CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 4 marzo 2010 1(1)

Causa C‑31/09

Nawras Bolbol

contro

Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Fővárosi Bíróság (Ungheria)]

«Condizioni minime che i cittadini di paesi terzi o gli apolidi debbono soddisfare per poter invocare lo status di rifugiato – Apolide di origine palestinese – Condizioni per la concessione dello status di rifugiato – Art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva 2004/83/CE»






1.        Sin dal momento in cui ha appreso a fabbricare armi e ad utilizzarle contro i propri vicini, l’uomo è stato accompagnato dalla sfida umanitaria relativa alle modalità di assistenza a favore di persone che, a seguito di un conflitto, vengono private della casa e dei mezzi di sussistenza. È necessario e giusto prestare assistenza e protezione ai singoli e ai gruppi di persone che si trovano in una situazione di questo genere. Esistono purtroppo conflitti di tipo particolare che generano folte schiere di soggetti rientranti in tale categoria. Non sempre gli Stati che godono di maggiore prosperità o stabilità, nei quali questi soggetti entrano in massa in cerca di asilo, riescono a gestire facilmente tale afflusso, specialmente subito dopo lo scoppio di un nuovo conflitto, se non con il rischio di mettere in pericolo la propria prosperità e stabilità. La conseguenza è che le condizioni preferenziali accordate ad una classe o ad un gruppo particolari di rifugiati, qualunque ne sia il motivo, se non sono proporzionate e ponderate, vanno a discapito di un adeguato trattamento di altri soggetti che pure lo meriterebbero, in una prospettiva umanitaria oggettiva.

2.        La comunità internazionale ha pertanto dettato, nella Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sullo status dei rifugiati (2), una serie di norme vincolanti di diritto internazionale umanitario che stabiliscono chi, e in quali circostanze, dev’essere considerato come rifugiato e quale tipo di assistenza richiede. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno firmato tale convenzione. A livello dell’Unione europea, gli obblighi su di essi incombenti sono riprodotti nella direttiva 2004/83 (3).

3.        Il presente rinvio pregiudiziale, proposto dal Fővárosi Bíróság (Tribunale di Budapest) ai sensi dell’ex art. 68 CE, verte sulle circostanze in cui, ai sensi della direttiva 2004/83, uno Stato membro può o è tenuto ad accordare lo status di rifugiato ad un palestinese che abbia chiesto asilo in tale Stato membro.

 Il diritto internazionale

 La Convenzione del 1951

4.        Il preambolo della Convenzione del 1951 ricorda che la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo hanno sancito il principio secondo cui gli uomini, senza distinzioni, devono godere dei diritti e delle libertà fondamentali, e sottolinea che l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha più volte manifestato il suo profondo interessamento per i rifugiati, preoccupandosi di garantire loro l’esercizio dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nella maggiore misura possibile. Al tempo stesso, sempre nel preambolo si evidenzia che dalla concessione del diritto d’asilo possono risultare oneri eccezionalmente gravi per determinati paesi e che una soluzione soddisfacente dei problemi di cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’importanza e il carattere internazionali non può essere conseguita senza solidarietà internazionale. Nel preambolo si auspica che tutti gli Stati, riconosciuto il carattere sociale e umanitario del problema dei rifugiati, facciano il loro possibile per evitare che tale problema divenga una causa di tensione fra Stati.

5.        L’art. 1, sezione A, della Convenzione del 1951 indica in dettaglio i criteri per stabilire se ad un individuo si possa riconoscere lo status di rifugiato:

«Ai fini della presente Convenzione, il termine “rifugiato” si applicherà a colui:

(…)

2) che (…) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure a chiunque, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra.

(…)» (4).

6.        L’art. 1, sezione C, indica diverse circostanze nelle quali la Convenzione cessa di essere applicabile ad una persona che aveva ottenuto lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1, sezione A – essenzialmente, a causa del fatto che tale persona non ha più, o non dovrebbe avere più bisogno della sua protezione.

7.        L’art. 1, sezione D, la cui interpretazione è essenziale per il presente procedimento, così recita:

«La presente Convenzione non potrà applicarsi a coloro che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Qualora questa protezione o questa assistenza per un qualunque motivo dovessero venire a cessare, senza che la situazione di queste persone sia stata definitivamente regolata, in conformità con le risoluzioni adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, costoro avranno pieno diritto a usufruire del regime previsto dalla presente Convenzione».

8.        Ai sensi dell’art. 38, ogni controversia tra le parti della Convenzione relativa alla sua interpretazione o alla sua applicazione è sottoposta alla Corte internazionale di giustizia (5) a richiesta di una delle parti della Convenzione.

 Le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite relative alla situazione in Palestina (6)

9.        Subito dopo gli eventi della seconda guerra mondiale e in particolare dopo l’Olocausto, le Nazioni Unite aderirono al piano di spartizione della Palestina elaborato dal Comitato speciale delle Nazioni Unite per la Palestina (7) [Risoluzione 181 (II) del 29 novembre 1947]. Il 14 maggio 1948 venne proclamato lo Stato di Israele e subito dopo scoppiò la «guerra del 1948», così definita da una successiva risoluzione delle Nazioni Unite. Con la Risoluzione 273 (III) dell’11 maggio 1949, lo Stato di Israele fu ammesso come membro di tale organizzazione.

10.      A seguito della guerra del 1948 molti palestinesi divennero profughi. Con la Risoluzione 212 (III) del 19 novembre 1948 fu istituita l’Assistenza delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (United Nations Relief for Palestinian Refugees), con lo scopo di prestare immediata e temporanea assistenza a tali soggetti. Con la Risoluzione dell’Assemblea generale 302 (IV) dell’8 dicembre 1949, le Nazioni Unite crearono l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) (8).

11.      Il mandato dell’UNRWA è stato rinnovato ogni tre anni da quando l’organismo è stato creato nel 1949. L’attuale mandato giungerà a scadenza nel 2011 (9). L’area di operazioni di tale agenzia comprende cinque «settori», ossia Libano, Repubblica araba siriana, Giordania, Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) e la Striscia di Gaza (10).

 La Versione consolidata delle istruzioni per la candidatura e la registrazione (Consolidated Eligibility and Registration Instructions, CERI)

12.      Ai sensi delle CERI adottate dall’UNRWA, per «persone rispondenti ai criteri dell’UNRWA sui profughi palestinesi» si intendono «le persone che nel periodo compreso tra il 1° giugno 1946 e il 15 maggio 1948 risiedevano abitualmente in Palestina e che in seguito alla guerra del 1948 hanno perduto casa e mezzi di sussistenza» (11). Anche altri soggetti, benché non rispondenti ai criteri dell’UNRWA relativi ai profughi palestinesi, possono usufruire dei servizi dell’UNRWA (12). L’UNRWA raggruppa queste due categorie di soggetti in quella di persone «che hanno accesso ai servizi dell’UNRWA dopo essersi registrati presso il Sistema di registrazione dell’organismo ed aver ottenuto una tessera di registrazione presso l’UNRWA come prova» (13).

13.      Esistono poi altre categorie di soggetti che hanno diritto a ricevere i servizi dell’UNRWA senza essere iscritti presso il sistema di registrazione dell’organismo (14). Tra costoro vi sono «i profughi, non registrati, a seguito dei fatti del 1967 e delle successive ostilità» (15) e «i soggetti non registrati che vivono in campi o in comunità» (16).

 Lo statuto dell’Ufficio dell’UNHCR

14.      L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Office of the United Nations High Commissioner for Refugees) (17) fu creato il 14 dicembre 1950 con la Risoluzione 428 (V) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ai sensi dell’art. 22 della Carta delle Nazioni Unite, l’UNHCR è un organo ausiliario delle Nazioni Unite. Le funzioni dell’ufficio dell’UNHCR sono definite nel suo statuto (18).

15.      L’art. 6 del suo statuto definisce l’ambito della competenza dell’UNHCR. Tuttavia, come disposto dall’art. 7, lett. c), tale competenza non si estende ad una persona che continui a ricevere protezione o assistenza da altri organismi o agenzie delle Nazioni Unite.

 Le dichiarazioni dell’UNHCR

16.      Di quando in quando l’UNHCR pronuncia dichiarazioni dotate di forza persuasiva ma non vincolante (19). L’Ufficio dell’UNHCR ha pubblicato numerose dichiarazioni relative all’interpretazione dell’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951: un commento al suo Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status under the 1951 Convention and the 1967 Protocol [Manuale sulle procedure e i criteri per determinare lo status dei rifugiati ai sensi della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967], una nota pubblicata nel 2002 (e riveduta nel 2009) e una dichiarazione del 2009 (a sua volta successivamente riveduta) che si riferisce espressamente al caso della sig.ra Bolbol. Intendo considerare tale ultimo documento come una memoria amicus curiae non ufficiale.

 Il Manuale dell’UNHCR

17.      Nel manuale l’art. 1, sezione D, viene definito come una disposizione in base alla quale persone che altrimenti avrebbero la qualifica di rifugiati sono escluse dallo status di rifugiato. In esso si afferma che l’esclusione in base a tale clausola si applica a coloro che godono di protezione o assistenza da parte dell’UNRWA, dovendosi precisare che l’UNRWA opera solo in alcune aree del Medio Oriente e che solo in tali aree l’organismo fornisce protezione e assistenza (20). Pertanto, un profugo palestinese che si trovi al di fuori di detta area non gode della suddetta assistenza e può essere preso in considerazione ai fini della determinazione dello status di rifugiato in base ai criteri della Convenzione del 1951. Nel manuale si afferma che dovrebbe essere di norma sufficiente dimostrare che sono ancora sussistenti le circostanze in base alle quali tale soggetto poteva originariamente ottenere protezione o assistenza da parte dell’UNRWA e che non sono allo stesso applicabili le clausole di cessazione e di esclusione (21).

