CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 18 marzo 2009 ( 1 )

Causa C-569/07

HSBC Holdings plc

e

Vidacos Nominees Ltd

contro

The Commissioners of Her Majesty’s Revenue & Customs

«Imposte indirette — Raccolta di capitali — Imposizione di una tassa dell’1,5% sul trasferimento o sull’emissione delle azioni nel contesto di un servizio di compensazione delle transazioni (“clearance service”)»

1. 

I servizi di compensazione («clearance services») svolgono una funzione che può essere definita di custodia di titoli azionari. In particolare, tali servizi annotano in appositi registri la proprietà e i trasferimenti delle azioni, le quali, materialmente, restano tuttavia sempre nelle mani dei servizi stessi. In altri termini, i servizi di compensazione permettono di rendere più semplici, rapidi e sicuri gli acquisti e le vendite di titoli azionari.

2. 

I servizi di compensazione sono molto diffusi nell’Europa continentale, ma non nel Regno Unito, in cui le modalità per il trasferimento di azioni sono tradizionalmente diverse. Di conseguenza, tale Stato membro applica, per talune operazioni che avvengono attraverso servizi di compensazione, un regime tributario diverso da quello che caratterizza gli scambi azionari realizzati nelle modalità di norma utilizzate nel suo territorio. Il presente procedimento, che trova origine in una questione pregiudiziale proposta alla Corte dagli Special Commissioners di Londra, fornisce l’occasione per valutare la compatibilità con il diritto comunitario delle citate modalità di tassazione.

3. 

Più specificamente, la normativa del Regno Unito dovrà essere esaminata sia alla luce della direttiva 69/335, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, sia alla luce delle disposizioni del Trattato relative alle libertà fondamentali.

I — Contesto normativo

A — Diritto comunitario

4.

La direttiva 69/335 ( 2 ) (in prosieguo anche: la «direttiva»), che costituisce il principale testo di diritto derivato rilevante nella causa in esame, è stata modificata in modo significativo nel corso del tempo.

5.

Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva sono messi bene in evidenza dai ‘considerando’ della stessa, in particolare dal primo e dal secondo, il cui tenore è il seguente:

«considerando che il trattato ha per obiettivo di creare un’unione economica con caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno e che una delle condizioni essenziali per raggiungere tale obiettivo è quella di promuovere la libera circolazione dei capitali;

considerando che le imposte indirette sulla raccolta di capitali, attualmente in vigore negli Stati membri, e cioè l’imposta sui conferimenti di capitali in società e l’imposta di bollo sui titoli, danno luogo a discriminazioni, a doppie imposizioni e a disparità che ostacolano la libera circolazione dei capitali e che devono pertanto essere eliminate mediante un’opportuna armonizzazione».

6.

Nella relazione che, in data 14 dicembre 1964, accompagnava la proposta della Commissione al Consiglio destinata a divenire la direttiva 69/335 ( 3 ), la Commissione osservava che l’abolizione integrale sia dell’imposta sui conferimenti sia delle imposte di bollo sarebbe stata la soluzione migliore per realizzare un libero mercato dei capitali. Tuttavia, di fronte alla probabile opposizione degli Stati membri nei confronti di una misura così drastica, la scelta della Commissione è stata quella di sopprimere le imposte di bollo e di lasciar sussistere un’imposta sui conferimenti, armonizzata però a livello comunitario.

7.

Nel corso del tempo, peraltro, una serie di modifiche apportate alla direttiva hanno eliminato l’obbligo originariamente previsto di tassare i conferimenti sulla base di un’aliquota armonizzata: l’attuale art. 7 della direttiva, in particolare, prevede che gli Stati membri possano applicare un’aliquota massima dell’1% oppure, semplicemente, non applicare più l’imposta sui conferimenti. In particolare, il Regno Unito ha abolito l’imposta sui conferimenti nel 1988.

8.

La direttiva individua le operazioni tassabili con l’imposta sui conferimenti all’art. 4, che indica, tra l’altro, «c) l’aumento del capitale sociale di una società di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura».

9.

Oltre a contenere le previsioni relative alle modalità di calcolo e riscossione dell’imposta sui conferimenti, la direttiva contiene anche una serie di divieti, finalizzati ad evitare sia una doppia imposizione dei conferimenti, sia l’applicazione di imposte di bollo. In particolare, gli artt. 10 e 11 prevedono quanto segue:

«Articolo 10

Oltre all’imposta sui conferimenti, gli Stati membri non applicano, per quanto concerne le società, associazioni o persone giuridiche che perseguono scopi di lucro, nessuna altra imposizione, sotto qualsiasi forma:

a)

per le operazioni previste all’articolo 4;

b)

per i conferimenti, prestiti o prestazioni, effettuati nel quadro delle operazioni previste all’articolo 4;

(…)

Articolo 11

Gli Stati membri non sottopongono ad alcuna imposizione, sotto qualsiasi forma:

a)

la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni, di quote sociali o titoli della stessa natura, nonché di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente;

(…)».

10.

Nonostante i divieti appena ricordati, l’art. 12 consente agli Stati membri di riscuotere talune specifiche imposte, prevedendo quanto segue:

«Articolo 12

1.   Gli Stati membri possono applicare, in deroga alle disposizioni degli articoli 10 e 11:

a)

imposte sui trasferimenti di valori mobiliari, riscosse forfettariamente o no;

(…)».

B — Diritto nazionale

11.

La disciplina fiscale del Regno Unito che deve essere presa in considerazione qui è contenuta nel Finance Act 1986. Ai sensi della sua sezione 87, i trasferimenti di azioni sono soggetti ad una «Stamp Duty Reserve Tax» (SDRT) dello 0,5%, che è dovuta in occasione di ciascuna cessione.

12.

Ai sensi della sezione 96 della medesima legge, tuttavia, l’immissione di azioni in un servizio di compensazione comporta il pagamento di una SDRT con un’aliquota dell’1,5%. Per contro, i successivi trasferimenti di azioni, fino a quando gli stessi avvengono nell’ambito del medesimo servizio di compensazione, non sono tassati in alcun modo.

13.

