Causa C‑484/07

Fatma Pehlivan

contro

Staatssecretaris van Justitie

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank ‘s-Gravenhage)

«Accordo di associazione CEE-Turchia — Ricongiungimento familiare — Art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione — Figlio di un lavoratore turco che ha coabitato con quest’ultimo per oltre tre anni, ma ha contratto matrimonio prima della scadenza del termine di tre anni previsto dalla disposizione di cui trattasi — Diritto nazionale che mette in discussione, per questo motivo, il permesso di soggiorno dell’interessato»

Massime della sentenza

Accordi internazionali — Accordo di associazione CEE-Turchia — Consiglio di associazione istituito dall’accordo di associazione CEE-Turchia — Decisione relativa alla libera circolazione dei lavoratori — Ricongiungimento familiare

(Decisione n. 1/80 del consiglio di associazione CEE-Turchia, art. 7, primo comma, primo trattino)

L’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE-Turchia dev’essere interpretato nel senso che:

– tale disposizione osta a una normativa di uno Stato membro secondo la quale il familiare debitamente autorizzato a raggiungere un lavoratore migrante turco già inserito nel regolare mercato del lavoro di tale Stato perde il beneficio dei diritti fondati sul ricongiungimento familiare in virtù della medesima disposizione per il solo fatto di contrarre matrimonio una volta divenuto maggiorenne, pur continuando a coabitare con tale lavoratore durante i primi tre anni del suo soggiorno nello Stato membro ospitante;

– un cittadino turco al quale si applica detta disposizione può validamente rivendicare un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante sulla base della stessa disposizione, a prescindere dal fatto che abbia contratto matrimonio prima della scadenza del periodo di tre anni previsto da detto primo comma, primo trattino, allorché, durante tutto questo periodo, egli ha effettivamente coabitato con il lavoratore migrante turco per il cui tramite è stato ammesso sul territorio di tale Stato membro a titolo di ricongiungimento familiare.

Infatti, sia dal primato del diritto dell’Unione sia dall’effetto diretto di una disposizione come l’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 risulta che gli Stati membri non possono modificare unilateralmente la portata del sistema di graduale integrazione dei cittadini turchi nello Stato membro ospitante e, pertanto, non dispongono più della facoltà di adottare misure che possano pregiudicare lo status giuridico espressamente riconosciuto a tali cittadini dal diritto che promana dall’associazione CEE-Turchia. In tal senso, un familiare di un lavoratore turco che soddisfa le condizioni previste da detto art. 7, primo comma, può perdere i diritti che tale disposizione gli attribuisce solo in due casi, vale a dire quando la presenza del migrante turco nel territorio dello Stato membro ospitante costituisce, a causa del suo comportamento personale, un pericolo reale e grave per l’ordine pubblico, la sicurezza o la sanità pubbliche, ai sensi dell’art. 14, n. 1, della stessa decisione, oppure quando l’interessato ha lasciato il territorio del suddetto Stato per un periodo significativo e senza motivi legittimi.

(v. punti 56, 62, 66 e dispositivo)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

16 giugno 2011 (*)

«Accordo di associazione CEE-Turchia – Ricongiungimento familiare – Art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione – Figlio di un lavoratore turco che ha coabitato con quest’ultimo per oltre tre anni, ma ha contratto matrimonio prima della scadenza del termine di tre anni previsto dalla disposizione di cui trattasi – Diritto nazionale che mette in discussione, per questo motivo, il permesso di soggiorno dell’interessato»

Nel procedimento C‑484/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Rechtbank ’s-Gravenhage (Paesi Bassi), con decisione 22 ottobre 2007, pervenuta in cancelleria il 31 ottobre 2007, nella causa

Fatma Pehlivan

contro

Staatssecretaris van Justitie,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. J.‑J. Kasel (relatore), A. Borg Barthet, E. Levits e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 aprile 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la sig.ra Pehlivan, dall’avv. P.H. Hillen, advocaat;

–        per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re C. Wissels, M. de Mol e B. Koopman, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

–        per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;

–        per la Commissione europea, dai sigg. G. Rozet e M. van Beek, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 luglio 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»). Il Consiglio di associazione è stato istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Pehlivan, cittadina turca, e lo Staatssecretaris van Justitie (segretario di Stato alla Giustizia; in prosieguo: lo «Staatssecretaris»), in merito alla revoca del permesso di soggiorno alla stessa rilasciato nonché ad un procedimento di espulsione dal territorio olandese a suo carico.

 Contesto normativo

 L’associazione CEE-Turchia

3        L’art. 59 del protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1), è così formulato:

«Nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato che istituisce la Comunità».

4        La sezione 1 del capitolo II della decisione n. 1/80, intitolato «Disposizioni sociali», riguarda i «[p]roblemi relativi all’occupazione e alla libera circolazione dei lavoratori». Tale sezione include gli artt. 6‑16 della decisione in parola.

5        Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80:

«Fatte salve le disposizioni dell’articolo 7, relativo al libero accesso dei familiari all’occupazione, il lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ha i seguenti diritti:

–        rinnovo, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego, del permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se dispone di un impiego;

–        candidatura, in tale Stato membro, ad un altro posto di lavoro, la cui regolare offerta sia registrata presso gli uffici di collocamento dello Stato membro, nella stessa professione, presso un datore di lavoro di suo gradimento, dopo tre anni di regolare impiego, fatta salva la precedenza da accordare ai lavoratori degli Stati membri della Comunità;

–        libero accesso, in tale Stato membro, a qualsiasi attività salariata di suo gradimento, dopo quattro anni di regolare impiego».

