Causa C‑413/08 P
Lafarge SA
contro
Commissione europea
«Impugnazione — Intesa — Cartongesso — Snaturamento degli elementi di prova — Onere della prova — Difetto di motivazione — Regolamento n. 17 — Art. 15, n. 2 — Sanzione — Recidiva — Fase in cui va preso in considerazione l’effetto dissuasivo dell’ammenda»
Massime della sentenza
1. Impugnazione — Motivi di ricorso — Erronea valutazione dei fatti — Irricevibilità — Controllo da parte della Corte della valutazione degli elementi probatori — Esclusione, salvo il caso di snaturamento — Motivo vertente sullo snaturamento degli elementi di prova
[Artt.81, n. 1, CE e 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 51, primo comma; regolamento di procedura della Corte, art. 112, n. 1, primo comma, lett. c)]
2. Concorrenza — Intese — Pratica concordata — Prova dell’infrazione — Onere della prova
(Art. 81, n. 1, CE)
3. Impugnazione — Motivi di ricorso — Motivo dedotto per la prima volta in sede di impugnazione — Irricevibilità
4. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti — Recidiva — Fondamento giuridico
(Artt.81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
5. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti — Recidiva — Nozione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
6. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti — Recidiva — Nozione — Infrazione constatata con decisione soggetta a sindacato giurisdizionale — Inclusione — Decisione successivamente annullata — Conseguenze
(Artt. 233 CE e 242 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 2)
7. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale conferito alla Commissione dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Violazione del principio di legalità delle pene — Insussistenza
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
8. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Carattere dissuasivo — Presa in considerazione delle dimensioni e delle risorse complessive dell’impresa sanzionata — Pertinenza
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)
1. Qualora un ricorrente alleghi, nell’ambito di un’impugnazione, uno snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale deve, ai sensi degli artt. 225 CE, 51, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, primo comma, lett. c), del regolamento di procedura della Corte, indicare con precisione gli elementi che sarebbero stati snaturati da quest’ultimo e dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a tale snaturamento.
Tale snaturamento sussiste quando, senza che occorra assumere nuove prove, la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta manifestamente erronea.
In una causa vertente sull’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, l’esistenza di uno snaturamento degli elementi di prova deve essere esaminata alla luce del fatto che di norma – poiché sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni che possono essere irrogate ai contravventori – le attività derivanti da tali pratiche ed accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete, spesso in un paese terzo, e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come il verbale di una riunione, tali documenti saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza.
(v. punti 16-17, 22)
2. Spetta alla parte o all’autorità che deduca un’infrazione delle regole sulla concorrenza l’onere di provare l’esistenza di tale infrazione, e all’impresa o all’associazione di imprese che sollevano un mezzo difensivo contro la constatazione di un’infrazione l’onere di provare che le condizioni per l’applicazione della norma sulla quale si fonda tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che la detta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova.
Anche se, secondo tali principi, l’onere della prova grava vuoi sulla Commissione vuoi sull’impresa o associazione interessata, gli elementi di fatto che una parte fa valere possono essere tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato assolto.
(v. punti 29-30)
3. Consentire ad una parte di sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte un motivo ed argomenti che essa non aveva dedotto dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in materia di impugnazioni è limitata, una controversia più ampia di quella di cui era stato investito il Tribunale. Nell’ambito di un’impugnazione, la competenza della Corte è pertanto limitata alla valutazione della soluzione giuridica che è stata fornita a fronte dei motivi e degli argomenti discussi dinanzi al giudice di primo grado.
(v. punto 52)
4. L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 attribuisce alla Commissione il potere di infliggere ammende ad imprese ed associazioni d’imprese per violazioni degli artt. 81 CE e 82 CE. Ai sensi di tale disposizione, per determinare l’importo dell’ammenda devono essere prese in considerazione la durata e la gravità dell’infrazione. A tale riguardo, un’eventuale recidiva figura tra gli elementi che vanno presi in considerazione nell’analizzare la gravità dell’infrazione in esame. Ne consegue che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 costituisce il fondamento giuridico pertinente per prendere in considerazione una recidiva al momento in cui viene calcolata l’ammenda.
Avallando l’accertamento effettuato dalla Commissione dell’esistenza di una recidiva in capo a un'impresa e la qualificazione di tale recidiva come circostanza aggravante, il Tribunale non viola pertanto il principio nulla poena sine lege.
(v. punti 62-65)
5. Il principio di certezza del diritto non risulta violato in conseguenza del fatto che non esiste un termine predeterminato per prendere in considerazione la recidiva. Benché né il regolamento n. 17 né gli orientamenti adottati dalla Commissione per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA stabiliscano il termine massimo oltre il quale la recidiva non dovrebbe essere presa in considerazione, la Commissione non può procedere ad una maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva senza limiti di tempo.
La Commissione può, in ogni singolo caso, prendere in considerazione quei fattori che confermano la propensione di un’impresa a discostarsi dalle regole di concorrenza, incluso, ad esempio, il tempo trascorso tra le infrazioni di cui trattasi. Peraltro, il principio di proporzionalità esige che il tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e una violazione precedente delle regole di concorrenza venga preso in considerazione per valutare la propensione dell’impresa a sottrarsi a tali regole.
Nell’ambito del sindacato giurisdizionale esercitato sugli atti della Commissione in materia di diritto della concorrenza, il Tribunale e, eventualmente, la Corte possono quindi essere chiamati a valutare se la Commissione abbia rispettato detto principio allorché ha maggiorato, a titolo di recidiva, l’ammenda inflitta e, segnatamente, se detta maggiorazione fosse necessaria con riferimento, in particolare, al periodo di tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e la precedente violazione delle regole di concorrenza.
(v. punti 66-70, 72-73)
6. Le decisioni della Commissione sono presunte legittime fino a che non siano annullate o revocate. Del resto, l’art. 242 CE contiene l’espressa previsione che i ricorsi dinanzi alla Corte non hanno effetto sospensivo. Ne consegue che, anche se una decisione della Commissione è ancora soggetta ad un sindacato giurisdizionale, essa continua a produrre tutti i suoi effetti, salvo che il Tribunale o la Corte dispongano diversamente.
La tesi secondo cui la proposizione di un ricorso di annullamento avverso una decisione della Commissione in materia di concorrenza comporterebbe la sospensione dell’applicazione di tale decisione durante il procedimento giudiziale, per lo meno per quanto riguarda le conseguenze che ne derivano ai fini dell’accertamento di un’eventuale recidiva in una decisione successiva, non ha alcun fondamento giuridico, anzi, al contrario, è in contrasto segnatamente con la previsione dell’art. 242 CE.
Inoltre, se dovesse essere accolta tale tesi, gli autori di infrazioni sarebbero incitati a proporre ricorsi esclusivamente dilatori, all’unico scopo di evitare le conseguenze della recidiva nel corso dei procedimenti dinanzi al Tribunale e alla Corte.
La conclusione secondo cui, perché la Commissione possa tener conto della recidiva, è sufficiente che l’impresa sia stata precedentemente considerata colpevole di un’infrazione dello stesso tipo, anche se la decisione di cui trattasi è ancora soggetta ad un sindacato giurisdizionale, è quindi giuridicamente fondata.
Tale conclusione non è rimessa in discussione nell’ipotesi in cui la decisione sulla base della quale l’ammenda relativa ad un’altra infrazione è stata maggiorata in una decisione successiva venga annullata dal giudice dell’Unione europea dopo l’adozione di quest’ultima. Infatti, in tale ipotesi, la Commissione sarebbe tenuta, in applicazione dell’art. 233 CE, a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, modificando eventualmente la decisione successiva nella parte in cui applica una maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva.
Tale sistema è conforme ai principi generali di buona amministrazione della giustizia e di economia processuale, in quanto, da un lato, obbliga l’istituzione che ha emesso l’atto in questione ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza della Corte anche in assenza di una domanda in tal senso dell’impresa interessata e, dall’altro, impedisce i ricorsi meramente dilatori.
(v. punti 81-89)
7. Sebbene l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 lasci alla Commissione un ampio potere discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio, stabilendo criteri oggettivi ai quali essa deve attenersi. Così, da un lato, l’ammenda applicabile è soggetta ad un limite massimo calcolabile e assoluto, sicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a un’impresa è determinabile anticipatamente. D’altra parte, l’esercizio di tale potere discrezionale è altresì limitato dal codice di condotta che la Commissione si è essa stessa imposta adottando la comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese e gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA. Inoltre, la prassi amministrativa della Commissione, nota e accessibile, è soggetta al pieno controllo del giudice dell’Unione la cui giurisprudenza costante e pubblicata ha permesso di precisare le nozioni indeterminate che poteva contenere l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Un operatore accorto può quindi, avvalendosi se del caso dei servizi di un consulente legale, prevedere con un certo grado di precisione il metodo di calcolo e l’entità delle ammende in cui può incorrere per un comportamento determinato, e la circostanza che tale operatore non possa conoscere con precisione in anticipo il livello delle ammende che la Commissione infliggerà in ogni fattispecie non può costituire una violazione del principio di legalità delle pene.
