Causa C-2/08

Amministrazione dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate

contro

Fallimento Olimpiclub Srl

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione)

«IVA — Primato del diritto comunitario — Disposizione del diritto nazionale che sancisce il principio dell’autorità di cosa giudicata»

Conclusioni dell’avvocato generale J. Mazák, presentate il 24 marzo 2009   I ‐ 7503

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 3 settembre 2009   I ‐ 7520

Massime della sentenza

Diritto comunitario – Effetto diretto – Primato – Disposizione del diritto nazionale che sancisce il principio dell’autorità di cosa giudicata

Il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione. Le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata, che rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).

A tal riguardo, l’interpretazione del principio dell’autorità di cosa giudicata secondo cui, nelle controversie in materia fiscale, la cosa giudicata in una determinata causa, in quanto verte su un punto fondamentale comune ad altre cause, ha, su tale punto, una portata vincolante, anche se gli accertamenti operati in tale occasione si riferiscono ad un periodo d’imposta diverso, non è compatibile con il principio di effettività. Una simile interpretazione non solo impedisce di rimettere in questione una decisione giurisdizionale che abbia acquistato efficacia di giudicato, anche se tale decisione comporti una violazione del diritto comunitario, ma impedisce del pari di rimettere in questione, in occasione di un controllo giurisdizionale relativo ad un’altra decisione dell’autorità fiscale competente concernente il medesimo contribuente o soggetto passivo, ma un esercizio fiscale diverso, qualsiasi accertamento vertente su un punto fondamentale comune contenuto in una decisione giurisdizionale che abbia acquistato efficacia di giudicato. Siffatta applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata avrebbe dunque la conseguenza che, laddove la decisione giurisdizionale divenuta definitiva sia fondata su un’interpretazione delle norme comunitarie relative a pratiche abusive in materia di imposta sul valore aggiunto in contrasto con il diritto comunitario, la non corretta applicazione di tali regole si riprodurrebbe per ciascun nuovo esercizio fiscale, senza che sia possibile correggere tale erronea interpretazione. Ostacoli di tale portata all’applicazione effettiva delle norme comunitarie in materia di imposta sul valore aggiunto non possono essere ragionevolmente giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere dunque considerati in contrasto con il principio di effettività.

Di conseguenza, il diritto comunitario osta all’applicazione, in simili circostanze, di una disposizione del diritto nazionale diretta a consacrare il principio dell’autorità di cosa giudicata, in una causa sull’imposta sul valore aggiunto concernente un’annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta.

(v. punti 23-24, 26, 29-32 e dispositivo)