CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO Mengozzi
presentate il 9 marzo 2010 (1)
Causa C‑428/08
Monsanto Technology LLC
contro
Cefetra BV e altri
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank ‘s‑Gravenhage, Paesi Bassi)
«Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – Direttiva 98/44/CE – Brevetto relativo ad un’informazione genetica»
1. La Corte ha avuto poche occasioni, fino ad ora, di occuparsi della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. La presente causa le consentirà tuttavia di precisare alcuni punti importanti relativamente alla tutela che deve essere riconosciuta, nell’Unione, ai brevetti rilasciati in tale ambito, la cui importanza è al giorno d’oggi impossibile sottovalutare.
I – Contesto normativo
A – L’accordo TRIPS
2. L’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (2) (in prosieguo: l’«accordo TRIPS») prevede, ai suoi artt. 27 e 30, quanto segue:
«Articolo 27
Oggetto del brevetto
1. Fatte salve le disposizioni dei paragrafi 2 e 3, possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni, di prodotto o di procedimento, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale. Fatti salvi l’articolo 65, paragrafo 4, l’articolo 70, paragrafo 8 e il paragrafo 3 del presente articolo, il conseguimento dei brevetti e il godimento dei relativi diritti non sono soggetti a discriminazioni in base al luogo d’invenzione, al settore tecnologico e al fatto che i prodotti siano d’importazione o di fabbricazione locale.
2. I membri possono escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio deve essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita o la salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali, purché l’esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni.
3. I membri possono inoltre escludere dalla brevettabilità:
a) i metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per la cura dell’uomo o degli animali;
b) i vegetali e gli animali, tranne i microorganismi, e i processi essenzialmente biologici per la produzione di vegetali o animali, tranne i processi non biologici e microbiologici. Tuttavia i membri prevedono la protezione delle varietà di vegetali mediante brevetti o mediante un efficace sistema sui generis o una combinazione dei due. Le disposizioni della presente lettera sono sottoposte ad esame quattro anni dopo la data di entrata in vigore dell’accordo OMC.
(…)
Articolo 30
Eccezioni ai diritti conferiti
I membri possono prevedere limitate eccezioni ai diritti esclusivi conferiti da un brevetto, purché tali eccezioni non siano indebitamente in contrasto con un normale sfruttamento del brevetto e non pregiudichino in modo ingiustificato i legittimi interessi del titolare, tenuto conto dei legittimi interessi dei terzi».
B – La direttiva 98/44/CE
3. La direttiva 98/44/CE (3) (in prosieguo anche: la «direttiva») prevede, nei suoi ‘considerando’, quanto segue:
«(…)
(3) considerando che una protezione efficace e armonizzata in tutti gli Stati membri è essenziale al fine di mantenere e promuovere gli investimenti nel settore della biotecnologia;
(…)
(5) considerando che nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche esistono divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri; che tali disparità creano ostacoli agli scambi e costituiscono quindi un ostacolo al funzionamento del mercato interno;
(6) considerando che dette divergenze potrebbero accentuarsi con l’adozione, da parte degli Stati membri, di nuove e divergenti legislazioni e prassi amministrative o con la diversa evoluzione delle giurisprudenze nazionali su tali legislazioni;
(7) considerando che uno sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche nella Comunità rischia di disincentivare maggiormente gli scambi commerciali a scapito dello sviluppo industriale di tali invenzioni e del corretto funzionamento del mercato interno;
(8) considerando che la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche non richiede la creazione di un diritto specifico che si sostituisca al diritto nazionale in materia di brevetti; che il diritto nazionale in materia di brevetti rimane il riferimento fondamentale per la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, ma che deve essere adeguato o completato su taluni punti specifici, in conseguenza dei nuovi ritrovati tecnologici che utilizzano materiali biologici e che possiedono comunque i requisiti di brevettabilità;
(…)
(22) considerando che il dibattito sulla brevettabilità di sequenze o sequenze parziali di geni dà luogo a controversie; che, ai sensi della presente direttiva, il rilascio di un brevetto per invenzioni aventi ad oggetto tali sequenze o sequenze parziali avviene in base agli stessi criteri di brevettabilità applicati in tutti gli altri campi della tecnologia: novità, attività inventiva e applicazione industriale; che l’applicazione industriale di una sequenza o sequenza parziale dev’essere concretamente illustrata nella domanda di brevetto depositata;
(23) considerando che una semplice sequenza di DNA, senza indicazione di una funzione, non contiene alcun insegnamento tecnico; che essa non può costituire pertanto un’invenzione brevettabile;
(24) considerando che, affinché sia rispettato il criterio dell’applicazione industriale, occorre precisare, in caso di sequenza parziale di un gene utilizzata per produrre una proteina o una proteina parziale, quale sia la proteina o proteina parziale prodotta o quale funzione essa assolva;
(…)».
4. L’art. 1 della direttiva dispone:
«1. Gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti. Essi, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva.
2. La presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti da accordi internazionali, in particolare dall’accordo TRIPS e dalla Convenzione sulla diversità biologica».
5. L’art. 5 della direttiva prevede:
«(…)
3. L’applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene dev’essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto».
6. L’art. 9 della direttiva è così formulato:
«Fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione».
C – La normativa nazionale
7. La legge nazionale dei Paesi Bassi in materia di brevetti (la Rijksoctrooiwet 1995; in prosieguo: la «ROW95»), come successivamente modificata, recepisce l’art. 9 della direttiva nei termini seguenti:
«Art. 53a
(…)
3 Con riguardo ad un brevetto per un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica il diritto esclusivo si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione, fatto salvo l’art. 3, n.1, lett.b)».
II – Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali
8. La società Monsanto è titolare di un brevetto europeo (in prosieguo anche: il «brevetto»), rilasciato il 19 giugno 1996, relativo ad una sequenza genetica che, introdotta nel DNA di una pianta di soia, la rende resistente al glifosato, un erbicida prodotto dalla medesima società e commercializzato con il nome di «Roundup».
9. Le piante di soia geneticamente modificate (c.d. «soia RR», cioè «Roundup ready») sono coltivate in vari paesi del mondo, ma non nel territorio dell’Unione europea. Il vantaggio dell’utilizzo della soia geneticamente modificata consiste, per gli agricoltori, nella possibilità di utilizzare l’erbicida Roundup per distruggere le piante infestanti senza timore di danneggiare la coltura di soia.