(v. punto 95)
8. La nozione di dissuasione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda da irrogare per infrazione delle norme sulla concorrenza. Il nesso tra, da un lato, le dimensioni e le risorse globali delle imprese e, dall’altro, la necessità di assicurare all’ammenda un effetto dissuasivo è incontestabile. Nel determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione può pertanto tener conto, segnatamente, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa interessata. Ad esempio, dato il suo fatturato globale «enorme» rispetto a quello degli altri membri dell’intesa, un’impresa potrebbe reperire più facilmente i fondi necessari per il pagamento dell’ammenda inflittale, il che giustifica l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore al fine di ottenere un sufficiente effetto dissuasivo nei confronti di quest’ultima.
Il fattore di dissuasione che il calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa può includere è valutato tenendo conto di una pluralità di elementi, e non solo della situazione particolare dell’impresa interessata Non è quindi escluso che lo stadio del calcolo in cui viene preso in considerazione un fattore di dissuasione possa risultare pertinente alla luce degli elementi considerati per la valutazione del detto fattore, diversi dalle dimensioni e dalle risorse globali dell’impresa interessata.
(v. punti 102-105, 109)
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
17 giugno 2010 (*)
«Impugnazione – Intesa – Cartongesso – Snaturamento degli elementi di prova – Onere della prova – Difetto di motivazione – Regolamento n. 17 – Art. 15, n. 2 – Sanzione – Recidiva – Fase in cui va preso in considerazione l’effetto dissuasivo dell’ammenda»
Nel procedimento C‑413/08 P,
avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposta il 18 settembre 2008,
Lafarge SA, con sede in Parigi (Francia), rappresentata dagli avv.ti A. Winckler, F. Brunet, E. Paroche, H. Kanellopoulos e C. Medina, avocats,
ricorrente,
procedimento in cui le altre parti sono:
Commissione europea, rappresentata dai sigg. F. Castillo de la Torre e N. von Lingen, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta in primo grado,
Consiglio dell’Unione europea,
interveniente in primo grado,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dalla sig.ra P. Lindh, dai sigg. U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 ottobre 2009,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 febbraio 2010,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con la sua impugnazione, la Lafarge SA (in prosieguo: la «Lafarge») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 8 luglio 2008, causa T‑54/03, Lafarge/Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui il Tribunale ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione della Commissione 27 novembre 2002, 2005/471/CE, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato CE nei confronti di BPB PLC, Gebrüder Knauf Westdeutsche Gipswerke KG, Société Lafarge SA e Gyproc Benelux NV (Caso COMP/E‑1/37.152 – Cartongesso) (GU 2005, L 166, pag. 8; in prosieguo: la «decisione controversa»).
Contesto normativo
2 L’art. 15, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli articoli [81] e [82] dal Trattato (GU 1962, 13, pag. 204), prevede quanto segue:
«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:
a) commettano un’infrazione alle disposizioni dell’articolo [81] paragrafo 1 o dell’articolo [82] del Trattato,
(…)
Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».
3 La comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA» (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»), nel suo preambolo enuncia quanto segue:
«I principi indicati negli orientamenti riportati in appresso dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. (…)
La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà ormai sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».
4 Ai sensi del punto 1 dei summenzionati orientamenti, intitolato «Importo di base»:
«L’importo di base è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17.
A. Gravità
(…)
Sarà inoltre necessario valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e occorrerà fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo.
In linea di massima si potrà inoltre tenere conto del fatto che generalmente le imprese di grandi dimensioni dispongono quasi sempre di conoscenze e di infrastrutture giuridico-economiche che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento e delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo del diritto della concorrenza.
(…).
5 In conformità del punto 2 dei citati orientamenti, l’importo di base può essere aumentato in caso di circostanze aggravanti quali la recidiva della medesima impresa o delle medesime imprese per un’infrazione del medesimo tipo.
Fatti all’origine della controversia
6 Nella sentenza impugnata il Tribunale ha riassunto nei termini seguenti il contesto di fatto all’origine della controversia:
«1 La ricorrente (…) è un’impresa francese attiva a livello modiale nel settore dei materiali da costruzione. Ella detiene il 99,99% del capitale della Lafarge Gypsum International SA (in prosieguo: la “Lafarge Plâtres”), che produce e commercializza svariati prodotti derivati dal cemento, tra cui il cartongesso.
2 Quattro produttori principali sono attivi nel settore del cartongesso in Europa: la BPB plc [(in prosieguo: la “BPB”)], la Gebrüder Knauf Westdeutsche Gipswerke KG (in prosieguo: la “Knauf”), la Gyproc Benelux NV (in prosieguo: la “Gyproc”) e la Lafarge Plâtres.
3 Sulla base delle informazioni di cui era venuta a conoscenza, il 25 novembre 1998 la Commissione ha effettuato accertamenti improvvisi presso otto imprese operanti nel settore del cartongesso, tra cui la Lafarge Plâtres a Isle-sur-la-Sorgue (Francia) e la Lafarge a Parigi (Francia). Il 1° luglio 1999 essa ha esteso le indagini a due altre imprese.
4 Successivamente, ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 (…) la Commissione ha rivolto una serie di richieste di informazioni alle diverse imprese interessate, tra cui la Lafarge, in data 21 settembre 1999. Quest’ultima rispondeva il 29 ottobre 1999.
5 Il 18 aprile la Commissione ha avviato il procedimento amministrativo e adottava una comunicazione degli addebiti nei confronti delle imprese BPB, Knauf, Lafarge, Etex SA e Gyproc. (…)
(…)
8 Il 27 novembre 2002 la Commissione ha adottato la decisione [controversa].
9 Il dispositivo della decisione [controversa] così recita:
“Art. 1
BPB (…), il gruppo Knauf, (…) Lafarge (…) e Gyproc (…) hanno violato l’articolo 81, paragrafo 1, [CE], prendendo parte ad un insieme di accordi e di pratiche concordate nel settore del cartongesso.
L’infrazione ha avuto la seguente durata:
a) BPB (…): dal 31 marzo 1992, al più tardi, al 25 novembre 1998;
b) [gruppo] Knauf: dal 31 marzo 1992, al più tardi, al 25 novembre 1998;
c) (…) Lafarge (…): dal 31 agosto 1992, al più tardi, al 25 novembre 1998;
d) Gyproc (…): dal 6 giugno 1996, al più tardi, al 25 novembre 1998;
(…)
Art. 3
Alle seguenti imprese sono inflitte le ammende indicate qui di seguito:
a) BPB (…): 138,6 milioni di EUR,
b) (…) Knauf (…): 85,8 milioni di EUR,
c) (…) Lafarge (…): 249,6 milioni di EUR,
d) Gyproc (…): 4,32 milioni di EUR.
(…)”.
10 Nella decisione controversa, la Commissione sostiene che le imprese di cui trattasi hanno partecipato a un’infrazione unica e continuata che si è manifestata attraverso i comportamenti qui di seguito indicati, costitutivi di accordi o di pratiche concordate:
– i rappresentanti della BPB e della Knauf si sono incontrati a Londra (Regno Unito) nel 1992 ed hanno espresso la volontà comune di stabilizzare i mercati del cartongesso in Germania, nel Regno Unito, in Francia e nel Benelux;
– i rappresentanti della BPB e della Knauf hanno organizzato, a partire dal 1992, sistemi di scambio di informazioni, ai quali hanno aderito la Lafarge e in seguito la Gyproc, relativamente ai loro volumi di vendite sui mercati tedesco, francese, britannico e del Benelux;
– i rappresentanti della BPB, della Knauf e della Lafarge, in svariate occasioni, si sono scambiati informazioni in anticipo sugli aumenti dei prezzi sul mercato del Regno Unito;
– in considerazione dei particolari sviluppi del mercato tedesco, i rappresentanti della BPB, della Knauf, della Lafarge e della Gyproc si sono incontrati a Versailles (Francia) nel 1996, a Bruxelles (Belgio) nel 1997 e all’Aia (Paesi Bassi) nel 1998 al fine di ripartirsi o almeno di stabilizzare il mercato tedesco;
– i rappresentati della BPB, della Knauf, della Lafarge e della Gyproc si sono scambiati informazioni in svariate occasioni e si sono accordati per aumentare i prezzi sul mercato tedesco tra il 1996 e il 1998.
11 Ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda la Commissione ha applicato il metodo esposto negli orientamenti [del 1998].