 La nota del 2002

18.      Nella nota del 2002 (22) l’UNHCR considera le due frasi di cui si compone l’art. 1, sezione D, come alternative e non cumulative. Esso considera l’art. 1, sezione D, applicabile ai rifugiati palestinesi ai sensi della Risoluzione 194 (III) dell’11 dicembre 1948 o ai profughi ai sensi della Risoluzione 2252 (ES-V) del 4 luglio 1967 (23). Coloro che vivono nell’area dell’UNRWA e che siano registrati, o legittimati a registrarsi presso tale organismo (24), vanno considerati come soggetti che ricevono protezione e assistenza da parte dell’UNRWA. Essi rientrano pertanto nell’ambito dell’art. 1, sezione D, prima frase, e non nella Convenzione del 1951.

19.      L’UNHCR ritiene che l’art. 1, sezione D, seconda frase, attribuisca automaticamente il diritto a beneficiare della Convenzione del 1951 ai soggetti che si trovano fuori dell’area dell’UNRWA (25) ma che tuttavia sono rifugiati palestinesi ai sensi della Risoluzione 194 (III) dell’11 dicembre 1948 o profughi ai sensi della Risoluzione 2252 (ES-V) del 4 luglio 1967. Tra costoro sono incluse persone che non hanno mai risieduto nell’area dell’UNRWA e che pertanto rientrano nell’ambito della competenza dell’UNHCR (26). Può accadere, tuttavia, che tali persone tornino (o siano rimandate) nell’area dell’UNRWA (27). In tal caso, esse rientrano nell’ambito dell’art. 1, sezione D, prima frase.

 La nota del 2009

20.      Analogamente, la nota del 2009 parte dal testo delle Risoluzioni 194 (III) e 2252 (ES-V). Secondo l’UNHCR, il termine «fruire», contenuto nell’art. 1, sezione D, prima frase, comprende il concetto di «aver diritto a ricevere» protezione e assistenza da parte dell’UNRWA; esso inoltre sottolinea che, per poter fruire di tale assistenza, le persone interessate debbono trovarsi nell’area dell’UNRWA (28). Per quanto riguarda l’art. 1, sezione D, seconda frase, oltre agli argomenti esposti nella sua nota del 2002, l’UNHCR rileva che, a suo avviso, l’espressione «cessa per un motivo qualsiasi» include casi in cui una determinata persona, già registrata con l’UNRWA, abbia viaggiato al di fuori dell’area dell’UNRWA (29).

 Il diritto dell’Unione europea

 Il Trattato CE

21.      Ai sensi dell’art. 63 CE (30):

«Il Consiglio (…) adotta:

1)      misure in materia di asilo, a norma della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del protocollo del 31 gennaio 1967, relativo allo status dei rifugiati (…)».

 La posizione comune 96/196/GAI

22.      L’art. 12 della posizione comune (31), intitolato «Articolo 1 D della convenzione di Ginevra», così recita:

«Una persona che si sottragga deliberatamente alla protezione e assistenza di cui all’articolo 1 D della convenzione di Ginevra non rientra automaticamente di diritto nell’ambito di operatività delle disposizioni di tale convenzione. In tal caso, lo status di rifugiato è di norma definito ai sensi dell’articolo 1 A».

 La direttiva 2004/83

23.      Il Consiglio di Tampere ha dettato le basi per il programma di legislazione europea relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea, noto come Programma dell’Aia. La direttiva 2004/83 è parte di questo programma. Essa detta norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica e dello status di rifugiato o di persona avente diritto ad una forma di protezione sussidiaria (come un divieto di espulsione).

24.      Ai sensi del terzo ‘considerando’ della direttiva 2004/83, «[l]a convenzione di Ginevra ed il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati». Il sesto ‘considerando’ precisa che «[l]o scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri».

25.      L’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83 rispecchia il primo comma dell’art. 1 , sezione A, n. 2, della Convenzione del 1951. Ai sensi del suddetto articolo, per «rifugiato» si intende un «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12».

26.      Il capo III della direttiva definisce i requisiti per essere considerato rifugiato. L’art. 12, contenuto in tale capo, rispecchia l’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951. Più in particolare, l’art. 12, n. 1, lett. a), che corrisponde all’art. 1, sezione D, della Convenzione, così recita:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se:

a) rientra nel campo d’applicazione dell’articolo 1D della convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni [U]nite diversi dall’Alto Commissario delle Nazioni [U]nite per i rifugiati. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva».

27.      Ai sensi dell’art. 13 della direttiva, lo status di rifugiato è riconosciuto «al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II [Valutazione delle domande di protezione internazionale] e III [Requisiti per essere considerato rifugiato]».

28.      I capi V e VI della direttiva si occupano, rispettivamente, dei requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria e dello status di protezione sussidiaria. In particolare, l’art. 18 dispone che la protezione sussidiaria è riconosciuta ad un cittadino di un paese terzo o ad un apolide ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V.

29.      Ai sensi dell’art. 38, n. 1, la direttiva doveva essere trasposta nelle legislazioni nazionali entro il 10 ottobre 2006. All’epoca dei fatti all’origine del presente procedimento, all’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva non era stata data attuazione nel diritto nazionale ungherese, malgrado la scadenza del termine di trasposizione. Entrambe le parti della controversia nazionale ritengono che l’art. 12, n. 1, lett. a), sia sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato per poter essere direttamente fatto valere da un ricorrente dinanzi alle autorità nazionali competenti.

 Fatti, procedimento e questioni proposte

30.      Il 10 gennaio 2007 la sig.ra Bolbol, un’apolide palestinese in provenienza dalla Striscia di Gaza, è giunta in Ungheria con il coniuge, munita di un visto. All’arrivo, la stessa ha chiesto e ottenuto un permesso di soggiorno, rilasciato dall’autorità competente in materia d’immigrazione. In data 21 giugno 2007 ha chiesto al Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal (l’ufficio competente per l’immigrazione e la cittadinanza; in prosieguo: il «BAH») che le venisse riconosciuto lo status di rifugiato perché, nell’ipotesi in cui l’autorità competente non avesse rinnovato il suo permesso di soggiorno, non intendeva ritornare nella Striscia di Gaza che reputava insicura a motivo del conflitto tra Fatah e Hamas.

31.      La sig.ra Bolbol ha formulato la sua richiesta sulla base dell’art. 1, sezione D, seconda frase, della Convenzione del 1951, adducendo di essere una palestinese che risiedeva al di fuori dell’area dell’UNRWA. Solo suo padre è rimasto nella Striscia di Gaza, in cui lavora come docente universitario, mentre tutti gli altri membri della sua famiglia sono emigrati.

32.      È assodato che la sig.ra Bolbol non è ricorsa alla tutela e all’assistenza dell’UNRWA mentre si trovava nella Striscia di Gaza. Nella sua richiesta, essa sostiene di aver diritto a tale protezione. A prova di detta richiesta, ha presentato la tessera di registrazione presso l’UNRWA emessa a nome della famiglia del cugino del padre. Il BAH, tuttavia, contesta tale legame famigliare in mancanza di prove documentali. L’UNRWA non ha confermato espressamente il diritto della ricorrente ad essere registrata (32).

33.      Con decisione 14 settembre 2007 il BAH ha respinto la domanda della sig.ra Bolbol diretta ad ottenere lo status di rifugiato (33), rilevando al contempo che la stessa era garantita da un divieto di espulsione (34), dovuto al fatto che la riammissione di palestinesi dipende dall’arbitrio delle autorità israeliane e la sig.ra Bolbol sarebbe stata esposta al rischio di tortura e di un trattamento disumano e degradante nella Striscia di Gaza, considerate le circostanze critiche ivi esistenti.

34.      La sig.ra Bolbol ha impugnato la decisione con cui il BAH aveva respinto la sua domanda di status di rifugiato dinanzi al Fővárosi Bíróság il quale ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni:

«Ai fini dell’applicazione dell’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 2004/83/CE:

1)      Se si debba ritenere che una persona benefici della protezione e dell’assistenza di un’agenzia delle Nazioni Unite per il solo fatto di aver diritto a detta assistenza o protezione o se sia necessario che sia effettivamente ricorsa alla protezione o all’assistenza.

2)      Se la cessazione della protezione o dell’assistenza della detta agenzia implichi un soggiorno al di fuori della sua area di operazioni, la cessazione dell’attività dell’agenzia, il fatto che quest’ultima non possa offrire la protezione o l’assistenza o, eventualmente, un impedimento oggettivo a causa del quale la persona avente diritto alla protezione o all’assistenza non possa ricorrervi.

3)      Se il fatto di essere ammesso ai benefici della direttiva comporti il riconoscimento dello status di rifugiato o di una qualsiasi delle due forme di protezione incluse nell’ambito di applicazione della direttiva (lo status di rifugiato e il riconoscimento della protezione sussidiaria) in funzione della scelta effettuata dallo Stato membro, oppure, se le caso, non implichi automaticamente alcuna di dette forme ma solo l’appartenenza all’ambito di applicazione ratione personae della direttiva».

35.      Osservazioni scritte sono state presentate dalla sig.ra Bolbol, dai governi del Belgio, della Germania, della Francia, dell’Ungheria e del Regno Unito, nonché dalla Commissione. Eccezion fatta per il governo del Regno Unito, tutti sono intervenuti all’udienza del 20 ottobre 2009 per svolgere osservazioni orali.

 Analisi

 La direttiva e la Convenzione del 1951

36.      Anche se l’Unione europea in quanto tale non figura tra i firmatari della Convenzione, l’art. 63, n. 1, CE dispone espressamente che la politica comune in materia di asilo dev’essere adottata a norma della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967. Nel preambolo della direttiva 2004/83, la quale trova il suo fondamento giuridico nell’art. 63, n. 1, CE, la Convenzione del 1951 viene definita come la «pietra angolare» in materia di protezione dei rifugiati. La direttiva è manifestamente intesa a dare attuazione, attraverso norme comuni di diritto comunitario, agli obblighi internazionali degli Stati membri. Le disposizioni della direttiva, di conseguenza, vanno interpretate in modo conforme alla Convenzione del 1951 (35).

37.      La Corte internazionale di giustizia non si è ancora pronunciata riguardo all’interpretazione dell’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951, sebbene l’UNHCR abbia espresso il proprio parere in merito (36). Un esame (non esaustivo) delle decisioni rilevanti da parte dei giudici degli Stati membri mostra una considerevole disparità (che si riflette nelle osservazioni presentate dagli Stati membri intervenuti nel presente procedimento) tanto nell’approccio quanto nei risultati (37). Naturalmente, nessuna di tali interpretazioni è vincolante per la Corte.