10. In Argentina la soia RR è coltivata su vasta scala, e costituisce un importante prodotto di esportazione. Per contro, in Argentina Monsanto non dispone, per ragioni legate al diritto interno, di un brevetto relativo alla sequenza genetica che caratterizza la pianta in questione.
11. Le società convenute nella causa principale hanno importato, nel 2005 e nel 2006, alcuni carichi di farina di soia provenienti dall’Argentina. L’analisi di campioni della farina, richiesta da Monsanto, ha rivelato la presenza di tracce del DNA caratteristico della soia RR. Risulta di conseguenza accertato che la farina importata, sbarcata nel porto di Amsterdam e destinata alla produzione di mangimi per animali, è stata prodotta, in Argentina, utilizzando la soia geneticamente modificata per la quale Monsanto è titolare di un brevetto europeo.
12. Monsanto ha convenuto in giudizio le società importatrici dinanzi al giudice del rinvio, considerando le stesse responsabili di una violazione del suo brevetto.
13. Il giudice nazionale, ritenendo l’interpretazione della direttiva necessaria al fine di poter decidere la controversia, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1. Se l’art. 9 della direttiva (…) debba essere interpretato nel senso che la protezione da esso attribuita può essere invocata anche in una situazione come quella in esame nel presente procedimento, in cui il prodotto (la sequenza DNA) fa parte di un materiale importato nell’Unione europea (farina di soia) e nel momento dell’asserita violazione non svolge la sua funzione, ma l’ha svolta o potrebbe nuovamente svolgerla dopo che è stato isolato dal materiale ed è stato immesso nella cellula di un organismo.
2) Se si presume la presenza della sequenza del DNA descritta nella rivendicazione 6 del brevetto (…) nella farina di soia importata nella Comunità dalla Cefetra e dalla ACTI e se si presume che il DNA è incorporato nella farina di soia ai sensi dell’art. 9 della direttiva (…) e che non svolge più in essa la sua funzione: se la protezione descritta di un brevetto per materiale biologico, attribuita dalla direttiva e segnatamente dall’art. 9, osti a che la normativa nazionale sui brevetti riconosca (inoltre) protezione assoluta al prodotto (il DNA) come tale, a prescindere dal fatto che il DNA svolga o meno la sua funzione, e se la protezione attribuita dall’art. 9 debba pertanto essere considerata esaustiva nella situazione menzionata in quell’articolo, in cui il prodotto consiste nell’informazione genetica o contiene siffatta informazione, prodotto che è incorporato nel materiale, nel quale materiale è inclusa l’informazione genetica.
3) Se ai fini della soluzione della questione che precede faccia differenza il fatto che il brevetto (…) sia stato richiesto e rilasciato (il 19 giugno 1996) prima dell’adozione della direttiva (…) e che ad un siffatto prodotto prima dell’adozione della direttiva venisse attribuita protezione assoluta ai sensi della normativa nazionale sui brevetti.
4) Se ai fini della soluzione delle questioni precedenti si possa utilizzare l’accordo TRIPS, e segnatamente i suoi artt. 27 e 30».
III – Considerazioni preliminari
14. Nell’ambito della presente vicenda, come si è visto riassumendo rapidamente i fatti, Monsanto agisce esclusivamente nei confronti di importatori di farina di soia proveniente dall’Argentina. Questo in quanto, come ammesso dalla stessa Monsanto, in tale Stato essa non gode di protezione brevettuale per la soia RR. A differenza che in Argentina, in altri paesi produttori di soia, come ad esempio il Brasile, tale società ottiene invece un compenso per l’utilizzo della sua invenzione, grazie alla protezione garantita dal brevetto o ad accordi stipulati con gli agricoltori.
15. Si deve tuttavia rilevare che la scelta di limitare le azioni giudiziarie nel territorio dell’Unione ai soli prodotti provenienti dall’Argentina costituisce una semplice decisione di politica commerciale della società Monsanto. Qualora infatti la Corte dovesse accertare che Monsanto può, nel territorio dell’Unione europea, far valere diritti relativamente alla farina di soia proveniente dall’Argentina, nulla potrebbe impedirle, in seguito, di far valere analoghi diritti sulla farina proveniente da altri paesi. Il principio dell’esaurimento, infatti, trova applicazione soltanto dopo il primo ingresso di un prodotto nel territorio dell’Unione con il consenso del titolare del brevetto (4).
16. Di conseguenza, l’interpretazione che la Corte deve fornire troverà applicazione, in via generale, in tutti i casi in cui sia importato nel territorio dell’Unione un prodotto derivante dalla trasformazione, in uno Stato terzo, di una pianta geneticamente modificata rispetto alla quale esiste un brevetto valido nel territorio dell’Unione europea.
IV – Sulla prima questione pregiudiziale
A – Osservazioni preliminari
17. Con la prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede alla Corte di chiarire se, in un caso come quello di cui alla causa principale, l’art. 9 della direttiva tuteli la posizione di Monsanto anche nel caso in cui la sequenza genetica non svolga nel momento presente la propria funzione, ma l’abbia svolta nel passato o possa svolgerla nel futuro.
18. Di primo acchito, la questione potrebbe essere interpretata come limitata al solo problema del tempo verbale utilizzato nell’art. 9 della direttiva, il quale, come si è visto, garantisce la tutela in esso descritta soltanto se l’informazione genetica «svolge la sua funzione». In tal caso, la risposta potrebbe limitarsi a rilevare che la disposizione normativa utilizza il tempo presente, cosicché è del tutto irrilevante il fatto che la sequenza genetica brevettata abbia svolto la propria funzione nel passato o possa svolgerla nel futuro (5). Ai fini dell’applicazione dell’art. 9 ciascun momento deve essere considerato in modo indipendente. Solo l’esercizio «presente» della funzione rende applicabile la disposizione citata. In una situazione in cui la funzione non è esercitata non vi può essere infrazione dell’art. 9: naturalmente, nel momento in cui la sequenza dovesse ricominciare a svolgere la funzione la tutela prevista dall’art. 9 tornerebbe ad essere applicabile.
19. Vanno in questo senso le risposte alla prima questione pregiudiziale suggerite dai vari soggetti che hanno presentato osservazioni, fatta eccezione per Monsanto. E in questo senso suggerisco anch’io di rispondere al giudice del rinvio, qualora la Corte volesse affrontare la questione nei termini restrittivi che ho indicato.
