CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 17 giugno 2010 1(1)

Causa C‑229/09

Rechtsanwaltssozietät Lovells

contro

Bayer CropScience AG

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundespatentgericht (Germania)]

«Regolamento (CE) n. 1610/96 – Art. 3 – Condizioni per il rilascio di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari – Direttiva 91/414/CEE – Art. 4 – Art. 8 – Autorizzazione di immissione in commercio – Limitazione nel tempo degli effetti della sentenza pronunciata in via pregiudiziale»






Indice


I – Introduzione

II – Contesto normativo

A – Normativa comunitaria

1. Direttiva 91/414

2. Regolamento n. 1610/96

B – Normativa nazionale

III – Fatti e questione pregiudiziale

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

V – Argomenti delle parti

VI – Valutazione giuridica

A – La disciplina di cui alla direttiva 91/414 e al regolamento n. 1610/96 e la loro connessione

1. L’autorizzazione di immissione in commercio di prodotti fitosanitari secondo la direttiva 91/414

2. Il rilascio di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari ai sensi del regolamento n. 1610/96

3. Gli elementi di connessione fra il regolamento n. 1610/96 e la direttiva 91/414

B – Impossibilità di rilascio di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414

C – Limitazione nel tempo dell’efficacia della sentenza pronunciata in via pregiudiziale

VII – Conclusione


I –    Introduzione

1.        Nel presente procedimento pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE (2), il Bundespatentgericht (Tribunale federale in materia di proprietà industriale; in prosieguo: il «giudice nazionale») sottopone alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale di interpretazione del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 23 luglio 1996, n. 1610, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari (3). In sostanza, il giudice nazionale chiede di sapere se un certificato protettivo complementare di cui all’art. 3 del regolamento n. 1610/96 possa essere richiesto e rilasciato già a partire dall’ottenimento di un’autorizzazione – provvisoria – di immissione in commercio di un prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1991, 91/414/CEE, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (4), o solo a partire dall’ottenimento di un’autorizzazione – definitiva – di immissione in commercio di tale prodotto ai sensi dell’art. 4 della suddetta direttiva.

II – Contesto normativo

A –    Normativa comunitaria

1.      Direttiva 91/414

2.        A norma dell’art. 3, n. 1, della direttiva 91/414, gli Stati membri prescrivono che i prodotti fitosanitari possono essere immessi in commercio e utilizzati sul loro territorio soltanto se il prodotto in questione è stato da essi autorizzato, conformemente alle disposizioni della suddetta direttiva, sempreché l’utilizzazione prevista non sia contemplata da finalità di ricerca e sviluppo ex art. 22.

3.        L’art. 4, n. 1, della direttiva 91/414, stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri prescrivono che un prodotto fitosanitario possa essere autorizzato soltanto se:

a)      le sue sostanze attive sono elencate nell’allegato I e sono soddisfatte le condizioni ivi stabilite e, per quanto concerne le lettere b), c), d) ed e) seguenti, in applicazione dei principi uniformi di cui all’allegato VI;

b)      è accertato, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e tecniche, e dimostrato dalla valutazione del fascicolo di cui all’allegato III, che se è utilizzato in conformità dell’articolo 3, paragrafo 3 e tenuto conto di tutte le condizioni normali d’impiego e delle conseguenze del suo uso, tale prodotto:

i)      è sufficientemente efficace,

ii)      non ha effetti inaccettabili sui vegetali o sui prodotti vegetali,

iii)      non provoca sofferenze e dolori inaccettabili ai vertebrati da combattere,

iv)      non ha effetti nocivi, in maniera diretta o indiretta, sulla salute dell’uomo o degli animali (ad esempio attraverso l’acqua potabile, il cibo o i mangimi) o sulle acque sotterranee;

v)      non ha nessun influsso inaccettabile sull’ambiente, per quanto riguarda, in particolare:

–      il suo destino e la distribuzione nell’ambiente, con riferimento particolare alla contaminazione delle acque, ivi comprese quelle potabili e sotterranee,

–      l’impatto sulle specie non bersaglio;

c)      la natura e la quantità delle sostanze attive in esso contenute e, se del caso, delle sue impurezze e degli altri componenti significativi dal punto di vista tossicologico ed ecotossicologico, possono essere determinate con metodi adeguati, armonizzati secondo la procedura prevista all’articolo 21 o, in caso contrario, riconosciuti dalle autorità incaricate del rilascio dell’autorizzazione;

d)      i suoi residui, provenienti da un impiego autorizzato e che assumono un significato tossicologico o ambientale, possono essere determinati con metodi adeguati di uso corrente;

e)      le sue proprietà fisico-chimiche sono state determinate e giudicate accettabili per garantire una utilizzazione e un magazzinaggio adeguati;

f)      ove opportuno, i livelli massimi di residui (LMR) per i prodotti agricoli interessati dall’uso di cui all’autorizzazione sono fissati o modificati a norma del regolamento (CE) n. 396/2004».

4.        L’art. 5, n. 1, della direttiva 91/414 stabilisce quanto segue:

«In base alle attuali conoscenze scientifiche e tecniche una sostanza attiva viene iscritta nell’allegato I per un periodo iniziale non superiore a dieci anni se si può supporre che prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva soddisfino alle seguenti condizioni:

a)      che i loro residui derivanti da un’applicazione conforme alla buona pratica fitosanitaria non abbiano effetti nocivi sulla salute dell’uomo o degli animali o sulle acque sotterranee né un influsso inaccettabile sull’ambiente e che detti residui, se significativi dal punto di vista tossicologico o ambientale, possano essere misurati con metodi di applicazione corrente,

b)      che il loro impiego derivante da un’applicazione conforme alla buona pratica fitosanitaria non abbia effetti nocivi sulla salute dell’uomo o degli animali né un influsso inaccettabile sull’ambiente, come stabilito dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), punti iv) e v)».

5.        L’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 ha il seguente tenore:

«In deroga all’articolo 4, gli Stati membri possono, allo scopo di permettere una valutazione graduale delle proprietà delle nuove sostanze attive e facilitare la disponibilità per l’agricoltura di nuovi preparati, autorizzare, per un periodo provvisorio non superiore a 3 anni, l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non compresa nell’allegato I e non ancora in commercio due anni dopo la notifica della presente direttiva, sempreché:

a)      in seguito all’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, sia stato constatato che il fascicolo relativo alla sostanza attiva risponde ai requisiti degli allegati II e III, per quanto riguarda gli usi previsti;

b)      lo Stato membro abbia stabilito che la sostanza attiva può rispondere ai requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, e che si potrà ritenere che il prodotto fitosanitario risponda ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere da b) a f).

(…)».

2.      Regolamento n. 1610/96

6.        L’art. 2 del regolamento n. 1610/96 prescrive quanto segue:

«Ogni prodotto protetto da un brevetto nel territorio di uno Stato membro e soggetto, in quanto prodotto fitosanitario, prima dell’immissione in commercio, ad una procedura di autorizzazione amministrativa ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 91/414/CEE – o in base ad una disposizione equivalente di diritto nazionale se si tratta di un prodotto fitosanitario per il quale la domanda di autorizzazione è stata depositata prima della attuazione della direttiva 91/414/CEE da parte del rispettivo Stato membro –, può formare oggetto di un certificato, alle condizioni e secondo le modalità previste nel presente regolamento».

7.        L’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1610/96 così dispone:

«Il certificato viene rilasciato se, nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7, e alla data di tale domanda:

a)      il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore;

b)      per il prodotto, in quanto prodotto fitosanitario, è stata rilasciata un’autorizzazione, in vigore, di immissione in commercio a norma dell’articolo 4 della direttiva 91/414/CEE o di una disposizione equivalente di diritto nazionale;

c)      il prodotto non è già stato oggetto di un certificato;

d)      l’autorizzazione di cui alla lettera b) è la prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto, in quanto prodotto fitosanitario».

8.        Ai sensi dell’art. 4 del regolamento n. 1610/96, nei limiti della protezione conferita dal brevetto di base, la protezione conferita dal certificato si estende soltanto al prodotto coperto dalle autorizzazioni di immissione in commercio del prodotto fitosanitario corrispondente, per qualsiasi impiego del prodotto in quanto prodotto fitosanitario che sia stato autorizzato prima della scadenza del certificato. In base all’art. 5, fatto salvo l’art. 4, il certificato conferisce gli stessi diritti che vengono attribuiti dal brevetto di base ed è soggetto alle stesse limitazioni ed agli stessi obblighi.

9.        All’art. 7 del regolamento n. 1610/96 la domanda di certificato protettivo complementare è disciplinata nel seguente modo:

«1)      La domanda di certificato deve essere depositata entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data in cui per il prodotto, in quanto prodotto fitosanitario, è stata rilasciata l’autorizzazione di immissione in commercio menzionata nell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b).

2)      Nonostante il paragrafo 1, quando l’autorizzazione di immissione in commercio avviene prima del rilascio del brevetto di base, la domanda di certificato deve essere depositata entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data di rilascio del brevetto».

10.      Ai sensi dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 1610/96, la domanda di certificato deve essere depositata presso l’ufficio competente della proprietà industriale dello Stato membro che ha rilasciato o per il quale è stato rilasciato il brevetto di base e nel quale è stata ottenuta l’autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), a meno che lo Stato membro non designi a tal fine un’altra autorità.

11.      L’art. 10 del regolamento n. 1610/96 ha il seguente tenore:

«1)      Quando la domanda di certificato e il prodotto che ne è oggetto soddisfano le condizioni previste dal presente regolamento, l’autorità di cui all’articolo 9, paragrafo 1, rilascia il certificato.

2)      Fatto salvo il paragrafo 3, l’autorità di cui all’articolo 9, paragrafo 1, respinge la domanda di certificato se la domanda stessa o il prodotto che ne è oggetto non soddisfa le condizioni previste dal presente regolamento.

(…)».

12.      La durata del certificato protettivo complementare è disciplinata nel seguente modo all’art. 13 del regolamento n. 1610/96:

«1)      Il certificato ha efficacia a decorrere dal termine legale del brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità, ridotto di cinque anni.

2)      Nonostante il paragrafo 1, la durata del certificato non può essere superiore a cinque anni a decorrere dalla data in cui il certificato acquista efficacia.