38.      Al fine di risolvere le questioni proposte dal giudice nazionale, è necessario che la Corte proceda prima ad analizzare direttamente l’art. 1, sezione D, della Convenzione, per poi applicare tale analisi nell’ambito del diritto dell’Unione europea (38).

39.      Occorre poi chiarire quale sia l’ambito del caso in esame. Tanto nell’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva 2004/83, quanto nell’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951 si parla, in modo generico, di «protezione o assistenza» da parte «di un organo o di un’agenzia» delle Nazioni Unite. Tuttavia, la domanda proposta dalla sig.ra Bolbol al giudice nazionale si basa sulla sua pretesa di essere legittimata a ricevere l’assistenza dell’UNRWA; e nelle osservazioni di tutte le parti dinanzi alla Corte la questione è stata affrontata esclusivamente con riferimento al ruolo dell’UNRWA (e non in termini più generali). Pertanto, nelle presenti conclusioni seguirò tale approccio.

40.      Prenderò poi in considerazione anzitutto il contesto storico nel quale l’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951 è stato elaborato (unitamente ai lavori preparatori) (39). Successivamente, indicherò le considerazioni guida che ritengo di applicare, per poi esaminare i problemi interpretativi specifici che a mio parere vanno affrontati. Infine, tornerò ad occuparmi alla direttiva 2004/83 e, di seguito, delle questioni proposte.

 Il contesto storico e i lavori preparatori

41.      La stesura della Convenzione del 1951 è avvenuta sullo sfondo di conflitti, devastazioni e sfollamenti di popolazioni. La Seconda guerra mondiale aveva lasciato dietro di sé un numero molto elevato di profughi in Europa. Una serie di eventi distinti ma connessi aveva portato, con la partecipazione della comunità internazionale, alla spartizione della Palestina, cui fece seguito la proclamazione dello Stato di Israele. Nel conflitto regionale che precedette e seguì tale avvenimento, moltissime persone si sono ritrovate nella condizione di profughi.

42.      Essendo formulato in termini generali, l’art. 1, sezione D, è potenzialmente applicabile a qualsiasi situazione in cui «organi o agenzie» delle Nazioni Unite forniscano «protezione o assistenza» a persone che altrimenti ricadrebbero, ratione personae, nell’ambito della Convenzione del 1951. In effetti, le Nazioni Unite hanno di recente iniziato ad offrire assistenza specifica in relazione alla guerra in Corea (40). Ciò detto, dai lavori preparatori emerge che, al momento di redigere l’art. 1, sezione D, la Conferenza dei Plenipotenziari sullo status dei rifugiati e degli apolidi (Conference of Plenipotentiaries on the Status of Refugees and Stateless Persons) (41) aveva messo al primo posto la situazione in Palestina.

43.      Il verbale della Conferenza dei Plenipotenziari risulta rispecchiare tre principali considerazioni (42): in primo luogo, la necessità di impedire un esodo di massa dall’area geografica che era stata la Palestina (43); in secondo luogo, l’intenzione di alcuni Stati di preservare la visibilità politica delle persone divenute profughi in seguito agli eventi del 1948 (44); e, in terzo luogo, l’esigenza di evitare una sovrapposizione di competenze tra l’UNHCR e l’UNRWA (45). Tutti questi timori si incentrano (per ragioni storiche) sulle conseguenze della situazione in Palestina in termini di profughi bisognosi di assistenza. Nell’analizzare l’art. 1, sezione D, ai fini del presente procedimento, quanto sopra indicato costituirà il mio punto di partenza storico.

44.      I lavori preparatori, inoltre, sembrano considerare l’esilio dei Palestinesi essenzialmente come una problematica riguardante un gruppo di persone (46). Tuttavia, sebbene la categoria dei profughi palestinesi abbia determinato storicamente il tema dell’art. 1, sezione D, la disposizione di per sé dev’essere intesa in modo che sia comprensibile e applicabile ad un individuo. Un approccio di questo tipo riflette l’elevato valore che il diritto internazionale nel suo complesso attribuisce al diritto di autodeterminazione (diritto collettivo di un gruppo di soggetti) (47) ma, al tempo stesso, è espressione del fatto che il diritto internazionale umanitario si basa sui principi del rispetto della persona e degli individui all’interno di un gruppo (48).

45.      Nella soluzione di compromesso negoziata che è stata poi trasfusa nell’art. 1, sezione D, i profughi palestinesi sono individuati, tra gli altri, per beneficiare di una particolare considerazione e, sotto certi profili, di una particolare protezione nel quadro complessivo del diritto internazionale sui rifugiati.

46.      Pur essendo una disposizione breve, l’art. 1, sezione D, lascia molte questioni irrisolte. Si possono distinguere almeno quattro ampie aree di incertezza interpretativa – due derivanti dalla prima frase e due dalla seconda – che occorre chiarire per risolvere le questioni proposte alla Corte nel presente procedimento (49).

47.      In primo luogo, occorre chiarire cosa si intenda, in senso geografico e/o temporale, per «persone che fruiscono attualmente [di] protezione o [di] assistenza». In secondo luogo, se sia necessario che tali persone fruiscano effettivamente di protezione o assistenza o se sia sufficiente che vi abbiano diritto. (Di conseguenza, sorge spontanea un’altra questione, rilevante in particolare ai fini dell’interpretazione della direttiva e del procedimento dinanzi al giudice nazionale: se la registrazione formale presso l’UNRWA produca un effetto di merito o semplicemente probatorio). In terzo luogo, in quali circostanze si debba ritenere che «tale protezione o tale assistenza cess[i] per un motivo qualsiasi». In quarto luogo, quale significato vada attribuito alla frase «fruiscono [automaticamente] di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione».

 Considerazioni guida

48.      Come chiarito dalle osservazioni scritte e orali presentate alla Corte, l’attuale versione dell’art. 1, sezione D, si presta a numerose interpretazioni. Ritengo pertanto essenziale individuare, in modo chiaro e inequivoco, i principi guida del mio ragionamento.

49.      In primo luogo, i veri rifugiati meritano protezione e assistenza. Va pertanto respinta a priori un’interpretazione che determini una carenza nella protezione di una persona appartenente a tale categoria.

50.      In secondo luogo, la volontà storica sottostante all’art. 1, sezione D, era chiaramente quella di attribuire una qualche forma di trattamento e considerazione speciali ai profughi palestinesi (50).

51.      In terzo luogo, anche se all’inizio l’Assemblea Generale si augurava (come manifestato dagli autori della Convenzione nel 1951) che l’UNRWA dovesse occuparsi solo di fornire un’assistenza temporanea, i problemi associati alla situazione in Palestina si sono rivelati impossibili da risolvere nel corso dei seguenti decenni, come dimostrato dai successivi rinnovi del mandato dell’UNRWA. La triste realtà, come evidenziato anche dal Protocollo del 1967, è che i problemi dei rifugiati che dovevano essere regolati in base alla Convenzione del 1951 non sono limitati a quelli derivanti dagli avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951. Pertanto, la volontà originale degli autori della Convenzione dev’essere riletta alla luce della realtà dei fatti storici successivi.

52.      In quarto luogo, secondo gli autori della Convenzione i profughi palestinesi che ricevevano il trattamento e la considerazione speciali messi appositamente in atto per occuparsi della loro condizione (assistenza da parte dell’UNRWA) non potevano chiedere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione, sotto la supervisione dell’UNHCR (di qui la prima frase dell’art. 1, sezione D. In quanto assistite dall’UNRWA, tali persone sono escluse ratione personae dalla Convenzione.

53.      In quinto luogo, quale corollario di tale esclusione (o forse a titolo di compensazione della stessa), ove sussistano determinate circostanze, i profughi palestinesi che rientrano nell’ambito dell’art. 1, sezione D, seconda frase, hanno automaticamente diritto a fruire dei diritti derivanti dalla Convenzione (e non semplicemente a che cessi la loro esclusione dall’ambito della Convenzione stessa perché non ricevono più protezione o assistenza da parte dell’UNRWA). La presenza stessa della seconda frase implica, quale ulteriore conseguenza, che, se sono soddisfatte le condizioni specifiche in essa previste, tali persone semplicemente vanno ad aggiungersi alla fila di altri soggetti che possono richiedere lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1, sezione A.

54.      In sesto luogo, il concetto di «cessazione della protezione o dell’assistenza» da parte di un organo o agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’UNHCR (in questo caso, l’UNRWA) non può essere interpretato in modo tale da bloccare, di fatto, tali persone nell’area dell’UNRWA, impedendo loro (sebbene forzatamente private dell’assistenza dell’UNRWA) di partire e di richiedere altrove lo status di rifugiato fino alla completa soluzione della situazione di cui alla «questione palestinese» e allo scioglimento dell’UNRWA. Un risultato del genere sarebbe totalmente inaccettabile.

55.      In settimo luogo, poiché tutti i veri rifugiati dovrebbero poter ricevere protezione o assistenza, ma gli Stati non sono in grado di assorbire rifugiati all’infinito, l’art. 1, sezione D, non può essere interpretato neppure nel senso di attribuire a tutti i profughi palestinesi, che fruiscano o meno effettivamente, ovvero che abbiano o meno fruito in passato, dell’assistenza dell’UNRWA, il diritto di abbandonare volontariamente l’area dell’UNRWA e di richiedere automaticamente altrove lo status di rifugiato. Tale interpretazione attribuirebbe ai profughi palestinesi un trattamento sproporzionatamente favorevole, a discapito di altre persone divenute profughi a causa di ulteriori conflitti nel mondo e che richiedono a buon diritto lo status di rifugiato.

