro ha fatto la Commissione nella sua risposta, esaminandolo nel contesto del secondo, del terzo e del quarto motivo di impugnazione.

83.      Pertanto, propongo di respingere il quinto motivo di impugnazione in quanto motivo separato, ma di tenere a mente gli argomenti dedotti ai fini dell’esame dei primi quattro motivi di impugnazione. In tale contesto mi limiterò tuttavia – come già indicato supra – ad analizzare il modo in cui il Tribunale ha effettivamente esaminato i motivi dedotti dinanzi ad esso, poiché i termini che ha utilizzato per descrivere tale esame costituiscono a tale riguardo soltanto un indizio.

 Sul primo motivo di impugnazione: l’impatto concreto sul mercato

 Passaggi pertinenti della sentenza impugnata

84.      Nella sua analisi del primo motivo di ricorso della KME (mancata presa in considerazione dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato), il Tribunale ha prima ammesso come prove tre studi econometrici prodotti dalla KME e ha poi rilevato quanto segue:

«60      (…) le ricorrenti contestano tanto la valutazione, da parte della Commissione, della gravità dell’infrazione (v. punti 12 e 13 supra) quanto il trattamento differenziato effettuato da quest’ultima in base alle quote di mercato delle imprese di cui trattasi (v. punto 16 supra).

61      Per quanto concerne, anzitutto, il trattamento differenziato delle imprese di cui trattasi, la motivazione fornita dalla Commissione nella decisione impugnata, a tal riguardo, menziona segnatamente la preoccupazione di tener conto del “peso specifico e quindi dell’impatto concreto sulla concorrenza dei comportamenti illegittimi di ciascuna impresa” (punto 322 della decisione impugnata). Tuttavia, va sottolineato che, pur in assenza di prova di un’incidenza concreta dell’infrazione sul mercato, la Commissione è legittimata a procedere ad un trattamento differenziato in funzione delle quote detenute sul mercato rilevante, come quello descritto ai punti 326‑329 della decisione impugnata.

62      Infatti, dalla giurisprudenza emerge che la quota di mercato di ciascuna delle imprese coinvolte sul mercato oggetto di una prassi restrittiva costituisce un elemento oggettivo che rispecchia la responsabilità di ciascuna per quanto riguarda la nocività potenziale di detta prassi sul gioco normale della concorrenza (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 197).

63      Del pari, per quanto riguarda la valutazione della gravità dell’infrazione, va altresì rilevato che anche se la Commissione non avesse provato che l’intesa aveva prodotto un impatto concreto sul mercato, ciò non avrebbe influito sulla qualificazione dell’infrazione come “molto grave” e dunque sull’importo dell’ammenda.

64      A tal riguardo, va constatato che dal sistema comunitario delle sanzioni per violazione delle norme sulla concorrenza, quale delineato dal regolamento n. 17 ed interpretato dalla giurisprudenza, emerge che le intese meritano, a causa della loro natura, le ammende più severe. Il loro eventuale impatto concreto sul mercato, segnatamente la questione della misura in cui la restrizione della concorrenza abbia determinato un prezzo di mercato superiore a quello che sarebbe stato praticato nell’ipotesi di assenza del cartello, non costituisce un criterio decisivo per la determinazione del livello delle ammende (v., in tal senso, sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 120 e 129; 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33; 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I‑9925, punti 68‑77, e 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑829, punti 129 e 130; sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. al punto 62 supra, punto 225; v., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑283/98 P, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. I‑9855, in particolare pag. I‑9858, paragrafi 95‑101).

65      Si deve aggiungere che dagli orientamenti emerge come gli accordi o le pratiche concordate che, come nel caso di specie, sono diretti in particolare a determinare i prezzi e a ripartire la clientela possano, solo per la loro stessa natura, essere qualificati come “molto gravi” senza che occorra circostanziare tali comportamenti in funzione di un’incidenza o di un’estensione geografica particolari. Tale conclusione è corroborata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni “gravi” sono espressamente menzionati l’impatto sul mercato e gli effetti su zone estese del mercato comune, in quella delle infrazioni “molto gravi”, per contro, non si menziona alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 150).

66      Ad abundantiam, il Tribunale ritiene che la Commissione abbia dimostrato sufficientemente l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante.

67      In tale contesto, va sottolineato che è stata respinta dalla giurisprudenza la premessa delle ricorrenti secondo cui la Commissione, nell’ipotesi in cui facesse valere l’impatto concreto dell’intesa per fissare l’importo dell’ammenda, sarebbe tenuta a dimostrare in modo scientifico l’esistenza di un effetto economico tangibile sul mercato nonché un nesso di causa ed effetto tra l’impatto e l’infrazione.

68      Infatti, il Tribunale ha statuito più volte che l’impatto concreto di un’intesa sul mercato deve essere considerato come sufficientemente dimostrato se la Commissione è in condizione di fornire indizi concreti e credibili che indichino, con una probabilità ragionevole, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato (v., in particolare, sentenze del Tribunale Scandinavian Airlines System/Commissione, cit. al punto 36 supra, punto 122; 27 settembre 2006, causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3627, punti 159‑161; causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 153‑155; causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3255, punti 176‑178; causa T‑322/01, Roquette Frères/Commissione, Racc. pag. II‑3137, punti 73‑75).

69      Al riguardo, va osservato che le ricorrenti non hanno contestato i fatti materiali, esposti al punto 13 supra, sui quali la Commissione si è fondata per concludere per l’esistenza di un impatto concreto dell’intesa sul mercato, ossia il fatto che i prezzi sono scesi in periodi di scarso rispetto dell’accordo collusivo e aumentati fortemente durante altri periodi, l’attuazione di un sistema di scambio di dati riguardanti i volumi delle vendite e i livelli di prezzo, la cospicua quota di mercato detenuta dall’insieme dei membri dell’intesa e il fatto che le rispettive quote di mercato dei partecipanti all’intesa sono rimaste relativamente stabili per tutta la durata dell’infrazione. Le ricorrenti hanno unicamente dedotto che detti fatti non potevano dimostrare che l’infrazione di cui trattasi avesse avuto un impatto concreto sul mercato.

70      Orbene, dalla giurisprudenza emerge che è legittimo che la Commissione desuma, sulla base degli indizi citati al punto precedente, che l’infrazione ha avuto un impatto concreto sul mercato (v., in tal senso, sentenze Jungbunzlauer/Commissione, cit. al punto 68 supra, punto 159; Roquette Frères/Commissione, cit. al punto 68 supra, punto 78; 27 settembre 2006, causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 68 supra, punto 165; causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, cit. al punto 68 supra, punto 181; sentenza del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punti 285‑287).

71      Per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo cui il fascicolo contiene esempi di inosservanza degli accordi collusivi, occorre rilevare che il fatto che gli accordi non siano stati sempre rispettati dai membri dell’intesa non è sufficiente per escludere un impatto sul mercato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 65 supra, punto 148).

72      Non possono essere accolti neppure gli argomenti che le ricorrenti hanno tratto dal proprio comportamento. Infatti, il comportamento effettivo che un’impresa asserisce di aver adottato è privo di rilevanza ai fini della valutazione dell’impatto di un’intesa sul mercato, poiché devono essere presi in considerazione soltanto gli effetti risultanti dall’infrazione nel suo insieme (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 167). Del pari, non può essere rimproverato alla Commissione di aver constatato, al punto 303 della decisione impugnata, che la relazione iniziale non permetteva di confutare le sue conclusioni riguardanti gli effetti reali dell’infrazione sul mercato. Infatti, l’analisi econometrica ivi contenuta tratta soltanto di dati in cifre relativi alle ricorrenti.

73      Di conseguenza, tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il presente motivo come infondato.

74      Inoltre, il Tribunale ritiene, nell’ambito della sua competenza anche di merito e alla luce delle considerazioni che precedono, che non occorra rimettere in questione la valutazione dell’importo iniziale dell’ammenda fissato in funzione della gravità, quale effettuata dalla Commissione».

 Sintesi degli argomenti

 Impugnazione della KME

85.      La KME contesta la conclusione del Tribunale secondo cui la Commissione aveva dimostrato sufficientemente l’impatto concreto dell’intesa sul mercato e poteva tenere conto di tale impatto per determinare l’importo di partenza dell’ammenda. Gli orientamenti imponevano alla Commissione di tenere conto di tre elementi, compreso l’«impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile». Conseguentemente, essa poteva tenere conto di tale impatto concreto solo se, e nella misura in cui, era in grado di dimostrarlo e quantificarlo. Non avrebbe potuto fare ricorso – dietro lo scudo della «probabilità ragionevole» stabilita dalla sentenza Roquette Frères (35) – a presunzioni che le consentissero di prendere in considerazione l’impatto sul mercato anche qualora non fosse in grado di dimostrarne l’esistenza o l’entità conformemente agli orientamenti. Consentire il ricorso a siffatte presunzioni escluderebbe qualsiasi possibilità di distinguere tra le infrazioni in funzione dell’impatto sul mercato. La giurisprudenza richiamata ai punti 68 e 70 della sentenza impugnata sarebbe semplicemente sbagliata.

86.      Inoltre, se un partecipante a un’intesa fornisce la prova econometrica che l’intesa nel suo complesso non ha avuto alcun impatto sui prezzi di mercato, e gli altri partecipanti fanno affermazioni analoghe, la Commissione non dovrebbe poter ignorare tale prova e dichiarare che l’infrazione ha avuto tale impatto – né tenere conto di questo elemento per determinare l’importo di partenza di un’ammenda conformemente agli orientamenti – solo sulla base di prove indirette come quelle esaminate al punto 69 della sentenza impugnata. In tale contesto la Commissione dovrebbe produrre la prova diretta che l’intesa ha effettivamente avuto un impatto sul mercato.

87.      La prova econometrica prodotta dalla KME si basava su dati completi tratti da tutte le sue fatture e informazioni sui clienti di oltre un decennio, dai quali emergeva che i) l’intesa non aveva avuto alcun impatto statisticamente significativo sui prezzi praticati dalla KME e che ii) tale analisi valeva per l’intesa nel suo complesso. La mancanza di impatto era confermata da elementi di prova contenuti nel fascicolo relativi all’inosservanza dell’intesa da parte di vari partecipanti. Infine, la mancanza di qualsiasi pregiudizio agli utilizzatori finali era confermato dal fatto che i tubi in questione rappresentavano solo circa il 2% del prezzo al dettaglio dei prodotti finali di cui facevano parte.

88.      Dal punto di vista giuridico, la Commissione avrebbe dovuto produrre una controprova diretta, basata su un elemento economico oggettivo attinente al mercato rilevante e al contesto economico, che dimostrasse l’esistenza dell’asserito impatto sul mercato; essa non avrebbe potuto constatare che l’intesa aveva avuto un impatto sul mercato unicamente sulla base delle prove indirette invocate nella decisione contestata.

89.      La sentenza impugnata sarebbe inoltre viziata da una motivazione illogica e inadeguata. Il Tribunale, per valutare la fondatezza dell’argomento della KME secondo cui la prova econometrica da essa prodotta dimostrava l’assenza di qualsiasi impatto sul mercato, i) ha fatto riferimento solo alla relazione iniziale, secondo cui l’intesa non aveva avuto alcun impatto sui prezzi della KME, e pertanto ii) non avrebbe tenuto conto delle due relazioni successive, secondo cui l’intesa nel suo complesso non aveva avuto alcun impatto sul mercato, e iii) in definitiva ha respinto l’argomento della KME in ragione del fatto che la prova econometrica non dimostrava che l’intesa nel suo complesso non avesse avuto alcun impatto sul mercato. In altre parole, il Tribunale, pur ammettendo le prove da cui risultava la mancanza di impatto sul mercato, avrebbe respinto la tesi della KME in quanto essa non aveva prodotto tale prova, e avrebbe così snaturato manifestamente i fatti e le prove dedotti dinanzi ad esso.

90.      Pertanto, omettendo di riconoscere gli errori di diritto commessi dalla Commissione, il Tribunale avrebbe violato il diritto dell’Unione. La KME sostiene quindi che la Corte dovrebbe rideterminare l’importo di partenza dell’ammenda escludendo dal calcolo il fattore relativo all’impatto sul mercato.

 Risposta della Commissione

91.      La Commissione afferma, anzitutto, che il motivo di impugnazione, essendo diretto contro una motivazione complementare non essenziale, è inoperante.