12 Per stabilire l’importo di base delle ammende, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha innanzitutto considerato che le imprese interessate avevano commesso un’infrazione molto grave per sua stessa natura, dal momento che le pratiche in esame avevano avuto lo scopo di porre fine alla guerra dei prezzi e di stabilizzare il mercato attraverso lo scambio di informazioni riservate. Inoltre, la Commissione ha ritenuto che le suddette pratiche avessero avuto un impatto sul mercato, in quanto le imprese interessate rappresentavano la quasi totalità dell’offerta di cartongesso e le diverse manifestazioni dell’intesa erano state messe in atto su di un mercato molto concentrato e oligopolistico. Per quanto riguarda l’estensione del mercato geografico interessato, la Commissione ha ritenuto che l’intesa avesse coperto i quattro principali mercati in seno alla Comunità europea, ossia la Germania, il Regno Unito, la Francia e il Benelux.
13 Considerando poi che vi fosse una notevole disparità fra le imprese interessate, la Commissione ha effettuato un trattamento differenziato basandosi a tal fine sul fatturato ricavato dalla vendita del prodotto in oggetto sui mercati interessati durante tutto l’ultimo anno in cui l’infrazione ha avuto luogo. Su questa base, l’importo di partenza delle ammende è stato fissato a EUR 80 milioni per la BPB, EUR 52 milioni per la Knauf e per la Lafarge, e EUR 8 milioni per la Gyproc.
14 Al fine di garantire un effetto sufficientemente deterrente dell’ammenda inflitta, in considerazione della dimensione e delle risorse complessive delle imprese, l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla Lafarge è stato aumentato del 100%, giungendo a EUR 104 milioni.
15 Al fine di tener conto della durata dell’infrazione, l’importo di partenza è stato poi aumentato del 65% per la BPB e per la Knauf, del 60% per la Lafarge e del 20% per la Gyproc: nel caso della Knauf, della Lafarge e della BPB la Commissione ha qualificato l’infrazione come infrazione di lunga durata e nel caso della Gyproc come infrazione di durata media.
16 Quanto alle circostanze aggravanti, l’importo iniziale delle ammende inflitte alla BPB e alla Lafarge è stato aumentato del 50% a titolo di recidiva.
17 Inoltre, la Commissione ha ridotto del 25% l’ammenda comminata alla Gyproc a titolo di circostanze attenuanti, in quanto essa era stata un elemento destabilizzante che aveva contribuito a limitare gli effetti dell’accordo nel mercato tedesco e non era stata presente nel mercato del Regno Unito.
18 Infine, la Commissione ha ridotto del 30% l’importo dell’ammenda inflitta alla BPB e del 40% quello dell’ammenda inflitta alla Gyproc, in applicazione della sezione D, n. 2, della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»). Di conseguenza, l’importo finale delle ammende inflitte era di EUR 138,6 milioni per la BPB, EUR 85,8 milioni per la Knauf, EUR 249,6 milioni per la Lafarge e EUR 4,32 milioni per la Gyproc».
La sentenza impugnata
7 Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 febbraio 2003, la Lafarge proponeva un ricorso di annullamento contro la decisione controversa. In subordine, essa chiedeva al Tribunale di ridurre l’ammenda che le era stata inflitta.
8 Con la sentenza impugnata il Tribunale respingeva tale ricorso nel suo complesso.
Conclusioni delle parti
9 Con la sua impugnazione, la Lafarge chiede che la Corte voglia:
– annullare la sentenza impugnata;
– accogliere le conclusioni da essa presentate in primo grado in via principale e, quindi, annullare la decisione controversa nella parte in cui le infligge un’ammenda;
– in subordine, annullare parzialmente la sentenza impugnata;
– accogliere le conclusioni da essa presentate in primo grado in via subordinata e, quindi, ridurre l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta dalla decisione controversa, e
– condannare la Commissione alle spese.
10 La Commissione chiede che la Corte voglia:
– respingere l’impugnazione, e
– condannare la ricorrente alle spese.
Sull’impugnazione
11 A sostegno delle sue conclusioni la Lafarge deduce sei motivi, il primo dei quali, presentato in via principale, è diretto all’annullamento in toto della sentenza impugnata e gli altri cinque, presentati in via subordinata, sono diretti all’annullamento parziale di tale sentenza.
Sul primo motivo, vertente sullo snaturamento degli elementi di prova
Argomenti delle parti
12 La Lafarge sostiene che il Tribunale ha snaturato gli elementi di prova facendo sistematicamente riferimento a un «contesto globale» per accertare ciascuno dei comportamenti giudicati illeciti. In particolare, siffatto snaturamento risulterebbe dalle considerazioni della sentenza impugnata relative alle circostanze caratterizzanti il sistema di scambio di informazioni (punti 270 e 271 della sentenza impugnata), lo scambio di informazioni specifiche al Regno Unito (punto 303 della sentenza impugnata), gli aumenti di prezzo nel Regno Unito nel periodo precedente al 7 settembre 1996 (punto 324 della sentenza impugnata), l’esistenza di un accordo di stabilizzazione del mercato tedesco (punti 398 e 402 della sentenza impugnata), nonché gli aumenti di prezzo in Germania nel 1994 e nel 1995 (punti 426 e 430 della sentenza impugnata).
13 Nel complesso, il Tribunale si sarebbe fondato su un contesto globale, laddove l’esistenza di quest’ultimo non sarebbe provata e potrebbe esserlo solo sulla base di altri comportamenti illeciti che a loro volta sarebbero qualificati come tali dal Tribunale soltanto sulla base del medesimo «contesto globale». Il ragionamento del Tribunale sarebbe quindi circolare.
14 La Commissione ritiene che nella maggior parte dei casi la Lafarge non indichi gli elementi di prova che sarebbero stati snaturati e non dimostri gli errori di analisi che avrebbero indotto il Tribunale a tale snaturamento. In ogni modo, non si potrebbe censurare il Tribunale per aver fatto riferimento ad un contesto globale non provato e neppure per essersi avvalso di un ragionamento circolare, poiché esso avrebbe effettuato un esame accurato dei vari elementi di prova.
Giudizio della Corte
15 Secondo una giurisprudenza costante, la Corte non è competente ad accertare i fatti né, salvo eccezioni, ad esaminare le prove sulle quali il Tribunale ha basato il proprio accertamento dei fatti. Una volta che le prove sono state acquisite regolarmente e che i principi generali del diritto e le norme di procedura in materia di onere e di produzione della prova sono stati rispettati, spetta unicamente al Tribunale pronunciarsi sul valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti (v. sentenze 8 maggio 2003, causa C‑122/01 P, T. Port/Commissione, Racc. pag. I‑4261, punto 27, nonché 25 ottobre 2007, causa C‑167/06 P, Komninou e a./Commissione, punto 40). Questa valutazione non costituisce pertanto una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte, salvo il caso di snaturamento di questi elementi (v., in particolare, sentenza 28 maggio 1998, causa C‑8/95 P, New Holland Ford/Commissione, Racc. pag. I‑3175, punto 26).
16 Il ricorrente che alleghi uno snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale deve, ai sensi degli artt. 225 CE, 51, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, primo comma, lett. c), del regolamento di procedura della Corte, indicare con precisione gli elementi che sarebbero stati snaturati da quest’ultimo e dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a tale snaturamento (v., in tal senso, sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 50).
17 Tale snaturamento sussiste quando, senza che occorra assumere nuove prove, la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta manifestamente erronea (v. sentenza 18 gennaio 2007, causa C‑229/05 P, PKK e KNK/Consiglio, Racc. pag. I‑439, punto 37).
18 L’unico elemento di prova di cui la Lafarge adduce lo snaturamento è costituito da una nota interna dell’ottobre 1994, scoperta nei locali della BPB. Secondo la Lafarge tale nota non contiene alcun elemento che permetta di concludere che i concorrenti avessero avuto contatti tra di loro.
19 In proposito, al punto 430 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’affermazione della Lafarge secondo cui la BPB sarebbe stata informata dell’aumento dei prezzi da parte della Knauf, annunciato nella nota di cui trattasi, tramite la clientela. Il Tribunale ha rilevato che «l’autore della nota, dopo aver sintetizzato la situazione esistente sul mercato, spiega che il direttore delle vendite della Gyproc si era lamentato del fatto che l’impresa aveva perduto quote di mercato e che doveva riconquistarne. Inoltre, nella nota era previsto un congelamento dei prezzi ad un determinato livello e si annunciava un aumento dei prezzi a partire dal 1° febbraio 1995. Quest’ultimo dato è particolarmente significativo. Infatti, se l’invio degli annunci degli aumenti dei prezzi da parte della Knauf è stato unilaterale e se gli altri produttori si sono limitati a seguire tale aumento, è anche vero che la BPB non avrebbe potuto sapere, nell’ottobre 1994, che era previsto un aumento per il 1° febbraio 1995, dal momento che la Knauf aveva annunciato l’aumento dei prezzi soltanto nel novembre 1994». Il Tribunale ha preso poi in considerazione altri elementi specifici, cioè, in primo luogo, il fatto che la Knauf aveva comunicato, in risposta ad una richiesta di informazioni da parte della Commissione, che da lungo tempo era consolidata la pratica di inviare annunci di aumento dei prezzi insieme ai listini direttamente alle imprese concorrenti e contestualmente ai clienti, in secondo luogo, il fatto che, nel corso delle verifiche effettuate nei locali della BPB e della Lafarge, la Commissione aveva scoperto numerose copie di annunci di aumento dei prezzi dei concorrenti e, in terzo luogo, il fatto che un aumento dei prezzi aveva effettivamente avuto luogo il 1° febbraio 1995.