La sezione 97A del Finance Act 1986, infine, prevede che un servizio di compensazione possa esercitare una «opzione» («election»), concludendo un accordo con l’amministrazione fiscale del Regno Unito. L’esercizio dell’opzione comporta in particolare il passaggio dal pagamento una tantum di una SDRT all’1,5% al pagamento di una SDRT secondo l’aliquota normale dello 0,5%. Naturalmente, in tal caso l’imposta è dovuta per ciascun singolo atto di cessione delle azioni. Al fine di poter esercitare l’opzione, un servizio di compensazione è tenuto a disporre di una filiale o di un’agenzia nel Regno Unito o, in alternativa, a nominare un proprio «rappresentante fiscale» nel Regno Unito. Il servizio di compensazione deve inoltre conformarsi ad una serie di prescrizioni tecniche relative alle modalità per il calcolo, la riscossione e la contabilizzazione della SDRT.

II — Fatti, procedimento principale e questione pregiudiziale

14.

La banca HSBC è una società per azioni con sede a Londra. Nel giugno 2000 HSBC ha presentato un’offerta pubblica di acquisto per tutte le azioni della banca francese Crédit Commercial de France (in prosieguo: «CCF»), le cui azioni erano quotate alla Borsa di Parigi. Nella propria offerta HSBC proponeva agli azionisti di CCF, in cambio delle loro azioni, un pagamento in contanti o, in alternativa, un pagamento in azioni HSBC. Al fine di rendere più attraente questa seconda possibilità per azionisti attivi sul mercato francese, HSBC ha deciso di rendere le proprie azioni negoziabili alla Borsa di Parigi.

15.

All’epoca dei fatti della causa principale, al fine di poter essere quotata alla Borsa di Parigi una società era tenuta ad utilizzare SICOVAM, un servizio di compensazione. Di conseguenza, gli azionisti di CCF intenzionati ad accettare l’offerta pubblica di acquisto di HSBC potevano scegliere di ricevere azioni di quest’ultima società direttamente attraverso SICOVAM: in tal modo, tali azioni avrebbero quindi potuto essere poi vendute alla Borsa di Parigi.

16.

In concreto, le azioni di HSBC cedute attraverso SICOVAM in cambio delle azioni CCF sono state affidate non direttamente a SICOVAM, ma alla sua mandataria per il Regno Unito, Vidacos. Tale società è in effetti anche membro del sistema CREST ( 4 ): tuttavia, dal momento che nella fattispecie essa ha agito quale mandataria di SICOVAM, le azioni HSBC cedute per mezzo di Vidacos (e SICOVAM) sono state tassate, ai sensi della sezione 96 del Finance Act 1986, con l’aliquota dell’1,5%.

17.

Al fine di rendere la sua offerta pubblica di acquisto più appetibile per gli azionisti di CCF, HSBC si era impegnata ad effettuare il pagamento dell’imposta (SDRT) dell’1,5% per gli azionisti di CCF i quali avessero optato per ricevere azioni di HSBC attraverso SICOVAM. Ciò corrisponde ad una prassi universalmente diffusa, sebbene, sulla base della disciplina nazionale, l’obbligo di pagamento dell’imposta ricada tecnicamente sul servizio di compensazione.

18.

Di conseguenza, HSBC ha versato alle autorità fiscali inglesi, nel luglio 2000, oltre GBP 27 milioni, a titolo di pagamento della SDRT sulla base dell’aliquota dell’1,5%.

19.

Successivamente, la SDRT all’1,5% è stata altresì pagata per le azioni HSBC ottenute dagli azionisti detentori di azioni tramite SICOVAM i quali hanno deciso di ricevere i propri dividendi in azioni.

20.

Con lettera del 18 ottobre 2002, tuttavia, HSBC ha chiesto all’amministrazione fiscale del Regno Unito la restituzione dell’imposta pagata. La decisione negativa delle autorità fiscali è stata quindi impugnata di fronte al giudice del rinvio, il quale, dubitando della compatibilità della disciplina in materia di SDRT con il diritto comunitario, ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli artt. 10 o 11 della direttiva del Consiglio 69/335/CEE, come modificata dalla direttiva del Consiglio [85/303/CEE], oppure gli artt. 43 CE, 49 CE o 56 CE o qualsivoglia altra disposizione di diritto comunitario ostino alla riscossione, da parte di uno Stato membro (in prosieguo: il “primo Stato membro”), di un’imposta dell’1,5% sul trasferimento o sull’emissione di azioni in un servizio di compensazione, qualora:

i)

una società (in prosieguo: la “società A”), con sede nel primo Stato membro, lanci un’offerta di acquisto delle azioni quotate in borsa di un’altra società (in prosieguo: la “società B”), con sede in un altro Stato membro (in prosieguo: il “secondo Stato membro”), offerta in cui la contropartita sia costituita da azioni della società A da emettere sulla borsa del secondo Stato membro;

ii)

gli azionisti della società B possano optare per ricevere le nuove azioni della società A:

a)

in forma cartacea;

b)

in forma non cartacea tramite un sistema per il trasferimento di azioni (“settlement system”) nel primo Stato membro;

c)

in forma non cartacea tramite un servizio di compensazione (“clearance service”) nel secondo Stato membro;

iii)

la normativa del primo Stato membro disponga, sostanzialmente, che:

a)

in caso di emissione di azioni in forma cartacea (o in forma non cartacea in un apposito sistema per il trasferimento di azioni nel primo Stato membro), l’emissione delle azioni non sia soggetta ad alcuna imposta, essendo però ogni successiva cessione delle azioni soggetta ad un’imposizione con l’aliquota dello 0,5% del prezzo della cessione;

b)

tuttavia, all’atto della cessione o dell’emissione di azioni in forma non cartacea nei confronti dell’operatore di un servizio di compensazione l’imposta venga applicata con l’aliquota dell’1,5% del prezzo di emissione (in caso di emissione di azioni) oppure all’aliquota dell’1,5% del prezzo della cessione (in caso di trasferimento delle azioni a titolo oneroso) o, ancora, con l’aliquota dell’1,5% del valore delle azioni (in tutti gli altri casi), ma nessuna imposta venga successivamente applicata in caso di trasferimento delle azioni (o di diritti sulle azioni medesime) effettuato nell’ambito del servizio di compensazione;

c)