56.      Infine, le due frasi di cui si compone l’art. 1, sezione D, vanno intese come complessivamente dirette ad affrontare il problema di fornire un trattamento ed una considerazione speciali ai profughi generati dalla situazione in Palestina. La prima frase è stata considerata insufficiente a tal fine e, quindi, è stata aggiunta la seconda frase. Sembra pertanto ragionevole leggere le due frasi (e i singoli elementi che le compongono) in modo consecutivo e non separatamente (51); e cercare un’interpretazione dell’intera disposizione che conduca a bilanciare ragionevolmente la protezione dei profughi palestinesi (in forza dell’art. 1, sezione D) e quella di altri potenziali rifugiati (in forza della Convenzione del 1951 nella sua interezza).

57.      Passerò ora a considerare nel dettaglio i quattro problemi interpretativi (52) sollevati dalle questioni proposte dal giudice nazionale.

  (i) Il significato di «persone che fruiscono attualmente [di] protezione o [di] assistenza»

58.      La locuzione «che fruiscono attualmente» pone un duplice limite. Da un lato, le possibilità pratiche di fruire di protezione o assistenza da parte dell’UNRWA indicano una limitazione relativa ai luoghi (53). Dall’altro lato, il termine «attualmente» e l’uso del verbo al presente indicativo suggeriscono una limitazione temporale (54).

 Limitazione spaziale

59.      Per fruire della protezione o dell’assistenza da parte di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diverso dall’UNHCR, una persona deve trovarsi in un luogo in cui la protezione e l’assistenza siano fisicamente possibili. L’assistenza da parte dell’UNRWA può essere ottenuta soltanto nell’area dell’UNRWA. Pertanto, come dichiarato dall’UNHCR, per quanto qui rilevante, una persona rientra nell’ambito dell’art. 1, sezione D, prima frase, solo se risulta risiedere nell’area dell’UNRWA.

60.      Come suggerito dal governo belga, di conseguenza, l’intero art. 1, sezione D, deve essere limitato alle persone che si trovino all’interno dell’area dell’UNRWA. A mio avviso, tuttavia, sotto un profilo giuridico, né la prima né la seconda frase di cui si compone l’art. 1, sezione D, presentano una qualsiasi limitazione geografica. È soltanto la concreta possibilità di ricevere l’assistenza dell’UNRWA a determinare l’apparente limitazione geografica di cui alla prima frase. Di conseguenza, un individuo che abbandoni l’area dell’UNRWA dovrebbe poter invocare, in presenza di determinate circostanze, i diritti specifici derivanti dall’art. 1, sezione D, seconda frase, indipendentemente dal luogo in cui si trovi.

61.      Oltre tutto, faccio notare che la prima e la seconda frase dell’art. 1, sezione D, vanno lette in modo consecutivo. Pertanto, nel caso di un individuo che intenda far valere diritti derivanti dall’art. 1, sezione D, seconda frase, occorre anzitutto verificare se tale individuo rientrasse inizialmente nell’ambito della prima frase del medesimo articolo. In caso negativo, tale individuo non era precedentemente escluso ratione personae dall’ambito della Convenzione ed anzi, al pari di qualsiasi altro potenziale rifugiato, egli potrà chiedere una valutazione individuale ai sensi dell’art. 1, sezione A (55).

 Limitazione temporale

62.      Secondo il Regno Unito, il termine «attualmente» è stato utilizzato con riferimento al 1951, ossia l’epoca in cui la Convenzione è stata redatta. A suo avviso, le parti contraenti avevano considerato solo il gruppo di persone individuate come soggetti che già stavano ricevendo assistenza e protezione da parte dell’UNRWA nel momento in cui la Convenzione era entrata in vigore.

63.      La sig.ra Bolbol sostiene che chiunque abbia mai fruito (56) di assistenza da parte dell’UNRWA rientra nell’ambito della clausola di esclusione di cui all’art. 1, sezione D, prima frase (57).

64.      Secondo la Commissione e l’Ungheria, l’espressione «che fruiscono attualmente» va riferita all’idea di una fruizione immediatamente precedente la richiesta dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 1, sezione D.

65.      A mio avviso, l’interpretazione suggerita dal Regno Unito è più severa di quanto consentito dalla lettera dell’articolo di cui trattasi, in particolare tenuto conto del Protocollo del 1967 e dei ripetuti rinnovi del mandato dell’UNRWA.

66.      Riconosco che è possibile che nel 1951 le parti contraenti avessero considerato principalmente le persone che all’epoca già fruivano della protezione o dell’assistenza da parte di «altri organi o agenzie» delle Nazioni Unite (come l’UNRWA). Tuttavia, da allora molte altre persone (sia discendenti dei profughi originari sia nuovi profughi) hanno ottenuto assistenza e protezione da parte di tale organismo. Tant’è vero che le modifiche alla Convenzione apportate dal Protocollo del 1967 sono un’evidente espressione del riconoscimento, da parte della comunità internazionale, del fatto che le situazioni all’origine delle domande di status di rifugiato non sono purtroppo cessate in un particolare momento storico.

67.      Applicando questa stessa logica al presente caso, ne deriva che l’interpretazione restrittiva dell’art. 1, sezione D, prima frase, suggerita dal Regno Unito non può essere corretta. Un’interpretazione restrittiva, inoltre, è difficilmente conciliabile con le linee guida dell’UNRWA (CERI), in base alle quali viene offerta assistenza non solo ai profughi a seguito degli eventi del 1948, ma, per esempio, anche ai «profughi non registrati a seguito del 1967 e delle successive ostilità» (58).

68.      Inoltre, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dell’UNHCR, sono escluse dalla competenza dell’UNHCR «le persone (…) che continuano a fruire della protezione o dell’assistenza di altri organi o agenzie delle Nazioni Unite (…)». Supponendo (cosa non irragionevole) in primo luogo che l’UNRWA fornisca assistenza a molte più persone ora che non nel 1951 e, in secondo luogo, che molti di coloro che hanno fruito nel 1951 dell’assistenza dell’UNRWA siano deceduti, mi sembra che un’interpretazione restrittiva dell’art. 1, sezione D, prima frase, rischierebbe di garantire ai profughi palestinesi un livello di trattamento e di considerazione speciali inferiore rispetto a quanto era nelle intenzioni delle Nazioni Unite.

69.      Tuttavia, a mio avviso, l’ampia portata temporale dell’approccio suggerito dalla sig.ra Bolbol eccede nel senso opposto. Soltanto chi inizialmente era escluso dall’ambito della Convenzione ai sensi dell’art. 1, sezione D, prima frase, è potenzialmente beneficiario dello speciale trattamento previsto dalla seconda frase del medesimo articolo (59). Un approccio equilibrato all’interpretazione dell’intero art. 1, sezione D, impone pertanto sia di non estendere artificialmente le dimensioni del gruppo di soggetti esclusi definito dalla prima frase (oltre a quelli «che fruiscono attualmente» di protezione o assistenza da parte di enti diversi dall’UNHCR), sia di non eccedere nell’ampliare le circostanze in cui i membri di tale gruppo possono aver diritto ai benefici derivanti dalla seconda frase.

70.      Di conseguenza, una qualche limitazione temporale è necessaria. Pertanto, l’espressione «che fruiscono attualmente» di protezione o assistenza, di cui all’art. 1, sezione D, prima frase, dev’essere a mio avviso intesa nel senso che si riferisce, in un qualsiasi momento temporale, a «persone che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie diversi dall’UNHCR». Queste persone sono escluse dall’ambito della Convenzione perché non necessitano della protezione da essa conferita.

  (ii) Sulla natura effettiva o potenziale della fruizione

71.      Il secondo problema interpretativo è se la persona interessata debba aver fruito effettivamente di assistenza o protezione o se sia sufficiente che essa abbia potenzialmente diritto a beneficiarne.

72.      A mio avviso, l’art. 1, sezione D, prima frase, si riferisce solo a soggetti che, in concreto, si siano avvalsi della protezione o dell’assistenza di un organo o di un’agenzia diversi dall’UNHCR.

73.      In primo luogo, nella lettera della prima frase viene utilizzato il termine «fruiscono» anziché l’espressione «hanno diritto di fruire» (60). Sul punto concordo con l’affermazione del Regno Unito secondo cui interpretare il termine «fruire» nel senso di «aver diritto di fruire» equivarrebbe a ravvisare un contenuto che con evidenza non figura nella lettera della disposizione.

74.      In secondo luogo, escludendo una particolare categoria di persone dall’ambito della Convenzione, l’art. 1, sezione D, prima frase, costituisce una deroga al principio generale secondo cui la protezione ratione personae offerta dalla Convenzione stessa ha carattere universale (61). In quanto tale, è presumibile che la disposizione vada interpretata in modo restrittivo e non estensivo (62).

75.      In terzo luogo, un’interpretazione restrittiva concorda con l’idea secondo cui tali persone (che in un secondo momento, se necessario, potranno invocare i diritti speciali di cui all’art. 1, sezione D, seconda frase) non agiscono per propria volontà, ma sono trascinati da eventi sui quali non hanno alcun controllo (63), in quanto la decisione di dare assistenza ad un determinato soggetto dipende, direttamente o indirettamente, dall’UNRWA (64).

76.      Nel presente caso non concordo con l’interpretazione proposta dall’Ufficio dell’UNHCR, facendomi guidare anzitutto dalla lettera inequivoca della disposizione che, in oltre 50 anni, non è stata modificata. Mi sembra invece che l’interpretazione da parte dell’UNHCR sia mutata nel corso del tempo (65), a conferma dell’irrisolvibilità della questione palestinese. L’interpretazione proposta dal suddetto organismo presenta il vantaggio di eliminare la maggior parte dei problemi probatori associati alla prima frase, ma ciò avviene al prezzo dell’esclusione di un numero molto maggiore di potenziali rifugiati dall’ambito della Convenzione del 1951.

  (iii) «Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi»

77.      Nell’insieme, le osservazioni scritte presentate alla Corte suggeriscono una varietà di sfumature di significato per questa frase, a partire da una totale cessazione dell’attività dell’UNRWA (66) fino al venir meno della protezione nei riguardi di un particolare individuo (67). La sig.ra Bolbol, da parte sua, si spinge oltre, suggerendo che la cessazione tanto della protezione quanto dell’assistenza comporti l’applicazione della seconda frase dell’art. 1, sezione D. La ricorrente sottolinea che la Commissione delle Nazioni Unite per la Conciliazione della Palestina (United Nations Conciliation Commission for Palestine) (68) ha in effetti cessato le sue attività (69) e conclude affermando che l’art. 1, sezione D, seconda frase, è già necessariamente applicabile a coloro che in precedenza erano esclusi dalla protezione in base alla prima frase.