3)      Per il calcolo della durata del certificato si tiene conto di una prima autorizzazione provvisoria di immissione in commercio soltanto se essa è direttamente seguita da un’autorizzazione definitiva relativa allo stesso prodotto».

13.      Ai sensi dell’art. 15, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1610/96, il certificato protettivo complementare è nullo se è stato rilasciato in contrasto con le disposizioni dell’art. 3. A norma dell’art. 15, n. 2, del medesimo regolamento, chiunque può depositare una domanda o intentare un’azione di nullità del certificato presso l’organo competente, in virtù delle disposizioni della legislazione nazionale, per fare dichiarare nullo il brevetto di base corrispondente.

B –    Normativa nazionale

14.      L’art. 15 del Gesetz zum Schutz der Kulturpflanzen (Pflanzenschutzgesetz,; in prosieguo: il «PflSchG») (5) disciplina l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari da parte del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (Ufficio federale per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare) secondo le modalità stabilite all’art. 4 della direttiva 91/414.

15.      L’art. 15c del PflSchG disciplina l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari per un periodo temporaneo da parte del Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit secondo le modalità stabilite all’art. 8 della direttiva 91/414.

III – Fatti e questione pregiudiziale

16.      La convenuta nella causa principale è titolare del brevetto europeo 0 574 418 (brevetto di base) recante la denominazione «Arilsulfoniluree, procedimento per la loro produzione e utilizzo quali erbicidi e regolatori della crescita», richiesto il 12 febbraio 1992 presso l’Ufficio europeo dei brevetti e rilasciato l’11 novembre 1998 con efficacia, fra l’altro, per la Repubblica federale di Germania. Il brevetto di base comprende segnatamente un composto chimico denominato comunemente iodosulfuron. Lo iodosulfuron funge da erbicida.

17.      Nel 1998 la convenuta nella causa principale ha depositato presso le competenti autorità tedesche la domanda di inserimento della sostanza attiva iodosulfuron‑metile‑sodio nell’allegato I della direttiva 91/414. Il 13 dicembre 1998 la convenuta nella causa principale, inoltre, ha richiesto, ai sensi dell’art. 15c del PflSchG, un’autorizzazione temporanea per il prodotto fitosanitario «Husar» contenente la sostanza attiva iodosulfuron.

18.      Con decisione 31 maggio 1999 (6) la Commissione ha confermato la conformità del fascicolo depositato a norma dell’art. 6, n. 2, della direttiva 91/414 e il rispetto in linea di principio dei requisiti in materia di dati e informazioni di cui agli allegati II e III della suddetta direttiva. Su tale base, con decisione 9 marzo 2000, il Biologische Bundesanstalt für Land‑ und Forstwirtschaft ha rilasciato, ai sensi dell’art. 15c del PflSchG, un’autorizzazione temporanea fino all’8 marzo 2003 (autorizzazione n. 4727‑00) per il prodotto fitosanitario «Husar».

19.      Con decisione 21 maggio 2003 (7) la Commissione constatava che l’esame del fascicolo nell’ambito della valutazione della domanda di inserimento della sostanza attiva iodosulfuron‑metile‑sodio nell’allegato I della direttiva 91/414 era ancora in corso. Non essendo emersi motivi di allarme immediato, agli Stati membri veniva concessa una proroga di 24 mesi dell’autorizzazione provvisoria per i prodotti fitosanitari contenenti iodosulfuron‑metile‑sodio. Su richiesta della convenuta nella causa principale, l’autorizzazione provvisoria veniva prorogata, con decisione 9 marzo 2000, fino al 21 maggio 2005.

20.      L’iscrizione della sostanza attiva iodosulfuron nell’allegato I della direttiva 91/414 avveniva mediante la direttiva della Commissione 25 settembre 2003, 2003/84/CE, che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l’iscrizione delle sostanze attive flurtamone, flufenacet, iodosulfuron, dimethenamid-p, picoxystrobin, fostiazate e siltiofam (8).

21.      Con decisione 13 gennaio 2005 il prodotto fitosanitario «Husar» contenente la sostanza attiva iodosulfuron veniva autorizzato, conformemente all’art. 15 del PflSchG, per dieci anni fino al 31 dicembre 2015.

22.      Già l’8 settembre 2000 la convenuta nella causa principale, basandosi su una prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità della sostanza attiva iodosulfuron quale prodotto fitosanitario, rilasciata il 9 marzo 2000 ai sensi dell’art. 15c del PflSchG, aveva richiesto presso il Deutsches Patent‑ und Markenamt (Ufficio tedesco dei brevetti e marchi; in prosieguo: il «DPMA») il rilascio di un certificato protettivo complementare per lo iodosulfuron nonché per gli esteri ed i sali dello stesso, compreso lo iodosulfuron metile non salificato. Il DPMA aveva respinto parzialmente la richiesta della convenuta nella causa principale con ordinanza 5 ottobre 2001. A seguito del ricorso della convenuta nella causa principale avverso la suddetta pronuncia, il giudice nazionale, con ordinanza 17 luglio 2003, rilasciava il certificato protettivo complementare per il prodotto fitosanitario n. 100 75 026 per lo «iodosulfuron nonché i suoi esteri alchilici e sali da C1 a C12, compreso lo iodosulfuron‑metile‑sale di sodio», con validità dal 13 febbraio 2012 al 9 marzo 2015. Nel calcolo della scadenza si è fatto riferimento all’autorizzazione del 9 marzo 2000 in quanto prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità.

23.      La ricorrente nella causa principale ha proposto un ricorso diretto all’annullamento del certificato protettivo n. 100 75 026. Essa asserisce che il certificato impugnato sarebbe nullo ai sensi dell’art. 15, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1610/96, essendo stato rilasciato in contrasto con l’art. 3, n. 1, lett. b), di tale regolamento. L’autorizzazione n. 4727‑00 del 9 marzo 2000, posta a fondamento del certificato ai sensi dell’art. 15c del PflSchG, corrisponderebbe ad un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 e, pertanto, non soddisfarebbe il requisito di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96.

24.      Il giudice nazionale, poiché nutre dubbi circa l’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se, ai fini dell’applicazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, rilevi esclusivamente un’autorizzazione di immissione in commercio a norma dell’art. 4 della direttiva 91/414, o se un certificato possa essere rilasciato anche sulla base di un’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

25.      La decisione di rinvio pregiudiziale del 28 aprile 2009 è pervenuta alla cancelleria della Corte il 24 giugno 2009. Nella fase scritta hanno presentato osservazioni la ricorrente nella causa principale, la convenuta nella causa principale, il governo della Repubblica italiana e la Commissione. All’udienza del 22 aprile 2010 hanno preso parte i rappresentanti della ricorrente e della convenuta nella causa principale nonché della Commissione.

V –    Argomenti delle parti

26.      Secondo la ricorrente nella causa principale e la Commissione, il rilascio di un certificato protettivo complementare ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 presuppone necessariamente l’esistenza di un’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414. La convenuta nella causa principale e il governo della Repubblica italiana, invece, sono dell’avviso che il riferimento di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 non possa essere limitato ad autorizzazioni definitive nell’accezione dell’art. 4 della direttiva 91/414, bensì debba essere esteso ad autorizzazioni provvisorie nell’accezione dell’art. 8, n. 1, della suddetta direttiva.

27.      La convenuta nella causa principale evidenzia innanzitutto la notevole rilevanza economica della questione pregiudiziale. A questo proposito, essa sottolinea in particolare che il DPMA avrebbe modificato la propria prassi di rilascio dei certificati protettivi complementari per i prodotti fitosanitari. Atteso che sino ad oggi la prassi costante del DPMA e della maggior parte degli uffici degli altri Stati membri sarebbe stata quella di rilasciare tali certificati sulla base di un’autorizzazione ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, la maggioranza dei certificati protettivi complementari per i prodotti fitosanitari rilasciati in Germania e negli altri Stati membri sarebbe nulla se tale prassi venisse considerata contraria al regolamento dalla Corte di giustizia. I danni per l’industria sarebbero enormi ed irreparabili, a maggior ragione nei casi in cui nel frattempo vi fossero autorizzazioni ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414 e il termine di presentazione della domanda di cui all’art. 7 del regolamento n. 1610/96 fosse scaduto, per cui in conclusione non sarebbe possibile chiedere nuovi certificati protettivi.

28.      Una limitazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 esclusivamente ad autorizzazioni di cui all’art. 4 della direttiva 91/414, tuttavia, comporterebbe in pratica, non solo per il passato, ma anche per il futuro, risultati contrari alla ratio dichiarata del regolamento. Ciò anche perché la procedura di autorizzazione di cui all’art. 4 della direttiva 91/414 potrebbe protrarsi talmente a lungo che il brevetto di base potrebbe essere scaduto prima che si ottenga un’autorizzazione ai sensi del medesimo articolo. A questo riguardo, una gran parte della durata della procedura di autorizzazione non rientrerebbe nella responsabilità del richiedente. Infatti, proprio nel caso di queste procedure di autorizzazione particolarmente lunghe, il titolare di un brevetto di base scaduto non avrebbe più la possibilità di ottenere un certificato protettivo, e ciò senza averne alcuna responsabilità.

29.      Secondo la convenuta nella causa principale, il tenore letterale dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 può estendersi ad autorizzazioni a norma dell’art. 8 della direttiva 91/414. Una siffatta interpretazione sarebbe conforme alla ratio del regolamento n. 1610/96. In ultima analisi, infatti, le autorizzazioni ai sensi dell’art. 4 e le autorizzazioni ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 sarebbero equivalenti. Dal punto di vista sostanziale, l’autorizzazione di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 sarebbe un’autorizzazione di cui all’art. 4 della medesima direttiva.

30.      La convenuta nella causa principale, inoltre, evidenzia che, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, ai fini del rilascio del certificato protettivo sarebbe sufficiente anche un’autorizzazione a norma di una disposizione equivalente di diritto nazionale. Qualora per il rilascio del certificato protettivo fosse già sufficiente una siffatta autorizzazione di immissione in commercio di un prodotto fitosanitario per cui sia stata presentata una domanda di autorizzazione precedentemente alla trasposizione della direttiva 91/414, a maggior ragione sarebbe sufficiente un’autorizzazione a norma dell’art. 8, n. 1, della medesima direttiva chiesta successivamente alla trasposizione.

