Causa T‑11/06

Romana Tabacchi Srl

contro

Commissione europea

«Concorrenza — Intese — Mercato italiano dell’acquisto e della prima trasformazione del tabacco greggio — Decisione che accerta un’infrazione all’art. 81 CE — Fissazione dei prezzi e ripartizione del mercato — Partecipazione all’infrazione — Durata dell’infrazione — Ammende — Circostanze attenuanti — Limite massimo del 10% del fatturato — Parità di trattamento — Competenza di piena giurisdizione»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Valutazione — Obbligo di prendere in considerazione l’impatto concreto sul mercato — Insussistenza — Ruolo fondamentale del criterio attinente alla natura dell’infrazione

[Art. 81, n. 1, lett. a) e b), CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A]

2.      Concorrenza — Ammende — Orientamenti per il calcolo delle ammende — Natura giuridica

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

3.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Infrazioni molto gravi

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

4.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Effetto di una pratica anticoncorrenziale — Criterio non decisivo

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

5.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Quote di mercato detenute dall’impresa interessata

(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

6.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Impatto concreto sul mercato — Criteri di valutazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

7.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Fissazione dell’ammenda in proporzione agli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

8.      Concorrenza — Ammende — Decisione con cui vengono inflitte ammende — Obbligo di motivazione — Portata

(Art. 253 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, nn. 2 e 3)

9.      Procedura — Deduzione di motivi nuovi in corso di causa — Presupposti — Motivo nuovo — Nozione

(Regolamento di procedura del Tribunale, art. 48, n. 2)

10.    Concorrenza — Intese — Accordi fra imprese — Onere della prova dell’infrazione e della sua durata incombente alla Commissione — Applicabilità del principio della presunzione d’innocenza

(Art. 81, n. 1, CE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 48, n. 1)

11.    Concorrenza — Intese — Prova — Grado di precisione richiesto degli elementi di prova su cui si è fondata la Commissione

(Art. 81, n. 1, CE)

12.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Valutazione — Presa in considerazione della realtà economica all’epoca in cui è stata commessa l’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 3; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

13.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in categorie — Presupposti — Rispetto del principio di parità di trattamento

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

14.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti — Minacce e pressioni subite da un’impresa – Esclusione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3)

15.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti — Ruolo passivo o emulativo dell’impresa — Criteri di valutazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, primo trattino)

16.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Imprese interessate facenti parte delle piccole e medie imprese — Irrilevanza

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, quinto comma)

17.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti — Comportamento divergente da quello convenuto in seno all’intesa

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, secondo trattino)

18.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti — Valutazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Importo massimo — Calcolo — Distinzione tra importo finale e importo intermedio dell’ammenda — Conseguenze

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

20.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Situazione finanziaria dell’impresa interessata — Presa in considerazione — Obbligo — Insussistenza

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

21.    Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Competenza estesa al merito

(Art. 229 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 31; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

22.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Carattere dissuasivo — Rispetto del principio di proporzionalità

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

1.      L’art. 81, n. 1, lett. a) e b), CE dichiara espressamente incompatibili con il mercato comune gli accordi e le pratiche concordate che consistono nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione, o nel limitare o controllare la produzione o gli sbocchi. Le infrazioni di questo tipo, segnatamente quando si tratta di intese orizzontali, sono qualificate come particolarmente gravi dal momento che esse incidono direttamente sui parametri essenziali della concorrenza nel mercato considerato, oppure come violazioni manifeste delle regole in materia di concorrenza.

La gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o tassativo dei criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

Secondo il metodo previsto dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5,del Trattato CECA, per valutare tale gravità, occorre prendere in considerazione la natura dell’infrazione, il suo impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Tuttavia, tali tre aspetti della valutazione della gravità dell’infrazione non hanno lo stesso rilievo nell’ambito dell’esame complessivo. La natura dell’infrazione ha un ruolo di primaria importanza, in particolare, nel caratterizzare le infrazioni molto gravi. Per contro, né l’impatto concreto sul mercato né l’estensione del mercato geografico sono elementi necessari per qualificare l’infrazione come molto grave nel caso di intese orizzontali dirette in particolare a fissare i prezzi. Pertanto, le intese orizzontali di tale tipo possono essere qualificate come «molto gravi» sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato.