20. Ritengo però che interpretare restrittivamente la questione sia un errore, e che, per dare una risposta adeguata al giudice del rinvio, sia necessario interpretare l’art. 9 nel contesto dell’intera direttiva e della protezione che essa conferisce ai brevetti per invenzioni biotecnologiche. Non si deve del resto dimenticare che, sia nelle proprie osservazioni scritte sia all’udienza, Monsanto ha insistito sul fatto che, a suo giudizio, la protezione brevettuale che essa ha il diritto di far valere non deriva dall’art. 9 della direttiva, ma dalla tutela «classica» che, ai sensi del tradizionale diritto dei brevetti e della stessa direttiva, deve essere riconosciuta alla sequenza genetica in quanto tale. Secondo Monsanto, in altri termini, è la sequenza di DNA, intesa quale sostanza chimica, l’oggetto della sua rivendicazione dinanzi alle autorità giurisdizionali dei Paesi Bassi. Monsanto sostiene di non avanzare alcuna pretesa rispetto alla farina: se il DNA brevettato non fosse più contenuto nella farina, essa afferma che non avrebbe avuto alcuna ragione di agire contro le società importatrici.
B – Sulla protezione del brevetto fondata sulla finalità
21. La vera questione che si deve risolvere, per rispondere in modo completo agli interrogativi del giudice del rinvio, è dunque quella relativa all’esistenza o meno, in un caso come il presente, di una tutela brevettuale classica per l’informazione genetica in quanto tale. Si deve cioè determinare se l’informazione genetica sia tutelata come composto chimico, anche qualora essa si trovi, come una sorta di «residuo», all’interno di un prodotto che è il risultato della trasformazione del prodotto biologico (in questo caso le piante di soia) nel quale la sequenza svolgeva la sua funzione.
22. Si potrebbe essere tentati di considerare tale problema irrilevante, ritenendo che nel caso di specie ad essere oggetto di controversia sia semplicemente la farina, e non il DNA in quanto tale che si trova incorporato in essa. Tale soluzione non mi sembra tuttavia soddisfacente: dal punto di vista fisico, infatti, non vi sono dubbi che il DNA oggetto di brevetto può essere rilevato all’interno della farina, e che anch’esso, di fatto, è stato oggetto di importazione nel territorio dell’Unione.
23. Fatta eccezione per Monsanto e per il governo italiano, gli altri soggetti che hanno presentato osservazioni non hanno preso posizione su questo problema specifico, neppure dopo che, all’udienza, sono stati esplicitamente invitati a farlo. La loro attenzione si è concentrata in modo esclusivo sulla farina.
24. Secondo Monsanto, come si è visto, indipendentemente dalla possibile tutela della farina (che tale società non rivendica), la protezione garantita dal brevetto copre la sequenza di DNA in quanto tale. Tale protezione non deriverebbe dall’art. 9 della direttiva, ma dalle disposizioni generali della stessa, che lasciano sussistere intatto il diritto ordinario dei brevetti. L’art. 9 avrebbe soltanto la funzione di estendere, in determinate circostanze, tale protezione di base. Indipendentemente dall’applicabilità o meno dell’art. 9, tuttavia, la protezione di base continuerebbe ad operare a favore della sequenza di DNA in quanto tale.
25. Secondo il governo italiano, invece, nel momento in cui una sequenza di DNA si trova all’interno di un altro materiale, la tutela brevettuale classica verrebbe meno, e sarebbe soltanto applicabile, ove ne ricorrano i presupposti, la tutela sui prodotti «incorporanti» riconosciuta dall’art. 9.
26. Sebbene la tesi del governo italiano sia interessante, non ritengo di poterla condividere. Si deve infatti osservare che la direttiva, in linea generale, si affianca al diritto preesistente in materia di brevetti. Vedi ad esempio, in tal senso, l’ottavo ‘considerando’. È vero che la direttiva stessa, all’art. 1, prevede la possibilità che i diritti nazionali in materia di brevetti siano modificati per essere resi compatibili con le specifiche disposizioni della normativa comunitaria in parola. Tuttavia, manca qualunque appiglio testuale per sostenere l’interpretazione fatta propria dal governo italiano. Non si deve dimenticare che, sulla base del normale diritto dei brevetti, il fatto che un’invenzione sia incorporata in un altro prodotto non fa, in linea generale, venire meno la tutela ad essa riconosciuta.
27. Mi sembra invece innegabile che l’art. 9 della direttiva costituisce una norma di estensione della tutela brevettuale. Tale articolo, cioè, parte dal presupposto secondo cui il DNA brevettato è tutelato in quanto tale, ed allarga la protezione riconosciuta allo stesso, in talune circostanze, anche al «materiale» in cui la sequenza genetica si trova, a condizione che questa svolga la sua funzione. Poiché è pacifico che, nella farina di soia, la sequenza genetica brevettata non svolge alcuna funzione, dal momento che essa costituisce soltanto un residuo, la protezione aggiuntiva garantita dall’art. 9 non può essere invocata nel presente caso.
28. Rimane tuttavia da vedere se, come sostiene Monsanto, la sequenza genetica sia qui tutelata in quanto tale, ai sensi delle generali disposizioni in materia di brevetti. Il problema specifico che deve essere risolto consiste nel determinare quando una sequenza brevettata di DNA sia tutelata in quanto prodotto a sé stante.
29. Ritengo che, secondo il testo e lo scopo della direttiva, una sequenza genetica debba considerarsi tutelata, anche in quanto prodotto a sé stante, soltanto qualora essa svolga la funzione per la quale è stata brevettata. Mi sembra, in altri termini, che la direttiva ammetta – e, in effetti, richieda – un’interpretazione secondo la quale, nel territorio dell’Unione, la protezione conferita alle sequenze genetiche è una protezione cosiddetta «fondata sulla finalità» («purpose-bound»). Sebbene la direttiva non indichi in modo esplicito che la tutela da riconoscere alle sequenze genetiche deve essere di questo tipo, numerosi elementi, legati al sistema complessivo dei brevetti in materia biotecnologica, depongono a favore della predetta interpretazione.
30. In primo luogo, svariate disposizioni della direttiva mettono in evidenza la necessità, al fine di poter ottenere un brevetto relativo ad una sequenza genetica, di indicare la specifica funzione che la sequenza svolge. Vedi, in tal senso, i ‘considerando’ 22, 23 e 24, nonché l’art. 5, n. 3. Si tratta, è vero, di disposizioni che riguardano l’ambito della brevettabilità, e non quello della tutela del prodotto brevettato. Esse costituiscono tuttavia riferimenti di un certo rilievo per dimostrare che, nell’ottica del legislatore dell’Unione, una sequenza genetica non ha, in materia di brevetti, alcun rilievo se non è indicata la funzione che tale sequenza svolge.