6        L’art. 7 della decisione n. 1/80 così dispone:

«I familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro:

–        hanno il diritto di rispondere, fatta salva la precedenza ai lavoratori degli Stati membri della Comunità, a qualsiasi offerta di impiego, se vi risiedono regolarmente da almeno tre anni;

–        beneficiano del libero accesso a qualsiasi attività dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni.

I figli dei lavoratori turchi che hanno conseguito una formazione professionale nel paese ospitante potranno, indipendentemente dal periodo di residenza in tale Stato membro e purché uno dei genitori abbia legalmente esercitato un’attività nello Stato membro interessato da almeno tre anni, rispondere a qualsiasi offerta d’impiego in tale Stato membro».

7        L’art. 14 della stessa decisione ha il seguente tenore:

«1. Le disposizioni della presente sezione vengono applicate fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubbliche.

2.      Esse non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti dalle legislazioni nazionali o dagli accordi bilaterali esistenti tra la Turchia e gli Stati membri della Comunità, qualora questi contemplino, a favore dei loro cittadini, un regime più favorevole».

 La normativa nazionale

8        La legge 23 novembre 2000, recante totale revisione della legge sugli stranieri (Wet tot algehele herziening van de Vreemdelingenwet, Stb. 2000, n. 495 ; in prosieguo: la «Vw 2000»), è entrata in vigore il 1° aprile 2001. A partire da tale ultima data trovano applicazione nei Paesi Bassi anche il decreto sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenbesluit 2000, Stb. 2000, n. 497; in prosieguo: il «Vb 2000»), nonché il regolamento sugli stranieri del 2000 (Voorschrift Vreemdelingen 2000, Stcrt. 2001, n. 10). Nella circolare sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingencirculaire 2000; in prosieguo: la «Vc 2000»), lo Staatssecretaris ha spiegato come intendesse applicare la Vw 2000 e il Vb 2000.

9        L’art. 14 della Vw 2000 così dispone:

«1.      Il nostro ministro ha la facoltà:

a)      di accogliere, rigettare o non esaminare la domanda di rilascio di un permesso di soggiorno a tempo determinato;

b)      accogliere, rigettare o non esaminare la domanda di proroga della durata di validità del permesso in parola;

c)      di modificare un permesso di soggiorno a tempo determinato, su richiesta del titolare del medesimo o d’ufficio a causa di un mutamento di circostanze;

d)      di revocare un permesso di soggiorno a tempo determinato;

(…)

2.      Un permesso di soggiorno a tempo determinato viene rilasciato con limitazioni, che si ricollegano allo scopo per cui il soggiorno è autorizzato. Al permesso possono essere collegate delle prescrizioni. Con decreto avente forza di legge o sulla base dello stesso possono essere stabilite disposizioni sulle limitazioni e sulle prescrizioni.

3.      Il permesso di soggiorno a tempo determinato viene rilasciato per un periodo massimo di cinque anni consecutivi. Con decreto avente forza di legge vengono fissate norme sulla durata della validità del permesso di soggiorno e sulla proroga del medesimo».

10      Ai sensi dell’art. 18, n. 1, della Vw 2000:

«Una domanda di proroga della durata di validità di un permesso di soggiorno a tempo determinato, ai sensi dell’art. 14, può essere rigettata qualora:

(…)

c)      lo straniero abbia fornito dati inesatti o abbia omesso di comunicare dati che avrebbero determinato il rigetto della domanda originaria di rilascio o di proroga del permesso di soggiorno;

(…)

f)      non è soddisfatta la limitazione a cui è stato assoggettato il permesso di soggiorno o una prescrizione ad esso collegata;

(…)».

11      Ai sensi dell’art. 19 della Vw 2000, il permesso di soggiorno a tempo determinato può essere revocato per i motivi indicati all’art. 18, n. 1, della medesima legge.

12      In forza dell’art. 3.24 del Vb 2000, il permesso di soggiorno a tempo determinato, di cui all’art. 14 della Vw 2000, può essere subordinato a una limitazione relativa al ricongiungimento familiare ad un familiare di un cittadino olandese o di uno straniero in situazione di soggiorno regolare ai sensi di tale legge, diverso dal coniuge, dal partner titolare di un contratto di convivenza o dal figlio minorenne, qualora lo straniero, a giudizio dello Staatssecretaris, faccia di fatto parte, e facesse di fatto già parte nel paese di origine, della famiglia della persona presso cui questo straniero vuole soggiornare e la separazione dello straniero sarebbe una misura di una severità sproporzionata.

13      L’art. 3.51, n. 1, del Vb 2000, così dispone:

«Il permesso di soggiorno a tempo determinato, ai sensi dell’art. 14 del Vw 2000, subordinato a una limitazione relativa alla prosecuzione del soggiorno, può essere rilasciato allo straniero che soggiorna tre anni nei Paesi Bassi quale titolare di un permesso di soggiorno soggetto ad una condizione ricollegata a:

a)      ricongiungimento familiare o creazione di un nucleo familiare con una persona avente un diritto di soggiorno non temporaneo;

(…)».

14      L’art. 3.52 del Vb 2000 prevede che il permesso di soggiorno a tempo determinato, ai sensi dell’art. 14 del Vw 2000, possa essere rilasciato, subordinatamente alla limitazione relativa alla «prosecuzione del soggiorno», in casi diversi da quelli contemplati, in particolare, dall’art. 3.51, allo straniero che soggiorni regolarmente nei Paesi Bassi ai sensi di tale medesima legge e dal quale, a giudizio dello Staatssecretaris, a causa di circostanze individuali particolari, non si può pretendere che lasci il territorio olandese.