(v. punti 67, 69, 74, 76-78)

2.      Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA sono uno strumento volto a precisare, nel rispetto del diritto di rango superiore, i criteri che la Commissione intende applicare nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale nella determinazione delle ammende ad essa conferito dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Se è vero che detti orientamenti non costituiscono il fondamento normativo di una decisione che infligge ammende, essendo quest’ultima fondata sul regolamento n. 1/2003, essi stabiliscono tuttavia, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’importo delle ammende inflitte da detta decisione e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto delle imprese.

Pertanto, anche se gli orientamenti non possono essere qualificati come norme giuridiche che l’amministrazione deve rispettare in ogni caso, essi enunciano pur sempre una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni.

L’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione risultante dall’adozione degli orientamenti non è tuttavia incompatibile con il mantenimento di un margine di discrezionalità sostanziale per la Commissione. Invero, il fatto che con gli orientamenti la Commissione abbia precisato il proprio approccio nel valutare la gravità di un’infrazione non le impedisce di esaminare tale criterio in maniera globale, in funzione di tutte le circostanze pertinenti, compresi elementi che non sono espressamente menzionati negli orientamenti.

(v. punti 71-73)

3.      L’importo di partenza minimo di EUR 20 milioni fissato dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, per quanto riguarda le infrazioni molto gravi fa riferimento ad una sola impresa, e non all’insieme delle imprese che hanno commesso l’infrazione.

(v. punto 86)

4.      Per quanto riguarda l’impatto concreto sul mercato di una prassi restrittiva contraria alle regole di concorrenza dell’Unione occorre tener conto della durata delle infrazioni e di tutti i fattori che possono entrare nella valutazione della gravità di queste ultime, come il comportamento di ciascuna delle imprese, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere le pratiche concertate, il vantaggio che hanno potuto trarre da dette pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione, nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi dell’Unione. Ne consegue che l’effetto di una pratica anticoncorrenziale non è, di per sé, un criterio determinante nella valutazione dell’importo adeguato dell’ammenda. In particolare, elementi attinenti all’intenzionalità della condotta possono essere più rilevanti di quelli relativi a detto effetto, soprattutto quando si tratti di violazioni intrinsecamente gravi, quali una ripartizione dei mercati.

(v. punto 90)

5.      La quota di mercato di ciascuna delle imprese coinvolte sul mercato oggetto di una prassi restrittiva ai sensi del diritto della concorrenza dell’Unione costituisce, anche in assenza di prova di una concreta incidenza dell’infrazione sul mercato, un elemento oggettivo che rispecchia la responsabilità di ciascuna di esse per quanto riguarda la nocività potenziale di detta prassi sul gioco normale della concorrenza. Infatti, per fissare l’importo dell’ammenda le quote di mercato detenute da un’impresa sono rilevanti al fine di determinare l’influenza che essa ha potuto esercitare sul mercato.

(v. punto 97)

6.      Per valutare la gravità dell’infrazione, è decisivo accertare che i membri dell’intesa avevano fatto tutto ciò che era in loro potere per rendere concrete le proprie intenzioni. Poiché ciò che si è verificato in seguito, per quanto riguarda i prezzi effettivamente realizzatisi sul mercato, poteva essere influenzato da altri fattori, fuori dal controllo dei membri dell’intesa, questi ultimi non possono addurre a proprio vantaggio, presentandoli come elementi atti a giustificare una riduzione dell’ammenda, fattori esterni, come l’aumento dei prezzi sul mercato di cui trattasi, che hanno controbilanciato gli sforzi da essi profusi.

(v. punti 99-100)

7.      Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti. Nell’ambito dei procedimenti avviati dalla Commissione per sanzionare le violazioni delle regole di concorrenza, l’applicazione di tale principio comporta che le ammende non devono essere esorbitanti riguardo agli obiettivi perseguiti, vale a dire riguardo al rispetto di tali regole, e che l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionato all’infrazione, valutata nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima. In particolare, il principio di proporzionalità comporta che la Commissione deve fissare l’ammenda proporzionalmente agli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione e che essa deve a tal proposito applicare tali elementi in modo coerente e obiettivamente giustificato.

Di conseguenza, la Commissione non viola il principio di proporzionalità fissando l’importo di partenza dell’ammenda per infrazione alle regole di concorrenza in EUR 10 milioni, dato che tale infrazione costituisce un’infrazione molto grave e intenzionale alle regole di concorrenza e che detto importo è stato fissato ad un livello nettamente inferiore al limite minimo previsto dagli orientamenti per tale tipo di intesa.