l’operatore di un servizio di compensazione possa optare, previa autorizzazione della competente amministrazione finanziaria, per l’applicazione di un sistema in base al quale nessuna imposta viene applicata sul trasferimento o sull’emissione delle azioni verso il suo servizio di compensazione, mentre ogni successiva cessione nell’ambito del sistema di compensazione viene assoggettata ad imposta con l’aliquota dello 0,5% del prezzo della cessione. L’amministrazione finanziaria competente può subordinare (e attualmente subordina) la propria approvazione alla condizione che l’operatore del servizio di compensazione che intende esercitare la predetta opzione istituisca e mantenga procedure (idonee secondo l’amministrazione finanziaria) ai fini della riscossione dell’imposta nell’ambito del servizio di compensazione e ai fini dell’osservanza, o a garanzia dell’osservanza, della normativa applicabile;

iv)

la vigente normativa per la borsa valori del secondo Stato membro esiga che tutte le azioni emesse sul territorio del medesimo siano detenute, in forma non cartacea, tramite un unico servizio di compensazione con sede sul territorio dello Stato stesso, il cui operatore non abbia esercitato l’opzione precedentemente menzionata».

III — Sulla questione pregiudiziale

A — Premessa

21.

La compatibilità con il diritto comunitario della SDRT all’1,5% deve essere valutata, come del resto indica lo stesso giudice del rinvio nella sua questione, sotto un profilo duplice. Da un lato, infatti, è necessario verificare se tale tributo sia consentito alla luce della direttiva 69/335, e in particolare dei suoi artt. 10 e 11. Dall’altro, si deve anche verificare se l’imposta in questione sia conciliabile con le libertà fondamentali previste dal Trattato in materia di stabilimento, prestazione di servizi e circolazione dei capitali. Per ragioni di chiarezza, procederò ad esaminare separatamente i due versanti del problema.

22.

Un elemento che mi sembra tuttavia necessario sottolineare, a titolo di premessa, è che tutte le parti concordano sul fatto che l’imposta in esame non è un’imposta sui conferimenti ai sensi dell’art. 4 della direttiva 69/335. L’imposta sui conferimenti, come si è visto, è stata abolita dal Regno Unito nel 1988.

23.

Inoltre, come è stato anche confermato all’udienza, va tenuto presente che le azioni di HSBC che sono state introdotte in SICOVAM per essere cedute quale prezzo delle azioni di CCF costituivano azioni nuove, corrispondenti ad un aumento di capitale.

B — Sulla compatibilità con la direttiva 69/335

24.

Gli articoli della direttiva 69/335 che possono porre problemi per l’imposta in esame sono l’art. 10 e l’art. 11. Tali disposizioni, che sono rimaste immutate rispetto alla prima versione della direttiva, sono state elaborate principalmente al fine di evitare che gli Stati membri potessero introdurre imposte di bollo in aggiunta all’imposta sui conferimenti, o colpire i conferimenti con una doppia imposizione.

25.

In particolare, l’art. 10 prevede che soltanto l’imposta sui conferimenti, con esclusione pertanto di ogni altra imposizione, possa gravare le operazioni elencate all’art. 4 della direttiva, tra le quali rientra, come si è visto, «l’aumento del capitale sociale di una società di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura».

26.

Inoltre, ai sensi dell’art. 11 della direttiva, nessuna imposizione (neppure l’imposta sui conferimenti, quindi) può essere effettuata su alcune operazioni, tra le quali rientrano, in particolare, «la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni».

27.

Così, ad esempio, nel caso dell’emissione di azioni nuove, l’emissione in quanto tale non può essere gravata da imposta ai sensi dell’art. 11, mentre le somme versate quale corrispettivo delle azioni, ovvero i conferimenti, possono essere tassate con l’imposta sui conferimenti, se prevista dallo Stato membro interessato (art. 4), ma non con altre imposizioni (art. 10).

28.

D’altra parte, però, l’art. 12 stabilisce che, «in deroga alle disposizioni degli artt. 10 e 11», gli Stati membri possono applicare, tra l’altro, «imposte sui trasferimenti di valori mobiliari» ( 5 ).

29.

Nel presente caso, il giudice del rinvio individua un possibile contrasto della normativa del Regno Unito sia con l’art. 10 che con l’art. 11 della direttiva. Mi sembra tuttavia che, sebbene effettivamente entrambe le disposizioni possano essere qui pertinenti, sia più corretto fare riferimento all’art. 11, dal momento che, per il modo in cui è concepita, la SDRT è connessa non ad un’operazione di conferimento ma, più in generale, ad operazioni appartenenti al gruppo individuato alla lett. a) dell’art. 11 (in questo caso, come si vedrà, in particolare l’emissione di azioni). Del resto, la SDRT si applica indipendentemente dal fatto che le azioni che la stessa colpisce siano di nuova emissione oppure no.

30.

Il governo del Regno Unito, che su tale specifico aspetto ottiene altresì l’appoggio della Commissione, considera che la SDRT all’1,5% possa essere giustificata quale imposta che colpisce, appunto, i trasferimenti delle azioni, ai sensi dell’art. 12 della direttiva: sarebbe dunque ammissibile sulla base della stessa norma che autorizza la SDRT allo 0,5% sui trasferimenti che avvengono senza passare per un servizio di compensazione.

31.

Le differenze tra la SDRT all’1,5% e quella allo 0,5% sono però considerevoli. Più ancora che la diversa aliquota, ciò che le differenzia è il fatto che, mentre la SDRT allo 0,5% è riscossa su ogni singolo trasferimento dei titoli, quella all’1,5% è dovuta nel momento in cui il titolo viene immesso nel servizio di compensazione, mentre i successivi trasferimenti di proprietà delle azioni, fino a quando le stesse restano all’interno del servizio di compensazione, sono esenti da imposte.

32.