78.      Non concordo con tale affermazione. La prima e la seconda frase dell’art. 1, sezione D, vanno lette consecutivamente. I termini «protezione o assistenza», utilizzati in entrambe le frasi, vanno quindi intesi nel senso di assistenza o protezione fornita da uno degli «organi o agenzie delle Nazioni Unite» diversi dall’UNHCR. Se una persona «attualmente fruisce» della «protezione o dell’assistenza» di uno qualsiasi di tali organismi, viene escluso dall’ambito della Convenzione (prima frase). A mio parere, il termine «cessa» va inteso nel senso che l’art. 1, sezione D, seconda frase, è applicabile nel caso in cui tale persona non possa più usufruire della protezione o dell’assistenza da parte di uno dei suddetti organismi.

79.      D’altro canto, interpretare il termine «cessa» nel senso che sarebbe necessaria la cessazione totale, nell’intera area dell’UNRWA, delle attività di tale organismo significherebbe che, fino a quel momento, nessun soggetto che non riceva più assistenza da organismi come l’UNRWA potrebbe invocare i diritti derivanti dall’art. 1, sezione D, seconda frase, o forse dall’intera Convenzione. Una siffatta interpretazione poi non si concilia affatto con la presenza dei termini «per un motivo qualsiasi» che precedono la clausola relativa alla soluzione del problema sottostante (i profughi palestinesi), dato che una totale cessazione delle attività dell’UNRWA sarebbe motivata ovviamente da una definitiva determinazione della «sorte di queste persone».

80.      Per questi motivi, concludo affermando che quel che rileva è se i soggetti interessati abbiano cessato di ricevere protezione o assistenza.

81.      Da ultimo, eccomi al problema dell’importanza del motivo per cui è cessata l’assistenza da parte dell’UNRWA. In particolare, mi chiedo se l’art. 1, sezione D, seconda frase, sia applicabile nel caso in cui una persona volontariamente si allontani dall’area geografica in cui l’UNRWA opera, ponendosi così nell’impossibilità di continuare a ricevere assistenza da parte di tale organismo. Oppure, se l’espressione «cessa per un motivo qualsiasi» significhi semplicemente «a prescindere dal motivo per cui l’UNRWA ha cessato di fornire assistenza ad una particolare persona». Come mi accingo a spiegare, preferisco la seconda interpretazione.

82.      A mio avviso, per tentare di sciogliere questo nodo gordiano bisogna considerare sia le conseguenze di una particolare interpretazione sia la ratio sottostante a tale disposizione. La soluzione da me proposta è quindi connessa all’interpretazione che suggerisco per l’ultimo problema interpretativo (relativo alle conseguenze dell’applicazione dell’art. 1, sezione D, seconda frase) (70), laddove la mia interpretazione è più generosa di quella suggerita da alcuni Stati membri. Propongo di distinguere tra persone che si sono allontanate volontariamente dall’area dell’UNRWA e quindi dall’assistenza da parte di tale organismo e persone che hanno scoperto che eventi esterni al di fuori del loro controllo hanno fatto sì che l’UNRWA smettesse di continuare a fornire loro protezione e assistenza (71).

83.      Gli individui che rientrano nella prima categoria non sono più esclusi dall’ambito della Convenzione ratione personae, in quanto non si tratta di «persone che fruiscono attualmente [di] protezione o [di] assistenza» e possono liberamente chiedere una valutazione individuale al fine di ottenere lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1, sezione A. Tuttavia, essi non possono pretendere di avere automaticamente diritto a fruire dei vantaggi derivanti dalla Convenzione. Essi hanno scelto di porsi in una situazione in cui non possono più fruire dell’assistenza da parte dell’UNRWA; ma non è venuta meno la volontà dell’UNRWA di fornire loro tale assistenza.

84.      Gli individui che rientrano nella seconda categoria hanno scoperto accidentalmente che la loro situazione precedente (in cui, sebbene esclusi dalla Convenzione ex art. 1, sezione D, prima frase, erano protetti dall’UNRWA), è stata alterata. L’UNRWA ha cessato di fornire loro assistenza. A mio parere, per rispondere alle esigenze di tali soggetti dovrebbe intervenire – se deve avere un senso – il regime speciale disposto dall’art. 1, sezione D, seconda frase.

  (iv) «(…) avranno pieno diritto di usufruire del regime previsto dalla presente Convenzione».

85.      I governi del Belgio e del Regno Unito sostengono che la fruibilità dei diritti derivanti dalla Convenzione del 1951 non significa altro che diritto ad essere valutati in base ai criteri indicati nell’art. 1, sezione A. Tuttavia, a mio avviso, il tenore letterale dell’art. 1, sezione D, seconda frase, chiarisce abbondantemente che le persone previamente escluse dall’ambito della Convenzione in base alla prima frase del medesimo articolo e nei confronti delle quali la protezione o l’assistenza da parte di un organismo diverso dall’UNHCR sia cessata, ai sensi della prima parte della seconda frase, hanno diritto a ben altro, ossia ad essere automaticamente riconosciute come rifugiati.

86.      In primo luogo, sia la versione inglese sia quella francese si prestano a tale interpretazione. La versione inglese recita «shall ipso facto be entitled to the benefits of this Convention» e quella francese «bénéficieront de plein droit du régime de cette convention». Trovo difficile capire come si possa ritenere corrispondente a tale formula l’aver semplicemente diritto a richiedere una valutazione in base all’art. 1, sezione A.

87.      In secondo luogo, l’art. 1 non rientra, in quanto tale, nel «regime» derivante dalla Convenzione. Il regime di cui trattasi è, invece, stabilito agli articoli successivi. Tale articolo stabilisce chi ha accesso a tale regime e chi no (72). Di conseguenza, per poter usufruire di pieno diritto del regime in parola occorre che si sia andati oltre l’art. 1.

88.      In terzo luogo, la ratio sottostante all’art. 1, sezione D è che i profughi palestinesi dovrebbero godere di un trattamento e di una considerazione speciali. Trovo difficile considerare il semplice fatto di potersi aggiungere a quanti richiedono una valutazione individuale del diritto allo status di rifugiato come un esempio di trattamento e di considerazione speciali. A mio avviso, si tratta più che altro di eliminare soltanto un precedente ostacolo (ossia, l’esclusione dall’ambito della Convenzione).

89.      In conclusione, pertanto, l’«aver pieno diritto di usufruire del regime previsto dalla (..) Convenzione» significa concessione automatica dello status di rifugiato, senza ulteriori valutazioni individuali.

 Le conseguenze di questa interpretazione dell’art. 1, sezione D

90.      L’interpretazione da me proposta nell’esaminare ciascuno dei quattro punti interpretativi implica che le due frasi di cui si compone l’art. 1, sezione D, vanno intese in modo da farne derivare le conseguenze che mi accingo ad illustrare:

a)     un profugo palestinese che non riceve protezione o assistenza da parte dell’UNRWA non è escluso ratione personae dall’ambito della Convenzione: pertanto, dev’essere trattato alla pari di qualunque altro soggetto che richieda lo status di rifugiato e dev’essere valutato ai sensi dell’art. 1, sezione A (per evitare la sovrapposizione tra l’UNRWA e l’UNHCR e applicare il principio della protezione universale);

b)     un profugo palestinese che riceve protezione o assistenza da parte dell’UNRWA è escluso ratione personae dall’ambito della Convenzione finché riceve tale protezione o assistenza (per evitare la sovrapposizione tra l’UNRWA e l’UNHCR);

c)     un profugo palestinese che riceveva protezione o assistenza da parte dell’UNRWA ma che non può più ottenerla, quale che ne sia la ragione, non è più escluso ratione personae dall’ambito della Convenzione (applicazione del principio della protezione universale); tuttavia, la possibilità che egli possa usufruire o meno di pieno diritto del regime derivante dalla Convenzione dipende dal motivo per cui egli non riceve più tale protezione o assistenza;

d)     se tale profugo palestinese non usufruisce più di protezione o di assistenza da parte dell’UNRWA a causa di circostanze esterne sulle quali egli non ha alcun controllo, avrà automaticamente diritto allo status di rifugiato (applicazione del principio del trattamento e della considerazione speciali);

e)     se tale profugo palestinese non può più usufruire di protezione o di assistenza da parte dell’UNRWA a causa di proprie azioni, non può richiedere automaticamente lo status di rifugiato; tuttavia, egli avrà (naturalmente) diritto a che la sua domanda dello status di rifugiato sia valutata nel merito ai sensi dell’art. 1, sezione A (applicazione del principio della protezione universale e del trattamento leale per tutti i veri rifugiati; interpretazione equilibrata dell’estensione del trattamento e della considerazione speciali da accordare ai profughi palestinesi).

 Applicazione mutatis mutandis alla direttiva

91.      Dato che il tenore letterale dell’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva è un immediato riflesso di quello della Convenzione del 1951, diviene ora possibile affrontare in modo relativamente rapido le questioni proposte nel presente procedimento. Una volta che la Corte avrà interpretato l’art. 12, n. 1, lett a), tale disposizione, a mio avviso, potrà essere fatta valere direttamente dalla sig.ra Bolbol nei confronti delle autorità nazionali.

 La prima questione

92.      L’art. 12, n. 1, lett. a), non contiene espressamente la clausola di esclusione relativa a persone «che fruiscono attualmente [di] protezione o [di] assistenza», ma si limita a richiamare direttamente l’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951. Nulla indica che la clausola di esclusione nella direttiva abbia un significato diverso dall’art. 1, sezione D. E, a contrario, tutto indica che le si debba attribuire esattamente lo stesso significato.

93.      Pertanto, applicando l’interpretazione dell’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951 che ho precedentemente proposto, la mia conclusione è che una persona rientra nell’ambito dell’art. 12, n. 1, lett. a), prima frase, della direttiva solo ove sia effettivamente ricorsa alla protezione o all’assistenza da parte di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diverso dall’UNHCR. Il semplice fatto di aver diritto a tale protezione o assistenza non esclude che tale persona sia un rifugiato ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva.