92.      La constatazione che la Commissione aveva dimostrato sufficientemente che l’intesa aveva avuto un impatto concreto sul mercato è stata espressamente effettuata solo ad abundantiam. Secondo costante giurisprudenza, una sentenza non può essere annullata sulla base di un motivo diretto unicamente contro constatazioni di questo tipo. Il Tribunale ha dichiarato che entrambi gli elementi della decisione controversa per i quali la KME sosteneva che l’impatto concreto sul mercato fosse rilevante erano giustificati, a prescindere dalla circostanza che tale impatto potesse o meno essere dimostrato. Esso ha dichiarato, con riguardo al trattamento differenziato delle imprese partecipanti, che, anche senza la prova dell’impatto concreto sul mercato, la Commissione poteva legittimamente distinguere in base alle quote di mercato e, con riguardo alla gravità dell’infrazione, che, quand’anche la Commissione non avesse dimostrato alcun effetto concreto sul mercato, ciò sarebbe stato irrilevante ai fini della qualificazione dell’infrazione come «molto grave» e quindi della determinazione dell’ammontare dell’ammenda. La KME non menziona neppure tali fondamentali constatazioni di principio, che esulano pertanto dall’ambito dell’impugnazione. La sua critica alla constatazione supplementare, formulata ad abundantiam, non è idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata.

93.      In secondo luogo, la Commissione sostiene che il motivo di impugnazione sia irricevibile in quanto contesta valutazioni di fatto.

94.      La KME si limita a sostenere che il Tribunale i) ha erroneamente dichiarato che la Commissione poteva desumere un impatto concreto sul mercato dagli elementi di prova elencati al punto 69 della sua sentenza, ii) avrebbe dovuto attribuire maggior peso, al punto 71, agli elementi di prova che, secondo la KME, indicavano la mancanza di un impatto e l’inosservanza dell’intesa da parte di alcuni dei partecipanti, iii) avrebbe dovuto dare maggior peso, al punto 72, agli studi econometrici che, secondo la KME, indicavano l’assenza di un impatto statisticamente significativo, e iv) avrebbe dovuto richiedere la «prova diretta» dell’esistenza e dell’entità dell’eventuale impatto.

95.      Tuttavia, la Corte non è competente ad accertare i fatti né, in linea di principio, ad esaminare le prove accolte dal Tribunale. Spetta esclusivamente a quest’ultimo stabilire il valore delle prove, purché esse siano state ottenute legittimamente e le norme e i principi applicabili siano stati rispettati. Salvo il caso di un evidente snaturamento della prova, tale valutazione non è soggetta al controllo della Corte.

96.      La prova dell’impatto concreto su cui si basa la decisione controversa, e le conclusioni che ne sono state tratte, sono state discusse in maniera approfondita dinanzi al Tribunale, che ha sintetizzato gli elementi probatori al punto 69 della sua sentenza, concludendo, al punto 70, che la Commissione poteva desumere che l’intesa avesse avuto un impatto concreto, e poi respingendo ai punti 71 e 72 gli argomenti della KME secondo cui altri elementi inficiavano tale constatazione.

97.      Inoltre, oltre al fatto che gli argomenti della KME si basavano solo sul suo comportamento individuale, gli studi econometrici da essa prodotti erano sostanzialmente inficiati da una serie di elementi dibattuti esaurientemente dinanzi al Tribunale. Non occorreva che quest’ultimo si pronunciasse su tali elementi in quanto ha comunque respinto gli argomenti della KME, ma la Commissione li sintetizza come segue.

98.      Gli studi erano volti a trarre conclusioni in ordine all’impatto dell’intesa confrontando i prezzi sicuramente cartellizzati con quelli praticati in periodi e/o in paesi «concorrenziali». Tuttavia, tale confronto includeva molti settori per i quali esistevano prove dirette delle pratiche anticoncorrenziali. Un’intesa sui prezzi comportava aumenti specifici per determinati paesi e un aumento dell’8% per «tutti quelli non menzionati», sicché tutte le vendite della KME erano cartellizzate e non esistevano «paesi concorrenziali» con i quali si potesse effettuare un confronto.

99.      In ogni caso, dall’esame dei calcoli statistici emergeva che i risultati pretesi erano anche compatibili con un rialzo dei prezzi per effetto dell’intesa. Il modello della KME non poteva escludere un aumento annuo medio del 10,5% e mostrava che i prezzi della KME Germany erano aumentati mediamente del 29,9% all’anno per tutta la durata dell’intesa. Sotto altri aspetti, gli studi producevano risultati anomali che la KME non era in grado di spiegare.

100. Pertanto, il Tribunale ha esaminato adeguatamente gli elementi di prova addotti nella decisione controversa al fine di accertare l’esistenza di un impatto concreto, nonché tutti gli argomenti della KME volti a contestare tale conclusione. Il Tribunale ha concluso che era stato dimostrato un impatto concreto sulla base di prove specifiche, credibili e adeguate, che andavano ben oltre la circostanza che gli accordi sui prezzi erano stati attuati.

101. In terzo luogo, la Commissione sostiene che le constatazioni del Tribunale erano sufficientemente motivate.

102. L’argomento della KME – secondo cui la motivazione del Tribunale sarebbe illogica e inadeguata laddove esso ha constatato che le prove econometriche della KME non dimostravano che l’infrazione nel suo complesso non avesse avuto un impatto sul mercato, in quanto facevano riferimento alla relazione iniziale che riguardava solo i prezzi della KME senza menzionare le due relazioni supplementari concernenti l’intesa nel suo complesso – si basa su una lettura errata del punto 72 della sentenza.

103. Dinanzi al Tribunale la KME ha sostenuto che dagli studi effettuati sui suoi stessi prezzi emergeva che l’intesa non aveva alcun impatto concreto sul mercato. Tuttavia, sia lo studio iniziale (preso in considerazione dalla Commissione nella decisione controversa) che i due studi supplementari (presentati al Tribunale) riguardavano solo le vendite della KME. Al punto 72 della sua sentenza il Tribunale ha respinto l’argomento della KME nell’esercizio del proprio potere sovrano di valutazione dei fatti e delle prove, insistendo sul fatto che il comportamento di una singola impresa non era rilevante al fine di valutare l’impatto dell’intesa nel suo complesso. Non vi è alcuna contraddizione in tale ragionamento.

104. Nella specie appare evidente l’importanza di esaminare gli effetti dell’intesa nel suo complesso. In primo grado la Commissione ha sottolineato che l’intesa comprendeva la spartizione della clientela ed un sistema secondo cui, prima delle visite dei clienti, i partecipanti all’intesa dovevano contattare il leader di mercato di ogni paese per chiedere quanti prodotti potessero essere venduti e a quale prezzo. Pertanto, i dati relativi ai prezzi della KME non possono giustificare le conclusioni relative a quelli di altri partecipanti all’intesa – ad esempio, laddove la KME non tentava di realizzare vendite, in osservanza dell’accordo per la ripartizione della clientela. La KME ha affermato che non rispettava gli accordi, ma, affinché i suoi studi econometrici potessero fornire informazioni in tal senso, essa avrebbe dovuto dimostrare di non rispettare gli accordi in relazione a ciascuno dei clienti assegnati ad un altro partecipante all’intesa. La KME non ha neppure tentato di farlo, né dinanzi alla Commissione, né dinanzi al Tribunale.

105. L’ultima frase del punto 72 della sentenza impugnata fa riferimento solo alla prima relazione in quanto la KME sosteneva che la decisione controversa fosse errata nella parte in cui considerava irrilevante tale relazione. Le relazioni supplementari non esistevano alla data della decisione controversa e non potevano essere state prese in considerazione. Il Tribunale ha chiaramente esaminato tutti e tre gli studi econometrici per giungere alla sua conclusione in merito agli argomenti della KME basati sull’analisi dei suoi prezzi. Tali argomenti sono stati respinti per un motivo comune a tutti i suddetti studi, vale a dire perché riguardavano solo i prezzi della KME.

 Valutazione

106. La prima questione è se l’accettazione, da parte del Tribunale, sia della qualificazione dell’ammenda come «molto grave» sia della conseguente determinazione dell’importo di base dell’ammenda da parte della Commissione possa essere giustificata dalla natura stessa dell’infrazione (un’intesa per la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei mercati), a prescindere dalla prova di un impatto concreto sul mercato.

107. Nella decisione controversa la Commissione ha fissato l’importo di base dopo avere accertato che a) l’infrazione era «molto grave» in ragione i) della sua natura, ii) del suo impatto sul mercato e iii) delle dimensioni geografiche di tale mercato, e b) che la quota di mercato della KME era pari a circa il triplo di quella dell’Outokumpu o della Wieland. Essa ha determinato un importo di base complessivo di EUR 58,1 milioni – EUR 35 milioni per la KME ed EUR 11,55 milioni per ciascuno degli altri membri del cartello.

108. La KME ha sostenuto in primo grado che la Commissione non aveva tenuto conto dell’impatto concreto sul mercato dell’intesa né per valutare la gravità dell’infrazione, né per ripartire l’importo di base dell’ammenda tra i partecipanti all’intesa; essa aveva semplicemente rilevato che l’impatto sul mercato era dimostrato, ma non poteva essere quantificato, e che l’importo di base poteva essere validamente ripartito in funzione delle quote di mercato. La KME affermava, sostanzialmente, che la Commissione era giuridicamente obbligata a tenere conto dell’impatto concreto sul mercato, quando fosse misurabile, che nella specie esso era misurabile e che lo studio econometrico prodotto dalla KME dimostrava che tale impatto era statisticamente insignificante; l’importo di base complessivo avrebbe quindi dovuto essere fissato vicino al limite inferiore della scala appropriata (che parte da EUR 20 milioni per le infrazioni «molto gravi»).

109. Il Tribunale ha ritenuto, al punto 63 della sua sentenza, che, «anche se la Commissione non avesse provato che l’intesa aveva prodotto un impatto concreto sul mercato, ciò non avrebbe influito sulla qualificazione dell’infrazione come “molto grave” e dunque sull’importo dell’ammenda», esponendo una motivazione supplementare in tal senso ai punti 64 e 65.

110. Gli argomenti dedotti dalla KME dinanzi alla Corte riguardano principalmente le successive constatazioni di cui ai punti 66‑72 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha dichiarato «[a]d abundantiam» che la Commissione aveva sufficientemente dimostrato l’impatto concreto dell’intesa sul mercato.

111. La Commissione sostiene, quindi, che il motivo di impugnazione è inoperante in quanto la KME non ha contestato la constatazione fondamentale di cui al punto 63; quand’anche fossero accolti i suoi argomenti relativi all’impatto concreto sul mercato, la constatazione della natura «molto grave» dell’intesa resterebbe valida e la sentenza non potrebbe essere annullata nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso.

112. Non rilevo alcuna carenza in tale ragionamento, ma non credo che la premessa, secondo cui la KME non ha contestato la constatazione fondamentale di cui al punto 63, debba essere necessariamente accolta.

113. È certamente vero che la KME non ha criticato la constatazione secondo cui la Commissione poteva considerare «molto grave» l’infrazione unicamente in base alla sua natura. Infatti, essa rileva (ancorché in una nota) di non avere contestato questo punto in primo grado; aveva semmai sostenuto che, visto il limitato impatto concreto dell’intesa sul mercato, l’importo di partenza dell’ammenda avrebbe dovuto essere fissato, globalmente, al limite inferiore della scala per le infrazioni «molto gravi» – vale a dire, conformemente agli orientamenti, EUR 20 milioni – anziché in EUR 58,1 milioni. Considerato in tale contesto, mi sembra che il primo motivo di impugnazione della KME debba essere interpretato nel senso che rimette necessariamente in discussione (anche se certamente in modo meno esplicito di quanto sarebbe auspicabile) la constatazione del Tribunale secondo cui, poiché l’impatto concreto sul mercato era irrilevante ai fini della qualificazione come «molto grave» dell’infrazione, esso era del pari irrilevante ai fini della determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

114. Concordo invece sul fatto che, se venissero confermate le valutazioni di cui ai punti 63‑65 della sentenza impugnata, la contestazione delle ulteriori valutazioni dei punti 66‑72, quand’anche fosse accolta, rimarrebbe senza esito. Dall’espressione introduttiva del punto 66 (36) risulta chiaramente che quanto esposto nei punti successivi andava al di là di ciò che il Tribunale considerava una motivazione sufficiente. Inoltre, è logico che, se le «intese meritano, a causa della loro natura, le ammende più severe», a prescindere dal loro effetto concreto sui prezzi di mercato, e se la Commissione si è basata sull’esistenza più che sul grado esatto di tale effetto quando ha stabilito l’importo di partenza dell’ammenda, allora tale importo non può essere rimesso in discussione tentando di dimostrare che l’effetto era limitato.

115. La Commissione sostiene inoltre che questo motivo di impugnazione è irricevibile, in quanto contesta unicamente valutazioni di fatto operate dal Tribunale.