20 Dalla sentenza impugnata risulta quindi che il Tribunale non ha esaminato detta nota interna separatamente, bensì insieme ad altri elementi specifici del fascicolo. Di conseguenza, il motivo relativo a tale nota va disatteso.
21 Quanto al resto, occorre constatare che la ricorrente non ha indicato con precisione gli altri elementi di prova che sarebbero stati snaturati dal Tribunale. Infatti, quest’ultima si limita ad evidenziare i passi della sentenza impugnata in cui il Tribunale si è riferito ad un «contesto globale», cioè i punti 271, 303, 324, 398, 402, 426 e 430, senza peraltro individuare gli specifici elementi di prova che il Tribunale avrebbe valutato in modo manifestamente erroneo.
22 In circostanze come quelle della presente fattispecie, l’esistenza di uno snaturamento degli elementi di prova deve essere esaminata alla luce del fatto che di norma – poiché sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni che possono essere irrogate ai contravventori – le attività derivanti da tali pratiche ed accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete, spesso in un paese terzo, e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come il verbale di una riunione, tali documenti saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punti 55‑57).
23 La ricorrente, benché deduca uno snaturamento degli elementi di prova, intende in realtà chiedere una nuova valutazione degli stessi, il che esula dalla competenza della Corte.
24 Di conseguenza, occorre respingere il primo motivo in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondato.
25 Pertanto, occorre esaminare i motivi dedotti dalla ricorrente in via subordinata.
Sul secondo motivo, vertente sulla violazione delle regole in materia di onere della prova, del principio della presunzione d’innocenza e del principio in dubio pro reo
Argomenti delle parti
26 La ricorrente afferma che il Tribunale ha violato le regole in materia di onere della prova, il principio della presunzione d’innocenza e il principio in dubio pro reo, nel dichiarare che la Commissione aveva provato in modo giuridicamente sufficiente che la partecipazione della Lafarge all’infrazione risaliva al 31 agosto 1992. A tale riguardo, la ricorrente rammenta che, secondo giurisprudenza costante, la Corte dovrebbe verificare che i principi generali del diritto comunitario e le norme di procedura in materia di onere e di produzione della prova siano stati rispettati. D’altronde, l’onere della prova di un’infrazione e della sua durata spetterebbe alla Commissione.
27 Nella fattispecie, il Tribunale avrebbe considerato, ai punti 507, 508 e 510 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva validamente provato la partecipazione della Lafarge all’infrazione a partire dal 31 agosto 1992, poiché la Lafarge non aveva indicato né la data esatta dell’inizio di tale partecipazione né le circostanze che l’avevano indotta a partecipare ad uno scambio di informazioni anticoncorrenziale. Procedendo in tal modo, il Tribunale avrebbe invertito l’onere della prova. Orbene, siffatta inversione dell’onere della prova costituirebbe altresì una violazione della presunzione d’innocenza e del principio in dubio pro reo.
28 La Commissione contesta le affermazioni della Lafarge e sostiene che il Tribunale ha semplicemente concluso che gli elementi di prova menzionati ai punti 503, 507 e 512 della sentenza impugnata rappresentavano indizi sufficienti a provare la partecipazione all’infrazione della Lafarge a partire dalla metà del 1992. La Lafarge, pur potendo fornire elementi per dimostrare il contrario, non lo avrebbe fatto.
Giudizio della Corte
29 Dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta alla parte o all’autorità che deduce un’infrazione delle regole sulla concorrenza l’onere di provare l’esistenza di tale infrazione, e all’impresa o all’associazione di imprese che sollevano un mezzo difensivo contro la constatazione di un’infrazione l’onere di provare che le condizioni per l’applicazione della norma sulla quale si fonda tale mezzo difensivo sono soddisfatte, di modo che la detta autorità dovrà ricorrere ad altri elementi di prova (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punto 78).
30 Anche se, secondo tali principi, l’onere della prova grava vuoi sulla Commissione vuoi sull’impresa o associazione interessata, gli elementi di fatto che una parte fa valere possono essere tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato assolto (v. sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punto 79).
31 Dal punto 515 della sentenza impugnata risulta che il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse validamente provato che la BPB aveva informato la Lafarge al più tardi alla fine dell’agosto 1992 dell’accordo tra la BPB e la Knauf sullo scambio di informazioni e che, in tale occasione, la Lafarge aveva aderito a tale accordo. Il Tribunale aveva fondato tale conclusione, da un lato, su una serie di dichiarazioni della BPB (punto 503 e segg. della sentenza impugnata) e, dall’altro, sul fatto che la quota di mercato della Lafarge sui principali mercati europei era indicata in valore assoluto e in percentuale nelle tabelle della BPB a partire dal 1991 (punto 512 della sentenza impugnata).
32 Pertanto, occorre rilevare che, indicando al punto 508 della sentenza impugnata che la ricorrente si limitava a evidenziare le inesattezze contenute nelle dichiarazioni della BPB, senza però menzionare la data precisa e le circostanze che l’hanno indotta a partecipare a tale scambio di informazioni, il Tribunale ha concluso, in applicazione della giurisprudenza della Corte menzionata ai punti 29 e 30 della presente sentenza, che gli elementi di prova dedotti dalla Commissione erano tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale era lecito ritenere che tale istituzione avesse adempiuto i suoi obblighi quanto all’onere della prova. Il Tribunale si è quindi limitato a dichiarare che la ricorrente ha omesso di fornire prove a sostegno della sua affermazione secondo la quale la sua partecipazione all’accordo di scambio di informazioni era necessariamente posteriore al mese di giugno 1993, e probabilmente anche all’inizio del 1994.
33 Ne consegue che il Tribunale non ha violato le regole in materia di onere della prova.
34 I motivi vertenti sulla violazione della presunzione d’innocenza e del principio in dubio pro reo, nella misura in cui si fondano su una pretesa inversione dell’onere della prova, devono anch’essi essere respinti.
35 Pertanto, il secondo motivo è infondato.
Sul terzo motivo, vertente sulla carenza di motivazione e sulla violazione del principio di parità di trattamento
Argomenti delle parti
36 La Lafarge muove al Tribunale la censura di non aver risposto al suo argomento relativo alla disparità di trattamento tra lei e la Gyproc, nei termini in cui è formulato ai punti 374 e 375 del suo ricorso in primo grado, e di avere così violato l’obbligo di motivazione cui era tenuto. Ai punti 500‑518 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe concluso che, per quanto riguarda la Lafarge, gli elementi di prova accolti dalla Commissione, cioè una menzione delle quote di mercato della Lafarge nelle tabelle del sig. [D] e le dichiarazioni della BPB, provano validamente la partecipazione della Lafarge ad un’infrazione unica, complessa e continuata a partire dal 31 agosto 1992, mentre nel caso della Gyproc la Commissione avrebbe considerato questi due elementi di prova insufficienti. La Lafarge aggiunge nella sua memoria di replica che essa aveva fatto valere la violazione del principio di parità di trattamento anche ai punti 124, 511 e 512 del suo ricorso in primo grado, ma che il Tribunale non aveva esaminato tale aspetto.
37 Secondo la Commissione il terzo motivo è irricevibile poiché la ricorrente non può far valere in fase di impugnazione un motivo non dedotto dinanzi al Tribunale. D’altronde, per quanto riguarda la violazione del principio di parità di trattamento, la Commissione rileva che la Lafarge non può pretendere di trovarsi nella stessa situazione della Gyproc, poiché quest’ultima avrebbe partecipato direttamente allo scambio di informazioni solo nel 1996 e non avrebbe affatto partecipato a tale scambio in relazione al mercato del Regno Unito, sul quale non operava. La Commissione afferma altresì che gli elementi aggiuntivi che la Lafarge ha esposto nella sua memoria di replica costituiscono un motivo nuovo, irricevibile in fase di replica.
Giudizio della Corte
38 Per quanto riguarda la carenza di motivazione che viene contestata al Tribunale, il quale nella sentenza impugnata non avrebbe esaminato l’argomento della ricorrente, esposto ai punti 374 e 375 del suo ricorso in primo grado, relativo a una disparità di trattamento tra la ricorrente stessa e la Gyproc, occorre rilevare che i punti sopramenzionati sono formulati nei termini seguenti:
«Poiché la partecipazione della [Lafarge] è stata accertata solo a partire dalla fine del 1993, se non addirittura dall’inizio del 1994, lo scambio di informazioni non è la prima “manifestazione” per la [Lafarge], poiché lo scambio sui volumi e i contatti in merito ai prezzi allegati dalla Commissione che riguardano specificatamente il mercato britannico sarebbero iniziati prima di quel periodo.