94.      Una questione accessoria, che emerge nel contesto dell’applicazione della direttiva, è quale prova debba fornire un richiedente per dimostrare che rientra nell’ambito della prima frase dell’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva come condizione preliminare per invocare i diritti speciali derivanti dalla seconda frase del medesimo articolo. Sulla base dell’interpretazione da me proposta, mi sembra che un richiedente debba dimostrare che stava effettivamente ricevendo protezione o assistenza.

95.      In proposito, è fondamentale riconoscere sia il legittimo interesse dello Stato a verificare se una particolare persona abbia diritto a quanto rivendica, sia i problemi estremamente concreti e pratici a cui qualsiasi profugo che richieda lo status di rifugiato può andare incontro nel dimostrare la sua legittimazione. Alcuni richiedenti non hanno un vero diritto allo status di rifugiato; e lo Stato è legittimato a verificare la loro posizione. Allo stesso tempo, quest’ultimo non può dettare criteri impraticabili per la prova necessaria (73).

96.      Si pone pertanto il problema di quale differenza faccia o dovrebbe fare l’effettiva registrazione presso l’UNRWA.

97.      A mio avviso, la registrazione è una questione di prove e non di merito.

98.      Talvolta l’UNRWA fornisce assistenza a determinate persone anche senza che queste ultime siano registrate (74). A volte succede che le registrazioni amministrative non tengano dietro agli eventi, o che vengano distrutte nel corso di conflitti. Pertanto, respingo l’argomento del governo francese secondo cui sarebbe sufficiente solo una prova concreta della registrazione dell’UNRWA.

99.      Detto ciò, a mio avviso la prova di una concreta registrazione presso l’UNRWA dà origine ad una presunzione irrefutabile del fatto che un richiedente abbia effettivamente fruito di assistenza.

 La seconda questione

100. La seconda frase dell’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva è un immediato riflesso della Convenzione del 1951 e a maggior ragione dovrebbe essere interpretata allo stesso modo.

101. Pertanto, suggerisco di risolvere la seconda questione proposta nel senso che «la cessazione della protezione o dell’assistenza da parte dell’agenzia» significa che la persona interessata ha cessato, per motivi diversi dalla sua volontà, di usufruire della protezione o dell’assistenza di cui immediatamente prima beneficiava.

102. Non sto sottovalutando le questioni probatorie che potranno insorgere all’atto di stabilire se una determinata persona abbia abbandonato volontariamente o meno l’area dell’UNRWA. I problemi vanno dalla frammentarietà delle prove (che fondano parte dell’esposizione dei fatti ma non ogni suo singolo aspetto) sino alla possibilità di prove falsificate (o di prove autentiche ottenute corrompendo il giusto funzionario). In proposito, per quel che riguarda la dimostrazione dell’effettiva fruizione di assistenza, lo Stato è legittimato ad insistere su alcune prove, ma non sulla prova più schiacciante che potrebbe essere prodotta in un mondo ideale.

 La terza questione

103. La terza questione proposta non può essere risolta con una diretta applicazione dell’analisi precedentemente esposta. Occorre invece prendere in considerazione lo schema della direttiva.

104. Ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva, si intende per rifugiato il cittadino di un paese terzo che risponda ad una determinata serie di criteri (che ricalcano l’art. 1, sezione A, della Convenzione) «e al quale non si applica l’articolo 12». L’art. 12 (intitolato «Esclusione») infatti esclude alcune categorie di persone (riproducendo parti dell’art. 1 della Convenzione del 1951) (75) «dallo status di rifugiato».

105. Questo forse vuol dire che una persona che rientri in una qualsiasi parte dell’art. 12, n. 1, lett. a) (ossia nella prima e/o nella seconda frase) è esclusa per sempre dallo status di rifugiato? A mio avviso non può essere così.

106. Anzitutto, l’art. 12, n. 1, lett. a), secondo comma, dispone chiaramente che i benefici della direttiva siano estesi a persone rientranti nell’ambito della prima frase ma che abbiano poi soddisfatto i criteri indicati nella seconda frase della stessa disposizione. Per conciliare tale dettato con la definizione generale di «rifugiato» contenuta nell’art. 2, lett. c), è necessario leggere l’art. 12, n. 1, lett. a), seconda frase, come una deroga alla clausola di esclusione contenuta nella prima frase di tale disposizione, con le sue specifiche conseguenze.

107. In secondo luogo, l’art. 12 rientra nel Capo III della direttiva («Requisiti per essere considerato rifugiato»). Come correttamente sostenuto dalla sig.ra Bolbol, dal governo ungherese e dalla Commissione, la posizione di tale articolo indica che si tratta di una via diversa dal procedimento disciplinato nel Capo II («Valutazione delle domande di protezione internazionale») in base al quale un soggetto può essere considerato rifugiato ed avere quindi diritto allo status di rifugiato ai sensi dell’art. 13 (76).

108. Da ultimo, nell’individuare chi può essere considerato rifugiato e chi no, gli artt. 2, lett. c), 11 e 12 riproducono non soltanto la lettera ma anche lo schema dell’intero art. 1 della Convenzione del 1951. Se vi fosse una lacuna nella direttiva, nel senso che un soggetto, pur rientrando in entrambe le parti dell’art. 12, n. 1, lett. a), continua a non poter essere qualificato come rifugiato, vorrebbe dire che la direttiva non traspone correttamente nel diritto dell’Unione europea gli obblighi di diritto internazionale gravanti sugli Stati membri in forza della Convenzione. E questa sarebbe un’interpretazione errata della direttiva stessa.

109. Pertanto, applicando l’analisi dell’art. 1, sezione D, della Convenzione da me suggerita in precedenza, in risposta alla terza questione proposta, concludo che l’espressione «benefici della presente direttiva» significa riconoscimento come rifugiato e diritto automatico allo status di rifugiato conformemente all’art. 13 della direttiva (77).

110. Per amor di completezza, aggiungo che la disponibilità della protezione sussidiaria (78) come opzione ulteriore non influisce sull’interpretazione dell’art. 12, n. 1, lett. a). Tale opzione rileva solo per le persone cui non sia stato accordato automaticamente lo status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 1, lett. a), ma che vengono valutate conformemente al Capo II e che richiedono la protezione sussidiaria ai sensi del Capo V. In base alla Convezione del 1951, una persona deve rispondere ai criteri di cui all’art. 1, sezione A, per poter chiedere qualunque protezione. Ai sensi della direttiva, una persona che non risponde ai criteri equivalenti [previsti dall’art. 2, lett. c), e specificati ulteriormente nel Capo II] può comunque ottenere un (minor) grado di protezione.

 Conclusione

111. Alla luce di quanto in precedenza esposto, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Fővárosi Bíróság nel modo seguente:

1.      Una persona rientra nell’ambito della prima frase dell’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, soltanto se è effettivamente ricorsa alla protezione o all’assistenza di un’agenzia delle Nazioni Unite diversa dall’UNHCR. Il mero diritto a siffatta protezione o assistenza non è sufficiente per l’applicazione di tale disposizione.

2.      L’espressione «cessazione della protezione o dell’assistenza di un’agenzia» significa che la persona interessata non si trova più nell’area geografica rilevante e che ha cessato, per motivi diversi dalla sua volontà, di usufruire della protezione o dell’assistenza di cui beneficiava immediatamente prima di abbandonare detta area geografica.

3.      L’espressione «benefici della presente direttiva» implica il riconoscimento come rifugiato e la concessione automatica dello status di rifugiato.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – In prosieguo: la «Convenzione del 1951» o la «Convenzione», che ha consolidato e sostituito strumenti anteriori, entrata in vigore il 22 aprile 1954. La versione applicabile al presente procedimento è quella che risulta dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967 (in prosieguo: il «Protocollo del 1967»). La direttiva 2004/83 fa riferimento alla Convenzione del 1951 definendola «la Convenzione di Ginevra», una formula abbreviata comunemente riservata per indicare i quattro trattati e relativi protocolli che nel complesso dettano i criteri di diritto internazionale per il trattamento umanitario delle vittime di guerra. A scopo di chiarezza, pertanto, tranne che nelle citazioni dirette, nelle presenti conclusioni eviterò di utilizzare l’espressione «Convenzione di Ginevra».


3 – Direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva 2004/83» o la «direttiva»).


4 – Versione modificata dal Protocollo del 1967, in riconoscimento del fatto che nuove categorie di rifugiati sono emerse dopo l’adozione della Convenzione e che tutti i rifugiati dovrebbero beneficiare di un identico status.


5 – In prosieguo: la «CIG».


6 – La questione se le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite siano di fatto «diritto» in senso stretto non è ancora stata risolta [v. per esempio, il parere della Corte internazionale di giustizia sulla legittimità dell’uso o della minaccia dell’uso di armi nucleari (Racc. 1996, pag. 226) per una discussione riguardo al valore normativo delle risoluzioni]. Ai fini delle presenti conclusioni, peraltro, non è necessario analizzare in dettaglio tale problema.


7 – In prosieguo: l’«UNSCOP».


8 – In prosieguo: l’«UNRWA».


9 – V. la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 62/02.


10 – V. CERI, punto VII.E. Per semplicità, nelle presenti conclusioni farò riferimento all’area di operazioni dell’UNRWA definendola l’«area dell’UNRWA».


11 – V. il sito internet dell’UNRWA: http://www.un.org/unrwa/overview/qa.html; CERI, punto III.A.1. La stessa definizione viene ripetuta al punto VII (glossario e definizioni), precisamente al punto VII.J. Il sito contiene anche le definizioni di certi altri termini che verranno utilizzati nel prosieguo delle presenti conclusioni.


12 – Si tratta di «persone che al momento della registrazione originaria non rispondevano a tutti i criteri dell’UNRWA sui profughi palestinesi ma che risultavano aver subìto gravi perdite e/o danni per ragioni collegate alla guerra del 1948 in Palestina; tra di esse sono incluse le persone appartenenti a famiglie di soggetti registrati» (CERI, punto III.A.2). Pur essendo registrati presso l’UNRWA, tali individui non sono considerati parte del Registro ufficiale della popolazione dell’organismo. Secondo il sito dell’UNRWA, attualmente vi sono 4,6 milioni di persone registrate presso detto organismo.