15      La Vc 2000 espone, segnatamente, la politica perseguita dalle autorità olandesi nell’ambito della decisione n. 1/80. Nella sezione B11/3.5 di tale circolare, secondo la sua formulazione alla data dei fatti della causa principale, in ordine all’art. 7 di detta decisione si menzionava in particolare quanto segue:

«Commento alle nozioni di “familiari”: il coniuge del lavoratore turco e i loro discendenti di età inferiore ai 21 anni o che siano a loro carico. E gli ascendenti di questo lavoratore e del suo coniuge che siano a loro carico (…)

“regolare residenza”: questa nozione presuppone che il familiare, per il periodo ininterrotto di tre o cinque anni, debba abitare effettivamente presso il lavoratore turco (…). Nel calcolo di questo periodo occorre tuttavia tenere conto di brevi interruzioni della vita comune, che non implicano l’intenzione di rinunciare alla convivenza medesima. Si pensi ad esempio ad un’assenza dalla residenza comune per un periodo ragionevole per validi motivi, oppure ad un soggiorno involontario inferiore a sei mesi che l’interessato ha trascorso nel suo paese di origine (…)».

16      Per quanto riguarda la prosecuzione del soggiorno dei familiari, la sezione B11/3.5.1 della Vc 2000 prevede, in particolare, quanto segue:

«(…) le disposizioni nazionali sul ricongiungimento familiare e sulla creazione di un nucleo familiare (…) di norma offrono ai familiari, già di per sé, il diritto di lavorare e vanno pertanto oltre quanto prescritto dalla decisione di associazione n. 1/80. Inoltre, ai sensi della normativa nazionale, al familiare minorenne, titolare in quanto minorenne di un permesso di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare con una persona titolare di un diritto di soggiorno non temporaneo, viene rilasciato già dopo un anno, su sua domanda, un permesso di soggiorno autonomo per la prosecuzione del soggiorno (…)

“Tre anni di regolare residenza”: dopo tre anni di regolare residenza vale la norma generale secondo cui i familiari di un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro, i quali hanno ottenuto il soggiorno nei Paesi Bassi ai fini del ricongiungimento familiare con il lavoratore turco, hanno il libero accesso ad ogni lavoro di loro scelta. La circostanza che il familiare sia nato nei Paesi Bassi e pertanto non abbia dovuto chiedere un’autorizzazione per raggiungere il lavoratore turco nei Paesi Bassi ai fini del ricongiungimento familiare non è rilevante in tale sede (…)».

17      Quest’ultima precisazione contenuta nella Vc 2000 sta a significare che, nel diritto olandese, il libero accesso al mercato del lavoro, come definito all’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80, costituisce la regola alla scadenza di un periodo di soggiorno regolare di tre anni. Con questa disposizione più favorevole per i familiari di un lavoratore turco si deroga all’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80. Siffatta disposizione più favorevole deve trovare sempre applicazione.

18      Inoltre, dopo tre anni di soggiorno regolare nei Paesi Bassi, detti familiari possono chiedere un permesso di soggiorno autonomo per la prosecuzione del loro soggiorno. Tale permesso consente loro di accedere liberamente a qualsiasi impiego di loro scelta.

19      Dopo tre anni di residenza regolare nei Paesi Bassi, a norma dell’art. 7 della decisione n. 1/80, il soggiorno di un familiare non è più assoggettato a condizioni. La circostanza che, alla scadenza di tale periodo di tre anni, il lavoratore turco non sia più inserito nel regolare mercato del lavoro o che i legami familiari siano interrotti non ha più alcun effetto sul diritto di soggiorno del familiare in questione. Tale norma si applica a prescindere dal fatto che il familiare disponga o meno di un permesso di soggiorno autonomo.

20      La sezione B2/8.3 della Vc 2000, nella versione vigente alla data dei fatti della causa principale, è formulata nei termini seguenti:

«Il permesso di soggiorno non viene rilasciato se il figlio maggiorenne non fa effettivamente parte della famiglia del genitore, o non ne faceva già effettivamente parte nel paese di origine. “Fare effettivamente parte della famiglia” comporta che:

–        il legame familiare esistesse già all’estero;

–        sussista una dipendenza morale e finanziaria dal genitore, dipendenza che esisteva anche all’estero; e

–      lo straniero abiti con il genitore (i genitori).

Il figlio maggiorenne non fa più effettivamente parte della famiglia se il legame familiare effettivo può essere considerato interrotto. Ciò avviene in ogni caso in una o più delle circostanze che seguono:

–        lo straniero si inserisce in modo duraturo in un’altra famiglia e la persona presso cui intende risiedere non ha più la potestà (di fatto) sullo straniero medesimo;

–        lo straniero si inserisce in modo duraturo in un’altra famiglia e la persona presso cui intende risiedere non si accolla più i costi di educazione e assistenza relativi allo stesso;

–        lo straniero va a vivere da solo e provvede autonomamente al proprio mantenimento;

–        lo straniero forma una famiglia autonoma, contraendo matrimonio o avviando una relazione;

–        lo straniero provvede al mantenimento o ha l’obbligo di mantenimento di un figlio (naturale), di un figlio in affido o adottivo o di altri familiari dipendenti (…)».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

21      Dagli atti della causa principale risulta che la sig.ra Pehlivan, nata in Turchia il 7 agosto 1979, è stata ammessa a entrare nel territorio olandese l’11 maggio 1999, a titolo di ricongiungimento familiare con i genitori, di cui almeno uno già inserito nel regolare mercato del lavoro dei Paesi Bassi.