Ciò posto, nessuna di queste due manifestazioni – anche se fosse accertata – potrebbe evidentemente, in quanto tale, costituire un’adesione della [Lafarge] ad un’infrazione unica, complessa e continuata, perpetrata sui quattro principali mercati europei. D’altra parte la Commissione ha ritenuto per quanto riguarda la Gyproc che la partecipazione alle stesse manifestazioni non potesse essere sufficiente a provare un’adesione ad un’infrazione unica, complessa e continuata».
39 Da una parte, occorre rilevare che nel passaggio appena riportato non è contenuta alcuna allegazione in merito ad una violazione del principio di parità di trattamento. D’altra parte, anche supponendo di poterne dedurre una simile allegazione, essa non ha un carattere chiaro e preciso e non si fonda su prove circostanziate, atte a suffragarla.
40 Il principio di parità di trattamento osta, segnatamente, a che situazioni analoghe siano trattate in maniera diversa salvo che tale trattamento sia obiettivamente giustificato (v., in tal senso, sentenza 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 95). Orbene, come fa giustamente valere la Commissione, la ricorrente non ha neppure cercato di dimostrare che si trovava in una situazione analoga a quella della Gyproc, il che sarebbe stato tanto più necessario in quanto la partecipazione di queste due imprese all’infrazione di cui trattasi è caratterizzata da importanti differenze di fatto. La portata dell’allegazione contenuta nell’ultima frase del punto 375 del ricorso di primo grado è pertanto tutt’altro che chiara.
41 Secondo costante giurisprudenza, l’obbligo per il Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che quest’ultimo è tenuto a replicare in dettaglio a tutti gli argomenti invocati dal ricorrente, specialmente se tali argomenti non hanno un carattere sufficientemente chiaro e preciso e non sono fondati su elementi di prova circostanziati (v. sentenze 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 121; 11 settembre 2003, causa C‑197/99 P, Belgio/Commissione, Racc. pag. I‑8461, punto 81, e 11 gennaio 2007, causa C‑404/04 P, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, punto 90).
42 Nella sua replica la ricorrente critica il Tribunale perché non ha risposto ad altri punti del suo ricorso di primo grado, cioè i punti 124, 511 e 512 del medesimo. Occorre tuttavia rilevare che i punti summenzionati riguardano svariati aspetti della decisione controversa e si riferiscono a motivi molto diversi sollevati dinanzi al Tribunale. Come fa giustamente valere la Commissione nella sua controreplica, il Tribunale ha esaminato, segnatamente ai punti 559 e 637 della sentenza impugnata, le affermazioni della ricorrente relative al principio di parità di trattamento. Orbene, la ricorrente non ha criticato tali punti della sentenza impugnata nella sua impugnazione.
43 Ne consegue che, con le affermazioni complementari esposte nella memoria di replica, la ricorrente deduce essenzialmente un motivo nuovo in corso di causa. Orbene, risulta dagli artt. 42, n. 2, e 118 del regolamento di procedura della Corte che è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento (v., in particolare, ordinanza 13 giugno 2006, causa C‑172/05 P, Mancini/Commissione, punto 20). Poiché la ricorrente ha dedotto tale motivo solo allo stadio della replica e esso non si fonda su elementi emersi successivamente alla presentazione dell’impugnazione, occorre respingerlo in quanto tardivo.
44 Di conseguenza, il terzo motivo deve essere respinto in parte come irricevibile, in parte come infondato.
Sul quarto motivo, vertente su una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento
Argomenti delle parti
45 La Lafarge ritiene che la sentenza impugnata violi i principi di proporzionalità e di parità di trattamento nella parte in cui conferma l’importo di base dell’ammenda fissato dalla Commissione nei suoi confronti, il quale sarebbe sproporzionato rispetto all’importo di base dell’ammenda fissato per le altre imprese destinatarie della decisione controversa. Essa contesta l’affermazione del Tribunale contenuta al punto 634 della sentenza impugnata secondo cui l’importo delle ammende potrebbe essere calcolato indipendentemente dal fatturato delle imprese. Anche supponendo che tale affermazione sia corretta, la Commissione avrebbe scelto, nella decisione controversa, di dividere le imprese interessate in categorie in funzione delle loro rispettive quote di mercato. Orbene, dalla sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punti 223‑232) risulterebbe che, se la Commissione decide di individuare delle categorie sulla base di un criterio come quello delle quote di mercato, la Commissione e il Tribunale sono tenuti a rispettare un rapporto di proporzionalità tra, da un lato, le soglie delle diverse categorie e, dall’altro, la quota di mercato di un’impresa nonché la sua collocazione nell’una o nell’altra categoria.
46 Orbene, l’importo di base dell’ammenda della Lafarge sarebbe 6,5 volte più elevato di quello dell’ammenda della Gyproc, laddove la quota di mercato detenuta dalla prima (24%), classificata nella categoria 2, era solamente 3,4 volte superiore a quella detenuta dalla seconda (7%), rientrante nella categoria 3. D’altra parte, mentre la quota di mercato della Lafarge nel 1997 rappresentava meno dell’81% di quella detenuta dalla Knauf, queste due imprese sono state classificate nella stessa categoria e l’importo di base della loro ammenda è stato fissato a EUR 52 milioni.
47 Nella sua memoria di replica, la Lafarge precisa di aver dedotto un motivo in tal senso dinanzi al Tribunale.
48 La Commissione ritiene che il presente motivo sia irricevibile, poiché siffatti argomenti non sarebbero stati esposti dalla ricorrente nel contesto del procedimento di primo grado.
49 Inoltre, gli argomenti della Lafarge sarebbero manifestamente infondati. In tal senso, la Commissione ha citato in proposito la sentenza 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑5977, punti 52 e 53), in cui la Corte avrebbe confermato che i partecipanti ad un’intesa potevano essere suddivisi in categorie. Allorché la Commissione decide di raggruppare le imprese interessate in funzione della loro quota di mercato, essa non sarebbe tenuta ad accertare che l’importo di base dell’ammenda inflitta ad ogni impresa sia rigorosamente proporzionale alla sua quota di mercato. Poiché le quote di mercato delle imprese sono generalmente diverse, ciò obbligherebbe la Commissione a creare un numero di categorie pari al numero di imprese interessate, il che renderebbe inutile la loro divisione in categorie.
50 La Commissione sostiene altresì di avere deciso di dividere le imprese in tre categorie in funzione della loro quota sui mercati su cui l’intesa era stata posta in essere nel corso dell’ultimo anno completo di partecipazione ad essa (cioè il 1997). Quindi, la BPB è stata classificata nella prima categoria a causa della sua quota di mercato (42%) e della sua posizione di maggiore produttore. La Knauf e la Lafarge, con quote di mercato, rispettivamente, del 28% e del 24%, sono state classificate nella seconda categoria. Infine, la Gyproc, con una quota di mercato del 7% e nella sua qualità di operatore di secondaria importanza, è stata inserita nella terza categoria.
Giudizio della Corte
51 Occorre rilevare che la ricorrente si è limitata ad allegare dinanzi al Tribunale che, sebbene la sua capacità economica sui mercati tedesco e del Regno Unito non le consentisse di danneggiare la concorrenza su tali mercati e che essa stessa costituisse un fattore di concorrenza determinante nel periodo dell’infrazione, tale circostanza non è stata presa in considerazione nell’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta. Al contrario, nell’ambito del presente motivo, la Lafarge contesta che la Commissione possa definire categorie di imprese in funzione della loro quota di mercato o, per lo meno, il metodo seguito dalla Commissione a tal fine. Ne consegue che la ricorrente avanza una censura a tale proposito per la prima volta dinanzi alla Corte.
52 Orbene, consentire ad una parte di sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte un motivo ed argomenti che essa non aveva dedotto dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in materia di impugnazioni è limitata, una controversia più ampia di quella di cui era stato investito il Tribunale. Nell’ambito di un’impugnazione, la competenza della Corte è pertanto limitata alla valutazione della soluzione giuridica che è stata fornita a fronte dei motivi e degli argomenti discussi dinanzi al giudice di primo grado (v. sentenza 30 marzo 2000, causa C‑266/97 P, VBA/VGB e a., Racc. pag. I‑2135, punto 79, nonché 21 settembre 2006, causa C‑167/04 P, JCB Service/Commissione, Racc. pag. I‑8935, punto 114). Sotto tale profilo, il presente motivo è irricevibile.
53 In quanto fondato sull’allegazione della ricorrente, secondo cui il Tribunale avrebbe considerato, al punto 634 della sentenza impugnata, che l’importo delle ammende può essere calcolato indipendentemente dal fatturato delle imprese, occorre dichiarare che il presente motivo discende da una lettura erronea della sentenza impugnata.
54 Infatti, in tale punto il Tribunale ha ricordato che la Corte, nella sentenza 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punti 255 e 312), ha dichiarato che la Commissione non è tenuta ad effettuare il calcolo dell’ammenda a partire dagli importi basati sul fatturato delle imprese interessate né ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende, risultanti dal suo calcolo effettuato con riferimento alle imprese interessate, rendano conto di ogni differenza tra le stesse imprese in ordine al loro fatturato complessivo o al loro fatturato rilevante.