(v. punti 104-105, 107)

8.      Nell’ambito della fissazione dell’ammenda in forza della violazione del diritto della concorrenza dell’Unione, l’obbligo di motivazione è soddisfatto allorché la Commissione indica, nella propria decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione.

A tal riguardo, l’art. 253 CE obbliga la Commissione a menzionare i dati di fatto dai quali dipende la giustificazione della decisione e le considerazioni giuridiche che l’hanno indotta ad adottarla, ma non prescrive che essa discuta tutti i punti di fatto e di diritto eventualmente trattati durante il procedimento amministrativo.

Per quanto riguarda una decisione che infligge ammende a svariate imprese, la portata dell’obbligo di motivazione dev’essere valutata, in particolare, alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

(v. punti 109, 233)

9.      Secondo l’art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi non si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Al riguardo, un motivo che costituisca un ampliamento di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile.

(v. punto 124)

10.    Incombe alla Commissione provare non soltanto l’esistenza di un’intesa contraria alle regole di concorrenza dell’Unione, ma anche la sua durata. In particolare, sotto il profilo dell’onere della prova relativa a una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi probatori idonei a dimostrare sufficientemente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. Il fatto che il giudice nutra un dubbio deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione. Il giudice non può quindi concludere che la Commissione ha dimostrato l’esistenza dell’infrazione in questione qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nel contesto di un ricorso diretto all’annullamento e/o alla riforma di una decisione che infligge un’ammenda. Infatti, in tale ultima situazione, occorre tener conto del principio della presunzione d’innocenza, che fa parte dei diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione ed è stato sancito dall’art. 48, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica in particolare alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende. Pertanto, è necessario che la Commissione produca prove precise e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’infrazione contestata abbia avuto luogo.

Non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito.

(v. punti 129-130, 143)

11.    In genere le attività connesse ad accordi anticoncorrenziali si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Ne consegue che, anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di riunioni, essi saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, pertanto, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole di concorrenza.

Inoltre, in mancanza di elementi di prova atti a dimostrare direttamente la durata di un’infrazione, la Commissione si fonda quantomeno su elementi di prova che si riferiscano a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione si è protratta ininterrottamente entro due date precise.

A tal riguardo, è sufficiente che la Commissione dimostri che l’impresa interessata ha partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, affinché sia sufficientemente provata la partecipazione di detta impresa all’intesa. Ove sia stata dimostrata la partecipazione a riunioni siffatte, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione a queste riunioni fosse priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando di aver indicato ai suoi concorrenti che essa partecipava alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro. La ragione soggiacente a tale principio di diritto è che, avendo partecipato a detta riunione senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto, l’impresa ha dato l’impressione agli altri partecipanti che essa appoggiava il suo risultato e che vi si sarebbe conformata. Per contro, la Commissione commetterebbe un errore di valutazione se, in assenza di indizi sufficienti a tal riguardo, considerasse contraria alle norme di concorrenza dell’Unione la partecipazione di un’impresa ad un’intesa.

(v. punti 131-132, 158, 165-166)

12.    Per quanto riguarda la scelta dell’anno di riferimento per stabilire il peso relativo delle imprese, nel settore delle intese contrarie alle norme di concorrenza dell’Unione, se da un lato gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA prevedono, al punto 1 A, quarto e quinto comma, un trattamento differenziato delle imprese in funzione della loro importanza economica, dall’altro essi non indicano rispetto a quale anno il peso relativo delle imprese debba essere determinato.

A tal riguardo, la Commissione è tenuta a scegliere un metodo di calcolo che consenta di valutare le dimensioni e la potenza economica di ogni impresa interessata, nonché l’entità dell’infrazione commessa in funzione della realtà economica come si presentava all’epoca in cui l’infrazione è stata commessa. Inoltre, occorre delimitare il periodo da prendere in considerazione in modo che i fatturati, o le quote di mercato, ottenuti siano il più possibile paragonabili. Ne consegue che l’anno di riferimento non deve necessariamente essere l’ultimo anno completo durante il quale si è protratta l’infrazione.

(v. punti 176-177)

13.    Il metodo consistente nel ripartire i membri di un’intesa in categorie al fine di realizzare un trattamento differenziato nella fase della determinazione degli importi di partenza delle ammende, benché porti ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese di una stessa categoria, comporta una determinazione forfetaria dell’importo di partenza fissato per le imprese appartenenti ad una stessa categoria.