116. Anche in questo caso, non sono del tutto convinta. Vari aspetti dell’argomento della KME sembrano riguardare valutazioni di fatto – in particolare quelli esposti ai punti 18‑20 e 22 del ricorso, e supra, ai paragrafi 87 e 89 –, ma altri sono argomenti di diritto relativi ad asserite carenze della sentenza impugnata (benché, anche in questo caso, tali argomenti avrebbero potuto essere formulati in maniera più adeguata). In sostanza, la KME sostiene che, a fronte dei contrasti in ordine alle conclusioni che occorreva trarre dalle prove disponibili, il Tribunale non avrebbe dovuto semplicemente consentire alla Commissione di basarsi su presunzioni derivanti da «indizi (…) che indichino, con una probabilità ragionevole, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato», ma quanto meno confutare sufficientemente la controprova della KME. Tale argomento deve essere esaminato, come rilevato supra, al paragrafo 113, nel contesto di una critica non alla valutazione del Tribunale secondo cui l’impatto concreto sul mercato era irrilevante ai fini della qualificazione dell’infrazione come «molto grave», bensì alla constatazione secondo cui tale impatto era irrilevante anche ai fini della determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

117. Pertanto, non respingerei il primo motivo in quanto inoperante, o irricevibile in quanto si limita a contestare valutazioni di fatto.

118. D’altro canto, propongo di non accoglierlo nella parte in cui esso solleva effettivamente questioni di diritto. La dichiarazione del Tribunale contenuta al punto 64 della sua sentenza, secondo cui l’eventuale impatto concreto sul mercato di un’intesa non costituisce un criterio decisivo per la determinazione del livello delle ammende, è ampiamente confermata dalla giurisprudenza ivi citata (37). Tale impatto è solo uno dei numerosi fattori – non limitati ai tre elencati negli orientamenti – di cui occorre tenere conto. Poiché la Commissione ha effettivamente dimostrato, nella decisione contestata, che vi era stato un certo impatto (circostanza che non viene negata dalla KME), essa poteva utilizzare tale constatazione come uno dei fattori sui quali fondare il calcolo dell’importo di base dell’ammenda. E poiché, così facendo, la Commissione non ha presunto che l’impatto raggiungesse un determinato livello – al contrario, essa ha proceduto sull’esplicito presupposto che l’impatto non potesse essere quantificato con precisione (38) – non la si può criticare per non avere individuato esattamente tale livello, né il Tribunale può essere criticato per avere accolto l’approccio della Commissione.

119. Vorrei aggiungere che, se le imprese scelgono di dedurre studi econometrici a sostegno dei loro argomenti, la Commissione deve ovviamente tenere in debita considerazione tali elementi di prova nella sua valutazione globale. Se, tuttavia, essa non accoglie la prova nella sua interezza, non è tenuta a produrre un altro studio econometrico per dimostrare il contrario.

120. Rimane da stabilire, come rilevato supra, al paragrafo 83, se l’esame del Tribunale relativo al motivo di ricorso non rispondesse ai requisiti fissati dalla CEDU e dalla Carta.

121. A tal riguardo, rilevo che la KME non sembra lamentare tale carenza. Nessuno dei passaggi citati nel contesto del quinto motivo di impugnazione è tratto dalla sezione pertinente della sentenza del Tribunale. Né tale sezione, infatti, contiene le espressioni contro cui è diretta in particolare l’obiezione della KME, vale a dire un riferimento al potere discrezionale della Commissione.

122. Ritengo, inoltre, che il Tribunale abbia valutato il primo motivo di ricorso in base al modo in cui è stato sollevato dalla KME.

123. L’argomento della KME si basava essenzialmente sulla tesi secondo cui la Commissione era tenuta, in forza dei suoi stessi orientamenti, a misurare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato e a basarsi su tale misurazione, oppure ad astenersi del tutto dal tenere conto dell’impatto sul mercato. Il Tribunale ha esaminato tale argomento e ha esaminato altresì – benché lo ritenesse superfluo – sia le prove di cui disponeva la Commissione sia le relazioni econometriche successive prodotte dalla KME, concludendo che il riferimento della Commissione all’impatto sul mercato e il suo uso ai fini della determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda non erano censurabili. Pertanto, sebbene si potessero sollevare altre questioni – relative, ad esempio, all’eventuale necessità di spiegare perché l’importo di partenza complessivo fosse di EUR 58,1 milioni, anziché di EUR 20 milioni o di EUR 100 milioni –, ciò non è avvenuto e il Tribunale ha esaminato le questioni sollevate in un modo che non sembra minimamente indicare che esso non abbia esercitato i suoi pieni poteri giurisdizionali, come richiesto dalla CEDU.

 Sul secondo motivo di impugnazione: le dimensioni del mercato

 Passaggi pertinenti della sentenza impugnata

124. Nella decisione controversa la Commissione ha calcolato le dimensioni del mercato rilevante includendo il costo del rame utilizzato per la produzione dei tubi. La KME sosteneva in primo grado che tale calcolo ignorasse la realtà del mercato. Infatti, gli acquirenti dei tubi determinano essi stessi il prezzo del rame da utilizzare e tale prezzo, costituente circa due terzi del prezzo finale dei tubi, viene semplicemente loro riversato. Il reale valore economico del mercato era costituito solo dal margine di trasformazione, circa un terzo del valore di EUR 288 milioni utilizzato nella decisione controversa.

125. Ai punti 86‑89 della sua sentenza il Tribunale ha osservato che la Commissione può, senza peraltro esservi obbligata, tener conto delle dimensioni del mercato in sede di determinazione della gravità dell’infrazione al fine di stabilire l’importo di partenza dell’ammenda, che nella specie essa ne aveva tenuto conto, anche se solo come uno dei fattori da prendere in considerazione, e che occorreva quindi esaminare se a tal riguardo la Commissione avesse a torto tenuto conto del prezzo del rame. La conclusione del Tribunale è esposta ai punti 91‑94:

«91      (…) nessuna valida ragione impone che il fatturato di un mercato rilevante sia calcolato escludendo taluni costi di produzione. Come rilevato giustamente dalla Commissione, in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale dell’insieme delle sue attività e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di base dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punti 5030 e 5031). La circostanza che il prezzo del rame costituisca una parte importante del prezzo finale dei tubi industriali o che il rischio di fluttuazioni dei prezzi del rame sia ben più elevato che per altre materie prime non inficia tale conclusione.

92      (…) [P]er quanto riguarda le varie censure delle ricorrenti dirette ad affermare che anziché ricorrere al criterio del fatturato del mercato rilevante sarebbe più opportuno, alla luce della finalità deterrente delle ammende e del principio della parità di trattamento, fissare il loro importo in funzione della redditività del settore interessato o del relativo valore aggiunto, va dichiarato che sono privi di rilievo. A tal proposito, è giocoforza constatare, anzitutto, che la gravità dell’infrazione viene accertata in funzione di numerosi elementi, in ordine ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, cause riunite T‑101/05 e T‑111/05, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑4949, punto 65), non essendo stato stabilito, a tal riguardo, alcun elenco vincolante o esaustivo di criteri che devono essere presi necessariamente in considerazione (sentenza Dalmine/Commissione, punto 64 supra, punto 129), non quindi compete al giudice comunitario bensì alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale e conformemente ai limiti derivanti dal principio della parità di trattamento e dal regolamento n. 17, i fattori e i dati di cui terrà conto per attuare una politica che assicuri l’osservanza dei divieti contemplati dall’art. 81 CE.

93      È poi incontestabile che il fatturato di un’impresa o di un mercato, come fattore di valutazione della gravità dell’infrazione, è necessariamente vago ed imperfetto. Esso non distingue né tra settori ad alto valore aggiunto e settori a basso valore aggiunto, né tra imprese redditizie e quelle che lo sono meno. Tuttavia, malgrado la sua natura approssimativa, il fatturato viene considerato attualmente tanto dal legislatore comunitario quanto dalla Commissione e dalla Corte come criterio adeguato, nell’ambito del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate [v., segnatamente, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 64 supra, punto 121; art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, decimo ‘considerando’ e artt. 14 e 15 del regolamento (CE) del Consiglio 20 gennaio 2004, n. 139, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 24, pag. 1)].

94      In considerazione di quanto precede, si deve dunque concludere che la Commissione abbia tenuto conto a buon diritto del prezzo del rame ai fini della determinazione delle dimensioni del mercato rilevante».

 Sintesi degli argomenti delle parti

 Impugnazione della KME

126. La KME osserva che la sua descrizione delle caratteristiche del mercato rilevante, non essendo stata contestata nella sentenza impugnata, dev’essere considerata come un dato di fatto ai fini dell’impugnazione. Essa sostiene tuttavia che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto e abbia fornito una motivazione inadeguata omettendo di riconoscere che la Commissione possa interpretare il «fatturato» come fatturato netto nel calcolo del valore del mercato.

127. In primo luogo, dalla giurisprudenza e dalla prassi della Commissione risulta che, per calcolare l’importo di partenza di un’ammenda, la Commissione deve tenere conto delle specifiche caratteristiche del mercato o dell’impresa di cui trattasi. I giudici hanno dichiarato che essa può discostarsi dalla propria prassi generale, secondo cui il calcolo si basa sul fatturato dell’ultimo anno completo dell’infrazione, se tale anno non è rappresentativo delle reali dimensioni e del potere economico dell’impresa e della portata dell’infrazione. Con riguardo al calcolo dell’ammenda massima, la Corte ha dichiarato che, in ogni singolo caso, e considerati sia il contesto che gli obiettivi del sistema delle ammende, la Commissione deve valutare l’impatto voluto sull’impresa in questione, tenendo conto in particolare di un fatturato che rifletta la reale situazione economica dell’impresa durante l’infrazione. Nella prassi recente la Commissione si è spesso avvalsa della possibilità prevista dagli orientamenti di discostarsi dalla regola di utilizzare le vendite dell’ultimo anno intero di partecipazione all’infrazione, ove tale deroga sia giustificata dalle specifiche circostanze del caso o da fattori esterni. E il Tribunale ha dichiarato che la Commissione può fondare la sua valutazione dell’effettiva capacità economica di recare un pregiudizio significativo su dati relativi al fatturato e alla quota di mercato, salvo che particolari circostanze, quali le caratteristiche del mercato, riducano sensibilmente la rilevanza di tali dati e impongano di prendere in considerazione altri fattori.

128. In secondo luogo, il fatto che il prezzo del rame dipenda unicamente dalla decisione del cliente di acquistare a una certa data rende il settore dei tubi in rame unico e inadatto al confronto con altri settori, così come il rame non è confrontabile con altri fattori di produzione – quali energia, acqua e attrezzature – i cui prezzi vengono stabiliti contrattualmente tra produttore e fornitore. Tuttavia, il Tribunale avrebbe concluso erroneamente che non vi erano validi motivi per escludere il prezzo del rame dalle dimensioni del mercato interessato da un cartello ai fini del calcolo dell’ammenda. Così facendo, esso avrebbe anche violato i principi di non discriminazione – secondo cui situazioni differenti devono essere trattate in modo diverso – e di proporzionalità. Per quanto riguarda quest’ultimo, l’ammenda rappresentava circa il 2% del suo fatturato mondiale complessivo del 2002, il 40% del suo fatturato nel SEE sul mercato dei tubi industriali in base al prezzo pieno comprensivo del rame, l’80% del suo fatturato relativo alla trasformazione su tale mercato, il 42% del suo risultato lordo consolidato di esercizio 2003 e il 16% del suo valore consolidato netto al giugno 2003.

129. In terzo luogo, se la Commissione avesse sanzionato la KME per un’intesa sullo stesso mercato, cessata nel 2007, e avesse calcolato il valore del mercato in base al fatturato complessivo di tale anno, l’importo di partenza dell’ammenda sarebbe stato molto superiore semplicemente a causa dell’enorme aumento dei prezzi del rame tra il 2003 e il 2007.

130. In quarto luogo, il Tribunale si sarebbe erroneamente basato sulla propria sentenza Cimenteries CBR (39): in detta causa, i costi pertinenti dei fattori produttivi, quali le spese di trasporto e la fornitura dei sacchi per cemento, erano controllati dai partecipanti all’intesa, mentre qui il prezzo del rame non era controllato dai fabbricanti dei tubi. Si sarebbe inoltre basato erroneamente sulla giurisprudenza che riconosce alla Commissione una discrezionalità nella scelta dei fattori da utilizzare per stabilire la gravità di un’infrazione, compreso, di regola, il fatturato, in quanto il fatturato a prezzo pieno non costituisce un indizio significativo della gravità di un’infrazione sul mercato dei tubi industriali. La discrezionalità della Commissione nella scelta di tali fattori non può estendersi fino ad includere elementi che, alla luce della caratteristiche peculiari del contesto economico, non presentano alcun nesso con la gravità dell’infrazione. Nella sua sentenza, il Tribunale non avrebbe esaminato se i criteri applicati dalla Commissione fossero pertinenti e adeguati.