31.      La convenuta nella causa principale esamina infine anche l’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96. Ai sensi di questa disposizione, nel calcolo della durata del certificato si considera una prima autorizzazione provvisoria solo qualora questa sia direttamente seguita da un’autorizzazione definitiva relativa allo stesso prodotto. La convenuta nella causa principale è dell’avviso che con «autorizzazioni provvisorie» di cui all’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96 si intendano sia le autorizzazioni provvisorie di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 sia le «autorizzazioni d’emergenza» a norma dell’art. 8, n. 4, della medesima direttiva. La disciplina dettata all’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96 si spiegherebbe con il fatto che le autorizzazioni d’emergenza di cui all’art. 8, n. 4, della direttiva 91/414, in linea di principio, non sarebbero direttamente seguite da autorizzazioni nell’accezione degli artt. 4 o 8, n. 1, della medesima direttiva.

32.      Il governo italiano evidenzia che il certificato protettivo complementare di cui al regolamento n. 1610/96 è inteso a garantire al titolare del brevetto una tutela effettiva che ecceda quella accordata dal brevetto stesso. Inoltre, ai sensi dell’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 1610/96, il rilascio di un siffatto certificato deve essere considerato come una misura positiva a favore della protezione dell’ambiente. Atteso che la protezione dell’ambiente rappresenta un obiettivo prioritario ai sensi dell’art. 2 CE, i requisiti per il rilascio di un certificato protettivo non possono essere applicati nei confronti del richiedente in modo eccessivamente restrittivo o penalizzante.

33.      Sotto il profilo sistematico, il governo italiano evidenzia che una prima autorizzazione provvisoria ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 viene considerata nel contesto del calcolo della durata del certificato protettivo a norma dell’art. 13 del regolamento n. 1610/96. In questo contesto sarebbe contrario al sistema se l’autorizzazione provvisoria non potesse essere considerata come fondamento per la concessione di un certificato protettivo. La tutela conferita dal certificato protettivo complementare, inoltre, non sarebbe effettiva se questo non fosse concesso già dal primo sfruttamento economico sul mercato, bensì solamente dal momento successivo del rilascio di un’autorizzazione definitiva. In quest’ultimo caso vi sarebbe inoltre il rischio che il brevetto di base scada prima della conclusione della procedura di autorizzazione.

34.      Secondo la ricorrente nella causa principale, già il chiaro tenore letterale dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 è contrario al rilascio di un certificato protettivo complementare sulla base di un’autorizzazione provvisoria ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Nell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 non vi è menzione di una siffatta autorizzazione provvisoria. Inoltre essa non potrebbe essere interpretata né come un’«autorizzazione ai sensi dell’art. 4» né come un’«autorizzazione ai sensi di una disposizione equivalente di diritto nazionale».

35.      Dalla sistematica del regolamento n. 1610/96 risulterebbe del pari che certificati protettivi complementari potrebbero essere rilasciati solo sulla base di autorizzazioni definitive ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414. A questa interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 non osterebbe la finalità normativa del suddetto regolamento. La finalità normativa primaria del regolamento consisterebbe nel compensare attraverso un certificato il tempo trascorso a causa della lunghezza di una procedura di autorizzazione per consentire al titolare del brevetto di ammortizzare gli investimenti effettuati in ricerca e sviluppo del prodotto fitosanitario. Questa finalità normativa non sarebbe tuttavia inficiata dal fatto che il titolare del brevetto possa richiedere un certificato solo qualche tempo dopo, ossia solo con l’autorizzazione definitiva. Ciò non comporterebbe conseguenze sulla durata del certificato.

36.      Anche secondo la Commissione, l’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 dovrebbe essere interpretato nel senso che un’autorizzazione di immissione in commercio di un prodotto fitosanitario di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 non dovrebbe poter essere considerata come fondamento per il rilascio di un certificato protettivo complementare.

37.      A favore di questa interpretazione deporrebbe innanzi tutto il tenore letterale dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96. Questa interpretazione sarebbe confermata, sotto il profilo sistematico, dal fatto che l’art. 13, n. 3, sarebbe l’unica norma del suddetto regolamento ad utilizzare espressamente le nozioni di «provvisorio» e «definitivo» con riferimento ad un’autorizzazione di immissione in commercio. L’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio, in questo contesto, dovrebbe essere considerata solo nell’ambito del calcolo della durata del certificato.

38.      La Commissione è dell’avviso che l’interpretazione da essa propugnata soddisfi meglio dell’interpretazione opposta i requisiti della certezza del diritto. Sarebbe chiaro che un’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 che travalicasse il tenore letterale di questa disposizione solleverebbe problemi successivi, che dovrebbero essere evitati nell’interesse della certezza del diritto.

39.      Non si comprenderebbe, infine, perché un’interpretazione avente come conseguenza che un certificato protettivo possa essere rilasciato solo sulla base di un’autorizzazione definitiva di immissione in commercio e non sulla base di un’autorizzazione provvisoria ai sensi della direttiva 91/414 debba pregiudicare interessi legittimi del titolare del brevetto. Il rischio paventato nella causa principale di un rilascio dell’autorizzazione definitiva di immissione in commercio solo una volta scaduta la durata della protezione del brevetto di base sarebbe una possibilità meramente teorica. Qualora la richiesta di autorizzazione di immissione in commercio venga presentata contestualmente al rilascio del brevetto di base, la probabilità che il suddetto rischio si verifichi sarebbe molto bassa.

40.      A domanda, durante la fase orale le parti nella causa principale e la Commissione hanno preso posizione sulla questione se l’efficacia nel tempo della sentenza pronunciata in via pregiudiziale debba essere limitata al futuro nel caso in cui la Corte dovesse pervenire alla conclusione, nel presente procedimento, che certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari non possano essere rilasciati sulla base di autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

41.      Secondo la convenuta nella causa principale, una limitazione nel tempo dell’efficacia di una sentenza che si pronunciasse in tal senso determinerebbe, in linea di principio, certezza del diritto per il passato. Per il futuro, tuttavia, resterebbe il problema della lunga durata delle procedure di autorizzazione ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414. La Commissione, sostenuta in tal senso dalla ricorrente nella causa principale, non ritiene invece necessario affermare l’efficacia ex nunc di una sentenza che si pronunciasse in tal senso. Secondo la Commissione, le conseguenze giuridiche di una siffatta sentenza rispetto ai certificati protettivi complementari già rilasciati dovrebbero essere discusse solo se ne venisse chiesta la nullità ex art. 15 del regolamento n. 1610/96 in procedimenti futuri. In considerazione dei principi generali della certezza del diritto e del legittimo affidamento inerenti all’ordinamento dell’Unione si dovrebbe accertare, nell’ambito di questi procedimenti futuri, se la sanzione della nullità prevista all’art. 15 del regolamento n. 1610/96 debba essere sospesa con riguardo a violazioni dell’art. 3, n. 1, lett. b), commesse prima della pubblicazione della sentenza da pronunciarsi in via pregiudiziale nel presente procedimento.

VI – Valutazione giuridica

42.      La questione principale che necessita di soluzione nel presente procedimento è se un certificato protettivo complementare di cui al regolamento n. 1610/96 possa essere chiesto e rilasciato già a partire dall’ottenimento di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio di un prodotto fitosanitario a norma dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 ovvero solo a partire dall’ottenimento di un’autorizzazione definitiva di immissione in commercio di cui all’art. 4 della medesima direttiva.

43.      Dal momento che la soluzione della suddetta questione si ricava dall’insieme delle disposizioni della direttiva 91/414 e del regolamento n. 1610/96, affronterò innanzi tutto brevemente la disciplina contenuta in questa direttiva ed in questo regolamento nonché la loro connessione. Sulla base di questi chiarimenti, analizzerò e risolverò di seguito la questione pregiudiziale. Infine discuterò le conseguenze economiche della mia proposta di soluzione e, a questo riguardo, esaminerò la questione dell’opportunità di limitare nel tempo l’efficacia della sentenza resa in via pregiudiziale.

A –    La disciplina di cui alla direttiva 91/414 e al regolamento n. 1610/96 e la loro connessione

1.      L’autorizzazione di immissione in commercio di prodotti fitosanitari secondo la direttiva 91/414

44.      Scopo della direttiva 91/414 è l’armonizzazione delle disposizioni degli Stati membri ai fini del rilascio delle autorizzazioni (9) per l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari. Con questa disciplina armonizzata s’intende, in primo luogo, garantire un elevato livello di protezione per la salute dell’uomo e degli animali, nonché per l’ambiente (10). In questo contesto l’autorizzazione di immissione in commercio di prodotti fitosanitari ai sensi della direttiva 91/414 dovrebbe essere di norma limitata ai prodotti fitosanitari contenenti determinate sostanze attive stabilite a livello dell’Unione in base alle loro proprietà tossicologiche ed ecotossicologiche (11).

45.      A tal fine la direttiva 91/414 prevede la redazione di un elenco di sostanze attive autorizzate nell’Unione che i prodotti fitosanitari possono contenere. Questo elenco figura come allegato I della direttiva 91/414 e viene aggiornato ad intervalli regolari. Il procedimento di iscrizione delle sostanze attive all’allegato I è fissato agli artt. 5 e 6 della medesima direttiva. Una sostanza attiva è iscritta nell’allegato I della direttiva 91/414 per un periodo iniziale non superiore a dieci anni (12), ma, a richiesta, l’iscrizione può essere rinnovata una o più volte per periodi non superiori ciascuna volta a dieci anni. La suddetta iscrizione, tuttavia, può anche essere riesaminata in qualsiasi momento (13).

46.      Per garantire che siano immessi sul mercato solo prodotti fitosanitari contenenti le sostanze attive elencate nell’allegato I, l’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 91/414 prevede la norma fondamentale secondo cui un prodotto fitosanitario può essere autorizzato nei singoli Stati membri solo se le sue sostanze attive sono elencate nell’allegato I e se sono soddisfatte le condizioni ivi stabilite. Devono inoltre essere rispettati i requisiti relativi all’efficacia e alla sicurezza del prodotto fitosanitario in questione stabiliti all’art. 4, n. 1, lett. b)‑f).