22      Per questo motivo, in data 1° agosto 1999, lo Staatssecretaris le ha rilasciato un permesso di soggiorno a tempo determinato con decorrenza dal 9 agosto successivo, subordinatamente alla prescrizione relativa al «ricongiungimento familiare allargato con i genitori». Le autorità olandesi hanno prorogato il periodo di validità di tale permesso per l’ultima volta sino al 24 luglio 2003.

23      È pacifico che, a decorrere dal 12 agosto 1999 e per un periodo superiore a tre anni, la sig.ra Pehlivan ha abitato presso la residenza olandese dei genitori.

24      Il 22 dicembre 2000, durante un soggiorno di breve durata in Turchia, la sig.ra Pehlivan ha contratto matrimonio con un cittadino turco, ma solo il 3 maggio 2002 ha comunicato all’Ufficio stranieri l’esistenza del matrimonio, che è stato registrato dal servizio competente del comune di residenza dell’interessata il 1° luglio seguente.

25      Da questa unione è nato un figlio il 30 marzo 2002.

26      Secondo le dichiarazioni della sig.ra Pehlivan, il coniuge è entrato nei Paesi Bassi nel 2002 come conducente di un autoarticolato turco e ha presentato in tale Stato membro una domanda di permesso di soggiorno. In seguito al rigetto di tale domanda, è stato espulso dal territorio olandese. Secondo la sig.ra Pehlivan, a partire dal mese di giugno 2002, il marito ha abitato per nove mesi con lei e i genitori presso la residenza familiare.

27      Il 10 febbraio 2004, lo scioglimento del matrimonio dei coniugi Pehlivan è stato pronunciato da un giudice turco.

28      Il 1° aprile 2005 la sig.ra Pehlivan ha lasciato la residenza dei genitori e si è trasferita con il figlio a un altro indirizzo nei Paesi Bassi.

29      Con decisione 13 ottobre 2003, con effetto retroattivo al 22 dicembre 2002, ossia alla data del matrimonio del sig. e della sig.ra Pehlivan, lo Staatssecretaris ha revocato il permesso di soggiorno di quest’ultima. Tale revoca è stata motivata adducendo la circostanza che, in forza del diritto olandese, si era ritenuto che la sig.ra Pehlivan avesse definitivamente interrotto il legame familiare effettivo con i suoi genitori per il fatto di avere contratto matrimonio.

30      Le autorità olandesi ne hanno dedotto che la sig.ra Pehlivan aveva risieduto legalmente nei Paesi Bassi solo fino al 22 dicembre 2000, ossia durante un periodo inferiore a tre anni, e che non potendosi quindi più utilmente avvalere dell’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80, doveva essere espulsa.

31      Considerando che la sua residenza effettiva presso i genitori si era protratta dopo il 22 dicembre 2000 e che la sua situazione rispetto alla richiamata disposizione della decisione n. 1/80 non era stata in nessun momento pregiudicata dal matrimonio, il 7 novembre 2003 la sig.ra Pehlivan ha proposto reclamo contro la decisione di espulsione pronunciata nei suoi confronti. In seguito al rigetto di tale reclamo, il 29 dicembre 2005, la stessa ha proposto ricorso dinanzi al Rechtbank ’s‑Gravenhage, chiedendo anche la sospensione dell’esecuzione di tale decisione di espulsione.

32      Secondo il giudice del rinvio, è pacifico che il padre della sig.ra Pehlivan dev’essere considerato un lavoratore turco ai sensi della decisione n. 1/80 e che egli è inserito nel regolare mercato del lavoro dello Stato membro ospitante.

33      Tra le parti della causa principale è altresì pacifico che dal 12 agosto 1999 la sig.ra Pehlivan ha effettivamente coabitato con i genitori per un periodo ininterrotto di almeno tre anni.

34      Ritenendo che la soluzione della controversia di cui è investito dipenda dalla questione se quest’ultima circostanza sia sufficiente affinché la sig.ra Pehlivan soddisfi la condizione di cui all’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n.1/80, relativa alla residenza regolare per un periodo di tre anni nello Stato membro ospitante, e possa quindi validamente avvalersi dei diritti che tale disposizione le conferisce, il Rechtbank ’s‑Gravenhage ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      a)     Se l’art. 7, primo comma, primo trattino, [della decisione n. 1/80] debba essere interpretato nel senso che questo articolo trova già applicazione allorché un familiare abbia convissuto di fatto per tre anni con un lavoratore turco, senza che il diritto di soggiorno del familiare in questione nel corso dei detti tre anni sia stato messo in discussione dalle autorità nazionali competenti.

b)      Se l’art. 7, primo comma, primo trattino [della decisione n. 1/80] osti a che uno Stato membro possa stabilire durante i tre anni che, ove il familiare autorizzato a raggiungere il lavoratore contragga matrimonio, non possano essere acquisiti diritti ulteriori in forza di questa disposizione, anche se il familiare continua a vivere con il lavoratore turco.

2)               Se l’art. 7, primo comma, primo trattino, [della decisione n. 1/80] oppure qualche altra disposizione di diritto comunitario e/o qualche altro principio di detto diritto, osti a che le autorità nazionali competenti, allo scadere del suddetto periodo di tre anni, mettano in discussione con effetto retroattivo il diritto di soggiorno dello straniero interessato in forza della normativa nazionale in relazione alla questione se si tratti di un familiare e/o se il suo soggiorno sia stato regolare nel corso di detti tre anni.