 Risposta della Commissione

131. La Commissione sostiene che le affermazioni della KME relative al modo in cui vengono stabiliti i prezzi del rame e alle modalità di vendita dei tubi industriali non costituiscono fatti accertati ai fini dell’impugnazione. Non era necessario che il Tribunale si pronunciasse su tali elementi. Le sue constatazioni non confermano la descrizione, fatta dalla KME, dei partecipanti all’intesa come commissionari per l’acquisto del metallo, e la Commissione ha specificamente sostenuto in primo grado che, per i motivi accolti in definitiva nella sentenza impugnata, le affermazioni della KME, secondo cui essa avrebbe agito spesso come rappresentante dei propri clienti, sono irrilevanti. Come spiegato dalla Commissione, a prescindere dal luogo in cui il cliente acquistava effettivamente il rame e chiedeva alla KME di trasformarlo, il prezzo del metallo non è incluso nel fatturato della KME. In ogni caso, le valutazioni del Tribunale relative alle dimensioni del mercato dei tubi industriali sono incompatibili con l’argomento secondo cui i produttori di tubi industriali effettuavano contemporaneamente vendite su un mercato del rame concorrenziale e su un mercato cartellizzato della trasformazione; esiste un unico mercato, ossia quello dei tubi industriali.

132. Il Tribunale ha respinto la tesi della KME secondo cui il mercato dei tubi industriali sarebbe unico in ragione dell’assenza di controllo sui prezzi dei fattori di produzione, senza che occorresse valutare gli argomenti dettagliati della KME. Esso ha dichiarato al punto 91 della sua sentenza che nessuna valida ragione imponeva che il fatturato di un mercato rilevante fosse calcolato escludendo taluni costi di produzione, e ha constatato che in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale dell’insieme delle sue attività globali. Tali costi non possono essere esclusi dal fatturato ai fini della determinazione dell’importo di partenza di un’ammenda. La circostanza che il prezzo del rame rappresenti una parte importante del prezzo finale dei tubi industriali, o che il rischio di fluttuazioni dei prezzi del rame sia più elevato di quanto non sia per altre materie prime, non inficia tale conclusione.

133. Con questo motivo di impugnazione si chiede semplicemente alla Corte di valutare in maniera diversa la questione relativa all’esistenza di un unico settore dei tubi industriali. La KME ribadisce i propri argomenti dedotti in primo grado in ordine ai diritti contrattuali dei clienti relativamente al prezzo del rame, la percentuale del prezzo del rame rispetto al prezzo totale dei tubi e la volatilità dei prezzi del rame. Non solo tale argomento è irricevibile, ma di fatto nulla distingue i produttori di tubi industriali da altri produttori che acquistano materie prime, servizi o attrezzature. Nessuna impresa non dominante può controllare il prezzo dei fattori produttivi. I contratti sono il risultato della scelta degli stessi fabbricanti, nella specie con il vantaggio di riversare sul cliente il rischio legato alle fluttuazioni del prezzo del rame.

134. Al punto 93, il Tribunale ha riconosciuto che il fatturato di un’impresa o di un mercato, come fattore di valutazione della gravità dell’infrazione, è necessariamente vago ed imperfetto. Ha ammesso che tale fatturato non distingue né tra settori ad alto valore aggiunto e settori a basso valore aggiunto, né tra imprese redditizie e quelle che lo sono meno. Ciononostante, ha ritenuto che il fatturato rappresentasse un criterio adeguato, nel contesto del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate. Gli argomenti della KME, per contro, invitano semplicemente la Corte a dissentire dalla valutazione operata dal Tribunale a tale riguardo. Detta valutazione è stata ponderata, dopo ampie discussioni nella fase scritta e in udienza, e ha preferito l’obiettività del fatturato al potenziale rischio di controversie infinite, alla soggettività e all’imprevedibilità implicati dalla proposta della KME di dedurre i costi che non sono controllati dai partecipanti all’intesa.

135. La valutazione del Tribunale era corretta. In particolare, la Corte dovrebbe respingere il suggerimento della KME di ricalcolare l’ammenda in base ai dati relativi al 2002 o al 2003. Siffatti argomenti possono essere dedotti solo dinanzi al Tribunale.

136. Per quanto riguarda l’adeguatezza dell’esame del Tribunale, la Commissione rileva (nel contesto del suo quinto motivo di impugnazione, ma con riferimento al trattamento del suo secondo motivo in primo grado) che la KME cita il punto 92 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha fatto riferimento alla discrezionalità della Commissione. Tuttavia, al punto 91, esso ha constatato che «nessuna valida ragione impone che il fatturato di un mercato rilevante sia calcolato escludendo taluni costi di produzione», che «in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale dell’insieme delle sue attività e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di base dell’ammenda» e che «[l]a circostanza che il prezzo del rame costituisca una parte importante del prezzo finale dei tubi industriali o che il rischio di fluttuazioni dei prezzi del rame sia ben più elevato che per altre materie prime non inficia tale conclusione». Al punto 93 esso ha concluso che «malgrado la sua natura approssimativa, il fatturato viene considerato attualmente tanto dal legislatore comunitario quanto dalla Commissione e dalla Corte come criterio adeguato, nell’ambito del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate». Infine, al punto 94, il Tribunale ha dichiarato quanto segue: «In considerazione di quanto precede, si deve dunque concludere che la Commissione abbia tenuto conto a buon diritto del prezzo del rame (...)».

 Valutazione

137. In tale contesto la questione di fondo è se, utilizzando le dimensioni del mercato (vale a dire, il volume delle vendite anziché l’estensione geografica) come uno dei criteri per valutare la gravità dell’infrazione, la Commissione dovesse fare riferimento in ogni caso ai prezzi pieni o potesse fare riferimento solo alla parte del prezzo sulla quale i contravventori potevano esercitare un’influenza.

138. La KME non intende affermare che le dimensioni del mercato non dovrebbero mai essere prese in considerazione, né che sia sempre errato fare riferimento ai prezzi pieni, bensì che il mercato dei tubi in rame presenta caratteristiche tali da rendere sbagliato farlo nel caso di specie. Essa considera quindi che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto e fornito una motivazione inadeguata laddove ha constatato che il fatturato lordo costituiva un valido criterio di misurazione delle dimensioni del mercato.

139. La Commissione rileva, a mio parere giustamente, che la KME chiede in ampia misura alla Corte di effettuare valutazioni di fatto in ordine alle caratteristiche del mercato, cosa che non è competente a fare nell’ambito di un’impugnazione. Il Tribunale ha accertato solo che «il prezzo del rame costituisc[e] una parte importante del prezzo finale dei tubi industriali» e che «il rischio di fluttuazioni dei prezzi del rame [è] ben più elevato che per altre materie prime». La KME non ha sostenuto che, con tale constatazione, esso abbia snaturato il senso manifesto della prova. È quindi su tale base che occorre valutare se il Tribunale sia incorso in un errore di diritto o abbia fornito una motivazione inadeguata.

140. Il Tribunale ha effettuato, sostanzialmente, quattro constatazioni a sostegno della sua conclusione in diritto: le dimensioni di qualsiasi mercato, misurate in termini di volume di vendite, includono alcuni costi che i fabbricanti non possono controllare; il mercato dei tubi industriali di rame non presenta caratteristiche eccezionali sotto questo profilo; la Commissione dispone di una certa libertà per scegliere i fattori di cui tenere conto, e il fatturato lordo costituisce un indicatore accettato, ancorché imperfetto, delle dimensioni e del potere economico delle imprese.

141. Non rilevo alcuna carenza in tale ragionamento. È vero che la causa Cimenteries CBR, cui il Tribunale ha fatto riferimento, riguardava costi accessori indubbiamente meno significativi rispetto al prezzo del rame nel caso di specie, ma la diversa gradazione non osta all’estensione della giurisprudenza esistente a costi più significativi. Inoltre, sembra inevitabile che la quota di fatturato costituita dalle materie prime vari sensibilmente da un settore all’altro. Se fosse possibile tenere conto del fatturato lordo in alcuni casi ma non in altri, occorrerebbe fissare una soglia, magari sotto forma di rapporto tra fatturato lordo e fatturato netto, che faccia scattare il trattamento differenziato. Tuttavia, una soglia siffatta sarebbe molto difficile da applicare e darebbe origine a controversie interminabili ed insolubili, anche per asserite disparità di trattamento. Si deve rammentare, inoltre, che dalla decisione controversa non emerge alcun nesso matematico tra le dimensioni del mercato e l’importo di base complessivo delle ammende e lo stesso Tribunale ha constatato che le dimensioni del mercato costituivano solo uno dei fattori utilizzati dalla Commissione. Pertanto, non sembra irragionevole ammettere che la Commissione possa basarsi su un criterio «approssimativo» – ma prontamente utilizzabile – per misurare le dimensioni del mercato, come quello di una combinazione di criteri utilizzati per determinare la gravità di un’infrazione. In ogni caso, la KME non ha addotto alcun motivo sufficiente per concludere che il Tribunale, dichiarando che la Commissione poteva utilizzare tale criterio, abbia commesso un errore di diritto.

142. Passo ora ad esaminare la questione se l’esame del secondo motivo di ricorso da parte del Tribunale fosse adeguato alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

143. Anzitutto, è vero che il Tribunale ha dichiarato, nella sua motivazione, che «la gravità dell’infrazione viene accertata in funzione di numerosi elementi, in ordine ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità» e che «non quindi compete al giudice comunitario bensì alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale (…), i fattori e i dati di cui terrà conto». La KME si è basata quanto meno sul primo di tali passaggi per sostenere, nel contesto del suo quinto motivo di impugnazione, che il Tribunale ha mostrato un’«eccessiva deferenza» al potere discrezionale della Commissione.

144. Tuttavia, dal secondo motivo di impugnazione, in cui la KME afferma che la «discrezionalità della Commissione nella scelta dei fattori da utilizzare per stabilire la gravità di un’intesa non può estendersi fino al punto di basarsi su elementi che, alla luce delle particolari caratteristiche del contesto economico, non presentano alcun nesso con la gravità dell’infrazione», risulta che la stessa KME riconosce di fatto l’esistenza di tale discrezionalità, e dissente dal Tribunale solo per quanto riguarda la sua portata. Ciò, a mio avviso, non può costituire una base sufficiente per sostenere che il Tribunale non abbia esercitato i suoi pieni poteri giurisdizionali nel controllo della decisione controversa.

145. È anche vero che le pertinenti constatazioni del Tribunale, contenute nei punti 91‑93 della sua sentenza, sono succinte. Tuttavia, ciò non implica necessariamente che esse rivelino l’assenza di un esame approfondito degli argomenti. Al contrario, dalla lunga esposizione degli argomenti della KME (punti 75‑82) e dal rigetto (al punto 88) dell’argomento della Commissione secondo cui le dimensioni del mercato erano irrilevanti ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, risulta che il secondo motivo di ricorso è stato esaminato attentamente. Le valutazioni del Tribunale sono perfettamente compatibili con la conclusione secondo cui esso si è formato una propria opinione in merito all’opportunità di includere i prezzi del rame nella valutazione delle dimensioni del mercato al fine di stabilire la gravità dell’infrazione, e la KME, a mio parere, non ha addotto alcun argomento convincente per contestare tale conclusione.

 Sul terzo motivo di impugnazione: la maggiorazione percentuale in ragione della durata

 Passaggi pertinenti della sentenza impugnata

146. In primo grado la KME sosteneva con il suo terzo motivo che, se gli orientamenti consentono una maggiorazione fino al 10% annuo (pertanto, dallo 0% al 10%) per la durata dell’infrazione, la Commissione avrebbe dovuto modulare l’aumento tenendo conto dell’intensità variabile dell’intesa nell’arco della sua durata e della sua mancanza di impatto sui prezzi, anziché applicare un aumento forfettario del massimo del «10% per ogni anno di durata, ossia un totale del 125%». Il Tribunale ha dichiarato infondato tale motivo. Ai punti 100‑104 della sentenza impugnata esso ha constatato quanto segue:

«100      (…) un aumento dell’importo dell’ammenda in funzione della durata non è limitato all’ipotesi in cui sussiste un nesso diretto tra la durata e un danno maggiore [(40)] apportato agli obiettivi comunitari sanciti dalle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 278, nonché la giurisprudenza ivi citata).

101      Dagli orientamenti emerge inoltre che la Commissione non ha stabilito alcuna sovrapposizione né alcuna interdipendenza tra la valutazione della gravità e quella della durata dell’infrazione.