Al fine di ricondurre la SDRT all’1,5% al modello di «imposta sui trasferimenti» ai sensi dell’art. 12 della direttiva, il Regno Unito sostiene che la SDRT all’1,5% sarebbe un’imposta sui trasferimenti in forma di «biglietto stagionale» («season ticket»). Poiché seguire i trasferimenti dei titoli una volta che questi sono stati inseriti in un servizio di compensazione sarebbe problematico per le autorità fiscali inglesi, un’imposizione forfettaria all’1,5%, calcolata sulla base del numero presuntivo di tre cessioni dei titoli all’interno del servizio di compensazione, rappresenterebbe un compromesso adeguato. In altri termini, la SDRT all’1,5% sarebbe semplicemente un tributo riscosso in anticipo sui futuri trasferimenti delle azioni. D’altra parte, il Regno Unito osserva che i servizi di compensazione hanno pur sempre la possibilità di esercitare l’opzione prevista ai sensi della sezione 97A del Finance Act, che rende applicabile il meccanismo «normale» della SDRT allo 0,5% dovuta su ciascuna transazione.

33.

La posizione sostenuta dal Regno Unito non mi sembra accettabile, per le ragioni che seguono.

34.

In primo luogo, la SDRT all’1,5% deve essere pagata da un unico soggetto, il quale, nella prassi, è quello che emette e/o cede le azioni, sebbene tecnicamente il soggetto passivo dell’imposta sia il servizio di compensazione stesso. Nel caso in esame, dunque, l’imposta è stata pagata integralmente da HSBC. Per contro, nel sistema «normale» della SDRT, l’imposta viene pagata, in occasione di ciascuna cessione dei titoli, da parte di un soggetto diverso, cioè da colui che di volta in volta vende le azioni. In altri termini, nel caso di immissione di azioni in un servizio di compensazione un solo soggetto sarebbe tenuto a pagare (all’1,5%) un’imposta che, nel sistema «normale», è invece suddivisa tra vari soggetti, ciascuno dei quali paga lo 0,5%.

35.

In secondo luogo, la SDRT «speciale» all’1,5% dovuta al momento dell’introduzione dei titoli nel servizio di compensazione viene calcolata e quindi pagata sulla base del valore che i titoli stessi hanno al momento in cui sono introdotti nel sistema. Ciò anche qualora, in ipotesi, gli stessi siano successivamente ceduti, rimanendo all’interno del servizio di compensazione, sulla base di un valore maggiore o minore. È evidente che invece, nel caso di SDRT riscossa su ciascuna singola operazione, l’imposta viene calcolata sulla base del valore che il titolo possiede nel momento in cui è ceduto.

36.

In terzo luogo, non è chiaro per quale ragione l’aliquota della SDRT dovuta al momento dell’introduzione delle azioni in un servizio di compensazione debba essere pari all’1,5%, ovvero al triplo dell’aliquota dovuta, nel sistema «normale», in occasione di ciascun trasferimento dei titoli. Il Regno Unito sostiene che l’aliquota è stata determinata ipotizzando una media di tre trasferimenti dei titoli che si realizzerebbero una volta che le azioni sono state introdotte all’interno di un servizio di compensazione. Non viene tuttavia indicato sulla base di quali elementi sia stato effettuato il calcolo, e per quale ragione dunque un’aliquota dell’1,5% sia apparsa più adeguata, ad esempio, di una all’1% o al 2%. Ciò tanto più che, stando alla decisione di rinvio, oltre il 40% delle azioni di HSBC immesse in SICOVAM sono state ritirate da tale servizio di compensazione entro due settimane, al fine di essere vendute alla Borsa di Londra, con conseguente successiva applicazione della SDRT allo 0,5% su ciascuna transazione. In altri termini, la determinazione della SDRT all’1,5% appare in una qualche misura arbitraria ( 6 ).

37.

Infine, va anche osservato che, qualora le cessioni dei titoli successive alla prima dovessero avvenire all’esterno del Regno Unito, il che è verosimile, considerando che i titoli stessi sono stati introdotti in un servizio di compensazione probabilmente per facilitarne la circolazione all’estero, la SDRT all’1,5% costituirebbe l’anticipo di imposte su trasferimenti rispetto ai quali la competenza impositiva del Regno Unito non sarebbe affatto certa.

38.

Già queste osservazioni, mi sembra, sono sufficienti per escludere la ricostruzione della SDRT all’1,5% quale «anticipo» di imposta sui futuri trasferimenti dei titoli. Infatti, anche a prescindere dalla questione dell’aliquota dell’imposta, rimane il fatto che non è possibile considerare quale pagamento anticipato di un tributo il pagamento di una somma calcolata su una diversa base imponibile e, soprattutto, dovuta da un diverso soggetto passivo. Ed è ben noto che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la qualificazione di un tributo ai sensi del diritto comunitario deve essere compiuta sulla base delle caratteristiche oggettive del tributo stesso, indipendentemente dal modo in cui esso è qualificato nell’ordinamento nazionale ( 7 ).

39.

In ogni caso, qualora l’introduzione di azioni all’interno di un servizio di compensazione costituisca la prima operazione compiuta sulle azioni stesse dopo che queste sono state emesse, come qui, si deve osservare che, per applicare un’imposta giustificabile ai sensi dell’art. 12 della direttiva, evitando il divieto di cui all’art. 11 della stessa, è necessario ritenere separate, da un punto di vista giuridico, l’emissione dei titoli (non tassabile, ai sensi dell’art. 11 della direttiva) e la prima cessione degli stessi. Tale prima cessione, che sarebbe qui l’introduzione nel servizio di compensazione, potrebbe dunque essere tassabile sulla base dell’art. 12 della direttiva.

40.

Ebbene, per quanto tale separazione dell’emissione dalla prima cessione delle azioni sia concettualmente possibile, la Corte ha esplicitamente negato tale possibilità nella sentenza che ha pronunciato il 15 luglio 2004 nella causa Commissione/Belgio ( 8 ). In particolare, al punto 33 di tale decisione è stato affermato che «l’effetto utile dell’art. 11, lett. a), della direttiva 69/335 implica quindi che l’“emissione”, ai sensi di detta disposizione, debba includere il primo acquisto di titoli effettuato nel quadro dell’emissione degli stessi». Infatti, come osservato dall’avvocato generale Tizzano nelle sue conclusioni ( 9 ) e ribadito dalla Corte al punto 32 della sentenza, «autorizzare la riscossione di un’imposta o di una tassa sul primo acquisto di un titolo di nuova emissione equivarrebbe in realtà ad una tassazione dell’emissione stessa di tale titolo, in quanto essa costituisce parte integrante di un’operazione globale relativa alla raccolta di capitali. Infatti, un’emissione di titoli non è fine a se stessa ma acquisisce senso solo dal momento in cui tali titoli trovano acquirenti».