55 Pertanto si deve respingere il quarto motivo in quanto in parte irricevibile ed in parte infondato.
Sul quinto motivo, vertente su errori di diritto e su una carenza di motivazione per quanto riguarda la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva
56 Il presente motivo si divide in due parti.
Sulla prima parte del motivo, relativa all’esistenza di un fondamento giuridico per la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva e alla limitazione nel tempo della presa in considerazione della medesima
– Argomenti delle parti
57 La Lafarge afferma che il Tribunale avrebbe violato, ai punti 724 e 725 della sentenza impugnata, il principio nulla poena sine lege, ritenendo che la Commissione disponesse di un fondamento giuridico per maggiorare l’ammenda da infliggere alla ricorrente a titolo di recidiva. Secondo la ricorrente, nella quasi totalità dei sistemi giuridici degli Stati membri i giudici possono aggravare una pena a titolo di recidiva solo nei casi e alle condizioni rigorosamente previsti dalla legge. Orbene, il regolamento n. 17 non autorizzerebbe la Commissione ad aumentare le ammende per recidiva.
58 D’altra parte, il Tribunale avrebbe violato, al punto 725 della sentenza impugnata, il principio generale della certezza del diritto, in quanto avrebbe ritenuto che la Commissione poteva constatare l’esistenza di una recidiva senza limiti di tempo. Infatti, secondo un principio generale comune ai diritti degli Stati membri la legge determinerebbe, per l’applicazione della recidiva, un periodo massimo tra il momento in cui è stata commessa l’infrazione esaminata e un’eventuale condanna anteriore. A tale riguardo, la Lafarge si riferisce al codice penale di numerosi Stati membri. Essa cita altresì le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo Öztürk del 21 febbraio 1984, serie A n. 73, e Lutz del 25 agosto 1987, serie A n. 123-A, da cui risulterebbe che, data la loro natura e il loro grado di severità, le sanzioni in materia di concorrenza rientrano nella materia «penale», secondo la definizione che ne ha dato detta Corte.
59 Inoltre, la ricorrente invita la Corte ad esaminare nuovamente la conformità della sua sentenza 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione (Racc. pag. I-1331) ai principi generali menzionati in precedenza.
60 La Commissione rammenta che proprio argomenti analoghi a quelli esposti dalla ricorrente sono stati respinti dalla Corte in tale sentenza. Essa afferma che, nella fattispecie, non occorre valutare se le statuizioni del Tribunale possano portare alla possibilità di imporre indefinitamente una sanzione a titolo di recidiva, poiché il Tribunale ha constatato che la controllata della ricorrente aveva continuato a partecipare attivamente all’intesa nei quattro anni successivi alla notifica nei suoi confronti della decisione della Commissione 30 novembre 1994, 94/815/CE, relativa ad una procedura d’applicazione dell’articolo [81] del trattato CE (Casi IV/33.126 e 33.322 – Cemento) (GU L 343, pag. 1), mentre nella causa decisa con la citata sentenza Groupe Danone/Commissione la Corte ha dichiarato che un lasso di tempo inferiore ai dieci anni tra due infrazioni dimostrava una propensione a non trarre le debite conseguenze da un accertamento di una violazione delle regole di concorrenza.
– Giudizio della Corte
61 Per quanto attiene all’esistenza di un fondamento giuridico per la maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva, occorre sottolineare che tale maggiorazione è dovuta alla necessità di reprimere le violazioni reiterate delle regole di concorrenza da parte della medesima impresa.
62 L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 attribuisce alla Commissione il potere di infliggere ammende ad imprese ed associazioni d’imprese per violazioni degli artt. 81 CE e 82 CE. Ai sensi di tale disposizione, per determinare l’importo dell’ammenda devono essere prese in considerazione la durata e la gravità dell’infrazione.
63 A tale riguardo, come il Tribunale ha rilevato al punto 722 della sentenza impugnata, un’eventuale recidiva figura tra gli elementi che vanno presi in considerazione nell’analizzare la gravità dell’infrazione in esame (v. citate sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, punto 91, nonché Groupe Danone/Commissione, punto 26).
64 Ne consegue che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 costituisce il fondamento giuridico pertinente per prendere in considerazione una recidiva al momento in cui viene calcolata l’ammenda (v., in tal senso, sentenza Groupe Danone/Commissione, cit., punti 27‑29).
65 Di conseguenza, il Tribunale non ha violato il principio nulla poena sine lege laddove ha avallato l’accertamento effettuato dalla Commissione dell’esistenza di una recidiva in capo alla ricorrente e la qualificazione di tale recidiva come circostanza aggravante.
66 Per quanto riguarda il termine massimo oltre il quale la recidiva non dovrebbe essere presa in considerazione, occorre anzitutto sottolineare che né il regolamento n. 17 né gli orientamenti del 1998 prevedono un termine siffatto.
67 A tale riguardo, la Corte, al punto 37 della citata sentenza Groupe Danone/Commissione, ha dichiarato che la mancata previsione di tale termine non viola il principio di certezza del diritto.
68 La Lafarge invita tuttavia la Corte a riesaminare la conclusione cui è pervenuta in tale sentenza. Essa pare dedurre da tale sentenza che sarebbe possibile per la Commissione procedere ad una maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva senza limiti di tempo.
69 Tale deduzione si fonda però su un’interpretazione erronea di detta sentenza. Infatti, la Corte ha sottolineato nella medesima che la Commissione può, in ogni singolo caso, prendere in considerazione quei fattori che confermano la propensione di un’impresa a discostarsi dalle regole di concorrenza, incluso, ad esempio, il tempo trascorso tra le infrazioni di cui trattasi (sentenza Groupe Danone/Commissione, cit., punto 39).
70 D’altra parte, il principio di proporzionalità esige che il tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e una violazione precedente delle regole di concorrenza venga preso in considerazione per valutare la propensione dell’impresa a sottrarsi a tali regole. Nell’ambito del sindacato giurisdizionale esercitato sugli atti della Commissione in materia di diritto della concorrenza, il Tribunale e, eventualmente, la Corte possono quindi essere chiamati a valutare se la Commissione abbia rispettato detto principio allorché ha maggiorato, a titolo di recidiva, l’ammenda inflitta e, segnatamente, se detta maggiorazione fosse necessaria con riferimento, in particolare, al periodo di tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e la precedente violazione delle regole di concorrenza.
71 Nella fattispecie, il Tribunale ha osservato, al punto 727 della sentenza impugnata, che la cronistoria delle infrazioni accertate nei confronti della ricorrente attesta la sua propensione a non trarre le debite conseguenze dalla constatazione nei suoi riguardi di una violazione delle regole in tema di concorrenza, poiché, pur essendo già stata oggetto di misure precedenti della Commissione adottate con la decisione 94/815, la controllata della ricorrente aveva continuato a partecipare attivamente all’accordo in oggetto fino al 1998, cioè per quattro anni dopo la notifica della detta decisione.
72 Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto laddove ha dichiarato che il principio della certezza del diritto non è violato in conseguenza del fatto che non esiste un termine prestabilito per prendere in considerazione la recidiva.
73 Per quanto riguarda la censura riguardante l’asserita violazione di un principio generale comune agli Stati membri secondo cui non si può prendere in considerazione una recidiva oltre un termine massimo, essa deve essere respinta come inconferente, in quanto, come risulta dal punto 70 della presente sentenza, il diritto della concorrenza dell’Unione non autorizza la Commissione a tenere conto di una recidiva senza limiti di tempo.
74 La ricorrente si adopera inoltre per provare, riferendosi sommariamente alle citate sentenze Öztürk e Lutz, che le sanzioni inflitte dalla Commissione nell’ambito del diritto della concorrenza rientrano nella nozione di materia «penale» ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.
75 Tuttavia, tale argomento non può essere accolto. Infatti, anche nell’ipotesi in cui le sanzioni inflitte dalla Commissione nell’ambito del diritto della concorrenza dovessero essere considerate come rientranti nella materia «penale» ai sensi dell’art. 6 di detta Convenzione, la ricorrente non prova in qual modo il Tribunale avrebbe violato il suo diritto ad un processo equo sancito in tale articolo.
76 Di conseguenza, la prima parte del quinto motivo dev’essere respinta.
Sulla seconda parte, relativa all’esistenza di una recidiva senza che il primo accertamento dell’infrazione sia divenuto definitivo
– Argomenti delle parti
77 La Lafarge sostiene che il Tribunale ha violato un principio generale comune ai diritti degli Stati membri e i principi di certezza del diritto nonché di legalità dei diritti e delle pene, dichiarando che la Commissione era legittimata a maggiorare l’importo dell’ammenda a titolo di recidiva, sebbene la decisione che accertava un’infrazione precedente per fatti analoghi non fosse divenuta definitiva al momento dei fatti di cui alla decisione impugnata.
