CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 25 giugno 2009 ( 1 )

Causa C-205/08

Umweltanwalt von Kärnten

contro

Kärntner Landesregierung

«Rinvio pregiudiziale — Art. 234 CE — Nozione di “giurisdizione nazionale” — Ricevibilità — Direttiva 85/337/CEE — Valutazione dell’impatto ambientale — Costruzioni di elettrodotti aerei — Lunghezza superiore a 15 km — Costruzioni transfrontaliere — Elettrodotti transfrontalieri — Lunghezza totale superiore al limite — Elettrodotto situato principalmente nel territorio di uno Stato membro confinante — Lunghezza del tratto nazionale dell’elettrodotto inferiore al limite»

I — Introduzione

1.

L’Umweltsenat (sezione competente in materia ambientale) austriaco propone una domanda di pronuncia pregiudiziale a norma dell’art. 234 CE, che riguarda l’interpretazione della direttiva 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati ( 2 ), affinché si chiarisca se, ai fini della misurazione di un elettrodotto aereo contemplato dall’allegato I della direttiva, si debba prendere come riferimento unicamente il tratto dell’elettrodotto situato nel territorio di ciascuno Stato membro, o, per contro, la lunghezza effettiva di tutto l’impianto, benché valichi le frontiere di più Stati membri.

2.

Con tale questione sullo sfondo, la presente causa ripropone i dubbi circa il carattere giurisdizionale dei tribunali amministrativi indipendenti austriaci (Senate). La Corte di giustizia ha affrontato in più occasioni le domande di pronuncia pregiudiziale provenienti dai Senate, organi contemplati dagli artt. 11, n. 7, e 129 della Costituzione austriaca. Sebbene nella maggior parte dei casi tali domande siano state dichiarate ricevibili, non sono mancate critiche che ne hanno rilevato l’incompatibilità con l’art. 234 CE. Adesso è il turno dell’Umweltsenat, organo paragiudiziario specializzato in materia ambientale, le cui decisioni sono impugnabili dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte suprema).

3.

Nelle mie conclusioni relative alla causa De Coster ( 3 ) propongo un’interpretazione dell’art. 234 CE che colleghi il dialogo tra organi giudiziari europei all’esercizio della funzione giurisdizionale. Respingo pertanto qualsiasi possibilità di legittimare organismi non appartenenti al potere giudiziario alla proposizione di un quesito pregiudiziale, per non tradire la filosofia che sottende tale disposizione. Il rinvio proposto dall’Umweltsenat mi permette di approfondire tale tesi e di completare il ragionamento che ho esposto nelle ricordate conclusioni. La mia impostazione non implica l’esclusione di ogni organismo estraneo al potere giudiziario nazionale dall’ambito di applicazione dell’art. 234 CE. Nelle conclusioni De Coster auspico che venga fatto ordine in una giurisprudenza eccessivamente ambigua. Parimenti, sono consapevole del fatto che in alcuni Stati membri esistono autorità estranee al potere giudiziario con funzioni sostanzialmente giurisdizionali. Di quest’ultimo aspetto mi occupo nella presente causa, poiché l’Umweltsenat si colloca all’interno di una struttura burocratica che, secondo alcuni autori, svolge attività equivalenti alla funzione giurisdizionale.

II — Fatti

4.

La società italiana Rete Elettrica Nazionale SpA e la società austriaca VERBUND-Austrian Power Gris AG hanno elaborato congiuntamente un progetto per la costruzione e la successiva gestione di una linea elettrica aerea di collegamento, con una tensione nominale di 300 MVA. La lunghezza totale prevista della conduttura è di circa 49 km, dei quali 41 km sarebbero situati nel territorio italiano e circa 7 km nel territorio austriaco.

5.

Il 12 luglio 2007 l’Alpe Adria Energia SpA presentava istanza alle autorità ambientali austriache per ottenere una dichiarazione di conformità ai sensi dell’art. 3, n. 7, della Umweltverträglichkeitsprüfungsgesetz 2000 (legge austriaca sulla valutazione d’impatto ambientale 2000). L’organismo amministrativo competente al riguardo era il governo del Land Carinzia che, l’11 ottobre dello stesso anno, decideva di non procedere ad una valutazione d’impatto ambientale (in prosieguo: la «VIA»), giacché il progetto in questione non raggiungeva, nel territorio austriaco, la soglia dei 15 km di lunghezza fissata dalla direttiva 85/337.

6.

Avverso tale decisione, il Landesumweltanwalt von Kärnten (procuratore generale del Land Carinzia competente in materia ambientale) proponeva ricorso dinanzi all’Umweltsenat, sostenendo l’obbligo di applicare la direttiva al caso in esame. Secondo il procuratore, la misura di riferimento di un progetto con impatto ambientale non dovrebbe essere limitata al territorio di ciascuno Stato membro, giacché è necessario effettuare una valutazione della dimensione complessiva dell’opera di cui trattasi. Con lettera 5 febbraio 2008, l’Alpe Adria Energia SpA si è opposta alla tesi sostenuta dal ricorrente dinanzi all’Umweltsenat. Il detto organo ha sospeso il procedimento principale ed ha proposto la presente questione pregiudiziale interpretativa a norma dell’art. 234 CE.

III — Contesto normativo

A — Il diritto comunitario

7.

La direttiva 85/335 ha vocazione preventiva e, ponderando l’impatto di qualsiasi progetto sull’ambiente circostante, ha il fine di evitare i danni causati da opere o impianti, nonché da altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio. Tale obiettivo è reso esplicito dall’art. 1, secondo il cui tenore:

«Articolo 1

1.   La presente direttiva si applica alla valutazione dell’impatto ambientale dei progetti pubblici e privati che possono avere un impatto ambientale importante.

2.   Ai sensi della presente direttiva si intende per:

 

progetto:

la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere,

altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo;

(…)

 

autorizzazione:

 

decisione dell’autorità competente, o delle autorità competenti, che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso.

(…)».

8.

Il carattere preventivo della VIA e i progetti assoggettati alle disposizioni della direttiva sono menzionati agli artt. 2, n. 1 e 4, n.1 della direttiva medesima:

«Articolo 2

1.   Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell’articolo 4.

(…)

Articolo 4

1.   Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 3, i progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato I formano oggetto di valutazione ai sensi degli articoli da 5 a 10».

9.

Dopo un elenco delle modalità procedurali prescritte per la valutazione d’impatto ambientale, contenuto nelle disposizioni summenzionate, l’allegato I propone il suddetto elenco di progetti, il cui punto n. 20 riveste particolare interesse per il caso che ci occupa:

«20.

Costruzione di elettrodotti aerei con un voltaggio di 220 kV o superiore e di lunghezza superiore a 15 km».

10.

Per quanto riguarda le opere di dimensione transfrontaliera, o per le opere il cui impatto superi i confini territoriali di uno Stato membro, l’art. 7 della direttiva delimita le azioni degli Stati membri nel seguente modo:

«Articolo 7

1.   Qualora uno Stato membro constati che un progetto può avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro, o qualora uno Stato membro che potrebbe essere coinvolto in maniera significativa ne faccia richiesta, lo Stato membro sul cui territorio è prevista la realizzazione del progetto trasmette allo Stato membro coinvolto, quanto prima e non più tardi del giorno in cui informa il proprio pubblico, tra l’altro:

a)

una descrizione del progetto corredata di tutte le informazioni disponibili circa il suo eventuale impatto transfrontaliero;

b)

informazioni sulla natura della decisione che può essere adottata

e lascia all’altro Stato membro un ragionevole lasso di tempo per far sapere se desidera partecipare alle procedure decisionali in materia ambientale di cui all’articolo 2, paragrafo 2, e può includere le informazioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo.

2.   Se uno Stato membro, cui siano pervenute le informazioni di cui al paragrafo 1, comunica che intende partecipare alle procedure decisionali in materia ambientale di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lo Stato membro nel cui territorio è prevista la realizzazione del progetto provvede, se non lo ha già fatto, a trasmettere allo Stato membro coinvolto le informazioni che devono essere fornite ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, e rese disponibili ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettere a) e b).

3.   Gli Stati membri interessati, ciascuno per quanto lo concerne:

a)

provvedono, entro un ragionevole lasso di tempo, a mettere a disposizione delle autorità di cui all’articolo 6, paragrafo 1, nonché dei cittadini interessati per quanto riguarda il territorio dello Stato membro che rischi di subire un rilevante impatto ambientale, le informazioni di cui ai paragrafi 1 e 2; e

b)

si accertano che le suddette autorità e i suddetti cittadini interessati abbiano la possibilità, anteriormente al rilascio dell’autorizzazione al progetto, di comunicare, entro un ragionevole lasso di tempo, i loro pareri sulle informazioni fornite all’autorità competente dello Stato membro nel cui territorio è prevista la realizzazione del progetto.

4.   Gli Stati membri interessati avviano consultazioni riguardanti, tra l’altro, l’eventuale impatto transfrontaliero del progetto e le misure previste per ridurre o eliminare tale impatto e fissano un termine ragionevole per la durata del periodo di consultazione.

5.   Le modalità dettagliate per l’attuazione del presente articolo possono essere stabilite dagli Stati membri interessati e sono tali da consentire al pubblico interessato nel territorio dello Stato membro coinvolto di partecipare in maniera efficace alle procedure decisionali in materia ambientale di cui all’articolo 2, paragrafo 2, per il progetto».

B — Il diritto nazionale

11.