3)      a)     Se per risolvere le questioni che precedono sia anche determinante che lo straniero abbia nascosto dei dati – intenzionalmente o meno – che, in forza della normativa nazionale, rilevino ai fini del diritto di soggiorno. E in caso affermativo, in che senso lo sia.

b)      Se a tal fine sia determinante che i dati di cui trattasi siano emersi nel menzionato periodo di tre anni, oppure dopo lo scadere del medesimo, tenendo conto del fatto che le autorità nazionali competenti, una volta emersi tali dati, devono eventualmente svolgere una (ulteriore) indagine per poter prendere una decisione. In caso di risposta affermativa, in che senso lo sia».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

35      Dalla decisione del giudice del rinvio risulta che la domanda di pronuncia pregiudiziale del Rechtbank ’s‑Gravenhage riguarda la situazione di una cittadina turca che, in qualità di figlia e, pertanto, di familiare di una coppia di migranti turchi di cui almeno uno era inserito nel regolare mercato del lavoro dei Paesi Bassi, è stata autorizzata a raggiungere i genitori sul territorio dello Stato membro ospitante ai fini del ricongiungimento familiare, sulla base dell’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80.

36      Il giudice del rinvio ha accertato che la sig.ra Pehlivan ha coabitato con i genitori per un periodo ininterrotto superiore a tre anni, ma le autorità olandesi hanno in seguito messo in discussione il suo diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, avendo la stessa contratto matrimonio prima della scadenza del periodo di tre anni previsto all’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80. A tale proposito, dette autorità si sono basate sul diritto nazionale, in forza del quale il legame familiare effettivo di un figlio maggiorenne con i genitori si considera interrotto con il matrimonio di quest’ultimo, in quanto non sussisterebbe più dipendenza morale ed economica del figlio dai genitori, cosicché, in un caso del genere, il permesso di soggiorno non potrebbe più validamente fondarsi sul ricongiungimento familiare.

37      Ciò premesso, occorre anzitutto decidere, come chiede in sostanza il giudice del rinvio con la sua prima questione, se una cittadina turca che versi nella situazione della ricorrente nella causa principale possa utilmente avvalersi dell’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80.

38      A tal fine, si deve in particolare stabilire se l’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 possa essere interpretato nel senso che, per un familiare di un lavoratore migrante turco, ammesso in uno Stato membro a titolo di ricongiungimento familiare con i genitori, il fatto di contrarre matrimonio prima della scadenza del periodo di tre anni previsto da tale disposizione abbia automaticamente l’effetto di rendere irregolare, ai sensi di tale medesima disposizione, la residenza dell’interessato nello Stato membro ospitante e se, di conseguenza, quest’ultimo possa validamente applicare una normativa nazionale in materia di soggiorno, del tipo di quella descritta al punto 20 della presente sentenza, a una cittadina turca come quella di cui alla causa principale, per la quale è assodato che, per tutto tale periodo, abbia effettivamente coabitato con i genitori.

 Sulla prima questione

39      Al fine di risolvere utilmente la prima questione, come delimitata nei due punti precedenti, occorre rammentare che l’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 ha un effetto diretto, per cui i cittadini turchi ai quali tale disposizione si applica hanno il diritto di avvalersene direttamente dinanzi ai giudici degli Stati membri per ottenere la disapplicazione delle norme di diritto interno contrarie a tale disposizione (v. in tal senso, segnatamente, sentenze 17 aprile 1997, causa C‑351/95, Kadiman, Racc. pag. I‑2133, punto 28, e 22 dicembre 2010, causa C‑303/08, Bozkurt, Racc. pag. I‑13445, punto 31).

40      Come emerge dalla stessa formulazione dell’art. 7, primo comma, l’acquisizione dei diritti previsti da tale disposizione è subordinata a due condizioni cumulative preliminari, ossia, da una parte, il fatto che la persona interessata debba essere un familiare di un lavoratore turco già inserito nel mercato regolare del lavoro dello Stato membro ospitante e, dall’altra parte, che sia stata autorizzata dalle competenti autorità di tale Stato a raggiungervi il lavoratore di cui trattasi (v. sentenza Bozkurt, cit., punto 26). Come esposto ai punti 21‑23 della presente sentenza, non vi è dubbio che, nella fattispecie, la sig.ra Pehlivan abbia soddisfatto tali condizioni.

41      Dato che dette condizioni preliminari risultano soddisfatte, ai fini dell’applicazione dell’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, resta da verificare se il cittadino turco interessato risieda regolarmente da un certo periodo sul territorio dello Stato membro ospitante (v., in particolare, sentenza 7 luglio 2005, causa C‑373/03, Aydinli, Racc. pag. I‑6181, punto 29).

42      Orbene, i periodi di residenza indicati ai due trattini dell’art. 7, primo comma, della medesima decisione, richiedono, per evitare di essere privati di qualsiasi efficacia, il riconoscimento, ai familiari di un lavoratore turco autorizzati a raggiungerlo nello Stato membro ospitante, di un diritto di soggiorno correlato durante tali periodi (v. citate sentenze Kadiman, punto 29, nonché Bozkurt, punti 31 e 36). Invero, il rifiuto di tale diritto svuoterebbe di contenuto l’autorizzazione concessa dallo Stato membro interessato al familiare di un lavoratore migrante turco a raggiungere quest’ultimo e rappresenterebbe la negazione stessa della possibilità così offerta all’interessato di risiedere sul territorio dello Stato membro ospitante.