47.      Atteso che la procedura d’iscrizione di una sostanza attiva all’allegato I può durare diversi anni, l’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 prevede una deroga secondo cui uno Stato membro può autorizzare, per un periodo provvisorio non superiore a tre anni, l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari contenenti una sostanza attiva non compresa nell’allegato I e non ancora in commercio due anni dopo la notifica della suddetta direttiva. Una siffatta autorizzazione provvisoria, tuttavia, presuppone che il richiedente abbia presentato una richiesta di inserimento della sostanza attiva all’allegato I e abbia presentato un fascicolo rispondente alle prescrizioni di diritto dell’Unione e che lo Stato membro interessato sia pervenuto alla conclusione che la sostanza attiva e i prodotti fitosanitari possano soddisfare i requisiti di efficacia e sicurezza stabiliti agli artt. 5, n. 1, e 4, n. 1, lett. b)‑f). Se allo scadere del termine di tre anni non è ancora stata presa una decisione riguardo all’iscrizione della sostanza attiva nell’allegato I, può essere concesso un termine supplementare ai sensi dell’art. 8, n. 1, quarto comma.

48.      Oltre a questa autorizzazione provvisoria in attesa dell’iscrizione di una sostanza attiva nell’allegato I della direttiva 91/414, l’art. 8, n. 4, della stessa prevede la possibilità di una cosiddetta autorizzazione d’emergenza. In base a questa disposizione, uno Stato membro può, in circostanze eccezionali, autorizzare l’immissione in commercio, per un periodo massimo di 120 giorni, di prodotti fitosanitari le cui sostanze attive non sono incluse nell’allegato I e che non soddisfano i requisiti di efficacia e sicurezza di cui all’art. 4, n. 1, lett. b)‑f), per un’utilizzazione limitata e controllata, qualora ciò sia reso necessario da un pericolo imprevedibile che non può essere combattuto con altri mezzi.

2.      Il rilascio di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari ai sensi del regolamento n. 1610/96

49.      L’obiettivo del certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari introdotto dal regolamento n. 1610/96 consiste, in sostanza, nella proroga della durata della protezione conferita dal brevetto di sostanze attive utilizzate in prodotti fitosanitari.

50.      La durata regolare della protezione brevettuale è pari a venti anni, calcolati dal giorno del deposito della domanda relativa all’invenzione. Qualora l’autorizzazione di immissione in commercio di prodotti fitosanitari di cui alla direttiva 91/414 sia rilasciata solo dopo la domanda di brevetto, i produttori di prodotti fitosanitari non possono sfruttare economicamente la propria posizione di esclusiva relativamente alle sostanze attive protette dal brevetto nel periodo che intercorre fra la domanda di brevetto e l’autorizzazione di immissione in commercio del prodotto fitosanitario in questione. Atteso che, secondo il legislatore, l’effettiva protezione brevettuale verrebbe ridotta ad una durata insufficiente ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca e a generare le risorse necessarie per mantenere una ricerca efficiente (14), il regolamento n. 1610/96 conferisce a questi produttori la possibilità, richiedendo un certificato protettivo complementare, di prorogare i propri diritti di esclusiva per un periodo pari al massimo a quindici anni a partire dalla prima autorizzazione di immissione in commercio nell’Unione del prodotto fitosanitario in questione (15).

51.      In questo contesto, il campo di applicazione del regolamento n. 1610/96 è circoscritto all’art. 2 in base a due caratteristiche principali, ossia 1) l’esistenza di un prodotto protetto da un brevetto, che 2) sia stato soggetto, prima dell’immissione in commercio in quanto prodotto fitosanitario, ad una procedura di autorizzazione amministrativa ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414. Qualora si tratti di un prodotto fitosanitario per il quale la domanda di autorizzazione sia stata depositata nello Stato membro interessato precedentemente all’attuazione della direttiva 91/414, a norma dell’art. 2 la fattispecie rientra nel campo d’applicazione del regolamento n. 1610/96 qualora il prodotto protetto dal brevetto sia stato oggetto di una procedura nazionale equivalente a quella di cui all’art. 4 della medesima direttiva.

52.      Gli elementi principali definiti all’art. 2 affinché la fattispecie rientri nel campo di applicazione del regolamento n. 1610/96 sono ripresi all’art. 3 come condizioni di rilascio del certificato protettivo complementare. A norma dell’art. 3, n. 1, infatti, il certificato protettivo complementare viene rilasciato se, nello Stato membro nel quale è presentata la domanda, alla data di tale domanda il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore [lett. a)] e per il prodotto, in quanto prodotto fitosanitario, è stata rilasciata un’autorizzazione, in vigore, di immissione in commercio a norma dell’art. 4 della direttiva 91/414 o di una disposizione equivalente di diritto nazionale [lett. b)]. Come ulteriori condizioni per il rilascio di un certificato protettivo, questa disposizione stabilisce che il prodotto non deve essere già stato oggetto di un certificato [lett. c)] e che l’autorizzazione di cui alla lett. b) sia la prima autorizzazione di immissione in commercio di tale prodotto, in quanto prodotto fitosanitario [lett. d)].

3.      Gli elementi di connessione fra il regolamento n. 1610/96 e la direttiva 91/414

53.      Dalle considerazioni che precedono discende che il regolamento n. 1610/96 mira a garantire al titolare di un brevetto di un prodotto da utilizzarsi come prodotto fitosanitario un termine ulteriore per lo sfruttamento economico esclusivo di tale prodotto. Il contesto economico di questo trattamento preferenziale dei produttori di prodotti fitosanitari contenenti sostanze attive protette da brevetto è costituito dalla considerazione che, successivamente all’accoglimento della domanda di brevetto per una sostanza attiva da utilizzarsi nei prodotti fitosanitari, pur sussistendo la protezione brevettuale, quest’ultima non può essere sfruttata economicamente finché manchi un’autorizzazione di immissione in commercio del prodotto fitosanitario ai sensi della direttiva 91/414. In considerazione dei tempi lunghi necessari per l’elaborazione della domanda di autorizzazione sussiste il pericolo che la protezione effettiva garantita dal brevetto si riduca ad una durata eccessivamente breve. Questo pericolo dovrebbe essere scongiurato mediante il certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari.

54.      In questo contesto, il campo d’applicazione del regolamento n. 1610/96 è definito attraverso un rinvio all’autorizzazione di immissione in commercio di prodotti fitosanitari disciplinata nella direttiva 91/414. Qualora vi sia un prodotto fitosanitario per cui sia stata presentata la domanda di autorizzazione di immissione in commercio successivamente all’attuazione della direttiva 91/414 nello Stato membro interessato, rientra nel campo d’applicazione del regolamento n. 1610/96 una sostanza attiva utilizzata nel prodotto fitosanitario che sia protetta da un brevetto di base e per la quale esista nel suddetto Stato membro un’autorizzazione di immissione in commercio del prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414.

B –    Impossibilità di rilascio di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414

55.      Con la sua questione pregiudiziale il giudice nazionale chiede in definitiva di sapere se un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari ai sensi del regolamento n. 1610/96 possa essere chiesto e rilasciato sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio del prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

56.      A mio avviso, la risposta a tale interrogativo non può che essere negativa.

57.      Secondo il chiaro tenore letterale dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, un certificato protettivo complementare può essere rilasciato solo se, nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di certificato, alla data di tale domanda è stata rilasciata un’autorizzazione, in vigore, di immissione in commercio per il prodotto, in quanto prodotto fitosanitario, a norma dell’art. 4 della direttiva 91/414 o di una disposizione equivalente di diritto nazionale. Dall’art. 2 del regolamento n. 1610/96 risulta che l’esistenza di un’autorizzazione a norma di una disposizione equivalente di diritto nazionale è prevista solo per i casi in cui la domanda di autorizzazione di immissione in commercio sia stata depositata prima della trasposizione della direttiva 91/414 nello Stato membro interessato.

58.      Secondo il tenore letterale, pertanto, l’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 non consente di rilasciare un certificato protettivo complementare sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio del prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

59.      Secondo la convenuta nella causa principale e il governo italiano, l’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 dovrebbe essere interpretato in contrasto con il suo chiaro tenore letterale nel contesto di un’interpretazione sistematica e teleologica, nel senso che si potrebbe rilasciare un certificato protettivo complementare anche in base ad un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

60.      Non ravviso spunti di natura sistematica o teleologica tali da poter consentire o giustificare una siffatta interpretazione.

61.      Da un punto di vista sistematico si deve evidenziare che la direttiva 91/414 opera una distinzione fra tre diverse categorie di autorizzazioni di immissione in commercio di prodotti fitosanitari (16), ossia le autorizzazioni definitive ai sensi dell’art. 4, le autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, e le autorizzazioni di emergenza ai sensi dell’art. 8, n. 4. Nel regolamento n. 1610/96 questa differenziazione fra le diverse categorie di autorizzazioni è presa in considerazione in modo sistematico e con estrema chiarezza.

62.      Già a livello del campo di applicazione ratione materiae, all’art. 2 del regolamento n. 1610/96 è affermato chiaramente che il suddetto regolamento trova applicazione solo in presenza di un’autorizzazione di immissione in commercio nell’accezione dell’art. 4 della direttiva 91/414, naturalmente sempre a condizione che la domanda di autorizzazione sia stata depositata dopo l’attuazione della direttiva 91/414 (17). Viene così meno la possibilità di rilasciare un certificato sulla base di un’autorizzazione provvisoria ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 o sulla base di un’autorizzazione d’emergenza ai sensi dell’art. 8, n. 4, della medesima direttiva già a livello del campo di applicazione del regolamento n. 1610/96.

63.      Nell’ambito della determinazione delle condizioni per il rilascio del certificato protettivo complementare, all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 viene del pari operato esplicitamente un rinvio all’autorizzazione di cui all’art. 4 della direttiva 91/414. Lo stesso dicasi per l’art. 7 del regolamento n. 1610/96, secondo cui la domanda di un certificato protettivo complementare deve essere depositata entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data dell’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), qualora in tale data vi sia già il brevetto di base.

64.      L’unico contesto in cui il regolamento n. 1610/96 fa riferimento, quanto a contenuto, alla categoria delle autorizzazioni provvisorie di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 è quello relativo alla determinazione della durata del certificato protettivo.