In Austria esistono organismi specializzati, al di fuori del potere giudiziario, le cui decisioni sono impugnabili dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte Suprema). L’art. 11, n. 7 della Legge fondamentale prevede espressamente, inter alia, l’istituzione dell’Umweltsenat:

«Per i progetti di cui al numero 1, punto 7, la decisione spetta, una volta esaurito l’iter dei ricorsi in via amministrativa nel Land interessato, all’unabhängiger Umweltsenat. L’unabhängiger Umweltsenat è costituito dal presidente, da magistrati e da altri membri giuristi di comprovata esperienza, ed è istituito presso il competente Ministero federale. La costituzione, le funzioni e le procedure di tale organo sono disciplinate con legge federale. Le sue decisioni non sono soggette ad annullamento o modifica in via amministrativa; avverso le sue decisioni è proponibile ricorso in via contenzioso-ammministrativa dinanzi al Verwaltungsgerichtshof».

12.

L’Umweltsenat è stato creato nel 1993 ed è disciplinato dal Bundesgesetz über den Umweltsenat (Legge federale sull’Umweltsenat; in prosieguo: l’«USG 2000»).

13.

L’art. 1 dell’USG 2000 così recita:

«1.   È istituito un Umweltsenat presso il Bundesministerium für Land– und Forstwirtschaft, Umwelt und Wasserwirtschaft (Ministero federale dell’Agricoltura, delle Foreste, dell’Ambiente e delle Risorse idriche).

2.   L’Umweltsenat è composto da dieci magistrati e da altri trentadue giuristi (…)».

14.

A tenore dell’art. 4 dell’USG 2000:

«I membri dell’Umweltsenat esercitano le loro funzioni in modo indipendente e non sono vincolati da istruzioni».

15.

L’art. 5 dell’USG 2000 aggiunge:

«L’Umweltsenat decide sui ricorsi aventi ad oggetto questioni contemplate nella prima e nella seconda parte dell’Umweltverträglichkeitsprüfungsgesetz 2000 (Legge austriaca sulla valutazione d’impatto ambientale 2000; in prosieguo: l’”UVP-G 2000” ( 4 )) (…)».

16.

Il successivo art. 6 così dispone:

«Le decisioni dell’Umweltsenat non sono soggette ad annullamento o modifica in via amministrativa. Esse sono impugnabili dinanzi al Verwaltungsgerichtshof».

17.

L’UVP-G 2000 ha recepito la direttiva 85/337 nell’ordinamento giuridico austriaco. I requisiti per sottoporre alla VIA determinati progetti sono indicati all’art. 3, n. 1:

«1.   I progetti indicati nell’allegato I nonché le modifiche di tali progetti devono essere sottoposti ad una valutazione dell’impatto ambientale in conformità delle disposizioni che seguono. Ai progetti indicati nelle colonne 2 e 3 dell’allegato I si applica la procedura semplificata (…)».

18.

L’art. 2, n. 2, dell’UVP-G 2000 definisce la nozione di progetto:

«2.   Progetto è la realizzazione di un impianto ovvero un altro intervento sull’ambiente o sul paesaggio, incluse tutte le misure ad esso connesse geograficamente e materialmente. Un progetto può comprendere uno o più impianti o interventi, qualora fra gli stessi sussista un nesso geografico o materiale».

19.

I titoli delle tabelle dell’allegato I all’UVP-G 2000 indicano i progetti sottoposti a procedura VIA. Da una parte, nelle colonne 1 e 2 dell’allegato figurano tutti i progetti che sono soggetti a valutazione d’impatto ambientale e che devono essere sottoposti alla procedura VIA (colonna 1) ovvero ad una procedura semplificata (colonna 2). Dall’altra, la colonna 3 indica i progetti che devono essere assoggettati a valutazione d’impatto ambientale solo in presenza di determinate condizioni.

20.

Al punto n. 16, colonna 1, lett. a), sono menzionati gli elettrodotti aerei con un voltaggio di 220 kV o superiore e di lunghezza superiore a 15 km. Nello stesso punto, la colonna 3, lett. b), si riferisce agli «elettrodotti aerei situati in zone di protezione speciale di cui alle categorie A o B con un voltaggio di 110 kV o superiore e di lunghezza superiore a 20 km».

IV — Questione pregiudiziale

21.

Con ordinanza 2 maggio 2008 l’Umweltsenat ha proposto una questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell’art. 234 CE. Dopo aver sinteticamente esposto che sussistono i presupposti per l’applicazione della suddetta disposizione (in particolare, che l’organo remittente ha carattere giurisdizionale), l’Umweltsenat ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (…), vada interpretata nel senso che uno Stato membro debba prevedere un obbligo di controllo dei tipi di progetto indicati nell’allegato I di [tale] direttiva, e precisamente al punto 20 (“Costruzione di elettrodotti aerei con un voltaggio di 220 kV o superiore e di lunghezza superiore a 15 km”), anche con riferimento ad un impianto progettato nel territorio di due o più Stati membri, laddove la soglia che determina l’obbligo di controllo (nel caso di specie, la lunghezza superiore a 15 km) non venga invece raggiunta dalla parte dell’impianto situata nel proprio territorio, ma, per contro, tale soglia venga raggiunta, se non addirittura superata, computando anche la parte dell’impianto progettato che si trova nello Stato membro o negli Stati membri confinanti».

22.

L’ordinanza dell’Umweltsenat è stata registrata nella cancelleria della Corte il 19 maggio 2008. Hanno presentato osservazioni, entro il termine stabilito dall’art. 23 dello Statuto CE della Corte di giustizia, l’Alpe Adria Energia SpA, il procuratore per l’Ambiente del Land di Carinzia e la Commissione.

23.

Né la Commissione né le parti nel procedimento principale hanno chiesto lo svolgimento di un’udienza nel termine all’uopo stabilito, ragion per cui la causa era matura per la predisposizione delle presenti conclusioni il 24 aprile 2009.

V — Sulla ricevibilità

24.

La questione pregiudiziale rivolta dall’Umweltsenat solleva nuovamente dubbi circa la capacità degli organi indipendenti austriaci di proporre un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE. Sebbene nel presente procedimento pregiudiziale nessuno abbia sollevato tale problema, è comunque necessario esaminarlo, data l’importanza che tali organi rivestono nella struttura della giustizia austriaca. La Corte di giustizia si è pronunciata in varie occasioni sul carattere giurisdizionale dei detti organi, ma non sempre nello stesso senso. In tale contesto, appare opportuno ricordare la giurisprudenza ed esporre alcune considerazioni che aiutano a delinearne l’orientamento.

A — La nozione di «organo giurisdizionale» di cui all’art. 234 CE e gli organismi che non rientrano nel potere giudiziario degli Stati membri

25.

Nella sentenza Vaassen-Goebbels ( 5 ) è stato affermato che gli autori del rinvio pregiudiziale devono essere definiti in conformità di criteri comunitari e non secondo il diritto nazionale. Sulla base di tale premessa, la Corte di giustizia ha fissato i noti requisiti che esigono dagli organi giurisdizionali l’origine legale, il carattere permanente, il carattere contraddittorio del procedimento, il carattere obbligatorio e l’applicazione di norme di diritto. Come spiego nelle mie conclusioni nella causa De Coster, citata supra, con il passare del tempo tali requisiti sono stati attenuati, fino a comprendere un insieme eterogeneo di istituzioni, non sempre coerente con lo spirito giurisdizionale sotteso all’art. 234 CE.

26.

Tale atteggiamento flessibile della giurisprudenza ha causato taluni inconvenienti che la Corte di giustizia non ha ancora superato. Per effetto dell’estensione del rinvio pregiudiziale ad autorità con funzioni assimilate a quelle giurisdizionali, la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata consentita ad organi non appartenenti al potere giudiziario di uno Stato membro. Il risultato non è totalmente negativo, poiché ogni tradizione nazionale distribuisce il potere giurisdizionale in base alla propria cultura ed ai propri costumi, e il diritto comunitario deve rispettare tale distribuzione. Tuttavia, tale sviluppo comporta un pericolo: l’irruzione nel dialogo pregiudiziale di organi paragiudiziari che non presentano alcun nesso con i compiti giudicanti. Tale delicato equilibrio si è rotto in diversi momenti, come nel caso Gabalfrisa ( 6 ), in cui è stato ammesso il rinvio proposto da un «Tribunal económico-administrativo» spagnolo. Un simile rischio è insito nel caso in esame, che riguarda i «Senate» austriaci, organi estranei all’organizzazione giudiziaria ordinaria.

27.

In tale contesto, le questioni dell’Umweltsenat consentono ora alla Corte di giustizia di definire più dettagliatamente la propria dottrina. Io stesso colgo qui l’opportunità di sviluppare la tesi che ho abbozzato nelle conclusioni De Coster, chiedendo alla Corte di giustizia una giurisprudenza più rigorosa e coerente allorché gli organi che invocano l’art. 234 CE non appartengono al potere giudiziario. Mi spingo sino a suggerire alcuni elementi utili per la salvaguardia del dialogo pregiudiziale instaurato dalla citata disposizione, al fine di assicurare che il dialogo rimanga vivo e pertanto accessibile a coloro cui è attribuita la funzione di dirimere le controversie tra le parti.

1. La rilevanza istituzionale dei giudici nazionali nel processo di integrazione ed il ruolo della domanda di pronuncia pregiudiziale

28.

Come ho sostenuto nelle mie conclusioni relative alla causa De Coster, estendere il meccanismo istituito dall’art. 234 CE oltre i confini dell’ordine giudiziario comporta una serie di difficoltà che devono essere rilevate ( 7 ). Non ripeterò quanto ho già detto, però desidero ribadire alcuni concetti che rivestono particolare interesse alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza.

29.