41.

Tra l’altro, la Corte ha anche chiaramente affermato la necessità di interpretare l’art. 12 della direttiva, in quanto norma di eccezione, in modo restrittivo ( 10 ), nonché la natura esaustiva delle eccezioni che tale articolo prevede ( 11 ).

42.

Ritengo di conseguenza che la SDRT all’1,5% non possa essere considerata, quando colpisce la prima operazione di trasferimento di azioni di nuova emissione, un’imposta sui trasferimenti ai sensi dell’art. 12 della direttiva, e che pertanto la stessa rappresenti un’imposta sull’emissione di azioni, vietata ai sensi dell’art. 11 della direttiva.

43.

Non considero nemmeno necessario, nel presente contesto, occuparsi della natura dell’art. 12 della direttiva quale norma di deroga o, invece, di limitazione rispetto alle fattispecie previste dagli artt. 10 e 11 della stessa: tale profilo, per quanto interessante e forse ancora bisognoso di chiarimenti, non è infatti rilevante qui ( 12 ).

44.

Non può essere neppure accolto l’argomento, che il Regno Unito sembra presentare in subordine per il caso in cui la Corte dovesse ritenere applicabile al presente caso la ricordata giurisprudenza Commissione/Belgio, secondo il quale si dovrebbe allora interpretare la SDRT all’1,5% come un anticipo dell’imposta sui trasferimenti futuri, successivi al primo ingresso delle azioni nel servizio di compensazione. Da un lato, infatti, tale ricostruzione appare del tutto artificiale, dal momento che l’imposta è chiaramente riscossa in connessione con l’introduzione delle azioni nel servizio di compensazione. Dall’altro lato, inoltre, una situazione di questo tipo metterebbe ancora più in evidenza i problemi che ho indicato più sopra e, in particolare, finirebbe quindi per far pagare un’imposta calcolata sulla base di tre presuntive transazioni ad un soggetto che, a questo punto, non sarebbe più parte nemmeno della prima di queste tre.

45.

Peraltro, anche qualora le azioni introdotte nel servizio di compensazione non fossero di nuova emissione, la giustificazione della SDRT all’1,5% sulla base dell’art. 12 della direttiva difficilmente potrebbe, mi sembra, essere accettata. Infatti, del tutto indipendentemente dal divieto di tassare la prima cessione delle azioni successiva alla loro emissione, divieto che non sarebbe in tal caso applicabile, rimarrebbero tuttavia valide le obiezioni che ho formulato più sopra relativamente alla difficoltà di accettare l’approccio del «biglietto stagionale». Anche in tal caso, infatti, un unico soggetto sarebbe chiamato a pagare un’imposta la quale sarebbe, in linea di principio (vale a dire nel sistema «normale»), a carico di altri soggetti, sui quali il primo non ha la possibilità di rivalersi. Inoltre, anche in tal caso l’imposta sarebbe calcolata sulla base di un valore delle azioni che potrebbe essere molto diverso da quello effettivo posseduto dalle stesse più tardi, nel momento in cui normalmente l’imposta sarebbe dovuta. In altri termini, anche qui mi pare impossibile accettare la ricostruzione dell’imposta quale anticipo, calcolato forfettariamente, del tributo che dovrebbe essere pagato sui futuri trasferimenti.

46.

L’unica differenza rispetto al caso delle azioni di nuova emissione consisterebbe nel fatto che, nel caso di azioni già esistenti, nel sistema della SDRT «normale» sarebbe dovuta un’imposta dello 0,5%. Come si è visto, invece, nel caso di prima emissione di azioni la SDRT «normale» non è dovuta: di conseguenza, nel caso di azioni già esistenti l’aggravio di imposta sarebbe, in concreto, dell’1% e non dell’1,5%.

47.

Rispetto alla cessione di azioni già esistenti, il solo interrogativo che ci si potrebbe porre riguarderebbe l’applicabilità a tale operazione, in linea di principio, del divieto di tassazione di cui all’art. 11 della direttiva, nella parte in cui esso stabilisce che è vietato tassare «la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni». Tuttavia, mi sembra che nella giurisprudenza della Corte si possa trovare una chiara indicazione in tal senso ( 13 ).

48.

Ritengo dunque, concludendo questa parte della mia analisi, che il meccanismo della SDRT all’1,5% non possa essere considerato compatibile con la direttiva 69/335. Ciò vale in modo particolare per il caso in cui l’introduzione delle azioni nel servizio di compensazione avvenga immediatamente dopo la loro emissione, come si è verificato nella presente vicenda; tuttavia, come si è visto, considero il ragionamento di fondo applicabile anche al caso di cessione di azioni già esistenti. Infatti, in nessun modo è possibile considerare la SDRT all’1,5% quale anticipo dell’imposta sui trasferimenti futuri ai sensi dell’art. 12 della direttiva.

49.

Le considerazioni fin qui svolte sono sufficienti per rispondere agli interrogativi sollevati dal giudice del rinvio. Tuttavia, a scopo di completezza, in particolare per il caso in cui la Corte non dovesse condividere la mia interpretazione della direttiva, svolgerò ora un breve esame della questione alla luce del diritto primario.

C — Sulla compatibilità con le libertà fondamentali

50.

Si deve dunque ora verificare se un’imposta sui trasferimenti di titoli azionari, ammessa in principio dall’art. 12 della direttiva, possa legittimamente essere riscossa in modi diversi, come avviene nel caso della SDRT, a seconda che il trasferimento avvenga verso un servizio di compensazione oppure no ( 14 ). In particolare, è necessario chiedersi se la differenza oggettiva che caratterizza una transazione «ordinaria» e una transazione verso un servizio di compensazione sia tale da giustificare le differenze previste dal sistema del Regno Unito, quali il pagamento «una tantum» di un’aliquota superiore e l’imposizione dell’intero tributo a carico di un unico soggetto. Si dovrà infine verificare se, in ogni caso, la possibilità riconosciuta ai servizi di compensazione di esercitare l’opzione ai sensi della sezione 97A del Finance Act 1986 sia comunque sufficiente a dissipare eventuali dubbi di compatibilità con la normativa comunitaria.