43      Di conseguenza, un familiare di un lavoratore turco che, al pari della sig.ra Pehlivan, soddisfi le due condizioni preliminari rammentate al punto 40 della presente sentenza e che risieda regolarmente da più di tre anni sul territorio dello Stato membro ospitante dispone necessariamente, in detto Stato, di un diritto di soggiorno direttamente fondato su tale disposizione.

44      Per quanto attiene più specificamente al criterio della residenza regolare prima della scadenza del periodo iniziale di tre anni, menzionato all’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80, dalla giurisprudenza costante della Corte emerge che i termini utilizzati dalle varie disposizioni della decisione n. 1/80 sono nozioni di diritto dell’Unione che devono formare oggetto di un’interpretazione uniforme a livello dell’Unione europea, tenendo conto dello spirito e della finalità delle disposizioni in questione nonché del contesto nel quale esse si inseriscono, al fine di garantirne l’applicazione omogenea in tutti gli Stati membri (v., in particolare, sentenze 30 settembre 1997, causa C‑98/96, Ertanir, Racc. pag. I‑5179, punto 59, nonché 30 settembre 2004, causa C‑275/02, Ayaz, Racc. pag. I‑8765, punti 39 e 40).

45      A tale proposito, conformemente all’obiettivo generale perseguito dalla decisione in parola, che consiste nel migliorare nel settore sociale il regime di cui beneficiano i lavoratori turchi e i loro familiari per realizzare gradualmente la libera circolazione (v., in particolare, sentenza 16 marzo 2000, causa C‑329/97, Ergat, Racc. pag. I‑1487, punto 43), il sistema predisposto in particolare dall’art. 7, primo comma, della medesima decisione è volto a creare condizioni favorevoli al ricongiungimento familiare nello Stato membro ospitante. In un primo momento, ossia prima della scadenza del periodo iniziale di tre anni previsto al primo trattino di detta disposizione, essa è diretta a favorire l’impiego e il soggiorno nello Stato membro ospitante del lavoratore migrante turco che si trovi già regolarmente sul territorio di tale Stato mediante la presenza, presso tale lavoratore, dei suoi familiari. Il secondo trattino di tale medesima disposizione consolida poi la posizione dei familiari del lavoratore migrante turco accordando loro la possibilità di accedere a loro volta al mercato del lavoro di tale Stato membro, al fine di creare in quest’ultimo una situazione autonoma rispetto a quella di tale lavoratore e rafforzare così l’inserimento duraturo della famiglia nello Stato membro ospitante (v. sentenza Bozkurt, cit., punti 33 e 34 nonché la giurisprudenza citata).

46      La Corte ne ha dedotto che, in linea di principio e salvo sussistano motivi legittimi, il familiare è tenuto a risiedere effettivamente con il lavoratore migrante finché non abbia egli stesso il diritto di accedere al mercato del lavoro, ossia prima della scadenza del periodo di tre anni previsto dall’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 (v. sentenza Bozkurt, cit., punto 35). Come rilevato dalla Corte ai punti 42 e 44 della citata sentenza Kadiman, la situazione sarebbe diversa solo nell’ipotesi in cui circostanze obiettive giustificassero il fatto che il familiare in questione e il lavoratore migrante turco non vivano sotto lo stesso tetto nello Stato membro ospitante.

47      In questo contesto la Corte ha specificato che, rispetto tanto alla finalità essenziale dell’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, quanto allo spirito di tale disposizione, il ricongiungimento familiare che ha giustificato l’ingresso del familiare nel territorio dello Stato membro ospitante deve manifestarsi concretamente con la presenza continua del detto familiare presso il lavoratore, presenza che si concretizza mediante la coabitazione degli interessati, fino al momento in cui il familiare disponga, dopo tre anni, della possibilità di condurre un’esistenza indipendente da quella del genitore che gli ha consentito di inserirsi nello Stato membro ospitante (v. sentenza Ergat, cit., punto 36).

48      La Corte ha altresì interpretato l’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 nel senso che tale disposizione non impedisce allo Stato membro ospitante di sottoporre il diritto di soggiorno del familiare durante i primi tre anni a condizioni tali da garantire che la presenza del familiare di cui trattasi sul suo territorio sia conforme allo spirito e alla finalità di tale art. 7, primo comma (sentenza Kadiman, cit., punto 33).

49      Al fine di determinare l’esatta portata di tale interpretazione, occorre ricordare la logica del sistema alla base dell’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, come predisposto dalle parti contraenti.

50      A tale proposito, dalla giurisprudenza della Corte emerge chiaramente che, da un lato, la prima ammissione in uno Stato membro del familiare di un lavoratore turco già inserito nel regolare mercato del lavoro di tale Stato è disciplinata, in linea di principio, dal diritto nazionale di detto Stato, potere questo che si manifesta tramite l’autorizzazione concessa all’interessato, dalle autorità nazionali competenti, a raggiungere tale lavoratore (v. sentenza Ayaz, cit., punti 34 e 35).

51      Dall’altro lato, una volta trascorso il periodo iniziale di tre anni previsto dall’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80, lo Stato membro non ha più la facoltà di subordinare a condizioni il soggiorno sul suo territorio di un familiare di un lavoratore turco (v. sentenze Ergat, cit., punto 38, e 11 novembre 2004, causa C‑467/02, Cetinkaya, Racc. pag. I‑10895, punto 30).