Non è necessario sottolineare il ruolo strategico dei giudici nazionali nell’attuazione del diritto comunitario. Avendo redatto l’art. 234 CE e avendolo conservato immutato per più di mezzo secolo, i padri fondatori dell’Unione e i loro successori hanno concentrato la loro attenzione sul rafforzamento della voce istituzionale di un potere degli Stati membri: la giustizia. La scelta non è casuale e la storia lo dimostra. L’Unione si è caratterizzata per il fatto di essere un’integrazione di diritto e attraverso il diritto, collocando il ruolo fondamentale dei giudici nello spazio costituzionale europeo ( 8 ). Il rinvio pregiudiziale costituisce la conferma di tale realtà dal punto vista procedurale. In quanto potere basato sull’indipendenza, sul rispetto della legge e sulla risoluzione delle controversie, la magistratura gode di una voce singolare, staccata dallo scenario politico e legata unicamente alla volontà del diritto ( 9 ). Attribuendo poteri speciali ai giudici nazionali, i Trattati hanno cercato di rafforzare l’autorità di un ordinamento giovane, creato appositamente per un’organizzazione internazionale senza precedenti.

30.

Il successo di tale strumento è palese. Grazie al dialogo tra giudici sono stati definiti, uno ad uno, i tratti genetici del nuovo ordinamento: l’effetto diretto ( 10 ), il primato del diritto comunitario ( 11 ) la responsabilità ( 12 ), l’effettività ( 13 ), l’equivalenza ( 14 ) e molti altri principi che articolano il sistema giuridico dell’Unione ( 15 ). Inoltre, trattandosi di organi dotati di indipendenza e di mezzi di carattere esecutivo, l’applicazione delle norme europee si è giovata dell’autorità che conferisce l’imparzialità ( 16 ).

31.

Il ruolo strategico dei giudici nazionali viene meno allorché si inseriscono nel dialogo pregiudiziale soggetti di natura amministrativa, dipendenti dal potere esecutivo e privi dello status proprio di un organo giurisdizionale. Benché alcuni organi dell’esecutivo esercitino competenze simili a quelle giurisdizionali, non si può nascondere il vero volto della pubblica amministrazione simulando una sorta di procedimento con parvenza giurisdizionale. Tale critica diventa ancor più severa se si osserva che, abitualmente, le decisioni di questi pseudo-giudici possono essere impugnate dinanzi agli autentici organi giurisdizionali dello Stato. Se l’art. 234 CE ha attribuito ad uno dei poteri dello Stato il ruolo di interlocutore privilegiato, è privo di senso estendere la portata di tale disposizione per incorporare nel dialogo pregiudiziale altri soggetti le cui decisioni possono eventualmente terminare nelle mani dei giudici. Per tali ragioni, nelle mie conclusioni relative alla causa De Coster propongo di derogare in via eccezionale alla regola generale qualora le decisioni amministrative non siano impugnabili in sede giurisdizionale ( 17 ), caso in cui sarebbe pienamente giustificata l’estensione dell’art. 234 CE ad altre situazioni, per evitare il rischio di compromettere la coerenza e l’uniformità del diritto comunitario, pregiudicando, al contempo, il diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva.

32.

L’autorevolezza dell’ordinamento europeo è quindi intrisa di una forte componente giudiziaria. Non è esagerato ritenere che la Corte di giustizia sia il responsabile ultimo del diritto dell’Unione grazie ai giudici nazionali.

33.

La Corte di giustizia non sempre ha dato risposta coerente alle preoccupazioni espresse. Dopo le conclusioni De Coster, la preoccupazione di fare ordine nella giurisprudenza è parsa diminuire, ma permane tuttora un certo disorientamento nell’attuale linea giurisprudenziale. Sebbene le cause Schmid ( 18 ) e Syfait ( 19 ) si siano concluse con la dichiarazione di irricevibilità di due questioni pregiudiziali proposte da organi contigui all’amministrazione, tale conclusione è stata determinata dalla scarsa indipendenza degli organi remittenti. Non si coglie, nelle dette sentenze, una riflessione della Corte di giustizia alla luce dell’equilibrio istituzionale dettato dall’art. 234 CE, e per percepire tale attenzione appare peraltro necessaria una forte immaginazione.

34.

Purtuttavia, sussiste una certa sintonia tra le mie conclusioni nella causa De Coster e lo stato attuale della giurisprudenza. Cercherò di spiegare tale simbiosi, correndo il rischio di interpretare indebitamente la volontà ultima della Corte di giustizia.

2. I criteri Vaassen-Goebbels, letti in chiave costituzionale

35.

L’art. 234 CE instaura un dialogo tra giudici al fine di garantire l’applicazione uniforme del diritto comunitario in tutti gli Stati membri ( 20 ). La Corte di giustizia ha permesso che una grande varietà di soggetti prendesse parte a tale dialogo, dando luogo ad un’interpretazione eccessivamente generosa della sentenza Vaassen-Goebbels. Tale difetto, nonostante gli inconvenienti già segnalati in precedenza, è in qualche modo giustificabile. L’organizzazione della giustizia in un’Europa composta da ventisette Stati membri si ispira a parametri ed a progetti assai eterogenei. È difficile concepire un modello comune per descrivere la funzione giurisdizionale di così tanti paesi, difficoltà che ha indotto ad accogliere un’interpretazione tanto generica ed ampia dei criteri stabiliti nella sentenza Vaassen-Goebbels ( 21 ). Inoltre, in alcune tradizioni giuridiche la giustizia amministrativa è associata al potere esecutivo, nel rispetto della separazione dei poteri. Nessuno potrebbe mettere in dubbio che il Conseil d’État francese, istituzione indispensabile per lo sviluppo del diritto pubblico contemporaneo, possieda il requisito di «organo giurisdizionale» ai sensi dell’art. 234 CE. Tuttavia, nell’ambito della distribuzione dei poteri realizzata dalle successive costituzioni francesi, il Conseil d’État non è mai stato inserito nell’ordine giudiziario. Qualcosa di analogo accade in quegli Stati che non dispongono di una giurisdizione amministrativa specializzata, ma solo di giudici estranei al potere giudiziario, per quanto collegati all’amministrazione solamente da vincoli formali ( 22 ).

36.

La giurisprudenza comunitaria ha introdotto tali giudici nel dialogo pregiudiziale, non tanto allo scopo di aumentare il numero dei rinvii, quanto piuttosto per preservare l’autonomia istituzionale degli Stati membri. In altre parole, la giurisprudenza ha ampliato l’applicazione dell’art. 234 CE nel tentativo di accogliere le tradizioni culturali comuni nella formazione di un dibattito giudiziario europeo. Dissento da chi sostiene che dietro tale giurisprudenza si celi il desiderio della Corte di giustizia di esercitare un controllo sull’affluenza di procedimenti sottoposti alla sua giurisdizione. Se esistesse una sorta di docket control, tale criterio potrebbe rivelarsi controproducente e inondare la Corte di procedimenti. Ritengo, peraltro, che la giurisprudenza sottenda l’intenzione di rispettare e mostrare una certa deferenza nei confronti della concezione della funzione giurisdizionale in ciascuno Stato membro. Da tale contesto si evince la necessità di mantenere un equilibrio tra il carattere strettamente giurisdizionale dei rinvii pregiudiziali e la distribuzione dei poteri nei singoli Stati membri.

37.

Appare quindi opportuno riprendere il contenuto delle conclusioni De Coster, aggiungendo qualche sfumatura che ne definisca il significato.

3. Una proposta coerente con la giurisprudenza

38.

Per preparare il terreno, propongo di chiarire lo spirito dell’art. 234 CE, dopo più di mezzo secolo di vita. Appare altresì necessario modulare alcune conseguenze che scaturiscono dalle mie conclusioni nella causa De Coster ( 23 ), per inquadrarle in una linea più coerente con gli orientamenti assunti dalla Corte di giustizia.

a) La regola generale: un dialogo tra giudici secondo i requisiti fissati nella sentenza Vaassen-Goebbels

39.

Tale analisi muove dalla natura giurisdizionale del rapporto pregiudiziale. Prima di approfondire l’esame dei requisiti stabiliti dalla sentenza Vaassen-Goebbels, è necessario verificare se l’organo remittente faccia parte dell’ordine giudiziario dello Stato membro interessato. Successivamente, la Corte di giustizia passa ad esaminare i requisiti relativi all’origine legale, al carattere permanente, al procedimento in contraddittorio, all’obbligatorietà e all’applicazione di norme di diritto. Per le ragioni accennate supra, ai paragrafi 35 e 36, tali requisiti non sono stati applicati con estremo rigore. Come ho sostenuto nelle mie conclusioni relative alla causa Roda Golf, il rinvio pregiudiziale è concepito quale cooperazione tra giudici ( 24 ). Si tratta quindi di un rapporto costruttivo da giudice a giudice e non da causa a causa, ciò che spiega come mai, una volta determinate le parti coinvolte in tale cooperazione, l’approccio diventi tendenzialmente più flessibile ( 25 ).

40.

Così, gli organi che non si incardinano nel potere giudiziario di uno Stato membro non sono legittimati a proporre una questione pregiudiziale. Tuttavia, tale regola ammette due eccezioni fondamentali, esaminate nei paragrafi che seguono.

b) Prima eccezione: l’assenza di rimedi giurisdizionali

41.

Come ho esposto nella causa De Coster, allorché un organo paragiudiziario pronuncia decisioni che non siano impugnabili dinanzi ad autentici giudici, si impone il rispetto del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva, unitamente al principio dell’applicazione uniforme e coerente del diritto comunitario ( 26 ). In tale caso, la Corte di giustizia è tenuta a rispondere ad un organo cui spetta dirimere definitivamente una controversia, senza ulteriori istanze di riesame, affinché l’emananda decisione non diverga dall’ordinamento europeo.

42.