65.      Ai sensi dell’art. 13, n. 1, del regolamento n. 1610/96, il certificato ha efficacia a decorrere dal termine legale del brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima autorizzazione di immissione in commercio nell’Unione, ridotto di cinque anni. Ai sensi del n. 2 del medesimo articolo, la durata del certificato non può essere superiore a cinque anni a decorrere dalla data in cui il certificato acquista efficacia. Al n. 3 del medesimo articolo, poi, si chiarisce che per il calcolo della durata del certificato si tiene conto di una prima autorizzazione provvisoria di immissione in commercio soltanto se essa è direttamente seguita da un’autorizzazione definitiva relativa allo stesso prodotto.

66.      In considerazione della finalità normativa dell’art. 13 del regolamento n. 1610/96, il suddetto riferimento ad autorizzazioni provvisorie di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 non può essere in alcun modo addotto come argomento secondo cui una siffatta autorizzazione provvisoria sarebbe di per sé sufficiente ad assoggettare la fattispecie al regolamento n. 1610/96. Invece, risulta dai ‘considerando’ che con il certificato protettivo complementare si intende conferire al titolare del brevetto la protezione dell’esclusiva necessaria nel tempo ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca, senza tuttavia perdere di vista gli altri interessi in gioco (18). In questo contesto, l’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96 afferma sostanzialmente che nel calcolo della durata del certificato devono essere prese in considerazione anche le possibilità di ammortamento del titolare del brevetto sorte attraverso il rilascio di un’autorizzazione provvisoria ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Da questa considerazione dell’autorizzazione provvisoria ai sensi della citata disposizione nel determinare una durata equa dell’ammortamento degli investimenti effettuati dai titolari del brevetto non sono tuttavia desumibili affermazioni circa il campo di applicazione del regolamento n. 1610/96 o circa le condizioni per il rilascio di certificati protettivi complementari stabilite all’art. 3, n. 1, del medesimo regolamento.

67.      In questo contesto si deve del pari evidenziare che all’art. 13 del regolamento n. 1610/96 si fa riferimento ad autorizzazioni di immissione in commercio nella Comunità, mentre all’art. 3 del medesimo si richiede un’autorizzazione, in vigore, di immissione in commercio nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di certificato a norma dell’art. 4 della direttiva 91/414. Conseguentemente, dal punto di vista dell’ambito territoriale di applicazione, i riferimenti ad «autorizzazioni di immissione in commercio» contenuti negli artt. 3 e 13 del regolamento n. 1610/96 non sono affatto identici (19). Di questa differenza si tiene conto, ad esempio, nell’art. 8, n. 1, lett. a), punto iv), del regolamento n. 1610/96. In base a questa disposizione, la domanda di certificato, infatti, deve contenere il numero e la data della prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento e, qualora non sia la prima autorizzazione di immissione in commercio nell’Unione, il numero e la data di detta autorizzazione.

68.      In considerazione della necessità di un’interpretazione coerente del regolamento (CEE) del Consiglio 18 giugno 1992, n. 1768, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali (20), e del regolamento n. 1610/96, confermata da una costante giurisprudenza (21), si deve evidenziare del pari in questo contesto che la possibilità di rilasciare certificati provvisori di immissione in commercio di un prodotto rappresenta una specificità della direttiva 91/414. In questo contesto, anche il riferimento a siffatte autorizzazioni provvisorie nell’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96 costituisce una specificità di questo regolamento. Su questo punto, conseguentemente, il regolamento n. 1610/96 si differenzia dal regolamento n. 1768/92, i cui testi sono peraltro ampiamente coincidenti (22).

69.      Se ora il regolamento n. 1610/96 fosse interpretato nel senso che un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 può trovare applicazione non solo nel contesto del calcolo della durata del certificato di cui dell’art. 13, bensì anche come requisito per il rilascio di un certificato protettivo di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), ciò finirebbe col comportare il venir meno dell’uguaglianza strutturale dei regolamenti nn. 1610/96 e 1768/92 a livello di ambito e di requisiti di applicazione. Ciò sarebbe assolutamente incompatibile con l’esigenza di un’interpretazione coerente di entrambi i regolamenti.

70.      In base alle considerazioni che precedono, pervengo alla conclusione che un’interpretazione sistematica e teleologica del regolamento n. 1610/96 conferma l’interpretazione letterale dell’art. 3, n. 1, lett. b), secondo cui un certificato protettivo complementare non può essere rilasciato sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

71.      La convenuta nella causa principale è del parere che una siffatta interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 comporterebbe un esito inaccettabile. In considerazione della durata potenzialmente molto lunga della procedura di autorizzazione di cui all’art. 4 della direttiva 91/414, il titolare di un brevetto non potrebbe mai essere sicuro di ottenere l’autorizzazione di cui all’art. 4 prima della scadenza del brevetto. Qualora ottenesse la suddetta autorizzazione solo dopo la scadenza del brevetto di base, non potrebbe più richiedere una protezione del certificato, cosa che pregiudicherebbe la finalità del regolamento n. 1610/96. In considerazione della lacuna normativa così formulata, la convenuta nella causa principale invita la Corte di giustizia a colmare la suddetta lacuna attraverso un’interpretazione contra legem dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96.

72.      A mio avviso, la lacuna esposta dalla convenuta nella causa principale non esiste.

73.      Dalle mie precedenti considerazioni discende che il rilascio del certificato protettivo complementare a norma del regolamento n. 1610/96 presuppone segnatamente che il prodotto in questione sia protetto da un brevetto di base valido (23) al momento della richiesta del certificato e che in tale momento vi sia un’autorizzazione di immissione in commercio del prodotto fitosanitario in questione a norma dell’art. 4 della direttiva 91/414.

74.      Atteso che la normale durata della protezione brevettuale è pari a venti anni, calcolati dal giorno del deposito della domanda relativa all’invenzione, la lacuna normativa esposta dalla ricorrente nella causa principale sussisterebbe solo qualora questi venti anni non dovessero essere sufficienti per ottenere, prima, il brevetto richiesto nonché un’autorizzazione di immissione in commercio del prodotto brevettato in quanto prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414 e, poi, per richiedere su questa base un certificato protettivo complementare ai sensi del regolamento n. 1610/96.

75.      Nell’ambito del presente procedimento non sono state fornite informazioni da cui si possa dedurre che la durata ventennale del brevetto a partire dal giorno del deposito della domanda relativa all’invenzione non sarebbe sufficiente per ottenere, prima, il brevetto richiesto nonché l’autorizzazione di immissione in commercio del prodotto brevettato in quanto prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414 e, su questa base, per richiedere un certificato protettivo complementare ai sensi del regolamento n. 1610/96 (24).

76.      E persino qualora, eccezionalmente, la procedura di autorizzazione di cui all’art. 4 della direttiva 91/414 dovesse durare talmente a lungo da rendere insufficiente la durata ventennale del brevetto a partire dalla data di deposito della domanda relativa all’invenzione per richiedere un certificato protettivo complementare, ciò di norma potrebbe essere ricondotto ad un errore o ad una disattenzione di una o di più parti coinvolte nella procedura. Qualora la lunga durata della procedura sia riconducibile ad un errore od una disattenzione del richiedente, non si potrebbe affatto parlare di una lacuna normativa. Ma anche qualora l’eccessiva durata della procedura fosse riconducibile ad un errore o ad una disattenzione delle autorità nazionali o della Commissione, a mio avviso non sussisterebbe una lacuna normativa nel sistema del regolamento n. 1610/96. In un caso siffatto ci troveremmo piuttosto di fronte ad un cattivo funzionamento delle autorità che dovrebbe essere indennizzato nell’ambito della responsabilità delle suddette autorità.

77.      Si aggiunga infine che l’interpretazione propugnata dalla convenuta nella causa principale, secondo cui un certificato protettivo complementare potrebbe essere rilasciato anche sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, comporterebbe molti problemi conseguenti nell’interpretazione del regolamento n. 1610/96. Il motivo principale di ciò risiede nel fatto che il suddetto regolamento, secondo la lettera e la sistematica, è redatto e costruito nel senso che solo un’autorizzazione concessa nello Stato membro interessato a norma dell’art. 4 della direttiva 91/414 rileva come fondamento per il rilascio di un certificato protettivo complementare. Se ora si potesse rilasciare un siffatto certificato anche in base ad un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio nel suddetto Stato membro ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, ogni disposizione del regolamento n. 1610/96 in cui si faccia riferimento, direttamente o indirettamente, ad un’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414 dovrebbe essere esaminata per verificare se essa comprenda anche un’autorizzazione rilasciata nello Stato membro interessato a norma dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

78.      È esemplare, sotto questo profilo, l’art. 7 del regolamento n. 1610/96, in cui è stabilito un termine di sei mesi per la domanda di certificato. Qualora l’autorizzazione di immissione in commercio venga concessa dopo il rilascio del brevetto di base, il suddetto termine di sei mesi decorre, ai sensi dell’art. 7, n. 1, a partire dalla data in cui per il prodotto, in quanto prodotto fitosanitario, è stata rilasciata l’autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 3, n. 1, lett. b). Se ora anche un’autorizzazione provvisoria ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 fosse qualificabile come autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, si porrebbe necessariamente la questione se al titolare del brevetto di base spettino due termini di sei mesi per depositare la domanda di certificato, ossia un termine a partire dall’autorizzazione di cui all’art. 8, n. 1, ed un termine a partire dall’autorizzazione di cui all’art. 4 della direttiva 91/414. Qualora al titolare del brevetto vengano concessi due termini di sei mesi, ciò sarebbe non solo in contrasto con il testo dell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 1610/96, ma annullerebbe al contempo la coerenza sotto questo profilo fra la normativa sulla domanda di certificato di questo regolamento e del regolamento n. 1768/92 (25). Qualora, invece, venisse concesso un solo termine di sei mesi, sarebbe logicamente esclusa una domanda di certificato dopo la scadenza del «primo» termine di sei mesi a decorrere dall’autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, cosa anche questa contraria alla sistematica e che rappresenterebbe inoltre un’interferenza pesante negli interessi di quei titolari di brevetto che, per depositare la domanda, avrebbero atteso il rilascio di un’autorizzazione ai sensi dell’art. 4 della direttiva 91/414.