78 Secondo il diritto penale degli Stati membri, un soggetto sarebbe generalmente considerato recidivo solo qualora, dopo essere stato condannato in via definitiva per la prima violazione, esso ne commetta un’altra. Uno degli elementi fondamentali della recidiva sarebbe quindi l’esistenza di una condanna definitiva, il che richiede l’esaurimento delle vie di ricorso nel momento in cui è commessa una nuova violazione. Nella presente fattispecie la Commissione ha fatto riferimento alla decisione 94/815 per concludere che la Lafarge era recidiva. Tuttavia la Lafarge ha introdotto un ricorso diretto all’annullamento di tale decisione e il Tribunale ha pronunciato la sua sentenza in data 15 marzo 2000 (cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491). Tale sentenza è divenuta definitiva due mesi dopo essere stata notificata alla Lafarge, poiché quest’ultima non ha proposto alcuna impugnazione. Orbene, le condotte oggetto della decisione controversa hanno cessato di essere poste in essere, secondo la Commissione, nel novembre 1998. Pertanto, in quel momento la Lafarge non sarebbe stata oggetto di un accertamento di violazione divenuto definito, dal momento che la decisione 94/815 non era definitiva, non essendosi il Tribunale ancora pronunciato sul detto ricorso di annullamento.
79 D’altra parte la Lafarge sostiene che il Tribunale avrebbe commesso altresì un errore di diritto e che sarebbe inoltre venuto meno al suo obbligo di motivazione dichiarando, al punto 737 della sentenza impugnata, che il potere della Commissione di appurare, in una decisione, l’esistenza di una recidiva anche se la prima decisione che constata un’infrazione non ha carattere definitivo, sarebbe giustificata dalla riapertura dei termini del ricorso di annullamento contro la seconda decisione allorché, dopo l’adozione di essa, la prima decisione venga annullata. Infatti, non vi sarebbe alcuna disposizione di diritto comunitario che preveda detta riapertura dei termini. La Lafarge ritiene che tale errore dovrebbe comportare l’annullamento della sentenza impugnata, poiché sarebbe contrario ai principi di certezza del diritto e di buona amministrazione della giustizia far gravare sul singolo l’onere di ristabilire il diritto, allorché quest’ultimo risulti violato a causa di una definizione scorretta della nozione di recidiva.
80 Pur contestando la fondatezza di tale parte del motivo, la Commissione condivide tuttavia l’opinione della ricorrente secondo cui non vi è alcuna disposizione di diritto comunitario che preveda la possibilità di una riapertura del termine di ricorso di annullamento contro una decisione della Commissione. Essa propone che la Corte proceda ad una sostituzione di motivi, dal momento che l’annullamento di una prima decisione, che sanziona una violazione del diritto della concorrenza su cui è fondato l’accertamento di una recidiva contenuto in una seconda decisione, attribuisce all’impresa interessata la possibilità di chiedere alla Commissione il riesame della seconda decisione. La Commissione si riferisce in proposito all’art. 233 CE.
– Giudizio della Corte
81 Il Tribunale ha dichiarato, al punto 734 della sentenza impugnata, che, perché la Commissione possa tener conto della recidiva, è sufficiente che l’impresa sia stata precedentemente considerata colpevole di un’infrazione dello stesso tipo, anche se la decisione di cui trattasi è ancora soggetta ad un sindacato giurisdizionale. Il Tribunale ha giustamente ricordato, al punto 736 della sentenza impugnata, che le decisioni della Commissione sono presunte legittime fino a che non siano annullate o revocate (v., in tal senso, sentenza 15 giugno 1994, causa C‑137/92 P, Commissione/BASF e a., Racc. pag. I‑2555, punto 48).
82 Al medesimo punto della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato, ancora a buon diritto, che i ricorsi dinanzi alla Corte non hanno effetto sospensivo. Infatti, l’art. 242 CE contiene questa espressa previsione.
83 Ne consegue che, anche se una decisione della Commissione è ancora soggetta ad un sindacato giurisdizionale, essa continua a produrre tutti i suoi effetti, salvo che il Tribunale o la Corte dispongano diversamente.
84 Di conseguenza, la tesi della ricorrente secondo cui la proposizione di un ricorso di annullamento avverso una decisione della Commissione comporterebbe la sospensione dell’applicazione di tale decisione durante il procedimento giudiziale, per lo meno per quanto riguarda le conseguenze che ne derivano ai fini dell’accertamento di un’eventuale recidiva in una decisione successiva, non ha alcun fondamento giuridico, anzi, al contrario, è in contrasto segnatamente con la previsione dell’art. 242 CE.
85 Inoltre, se dovesse essere accolta la tesi sostenuta dalla ricorrente, gli autori di infrazioni sarebbero incitati a proporre ricorsi esclusivamente dilatori, all’unico scopo di evitare le conseguenze della recidiva nel corso dei procedimenti dinanzi al Tribunale e alla Corte.
86 La conclusione del Tribunale secondo cui, perché la Commissione possa tener conto della recidiva, è sufficiente che l’impresa sia stata precedentemente considerata colpevole di un’infrazione dello stesso tipo, anche se la decisione di cui trattasi è ancora soggetta ad un sindacato giurisdizionale, è quindi giuridicamente fondata.
87 Tale conclusione non è rimessa in discussione nell’ipotesi in cui la decisione sulla base della quale l’ammenda relativa ad un’altra infrazione è stata maggiorata in una decisione successiva venga annullata dal giudice dell’Unione europea dopo l’adozione di quest’ultima.
88 Infatti, in tale ipotesi, la Commissione sarebbe tenuta, in applicazione dell’art. 233 CE, a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta, modificando eventualmente la decisione successiva nella parte in cui applica una maggiorazione dell’ammenda a titolo di recidiva.
89 Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, tale sistema è conforme ai principi generali di buona amministrazione della giustizia e di economia processuale, in quanto, da un lato, obbliga l’istituzione che ha emesso l’atto in questione ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza della Corte anche in assenza di una domanda in tal senso dell’impresa interessata e, dall’altro, impedisce i ricorsi meramente dilatori.
90 Tuttavia, anche supponendo che il Tribunale, come sostengono tanto la ricorrente quanto la Commissione, abbia commesso un errore di diritto giudicando, al punto 737 della sentenza impugnata, che, nell’ipotesi in cui una decisione in base alla quale l’ammenda relativa ad un’altra infrazione è stata maggiorata a titolo di recidiva in una decisione successiva venga annullata dopo che quest’ultima sia divenuta definitiva, ciò costituirebbe un fatto nuovo determinante la riapertura del termine di ricorso relativo alla seconda decisione, un simile errore non può comportare l’annullamento della sentenza in parola, allorché il suo dispositivo appare fondato per altri motivi di diritto (v., in tal senso, sentenza 13 luglio 2000, causa C‑210/98 P, Salzgitter/Commissione, Racc. pag. I‑5843, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
91 Dai punti 734-736 e 739 della sentenza impugnata risulta in particolare che è quanto avviene nel caso di specie. Infatti, il Tribunale non si è fondato esclusivamente sulle considerazioni sviluppate ai punti 734 e 736 della sentenza impugnata ed esposte al punto 81 della presente sentenza, ma ha anche ricordato, al punto 735 della sentenza impugnata, che l’esame degli elementi specifici di una recidiva dipende da una valutazione delle circostanze del caso di specie da parte della Commissione, nell’esercizio del suo potere discrezionale. Inoltre, il Tribunale ha provveduto a distinguere, al punto 739 della sentenza impugnata, la presente controversia da quella che è stata decisa con sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347), in cui la maggior parte dell’infrazione si era verificata anteriormente alla prima decisione, mentre nel caso di specie la Lafarge ha continuato a partecipare all’intesa di cui trattasi per oltre quattro anni dopo l’adozione della decisione 94/815, da cui è scaturita la citata sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione.
92 Per quanto riguarda la censura vertente su un’asserita violazione del principio generale di certezza del diritto, occorre rilevare che la ricorrente si è limitata a invocare siffatta violazione, senza provare in qual modo, per la precisione, tale principio sarebbe stato violato.
93 Occorre sottolineare in proposito che il Tribunale ha indicato, al punto 720 della sentenza impugnata, che il punto 2 degli orientamenti del 1998, intitolato «Circostanze aggravanti», prevede un elenco non tassativo di circostanze che possono portare ad un aumento dell’importo di base dell’ammenda, come la recidiva. Il summenzionato punto 2 fa riferimento precisamente alla «recidiva della/delle medesima/e impresa/e per un’infrazione del medesimo tipo», senza che sia menzionata una qualche condizione riguardante il carattere «definitivo» della decisione che accerta l’infrazione anteriore. Orbene, secondo costante giurisprudenza gli orientamenti della Commissione garantiscono la certezza del diritto delle imprese interessate, determinando la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della fissazione dell’importo delle ammende inflitte in virtù dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (v., in tal senso, sentenza 22 maggio 2008, causa C‑266/06 P, Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, punto 53).