31. La grande importanza riconosciuta dalla direttiva alla funzione che una sequenza genetica svolge è finalizzata, naturalmente, a permettere una distinzione tra la «scoperta» e la «invenzione». L’individuazione di una sequenza genetica senza che ne sia indicata una funzione costituisce una semplice scoperta, in quanto tale non brevettabile. Viceversa, è l’indicazione di una funzione che la sequenza svolge a trasformare la stessa in un’invenzione, la quale può dunque godere della protezione del brevetto. Ora, l’interpretazione secondo la quale una sequenza genetica godrebbe della protezione brevettuale «classica», estesa cioè a tutte le possibili funzioni della sequenza stessa, anche a quelle non conosciute al momento della richiesta di brevetto, significherebbe riconoscere un brevetto per funzioni ancora ignote nel momento in cui lo stesso è stato richiesto. In altri termini, basterebbe chiedere un brevetto per una singola funzione di una sequenza genetica per ottenere una protezione per tutte le altre possibili funzioni della sequenza stessa. A mio avviso, tale interpretazione finirebbe per consentire, in pratica, la brevettabilità di una semplice scoperta, in contrasto con i principi di base in materia di brevetti.
32. Non si deve neppure dimenticare che, in linea di principio, la natura di fondo di un brevetto è costituita da un vero e proprio scambio. Da un lato, l’inventore rende pubblica la propria invenzione, permettendo così alla collettività di beneficiare della stessa. In cambio, per un limitato periodo di tempo, l’inventore gode di un diritto di privativa relativamente all’invenzione stessa. Mi sembra che riconoscere una protezione assoluta ad un’invenzione consistente in una sequenza genetica, riconoscendo pertanto al titolare di un brevetto sulla stessa un diritto esclusivo esteso a tutti gli usi possibili della sequenza, ivi compresi quelli non indicati e non conosciuti nel momento in cui è stata avanzata la domanda di brevetto, violerebbe tale principio fondamentale, riconoscendo al titolare di un brevetto una tutela sproporzionata.
33. Si deve anche osservare che, seguendo la tesi di Monsanto, l’art. 9 della direttiva perderebbe di effetto utile in quanto disposizione di estensione della tutela brevettuale. Se infatti la sequenza godesse di protezione in quanto tale anche se non esercitasse la sua funzione, non si vede per quale ragione l’art. 9 dovrebbe subordinare l’estensione della tutela all’esercizio della funzione da parte della sequenza. Indipendentemente da ciò, infatti, in pratica la tutela sarebbe comunque garantita dalla sola presenza della sequenza, come nel presente caso. Il fatto che Monsanto reclami tutela per la sequenza, e non per la farina, non modifica il fatto che, in concreto, la protezione realizzi i suoi effetti anche nei confronti della farina.
34. Mi sembra che seguire l’interpretazione sostenuta da Monsanto finirebbe per riconoscere al titolare di un brevetto biotecnologico una tutela troppo ampia. Infatti, come è stato indicato da più parti sia nelle osservazioni scritte che all’udienza, non è possibile dire fino a quale momento e a quale punto della catena alimentare e dei prodotti derivati siano ancora riconoscibili tracce dell’originario DNA della pianta geneticamente modificata. Si tratta evidentemente di sequenze che non svolgono più alcuna funzione, ma la loro stessa presenza sottoporrebbe un numero imprecisato di prodotti derivati al controllo del soggetto che ha brevettato la sequenza genetica di una pianta. Come ha rilevato il governo argentino con un ragionamento che è solo in parte paradossale, se nello stomaco di un bovino dovessero rinvenirsi tracce della sequenza, a causa dell’alimentazione dell’animale con prodotti derivati dalla pianta geneticamente modificata, anche l’importazione del bovino in questione potrebbe essere considerata come una violazione del diritto del titolare del brevetto (6).
35. Non ci sono dubbi sul fatto che la mancata protezione dell’invenzione di Monsanto in Argentina appare ingiusta. Allo stesso modo, tuttavia, e indipendentemente dalle ragioni che sono alla base di tale mancata protezione, mi sembra che l’operazione di Monsanto consista nel cercare di utilizzare un ordinamento giuridico (quello dell’Unione) per rimediare ai problemi riscontrati in un altro ordinamento giuridico (quello argentino). Questo, tuttavia, mi parrebbe inaccettabile. Il fatto che Monsanto non possa ottenere un adeguato compenso per il suo brevetto in Argentina non può essere rimediato riconoscendole una protezione allargata nell’Unione europea.
36. La tutela fondata sulla finalità non costituisce, come è noto, una novità assoluta in materia di biotecnologie. In particolare, nell’ambito della materia oggetto della direttiva, hanno optato per una protezione di questo tipo, sia pure con riferimento alle sequenze genetiche relative al corpo umano, il legislatore francese e quello tedesco (7). Anche il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui caldeggia, per i brevetti relativi al DNA umano, una tutela fondata sulla finalità (8). Nell’ambito dei brevetti relativi a sostanze chimiche, inoltre, la pratica consolidata è quella di riconoscere la brevettabilità di un uso nuovo di una sostanza già brevettata con riferimento ad altri usi (9).
37. Un chiarimento è a questo punto necessario. Limitare la tutela brevettuale delle sequenze genetiche alle funzioni per le quali il brevetto è stato ottenuto, secondo il modello della protezione fondata sulla finalità, non significa limitare la protezione ai casi in cui il gene brevettato è «acceso». Da un punto di vista biologico, infatti, vi sono geni che sono attivi («accesi») solo in particolari circostanze: ad esempio, come è emerso nel corso dell’udienza, un gene che attribuisce ad una pianta una particolare resistenza alla siccità può attivarsi («accendersi») solo in occasione di una siccità. È chiaro che, ai fini della direttiva, il fatto che il gene «eserciti una funzione» ai sensi dell’art. 9 non significa che lo stesso sia «acceso». Ai sensi della direttiva, un’informazione genetica «svolge la sua funzione» quando essa: i) si trova all’interno di una materia vivente di cui fa parte; ii) viene trasmessa quando la materia vivente si riproduce, e iii) esercita, in modo continuo o al ricorrere di determinate circostanze, la funzione per la quale è stata brevettata.