Appare opportuno precisare che, a differenza di quanto accade nell’ambito del dialogo tra giudici, in questo caso i requisiti Vaassen-Goebbels devono essere applicati con estremo rigore. Un rigore ben diverso da quello richiesto per gli organi giurisdizionali che appartengono al potere giudiziario. Pare ragionevole che una deroga così incisiva all’art. 234 CE sia compensata da una maggiore rigidità nella verifica dei requisiti inerenti alla nozione di organo giurisdizionale. Tale tesi trova conferma nella giurisprudenza, poiché la Corte di giustizia ha ritenuto che, anche nel caso in cui non fosse ammesso ricorso dinanzi ad un giudice, gli organi non giurisdizionali che non possiedono i requisiti minimi di indipendenza non possano rivolgerle questioni pregiudiziali a norma dell’art. 234 CE ( 27 ).

c) Seconda eccezione: l’attribuzione di funzioni giurisdizionali ad organi paragiudiziari, attraverso una norma formale o sostanziale di rango costituzionale

43.

Vi è una seconda deroga alla regola generale, senza dubbio quella che maggiormente riflette lo sviluppo della giurisprudenza. È evidente che la Corte di giustizia ha tradizionalmente ammesso, e senza alcun fondamento normativo, questioni pregiudiziali di organi non appartenenti al potere giudiziario dei rispettivi Stati membri. Tale circostanza si riscontra particolarmente nell’ordinamento amministrativo, che presenta ampie divergenze quanto ai modelli di riesame giurisdizionale.

44.

Il diritto amministrativo contemporaneo europeo è frutto del processo rivoluzionario attraversato dalla Francia alla fine del XVIII secolo, quando il controllo giuridico dell’amministrazione trovò sostegno in un’interpretazione alquanto rigida della separazione dei poteri ( 28 ). Poiché giudicare l’amministrazione poteva implicare, a sua volta, una forma di amministrazione, si affermò in Europa una giustizia amministrativa parallela al potere giudiziario (poiché, altrimenti, tale pilastro si sarebbe convertito in potere esecutivo), ma senza essere inglobata dalla pubblica amministrazione, salvaguardando in tal modo il principio dell’indipendenza. Il professor García de Enterría descrive magistralmente tale processo, quando scrive che «dall’iniziale utilizzo interessato del principio di separazione dei poteri si sarebbe finalmente distaccato un sistema specifico di giustizia amministrativa (…), che si è strutturato fin dal primo momento come un controllo esercitato da organi specializzati della stessa amministrazione, e non da giudici estranei ed indipendenti da quest’ultima (…). La creazione di tale meccanismo, che in epoca successiva ha preso il nome di sistema contenzioso-amministrativo, fu opera dello stesso Napoleone, ancor più abile come legislatore che non come condottiero» ( 29 ).

45.

Da tale concezione della «giustizia ritenuta» si è sviluppato un sistema giurisdizionale speciale e indipendente, con il compito di garantire l’assoggettamento dell’amministrazione alla legge, che è arrivato fino ai giorni nostri conservando i principali tratti originari ( 30 ).

46.

Quello appena descritto non è l’unico modello contenzioso-amministrativo presente in Europa, ma ne rappresenta un’espressione importante, che costituisce l’antecedente del diritto amministrativo dell’epoca moderna, ed è stato recepito da numerosi Stati membri: Francia, Paesi Bassi, Belgio, Italia e Grecia hanno optato per un modello puro di separazione, mentre altri Stati come la Germania, l’Austria, la Repubblica ceca, la Polonia e la Lituania hanno istituito ordini giurisdizionali autonomi e separati dalla giurisdizione ordinaria, tradizionalmente investita delle cause in materia civile e penale ( 31 ). È pertanto comprensibile che la Corte di giustizia, laddove sia chiamata a pronunciarsi su questioni pregiudiziali proposte da organi della giustizia amministrativa di tale natura, accolga le questioni proposte senza obiezioni di sorta.

47.

Tale valutazione si ispira ad un’idea che ha costituito un impulso per l’interpretazione dell’art. 234 CE. Rendendo più flessibile il rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia rafforza il valore delle decisioni costituzionali adottate dagli Stati membri. Aprendo le porte del dialogo tra giudici ad organismi esterni al potere giudiziario in senso stretto, la Corte di giustizia riconosce che gli Stati dell’Unione sono competenti a definire la composizione e la distribuzione dei poteri, secondo quanto stabilisce la Costituzione nazionale. Se uno Stato membro attribuisce funzioni giurisdizionali ad organi paragiudiziari, ratificando tale decisione nel momento in cui adotta la Costituzione, esiste una volontà intrinsecamente vincolata all’identità ed all’autonomia costituzionale nazionale, che viene rispettata dalla Corte di giustizia ( 32 ). Di conseguenza, l’art. 234 CE fornisce un canale di comunicazione con le autorità nazionali che siano costituzionalmente abilitate ad amministrare la giustizia. In alcuni Stati membri tale funzione è attribuita esclusivamente al potere giudiziario, mentre in altri Stati è ripartita tra diverse autorità, all’interno di una struttura legittima dell’organizzazione istituzionale che il diritto comunitario non mette in discussione.

48.

Dopo questa breve dissertazione sull’origine degli organi giurisdizionali amministrativi, mi soffermo sulla seconda eccezione alla regola generale, che autorizza un organo paragiudiziario a porre questioni pregiudiziali allorché esercita funzioni giurisdizionali in forza di una disposizione formale o sostanziale della Costituzione.

49.

Come segnalo al paragrafo 42 di queste conclusioni, siffatta deroga al principio generale implica, in contropartita, un’applicazione più rigorosa dei criteri Vaassen-Goebbels. In quanto l’organo remittente sia esterno al potere giudiziario ed assoggettato a regole procedurali diverse, potrebbe trattarsi di una figura estranea alle pratiche convenzionali che caratterizzano una controversia. È pertanto necessario che la Corte di giustizia verifichi con estrema cura i citati requisiti, principalmente quello dell’indipendenza, per non mettere in discussione lo scopo originario dell’art. 234 CE, come si è rilevato nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia, il che spiega l’esito dei ricordati casi Schmid e Syfait.

4. Corollario

50.

L’art. 234 CE istituisce un dialogo tra giudici che ammette eccezioni solo in circostanze precise. In primo luogo, qualora non sia prevista la possibilità di proporre ricorso dinanzi ad un giudice nazionale e, in secondo luogo, allorché l’organo remittente, pur essendo un’autorità paragiudiziaria, sia attributario di funzioni giurisdizionali in forza di disposizioni costituzionali formali o sostanziali. In entrambi i casi, i criteri Vaassen-Goebbels devono essere applicati con rigore, per non minare le basi di un meccanismo fondamentale per lo sviluppo del diritto comunitario, quale la domanda di pronuncia pregiudiziale.

51.

Siffatta interpretazione dell’art. 234 CE, ancorata alla giurisprudenza della Corte di giustizia, reca vantaggi in altri settori, meritevoli di una certa attenzione. Il primato dell’ordinamento comunitario impone, in presenza di un conflitto tra norme, l’obbligo di disapplicare il diritto nazionale. La sentenza Fratelli Costanzo ( 33 ) ha confermato l’estensione di tale principio alla sfera della pubblica amministrazione, cui incombe ugualmente l’obbligo di disapplicare le norme nazionali incompatibili con quelle europee ( 34 ). Nonostante le critiche di cui è stata oggetto, tale giurisprudenza è stata confermata e reiterata in casi come CIF ( 35 ) o Ciola ( 36 ). La principale obiezione che viene sollevata nei confronti di tale giurisprudenza deriva proprio dal meccanismo pregiudiziale previsto dall’art. 234 CE, poiché appare dubbio il fatto che un’autorità amministrativa, priva del potere di proporre un rinvio, abbia, comunque, l’obbligo di disapplicare le norme di diritto interno. Il giudice nazionale può sempre contare sull’ausilio interpretativo della Corte di giustizia, garantito dal dialogo pregiudiziale, ma l’amministrazione agisce in assenza di tale ausilio ( 37 ).

52.

Tale tensione si scioglierebbe qualora la Corte di giustizia limitasse la portata della sentenza Fratelli Costanzo agli organi legittimati a proporre un rinvio pregiudiziale dinanzi ad essa. L’art. 234 CE, quale interpretato dalla Corte, ammette che organismi paragiudiziari partecipino al dialogo pregiudiziale. Se la facoltà di disapplicare le norme contrarie al diritto comunitario venisse circoscritta alle autorità abilitate a proporre questioni pregiudiziali, i pericoli connessi con la sentenza Fratelli Costanzo verrebbero meno. L’incertezza generata da tale decisione, oltre alle difficoltà di carattere pratico di estendere la facoltà di disapplicare il diritto nazionale ad organi assoggettati al principio della gerarchia amministrativa, sarebbe ricondotta nei suoi termini corretti. In tal modo, la preminenza del diritto comunitario si limiterebbe all’ambito giurisdizionale, analogamente al primato della Costituzione o della legge, evitando il rischio che un pubblico dipendente contravvenga alle istruzioni ricevute o ignori le regole amministrative che disciplinano la sua sfera decisionale ( 38 ).

53.

Dopo aver esposto la linea di pensiero che ispira la Corte di giustizia nell’interpretazione dell’art. 234 CE, nonché i vantaggi che deriverebbero da un diverso orientamento di tale giurisprudenza, dobbiamo ora esaminare l’applicazione dei criteri appena esposti all’organo remittente.

B — La giurisprudenza relativa alla definizione di «organo giurisdizionale», applicata all’Umweltsenat

54.

L’Umweltsenat è uno degli organi collegiali disciplinati dall’art. 133, n. 4, della Costituzione austriaca. Tale disposizione prevede una deroga alla regola generale attributiva di competenza al Verwaltungsgerichtshof (Corte Suprema amministrativa), che permette ad autorità indipendenti di conoscere dei ricorsi avverso le decisioni dell’amministrazione. Allo stesso modo, l’Umweltsenat è stato espressamente riconosciuto dall’art. 11, n. 7, della Costituzione, benché tale riconoscimento non lo sottragga al genus contemplato dal citato art. 133, n. 4.