52      Per quanto riguarda la fase intermedia, occorre considerare che, durante il periodo di tre anni a decorrere dall’accesso del familiare interessato nel territorio dello Stato membro ospitante, quest’ultimo dispone di taluni poteri per disciplinare il soggiorno dell’interessato, poteri che non sono però illimitati.

53      In particolare, come discende dalla formulazione stessa del punto 33 della citata sentenza Kadiman, lo Stato membro ospitante ha il diritto di subordinare il soggiorno di un familiare del lavoratore turco soltanto a condizioni dirette a garantire il pieno rispetto dell’obiettivo perseguito dall’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, assicurandosi che l’interessato non risieda sul suo territorio violando lo spirito e la finalità di tale disposizione, come rammentati al punto 45 della presente sentenza.

54      Dato che, durante tali tre anni, i familiari del lavoratore turco interessato non hanno il diritto, in linea di massima e fatto salvo un regime più favorevole, come previsto dall’art. 14, n. 2, della decisione n. 1/80, di condurre un’esistenza autonoma svolgendo un’occupazione, durante detto periodo il loro soggiorno nello Stato membro ospitante ha come sola e unica giustificazione il ricongiungimento familiare, che consente al lavoratore turco, per il cui tramite sono stati autorizzati ad accedere al territorio di tale Stato, di soggiornarvi in presenza dei suoi familiari.

55      Di conseguenza, lo Stato membro ospitante può validamente imporre che, durante il periodo iniziale di tre anni, il familiare in questione continui a risiedere effettivamente con il lavoratore migrante turco interessato.

56      Per converso, tale Stato membro non è autorizzato a dettare, in materia, una normativa diversa da quella risultante dalla decisione n. 1/80, o che imponga condizioni diverse da quelle da essa previste. Infatti, in virtù di una giurisprudenza costante della Corte, sia dal primato del diritto dell’Unione sia dall’effetto diretto di una disposizione come l’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, risulta che gli Stati membri non possono modificare unilateralmente la portata del sistema di graduale integrazione dei cittadini turchi nello Stato membro ospitante e, pertanto, non dispongono più della facoltà di adottare misure che possano pregiudicare lo status giuridico espressamente riconosciuto a tali cittadini dal diritto che promana dall’associazione CEE-Turchia (v., in tal senso, sentenze 22 giugno 2000, causa C‑65/98, Eyüp, Racc. pag. I‑4747, punti 40 e 41; 19 novembre 2002, causa C‑188/00, Kurz, Racc. pag. I‑10691, punti 66‑68, nonché 4 febbraio 2010, causa C‑14/09, Genc, Racc. pag. I‑931, punti 36‑38).

57      Orbene, è precisamente questo il caso di una normativa del tipo di quella di cui trattasi nella causa principale. Infatti, una normativa come quella che compare alla sezione B2/8.3 della Vc 2000, lungi dal limitarsi a prevedere che il familiare del lavoratore migrante turco debba effettivamente coabitare con quest’ultimo per i primi tre anni del suo soggiorno nello Stato membro ospitante, reca una norma secondo la quale, in particolare, la circostanza che il figlio maggiorenne contragga matrimonio o avvii una relazione è di per sé stessa considerata atta a interrompere il legame familiare effettivo. Tale normativa consente di conseguenza alle autorità nazionali di revocare automaticamente il permesso di soggiorno al familiare che versi in una tale situazione, anche nel caso in cui la persona interessata abbia continuato a coabitare con tale lavoratore.

58      È pertanto giocoforza dichiarare che una normativa di questo genere travalica manifestamente i limiti delle misure che lo Stato membro ospitante è autorizzato ad adottare sulla base della decisione n. 1/80. Condizioni come quelle menzionate al punto precedente non compaiono affatto all’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, la cui formulazione è al contrario generale e incondizionata, e non sono neppure giustificate dallo spirito che ha presieduto all’adozione di tale disposizione.

59      Per quanto attiene in particolare alla situazione di un familiare quale la ricorrente nella causa principale, dalle constatazioni del giudice del rinvio emerge che, a decorrere dalla sua ammissione sul territorio dei Paesi Bassi nel 1999 e fino al 1° aprile 2005, data in cui ha lasciato la residenza familiare per stabilirsi presso un altro indirizzo, la sig.ra Pehlivan non ha mai risieduto separatamente cessando di vivere in comunione domestica con i genitori, legalmente presenti nello Stato membro ospitante e di cui almeno uno era inserito nel regolare mercato del lavoro di tale Stato.

60      Dagli elementi a disposizione della Corte emerge pertanto che, nella fattispecie, la sig.ra Pehlivan ha soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto superiore a tre anni, nel pieno rispetto dei requisiti di cui all’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 nonché dell’obiettivo che costituisce il fondamento di tale disposizione, ossia il ricongiungimento familiare.

61      Alla luce di tali premesse, si deve ritenere che l’interessata abbia sempre risieduto regolarmente sul territorio olandese ai sensi di detta disposizione. In presenza di circostanze quali quelle di cui alla causa principale, il diritto di soggiorno della sig.ra Pehlivan nello Stato membro ospitante non è quindi in nessun caso pregiudicato dal matrimonio da lei contratto prima della scadenza del periodo di tre anni previsto al primo trattino della medesima disposizione, in quanto tale matrimonio, nella fattispecie, non ha comportato la cessazione della coabitazione effettiva dell’interessata con il lavoratore turco per il tramite del quale quest’ultima è stata ammessa nel territorio di tale Stato membro ai fini del ricongiungimento familiare.