38. Va peraltro aggiunto che la specificazione delineata nel paragrafo precedente è comunque irrilevante nel caso di specie, dal momento che è pacifico che, nelle piante di soia RR, la sequenza genetica di cui si discute è «accesa» in modo permanente.
C – Sulla natura residuale del DNA contenuto nella farina
39. Una soluzione alternativa a quella che ho esposto nei paragrafi precedenti potrebbe essere quella di considerare che, nella farina di soia importata, il DNA oggetto di brevetto costituisce un semplice residuo, presente in tracce e pertanto non meritevole di tutela. In tale ottica, la pretesa di Monsanto avrebbe in realtà come oggetto la farina, e non la sequenza genetica. La tutela «classica» della sequenza in quanto tale, rivendicata da Monsanto, sarebbe solo un pretesto.
40. Mi sembra tuttavia che tale soluzione non sia praticabile. Nella direttiva non vi è alcuna disposizione de minimis, che limiti o escluda la protezione relativamente a sequenze genetiche presenti solo in quantità variabili (e/o estremamente ridotte) in un prodotto derivato da materiale biologico (10). In altri termini, seguire una simile strada interpretativa significherebbe introdurre un elemento di valutazione quantitativa (quale sarebbe la soglia di riferimento?) che non è presente nella direttiva e che rischia, in ultima analisi, di accrescere l’incertezza. Limitare la protezione delle sequenze genetiche alla finalità per la quale sono state brevettate costituisce, a mio avviso, una soluzione preferibile sotto tutti i punti di vista.
D – Conclusione sulla prima questione
41. Concludendo quindi la mia analisi della prima questione pregiudiziale, propongo alla Corte di risolverla dichiarando che, nel sistema della direttiva, la tutela garantita ad un brevetto relativo ad una sequenza genetica è limitata alle situazioni in cui l’informazione genetica svolge attualmente le funzioni descritte nel brevetto. Ciò vale sia per la protezione della sequenza in quanto tale che per quella delle materie in cui essa è contenuta.
V – Sulla seconda questione pregiudiziale
42. Con la seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva osti ad una normativa nazionale che offra una protezione brevettuale per le invenzioni biotecnologiche più ampia di quella prevista dalla direttiva stessa.
43. In altri termini, è necessario determinare se la direttiva contenga una disciplina di tipo esaustivo o minimale dei brevetti in materia biotecnologia. Nel primo caso, infatti, una normativa nazionale che riconosca una tutela più ampia di quella prevista dalla direttiva sarebbe illegittima, mentre potrebbe essere accettabile nel secondo.
44. Il presupposto della questione, naturalmente, è che la disciplina nazionale conferisca effettivamente al titolare del brevetto una protezione più ampia rispetto a quella delineata dalla direttiva. Si tratta di un aspetto che spetta al giudice nazionale determinare. Pertanto, anche se nel caso in esame la normativa dei Paesi Bassi sembra essere quasi identica alla direttiva, pure sotto il profilo delle formulazioni linguistiche adottate, con la conseguenza che la presunta maggiore protezione pare difficilmente ravvisabile, tale presupposto dovrà essere qui accettato.
45. Anche con riferimento alla seconda questione Monsanto è isolata rispetto a tutti gli altri soggetti che hanno presentato osservazioni. Mentre infatti Monsanto sostiene che la direttiva non potrebbe in ogni caso limitare la libertà dei legislatori nazionali sul punto specifico che qui ci interessa, tutte le altre parti propendono per riconoscere alla direttiva la natura di una disciplina esaustiva.
46. Una prima osservazione che ritengo necessaria concerne il fatto che, com’è del tutto evidente, la disciplina relativa ai brevetti in materia biotecnologica contenuta nella direttiva non è completa. Vi sono svariati aspetti della materia che sono lasciati al legislatore nazionale. Del resto, è chiaro in tal senso anche l’ottavo ‘considerando’ della direttiva, che ribadisce il ruolo (e, in effetti, la centralità) dei diritti nazionali.
47. Il fatto che la disciplina non sia completa, tuttavia, non significa che essa non sia esaustiva. È perfettamente possibile, infatti, che una normativa dell’Unione non si occupi di tutti gli aspetti di un determinato settore, ma che, negli ambiti di cui si occupa, essa configuri una disciplina esaustiva. In tal caso, la libertà dei legislatori nazionali sarebbe limitata ai soli ambiti in cui il legislatore dell’Unione non è intervenuto (11).
48. A mio avviso, la situazione relativa ai brevetti in materia biotecnologica corrisponde esattamente al quadro delineato nel paragrafo precedente. La disciplina contenuta nella direttiva non è completa, ma deve ritenersi esaustiva negli ambiti di cui si occupa: con la conseguenza che, in tali ambiti, una normativa nazionale non può prevedere un livello di tutela dei brevetti più ampio rispetto a quello previsto dalla direttiva.
49. Le ragioni a sostegno di tale interpretazione sono molteplici.
50. In primo luogo, l’obiettivo fondamentale della direttiva è quello di favorire il mercato e la concorrenza, pur nel rispetto e nella salvaguardia degli investimenti effettuati dai titolari dei brevetti. Ciò risulta sia dalla base giuridica della direttiva (all’epoca l’art. 100 A del Trattato, corrispondente all’attuale art. 114 TFUE), sia dalla lettura della stessa (v., ad esempio, il quinto ‘considerando’). Va da sé, mi sembra, che il riconoscimento di diritti particolarmente ampi ai titolari di brevetti si porrebbe in potenziale contrasto con tale scopo, dal momento che, per definizione, un brevetto costituisce una limitazione della libertà economica (12).
51. Del resto, la lettura di alcuni ‘considerando’ della direttiva (mi riferisco, in particolare, al terzo, al quinto, al sesto e al settimo) mostra in modo chiaro che la preoccupazione principale del legislatore non era tanto quella di accrescere la protezione delle invenzioni biotecnologiche, ma piuttosto quella di evitare che le differenze normative esistenti in materia potessero incidere negativamente sugli scambi all’interno dell’Unione. Ebbene, è evidente che interpretare la direttiva come una norma di armonizzazione minima, con la conseguente possibilità di avere ampie divergenze normative tra gli Stati membri, sarebbe in contrasto con tale obiettivo di fondo. L’esistenza, nell’ambito dell’Unione, di livelli diversi di tutela per i medesimi brevetti sarebbe, in ultima analisi, un inconveniente e una fonte di incertezza per gli stessi titolari dei brevetti.