102      Al contrario, in primo luogo, dall’impianto sistematico degli orientamenti emerge che prevedono la valutazione della gravità dell’infrazione in quanto tale ai fini della determinazione dell’importo di base generale dell’ammenda. In secondo luogo, la gravità dell’infrazione viene analizzata in relazione alle caratteristiche dell’impresa interessata, segnatamente delle sue dimensioni e della sua posizione sul mercato rilevante, il che può dare luogo ad una ponderazione dell’importo di base, alla suddivisione delle imprese in categorie e alla fissazione di un importo di base specifico. In terzo luogo, la durata dell’infrazione è presa in considerazione per fissare l’importo di base e, in quarto luogo, gli orientamenti prevedono la considerazione di circostanze aggravanti ed attenuanti che consentono di modulare l’ammontare dell’ammenda, in particolare in funzione del ruolo passivo o attivo delle imprese coinvolte nell’esecuzione dell’infrazione.

103      Ne consegue che la mera circostanza che la Commissione si sia riservata una possibilità di maggiorazione per anno di infrazione che, per quelle di lunga durata, può giungere fino al 10% dell’importo adottato per la gravità dell’infrazione, non la obbliga affatto a fissare tale percentuale in funzione dell’intensità delle attività dell’intesa o degli effetti della medesima, ovvero della gravità dell’infrazione. Infatti, compete alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale (v. punto 36 supra), la percentuale di maggiorazione che intende applicare per la durata dell’infrazione.

104      Nella specie, la Commissione ha constatato, in particolare ai punti 335 e 340 della decisione impugnata, che il gruppo KME aveva partecipato all’infrazione per una durata di dodici anni e dieci mesi, ovvero una lunga durata ai sensi degli orientamenti e, dunque, ha maggiorato l’ammenda del 125%. Così facendo, la Commissione non si è discostata dalle regole che essa si è imposta negli orientamenti. Del resto, il Tribunale ritiene che detta maggiorazione del 125%, nella specie, non sia manifestamente sproporzionata».

 Sintesi degli argomenti delle parti

 Impugnazione della KME

147. La KME sostiene che il ragionamento del Tribunale è oscuro, illogico e insufficiente, e non stabilisce una regola chiara.

148. L’interpretazione e l’applicazione del punto 1 B degli orientamenti sono state spesso discusse dalla giurisprudenza – la quale, tuttavia, non ha elaborato i criteri in base ai quali, per un’infrazione di durata superiore a cinque anni, la Commissione debba modulare l’importo di partenza dell’ammenda in una gamma compresa tra lo 0% e il 10% per ogni anno dell’infrazione. Dal suddetto punto sembrerebbe emergere solo che l’aumento per la durata non è applicabile unicamente ai casi dai quali emerga un rapporto diretto tra la durata e un più grave pregiudizio agli obiettivi comunitari perseguiti dalle norme sulla concorrenza – in altre parole, l’importo di partenza può essere aumentato per la durata anche qualora il pregiudizio agli obiettivi perseguiti dalle norme sulla concorrenza non risulti aggravato per effetto diretto di tale fattore, o manchi del tutto. Tale approccio sarebbe errato.

149. In primo luogo, esso contraddirebbe la chiara formulazione del punto 1 B, che parla di sanzionare realmente le restrizioni «che hanno arrecato un pregiudizio durevole ai consumatori». La stessa Commissione ha infatti stabilito il requisito del nesso diretto tra la durata e l’effetto pregiudizievole, la cui esistenza è stata da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza. Il Tribunale ha dichiarato che, qualora la Commissione determini l’importo di base in funzione della gravità tenendo conto dell’impatto concreto sul mercato, tale impatto deve essere «pienamente dimostrato per tutta la durata dell’intesa», e che, in mancanza di tale dimostrazione, l’importo di base deve essere ridotto (41).

150. In secondo luogo, dichiarando che negli orientamenti la Commissione non ha stabilito alcuna sovrapposizione né alcuna interdipendenza tra la valutazione della gravità e quella della durata dell’infrazione, il Tribunale ha accolto l’argomento della Commissione secondo cui l’entità dell’aumento in funzione della durata rispecchia solo la durata dell’infrazione, non la sua gravità, sicché tutti i fattori rilevanti relativi all’intensità dell’infrazione vengono presi in considerazione già al momento della valutazione della gravità. Tuttavia, il Tribunale non ha verificato se la Commissione, nel valutare la gravità, abbia attribuito il giusto peso al fatto che l’intensità e l’efficacia dell’intesa variavano nel tempo e vi erano significativi periodi di tensione e deviazione. Anziché accogliere l’affermazione della Commissione secondo cui essa intendeva evitare di conteggiare due volte gli stessi fattori a vantaggio dei partecipanti all’intesa, il Tribunale avrebbe dovuto esaminare se fosse effettivamente così nella decisione controversa. Infatti, la Commissione ha omesso due volte di tenere conto delle variazioni di intensità, compresi due periodi di sospensione: la prima volta nella determinazione dell’importo di partenza in funzione della gravità, e la seconda nella determinazione dell’aumento in funzione della durata.

151. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe commesso un errore sotto il profilo logico concludendo che l’aumento del 10% annuo era coerente con i principi indicati negli orientamenti, semplicemente perché questi ultimi prevedono un aumento fino al 10% annuo. Tale conclusione sarebbe stata esatta se gli orientamenti avessero previsto un aumento del (anziché fino al) 10%. Tuttavia, la discrezionalità della Commissione di fissare sanzioni comprese tra un massimo e un minimo non è illimitata, sicché essa deve motivare la sua scelta in base agli elementi propri di ogni singola fattispecie, motivazione che è soggetta al controllo degli organi giurisdizionali. L’applicazione dell’aumento massimo non avrebbe dovuto essere accolta dal Tribunale senza prima valutare il modo in cui la Commissione aveva esercitato il suo potere discrezionale.

152. Infine, il Tribunale avrebbe commesso un errore anche nel dichiarare che l’aumento del 125% dell’importo di partenza non era manifestamente sproporzionato. La Commissione ha ammesso nella decisione controversa che l’intensità e l’efficacia dell’intesa erano variabili e che vi sono stati significativi periodi di tensione e deviazione, e tuttavia ha applicato l’aumento massimo in funzione della durata. La KME sarebbe quindi stata trattata allo stesso modo anche qualora l’intesa avesse mantenuto la piena intensità ed efficacia per tutta la sua durata. Omettendo di riconoscere e di attribuire rilevanza a tali circostanze, e di correggere la determinazione dell’ammenda operata dalla Commissione, il Tribunale avrebbe violato i principi di proporzionalità e della parità di trattamento.

153. La KME ritiene quindi che la sentenza impugnata debba essere annullata sotto questo profilo e che la Corte debba esercitare la sua competenza anche di merito per ridurre adeguatamente la maggiorazione in funzione della durata, rideterminando l’importo di partenza e, pertanto, l’ammontare complessivo dell’ammenda.

 Risposta della Commissione

154. La Commissione afferma che il Tribunale ha stabilito di non essere tenuto a fissare l’aumento per via della durata facendo riferimento all’intensità o agli effetti dell’intesa, o alla gravità dell’infrazione. Il motivo di impugnazione della KME si limita ad esprimere dissenso rispetto a tale valutazione e a chiedere alla Corte di sostituirla con la propria motivazione, ed è pertanto irricevibile.

155. Il Tribunale ha fornito una spiegazione chiara e logica della sua valutazione, che ha risposto a tutti gli argomenti giuridici della KME. Esso ha dichiarato che un aumento dell’importo dell’ammenda in funzione della durata non è limitato all’ipotesi in cui sussiste un nesso diretto tra la durata e un danno maggiore apportato agli obiettivi comunitari sanciti dalle norme sulla concorrenza. Ha poi spiegato che gli orientamenti non stabiliscono alcuna sovrapposizione o interdipendenza tra la valutazione della gravità e quella della durata. Anzi, essi stabiliscono quattro fasi distinte. La Commissione ha i seguenti obblighi:

a)      valutare la gravità dell’infrazione in quanto tale per fissare l’importo di base;

b)      analizzare la gravità dell’infrazione in funzione delle caratteristiche di ciascuna impresa, il che può dare luogo a una modulazione dell’importo di partenza;

c)      tenere conto della durata dell’infrazione per fissare l’importo di partenza; e

d)      prendere in considerazione le circostanze aggravanti e attenuanti che consentono di adeguare l’ammenda.

156. Pertanto, la gravità dell’infrazione oppure l’intensità o gli effetti dell’intesa non fanno necessariamente parte della maggiorazione per via della durata di cui alla terza fase. Poiché gli argomenti della KME secondo cui l’aumento avrebbe dovuto essere inferiore al 10% annuo si basavano interamente su tali elementi, essi erano infondati. Ciononostante, il Tribunale ha dichiarato che il risultante aumento del 125% non era manifestamente sproporzionato.

157. La KME sostiene ora che tale valutazione era errata e che la Corte dovrebbe sostituirla con la propria. Tuttavia, «[n]ell’ambito di un ricorso d’impugnazione il controllo della Corte è volto, in primo luogo, a verificare se il Tribunale abbia preso in considerazione in maniera giuridicamente corretta tutti i fattori essenziali per valutare la gravità di un determinato comportamento (...) e, in secondo luogo, ad accertare se il Tribunale abbia risolto esaurientemente le questioni poste dal complesso degli argomenti invocati dalla ricorrente e diretti alla revoca o alla riduzione dell’ammenda. (...) In merito al carattere asseritamente sproporzionato dell’ammenda, (…) non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un ricorso d’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, sull’ammontare delle ammende inflitte ad imprese a seguito della violazione, da parte di queste ultime, del diritto [dell’Unione]» (42).

158. Il terzo motivo d’impugnazione della KME sarebbe, pertanto, irricevibile. Inoltre, per i motivi indicati dal Tribunale, esso sarebbe infondato.

159. Per quanto riguarda l’adeguatezza del controllo del Tribunale, la Commissione rileva che (nel contesto del suo quinto motivo di impugnazione, ma con riferimento alla trattazione del suo terzo motivo di ricorso in primo grado) la KME cita il punto 103 della sentenza, in cui il Tribunale fa riferimento, nel contesto degli orientamenti, alla discrezionalità della Commissione per quanto riguarda la maggiorazione da applicare per via della durata di un’infrazione. Tuttavia, al punto 100, il Tribunale aveva già effettuato la constatazione di principio secondo cui «un aumento dell’importo dell’ammenda in funzione della durata non è limitato all’ipotesi in cui sussiste un nesso diretto tra la durata e un danno maggiore [(43)] apportato agli obiettivi comunitari sanciti dalle norme sulla concorrenza». Riguardo all’argomento della KME secondo cui la stessa Commissione si era posta dei limiti adottando gli orientamenti, al punto 102 il Tribunale ha spiegato il sistema di detti orientamenti e, al punto 103, ha concluso che «[n]e consegue che la mera circostanza che la Commissione si sia riservata una possibilità di maggiorazione per anno di infrazione che, per quelle di lunga durata, può giungere fino al 10% dell’importo adottato per la gravità dell’infrazione, non la obbliga affatto a fissare tale percentuale in funzione dell’intensità delle attività dell’intesa o degli effetti della medesima, ovvero della gravità dell’infrazione. Infatti, compete alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale (…), la percentuale di maggiorazione che intende applicare per la durata dell’infrazione». Pertanto, il Tribunale ha esaminato l’argomento della KME secondo cui la Commissione si era posta determinati limiti adottando gli orientamenti, e ha concluso che non era così.

 Valutazione

160. Una caratteristica inopinata del presente motivo di impugnazione (e del corrispondente motivo in primo grado, nonché della sezione pertinente della decisione controversa) consiste nel fatto che l’intera questione appare basata su un errore aritmetico fondamentale, che risulta chiaramente dalla sentenza impugnata, anche se sembra essere sfuggito a tutti gli interessati.

161. La censura della KME ha riguardato fin dall’inizio il fatto che la sua ammenda è stata aumentata del 125%, percentuale che essa considera eccessiva, per la durata dell’infrazione. La Commissione non ha contestato tale premessa in alcun modo (il che è certamente il motivo per cui essa è stata accolta senza obiezioni dal Tribunale) e sembra avere perfino creduto di aver effettivamente aumentato l’ammenda della KME del 125% nella decisione controversa. Tuttavia, essa non lo ha fatto.