1. Sulla compatibilità con le norme del Trattato

51.

Nell’ambito della presente causa, le parti hanno considerato possibili problemi di compatibilità della normativa nazionale in esame con tre diverse disposizioni del diritto primario: si tratta, specificamente, dell’art. 43 CE, che consacra la libertà di stabilimento, dell’art. 49 CE, relativo alla libera prestazione di servizi, e, infine, dell’art. 56 CE, sulla libera circolazione dei capitali.

52.

Per quanto concerne la libertà di stabilimento, HSBC sostiene che l’offerta pubblica di acquisto per le azioni CCF ha rappresentato la concretizzazione, da parte di HSBC, della volontà di creare una sede stabile in Francia: di conseguenza, l’applicazione della SDRT all’1,5% costituirebbe una limitazione a tale diritto fondamentale.

53.

Relativamente alla libera prestazione dei servizi, invece, ad essere ingiustificatamente limitato dalla normativa tributaria britannica sarebbe il diritto di SICOVAM di fornire i suoi servizi sul territorio del Regno Unito.

54.

Quanto infine alla libera circolazione dei capitali, HSBC sostiene che le relative disposizioni del Trattato sarebbero violate dalle norme tributarie britanniche in quanto queste ultime costituirebbero una restrizione dell’accesso alla Borsa di Parigi, ai fini del quale era necessario passare attraverso SICOVAM.

55.

Osservo innanzitutto che, a mio avviso, le disposizioni sulla libera prestazione dei servizi non sono qui pertinenti. Va infatti tenuto conto del fatto che, come si è osservato più sopra, in concreto la SDRT all’1,5% è pagata non dal servizio di compensazione, che pure sarebbe tecnicamente il soggetto passivo dell’imposta, ma da chi introduce le azioni nel servizio stesso (in questo caso HSBC). Di conseguenza, in pratica il tributo in esame tocca solo in modo del tutto indiretto gli interessi dei prestatori di servizi, vale a dire i servizi di compensazione. Inoltre, il fatto che SICOVAM disponesse di uno stabile punto di riferimento nel territorio del Regno Unito, cioè Vidacos, sembra riconnettere la situazione su cui deve pronunciarsi il giudice nazionale, più che alla libera prestazione di servizi, alla libertà di stabilimento ( 15 ). Si può peraltro anche rilevare, a margine, che lo stesso primo ‘considerando’ della direttiva 69/335 richiama esplicitamente, delle libertà fondamentali, soltanto la libera circolazione dei capitali.

56.

Ritengo di conseguenza che l’esame della SDRT alla luce del diritto primario debba essere svolto facendo riferimento soltanto alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali. La Corte ha già avuto modo di esaminare in modo congiunto la compatibilità di disposizioni nazionali con entrambe le predette libertà ( 16 ).

57.

È vero che, secondo la giurisprudenza, l’acquisizione di quote di una società avente la propria sede sociale in un altro Stato membro, con la conseguenza di garantire agli acquirenti una sicura influenza sulle decisioni e sulla gestione della società, può rientrare nell’ambito applicativo delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento ( 17 ). Nel presente caso, tuttavia, l’eventuale restrizione alla libertà di stabilimento sarebbe una conseguenza diretta di ostacoli opposti alla libera circolazione dei capitali. Di conseguenza va innanzitutto esaminato il profilo della restrizione alla libera circolazione dei capitali: nel caso in cui sia accertata l’esistenza di un’incompatibilità con quest’ultima libertà fondamentale non sarà neppure necessario considerare il profilo relativo alla libertà di stabilimento ( 18 ).

58.

Non vi sono dubbi sul fatto che le operazioni finanziarie oggetto della causa principale rientrino, in via generale, nell’ambito applicativo della libera circolazione dei capitali. Come è noto, il Trattato non definisce i movimenti di capitale, ma la Corte ha spesso utilizzato, a titolo indicativo, la nomenclatura allegata alla direttiva 88/361 ( 19 ), nella quale indiscutibilmente rientrano le attività legate alla compravendita di azioni.

59.

Appare innegabile che la disciplina britannica in esame, e specificamente l’applicazione di una SDRT all’1,5% in occasione dell’introduzione di titoli azionari in un servizio di compensazione, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali che ricade, in linea di principio, nel divieto di cui all’art. 56 CE.

60.

In primo luogo, infatti, la Corte ha precisato che una normativa nazionale si pone in contrasto con l’art. 56 CE, senza bisogno di verificare se la stessa abbia natura discriminatoria, per il solo fatto di dissuadere gli investimenti provenienti da altri Stati membri ( 20 ). Inoltre, è stato altresì chiaramente stabilito che costituiscono restrizioni vietate non solo quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro, ma anche quelle che possono dissuadere i residenti del detto Stato membro dal farne in altri Stati ( 21 ).

61.

Poiché, come chiaramente indicato nell’ordinanza di rinvio, i servizi di compensazione sono pressoché sconosciuti nel Regno Unito, ma assai diffusi nell’Europa continentale, e ivi in taluni casi detentori di un vero e proprio monopolio relativamente agli scambi di borsa, non vi sono dubbi sul fatto che la disciplina britannica in esame può scoraggiare la libera circolazione dei capitali.

2. Sulla possibilità di giustificare la restrizione

62.

Appurato che le disposizioni nazionali in esame ricadono nel divieto di ostacolare la libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 CE, è necessario verificare se le stesse possano tuttavia essere giustificate, in particolare alla luce dell’art. 58 CE. Va in proposito tenuto presente il costante insegnamento della Corte secondo il quale, per poter essere giustificata, una normativa nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento di quest’ultimo, nel rispetto del principio di proporzionalità ( 22 ).

63.

L’esistenza di possibili giustificazioni alla base delle restrizioni imposte dalla normativa britannica è stata tuttavia oggetto, nella presente causa, di una discussione estremamente limitata. Infatti, se si esclude l’affermazione del Regno Unito secondo il quale la SDRT all’1,5% sarebbe giustificata dalla necessità di garantire un’effettiva vigilanza nel settore tributario, per il resto le parti si sono concentrate essenzialmente sulle caratteristiche dell’opzione che un servizio di compensazione può esercitare ai sensi della sezione 97A del Finance Act 1986.