94 Per quanto riguarda la censura relativa ad un’asserita violazione del principio generale di legalità dei delitti e delle pene, occorre rammentare che tale principio richiede che la legge definisca chiaramente le infrazioni e le pene con cui vengono represse (sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit., punto 39). Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la chiarezza della legge dev’essere valutata non solo con riferimento al dettato della disposizione rilevante, ma anche con riferimento alle precisazioni fornite da una giurisprudenza costante e pubblicata (v., in tal senso, Corte eur. D.U., sentenza G. c. Francia del 27 settembre 1995, serie A n. 325‑B, § 25). Inoltre, occorre rilevare che la circostanza che una legge conferisca un potere discrezionale non è di per sé contraria all’esigenza di prevedibilità, purché l’estensione e le modalità di esercizio di siffatto potere si trovino definite con sufficiente chiarezza, alla luce del legittimo obiettivo in gioco, per fornire all’individuo una tutela adeguata contro l’arbitrio (Corte eur. D.U., sentenza Margareta e Roger Andersson c. Svezia del 25 febbraio 1992, serie A nº 226, § 75).
95 A tale proposito occorre rammentare che, se è vero che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 lascia alla Commissione un ampio potere discrezionale, esso ne limita nondimeno l’esercizio, stabilendo criteri oggettivi ai quali essa deve attenersi. Così, da un lato, l’ammenda applicabile è soggetta ad un limite massimo calcolabile e assoluto, sicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a un’impresa è determinabile anticipatamente. D’altra parte, l’esercizio di tale potere discrezionale è altresì limitato dal codice di condotta che la Commissione si è essa stessa imposta adottando la comunicazione sulla cooperazione e gli orientamenti. Inoltre, la prassi amministrativa nota e accessibile della Commissione è soggetta al pieno controllo del giudice dell’Unione la cui giurisprudenza costante e pubblicata ha permesso di precisare le nozioni indeterminate che poteva contenere l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Un operatore accorto può quindi, avvalendosi se del caso dei servizi di un consulente legale, prevedere con un certo grado di precisione il metodo di calcolo e l’entità delle ammende in cui può incorrere per un comportamento determinato, e la circostanza che tale operatore non possa conoscere con precisione in anticipo il livello delle ammende che la Commissione infliggerà in ogni fattispecie non può costituire una violazione del principio di legalità delle pene (v., in tal senso, sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit., punti 50‑55).
96 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono occorre respingere la seconda parte del quinto motivo.
97 Ne consegue che il quinto motivo deve essere respinto nella sua totalità.
Sul sesto motivo, vertente su un errore di diritto relativo alla maggiorazione dell’importo di base dell’ammenda a titolo di effetto dissuasivo
Argomenti delle parti
98 La ricorrente sostiene che il Tribunale ha violato, ai punti 680‑684 della sentenza impugnata, l’art. 81 CE e il regolamento n. 17, ritenendo che la Commissione avesse giustamente considerato necessario applicare, con finalità dissuasiva, una maggiorazione già al momento della determinazione dell’importo di base dell’ammenda, e non alla fine del calcolo della medesima. La ricorrente considera che una maggiorazione a titolo dissuasivo dell’importo dell’ammenda calcolato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, nonché delle circostanze aggravanti o attenuanti del caso di specie, sarebbe ammissibile soltanto qualora tale importo non risulti abbastanza elevato da convincere l’impresa e l’insieme degli operatori economici della gravità dell’infrazione e della necessità di non rinnovarla.
99 La ricorrente si riferisce altresì alla comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003» (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»), secondo cui la necessità di un «aumento specifico [dell’importo dell’ammenda] allo scopo di garantire l’effetto dissuasivo» dovrebbe essere valutata in relazione all’importo finale dell’ammenda e quindi previa determinazione del suo importo di base e previo adeguamento in funzione delle circostanze aggravanti ed attenuanti.
100 La Commissione rileva che gli orientamenti del 2006 non sono pertinenti nel caso di specie, poiché la decisione controversa sarebbe stata adottata in applicazione degli orientamenti del 1998, che dispongono che per valutare la gravità dell’infrazione occorre tenere conto delle dimensioni e delle risorse globali delle imprese (punto 1.A) prima di tener conto della durata dell’infrazione (punto 1.B). La Commissione potrebbe modificare la sua politica in materia di sanzione delle infrazioni al diritto comunitario della concorrenza. La formulazione degli orientamenti del 1998 e del 2006 sarebbe simile in quanto entrambi i documenti riconoscono alla Commissione la possibilità di prendere in considerazione le dimensioni e le risorse globali delle imprese ai fini del calcolo delle ammende. Inoltre, la fase in cui la dimensione delle imprese è presa in considerazione sarebbe irrilevante, poiché l’aumento dell’ammenda a tale titolo è indipendente dal suo importo finale.
Giudizio della Corte
101 Come il Tribunale ha dichiarato al punto 657 della sentenza impugnata, la maggiorazione del 100% dell’importo di base dell’ammenda stabilita in funzione della gravità dell’infrazione trova il suo fondamento nella necessità di assicurare alle ammende un effetto dissuasivo sufficiente in considerazione delle dimensioni e delle risorse globali della Lafarge.
102 Per quanto riguarda la nozione di dissuasione, occorre ricordare che essa costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda. Infatti risulta da giurisprudenza costante che le ammende inflitte per violazione dell’art. 81 CE, come previste dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, hanno ad oggetto la repressione degli illeciti delle imprese interessate, nonché lo scopo di dissuadere sia le imprese in oggetto sia altri operatori economici dalla violazione, in futuro, delle norme del diritto della concorrenza dell’Unione. Orbene, il nesso tra, da un lato, le dimensioni e le risorse globali delle imprese e, dall’altro, la necessità di assicurare all’ammenda un effetto dissuasivo è incontestabile. Ne consegue che la Commissione, per determinare l’importo dell’ammenda, può tener conto, segnatamente, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza 29 giugno 2006, causa C‑289/04 P, Showa Denko/Commissione, Racc. pag. I‑5859, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).
103 La Lafarge non contesta la presa in considerazione delle sue dimensioni e delle sue risorse globali in quanto tali, per assicurare un effetto dissuasivo sufficiente all’ammenda, ma critica lo stadio in cui tale presa in considerazione ha avuto luogo.
104 A tale proposito occorre sottolineare che lo scopo della presa in considerazione delle dimensioni e delle risorse globali dell’impresa di cui trattasi per assicurare un effetto dissuasivo sufficiente all’ammenda risiede nell’impatto perseguito su detta impresa, in quanto la sanzione non deve essere trascurabile con riferimento, in particolare, alla capacità finanziaria dell’impresa stessa.
105 La Corte ha pertanto giudicato che il Tribunale legittimamente aveva ritenuto che un’impresa, dato il suo fatturato globale «enorme» rispetto a quello degli altri membri dell’intesa, avrebbe mobilizzato più facilmente i fondi necessari per il pagamento dell’ammenda inflittale, il che giustificava l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore al fine di ottenere un sufficiente effetto dissuasivo nei confronti di quest’ultima (v. sentenza Showa Denko/Commissione, cit., punto 18).
106 Nella fattispecie, poiché il calcolo dell’ammenda è stato effettuato attraverso l’applicazione di coefficienti moltiplicatori, la sequenza di applicazione di tali coefficienti non ha influito sull’importo finale dell’ammenda, a prescindere dallo stadio in cui è intervenuto il moltiplicatore di cui trattasi.
107 Inoltre, occorre constatare che la Lafarge non suffraga affatto la sua affermazione secondo cui l’importo dell’ammenda, se fosse stato determinato senza tener conto del moltiplicatore riguardante l’effetto dissuasivo, sarebbe stato sufficiente ad assicurare un simile effetto dell’ammenda.
108 Infine, per quanto attiene all’argomento che la ricorrente trae dagli orientamenti del 2006, occorre sottolineare, come fa giustamente valere la Commissione, che essi non erano applicabili ai fatti all’origine della presente controversia.
109 Quanto al resto, occorre rilevare che il fattore di dissuasione che il calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa può includere è valutato tenendo conto di una pluralità di elementi, e non solo della situazione particolare dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza Showa Denko/Commissione, cit., punto 23). Non è quindi escluso che lo stadio del calcolo in cui viene preso in considerazione un fattore di dissuasione possa risultare pertinente alla luce degli elementi considerati per la valutazione del detto fattore, diversi dalle dimensioni e dalle risorse globali dell’impresa interessata. La ricorrente non ha tuttavia provato che ciò accada nel caso di specie.
110 Di conseguenza occorre respingere il sesto motivo in quanto infondato.
111 Dalle considerazioni che precedono discende che l’impugnazione deve essere respinta nel suo complesso.
Sulle spese
112 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’art. 118 di tale regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della ricorrente, quest’ultima, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:
1) L’impugnazione è respinta.
2) La Lafarge SA è condannata alle spese.
Firme
* Lingua processuale: il francese.