162. Risulta evidente, senza fare ricorso a calcoli complessi, che la maggiorazione era notevolmente inferiore. Se una somma viene aumentata del 100%, viene raddoppiata; pertanto, con un aumento del 125%, viene più che raddoppiata. Tuttavia, se si confrontano le cifre complessive indicate per l’intero gruppo KME ai punti 17 e 19 della sentenza impugnata (rispettivamente EUR 35 milioni ed EUR 56,88 milioni) (44), si può constatare che la maggiorazione descritta al punto 19 ha portato ad una cifra inferiore al doppio dell’importo di partenza. Infatti, l’aumento reale è stato del 62,5% (45), appena metà di quello asserito, presunto o accettato nel corso del procedimento. In effetti, la Commissione ha considerato la condotta della KME come una partecipazione a due infrazioni separate, una di sette anni e una di cinque anni e mezzo, il che ha portato ad una maggiorazione complessiva per via della durata inferiore rispetto al caso della Outokumpu e della Wieland, malgrado tale condotta sia stata tenuta da tutti i partecipanti per almeno 12 anni e 10 mesi (46).

163. È preoccupante che una tale discrepanza di quasi EUR 22 milioni (47) non venga notata. Forse i contabili della KME non hanno verificato i calcoli contenuti nella decisione controversa, o non hanno avuto occasione di attirare l’attenzione sul problema, e forse i suoi legali non possedevano la necessaria capacità di calcolo o non hanno prestato attenzione agli ordini di grandezza di cui al modo da me descritto al punto precedente. Probabilmente le cifre non sono mai state verificate neppure dalla Commissione, né in fase di calcolo dell’ammenda né durante il procedimento dinanzi alla Corte. Se l’intenzione era effettivamente di applicare un aumento complessivo del 62,5% (il che appare improbabile), sembrerebbe quanto meno che non sia intercorsa alcuna comunicazione all’interno della Commissione tra i responsabili della determinazione dell’ammenda e i responsabili della difesa contro il ricorso della KME.

164. In ogni caso, il risultato finale sembra essere che, mentre le ammende per la Outokumpu e la Wieland sono state effettivamente maggiorate del 125% (un totale cumulato di poco inferiore al 10% per ogni anno dell’infrazione) nella fase del calcolo, le ammende della KME sono state maggiorate solo del 62,5% (leggermente meno del 5% annuo), malgrado essa avesse partecipato all’intesa, sia come gruppo che come impresa separata, per lo stesso periodo di tempo (48). Ciò rivela un difetto della decisione controversa che, se rilevato, avrebbe potuto essere contestato dalla Outokumpu o dalla Wieland, o avrebbe potuto indurre il Tribunale ad aumentare l’ammenda irrogata alla KME.

165. La questione, tuttavia, è come ciò influisca sul presente motivo di impugnazione.

166. A mio parere, tale circostanza sembra rendere il motivo inoperante. Invero, essa sembra rendere irrilevanti il motivo originale di ricorso e gli argomenti della Commissione, nonché le constatazioni del Tribunale. L’argomento della KME è che la Commissione non avrebbe dovuto applicare la maggiorazione massima del 10% per ogni anno dell’infrazione in relazione ad una durata presunta di (oltre) 12 anni e mezzo, con un aumento complessivo del 125%. La Commissione non lo ha fatto, e la questione dovrebbe chiudersi qui.

167. È vero che, teoricamente, sarebbe possibile esaminare separatamente la questione se la Commissione dovesse applicare la maggiorazione massima del 10% annuo nel modo in cui l’ha fatto, con un aumento complessivo del 62,5%. Tuttavia, sia la motivazione del Tribunale che l’argomento dedotto dalla KME in fase di impugnazione si basano sulla premessa che la maggiorazione complessiva sia stata del 125%. Sarebbe pura speculazione esaminare la questione alla luce di ciò che tale motivazione e tale argomento avrebbero potuto essere se fosse stato preso in considerazione l’aumento reale.

168. Si potrebbe sostenere che la mancata constatazione della discrepanza da parte del Tribunale confermi l’affermazione della KME secondo cui il livello di controllo giurisdizionale sarebbe stato insufficiente. Tuttavia, il Tribunale si è limitato a basare la sua sentenza su una premessa accettata da entrambe le parti. Inoltre, qualora il Tribunale avesse accertato che la premessa era errata, il risultato non avrebbe potuto essere favorevole alla KME, la quale, pertanto, non può lamentare alcuna ripercussione negativa sui propri diritti.

 Sul quarto motivo di impugnazione: riduzione dell’ammenda in ragione della cooperazione

 Passaggi pertinenti della sentenza impugnata

169. Nella decisione controversa la Commissione ha ridotto l’ammenda dell’Outokumpu per tenere conto del fatto che essa aveva fornito prove che consentivano di stabilire che la durata dell’infrazione era stata di 12 anni e 10 mesi, anziché di soli quattro anni. La riduzione ha posto la Outokumpu nella stessa posizione in cui si sarebbe trovata se la maggiorazione per via della durata fosse stata solo del 40%, anziché del 125%.

170. Nel quarto capo del suo quarto motivo di ricorso la KME sosteneva che, in violazione degli orientamenti, nonché dei principi dell’equità e della parità di trattamento, la Commissione non aveva tenuto sufficientemente conto del suo contributo all’accertamento della durata complessiva dell’infrazione. Essendo stata la prima a fornire alla Commissione prove decisive (in contrapposizione alle mere informazioni) relative a due periodi dell’infrazione (da maggio 1988 a novembre 1992 e da maggio 1998 alla fine del 1999), la KME avrebbe dovuto beneficiare di una riduzione dell’ammenda inflittale in relazione a tali periodi, nello stesso modo in cui è stata ridotta l’ammenda dell’Outokumpu.

171. Il Tribunale ha respinto tale argomento ai punti 123‑133 della sua sentenza:

«123      (…) occorre anzitutto constatare che, a titolo della comunicazione del 1996 sulla cooperazione, né l’Outokumpu né le ricorrenti potevano beneficiare di una riduzione superiore al 50% dell’importo finale delle ammende loro irrogate, poiché esse non avevano denunciato l’infrazione alla Commissione prima che quest’ultima procedesse ad accertamenti che le hanno fornito sufficienti ragioni per promuovere il procedimento d’infrazione che ha condotto alla decisione impugnata.

124      È altresì pacifico che la Commissione sia stata informata per la prima volta della durata complessiva del cartello grazie ad una memoria dell’Outokumpu datata 30 maggio 2001. Infatti, in base alle informazioni precedentemente fornite dalla società Mueller Industries, la Commissione era soltanto in condizione di provare l’esistenza di un’infrazione dal maggio 1994 al maggio 1998. Tuttavia, le ricorrenti sostengono che grazie all’informazione da esse trasmessa alla Commissione nell’ottobre 2002 quest’ultima ha potuto provare definitivamente l’esistenza del cartello per i periodi da maggio 1988 a novembre 1992 e da maggio 1998 fino alla fine del 1999.

125      Avendo dimostrato la durata supplementare dell’infrazione, la Commissione poteva aumentare gli importi iniziali delle ammende inflitte ai contravventori del 125% anziché del 40%, in forza del punto 1 B degli orientamenti. Pertanto, le imprese che avevano fornito alla Commissione l’informazione sulla durata supplementare dell’infrazione correvano il rischio di vedere maggiorato di 85 punti percentuali supplementari l’importo iniziale delle loro ammende.

126      Si tratta qui di un paradosso inerente alla comunicazione del 1996 sulla cooperazione, nel senso che un’impresa che rientra nel punto D di detta comunicazione e che fornisce alla Commissione informazioni nuove corre il rischio di essere sanzionata più severamente che se non avesse trasmesso tali informazioni alla Commissione. Il punto 3, sesto trattino, degli orientamenti, secondo cui una “collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione [della comunicazione del 1996 sulla cooperazione]” può costituire una circostanza attenuante, permette di ovviare a tale paradosso.

127      Nella specie, applicando, senza farne menzione, il punto 3, sesto trattino, degli orientamenti, di fatto la Commissione ha concesso all’Outokumpu un’immunità per quanto concerne la durata supplementare dell’intesa che essa ignorava prima della ricezione della sua memoria del 30 maggio 2001 (punto 386 della decisione impugnata).

128      Occorre dunque verificare se la Commissione fosse tenuta, o in virtù del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti, o in ossequio al principio della parità di trattamento, a concedere anche alle ricorrenti una riduzione per le informazioni da esse fornite alle Commissione, oltre sedici mesi dopo l’Outokumpu, in merito ai periodi dal 1988 al 1992 e dal 1998 al 1999.

129      Al riguardo, va preliminarmente ricordato che la Commissione dispone di un potere discrezionale per quanto riguarda l’applicazione delle circostanze attenuanti (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punto 307).

130      Occorre poi sottolineare che è inerente alla logica dell’immunità da ammende che solo uno dei membri di un’intesa possa beneficiarne, atteso che l’effetto ricercato è di creare un clima di incertezza in seno alle intese incoraggiando la loro denuncia presso la Commissione. Orbene, tale incertezza scaturisce proprio dal fatto che i partecipanti all’intesa sanno che solo uno di essi potrà beneficiare dell’immunità da ammende denunciando gli altri partecipanti all’infrazione, esponendoli dunque al rischio che vengano loro inflitte ammende più severe.

131      In una situazione quale quella del caso di specie, in cui la Commissione è a conoscenza dell’esistenza di un’intesa, ma non dispone di determinati elementi fondamentali idonei a dimostrare la durata complessiva di tale infrazione, è particolarmente auspicabile far ricorso ad un siffatto meccanismo, soprattutto per evitare che i contravventori si mettano d’accordo sull’occultamento dei suddetti elementi.

132      Una situazione del genere si distingue da quella in cui la Commissione dispone già di mezzi di prova, ma tenta di integrarli. In quest’ultima ipotesi, la concessione di una riduzione di ammenda ai contravventori anziché di un’immunità da ammende ad un’unica impresa si giustifica per il fatto che l’obiettivo non è più quello di portare alla luce una circostanza tale da comportare un aumento dell’ammenda inflitta, bensì di raccogliere più prove possibili per rafforzare la capacità della Commissione di dimostrare i fatti di cui trattasi.

133      Per quanto riguarda l’asserita disparità di trattamento tra l’Outokumpu e le ricorrenti, è sufficiente rilevare che esse non si trovavano in una situazione analoga, poiché la prima ha fornito alla Commissione le informazioni riguardanti la durata supplementare di otto anni e mezzo dell’intesa più di un anno prima delle ricorrenti».

 Sintesi degli argomenti

 Impugnazione della KME

172. La KME sottolinea che la circostanza attenuante della «collaborazione al di là del campo di applicazione della comunicazione sulla cooperazione» colma una lacuna della comunicazione sulla cooperazione del 1996 – cui è stato posto rimedio nel 2002 – garantendo che un’impresa che fornisce alla Commissione prove di cui essa non era ancora a conoscenza, relativa alla gravità e/o alla durata dell’infrazione, non venga sanzionata più severamente che se non l’avesse fatto. A tale impresa viene concessa un’immunità parziale in relazione ad aspetti dell’infrazione precedentemente sconosciuti alla Commissione, che detta impresa ha consentito alla Commissione di accertare. Per definizione, può beneficiarne una sola impresa. Poiché la KME non aveva contestato tale principio, il Tribunale avrebbe verificato sulla base di una comprensione errata del suo argomento la questione se la Commissione fosse tenuta «a concedere anche alle ricorrenti una riduzione per le informazioni da esse fornite alle Commissione, oltre sedici mesi dopo l’Outokumpu, in merito ai periodi dal 1988 al 1992 e dal 1998 al 1999».