55.

Il Verfassungsgerichtshof (Corte costituzionale austriaca) ha interpretato restrittivamente il potere di istituire organi indipendenti in materia amministrativa, giacché essi presuppongono una deroga al principio che conferisce al Verwaltungsgerichtshof la competenza a pronunciarsi sui ricorsi proposti contro l’amministrazione ( 39 ); tuttavia, detto giudice ha imposto condizioni sostanziali a tali autorità, allo scopo di renderle più simili alla dinamica di un tribunale che non a quella di un organo amministrativo di riesame. A conferma di ciò, tra le altre caratteristiche, i tribunali istituiti ex art. 133, n. 4, si conformano ai principi enunciati all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in merito a tale disposizione.

56.

L’Umweltsenat è stato istituito nel 1993 come tribunale indipendente in base all’art. 133, n. 4, della Costituzione austriaca, con l’incarico di decidere sui ricorsi avverso le decisioni adottate dall’amministrazione competente in materia ambientale ai sensi della prima e della seconda parte dell’UVP-G 2000. Esso è costituito da quarantadue membri, dei quali dieci appartengono all’ordine giudiziario e trentadue sono giuristi di comprovata esperienza; i membri di tale organo hanno un mandato irrevocabile ed offrono tutte le garanzie di imparzialità.

57.

Il funzionamento interno dell’Umweltsenat somiglia a quello di un tribunale ordinario, seguendo regole obiettive sulla ripartizione delle cause, benché al presidente siano attribuiti poteri specifici riguardo alla nomina del relatore e di un terzo membro della sezione ( 40 ). La deliberazione è segreta e i membri sono vincolati all’obbligo di riservatezza ( 41 ).

58.

Il procedimento dinanzi all’Umweltsenat è disciplinato dalle norme generali del Verwaltungsverfahrensgesetz (Legge sul procedimento amministrativo; in prosieguo: l’«AVG»), con le norme speciali introdotte dall’USG 2000. Il ricorso viene presentato all’amministrazione convenuta entro quattro settimane dalla notifica della decisione ( 42 ), i cui effetti rimangono sospesi ex lege, a meno che non sia espressamente convenuto il contrario ( 43 ). Può proporre ricorso chiunque abbia partecipato alla procedura amministrativa, nonché le istituzioni elencate nell’UVP-G 2000 ( 44 ). Il procedimento, scritto in una prima fase, garantisce l’osservanza del contraddittorio e prevede lo svolgimento di un’udienza, d’ufficio o su istanza di parte ( 45 ). Benché non sussista l’obbligo del patrocinio legale di un avvocato, ogni interessato può farsi rappresentare da un legale ( 46 ).

59.

L’Umweltsenat ha competenza giurisdizionale. Benché le sue decisioni abbiano natura di atto amministrativo, esse possiedono l’autorità di cosa giudicata, devono essere motivate, sono pronunciate in pubblica udienza, sono esecutive e possono essere impugnate solamente dinanzi al Verwaltungsgericht ( 47 ).

60.

In base ai criteri descritti nei paragrafi 54-59 di queste conclusioni, l’Umweltsenat risulta essere un organo che non fa parte del potere giudiziario austriaco, benché sia esplicitamente riconosciuto dalla Costituzione del suo paese. L’art. 133, n. 4, e l’art. 11, n. 7, della Legge fondamentale austriaca attribuiscono funzioni giurisdizionali ad istituzioni che non fanno parte della struttura organica giudiziaria, ma che presentano elementi sostanziali che accomunano le funzioni svolte a quelle di un giudice ordinario. Come ho esposto nel precedente paragrafo 49, allorché le competenze giurisdizionali vengono assunte da autorità paragiudiziarie, i requisiti enunciati nella sentenza Vaassen-Goebbels devono essere applicati con estremo rigore. Da ciò si deduce che l’Umweltsenat possiede i requisiti relativi all’origine legale, al carattere permanente, al contraddittorio, al carattere obbligatorio ed all’applicazione di norme di diritto. Un indizio molto importante, sebbene non determinante, consiste nel fatto che la Corte costituzionale austriaca richieda all’Umweltsenat il rispetto delle garanzie procedurali stabilite dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

61.

Per tutte le suesposte considerazioni, ritengo che l’Umweltsenat, quale organo paragiudiziario che esercita funzioni giurisdizionali, goda del riconoscimento ufficiale della Costituzione austriaca e si conformi pienamente ai dettami della sentenza Vaassen-Goebbels, di guisa che l’organo remittente ha piena competenza per sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE.

VI — Nel merito

62.

Il dubbio sollevato nel presente caso merita una risposta semplice e chiara. In sostanza, l’Umweltsenat chiede se la misura di riferimento di un progetto interstatale assoggettato alla direttiva 85/337 debba essere circoscritta allo spazio occupato dal progetto in ciascuno Stato membro o se, invece, debba comprendere l’intera opera nel suo insieme. Le conseguenze pratiche dell’emananda decisione della Corte di giustizia sono rilevanti, poiché, qualora la Corte optasse per la prima tesi, la VIA che abbia un’incidenza in vari Stati membri dovrebbe essere applicata in modo atomistico in ciascuno di essi, come se si trattasse di progetti diversi; se invece la Corte scegliesse la seconda tesi, lo studio ambientale dovrebbe essere realizzato tenendo conto del progetto nel suo insieme, ignorando le frontiere e imponendo alle autorità nazionali di collaborare.

63.

Come ha giustamente rilevato la Commissione al punto 20 delle sue osservazioni scritte, il caso in esame riguarda esclusivamente l’obbligo di valutare l’impatto ambientale e non il contenuto o gli effetti di tale valutazione. La controversia - per esporlo sinteticamente — ha ad oggetto una disputa sulle competenze, volta ad accertare se sia richiesto un controllo amministrativo. Occorre perciò individuare i «progetti» cui si riferisce la direttiva 85/337, i termini in cui devono essere applicati i limiti previsti da quest’ultima, nonché l’autorità competente a svolgere le funzioni amministrative di prevenzione imposte dalla direttiva stessa.

A — La nozione di «progetti che possono avere un impatto ambientale importante» ai sensi della direttiva 85/337

64.

La Comunità europea ha indicato, quale premessa della sua politica ambientale, che la miglior politica ecologica consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti ( 48 ). Con tale obiettivo, è stata approvata la direttiva 85/337, che armonizza le procedure amministrative per la valutazione dell’impatto di alcune opere sull’ambiente. La filosofía di tale strumento normativo è dichiarata negli artt. 2 e 4, che prevedono un obbligo di valutazione previa per la realizzazione dei progetti, tuttavia divisi in due gruppi: i progetti con un impatto incontestabile (elencati nell’allegato I), che sono sempre soggetti a supervisione; ed i progetti con un impatto minore (figuranti nell’allegato II), sui quali viene esercitato un controllo conformemente ai criteri stabiliti da ciascuno Stato membro, ma sempre alla luce delle indicazioni contenute nell’allegato III ( 49 ).

65.

A causa dei costi della procedura VIA, la direttiva 85/337 definisce precisamente i progetti elencati nell’allegato I. Nell’allegato II le caratteristiche di ciascuna categoria sono definite in termini più generali, fermo restando, però, che gli Stati membri devono precisare minuziosamente le circostanze in cui è necessaria la VIA ( 50 ). Non ci sorprende il fatto che la Corte di giustizia abbia interpretato restrittivamente il margine discrezionale di cui dispone ciascun legislatore nazionale, per evitare che l’allegato II sia messo in discussione per l’uso di criteri nazionali eccessivamente vaghi o superficiali. Pertanto, la descrizione di ciascun tipo di progetto contenuta nella direttiva 85/337 presenta un elevato grado di concretezza, al fine di evitare che le autorità nazionali possano invocare l’ambiguità della normativa per eludere i propri obblighi di valutazione.

66.

Tuttavia, tale descrizione dettagliata si accompagna ad un’ampia descrizione dei «progetti» della direttiva 85/337. Così, ai sensi degli artt. 1, n. 2, e 2, n. 1, per «progetto» s’intende «la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere», nonché altri «interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio». Si completa il quadro con l’aggiunta della precisazione che la VIA deve essere avviata nel caso dei progetti «per i quali si prevede un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione». Infine, l’allegato IV elenca le informazioni che il committente del progetto deve fornire all’autorità competente, affinché possa essere effettuata la pertinente valutazione ( 51 ).

67.

Da tale combinazione di elementi si traggono alcune considerazioni.

68.

In primo luogo, i progetti contemplati negli allegati I e II devono essere interpretati alla luce dei citati artt. 1, n. 2 e 2, n. 1, poiché l’elenco preciso degli interventi è formulato in un contesto giuridico più ampio e le disposizioni speciali devono essere applicate in conformità delle disposizioni più generali ( 52 ). Pertanto, quando l’allegato I, al punto 20, menziona la costruzione di «elettrodotti aerei con un voltaggio di 220 kV o superiore e di lunghezza superiore a 15 km», esso si riferisce a tali opere purché abbiano «un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione».

69.