13 – CERI, punto III.A. Altrove l’UNRWA dichiara che «ai servizi dell’UNRWA può accedere chiunque viva nella sua area di operazioni e che risponda a tale definizione, che sia registrato presso l’organismo e che abbia bisogno di assistenza» (www.un.org/unrwa/refugees/whois.html).


14 – CERI, punto III.B. L’UNRWA dichiara che i suoi programmi «registrano debitamente» tali persone. Tuttavia, ed è forse comprensibile, l’UNRWA non tenta di verificare né di dimostrare se un determinato soggetto, che non sia registrato e che non abbia di fatto ricevuto alcuna assistenza, sia comunque potenzialmente legittimato ad ottenerla (v., infra, paragrafo 71).


15 – L’UNRWA mette i propri servizi a disposizione di persone appartenenti a tale categoria in accordo con la prassi consolidata e/o con l’accordo del paese ospite. Nella Risoluzione 2252 (ES-V) del 4 luglio 1967 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha avallato gli sforzi dell’UNRWA «per fornire assistenza umanitaria, per quanto possibile, su basi emergenziali, e a titolo di misura temporanea, ad altre persone che vivono nella zona, che attualmente sono profughi e che hanno una seria necessità di immediata assistenza a causa delle recenti ostilità». Purtroppo, che questo bisogno di assistenza umanitaria non sia «temporaneo» è ben dimostrato dal fatto che, da allora, le parole della Risoluzione 2252 (ES-V) sono state ripetute in numerose risoluzioni dell’Assemblea generale, da ultimo nella Risoluzione 64/L.13 del 13 novembre 2009.


16 – «Tali soggetti usufruiscono dei servizi dell’UNRWA (ossia di servizi sanitari e di igiene ambientale) che sono estesi a tutti i campi profughi e alle comunità» (CERI; punto III.B).


17 – In prosieguo: l’«UNHCR».


18 – Allegato alla suddetta Risoluzione.


19 – Come disposto dal quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/83, «[d]elle consultazioni con l’[UNHCR] possono offrire preziose indicazioni agli Stati membri all’atto di decidere se riconoscere lo status di rifugiato». Per un approfondimento sulla portata delle dichiarazioni dell’Ufficio dell’UNHCR, v. Hathaway, The Right of Refugees under International Law, Cambridge University Press, 2005, pagg. 112-118, in particolare la distinzione in termini di portata normativa che l’autore delinea tra (a) le conclusioni del comitato esecutivo (il testo più autorevole), (b) il manuale e (c) altre dichiarazioni emanate con carattere orientativo. Il materiale dell’UNHCR richiamato nelle presenti conclusioni rientra nelle categorie (b) e (c).


20 – Nel manuale si sottolinea che attualmente l’UNRWA è il solo organo o agenzia diverso dall’UNHCR che fornisce protezione o assistenza in forza dell’art. 1, sezione D, ma in precedenza esistevano altre entità del genere (l’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricostruzione della Corea) e in futuro ve ne potrebbero essere delle altre.


21 – Art. 1, sezione C (cessazione), sezione E e sezione F (esclusione).


22 – L’Ufficio dell’UNHCR ha emanato nel 2009 una versione riveduta di tale nota. Nelle note della presente sezione ho evidenziato le modifiche rilevanti.


23 – Nella versione riveduta del 2009 si chiarisce che vanno inclusi i discendenti di tali soggetti.


24 – Nella versione riveduta del 2009 tale condizione non viene citata e si afferma che le persone interessate debbono solo trovarsi all’interno dell’area dell’UNRWA per poter essere ritenute persone che ricevono protezione e assistenza.


25 – Nella versione riveduta del 2009 si afferma che tali persone rientrano nell’ambito della seconda frase in quanto «non fruiscono attualmente» (anziché «non fruiscono più») di protezione o assistenza e quindi la protezione o l’assistenza è «cessata».


26 – Nella versione riveduta del 2009 da questo punto è stata cancellata la frase «e rientrano nell’ambito di competenza dell’UNHCR».


27 – Nella versione riveduta del 2009 non viene discusso il concetto di «essere rimandati».


28 – La versione riveduta di tale nota incorpora l’analisi della nota riveduta del 2002 e aggiunge che tutti coloro che rientrano nel disposto delle Risoluzioni 194 (III) e 2252 (ES-V), e i loro discendenti, che si trovino nell’area dell’UNRWA, «fruiscono attualmente della protezione o dell’assistenza» nell’accezione di cui all’art. 1, sezione D.


29 – Nella versione riveduta non viene analizzato il significato dell’espressione «cessa per un motivo qualsiasi» ma si indica semplicemente che le persone che si spostano dall’interno all’esterno dell’area dell’UNRWA e poi rientrano ancora oscillano tra i nn. 1 e 2 dell’art. 1, sezione D, a prescindere dai motivi della partenza o del rientro.


30 – In seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’art. 63, nn. 1 e 2, è stato riprodotto (con alcune modifiche) nell’art. 78, nn. 1 e 2, TFUE. Va sottolineato che, ai sensi del TFUE, il Parlamento europeo e il Consiglio adottano le misure relative ad un sistema europeo comune di asilo che includa, tra l’altro, uno status uniforme in materia di asilo e di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi. L’art. 63, n. 3, lett. a), CE è riprodotto (con alcune modifiche) nell’art. 79, n. 2, lett. a), TFUE.


31 – Posizione comune 4 marzo 1996, definita dal Consiglio in base all’articolo K.3 del trattato sull’Unione europea relativa all’applicazione armonizzata della definizione del termine «rifugiato» ai sensi dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati (GU L 63, pag. 2).


32 – V., supra, nota 14 (l’avvocato della sig.ra Bolbol ha richiesto tale conferma). Anche se la sig.ra Bolbol non avesse avuto diritto alla registrazione, avrebbe potuto comunque (qualora si fosse trovata all’interno dell’area UNRWA) essere legittimata a ricevere assistenza: v., supra, paragrafi 10-12.


33 – Dall’ordinanza di rinvio emerge che la decisione era fondata sull’art. 3, n. 1, della Menedékjogról szóló (legge ungherese sul diritto d’asilo) del 1997. Évi CXXXIX. Törvény (in prosieguo: la «Met»).


34 – Dall’ordinanza di rinvio emerge inoltre che tale divieto si basa sull’art. 38, n. 2, della Met nonché sull’art. 51, n. 1, della Harmadik Országbeli Állampolgárok Beutazásáról és Tartózkodásáról Szóló 2007. Évi II. Törvény (legge del 2007 sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi).


35 – V, la sentenza della Corte 2 marzo 2010, cause riunite C-175/08, C-176/08, C‑178/08 e C‑179/08, Salahadin Abdulla e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 52 e 53).


36 – V. il manuale dell’UNHCR e le due note citate supra, ai paragrafi 18 e 20. La CIG ha una giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 38, a pronunciarsi autorevolmente sul significato della Convenzione del 1951.


37 – Basti mettere a confronto, per esempio, l’approccio seguito dalla Court of Appeal del Regno Unito nella causa El-Ali, (2003) 1 WLR 95, con le conclusioni del Conseil du Contentieux des Etrangers [Consiglio per il contenzioso degli stranieri] del Belgio nelle sue decisioni 21 aprile 2009 e 14 maggio 2009 (rispettivamente, cause nn. 26 112 e 27 366).


38 – Questo è particolarmente vero in quanto l’art. 12, n. 1, lett. a), costituisce pressoché un diretto recepimento dei concetti e della formulazione contenuti all’art. 1, sezione D della Convenzione del 1951. Ciò detto, è chiaro che la presente pronuncia della Corte sarà determinante solo con riferimento alla direttiva.


39 – Mentre il diritto internazionale si occupa di dare attuazione al significato naturale e ordinario di una disposizione di un Trattato [ai sensi dell’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati (in prosieguo: la «CVDT»)], tanto la CVDT (ex art. 32) quanto i principi generali di diritto internazionale permettono di far riferimento ai lavori preparatori di un trattato e alle circostanze in cui lo stesso è stato concluso, al fine di determinare il significato di un termine nel caso in cui, in forza di un’interpretazione basata sul significato ordinario di una disposizione, alla luce del suo oggetto e del suo scopo, tale significato rimarrebbe ambiguo o oscuro. Per un approfondimento, v. Sinclair, The Vienna Convention on the Law of Treaties, 2a ed., Manchester University Press, 1984, pagg. 141 e segg.


40 – V, supra, nota 20.


41 – In prosieguo: la «Conferenza dei Plenipotenziari».


42 – Molti organismi internazionali avevano a volte interpretato le disposizioni del Trattato alla luce dell’allora volontà comune delle parti contraenti (v., per esempio, la pronuncia della CIG nel caso delle frontiere di terra e di mare tra il Camerun e la Nigeria, Racc. 2002, pag. 303, punto 59, e la decisione sulla delimitazione dei confini tra Eritrea ed Etiopia, pronunciata il 13 aprile 2002 dalla Commissione etiope-eritrea per i confini, punti 3.3, 3.4 e 3.13, nella quale si fa riferimento alla decisione del tribunale arbitrale nel caso delle frontiere tra Argentina e Cile, 1966, 38 ILR, 10, pag. 89).


43 – V. le dichiarazioni dei rappresentanti italiano e iracheno alla 19a riunione, e quelle del rappresentante francese alla 29a riunione della Conferenza dei Plenipotenziari.


44 – V. le dichiarazioni del rappresentante egiziano alla 19a e alla 29a riunione della Conferenza dei Plenipotenziari.


45 – V. le dichiarazioni del rappresentante egiziano alla 19a riunione e quelle del rappresentante francese alla 20a riunione della Conferenza dei Plenipotenziari.


46 – V., ad esempio, le dichiarazioni della Conferenza del Presidente alla 19a riunione, quelle del rappresentante francese alla 20a riunione e quelle del rappresentante statunitense alla 21a riunione della Conferenza dei Plenipotenziari.