173. La KME sostiene che vi sono due possibili criteri alternativi per l’applicazione di tale circostanza attenuante: essa si applicherebbe alla prima impresa che fornisca alla Commissione a) un’informazione oppure b) una prova che essa ignorava e che attiene alla gravità o alla durata di un’infrazione. La KME considera che il secondo criterio sia quello corretto, e che il Tribunale abbia erroneamente applicato il primo per valutare quale dei due partecipanti all’intesa che avevano collaborato – la KME o l’Outokumpu – potesse beneficiarne. Essa fonda la sua opinione sulle considerazioni che seguono.

i)      le disposizioni corrispondenti delle comunicazioni sulla cooperazione del 2002 e del 2006 (49) indicano entrambe chiaramente che solo un’impresa che fornisca elementi probatori (e non semplici informazioni) alla Commissione può beneficiare di un’immunità parziale;

ii)      la Commissione non ha modificato la propria politica in materia di ammende successivamente alle comunicazioni sulla cooperazione del 2002 e del 2006, e pertanto non dovrebbe interpretare la «collaborazione al di là del campo di applicazione della comunicazione sulla cooperazione» di cui alla comunicazione del 1996 in un modo non conforme alla comunicazione del 2006;

iii)      secondo le comunicazioni sulla cooperazione del 2002 e del 2006, il fatto che la Commissione possa avere una certa conoscenza dell’attività del cartello non osta a che venga concessa la piena immunità dalle ammende ai soggetti che richiedono un trattamento favorevole anche quando tale conoscenza sia sufficiente per condurre accertamenti in loco (ma non a dimostrare un’infrazione); analogamente, il fatto che la Commissione possa avere una certa conoscenza del comportamento anticoncorrenziale per un certo periodo di tempo – anche grazie ad informazioni non comprovate fornite da un partecipante all’intesa – non dovrebbe ostare a che venga concessa un’immunità parziale ad un soggetto che chieda provvedimenti di trattamento favorevole qualora esso fornisca successivamente prove di tale comportamento sufficienti per consentire alla Commissione di dimostrare l’intesa in relazione a detto periodo;

iv)      infine, le imprese sarebbero molto più riluttanti a collaborare con la Commissione qualora temessero di essere sanzionate in relazione a periodi per i quali siano state le uniche a fornire i necessari elementi probatori; senza la collaborazione della KME, la Commissione non avrebbe potuto dimostrare l’infrazione continuata dal 1988 al 2001; la motivazione sottesa all’applicazione della pertinente circostanza attenuante all’Outokumpu per i periodi 1988‑1993 e 1999‑2001 valeva anche per la KME in relazione agli stessi periodi; non è quindi equo che la KME, che aveva fornito alla Commissione prove che essa ignorava relative sia alla durata che alla gravità dell’infrazione, sia stata sanzionata per un’infrazione di più lunga durata, che la Commissione ha potuto accertare (e non semplicemente sospettare) solo grazie alla sua collaborazione.

174. La KME chiede quindi alla Corte di annullare la sentenza impugnata nella misura in cui il Tribunale non ha dichiarato che la KME doveva beneficiare di una riduzione del moltiplicatore per la durata applicato all’importo di base dell’ammenda per i periodi dal maggio 1988 a novembre 1992 e da maggio 1998 alla fine del 1999, e di annullare la parte pertinente della decisione controversa e conseguentemente di ricalcolare l’ammenda nell’esercizio della sua competenza anche di merito.

 Risposta della Commissione

175. La Commissione sostiene che, nelle sue considerazioni relative alle circostanze in cui deve essere concessa un’immunità parziale – contrapposta alla riduzione dell’ammenda per la cooperazione – il Tribunale ha fornito una spiegazione chiara e logica rispondendo a tutti gli argomenti giuridici della KME. Ai punti 123‑127 della sua sentenza esso ha spiegato che, rivelando la durata supplementare dell’intesa alla Commissione, l’Outokumpu le ha consentito di aumentare l’importo di base della sua ammenda dell’85%, mentre la riduzione massima dell’ammenda a titolo della cooperazione era del 50%. La Commissione ha risolto tale paradosso concedendo all’Outokumpu una riduzione dell’ammenda equivalente all’immunità parziale per la durata supplementare da essa rivelata. Ai punti 131 e 132 il Tribunale ha spiegato perché tale situazione sia diversa da quella delle imprese che forniscono solo elementi probatori relativi ad un periodo dell’intesa già noto alla Commissione.

176. La KME chiede alla Corte di sostituire la valutazione del Tribunale applicando il criterio da lei proposto. Non solo tale richiesta sarebbe irricevibile, ma la valutazione del Tribunale sarebbe palesemente corretta e quella della KME palesemente errata. Quando l’Outokumpu ha fornito alla Commissione informazioni che essa ignorava, ha rivelato la durata complessiva dell’intesa e la Commissione ha potuto, per la prima volta, indagare e cercare riscontri probatori atti a dimostrare tale durata complessiva. In mancanza di tali informazioni, non sarebbe stato possibile adottare una decisione di infrazione per anni in relazione ai quali l’intesa sarebbe rimasta ignota. La KME ha fornito solamente prove che, seppure non ancora in possesso della Commissione, riguardavano elementi dell’infrazione che erano già noti (essendo riferibili al periodo già rivelato dall’Outokumpu) e pertanto non avevano tale impatto fondamentale sull’inchiesta. La Commissione stava già indagando e cercando riscontri per dimostrare la durata dell’intesa, e avrebbe potuto ottenerli anche senza la collaborazione della KME. La KME ha agevolato il compito della Commissione, ma niente di più.

177. La distinzione formulata dalla KME tra informazioni ed elementi probatori non è decisiva. In realtà, le «informazioni» fornite dall’Outokumpu erano anche elementi probatori. La memoria dell’Outokumpu del 30 maggio 2001, menzionata al punto 124 della sentenza impugnata, è stata utilizzata come prova nella decisione controversa. Per contro, gli «elementi probatori» forniti dalla KME hanno chiaramente procurato alla Commissione informazioni in ordine ad alcuni dettagli dell’intesa. Il fattore decisivo è se un’«informazione» o un «elemento probatorio» riveli per la prima volta un elemento dell’intesa atto ad influire sulla gravità o sulla durata della stessa che non avrebbe potuto essere accertato senza il contributo dell’impresa interessata.

178. Inoltre, alla KME non sarebbe stata concessa l’immunità parziale ai sensi della comunicazione sulla cooperazione del 2002 da essa citata. Detta comunicazione offre l’immunità parziale ad un’impresa che «fornisce elementi di prova relativi a fatti in precedenza ignorati dalla Commissione che hanno un’incidenza diretta sulla gravità o la durata della presunta intesa». Le prove fornite dalla KME riguardavano fatti già noti alla Commissione, vale a dire la durata complessiva dell’intesa.

179. Il criterio alternativo proposto dalla KME duplicherebbe – e renderebbe inapplicabile – il criterio per la concessione di una riduzione a titolo della cooperazione di cui al punto D della comunicazione sulla cooperazione del 1996, secondo cui un’impresa che fornisca «informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione» beneficia di una riduzione dal 10% al 50%. Il criterio suggerito dalla KME comporterebbe la concessione dell’immunità, mentre la comunicazione sulla cooperazione prevede espressamente una riduzione massima del 50%, e si minerebbe così il sistema istituito dalla comunicazione sulla cooperazione. La KME è stata adeguatamente compensata per la sua collaborazione con una riduzione del 30% dell’ammenda, che è stata confermata dal Tribunale e non è stata contestata in sede di impugnazione.

180. Per quanto riguarda l’adeguatezza dell’esame del Tribunale, la Commissione rileva (nel contesto del suo quinto motivo di impugnazione, ma con riferimento al trattamento del suo quarto motivo di ricorso) che la KME cita il punto 115 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha dichiarato che, in assenza di indicazioni di carattere imperativo negli orientamenti, la Commissione aveva conservato un certo margine di discrezionalità riguardo alle circostanze attenuanti, e il punto 129, in cui esso ha ulteriormente osservato che la Commissione disponeva di un potere discrezionale a tale riguardo. Tuttavia, tali rilievi sono stati effettuati nel contesto di argomenti della KME secondo cui la Commissione aveva violato il punto 3 degli orientamenti rifiutando di tenere conto di talune circostanze attenuanti. La questione era per il Tribunale se tali argomenti riguardassero materie nelle quali la Commissione si era posta dei limiti negli orientamenti, oppure materie nelle quali essa manteneva il proprio potere discrezionale. Ciò non indica la mancanza di un controllo giurisdizionale adeguato, ma riflette semplicemente la natura degli argomenti addotti dalla KME in primo grado. In relazione alla doglianza secondo cui la KME avrebbe dovuto beneficiare dell’immunità parziale anziché «semplicemente» di una riduzione dell’ammenda a titolo della cooperazione, il Tribunale, in ogni caso, ha constatato che ciò non sarebbe stato corretto, dichiarando, ad esempio al punto 132, che «la concessione di una riduzione di ammenda ai contravventori anziché di un’immunità da ammende ad un’unica impresa si giustifica per il fatto che l’obiettivo non è più quello di portare alla luce una circostanza tale da comportare un aumento dell’ammenda inflitta».

 Valutazione

181. Rilevo che, se l’ammenda della KME fosse stata ridotta nella decisione controversa in modo tale da escludere di fatto la maggiorazione per via della durata in relazione ai periodi, per un totale di sei anni e un mese, riguardo ai quali essa afferma di avere fornito alla Commissione «prove decisive», ciò avrebbe significato applicare una maggiorazione solo per i restanti sei anni e nove mesi dell’infrazione. Se la percentuale annua fosse stata mantenuta al 10% come per gli altri partecipanti, ciò avrebbe comportato una maggiorazione del 67,5% – vale a dire, il 5% in più della maggiorazione complessiva effettivamente (e forse inavvertitamente) applicata (50). Pertanto, anche in questo caso, sembrerebbe plausibile che, qualora il Tribunale avesse avuto piena cognizione della situazione, il risultato non avrebbe potuto essere vantaggioso per la KME neppure qualora ne fosse stato accolto tale specifico argomento.

182. Ciò premesso, si potrebbe ritenere che sia possibile adottare lo stesso approccio da me suggerito per il terzo motivo di impugnazione e dichiarare inoperante il motivo in esame (unitamente all’argomento dedotto in primo grado). In questo caso, tuttavia, mi sembra che la questione se la KME dovesse essere trattata come se non avesse partecipato all’intesa nei periodi per i quali aveva fornito prove alla Commissione non sia inscindibilmente connessa alla questione relativa alla percentuale di aumento e possa quindi essere esaminata separatamente.

183. L’argomento della KME si fonda, sostanzialmente, su tre affermazioni, che, in linea di principio devono essere tutte dimostrate affinché l’argomento possa essere accolto: a) le informazioni che rivelano un periodo dell’infrazione devono essere tenute distinte dagli elementi probatori atti a dimostrare che un’infrazione ha avuto luogo in un determinato periodo; b) se le informazioni vengono fornite prima da un soggetto e poi da un altro, solo il secondo deve beneficiare di un’immunità in relazione al periodo in questione, e c) per i periodi da maggio 1988 a novembre 1992 e da maggio 1998 alla fine del 1999 la KME ha fornito elementi probatori, mentre in precedenza l’Outokumpu aveva fornito solo informazioni.

184. Riguardo ad a), concordo con la Commissione che non si può formulare alcuna distinzione valida tra informazioni (termine con cui la KME sembra fare riferimento alle dichiarazioni basate sui ricordi) ed elementi probatori (espressione con cui essa sembra fare riferimento ad elementi documentali o comunque tangibili dai quali possano trarsi conclusioni). Infatti, le informazioni forniscono elementi probatori (se così non fosse, non vi sarebbe motivo di sentire i testimoni in giudizio) e gli elementi probatori forniscono informazioni (senza le quali essi non avrebbero alcun valore). Il Tribunale non è quindi incorso in un errore per avere considerato i contributi dell’Outokumpu e della KME equivalenti sotto il profilo dell’utilità alle indagini della Commissione.

185. Quanto a b), sebbene, in generale, le informazioni e gli elementi di prova, per loro stessa natura, non possano essere distinti sotto il profilo della loro utilità ai fini di un’indagine, è tuttavia possibile che contributi diversi, siano essi «informazioni» o «elementi probatori», differiscano ampiamente per quanto riguarda la loro utilità nel contesto di una specifica inchiesta. Infatti, è possibile che un partecipante all’intesa fornisca informazioni o elementi probatori relativi ad un periodo dell’infrazione tanto vaghi e non determinanti da risultare privi di qualsiasi utilità pratica per la Commissione, e che un altro fornisca successivamente informazioni o prove circostanziate di importanza decisiva per dimostrare che l’infrazione ha avuto luogo nel periodo considerato. In tal caso, non sembrerebbe inappropriato che la Commissione, qualora accordi una riduzione dell’ammenda a tale titolo, favorisca il secondo e, qualora dovesse invece favorire il primo, il secondo sia legittimato a chiedere al Tribunale di controllare tale approccio nell’esercizio della sua competenza anche di merito, anche se l’esito dipenderebbe dalla valutazione dei fatti operata dal Tribunale stesso. In ogni caso, è pacifico che la «logica dell’immunità da ammende» cui il Tribunale fa riferimento al punto 130 della sua sentenza milita a favore della concessione di un trattamento favorevole solo al primo partecipante che fornisca sufficienti informazioni o elementi probatori.

186. Quanto a c), la questione se gli «elementi probatori» della KME fossero decisivi per consentire alla Commissione di concludere che il cartello era operativo nei periodi in questione, mentre le precedenti «informazioni» non erano tali da permettere di trarre alcuna conclusione in tal senso, è una questione di fatto che non può essere esaminata nell’ambito di un procedimento di impugnazione. Inoltre, dai punti 128 e 131‑133 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha constatato a tale riguardo che l’Outokumpu ha fornito informazioni atte a dimostrare la durata complessiva dell’infrazione, che la KME ha integrato, oltre 16 mesi più tardi, con elementi probatori che hanno aumentato le possibilità della Commissione di accertare i fatti. In base a tale valutazione fattuale, è indubbio che il Tribunale non sia incorso in alcun errore di diritto respingendo il quarto capo del quarto motivo di ricorso della KME.