62      Tale interpretazione è peraltro coerente con la giurisprudenza costante della Corte, secondo la quale un familiare di un lavoratore turco che soddisfa le condizioni previste dall’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 può perdere i diritti che tale disposizione gli attribuisce solo in due casi, vale a dire quando la presenza del migrante turco nel territorio dello Stato membro ospitante costituisce, a causa del suo comportamento personale, un pericolo reale e grave per l’ordine pubblico, la sicurezza o la sanità pubbliche, ai sensi dell’art. 14, n. 1, della stessa decisione, oppure quando l’interessato ha lasciato il territorio del suddetto Stato per un periodo significativo e senza motivi legittimi (v., in particolare, sentenza Bozkurt, cit., punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

63      Ne consegue, in particolare, che, come già dichiarato dalla Corte e contrariamente a ciò che prevede la normativa di cui trattasi nella causa principale, il fatto che l’interessato, all’epoca dei fatti per cui è causa, fosse maggiorenne non incide assolutamente sui diritti da lui acquisiti in base all’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 (v. in tal senso, segnatamente, sentenze Ergat, cit., punti 26 e 27, nonché 16 febbraio 2006, causa C‑502/04, Torun, Racc. pag. I‑1563, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

64      Dall’insieme delle suesposte considerazioni, occorre dedurre che, in circostanze come quelle della causa principale, il matrimonio, contratto dal familiare di un lavoratore turco prima della scadenza del periodo di tre anni previsto dall’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80, è privo di qualsivoglia pertinenza rispetto al mantenimento del diritto di soggiorno a favore del suo titolare, a condizione che, per tutto il periodo in discorso, quest’ultimo viva effettivamente con tale lavoratore sotto lo stesso tetto. Allo Stato membro interessato non era quindi consentito rimettere in discussione, nella fattispecie, il diritto di soggiorno che la ricorrente nella causa principale deriva dal diritto dell’Unione; spetta ai giudici nazionali applicare integralmente tale diritto nonché tutelare i diritti che esso conferisce direttamente ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente confliggenti della normativa di detto Stato (v. citate sentenze Eyüp, punto 42, e Kurz, punto 69).

65      Occorre infine precisare che l’interpretazione data al punto precedente non è incompatibile con le prescrizioni di cui all’art. 59 del protocollo addizionale firmato il 23 novembre 1970. Infatti, per motivi analoghi a quelli elaborati dalla Corte ai punti 62‑67 della sentenza 18 luglio 2007, causa C‑325/05, Derin (Racc. pag. I‑6495), al punto 21 della sentenza 4 ottobre 2007, causa C‑349/06, Polat (Racc. pag. I‑8167), nonché al punto 45 della citata sentenza Bozkurt, la situazione del familiare di un lavoratore migrante turco non può essere utilmente paragonata a quella del familiare di un cittadino di uno Stato membro, tenuto conto delle notevoli differenze esistenti fra la loro situazione giuridica rispettiva (v., in tal senso, sentenza 21 gennaio 2010, causa C‑462/08, Bekleyen, Racc. pag. I‑563, punti 37, 38 e 43).

66      Pertanto, in considerazione di quanto precede, occorre risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 dev’essere interpretato nel senso che:

–        tale disposizione osta a una normativa di uno Stato membro secondo la quale il familiare debitamente autorizzato a raggiungere un lavoratore migrante turco già inserito nel regolare mercato del lavoro di tale Stato perde il beneficio dei diritti fondati sul ricongiungimento familiare in virtù della medesima disposizione per il solo fatto di contrarre matrimonio una volta divenuto maggiorenne, pur continuando a coabitare con tale lavoratore durante i primi tre anni del suo soggiorno nello Stato membro ospitante;

–        un cittadino turco al quale, come nel caso della ricorrente nella causa principale, si applica detta disposizione, può validamente rivendicare un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante sulla base della stessa disposizione, a prescindere dal fatto che abbia contratto matrimonio prima della scadenza del periodo di tre anni previsto da detto primo comma, primo trattino, allorché, durante tutto questo periodo, egli ha effettivamente coabitato con il lavoratore migrante turco per il cui tramite è stato ammesso sul territorio di tale Stato membro a titolo di ricongiungimento familiare.

67      Alla luce della soluzione della prima questione, non occorre procedere alla risoluzione delle altre questioni poste dal giudice del rinvio.

 Sulle spese

68      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione, adottata dal Consiglio di associazione istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, dev’essere interpretato nel senso che:

–        tale disposizione osta a una normativa di uno Stato membro secondo la quale il familiare debitamente autorizzato a raggiungere un lavoratore migrante turco già inserito nel regolare mercato del lavoro di tale Stato perde il beneficio dei diritti fondati sul ricongiungimento familiare in virtù della medesima disposizione per il solo fatto di contrarre matrimonio una volta divenuto maggiorenne, pur continuando a coabitare con tale lavoratore durante i primi tre anni del suo soggiorno nello Stato membro ospitante;

–        un cittadino turco al quale, come nel caso della ricorrente nella causa principale, si applica detta disposizione, può validamente rivendicare un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante sulla base della stessa disposizione, a prescindere dal fatto che abbia contratto matrimonio prima della scadenza del periodo di tre anni previsto da detto primo comma, primo trattino, allorché, durante tutto questo periodo, egli ha effettivamente coabitato con il lavoratore migrante turco per il cui tramite è stato ammesso sul territorio di tale Stato membro a titolo di ricongiungimento familiare.

Firme


* Lingua processuale: l’olandese.