In secondo luogo, da quanto precede deriva che la definizione generale è molto utile per dare un significato concreto ai limiti dei progetti; vale a dire, delle opere elencate nell’allegato, in funzione della capacità di produzione ( 53 ), della capacità di immagazzinamento dell’impianto ( 54 ) e della sua lunghezza ( 55 ), vincoli conosciuti altresì come «soglie dell’impatto ambientale» ( 56 ). Le caratteristiche di ciascun tipo di progetto costituiscono limiti che, a loro volta, determinano l’obbligo di avviare la procedura VIA ai sensi degli artt. 5-10 della direttiva 85/337. Poiché si tratta di caratteristiche che riducono l’ambito di applicazione della normativa, devono essere interpretate in base a due criteri: a tenore del principio interpretativo secondo cui le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente ( 57 ) e nell’ottica degli effetti negativi globali del progetto, con particolare riguardo all’art. 2, n. 1, della direttiva, che si riferisce alla «natura», alle «dimensioni» e all’«ubicazione» del progetto. Tali criteri si considerano coerenti con l’impatto globale del progetto sull’ambiente. Pertanto, quando gli allegati I e II ammettono limiti basati su una delle summenzionate caratteristiche, la direttiva 85/337 è coerente nel suo insieme e si riferisce alla stessa realtà descritta nell’art. 2, n. 1.

70.

In terzo ed ultimo luogo, si devono evitare le interpretazioni che privino di significato altre disposizioni della direttiva. Conformemente a tale criterio, una concezione galvanizzata e territorialmente ripartita riduce l’utilità dell’allegato IV. Come ho già ricordato al paragrafo 66 di queste conclusioni, tale allegato indica le informazioni che devono essere fornite dal committente dal progetto. Tra gli altri dati, si citano «le caratteristiche fisiche dell’insieme del progetto» ( 58 ), la valutazione «della quantità dei residui e delle emissioni (…) risultanti dall’attività del progetto proposto» ( 59 ) o la descrizione «delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette ad un impatto importante» del progetto proposto ( 60 ). È difficile immaginare che tali obblighi vengano osservati qualora si prendano in considerazione le porzioni di progetto ubicate nel territorio nazionale dell’autorità che avvia la VIA. Le «caratteristiche fisiche dell’insieme del progetto» possono essere esaminate solo valutando la dimensione globale del progetto e non solo quella nazionale. Il potenziale effetto inquinante viene correttamente valutato quando si prendono in considerazione i residui nel loro insieme e non già l’inquinamento dei singoli Stati membri.

71.

Ulteriori motivi a sostegno di un’interpretazione estensiva della nozione di «progetto» non si deducono esclusivamente dalla direttiva 85/337, ma dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

B — Il frazionamento dei progetti assoggettati a VIA secondo la giurisprudenza

72.

Sebbene la causa in esame ponga per la prima volta la questione se una frontiera nazionale costituisca un limite ai «progetti» assoggettati alla direttiva 85/337, non è nuova alla giurisprudenza la circostanza che gli Stati membri facciano valere la frammentazione delle opere soggette a valutazione d’impatto ambientale per eludere il diritto comunitario. Non vi sono precedenti appropriati per la causa di cui si discute, ma sono illuminanti, in proposito, le sentenze in materia di estensione di opere, di esecuzione parziale di opere nel settore delle reti dei trasporti o di interventi posticipati e scaglionati nel tempo. In tutti i casi i giudici comunitari hanno accolto un’interpretazione estensiva della direttiva 85/337, respingendo i tentativi di ridurne l’ambito di applicazione.

73.

Nella causa Commissione/Spagna ( 61 ) veniva contestato il mancato assoggettamento a VIA del progetto di linea ferroviaria di tredici km che univa le città di Las Palmas e Oropesa. Tale iniziativa faceva parte di un programma di più ampia portata denominato «Corridoio del mediterraneo», una linea ferroviaria di 251 km che doveva attraversare la costa orientale spagnola, da Tarragona a Valenza. Il governo spagnolo sosteneva che il tronco di riferimento era l’unico soggetto ad analisi e che, per la sua lunghezza, non poteva essere classificato come «tronco ferroviari per il traffico a grande distanza», ai sensi del punto n. 7, dell’allegato I della direttiva 85/337. La Corte di giustizia ha respinto decisamente tale argomento, richiamando l’effetto utile della direttiva, che altrimenti potrebbe essere seriamente compromesso, poiché «per le autorità nazionali interessate sarebbe sufficiente frazionare un progetto attinente al traffico a lunga distanza in una serie di tronchi successivi di modesta importanza per sottrarre alle prescrizioni della detta direttiva tanto il progetto complessivamente considerato quanto i tronchi risultanti da tale frazionamento» ( 62 ). Inoltre, l’avvocato generale Poiares Maduro, nelle sue conclusioni relative a tale causa, ha rilevato che, generalmente, le opere di grandi dimensioni, come quella allora in discussione, vengono realizzate per tappe ( 63 ). L’accoglimento della tesi sostenuta dal governo spagnolo avrebbe avuto l’effetto di escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 85/337 non soltanto la citata linea ferroviaria, ma anche un’ingente quota delle opere pubbliche intraprese dagli Stati membri.

74.

Le difficoltà inerenti ai progetti realizzati in varie fasi sono state poste in evidenza nelle cause Wells ( 64 ), Commissione/Regno Unito ( 65 ) e Barker ( 66 ), in cui la Corte di giustizia ha ribadito la necessità di studiare tali fasi complessivamente. Per evitare che la segmentazione delle fasi amministrative alterasse il contenuto del progetto e che, di conseguenza, la direttiva 85/337 non trovasse applicazione, la giurisprudenza ha confermato che la VIA «deve essere complessiva, in modo da riguardare tutti gli aspetti del progetto», anche se non sono ancora stati valutati o necessitano di una nuova valutazione ( 67 ), Insomma, non è possibile frazionare la supervisione imposta dalla direttiva 85/337 senza che le diverse fasi burocratiche di un progetto rischino di compromettere il conseguimento dei suoi obiettivi.

75.

Qualcosa di simile accade qualora la VIA non sia stata effettuata perché l’opera in questione, in via di principio sottratta all’audit ambientale, implica una modifica o un ampliamento di un’altra opera che figura negli allegati della direttiva 85/337. Tale circostanza si è verificata nella causa Abraham e a. ( 68 ) che opponeva i residenti delle adiacenze dell’aeroporto di Liegi-Bierset alle autorità che ne promuovevano l’ampliamento, per consentirne un uso 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno. Il punto 7 dell’allegato I della direttiva prevedeva l’obbligo di sottoporre a VIA la «costruzione di (…) aeroporti con piste di decollo e di atterraggio lunghe almeno 2100 m». Tuttavia, non vi erano disposizioni che contemplassero l’ampliamento di un aeroporto, soprattutto qualora l’ampliamento non alterasse la dimensione della pista. In tale contesto, i lavori progettati implicavano la modifica delle infrastrutture dell’aeroporto, la costruzione di una torre di controllo, nuove bretelle di uscita dalle piste e talune zone di stazionamento, nonché lavori di sistemazione e di prolungamento delle zone di decollo e di atterraggio, pur senza modificare la lunghezza delle piste. La Corte di giustizia era consapevole del fatto che tale iniziativa comportava un forte impatto sull’ambiente e che sarebbe stato eluso l’obbligo di VIA con il pretesto che la lunghezza della pista rimaneva invariata. Utilizzando un criterio di valutazione globale, la sentenza, con l’obiettivo di salvaguardare l’effetto utile della direttiva 85/337, ha stabilito che i lavori «di modifica di un aeroporto la cui pista di decollo e atterraggio è di almeno 2100 metri di lunghezza non sono quindi rappresentati solo dai lavori aventi eventualmente per oggetto il prolungamento della pista, ma da tutti i lavori relativi agli edifici, alle installazioni o agli equipaggiamenti di tale aeroporto, qualora possano essere considerati, segnatamente alla luce della loro natura, della loro entità e delle loro caratteristiche, una modifica dell’aeroporto stesso» ( 69 ).

76.

Le menzionate sentenze riflettono la preoccupazione di impedire che il frazionamento di un progetto incida sull’obbligo di VIA. Con una valutazione globale dei progetti, la Corte afferma che l’impatto ambientale è un fenomeno che non conosce valori di lunghezza, capacità di produzione e di immagazzinamento. Nella causa Ecologistas en Acción-CODA, la Corte ha ricordato che «l’obiettivo della direttiva [85/337] modificata non può essere aggirato tramite il frazionamento di un progetto e che la mancata presa in considerazione dell’effetto cumulativo di più progetti non deve avere il risultato pratico di sottrarli nel loro insieme all’obbligo di valutazione laddove, presi insieme, essi possono avere un notevole impatto ambientale» ( 70 ).

77.

La formulazione di tale esigenza compare ripetutamente nella giurisprudenza, quale regola generale per tutti i casi che riguardano la direttiva in parola. Così, si ribadisce che «il (…) campo di applicazione [della direttiva] è vasto e il suo obiettivo di portata molto ampia» ( 71 ). Proprio per tale motivo, circoscrivere gli obblighi imposti dalla direttiva sarebbe incoerente, in particolare allorché, eludendo la VIA, vengano approvate opere con effetti potenzialmente dannosi per l’ambiente.

78.

Di conseguenza, se è vero che un progetto contemplato dall’allegato I della direttiva 85/337 è disciplinato dalle norme della direttiva medesima qualora sia eseguito in varie tappe, quando l’iter amministrativo comprenda diverse procedure o qualora venga modificato, lo stesso accade anche qualora la realizzazione di un’opera sia ripartita su diversi territori nazionali. Ad ogni modo, prima di concludere, è opportuno esaminare l’incidenza della componente territoriale nell’applicazione della direttiva 85/337.

C — Le frontiere nazionali come limite della VIA

79.

I muri eretti in Europa sono la testimonianza di un drammatico passato comune. Proprio allo scopo di abbattere palizzate e barriere si sono formate le Comunità europee, con la convinzione che le frontiere ostacolavano la crescita, lo sviluppo, la comunicazione e la convivenza tra i popoli. «Uniamo le persone, non gli Stati», affermava Jean Monnet descrivendo lo spirito integrazionista del suo progetto. Con tale opera di costruzione comune, la separazione fisica tra i paesi è andata progressivamente scomparendo sino al conseguirsi della fusione, con l’entrata in vigore dell’accordo di Schengen ( 72 ).