52. Va anche osservato che la direttiva non contiene alcuna indicazione esplicita da cui possa desumersi che gli Stati sono liberi di riconoscere una protezione più ampia di quella da essa prevista. Nelle norme di armonizzazione minima una clausola di questo tipo è spesso inserita, come ha correttamente ricordato, in particolare, il governo del Regno Unito nelle sue osservazioni scritte (13).
53. Del resto, tipicamente le direttive che impongono un’armonizzazione minimale hanno lo scopo di garantire una protezione prima inesistente. Qui, al contrario, il problema che il legislatore ha cercato di risolvere, o almeno di attenuare, consisteva nelle divergenze esistenti tra gli ordinamenti nazionali in materia (14).
54. Vorrei inoltre, in conclusione, mettere in evidenza un aspetto importante. In generale, in materia di brevetti l’idea stessa di un’armonizzazione minimale è poco praticabile. Di regola, infatti, le disposizioni di armonizzazione minima sono adottate in contesti in cui taluni soggetti si trovano, in modo chiaro, in una posizione di debolezza o di inferiorità rispetto ad altri. Si può pensare, quali tipici esempi, ai casi già ricordati dei consumatori che stipulano contratti a distanza, o dei lavoratori interessati da un licenziamento collettivo (15). In tali situazioni, è chiaro quale sia la direzione in cui l’eventuale tutela più ampia potrebbe andare: essa potrebbe essere solo in favore dei soggetti più deboli.
55. Nell’ambito dei brevetti, invece, tale univocità non esiste. La natura di «scambio» del brevetto, come diritto di privativa concesso in cambio della divulgazione di informazioni e conoscenza da parte dell’inventore, fa sì che non vi sia un soggetto «più debole» o «più meritevole di tutela». Per definizione, il brevetto è uno strumento giuridico che mira a raggiungere un equilibrio tra due interessi contrapposti, quello alla divulgazione e al progresso delle conoscenze da un lato, e quello alla promozione degli investimenti e della creatività dall’altro. Di conseguenza, non è nemmeno scontato, se si dovesse intendere la direttiva come apportatrice di una protezione minimale, se la disciplina nazionale «più protettiva» dovrebbe tutelare i titolari dei brevetti o la libera circolazione delle idee (e delle merci).
56. Per tutte le ragioni esposte, propongo alla Corte di risolvere la seconda questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva costituisce, per gli ambiti di cui si occupa, una disciplina esaustiva della protezione riconosciuta nel territorio dell’Unione ad un’invenzione biotecnologica. Di conseguenza, essa osta ad una normativa nazionale che riconosca alle invenzioni biotecnologiche una tutela più ampia di quella prevista nella direttiva.
VI – Sulla terza questione pregiudiziale
57. Con la terza questione il giudice del rinvio interroga la Corte relativamente al trattamento da riservare, in seguito all’entrata in vigore della direttiva, ad un brevetto concesso in precedenza e caratterizzato da una protezione più ampia di quella prevista dalla direttiva.
58. Anche in questo caso, solo Monsanto ritiene che la data di concessione del brevetto possa essere rilevante al fine di definirne l’ambito di tutela. Ciò, peraltro, è sostenuto nell’ambito di un’argomentazione sviluppata in via subordinata, per il caso in cui la Corte non dovesse accogliere la posizione di Monsanto sulle precedenti questioni.
59. A mio modo di vedere, la risposta alla questione richiede due premesse.
60. In primo luogo, come per la seconda questione, si deve partire dal presupposto, sebbene non chiaramente dimostrato, che il brevetto concesso avesse effettivamente, al momento del rilascio, una portata più ampia di quella che risulta dall’interpretazione della direttiva.
61. In secondo luogo, sebbene la questione sia formulata in termini piuttosto generali, essa deve pur sempre essere intesa nel contesto della specifica procedura nazionale che si svolge dinanzi al giudice del rinvio. In altri termini, la questione deve essere intesa come riferita ad un caso che presenta le caratteristiche ben definite del contrasto che oppone la società Monsanto, titolare del brevetto europeo sulla sequenza genetica relativa alla soia RR, a talune società importatrici verso i Paesi Bassi di farina di soia proveniente dall’Argentina.
62. Dalla seconda premessa che ho appena indicato deriva un elemento di grande importanza. Ciò che Monsanto rivendica non è semplicemente la protezione brevettuale corrispondente alle rivendicazioni contenute nella domanda di brevetto per la sequenza genetica che caratterizza la soia RR. Le rivendicazioni fanno infatti riferimento alla sequenza genetica finalizzata a conferire la resistenza al glifosato. Ora, non vi sono dubbi che, nella misura in cui la sequenza garantisce tale resistenza (esercitando, quindi, la sua funzione), essa è meritevole di tutela ai sensi della direttiva.
63. Nel caso di specie, però, Monsanto rivendica la tutela anche per la sequenza che non esercita la funzione, ed è anzi incorporata, quale residuo, in una materia morta (la farina). Di conseguenza, se la Corte dovesse dichiarare che la data di riconoscimento del brevetto è irrilevante per definire la tutela da riconoscere allo stesso sulla base della direttiva, in ogni caso non vi sarebbe una riduzione della tutela dell’oggetto delle rivendicazioni (la sequenza che produce un certo effetto). A cambiare sarebbe soltanto l’estensione della protezione «aggiuntiva» conferita dal brevetto.
64. A mio avviso, la data di concessione del brevetto deve essere considerata, nel caso in esame, come irrilevante. Anche in questo caso, come del resto per le precedenti questioni pregiudiziali, non è possibile trovare nella direttiva una risposta esplicita e univoca. Vi sono tuttavia svariati elementi che depongono in tal senso.
65. In primo luogo, la direttiva non contiene alcuna norma transitoria. Se il legislatore avesse inteso salvaguardare la situazione di eventuali brevetti preesistenti, avrebbe probabilmente introdotto specifiche disposizioni nel testo legislativo.
66. In secondo luogo, si deve ricordare la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’Unione riguarda anche le disposizioni nazionali anteriori a quelle dell’Unione rilevanti (16). Non siamo del resto in un ambito in cui l’eventuale interpretazione conforme di norme anteriori potrebbe avere conseguenze in materia di responsabilità penale: in tal caso, infatti, si tratterebbe di un’operazione ermeneutica probabilmente inaccettabile (17).