79.      Un problema analogo si porrebbe nell’interpretare l’art. 3, n. 1, lett. d), del regolamento n. 1610/96. In base alla suddetta disposizione, un certificato protettivo complementare può essere rilasciato solo qualora l’autorizzazione di cui alla lett. b) sia la prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto, in quanto prodotto fitosanitario (26). Se ora anche un’autorizzazione provvisoria di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 fosse qualificabile come autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, ciò significherebbe che l’autorizzazione di cui all’art. 4 di questa direttiva per l’immissione in commercio del medesimo prodotto dovrebbe essere valutata come una «seconda» autorizzazione, qualora in precedenza sia già stata rilasciata un’autorizzazione provvisoria. Qualora, in questa ipotesi, il titolare del brevetto di base non richieda il certificato protettivo complementare già dopo avere ottenuto l’autorizzazione provvisoria, l’art. 3, n. 1, lett. d), del regolamento n. 1610/96 osterebbe in linea di principio ad una siffatta domanda dopo l’ottenimento dell’autorizzazione definitiva. Anche in questo caso l’esito sarebbe contrario alla sistematica e si finirebbe col determinare un’interferenza pesante negli interessi di quei titolari di brevetto che, per richiedere il certificato protettivo complementare, attendano il rilascio di un’autorizzazione di cui all’art. 4 della direttiva 91/414.

80.      Riassumendo, pervengo quindi alla conclusione che un’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 secondo il tenore letterale, la sistematica e la finalità normative esclude che un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari possa essere rilasciato in base ad un’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

C –    Limitazione nel tempo dell’efficacia della sentenza pronunciata in via pregiudiziale

81.      Qualora la Corte, come da me proposto, dovesse affermare attraverso una pronuncia pregiudiziale che un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari non può essere rilasciato in base ad un’autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, nella causa principale il giudice nazionale dovrebbe in conclusione accogliere il ricorso diretto alla declaratoria di nullità del certificato protettivo complementare n. 100 75 026 per lo «iodosulfuron nonché i suoi esteri alchilici e sali da C1 a C12, compreso lo iodosulfuron‑metile‑sale di sodio». In questo caso, infatti, il certificato sarebbe stato palesemente rilasciato in contrasto con le disposizioni dell’art. 3 del regolamento n. 1610/96 e, conseguentemente, sarebbe nullo ai sensi dell’art. 15, n. 1, del medesimo regolamento.

82.      Le conseguenze giuridiche di questa decisione pregiudiziale, tuttavia, non resterebbero limitate alla causa principale.

83.      Secondo una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte fornisce di una norma di diritto dell’Unione, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’art. 267 TFUE, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, come deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata sin dal momento della sua entrata in vigore. Ne deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituitisi prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione, sempreché, d’altro canto, sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una lite relativa all’applicazione di detta norma (27). In altri termini, una sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensì puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono alla data di entrata in vigore della norma interpretata (28).

84.      A tale riguardo il giudice nazionale sottolinea nella sua ordinanza di rinvio il fatto che il DPMA, secondo una prassi pluriennale, ha rilasciato certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari sulla base di autorizzazioni ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Sembra inoltre che anche in altri Stati membri siano stati rilasciati siffatti certificati sulla base di autorizzazioni provvisorie. Ciò sarebbe avvenuto, ad esempio, in Belgio, in Italia e in Gran Bretagna (29). Anche secondo quanto esposto dalla convenuta nella causa principale in altri Stati membri dell’Unione europea si sarebbe continuato e si continuerebbe a rilasciare regolarmente certificati protettivi sulla base di autorizzazioni ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Nel suo portafoglio di diritti di protezione, sul continente europeo circa il 75% di tutti i certificati protettivi sarebbero stati rilasciati sulla base delle suddette autorizzazioni provvisorie. Come prova di queste affermazioni, la convenuta nella causa principale produce numerosi certificati protettivi per prodotti fitosanitari rilasciati in Spagna, in Italia, in Gran Bretagna, in Francia, in Austria, nei Paesi Bassi e in Irlanda sulla base di autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 (30). La convenuta nella causa principale produce del pari un documento di sintesi della European Crop Protection Association del 28 settembre 2009 (31). Secondo questo documento, fino alla svolta nella prassi decisionale del DPMA verificatasi nel 2007 la prassi non contestata delle autorità nazionali competenti in materia di brevetti di tutti gli Stati membri sarebbe stata quella di rilasciare certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari sulla base di autorizzazioni di immissione in commercio di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Nell’intera Unione, pertanto, circa il 90% dei certificati protettivi complementari rilasciati si basavano su un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio dei prodotti fitosanitari in questione (32).

85.      Qualora la Corte dovesse decidere, nel presente procedimento, che non si possono rilasciare certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari sulla base di un’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, le conseguenze giuridiche di questa affermazione travalicherebbero l’azione di nullità del certificato protettivo rilasciato alla convenuta nella causa principale. Una siffatta sentenza, infatti, comporterebbe del pari che tutti i certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari rilasciati in base all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 dovrebbero essere qualificati come nulli a norma dell’art. 15, n. 1, del regolamento n. 1610/96. A norma dell’art. 15, n. 2, del medesimo regolamento, quindi, chiunque potrebbe depositare una domanda o intentare un’azione di nullità di questi certificati.

86.      Sebbene l’accertamento della nullità di un certificato protettivo complementare non escluda di per sé che il titolare del brevetto di base presenti una nuova domanda di rilascio di un certificato protettivo complementare per il prodotto fitosanitario in questione, questa domanda deve soddisfare i requisiti di cui al regolamento n. 1610/96. A questo proposito potrebbe essere problematico, innanzi tutto, il termine di sei mesi per il deposito della domanda a decorrere dalla prima autorizzazione di immissione in commercio, stabilito all’art. 7, n. 1. In tutti i casi in cui il suddetto termine sia già scaduto e non sia più possibile una restituzione nel termine, la constatazione della nullità dei certificati protettivi rilasciati sulla base di autorizzazioni provvisorie comporterebbe l’estinzione definitiva dei diritti di esclusiva dei titolari del certificato in essi stabiliti.

87.      In questo contesto mi sembra opportuno valutare le possibilità di una limitazione nel tempo dell’efficacia della sentenza pronunciata in via pregiudiziale nel presente procedimento.

88.      Sebbene l’art. 264 TFUE disciplini espressamente la limitazione degli effetti nel tempo delle sentenze della Corte solo relativamente ai ricorsi di annullamento, in una giurisprudenza consolidata la Corte utilizza il principio giuridico contenuto in questa disposizione anche nel contesto di procedimenti pregiudiziali. La Corte agisce in tal senso non solo nel contesto di procedimenti pregiudiziali in cui è chiamata a valutare la validità di una norma o di un atto dell’Unione (33), bensì anche nel contesto di procedimenti pregiudiziali in cui ad essa è chiesto di interpretare una norma dell’Unione (34).

89.      Secondo questa giurisprudenza, in via eccezionale, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico dell’Unione, nell’interpretare una disposizione del diritto dell’Unione la Corte può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede (35).

90.      L’affermazione dell’efficacia ex nunc di una sentenza pregiudiziale con cui viene risolta una nuova questione di diritto apre la possibilità di rifarsi, in procedimenti pregiudiziali successivi vertenti sulla medesima questione, alla suddetta limitazione nel tempo. Qualora, infatti, una questione di diritto sia stata risolta in una precedente sentenza pregiudiziale in cui la Corte abbia ordinato l’efficacia ex nunc, quest’ultima può limitare anche in sentenze pregiudiziali successive vertenti sulla medesima questione l’efficacia nel tempo della sua soluzione al momento della pronuncia della sentenza fondamentale passata (36). Quando, invece, la Corte si pronuncia per la prima volta su una questione in via pregiudiziale senza affermare l’efficacia ex nunc di tale sentenza, secondo una costante giurisprudenza essa rinuncia a prescrivere una limitazione degli effetti nel tempo di una sentenza in una pronuncia pregiudiziale successiva vertente sulla medesima questione (37).

91.      Sulla base del principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico dell’Unione la Corte, in linea di principio, pronuncia una limitazione dell’efficacia delle proprie sentenze pregiudiziali nel tempo solo quando, da un lato, vi è un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente e quando, dall’altro, risulta che i singoli e le autorità nazionali siano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa dell’Unione a causa di un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni dell’Unione, incertezza alla quale hanno eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione (38).

92.      Nel caso di specie, in primo luogo, la Corte a tutt’oggi non ha ancora interpretato l’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96.

93.      Come ho già esposto, si deve inoltre partire dall’assunto che una pronuncia pregiudiziale secondo cui un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari non possa essere rilasciato sulla base di un’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio a norma dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 minaccia di avere gravi ripercussioni economiche (39).

94.      Di semplice soluzione non è, invece, la questione della sussistenza di un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata del requisito per il rilascio di un certificato protettivo complementare stabilito all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, che avrebbe potuto indurre i titolari dei brevetti di base e le autorità nazionali ad una prassi illecita di attribuzione del certificato protettivo.

95.      Come ho già esposto, un’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 secondo il tenore letterale, la sistematica e la finalità normative comporta che un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari non possa essere rilasciato sulla base di un’autorizzazione di immissione in commercio a norma dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

96.      Risulta tuttavia dagli elementi forniti alla Corte che numerose autorità degli Stati membri responsabili del rilascio dei certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari hanno rilasciato, secondo una prassi pluriennale, questi certificati sulla base di autorizzazioni provvisorie di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Si evince inoltre dall’ordinanza di rinvio che anche il giudice nazionale, in veste di giudice del riesame delle decisioni emesse dal DPMA, ha avallato la suddetta prassi e ha annullato la decisione di tale ente con cui esso ha abbandonato detta prassi (40).

97.      Dall’ordinanza di rinvio si desume inoltre che la prassi di rilasciare certificati protettivi complementari sulla base di autorizzazioni provvisorie deve essere intesa come espressione di un’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 tendente a promuovere e ad espandere nella massima misura possibile le finalità del suddetto regolamento (41).