80.

Poiché le persone, le merci, i servizi e i capitali circolano nel perimetro europeo senza restrizioni, sarebbe paradossale ripristinare tali barriere per un fenomeno che, per sua stessa natura, non conosce paesi né continenti: l’inquinamento. Pertanto, se la politica comunitaria in materia ambientale prevede la lotta contro l’inquinamento tra diversi Stati membri, sapendo che tale battaglia non si ingaggia da una sola parte, sarebbe incongruente frazionare i progetti soggetti a VIA a seconda del territorio in cui sono ubicati.

81.

Tale affermazione si basa sulla stessa direttiva 85/337, il cui art. 7 descrive i canali della cooperazione interstatale allorché un’opera attraversa diversi paesi dell’Unione. Un identico principio si deduce dalla Convenzione di Espoo, del 25 febbraio 1991, sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero ( 73 ). Il citato art. 7 della direttiva 85/337 è conforme ai principi di tale Convenzione e, ai nn. 1 e 2, prevede la possibilità che uno Stato membro presti la propria collaborazione in una procedura VIA avviata in un altro Stato membro, laddove il progetto sia realizzato nel primo Stato ( 74 ). Tale possibilità non costituisce l’unica forma di cooperazione ai sensi della normativa in parola. Al contrario, se un’opera viene intrapresa parallelamente in diversi Stati membri, tutti gli Stati interessati dovranno effettuare la VIA, pur cooperando reciprocamente nelle rispettive procedure. In mancanza di una valutazione di dimensioni europee, si impone la cooperazione ( 75 ).

82.

Tuttavia, tale valutazione congiunta deve seguire criteri comuni, come una nozione uniforme e globale di «progetto», poiché, altrimenti, la cooperazione verrebbe ridotta ad una farsa, sottraendo il progetto agli obblighi sanciti dalla direttiva 85/337. Nella presente controversia dobbiamo presumere che in Italia sia stata applicata la normativa VIA, giacché la parte del progetto ubicata in tale paese supera i 15 km di lunghezza. La mia inquietudine aumenta al pensiero di una variante della situazione di cui alla causa principale: un progetto transfrontaliero di complessivi ventinove chilometri di lunghezza, che fosse ubicato per quattordici chilometri e mezzo in ognuno dei due Stati, ai sensi dell’allegato I sfuggirebbe alla VIA in entrambi i paesi, con il rischio di escludere l’intera iniziativa da qualsiasi forma di supervisione, mettendo in luce le conseguenze inquietanti che deriverebbero dall’accoglimento della tesi difesa dall’Alpe Adria.

83.

Ritengo pertanto che una frontiera nazionale non costituisca un limite ai fini della definizione dei «progetti» contemplati dalla direttiva 85/337. Di conseguenza, uno Stato membro deve prevedere l’obbligo di valutazione dei progetti indicati nell’allegato I della direttiva medesima, in particolare al punto 20, nel caso di un progetto di impianto da realizzarsi sul territorio di due o più Stati membri, qualora la soglia che determina l’obbligo di valutazione venga raggiunta non nel tratto ubicato all’interno delle sue frontiere, bensì computando anche la parte programmata nello Stato o negli Stati confinanti.

VII — Conclusione

84.

A tenore delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di giustizia di risolvere la questione pregiudiziale formulata dall’Umweltsenat dichiarando che:

«La direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, va interpretata nel senso che uno Stato membro deve prevedere un obbligo di valutazione per i progetti indicati nell’allegato I della direttiva medesima, in particolare al punto 20, nel caso di un progetto di impianto da realizzarsi sul territorio di due o più Stati membri, qualora la soglia che determina l’obbligo di valutazione venga raggiunta non nel tratto ubicato all’interno delle sue frontiere, bensì computando anche la parte programmata nello Stato o negli Stati confinanti».


( 1 ) Lingua originale: lo spagnolo.

( 2 ) Direttiva del Consiglio 27 giugno 1985 (GU L 175, pag. 40).

( 3 ) Conclusioni presentate il 28 giugno 2001 (sentenza 29 novembre 2001, causa C-17/00, Racc. pag. I-9445).

( 4 ) BGB1 n. 697/1993, modificata, da ultimo, dalla BGB1 n. 153/2004.

( 5 ) Sentenza 30 giugno 1966, causa 61/65 (Racc. pag. 408).

( 6 ) Sentenza 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e a. (Racc. pag. I-1577).

( 7 ) Conclusioni cit., paragrafi 75-79.

( 8 ) In un classico della dottrina, Robert Lecourt identificava i componenti di una Comunità di diritto nell’esistenza di un’unica norma, di un unico giudice e di un’unica autorità. Un chiaro trinomio che attribuisce una speciale posizione ai giudici nazionali (L’Europe des juges, ed. Bruylant, Bruxelles, 1976, pag. 221).

( 9 ) Dubos, O., Les juridictions nationales, juge communautaire, ed. Dalloz, Parigi, 2001, pag. 723.

( 10 ) Sentenza 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend en Loos (Racc. pag. 3 e segg.).

( 11 ) Sentenze 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa/ENEL (Racc. pag. 1129) e 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629).

( 12 ) Sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357).

( 13 ) Sentenza 14 luglio 1977, causa 8/77, Sagulo e a. (Racc. pag. 1495).

( 14 ) Sentenza 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I-4951).

( 15 ) Alcuni autori hanno affermato che la storia della cooperazione tra giudici è la storia dell’integrazione europea. Martinico, G., L’integrazione silente. La funzione interpretativa della Corte di giustizia e il diritto costituzionale europeo, ed. Jovene, 2009, pag. 138. Come spiega giustamente Dubos, O., op. cit., pag. 74, riferendosi alle sentenze Van Gend en Loos e Costa/Enel: «Si le Président Lecourt a pu s’interroger sur ce qu’aurait été le droit des Communautés sans les arrêts de 1963 et 1964, il convient encore une fois de rappeler que ces arrêts fondateurs comme tant d’autres, ont été rendus suite à une question préjudicielle, et que l’article 234 est un indice de l’immédiateté et de la primauté du droit communautaire. Dès lors qu’eût été le droit des Communautés sans l’article 234?»

( 16 ) Dehousse, R., The European Court of Justice, ed. MacMillan, Londra, 1998, pagg. 109 -114.

( 17 ) Conclusioni cit. (paragrafi 87-95).

( 18 ) Sentenza 30 maggio 2002 (causa C-516/99, Racc. p. I-4573), punto 34.

( 19 ) Sentenza 31 maggio 2005, causa C-53/03 (Racc. pag. I-4609, punti 31-35).

( 20 ) Mancini, G.F., Democracy and Constitutionalism in the EU, ed. Hart, Oxford-Portland, 2001, pag. 23, esprime tale concetto con grande convinzione, quando pone in rilievo il ruolo strategico della questione pregiudiziale nell’architettura giudiziaria europea: «it seems indisputable that the only way of preventing Community law from disintegrating as a result of divergent interpretations — and thus losing its validity or rather its nature as law — was to safeguard as much as possible the role of helmsman conferred upon the Court by Article [234]»

( 21 ) Ho già avuto modo di esprimere l’esigenza di conciliare la funzionalità del sistema con il carattere giurisdizionale del dialogo previsto dall’art. 234 CE. V., Ruiz-Jarabo Colomer, D., El juez nacional como juez comunitario, ed. Civitas, Madrid, 1993, pagg. 71 e 72. V., inoltre, Chalmers, D., Hadjiemmanuil, C., Monti, G. e Tomkins, A., European Union Law, ed. Cambridge University Press, 2006, pag. 293.

( 22 ) Inter alia, gli Immigration Adjudicators dell’ordinamento britannico (sentenza 2 marzo 1999, causa C-416/96, Eddline El-Yassini, Racc. pag. I-1209), gli enti disciplinari di categoria (sentenza 6 ottobre 1981, causa 246/80, Broekmeulen, Racc. pag. 2311), la Commissione federale tedesca di controllo dell’aggiudicazione degli appalti (sentenza 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961), e le commissioni tributarie (sentenza De Coster, cit.).

( 23 ) V. le mie conclusioni 24 maggio 2007, causa C-195/06, Osterreicher Rundfunk (sentenza 18 ottobre 2007, Racc. Pag. I-8817), e 22 novembre 2007, causa C-393/06, Ing. Aigner (sentenza 10 aprile 2008, Racc. Pag. I-2339).

( 24 ) Conclusioni 5 marzo 2009, causa C-148 (ancora pendente).

( 25 ) Conclusioni cit. nella nota precedente, paragrafi 51-53.

( 26 ) Conclusioni cit., paragrafi 83-86.

( 27 ) Ordinanza 14 maggio 2008, causa C-109/07, Pilato (Racc. pag. I-3503), in cui si doveva stabilire se la «Prud’homie de pêche de Martigues» sia un «organo giurisdizionale» sebbene non sia inquadrata nella struttura giurisdizionale francese. La Corte di giustizia ha esaminato tale questione applicando attentamente i requisiti Vaassen-Goebbels e ha dichiarato la questione irricevibile.

( 28 ) In merito a tale processo rivoluzionario ed alla sua influenza sull’amministrazione della giustizia in Francia, si veda l’opera classica di Seligman, E., La Justice en France pendant la Révolution, 1789 — 1792, ed. Plon, Parigi, 1913.

( 29 ) García de Enterría, E., Las Transformaciones de la Justicia Administrativa: de excepción singular a la plenitud jurisdiccional. ¿Un cambio de paradigma?, ed. Thomson-Civitas, Madrid, 2007, pagg. 37 e 38.