187. Infine, per quanto riguarda la questione dell’adeguatezza del controllo effettuato dal Tribunale, è evidente che le sue dichiarazioni relative alla discrezionalità della Commissione nella scelta delle circostanze attenuanti da prendere in considerazione non gli hanno minimamente impedito di esaminare e rispondere correttamente agli argomenti della KME, e che esso ha raggiunto la propria conclusione in base ad una reale valutazione dei fatti e degli argomenti che gli sono stati presentati.

 Sulle spese

188. Ai sensi dell’art. 122 del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nella causa in esame, ritengo che l’impugnazione debba essere respinta. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la KME deve quindi essere condannata alle spese.

 Conclusione

189. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di statuire come segue:

–        l’impugnazione è respinta, e

–        la KME Germany AG, la KME France SAS e la KME Italy SpA sono condannate alle spese.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Nota relativa alla versione inglese delle conclusioni.


3 – Sentenza 6 maggio 2009, causa T‑127/04, KME Germany e a./Commissione (Racc. pag. II‑1167; in prosieguo: la «sentenza impugnata»). Anche gli altri partecipanti all’intesa, ai quali è stata inflitta un’ammenda con la medesima decisione, avevano impugnato tale decisione e i loro ricorsi sono stati parimenti respinti alla stessa data: v. sentenze 6 maggio 2009, causa T‑116/04, Wieland‑Werke/Commissione (Racc. pag. II‑1087), e causa T‑122/04, Outokumpu e Luvata/Commissione (Racc. pag. II‑1135).


4 – Proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1). Una versione aggiornata è stata approvata dal Parlamento europeo il 29 novembre 2007, dopo la soppressione dei riferimenti alla Costituzione europea (GU C 303, pag. 1); la versione consolidata più recente – post Lisbona – è pubblicata nella GU 2010, C 83, pag. 389.


5 –      Versione originale (2000). Attualmente, la seconda frase così recita: «Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati».


6 – Regolamento 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204). A decorrere dal 1° maggio 2004 il regolamento n. 17 è stato abrogato e sostituito dal regolamento (CE) 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1), che ha trasferito buona parte delle competenze di attuazione del diritto della concorrenza dell’Unione ai giudici e alle autorità degli Stati membri.


7 –      L’unità di conto è il predecessore dell’euro.


8 –      Disposizioni sostanzialmente identiche sono attualmente contenute nell’art. 23, nn. 2, 3 e 5, del regolamento n. 1/2003.


9 –      Una disposizione sostanzialmente identica è attualmente contenuta nell’art. 31 del regolamento n. 1/2003.


10 – Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3). Gli orientamenti del 1998 sono stati sostituiti a decorrere dal 1° settembre 2006 dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2). Gli orientamenti del 2006 adottano un approccio piuttosto diverso, basato sostanzialmente su un importo di base fissato generalmente al 30% del valore annuo delle vendite connesse all’infrazione (adeguato, se necessario, in considerazione di tutte le circostanze del caso), moltiplicato per il numero di anni della partecipazione e ulteriormente adeguato alla luce delle circostanze aggravanti e attenuanti e di un elemento di deterrenza, il tutto entro il limite massimo del 10% del fatturato annuo e fatta salva l’applicazione delle norme sulla cooperazione (v. infra, paragrafo 22 e nota 13), con la possibilità eccezionale di ridurre un’ammenda che potrebbe altrimenti risultare fatale per un’impresa.


11 –      Nota relativa alla versione inglese delle conclusioni.


12 – Come si vedrà nell’ambito del terzo e del quarto motivo di impugnazione, può essere utile precisare che ciò comporta (e si tratta di un’interpretazione che, per quanto è a mia conoscenza, non è mai stata messa in discussione) un aumento dell’importo complessivo del (≤10 x n)%, dove n = numero di anni della durata dell’infrazione. V. anche punto 19 della sentenza impugnata, infra, paragrafo 26 e nota 16.


13 – Comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4), applicabile all’epoca dei fatti. Tale comunicazione è stata sostituita a decorrere dal 14 febbraio 2002 dalla Comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3), sostituita a sua volta nel 2006 dalla Comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17).


14 – C(2003) 4820 def. (Caso COMP/E-1/38.240 – Tubi industriali) (in prosieguo: la «decisione contestata» o la «decisione controversa»). Una sintesi di tale decisione è stata pubblicata nella GU 2004, L 125, pag. 50.


15 – Composto da EUR 10,41 milioni per la KME Germany, EUR 10,41 milioni in solido per la KME France e la KME Italy, in entrambi i casi in relazione al periodo compreso tra il 3 maggio 1988 e il 19 giugno 1995, ed EUR 18,99 milioni in solido per le tre imprese per il periodo compreso tra il 20 giugno 1995 e il 22 marzo 2001.


16 –      Benché ciò non venga rilevato nella sentenza impugnata, la decisione controversa ha maggiorato l’importo di base del 125% per la Outokumpu e la Wieland, rispettivamente da EUR 17,33 milioni a EUR 38,98 milioni e da EUR 11,55 milioni a EUR 25,99 milioni (punti 328, 334 e 347 della decisione controversa).


17 – Sentenza 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig/Commissione (Racc. pag. 458, in particolare pag. 501).


18 – La Commissione sembra fare riferimento soltanto al secondo, al terzo e al quarto motivo, in quanto i passaggi della sentenza citati dalla KME (v. supra, paragrafo 41) riguardano solo tali motivi.


19 – Corte eur. D.U., sentenza Engel e a. c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, serie A n. 22 (§ 82).


20 – V., ad esempio, Corte eur. D.U., sentenza Jussila c. Finlandia [GC], ricorso n. 73053/01, Recueil des arrêts et décisions, 2006‑XIII.


21 – V. paragrafi 48‑52 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot il 26 ottobre 2010 nella causa C‑352/09 P, ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, che condivido pienamente, e la giurisprudenza ivi citata.


22 – Non è necessario stabilire se – come è stato chiesto in udienza – tale stigma sia più grave di quello per l’evasione fiscale, anche se il semplice fatto che la questione sia stata sollevata non è un riflesso lusinghiero della moralità percepita delle imprese.


23 – Ritengo che non sia necessario prendere in considerazione gli argomenti della KME relativi al sensibile aumento del livello delle ammende comminate dalla Commissione negli ultimi anni; non è la severità della sanzione concretamente inflitta ciò che definisce la natura dell’illecito, bensì la gamma di sanzioni che possono essere irrogate.


24 – Gli orientamenti parlano degli «obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni» e fanno riferimento alla fissazione dell’ammenda «ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo».


25 – Decisione della Terza Sezione 3 giugno 2004, sulla ricevibilità dei ricorsi 69042/01, 69050/01, 69054/01, 69055/01, 69056/01 e 69058/01, OOO Neste St Petersburg e a. c. Russia.


26 – Cit. supra alla nota 20, punto 43, che richiama Corte eur. D.U., sentenza Société Stenuit c. Francia del 27 febbraio 1992, serie A n. 232-A, con particolare riguardo al diritto della concorrenza.


27 – V. anche Corte eur. D.U., sentenza Albert e Le Compte c. Belgio del 10 febbraio 1983, serie A n. 58 (§ 29).


28 – V. Corte eur. D.U., sentenza Belilos c. Svizzera del 29 aprile 1988, serie A n. 132 (§ 68).


29 – La KME cita, ad esempio, D. Slater e a., Competition law proceedings before the European Commission and the right to a fair trial: no need for reform?, GCLC Working Paper 04/08, e Wisking, S., Does the European Commission Provide Parties with a Proper Opportunity to be Heard on the Level of Fines?, GCP – The Online Magazine for Global Competition Policy [edizione del giugno 2009(2)].


30 – Anche se si deve riconoscere che sono stati presi provvedimenti a più riprese per introdurre una maggiore separazione delle funzioni, e l’esempio forse più emblematico è rappresentato dalla decisione di nominare un consigliere‑auditore indipendente a presiedere l’audizione, al posto del direttore della Direzione che conduce l’indagine, come avveniva in precedenza [v. 11a relazione della Commissione sulla politica di concorrenza (1981), punto 26].


31 – Ciò varrebbe anche se il procedimento in questione riguardasse una controversia puramente «civile» (v., ad esempio, Corte eur. D.U., sentenza Obermeier c. Austria del 28 giugno 1990, serie A n. 179, §§ 67 e 70), il che includerebbe le controversie di diritto amministrativo.


32 – V. Corte eur. D.U., sentenza Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, punto 20, Recueil des arrêts et décisions, 2006-III, e la giurisprudenza ivi citata.


33 – V. Corte eur. D.U., sentenza Crompton c. Regno Unito del 27 ottobre 2009, n. 42509/05 (§ 71 e giurisprudenza ivi citata).


34 – V., per un esempio recente, sentenza 14 ottobre 2010, causa C‑280/08 P, Deutsche Telekom/Commissione (Racc. pag. I‑9555, punto 24).


35 – Sentenza 27 settembre 2006, causa T‑322/01, cit. al punto 68 della sentenza impugnata (punto 73).


36 – Che, quand’anche potessero dare adito a dubbi in inglese, corrispondono all’inequivocabile «[à] titre surabondant» nella versione francese in cui il Tribunale ha redatto la propria sentenza.


37 – Mi riferisco in particolare alle sintesi di cui ai paragrafi 95 e segg. delle conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella causa Mo och Domsjö/Commissione, nonché ai punti 129 e 130 della sentenza Dalmine/Commissione, entrambe richiamate al punto 64 della sentenza impugnata, cit. supra, al paragrafo 84.


38 – V., in particolare, punti 299‑301 e 314 della decisione controversa.


39 – Cit. al punto 91 della sentenza impugnata.


40 –      V. infra, nota 43.


41 – Sentenza 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione (Racc. pag. II‑897, punti 247 e 254).


42 – Sentenza 29 aprile 2004, causa C‑359/01 P, British Sugar/Commissione (Racc. pag. I‑4933, punti 47 e 48).


43 – Nota relativa alla versione inglese delle conclusioni.


44 – V. supra, paragrafo 26.


45 – Più precisamente, esso è stato leggermente superiore al 62,5% in quanto, dopo avere effettuato i calcoli, la Commissione ha arrotondato la cifra risultante da EUR 56,875 milioni a EUR 56,88 milioni; tuttavia, in una fase successiva vi è anche stato un arrotondamento di compensazione per difetto, allorché è stata applicata una riduzione del 30%. Gli importi sui quali la Commissione ha lavorato nella decisione controversa sembrano essere tutti arrotondati ai 10 000 EUR più vicini.


46 – Poiché il gruppo KME è stato costituito solo nel 1995 (anche se le entità costituenti hanno partecipato all’intesa per l’intero periodo), la Commissione ha suddiviso l’ammenda complessiva in due parti uguali: una per il periodo dal 1988 al 1995, ulteriormente suddivisa tra le varie entità, e l’altra per il periodo dal 1995 al 2001, per il gruppo nel suo insieme. Alla prima parte la Commissione ha applicato una maggiorazione del 70% e alla seconda una maggiorazione del 55% – per un totale, essa sembra avere ritenuto, del 125%, che era la maggiorazione da essa applicata all’importo di base per la Outokumpu e la Wieland (v. supra, nota 16). Di fatto, tuttavia, se una metà di una somma viene aumentata di una percentuale e l’altra metà viene aumentata di una percentuale diversa, l’importo totale viene aumentato non della somma, bensì della media delle due percentuali. Ciò diviene apparentemente più chiaro se si immagina che ciascuna metà venga aumentata della stessa percentuale, poniamo il 55% in ciascun caso; l’aumento complessivo rimane del 55%, e non del 110%.


47 – Se l’importo di base di EUR 35 milioni fosse stato maggiorato del 125%, il risultato sarebbe stato EUR 78,75 milioni, EUR 21,87 milioni in più dell’effettivo totale di EUR 56,88 milioni.


48 – In base ai miei calcoli, se l’ammenda irrogata alla KME avesse subito lo stesso aumento, il suo ammontare complessivo dopo la successiva riduzione del 30% sarebbe stato di EUR 55,125 milioni (35 + 125% = 78,75; 78,75 – 30% = 55,125) anziché di EUR 39,81 milioni. Tale totale avrebbe quindi potuto essere ripartito, nella misura necessaria, in base al rapporto 7:5,5 che rappresenta i due periodi dal 1988 al 1995 e dal 1995 al 2001.


49 –      V. supra, nota 13.


50 – V. supra, paragrafi 161 e segg.