47 – V., ad esempio, l’art. 1, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite. Il concetto di autodeterminazione si è evoluto di pari passo con la decolonizzazione e, come tale, tende ad avere un forte elemento territoriale (Shaw, International Law, 5a ed., Cambridge University Press 2008). Di conseguenza, tale concetto è difficile da applicare a gruppi di rifugiati o ad apolidi. Il problema della sua applicabilità ai profughi palestinesi è oggetto di un vivace dibattito (v., tra gli altri, il parere consultivo della CIG riguardo alle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori occupati, Racc. 2004, pag. 136).


48 – V. il preambolo della Carta delle Nazioni Unite e l’art. 1, n. 3, della stessa Carta. Tale analisi si riflette in un aspetto fondamentale dell’art. 1, sezione A, della Convenzione, ai sensi del quale, per ottenere lo status di rifugiato, un soggetto deve dare prova di nutrire un fondato timore di essere perseguitato come individuo entro il quadro di un rischio più generale corso da un gruppo di persone che condividono le sue stesse caratteristiche.


49 – Stando ai lavori preparatori, sembra che persino il delegato egiziano, per iniziativa del quale venne aggiunta la seconda frase all’art. 1, sezione D, non avesse le idee del tutto chiare riguardo alla funzione che si voleva attribuire alla frase nel suo complesso: v. le dichiarazioni del rappresentante egiziano alla 19a e alla 20a riunione della Conferenza dei Plenipotenziari.


50 – Il governo tedesco ha chiesto se tale serie di soluzioni distinte e specifiche sia in contrasto con il principio della parità di trattamento. Per rispondere in senso negativo a tale domanda è necessario ammettere che l’art.1, sezione D, è stato redatto in modo da tener conto dei problemi specifici di un particolare gruppo di profughi, la cui situazione, almeno in parte, era attribuibile ad una decisione della comunità internazionale (la spartizione della Palestina). Questa oggettiva disparità di condizione giustifica un (certo grado di) trattamento speciale. La questione se l’applicazione dell’art. 1, sezione D, a persone che fruiscono di protezione o di assistenza da parte di un organismo diverso dall’UNHCR rappresenti una situazione ipotetica non causata da una decisione adottata dalla comunità internazionale che sarebbe in contrasto con il principio della parità di trattamento va al di là dell’ambito delle presenti conclusioni.


51 – A questo proposito, non concordo con la linea interpretativa suggerita dall’Ufficio dell’UNHCR, il quale, nella nota del 2002 e più chiaramente nella versione riveduta di tale nota del 2009, afferma che tutti i palestinesi [rientranti nell’ambito della Risoluzione 194 (III) dell’11 dicembre 1948 e della Risoluzione 2252 (ES-V) del 4 luglio 1967] che si trovino al di fuori dell’area dell’UNRWA non fruiscono attualmente di protezione o assistenza e, di conseguenza, tale protezione o assistenza sono cessate. Ciò significa che l’assistenza potrebbe in teoria «cessare» per qualcuno che non l’ha mai ottenuta, cosa che semplicemente non corrisponde al naturale significato del verbo «cessare». Nella versione originale della nota dell’UNHCR relativa alla presente causa si dichiarava che, ove una persona abbia abbandonato l’area dell’UNRWA, «cessano» la protezione e l’assistenza a suo favore cosicché tale soggetto dovrebbe automaticamente ottenere i diritti derivanti dalla Convenzione. Affronto tale ragionamento infra, ai paragrafi 81 e segg.


52 – Sintetizzati supra, al paragrafo 47.


53 – Ammetto che un ipotetico futuro organismo o agenzia delle Nazioni Unite che agisca ai sensi dell’art. 1, sezione D, potrebbe non essere limitato in tali termini.


54 – Di seguito, nell’ambito del secondo problema interpretativo, valuterò se il termine «fruire» vada inteso nel senso di «fruire effettivamente» o in quello di «aver diritto di fruire».


55 – Naturalmente, si suppone che l’individuo di cui trattasi non sia escluso ai sensi dell’art. 1, sezione C, sezione E o sezione F.


56 – O che avrebbe diritto a fruire di assistenza: al riguardo, v., infra, paragrafi 71 e segg.


57 – La ricorrente chiede pertanto che la seconda frase sia interpretata estensivamente.


58 – V, supra, paragrafi 11-13.


59 – Per un’analisi delle conseguenze di tale speciale trattamento, v., infra, paragrafi 85 e segg.


60 – La versione francese dell’art. 1, sezione D, ossia l’altra versione facente fede, come indicato nel paragrafo finale della Convenzione, parimenti utilizza l’espressione «bénéficient actuellement» e non «sont éligibles à bénéficier».


61 – La limitazione temporale originaria («per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951») è stata soppressa dal Protocollo del 1967 e molti Stati hanno attualmente deciso, ai sensi dell’art. 1, sezione B, di considerare la Convenzione applicabile ad «avvenimenti accaduti in Europa o altrove». A partire dal 2009, dei 147 Stati che sono parte tanto della Convenzione quanto del Protocollo, soltanto 4 hanno deciso di considerare la Convenzione applicabile solo ad eventi accaduti in Europa.


62 – Anche se la giurisprudenza in materia di clausole di questo tipo risulta meno univoca rispetto a quanto avviene nel diritto dell’Unione europea [v., per esempio, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott relative alla sentenza 16 dicembre 2008, causa C‑73/07, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (Racc. pag. I‑9831, paragrafo 58 e giurisprudenza ivi citata)], organismi giurisdizionali ed arbitrali internazionali hanno sviluppato, in base alla CVDT, le proprie prassi interpretative in modo da interpretare i trattati tenendo presente lo scopo e gli obiettivi degli stessi (v., per esempio, la decisione della CIG nella causa sul conflitto territoriale (Libyun Aruh Jamuhiriyu/Ciad), Racc. 1994, punto 41, e la decisione del tribunale arbitrale nella causa sui debiti esteri della Germania, 19 ILM 1980, pag. 1377, punti 28 e 30. Secondo tali organi giurisdizionali è possibile che un’interpretazione restrittiva della deroga venga considerata con maggior favore da altri organismi internazionali.


63 – Mi occuperò ancora del livello di controllo che un rifugiato ha sul proprio destino ai paragrafi 77 e segg. delle presenti conclusioni.


64 – V., supra, paragrafi 11-13 e le relative note specifiche.


65 – V., supra, paragrafi 18 e 19.


66 – Osservazioni dei governi di Belgio, Francia e Regno Unito.


67 – Osservazioni della sig.ra Bolbol e nota del 2009 emanata dall’UNHCR. Anche l’approccio della Commissione si incentra sui singoli. La Commissione, peraltro, è dell’avviso che chi ha abbandonato l’area dell’UNRWA non rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 1, sezione D, ma piuttosto che sottostia alle norme generali, in quanto i suoi movimenti non comportano il venir meno della protezione o dell’assistenza (che si verifica indipendentemente da qualsiasi azione da parte di un individuo).


68 – In prosieguo: l’«UNCCP».


69 – La sig.ra Bolbol sostiene che l’UNRWA è stata creata per l’assistenza ai profughi palestinesi e l’UNCCP per la loro protezione. La sua argomentazione si basa sulla cessazione delle attività dell’UNCCP e sul fatto che l’UNRWA non ne ha assunto le funzioni.


70 – V., infra, paragrafi 85 e segg.


71 – Questa, inoltre, è l’interpretazione originariamente seguita dal legislatore europeo: v. la Posizione Comune 96/196, in cui si afferma che le persone che si sono volontariamente sottratte alla protezione e all’assistenza di cui all’art. 1, sezione D, della Convenzione del 1951, non sono più coperte automaticamente dalla Convenzione.


72 – La bozza dell’art. 1 del Protocollo del 1967, che accorpa gli artt. 2-34 della Convenzione del 1951, rafforza tale interpretazione. La nota del 2009 elaborata dall’Ufficio dell’UNHCR stabilisce inoltre che «l’espressione “diritti derivanti dalla Convenzione del 1951” si riferisce al livello di trattamento che gli Stati contraenti (…) sono tenuti ad accordare ai rifugiati in forza degli artt. 2-34 della Convenzione stessa».


73 – Applicato alla direttiva (nella misura in cui è diversa dalla Convenzione) ciò significa che gli Stati membri conservano il diritto di dettare, in base al diritto nazionale, le regole applicabili in tema di prove, ma tali regole non debbono rendere impossibile o virtualmente impossibile esercitare le prerogative garantite dal diritto dell’Unione europea: v. sentenza 29 ottobre 2009, causa C‑63/08, Pontin (Racc. pag. I‑10467, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


74 – V., supra, paragrafo 13 e note 14-16. È possibile che un numero piuttosto elevato di persone che ricevono assistenza non sia formalmente registrato, anche se dai registri dell’UNRWA dovrebbe di regola emergere qualche indicazione comprovante che è quanto meno probabile che tali persone stiano ricevendo assistenza.


75 – La correlazione è la seguente (gli articoli della direttiva vengono indicati prima degli articoli della Convenzione): art. 12, n. 1, lett. a) e art. 1, sezione D; art. 12, n. 1, lett. b), e art. 1, sezione E; art. 12, n. 2, lett. a), b) e c), ed art. 1, sezione F. L’art. 12, n. 3, fornisce ulteriori chiarimenti riguardo all’interpretazione dell’art. 12, n. 2. Il tenore letterale dell’art. 1, sezione C, della Convenzione si ritrova in una disposizione a parte della direttiva (art. 11: «Cessazione»).


76 – «Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II e III» (il corsivo è mio). Il dettato dell’art. 12 della Posizione comune 96/196 indica inoltre che le persone rientranti nell’art. 1, sezione D, prima e seconda frase, della Convenzione del 1951, hanno automaticamente diritto allo status di rifugiato senza bisogno di essere valutate in base ai criteri indicati nell’art. 1, sezione A.


77 – L’espressione perentoria «riconoscono lo status di rifugiato», contenuta nell’art. 13 della direttiva (v. la nota precedente) non può avere altro significato.


78 – Ai sensi del Capo VI, artt. 18 e 19 della direttiva.