( 30 ) Sull’evoluzione storica di tale fenomeno in Europa fino allo stadio attuale, v., Bouineau, J., Traité d’histoire européenne des institutions. XVI — XX siècle, tomo II, ed. Litec, Parigi, 2009.

( 31 ) Fromont, M., «Droit administratif des États européens», ed. PUF, Parigi, 2006, pagg. 120-135.

( 32 ) In sintonia con l’enunciato dell’art. 6, n. 3,TUE, la giurisprudenza ha mostrato in numerose occasioni di avere rispetto per le tradizioni costituzionali degli Stati membri. V., tra le altre, sentenze 2 luglio 1996, causa C-473/93, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I-3207) e 14 ottobre 2004, causa C-36/02, Omega (Racc. pag. I-9609). In tal senso, anche l’avvocato generale Poiares Maduro, nelle sue conclusioni relative alla causa Michaniki (sentenza 16 dicembre 2008, causa C-213/07, Racc. pag. I-9609) e de Berranger, T., Constitutions nationales et construction communautaire, ed. LGDJ, Parigi, 1995, pagg. 249-492.

( 33 ) Sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88 (Racc. pag. 1839).

( 34 ) «Sarebbe peraltro contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva aventi i requisiti sopramenzionati, allo scopo di far censurare l’operato dell’amministrazione, e al contempo ritenere che l’amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi. Ne segue che, qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni» (sentenza Fratelli Costanzo, cit., punto 31).

( 35 ) Sentenza 9 settembre 2003, causa C-198/01 (Racc. pag. I-8055, punto 49).

( 36 ) Sentenza 29 aprile 1999, causa C-224/97, (Racc. pag. I-2517, punto 26).

( 37 ) Alonso García, R., critica tale linea giurisprudenziale in Derecho comunitario. Sistema constitucional y administrativo de la Comunidad Europea, ed. Centro de Estudios Ramón Areces, Madrid, 1994, pagg. 332 e 333. La praticabilità della dottrina Fratelli Costanzo nei nuovi Stati membri dell’Unione è criticata anche da Bobek, M., Thou Shalt Have Two Masters; The Application of European Law by Administrative Authorities in the New Member Status, in «Review of European Administrative Law», vol. 1, no1, 2008, pagg. 62 e 63.

( 38 ) Bobek, M., cit. supra, percepisce la presenza di un fattore di «profondo disturbo», dall’ottica della separazione dei poteri, latente nella giurisprudenza Costanzo.

( 39 ) Sentenze 14 ottobre 1987, B267/86 (VfSlg. 11.500); 24 febbraio 1999, B1625/98-32 (VfSlg. 15.427); 29 giugno 2000, G175/95 (VfSlg 15.886), e 13 giugno 2001, G 141/00 (VfSlg 16.189).

( 40 ) Artt. 9 e 10 dell’USG 2000.

( 41 ) Art. 67f, n. 2, dell’AVG.

( 42 ) Art. 40, n. 2, dell’UVP-G 2000.

( 43 ) Art. 64, n. 1, dell’AVG.

( 44 ) Art. 19, n. 1, dell’UVP-G 2000.

( 45 ) Art. 67d, n. 1, dell’AVG.

( 46 ) Art. 10 dell’AVG.

( 47 ) Con l’unica eccezione di un eventuale ricorso dinanzi al Verfassungsgerichtshof, ma tale possibilità è circoscritta alla violazione di una disposizione costituzionale.

( 48 ) Primo ‘considerando’ della direttiva 85/337. Con riferimento agli scopi preventivi della politica ambientale europea, v. Jans, J.H. e Vedder, H.H.B., European Environmental Law, 3a ed., Ed. Europea Law Publishing, Gröningen, 2008, pagg.40-42.

( 49 ) Tale allegato si riferisce alle «caratteristiche dei progetti», alla loro «localizzazione» e alle caratteristiche del «potenziale impatto», descrivendo ciascuna categoria con criteri che limitano il potere discrezionale degli Stati membri imponendo i propri parametri.

( 50 ) Su tale punto, v. sentenze 24 ottobre 1996, causa C-72/96, Kraaijeveld e a. (Racc. pag. I-5403, punto 50); 21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I-5901, punto 65); 16 settembre 1999, causa C-435/97, WWF e a. (Racc. pag. I-5613, punto 36); 13 giugno 2002, causa C-474/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-5293, punto 31); 16 marzo 2006, causa C-332/04, Commissione/Spagna (Racc. Pag. I-40, punto 76), e 23 novembre 2006, causa C-486/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I-11025, punto 53).

( 51 ) L’allegato IV prevede che vengano fornite una descrizione del progetto, una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal committente, una descrizione delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette ad impatto, nonché una descrizione degli effetti più importanti. Si prevede inoltre l’obbligo di fornire una descrizione delle misure previste per ridurre gli effetti negativi del progetto insieme ad un sommario delle eventuali difficoltà incontrate dal committente nella raccolta dei dati richiesti.

( 52 ) Tale approccio risponde alla necessità di mantenere la coerenza dell’insieme di un testo normativo, come ha affermato la Corte di giustizia, inter alia, nelle sentenze 27 gennaio 2000, causa C-164/98 P, DIR International Film e a./Commissione, Racc. pag. I-447, punti 21-30), e 15 giugno 1993, causa C-225/91, MATRA/Commissione (Racc. pag. I-3203, punto 41).

( 53 ) Punti 1, 2, 5 e 18, lett. b).

( 54 ) Punti 10, 12, 13, 15, 18, lett. b) e 21.

( 55 ) Punti 7, 8, 16, 19 e 20.

( 56 ) Moreno Molina, A.M., Derecho comunitario del medio ambiente. Marco institucional, regulación sectorial y aplicación en España, ed. Marcial Pons, Madrid, 2006, pag. 201.

( 57 ) Sentenze 10 dicembre 1968, causa 7/68, Commissione/Italia (Racc. pag. 542); 28 ottobre 1999, causa C-6/98, ARD (Racc. pag. I-7599, punti 9-31, e 17 giugno 1998, causa C-321/96, Mecklenburg/Kreis Pinneberg (Racc. pag. I-3809, punto 25).

( 58 ) Punto n. 1, primo trattino, dell’allegato IV.

( 59 ) Punto n. 1, terzo trattino, dell’allegato IV.

( 60 ) Punto n. 3 dell’allegato IV.

( 61 ) Sentenza 16 settembre 2004, causa C-227/01 (Racc. pag. I-8253).

( 62 ) Sentenza cit. supra, punto 53.

( 63 ) Conclusioni 24 marzo 2004. Al paragrafo 48, l’avvocato generale sostiene quanto segue: «[p]osto che la costruzione di una linea ferroviaria di 251 km viene effettuata per tappe, seguire il ragionamento propugnato dal Regno di Spagna potrebbe portare a non considerare mai un progetto specifico come attinente al traffico a grande distanza, in quanto i successivi segmenti della linea ferroviaria coprirebbero ciascuno modeste distanze e collegherebbero località vicine. Condividere una tale interpretazione della direttiva rischierebbe di restringere considerevolmente il campo di applicazione di quest’ultima e di compromettere la realizzazione dell’obiettivo da essa perseguito».

( 64 ) Sentenza 7 gennaio 2004, causa C-201/02 (Racc. pag. I-723).

( 65 ) Sentenza 4 maggio 2006, causa C-508/03 (Racc. pag. I-3969).

( 66 ) Sentenza 4 maggio 2006, causa C-290/03 (Racc. pag. I-3949).

( 67 ) Sentenza Barker, cit. nella nota precedente (punto 48).

( 68 ) Sentenza 28 febbraio 2008, causa C-2/07 (Racc. pag. I-1197).

( 69 ) Punto 36.

( 70 ) Sentenza 25 luglio 2008, causa C-142/07 (Racc. pag. I-6097, punto 44).

( 71 ) Sentenze Kraaijeveld e a., punto 31, WWF e a., punto 40, entrambe cit. supra alla nota 50; Commissione/Spagna, C-227/01, cit. supra alla nota 61, punto 46, e Abraham, cit. supra alla nota 68, punto 32.

( 72 ) Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990.

( 73 ) Testo al quale ha aderito la Comunità europea con decisione del Consiglio 15 ottobre 1996, relativa all’approvazione della Convenzione sulla valutazione d’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero (non pubblicata).

( 74 ) Tale ipotesi si deduce dall’art. 7, n. 2, a termini del quale: «[s]e uno Stato membro, cui siano pervenute le informazioni di cui al paragrafo 1, comunica che intende partecipare alle procedure decisionali in materia ambientale di cui all’art. 2, par. 2, lo Stato membro nel cui territorio è prevista la realizzazione del progetto provvede, se non lo ha già fatto, a trasmettere allo Stato membro coinvolto le informazioni che devono essere fornite ai sensi dell’articolo 6, par. 2 (…)». È vero che l’art. 7 ipotizza una situazione in cui il progetto viene realizzato in un solo Stato, ma gli effetti di tale progetto si ripercuotono sul paese o suoi paesi vicini.

( 75 ) Altrimenti avrebbe poco senso l’istituzione di una politica ambientale comunitaria. Sulla base dell’esperienza degli Stati federali, la Comunità ha elaborato un’agenda in questa materia per evitare le difficoltà legate alla pluralità delle legislazioni, nonché alla loro applicazione territoriale. È assai significativo al riguardo l’esempio degli Stati Uniti che, al pari della Comunità, combina strumenti giuridici armonizzati con un appello alla cooperazione tra gli Stati. V., Hall, N.D., Political Externalities, Federalism, and a Proposal for an Interstate Environmental Impact Assessment Policy, in «Harvard Environmental Law Review», no 32, 2008, e Revesz, R.L., Environmental Regulation in Federal Systems, in «Yearbook of European Environmental Law», Oxford University Press, 2000, pagg. 10 -14.