98.      Secondo le informazioni fornite dal giudice del rinvio, sarebbe stata determinante per la nascita di questa prassi segnatamente la considerazione che l’autorizzazione provvisoria di immissione in commercio di una sostanza attiva in quanto prodotto fitosanitario ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 comporterebbe praticamente di norma l’inserimento di tale sostanza nell’allegato I ed un’autorizzazione definitiva immediatamente successiva all’autorizzazione provvisoria a norma dell’art. 4, n. 1, di tale direttiva. Ciò sarebbe dovuto ai requisiti severi che, ai sensi dell’art. 8, n. 1, primo comma, lett. a) e b), in combinato disposto con l’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva 91/414, disciplinerebbero l’autorizzazione provvisoria al fine di garantire l’elevato livello di protezione richiesto dalla direttiva. L’ampio fascicolo sul principio attivo ed almeno una preparazione contenente il suddetto principio attivo che deve essere predisposto dal richiedente con grande dispendio di tempo e di denaro secondo le prescrizioni di cui agli allegati II e III consente agli Stati membri di effettuare gli accertamenti necessari, ai sensi dell’art. 8, n. 1, primo comma, lett. b), della direttiva 91/414, per l’autorizzazione provvisoria circa l’assenza di effetti pregiudizievoli del prodotto fitosanitario sotto il profilo tossicologico ed ecotossicologico. Nella prassi seguita nel diritto dell’Unione, l’ulteriore valutazione dettagliata da svolgersi nell’ambito della procedura comunitaria conferma in genere la suddetta prognosi e comporta – eventualmente con prescrizioni limitanti – l’inserimento della sostanza attiva nell’allegato I e l’autorizzazione definitiva di immissione in commercio ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 91/414 (42).

99.      Nella prassi, secondo il giudice del rinvio, si dovrebbe anche garantire che alla prima autorizzazione provvisoria di immissione in commercio nell’Unione segua direttamente un’autorizzazione definitiva per il medesimo prodotto ai sensi dell’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96. Il fondamento normativo per la successione diretta di un’autorizzazione definitiva alla prima autorizzazione provvisoria di immissione in commercio nell’Unione sarebbe la disciplina di cui all’art. 8, n. 1, quarto comma, della direttiva 91/414. In base a tale norma, in deroga all’art. 6, qualora allo scadere del termine massimo di tre anni non sia ancora stata presa una decisione riguardo all’iscrizione di una sostanza attiva nell’allegato I, può essere deciso un termine supplementare che consenta l’esame completo del fascicolo e, se del caso, la presentazione di informazioni supplementari richieste in conformità dell’art. 6, nn. 3 e 4. Nell’ambito di tale termine supplementare, gli Stati membri avrebbero la facoltà di prorogare il termine inizialmente concesso per l’autorizzazione provvisoria. Anche nel caso della sostanza attiva iodosulfuron, protetta dal certificato controverso di cui alla causa principale, la Commissione avrebbe stabilito, con decisione 21 maggio 2003, un termine supplementare fino al 21 maggio 2005 per l’esame completo del fascicolo relativo alla suddetta sostanza attiva ai sensi dell’art. 8, n. 1, quarto comma, della direttiva 91/414. Sulla base di tale decisione, poi, in Germania l’autorizzazione temporanea del 9 marzo 2000, inizialmente concessa fino all’8 marzo 2003, sarebbe stata prorogata fino al 21 maggio 2005 ai sensi dell’art. 15c, n. 3, del PflSchG. L’autorizzazione definitiva di cui all’art. 15 del PflSchG è stata rilasciata il 13 gennaio 2005, per cui il requisito di cui all’art. 13, n. 3, del regolamento n. 1610/96 sarebbe stato di fatto osservato ed il certificato controverso, in conclusione, sarebbe stato rilasciato con una durata corretta (43).

100. Dalle suddette considerazioni del giudice del rinvio si può dedurre che la prassi contraria al regolamento di rilasciare certificati protettivi complementari sulla base di autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 era basata in sostanza sulle esperienze maturate nella prassi procedurale quotidiana circa le singole disposizioni della direttiva 91/414 e del regolamento n. 1610/96. A mio avviso, queste considerazioni – di natura prettamente pratica – non sono sufficienti a confutare l’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 da me suggerita, secondo cui certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari non possono essere rilasciati sulla base di autorizzazioni provvisorie. Tenuto conto delle peculiari circostanze della fattispecie, le suddette considerazioni consentono tuttavia, a mio avviso, di dedurre l’esistenza di un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata del requisito sancito dall’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 per il rilascio di un certificato protettivo complementare che avrebbe potuto indurre i richiedenti e le autorità nazionali ad una prassi illegittima circa l’attribuzione dei certificati sulla base di autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.

101. Tenuto conto delle peculiari circostanze della fattispecie, pertanto, concludo che l’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 da me suggerita minaccia di avere gravi ripercussioni economiche nel settore dei prodotti fitosanitari. Si deve inoltre partire dal presupposto che la prassi di attribuzione di certificati protettivi complementari sulla base di autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414 è riconducibile all’esistenza di un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni pertinenti. Sono così soddisfatti entrambi i requisiti fondamentali che, secondo una costante giurisprudenza, devono sussistere per una limitazione nel tempo dell’efficacia di una sentenza pregiudiziale.

102. In limine occorre osservare che la Corte, nei casi in cui prescrive una limitazione nel tempo dell’efficacia di una sentenza pregiudiziale, riconosce quanto meno una deroga a questa efficacia ex nunc a favore delle parti della causa principale nonché a favore di coloro che, prima della pronuncia della sentenza, abbiano già proposto reclami in senso lato. Tale deroga opera di norma nei casi in cui il ricorrente nella causa principale abbia cercato di farsi riconoscere diritti pecuniari o di altra natura e la Corte abbia confermato la tesi giuridica propugnata al riguardo dal ricorrente (44). Il principio portante di questa deroga all’efficacia ex nunc, in sostanza, è costituito dall’osservazione che sarebbe ingiusto negare l’efficacia ex tunc della sentenza pregiudiziale agli interessati che si siano impegnati in modo particolare già prima della pronuncia della sentenza per vedersi riconosciuti i propri diritti (45).

103. Una simile situazione, tuttavia, non si presenta nella causa principale. Qualora si accogliesse il ricorso di annullamento presentato dalla ricorrente nella causa principale, ciò non comporterebbe che alla ricorrente nella causa principale verrebbe riconosciuto un proprio diritto senza che sia indebolita, con effetto retroattivo, la posizione giuridica della convenuta nella causa principale in rapporto ad altri soggetti. Piuttosto, la convenuta nella causa principale perderebbe, con effetto retroattivo ed erga omnes, la posizione di esclusiva conferita dal certificato protettivo complementare. Tenuto conto delle peculiari circostanze della fattispecie, una deroga all’efficacia ex nunc a favore della ricorrente nella causa principale graverebbe pertanto in modo sproporzionato sulla convenuta nella causa principale. A mio avviso nella fattispecie una siffatta deroga, pertanto, non sarebbe neanche congrua.

104. Va rilevato, in conclusione, che la tesi propugnata dalla Commissione, secondo cui nel presente procedimento l’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 dovrebbe essere interpretato ex tunc nel senso da me suggerito, per cui, all’occorrenza, le conseguenze giuridiche di questa sentenza potrebbero essere limitate nel tempo in procedimenti pregiudiziali successivi relativi all’applicazione dell’art. 15 del regolamento n. 1610/96 a certificati protettivi complementari che sono stati rilasciati in violazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, non risulta convincente. Una siffatta soluzione comporterebbe, innanzitutto, una situazione di estrema incertezza giuridica relativamente alla validità di certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari rilasciati in passato sulla base di autorizzazioni provvisorie ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414. Una siffatta soluzione, inoltre, sarebbe incompatibile con la giurisprudenza costante, secondo cui la limitazione dell’efficacia nel tempo dell’interpretazione effettuata in una sentenza pregiudiziale può essere ammessa solo nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta (46).

105. Qualora la Corte dovesse pronunciarsi in via pregiudiziale secondo quanto da me suggerito, asserendo che un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari non può essere rilasciato sulla base di un’autorizzazione di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414, mi sembra necessario e legittimo, sulla base delle considerazioni che precedono, limitare l’efficacia nel tempo di questa sentenza al futuro.

VII – Conclusione

106. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere al Bundespatentgericht nel seguente modo:

1)         L’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 23 luglio 1996, n. 1610, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari, deve essere interpretato nel senso che un certificato protettivo complementare per prodotti fitosanitari non può essere rilasciato sulla base di un’autorizzazione di immissione in commercio di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1991, 91/414/CEE, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari.

2)         Tale interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96 non può essere fatta valere a sostegno della declaratoria di nullità di certificati protettivi complementari per prodotti fitosanitari richiesti prima della pronuncia della presente sentenza sulla base di autorizzazioni provvisorie di immissione in commercio ai sensi dell’art. 8, n. 1, della direttiva 91/414.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – A norma del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea del 13 dicembre 2007 (GU C 306, pag. 1), il procedimento pregiudiziale è ora disciplinato all’art. 267 TFUE.


3 – GU L 198, pag. 30.


4 – GU L 230, pag. 1, nella versione modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 23 febbraio 2005, n. 396, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio (GU L 70, pag. 1).


5 – Legge sulla protezione dei vegetali 15 settembre 1986, nella versione pubblicata il 14 maggio 1998 (BGBl. I pagg. 971, 1527, 3512), da ultimo modificata dall’art. 13 della legge 29 luglio 2009 (BGBl. I pag. 2542).


6 – Decisione della Commissione 31 maggio 1999, 1999/932/CE, che riconosce in linea di massima la conformità dei fascicoli trasmessi per un esame dettagliato in vista di un eventuale inserimento del mesotrione (ZA 1296), dello iodosulfuron metile sodico (AEF 115088), del siltiopham (MON 65500) e di Gliocladium catenulatum nell’allegato I della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU L 148, pag. 44).


7 – Decisione della Commissione 21 maggio 2003, 2003/370/CE, che consente agli Stati membri di prorogare le autorizzazioni provvisorie concesse per le nuove sostanze attive iodosulfuron-methyl-sodium, indoxacarb, S-metolachlor, virus della poliedrosi nucleare di Spodoptera exigua, tepraloxydim e dimetenamid-P (GU L 127, pag. 58).


8 – GU L 247, pag. 20.