67. In terzo luogo, infine, si deve tenere presente che, come si è visto più sopra, la direttiva è stata elaborata con l’obiettivo principale di favorire il mercato e la concorrenza nel territorio dell’Unione. In tale contesto, un’interpretazione della direttiva che ammetta un’interpretazione dei brevetti variabile a seconda della data di concessione appare problematica. Una simile lettura della norma finirebbe infatti per creare notevoli problemi alla libera circolazione delle merci e alla realizzazione di un efficiente mercato unico nel settore. In particolare, la certezza del diritto sarebbe fortemente ridotta se l’esatta portata di un brevetto dovesse essere definita non dalle rivendicazioni per cui esso è concesso, ma dalla data in cui tale concessione è avvenuta. Senza contare che, essendo tali possibili letture «estensive», al più, una particolarità di alcuni soltanto degli ordinamenti giuridici degli Stati membri, riconoscerne la legittimità ai sensi della direttiva finirebbe per lasciare sussistere ancora per molti anni, e cioè fino allo scadere dei brevetti in corso di validità al momento dell’entrata in vigore della direttiva, consistenti differenze tra i livelli di protezione nei vari Stati membri.
68. Propongo di conseguenza alla Corte di risolvere la terza questione dichiarando che il fatto che un brevetto sia stato concesso prima dell’entrata in vigore della direttiva non ha incidenza sulla risposta da fornire alle precedenti questioni pregiudiziali.
VII – Sulla quarta questione pregiudiziale
69. La quarta questione pregiudiziale chiede alla Corte di indicare se, ai fini della risposta da dare alle tre precedenti questioni, possa avere un ruolo l’accordo TRIPS, e in particolare i suoi artt. 27 e 30.
70. Anticipo subito che condivido la posizione espressa in proposito da tutte le parti, fatta eccezione per Monsanto, secondo la quale l’accordo TRIPS non può in alcun modo modificare la risposta che va data alle prime tre questioni. In particolare, a mio avviso l’interpretazione della direttiva che suggerisco non contrasta in alcun modo con il contenuto delle citate disposizioni dell’accordo TRIPS.
71. Si deve in ogni caso ricordare, a titolo preliminare, che l’art. 1 della direttiva fa esplicitamente salvi gli obblighi che derivano agli Stati membri dall’accordo TRIPS. Di conseguenza, il legislatore ha ritenuto che la direttiva non presenti profili di incompatibilità con il trattato internazionale in questione: in ogni modo, l’esplicita clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 1 fa sì che ad uno Stato membro non possa mai essere imputata una violazione della direttiva qualora il suo comportamento sia finalizzato a rispettare gli obblighi assunti nell’ambito dell’accordo TRIPS.
72. È chiaro che, in tale contesto, lo strumento interpretativo più efficace, al fine di evitare possibili contrasti tra la direttiva e l’accordo TRIPS, consiste nel dare alla prima, nei limiti del possibile, un’interpretazione conforme rispetto a quanto previsto nel secondo. Del resto, in via più generale, va ricordato che la giurisprudenza della Corte, da un lato, nega la possibilità di valutare la legittimità di una norma dell’Unione alla luce degli accordi OMC (18), ma, dall’altro, afferma la necessità di evitare possibili contrasti proprio attraverso il principio dell’interpretazione conforme (19).
73. Ci si deve dunque chiedere se l’interpretazione della direttiva che ho proposto nei paragrafi precedenti possa contrastare con le previsioni dell’accordo TRIPS: a mio parere, non c’è alcun contrasto.
74. Nulla, nell’ambito delle norme dell’accordo TRIPS, si oppone ad una tutela fondata sulla finalità per i brevetti relativi a sequenze genetiche.
75. In particolare, l’art. 27 dell’accordo TRIPS si occupa esclusivamente della brevettabilità. Nel caso in esame non si pone alcun problema di brevettabilità, dal momento che è pacifico che Monsanto ha il diritto, che infatti ha esercitato, di brevettare la sequenza genetica che conferisce alla soia la resistenza al glifosato. La questione su cui le parti controvertono concerne invece esclusivamente l’ampiezza della protezione che deve essere riconosciuta all’invenzione.
76. Non vi sono neppure problemi di compatibilità con l’art. 30, che riguarda le possibili eccezioni ai diritti conferiti al titolare di un brevetto. Innanzitutto, infatti, riconoscere una protezione fondata sulla finalità non significa prevedere eccezioni all’ambito di tutela di un brevetto: ad essere definita in modo restrittivo è invece la portata del diritto stesso, che non viene riconosciuta rispetto ad usi diversi da quelli prospettati nella domanda brevettuale. Nulla, nell’ambito dell’accordo TRIPS, impone di riconoscere alle sequenze genetiche una protezione «assoluta», e cioè relativa a tutti i possibili usi, anche imprevisti e futuri.
77. Del resto, anche se si volesse per assurdo ritenere che una protezione fondata sulla finalità dei brevetti relativi a sequenze genetiche costituisca una limitazione della portata di un brevetto ai sensi dell’art. 30 dell’accordo TRIPS, mi sembra che essa potrebbe comunque essere del tutto ammissibile. Tale art. 30 richiede infatti che le eccezioni siano «limitate» e che non impediscano un «normale sfruttamento» dell’invenzione. Ebbene, limitare la protezione di una sequenza genetica agli usi per i quali la stessa è stata brevettata non impedisce certo il normale sfruttamento dell’invenzione, che è quello descritto nella domanda di brevetto. Per definizione, infatti, ad essere esclusi dalla tutela sono soltanto possibili usi futuri e imprevedibili (che potrebbero comunque essere a loro volta brevettati dal titolare del primo brevetto, qualora la scoperta sia sua) o, come in questo caso, attività legate alla trasformazione del prodotto originario, nell’ambito delle quali la sequenza genetica non svolge più alcuna funzione.
78. Propongo di conseguenza di risolvere la quarta questione pregiudiziale dichiarando che le disposizioni dell’accordo TRIPS non contrastano con la direttiva, come interpretata nelle risposte alle precedenti questioni pregiudiziali.
VIII – Conclusioni
79. Sulla base delle considerazioni svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni poste dal Rechtbank ‘s‑Gravenhage dichiarando quanto segue.
«Nel sistema della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, la tutela garantita ad un brevetto relativo ad una sequenza genetica è limitata alle situazioni in cui l’informazione genetica svolge attualmente le funzioni descritte nel brevetto. Ciò vale sia per la protezione della sequenza in quanto tale che per quella delle materie in cui essa è contenuta.
