Parole chiave
Massima

Parole chiave

1. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping — Determinazione del valore normale — Utilizzo dei dati disponibili in caso di rifiuto di collaborazione da parte dell’impresa

(Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 18)

2. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Procedimento antidumping — Diritti della difesa — Comunicazione dell’informazione finale alle imprese da parte della Commissione

(Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 20, nn. 2 e 4)

3. Diritto comunitario — Principi — Diritti della difesa — Rispetto nell’ambito dei procedimenti amministrativi — Antidumping — Obbligo delle istituzioni di garantire l’informazione delle imprese interessate — Documento informativo finale aggiuntivo

(Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 20, n. 5)

4. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Danno — Periodo di riferimento

(Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 3, n. 2)

5. Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping — Confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione

(Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 2, n. 10)

Massima

1. L’art. 18 del regolamento antidumping di base n. 384/96 costituisce la trasposizione in diritto comunitario del contenuto del punto 6.8 nonché dell’allegato II dell’accordo relativo all’applicazione dell’art. VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994, alla luce dei quali dev’essere interpretato, per quanto possibile. A tale proposito si deve rilevare che l’utilizzo di dati disponibili è giustificato qualora un’impresa si rifiuti di collaborare o qualora essa fornisca un’informazione falsa o fuorviante, dato che l’art. 18, n. 1, secondo periodo, del citato regolamento di base non richiede un comportamento intenzionale.

Infatti, l’entità dello sforzo compiuto da una parte interessata per comunicare determinate informazioni non è necessariamente collegata alla qualità intrinseca delle informazioni comunicate e, in ogni caso, non costituisce il solo elemento determinante. Così, se alla fine non si ottengono le informazioni richieste, la Commissione è legittimata a fare ricorso ai dati disponibili relativi alle informazioni richieste.

Tale valutazione è corroborata dall’art. 18, n. 3, del citato regolamento di base, secondo il quale, qualora le informazioni presentate non siano perfettamente conformi alle condizioni richieste, esse non per questo devono essere disattese, a condizione che esse non provochino eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise, che siano presentate entro i termini, siano verificabili e che la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza. Il fatto che la parte interessata abbia agito con la migliore diligenza costituisce dunque uno dei requisiti che devono essere soddisfatti affinché la Commissione debba prendere in considerazione informazioni carenti.

Non si può quindi considerare che un produttore soggetto ad un’inchiesta antidumping abbia agito con la migliore diligenza qualora, nonostante il fatto che disponesse del volume totale delle sue esportazioni verso il mercato comunitario, abbia comunicato alla Commissione durante il procedimento amministrativo dati contraddittori riguardanti le sue vendite all’esportazione. In circostanze di questo tipo, la Commissione non è tenuta, ai fini del calcolo del prezzo all’esportazione, a prendere in considerazione gli elenchi delle vendite sul mercato comunitario dal momento che l’utilizzo di tutti i dati in essi contenuti avrebbe necessariamente condotto ad un risultato errato.

(v. punti 103-106)

2. Le imprese interessate da un’inchiesta precedente l’adozione di un regolamento antidumping devono essere messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze dedotti nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento della sua valutazione circa la sussistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio che ne conseguirebbe.

In tale contesto l’incompletezza dell’informazione finale chiesta dalle parti ai sensi dell’art. 20, n. 2, del regolamento antidumping di base n. 384/96 comporta l’illegittimità di un regolamento che istituisce dazi antidumping definitivi soltanto qualora, a causa di tale omissione, le parti interessate non abbiano potuto utilmente difendere i loro interessi. Tale sarebbe in particolare il caso qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie, cui deve essere riservata un’attenzione particolare nell’informazione finale, ai sensi della citata disposizione. Tale sarebbe parimenti il caso qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli sui quali si fonda una decisione adottata dalla Commissione o dal Consiglio successivamente alla comunicazione del documento informativo finale, come si evince dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del citato regolamento di base.

Il fatto che la Commissione abbia modificato la sua analisi in seguito alle osservazioni che le parti interessate hanno formulato sul documento informativo finale non costituisce, tuttavia, di per sé, una violazione dei diritti della difesa. Infatti, come emerge dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, il documento informativo finale non pregiudica qualsiasi ulteriore decisione della Commissione o del Consiglio. Tale disposizione si limita a imporre alla Commissione il dovere di comunicare, il più rapidamente possibile, i fatti e le considerazioni diversi da quelli sui quali si basa il suo approccio iniziale contenuto nel documento informativo finale. Di conseguenza, al fine di determinare se la Commissione abbia rispettato i diritti delle parti interessate derivanti dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, occorre anche verificare se la Commissione abbia comunicato loro i fatti e le considerazioni sui quali essa ha fondato la nuova analisi sul pregiudizio e sulla forma delle misure necessarie per eliminarlo, laddove essi siano diversi da quelli alla base del documento informativo finale.

(v. punti 134-135, 140-141)

3. Nell’accordare al produttore soggetto ad un’inchiesta antidumping un termine inferiore a dieci giorni al fine di esprimere osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo, la Commissione viola l’art. 20, n. 5, del regolamento antidumping di base n. 384/06. Tuttavia, tale circostanza, di per sé, non può condurre all’annullamento del regolamento impugnato. Infatti, si deve ancora accertare se il fatto di disporre di un termine inferiore al termine legale sia stato tale da causare una concreta lesione dei suoi diritti della difesa nell’ambito del procedimento di cui trattasi.

(v. punto 147)

4. L’imposizione di dazi antidumping non costituisce la sanzione di un comportamento precedente, ma una misura di difesa e di tutela nei confronti della concorrenza sleale derivante dalle pratiche di dumping. È quindi necessario condurre l’inchiesta sulla base di informazioni il più possibile attuali allo scopo di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria comunitaria dalle pratiche di dumping.

Qualora le istituzioni comunitarie constatino che le importazioni di un prodotto soggetto fino ad allora a restrizioni quantitative aumentano dopo la scadenza di dette restrizioni, esse possono tener conto di tale aumento ai fini della loro valutazione del pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

(v. punti 157-158)

5. Nell’ambito di un procedimento antidumping, qualora il prodotto interessato raggruppi un’ampia gamma di beni che presentano rilevanti differenze dal punto di vista delle loro caratteristiche e del loro prezzo, può rivelarsi indispensabile suddividerli in categorie più o meno omogenee. Tale operazione mira a permettere un confronto equo tra prodotti paragonabili e ad evitare quindi un calcolo errato del margine di dumping e del pregiudizio dovuto a confronti inadeguati.

(v. punto 172)