64.

Si deve però osservare che, di per sé, l’esistenza dell’opzione non ha nulla a che vedere con la possibilità di giustificare la restrizione alla libera circolazione dei capitali. Da un punto di vista logico, infatti, ciò che ci si deve chiedere, relativamente all’opzione, è se la sua esistenza possa, qualora il regime dell’opzione sia conforme al diritto comunitario, neutralizzare l’eventuale illegittimità della normativa nazionale ai sensi dell’art. 56 CE: in ogni caso, tuttavia, la questione va tenuta separata da quella delle possibili giustificazioni della restrizione alla libera circolazione dei capitali. Mi occuperò dell’opzione prevista dalla sezione 97A nell’ultima parte delle presenti conclusioni.

65.

Il Regno Unito sostiene dunque che il regime fiscale differenziato previsto per il caso in cui talune azioni siano introdotte in un servizio di compensazione sarebbe giustificato dalla necessità di garantire un’effettiva vigilanza nel settore fiscale.

66.

Tale giustificazione non può, a mio avviso, essere accolta. Da un lato, infatti, il Regno Unito non indica per quali ragioni una misura così drastica sarebbe l’unica in grado di assicurare l’effettivo pagamento delle imposte dovute, e per quali motivi nessun altro meccanismo meno oneroso potrebbe realizzare i medesimi obiettivi.

67.

D’altro lato tuttavia, indipendentemente dalla disponibilità o meno di sistemi meno restrittivi per garantire il pagamento delle imposte, mi sembra che possano essere riproposte qui le medesime osservazioni che ho svolto più sopra, nell’ambito dell’analisi della compatibilità con la direttiva 69/335, relativamente al fatto che la SDRT all’1,5% non può, per la sua stessa natura, essere considerata un’anticipazione dell’imposta dovuta sui futuri trasferimenti di proprietà dei titoli. Ciò, in particolare, poiché si tratta di un tributo che deve essere pagato da un soggetto diverso rispetto a coloro che sono tenuti al pagamento della «normale» imposta sui trasferimenti: ma anche gli altri profili problematici rilevati in precedenza si ripropongono qui ( 23 ). In altri termini, l’esigenza di garantire la vigilanza fiscale non giustifica il fatto di far pagare il tributo ad un soggetto diverso da quello che normalmente deve pagarlo.

68.

Ritengo, di conseguenza, che la SDRT all’1,5% contrasti altresì con l’art. 56 CE.

3. Il diritto di opzione esclude l’esistenza di una discriminazione?

69.

L’ultima questione che ci si deve porre, a questo punto, consiste nel determinare se l’esistenza della possibilità di opzione, ai sensi della sezione 97A del Finance Act, consenta di «neutralizzare» la contrarietà alla direttiva 69/335 e al Trattato del meccanismo della SDRT all’1,5%. In altri termini, e più in generale, ci si deve chiedere se, in presenza di una normativa contrastante con il diritto comunitario, la possibilità di esercitare un’opzione che rende applicabile una diversa normativa, che si presuppone conforme al diritto comunitario, esclude in generale l’esistenza di una illegittimità.

70.

Le parti hanno dedicato alla discussione della possibilità di opzione una parte considerevole delle proprie osservazioni, tanto scritte che orali. In particolare, sia HSBC che la Commissione ritengono che le condizioni richieste dalla normativa britannica per l’esercizio dell’opzione siano eccessivamente e inutilmente onerose, e di conseguenza sproporzionate. Da parte sua, invece, il Regno Unito afferma che tali condizioni corrispondono a quelle richieste ai soggetti che normalmente si occupano di trasferire azioni nel mercato britannico, e che sono indispensabili al fine di garantire una corretta riscossione della SDRT allo 0,5% su ciascun trasferimento dei titoli.

71.

Ritengo tuttavia che l’esame dettagliato dei requisiti imposti per l’esercizio dell’opzione e della loro proporzionalità non sia in realtà in questa sede necessario. Si deve infatti osservare che il meccanismo dell’opzione, vale a dire quello ipoteticamente più rispettoso del diritto comunitario, costituisce, appunto, una «opzione». In altri termini, l’applicazione dello stesso richiede un intervento attivo e, in mancanza di questo, viene applicata una disciplina contrastante con il diritto comunitario. Soprattutto, come ho già osservato più sopra, il diritto di esercitare l’opzione è riconosciuto non al soggetto che potrebbe avere maggior interesse a farlo, cioè a colui che cede titoli azionari, ma ai servizi di compensazione, i quali, nella prassi, non pagano comunque la SDRT. Tra l’altro, vi sono casi, come il presente, in cui un servizio di compensazione gode, nel proprio paese di origine, di una situazione di monopolio legale: cosicché, in ultima analisi, tale servizio non ha davvero alcun incentivo per esercitare l’opzione.

72.

La situazione sarebbe diversa se il meccanismo che consente il pagamento della SDRT allo 0,5% anche nel caso di azioni introdotte in servizi di compensazione fosse, anziché l’oggetto di un’opzione, il sistema normalmente applicato. In tal caso, infatti, sarebbe necessario semplicemente interrogarsi sulla sufficienza e sulla proporzionalità dei requisiti imposti dal punto di vista tecnico al servizio di compensazione stesso: qualora tali requisiti non fossero sproporzionati, il sistema risulterebbe compatibile con il diritto comunitario.

73.

Nel presente caso tuttavia, in considerazione delle circostanze concrete della vicenda, un esame dettagliato dei requisiti per l’esercizio dell’opzione appare superfluo.

IV — Conclusioni

74.

Alla luce delle considerazioni svolte, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale proposta dagli Special Commissioners nei termini seguenti:

L’art. 11 della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, osta ad una disciplina fiscale, come quella in esame nella presente causa, in cui l’emissione di azioni in un servizio di compensazione dà luogo, in sostituzione dell’imposta sui trasferimenti dello 0,5% normalmente applicata nell’ordinamento nazionale, ad un’imposta una tantum dell’1,5%.


( 1 ) Lingua originale: l'italiano.

( 2 ) Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (GU L 249, pag. 25).

( 3 ) IV/COM(64) 526 def.