La direttiva costituisce, per gli ambiti di cui si occupa, una disciplina esaustiva della protezione riconosciuta nel territorio dell’Unione ad un’invenzione biotecnologica. Di conseguenza, essa osta ad una normativa nazionale che riconosca alle invenzioni biotecnologiche una tutela più ampia di quella prevista nella direttiva.
Il fatto che un brevetto sia stato concesso prima dell’entrata in vigore della direttiva non ha incidenza sulla risposta da fornire alle precedenti questioni pregiudiziali.
Le disposizioni dell’accordo TRIPS non contrastano con la direttiva, come interpretata nelle risposte alle precedenti questioni pregiudiziali».
1 – Lingua originale: l’italiano.
2 – Approvato con la decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1). Il testo dell’accordo TRIPS è pubblicato nella medesima GU L 336, pag. 214. Le versioni facenti fede degli accordi internazionali dell’Uruguay Round sono quelle in lingua inglese, francese e spagnola.
3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (GU L 213, pag. 13).
4 ‑ Il principio dell’esaurimento costituisce la naturale conseguenza del divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente previsto dai Trattati (attualmente dagli artt. 34 TFUE e 35 TFUE). Ai sensi di tale principio, il titolare di un brevetto che ha acconsentito all’immissione sul mercato di un prodotto sul quale il suo brevetto gli conferisce diritti non può poi opporsi alle successive vicende giuridiche (cessione, etc.) che riguardano il prodotto stesso. Infatti, per usare le parole della Corte, «la sostanza del diritto di brevetto consiste essenzialmente nell’attribuzione di un diritto esclusivo di prima messa in circolazione del prodotto» (sentenza 14 luglio 1981, causa 187/80, Merck, Racc. pag. 2063, punto 9; il corsivo è mio). La validità della giurisprudenza sul principio dell’esaurimento è stata confermata dalla Corte a più riprese: v., ad esempio, sentenza 5 dicembre 1996, cause riunite C‑267/95 e C‑268/95, Merck e Beecham (Racc. pag. I‑6285). Sulla distinzione, ai fini dell’applicazione del principio dell’esaurimento, tra messa in circolazione all’esterno e all’interno del territorio dell’Unione, v., per analogia, sentenza 15 giugno 1976, causa 51/75, EMI Records (Racc. pag. 811, punti 6‑11).
5 – Il tempo presente caratterizza, in effetti, tutte le versioni linguistiche della direttiva.
6 – Lo stesso potrebbe dirsi, ad esempio, nel caso di capi di abbigliamento confezionati con fibre derivate da piante di cotone geneticamente modificate.
7 – V. la Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo 14 luglio 2005, COM(2005) 312 def., «Sviluppi e implicazioni del diritto dei brevetti nel settore della biotecnologia e dell’ingegneria genetica», punto 2.1. Il documento in questione rileva peraltro che la direttiva contiene indicazioni non del tutto univoche sul punto.
8 – Risoluzione del Parlamento europeo 26 ottobre 2005, sui brevetti relativi alle invenzioni biotecnologiche (GU C 272 E, pag. 440, punto 5).
9 – Si tratta di una pratica tipica soprattutto del settore dei prodotti farmaceutici. Poiché infatti un metodo di cura in quanto tale non è brevettabile (cfr., ad esempio, l’art. 53 della Convenzione sul brevetto europeo, firmata a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973, nella sua versione emendata nell’anno 2000), al fine di tutelare gli interessi delle società attive nel settore della ricerca medica è stata affermata la brevettabilità di un prodotto già noto, in quanto finalizzato ad un uso nuovo (cfr. Commissione allargata di ricorso dell’Ufficio europeo dei brevetti, decisioni 5 dicembre 1984, G 1/83, G 5/83 e G 6/83, Bayer e a.). Il medesimo approccio è stato peraltro adottato anche al di fuori dell’ambito farmaceutico (cfr. Commissione allargata di ricorso dell’Ufficio europeo dei brevetti, decisione 11 dicembre 1989, G 2/88, Mobil).
10 – V., nello stesso senso, la decisione del 10 ottobre 2007 della High Court del Regno Unito, che in una causa identica a quella ora pendente dinanzi al giudice del rinvio hanno negato a Monsanto la possibilità di bloccare l’importazione di farina di soia dall’Argentina: Monsanto v Cargill [2007] EWHC 2257 (Pat) [punto 89]. Nel caso di specie la pretesa di Monsanto è stata respinta sulla base di considerazioni relative all’estensione delle rivendicazioni del brevetto.
11 – V. sentenza 25 aprile 2002, causa C‑52/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑3827, punto 19).
12 – V., per un caso simile, sentenza 15 settembre 2005, cause riunite C‑281/03 e C‑282/03, Cindu Chemicals e a. (Racc. pag. I‑8069, punti 39‑44).
13 – V., ad esempio, l’art. 8 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU L 372, pag. 31), e l’art. 5 della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 225, pag. 16). V. anche sentenza Commissione/Francia, cit. alla nota 11 (punto 18).
14 – Cfr. sentenza 9 ottobre 2001, causa C‑377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑7079, punto 16). Cfr. anche il punto 25 della medesima sentenza, in cui la Corte osserva come la direttiva abbia introdotto una serie di «precisazioni» e «deroghe» nei diritti nazionali: anche questo appare difficilmente compatibile con l’idea di una direttiva di armonizzazione minimale, che di solito si limita a fissare una soglia minima di tutela, lasciando per il resto libertà agli Stati membri.
15 – Cfr. nota 13.
16 – V. sentenze 13 novembre 1990, causa C‑106/89, Marleasing (Racc. pag. I‑4135, punto 8); 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, punto 108), e 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer (Racc. pag. I‑4501, punto 84).
17 – V. sentenza 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino (Racc. pag. I‑5285, punto 45).
18 – La Corte ha affermato che, per poter procedere all’esame della legittimità di un atto dell’Unione sulla base di un accordo OMC, è necessario che l’Unione «abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC, ovvero [che] l’atto [dell’Unione] rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC» (sentenza 30 settembre 2003, causa C‑94/02 P, Biret & Cie/Consiglio, Racc. pag. I‑10565, punti 55‑56 e giurisprudenza ivi citata).
19 – V. sentenze 14 dicembre 2000, cause riunite C‑300/98 e C‑392/98, Dior e a. (Racc. pag. I‑11307, punto 47), e 11 settembre 2007, causa C‑431/05, Merck Genéricos ‑ Produtos Farmacêuticos (Racc. pag. I‑7001, punto 35).