9 – Nella versione linguistica tedesca della direttiva 91/414 non viene utilizzata la nozione di «Genehmigung», bensì si parla sistematicamente di una «Zulassung» dei prodotti fitosanitari [termini tradotti entrambi con «autorizzazione» nella versione linguistica italiana]. All’art. 2, n. 11, della suddetta direttiva l’«[a]utorizzazione di un prodotto fitosanitario» viene descritta come «[a]tto amministrativo mediante il quale l’autorità competente di uno Stato membro, a seguito di una domanda inoltrata da un richiedente, autorizza l’immissione in commercio di un prodotto fitosanitario nel suo territorio o in una parte di esso». Nella versione linguistica tedesca del regolamento n. 1610/96 le «Zulassungen» nell’accezione della direttiva 91/414 vengono designate come «Genehmigungen» di immissione in commercio. In questo contesto, in prosieguo utilizzerò uniformemente la nozione di «Genehmigung» nel contesto di riferimenti tanto alla direttiva 91/414 quanto al regolamento n. 1610/96.


10 – V. il nono ‘considerando’ della direttiva 91/414 in cui, peraltro, la protezione della salute dell’uomo e degli animali e la protezione dell’ambiente sono definite come prioritarie rispetto all’obiettivo di migliorare la produzione vegetale.


11 – V. undicesimo ‘considerando’ della direttiva 91/414.


12 – Art. 5, n. 1, della direttiva 91/414.


13 – Art. 5, n. 5, della direttiva 91/414.


14 – V. quinto ‘considerando’ del regolamento n. 1610/96.


15 – V. undicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1610/96.


16 – V. paragrafi 46 e segg. delle presenti conclusioni.


17 – V. paragrafo 51 delle presenti conclusioni.


18 – V. dal quinto al dodicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1610/96.


19 – V., a questo proposito, sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑127/00, Hässle (Racc. pag. I‑14781, punto 77), nonché le conclusioni presentate dall’avvocato generale Stix‑Hackl il 26 febbraio 2002 nella medesima causa, paragrafi 85 e segg., relativamente all’interpretazione dell’identico art. 13, n. 1, del regolamento n. 1768/92.


20 – GU L 182, pag. 1.


21 – V., ad esempio, sentenze 3 settembre 2009, causa C‑482/07, AHP Manufacturing (Racc. pag. I‑7295, punti 23 e segg.); 4 maggio 2006, causa C‑431/04, Massachusetts Institute of Technology (Racc. pag. I‑4089, punti 22 e segg.), e 16 settembre 1999, causa C‑392/97, Farmitalia (Racc. pag. I‑5553, punto 20).


22 – Sul punto v., ad esempio, D. Schennen, «Auf dem Weg zum Schutzzertifikat für Pflanzenschutzmittel», GRUR Int. 1996, pagg. 102 e segg. V. anche J.‑C Galloux, «Le certificat complémentaire de protection pour les produits phytopharmaceutiques», JCP 1996 Ed. E, pag. 499, punto 1. Le differenze del regolamento n. 1610/96 e del regolamento n. 1768/92 sono dovute di norma a disposizioni recepite nel regolamento n. 1610/96 in considerazione di esperienze maturate con il regolamento n. 1768/92. Per garantire un’interpretazione coerente di entrambi i regolamenti anche su questi punti, il diciassettesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1610/96 stabilisce che le innovazioni del regolamento n. 1610/96 valgono, mutatis mutandis, anche per l’interpretazione del regolamento n. 1768/92. Questo ‘considerando’ si deve ad una proposta del Consiglio; v. posizione comune (CE) n. 30/95 del 27 novembre 1995 definita dal Consiglio in vista dell’adozione del regolamento (CE) n. 1610/96 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 1996, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari (GU C 353, pag. 36, punto 9, secondo comma, della motivazione). Al punto 13 della motivazione della posizione comune n. 30/95 il Consiglio, tuttavia, ha del pari evidenziato che la presa in considerazione delle autorizzazioni provvisorie nel contesto dell’art. 13 del regolamento n. 1610/96 costituisce una specificità della procedura di immissione in commercio di prodotti fitosanitari e che, conseguentemente, la coerenza con il regolamento n. 1768/92 non si estende a questa specificità del calcolo della durata.


23 – La questione se il brevetto di base sia ancora in vigore al momento del rilascio del certificato protettivo complementare, invece, è irrilevante; v., ad esempio: S. Jones/G. Cole, (a cura di), CIPA Guide to the Patents Acts, Londra, 6ª ed., 2009, pag. 1214.


24 – In questo contesto si consideri del pari il punto 1.3 del parere del Comitato economico e sociale del 27 aprile 1995 relativo alla «Proposta di regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio sull’ istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari» (GU C 155, pag. 14). In questo punto si afferma, in particolare, che nell’Unione europea il periodo intercorrente tra l’autorizzazione di immissione in commercio e la scadenza del brevetto è pari a circa nove anni.


25 – Su questa coerenza v., ad esempio, D. Schennen, ibidem. (nota 22), pag. 108, il quale sottolinea che la procedura di richiesta e di rilascio del certificato di cui al regolamento n. 1610/96 non si differenzia dalla normativa del regolamento n. 1768/92.


26 – V., in proposito, sentenza 10 maggio 2001, causa C‑258/99, BASF (Racc. pag. I‑3643). In questo caso, il produttore di un pesticida aveva raffinato il procedimento di fabbricazione, aumentando in sostanza il grado di purezza della sostanza attiva. Nel 1967 le autorità olandesi concessero una prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto fitosanitario e, nel 1987, una nuova autorizzazione per il prodotto fitosanitario migliorato. Era stato concesso un brevetto europeo per il nuovo procedimento di fabbricazione della sostanza attiva più pura. La questione verteva sulla possibilità di richiedere un certificato protettivo complementare per il prodotto fitosanitario migliorato sulla base del brevetto di procedimento. Secondo la Corte, entrambi i prodotti fitosanitari si basavano sul medesimo prodotto ai sensi del regolamento n. 1610/96. Pertanto, anche le autorizzazioni rilasciate nel 1967 e nel 1987, qualificabili come autorizzazioni rilasciate ai sensi di una disposizione equivalente di diritto nazionale a norma dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1610/96, riguardavano il medesimo prodotto. In questo contesto, la Corte ha stabilito che i requisiti per il rilascio di un nuovo certificato protettivo complementare di cui all’art. 3, n. 1, lett. a) e d), del regolamento n. 1610/96 non erano soddisfatti.


27 – Sentenze 6 marzo 2007, causa C‑292/04, Meilicke e a. (Racc. pag. I‑1835, punto 34); 15 marzo 2005, causa C‑209/03, Bidar (Racc. pag. I‑2119, punto 66); 11 agosto 1995, cause riunite da C‑367/93 a C‑377/93, Roders e a. (Racc. pag. I‑2229, punto 42), nonché 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana (Racc. pag. 1205, punto 16).


28 – V. sentenza 12 febbraio 2008, causa C‑2/06, Kempter (Racc. pag. I‑411, punto 35).


29 – Punto 34 dell’ordinanza di rinvio 28 aprile 2009.


30 – Allegato 2 delle osservazioni scritte della convenuta nella causa principale del 13 ottobre 2009.


31 – «ECPA’s position – on the relationship between Supplementary Protection Certificates and National Provisional Authorizations», figurante come allegato 1 delle osservazioni scritte della convenuta nella causa principale del 13 ottobre 2009.


32 – Documento di sintesi dell’ECPA (cit. alla nota 31), pag. 3.


33 – Sentenze 22 dicembre 2008, causa C‑333/07, Regie Networks (Racc. pag. I‑10807, punti 118 e segg.); 26 aprile 1994, causa C‑228/92, Roquette Frères (Racc. pag. I‑1445, punti 17 e segg.); 10 marzo 1992, cause riunite C‑38/90 e C‑151/90, Lomas e a. (Racc. pag.  I‑1781, punti 23 e segg.), nonché 29 giugno 1988, causa 300/86, Van Landschoot (Racc. pag. 3443, punti 22 e segg.).


34 – Come riferimento fondamentale v. sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne (Racc. pag. 455, punti 69 e segg.).


35 – Sentenze 17 luglio 2008, causa C‑426/07, Krawczyński (Racc. pag. I‑6021, punto 42); Meilicke e a., (cit. supra alla nota 27, punto 35); Bidar (cit. supra alla nota 27, punto 67); 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I‑6193, punto 51); 23 maggio 2000, causa C‑104/98, Buchner e a. (Racc. pag. I‑3625, punto 39), nonché 4 maggio 1999, causa C‑262/96, Sürül (Racc. pag. I‑2685, punto 108).


36 – V., ad esempio, sentenze 17 maggio 1990, causa C‑262/88, Barber (Racc. pag. I‑1889, punti 40 e segg.): limitazione dell’efficacia della sentenza nel tempo al momento della pronuncia della sentenza, e 6 ottobre 1993, causa C‑109/91, Ten Oever (Racc. pag. I‑4879, punti 15 e segg.): limitazione dell’efficacia della sentenza nel tempo al momento della pronuncia della sentenza nella causa Barber. V., in proposito, anche J. Kokott/T. Henze, «Die Beschränkung der zeitlichen Wirkung von EuGH‑Urteilen in Steuersachen», NJW 2006, pagg. 177, 181.


37 – V., ad esempio, sentenze Krawczyński (cit. alla nota 35, punti 43 e segg.) e Meilicke e a. (cit. supra alla nota 27, punti 35 e segg.).


38 – V. sentenze Bidar (cit. supra alla nota 27, punto 69); Grzelczyk (cit. supra alla nota 35, punto 53), e Roders e a. (cit. supra alla nota 27, punto 43).


39 – V. paragrafi 84 e segg. delle presenti conclusioni.


40 – V. paragrafo 22 delle presenti conclusioni.


41 – V. punto 37 dell’ordinanza di rinvio del 28 aprile 2009.


42 – V. punto 38 dell’ordinanza di rinvio del 28 aprile 2009.


43 – V. punti 39 e segg. dell’ordinanza di rinvio del 28 aprile 2009.


44 – V., ad esempio, sentenze Regie Networks (cit. supra alla nota 33); Sürül (cit. supra alla nota 35); Roquette Frères (cit. supra alla nota 33); Ten Oever (cit. supra alla nota 36); Barber (cit. supra alla nota 36), e Defrenne (cit. supra alla nota 34).


45 – V. J.  Kokott/T. Henze, ibidem (nota 36), pag. 182.


46 – V. ad esempio, sentenze Krawczyński (cit. supra alla nota 35, punto 43) e Meilicke e a. (cit. supra alla nota 27, punto 36).