( 4 ) CREST, come risulta dalla decisione di rinvio, è il servizio che gestisce gli scambi azionari nel Regno Unito. Non si tratta di un servizio di compensazione («clearance service»), ma di un sistema per il trasferimento di azioni («settlement system»), in cui la titolarità delle azioni è visibile anche all’esterno, in particolare in quanto è annotata nei registri della società. Nei servizi di compensazione, per contro, la titolarità delle azioni risulta soltanto dai registri interni del servizio.

( 5 ) È noto che, in alcune versioni linguistiche della direttiva, in particolare quella tedesca e quella danese, l’art. 12 limita l’eccezione alle sole operazioni di borsa, e non in generale a tutte le operazioni di trasferimento di titoli. La Corte ha tuttavia affermato la necessità di un’interpretazione uniforme dell’art. 12, conformemente alla maggioranza delle versioni linguistiche, riconoscendo pertanto l'applicabilità dell'eccezione a tutte le imposte che riguardano il trasferimento di valori mobiliari. V. sentenza 17 dicembre 1998, causa C-236/97, Codan (Racc. pag. I-8679, punti 22-30). La nuova direttiva del Consiglio , 2008/7/CE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (GU L 46, pag. 11), la quale ha sostituito la direttiva 69/335 a partire dal , sembra ora aver definitivamente appianato la questione (cfr. art. 6 della stessa).

( 6 ) Va da sé che il fatto che in taluni casi tale tassazione possa essere più favorevole per i contribuenti potenzialmente interessati è del tutto irrilevante: cfr., ad esempio, sentenze 14 dicembre 2000, causa C-141/99, AMID (Racc. pag. I-11619, punto 27), e , causa C-383/05, Talotta (Racc. pag. I-2555, punto 31).

( 7 ) V., ad esempio, sentenze 19 marzo 2002, causa C-426/98, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-2793, punto 23 e giurisprudenza ivi citata), e , causa C-46/04, Aro Tubi Trafilerie (Racc. pag. I-3009, punto 26).

( 8 ) Causa C-415/02 (Racc. pag. I-7215).

( 9 ) Presentate il 15 gennaio 2004 (v., in particolare, i paragrafi 39-41).

( 10 ) Sentenza Commissione/Belgio (cit. alla nota 8), punto 37.

( 11 ) Sentenze 2 febbraio 1988, causa 36/86, Dansk Sparinvest (Racc. pag. 409, punto 9), e , cause riunite C-71/91 e C-178/91, Ponente Carni e Cispadana Costruzioni (Racc. pag. I-1915, punto 24).

( 12 ) Su tale aspetto ha insistito in modo particolare HSBC, i cui argomenti non mi sembrano tuttavia determinanti. V., per una discussione della questione, le conclusioni presentate dagli avvocati generali Geelhoed il 16 giugno 2005 (paragrafi 26-30) e Trstenjak l’ (paragrafi 54-58) nella causa C-466/03, Albert Reiss Beteiligungsgesellschaft (decisa con sentenza , Racc. pag. I-5357). Il punto 58 dell’appena citata sentenza potrebbe essere in effetti utilizzato quale argomento per un'interpretazione dell’art. 12 quale limitazione, e non quale deroga. Tale interpretazione potrebbe essere altresì rafforzata osservando che, nell’art. 6 della nuova direttiva 2008/7, in molte versioni linguistiche, anche se non in quella italiana, è scomparsa l'esplicita affermazione di una «deroga». È vero però che, ad esempio, nella sentenza , causa C-193/04, Organon Portuguesa (Racc. pag. I-7271, punto 20), la Corte ha chiaramente fatto propria l’idea dell’art. 12 della direttiva 69/335 quale deroga agli artt. 10 e 11.

( 13 ) V. sentenza Organon Portuguesa, cit. alla nota 12. Cfr., in particolare, i punti 18-20 della decisione, in cui la Corte ritiene coperti dal divieto di cui all’art. 11, in linea di principio, gli emolumenti notarili previsti per il caso di cessione di azioni (non di nuova emissione). Specificamente, il punto 19 si regge sull'idea che qualunque cessione di azioni, in generale, ricade nell’art. 11. V. anche, per analogia, sentenza 27 ottobre 1998, cause riunite C-31/97 e C-32/97, Fuerzas Eléctricas de Catalunya (Racc. pag. I-6491, punti 17-18), in cui la Corte ha considerato vietata dall’art. 11, lett. b), della direttiva la tassazione del rimborso di un prestito.

( 14 ) Come ho indicato più sopra, la presente analisi della compatibilità della disciplina britannica con il diritto comunitario primario è fondata sulla premessa della sua compatibilità con la direttiva 69/335: ciò sebbene, come indicato, io non condivida tale punto di partenza.

( 15 ) Né va dimenticato che l’art. 50 CE, nel definire i servizi, limita la categoria alle attività che non siano già «regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone».

( 16 ) Sentenza 1o giugno 1999, causa C-302/97, Konle (Racc. pag. I-3099, punto 22).

( 17 ) Sentenza 6 dicembre 2007, causa C-298/05, Columbus Container Services (Racc. pag. I-10451, punti 29-30).

( 18 ) Cfr. sentenze 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I-4731, punto 56), e Konle (cit. alla nota 16), punto 55.

( 19 ) Direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l'attuazione dell’art. 67 del Trattato (GU L 178, pag. 5). Per quanto riguarda l'uso di tale direttiva da parte della Corte al fine di definire l'ambito di applicazione della libera circolazione dei capitali, v., ad esempio, sentenze , causa C-222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I-1661, punto 21), e Commissione/Portogallo (cit. alla nota 18), punto 37.

( 20 ) Sentenza Commissione/Portogallo (cit. alla nota 18), punto 45 e giurisprudenza ivi citata.

( 21 ) Sentenza 23 febbraio 2006, causa C-513/03, van Hilten-van der Heijden (Racc. pag. I-1957, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

( 22 ) Sentenze 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera e a. (Racc. pag. I-4821, punto 23); , causa C-54/99, Église de scientologie (Racc. pag. I-1335, punto 18), e Commissione/Portogallo (cit. alla nota 18), punto 49. V. anche, più in generale, sentenza , causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 37).

( 23 ) Cfr. supra, paragrafi 32-41.