Tuttavia, una simile ripartizione per categorie deve rispettare il principio della parità di trattamento, secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Inoltre, l’importo delle ammende dev’essere quantomeno proporzionato agli elementi presi in considerazione al fine di valutare la gravità dell’infrazione. Per verificare se una ripartizione dei membri di un’intesa in categorie sia conforme ai principi di parità di trattamento e di proporzionalità, occorre esaminare se tale ripartizione sia coerente ed obiettivamente giustificata.

A tal riguardo, se è vero che la Commissione può tener conto delle quote di mercato possedute da un’impresa che partecipa ad un’intesa nell’ultimo anno completo dell’infrazione constatata per valutare le sue dimensioni e la sua potenza economica in un mercato determinato, nonché l’entità dell’infrazione commessa da detta impresa, essa deve cionondimeno assicurarsi che le quote di mercato di ciascuna delle imprese coinvolte riflettano correttamente la realtà economica così come appare al momento dell’infrazione commessa. Orbene, in regola generale, nel caso di infrazioni di lunga durata, come nella fattispecie, è solo allorché l’ultimo anno completo dell’infrazione, così come preso in considerazione dalla Commissione, coincide con la durata di partecipazione di ciascuna di tali imprese che le quote di mercato ad esso attinenti sono tali da servire da indicatori pertinenti al riguardo e da permettere di ottenere risultati per quanto possibile paragonabili, soprattutto al fine di ripartire in categorie le imprese coinvolte.

(v. punti 180-182, 184, 186)

14.    L’esistenza di minacce e di pressioni dirette ad indurre un’impresa a partecipare ad un’infrazione al diritto della concorrenza dell’Unione non rientra fra le circostanze attenuanti menzionate negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA. Le pressioni esercitate da talune imprese e dirette ad indurre altre imprese a partecipare a un’infrazione al diritto della concorrenza non esimono l’impresa in questione dalla sua responsabilità per l’infrazione commessa, non modificano affatto la gravità dell’intesa e non possono rappresentare una circostanza attenuante ai fini del calcolo delle ammende, dato che l’impresa in questione avrebbe potuto segnalare tali pressioni alle autorità competenti e presentare una denuncia dinanzi ad esse. La Commissione non è quindi tenuta a prendere in considerazione siffatte minacce come circostanze attenuanti.

(v. punti 211-213)

15.    Tra gli elementi idonei a rivelare il ruolo passivo di un’impresa all’interno di un’intesa, che possono giustificare la riduzione di un’ammenda ai sensi del punto 3, primo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, possono essere presi in considerazione il carattere sensibilmente più sporadico della sua partecipazione alle riunioni rispetto a quella degli altri membri dell’intesa, come anche il suo ingresso tardivo sul mercato oggetto dell’infrazione, indipendentemente dalla durata della sua partecipazione a quest’ultima, o ancora l’esistenza di dichiarazioni esplicite in tal senso provenienti da rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione. Peraltro, il ruolo esclusivamente passivo di un membro di un’intesa comporta l’adozione da parte di quest’ultimo di un «basso profilo», vale a dire l’assenza di partecipazione attiva all’elaborazione dell’accordo o degli accordi anticoncorrenziali.

A tal riguardo, non è quindi sufficiente che, durante taluni periodi dell’intesa, o rispetto a taluni accordi di quest’ultima, l’impresa in questione abbia adottato, anche supponendolo provato, un basso profilo. Invero, il fatto di convocare riunioni, di proporre un ordine del giorno e di distribuire documenti preparatori in vista di riunioni è incompatibile con il ruolo passivo di un emulatore che adotta un basso profilo. Tali iniziative rivelano un atteggiamento favorevole e attivo dell’impresa relativo all’elaborazione, alla continuazione e al controllo dell’intesa.

Per di più, quando un’impresa abbia partecipato, pur senza svolgervi un ruolo attivo, a riunioni aventi un obiettivo anticoncorrenziale, essa va considerata come parte dell’intesa, salvo che non dimostri di aver chiaramente preso le distanze dall’accordo illecito. Infatti, con la sua partecipazione alle riunioni, l’impresa ha aderito o quantomeno ha fatto credere agli altri partecipanti che aderiva in linea di principio al contenuto degli accordi anticoncorrenziali che vi erano conclusi.

(v. punti 217-218, 220, 223, 225)

16.    Il punto 1 A, quinto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA consente alla Commissione di aumentare le ammende delle imprese di grandi dimensioni, ma non le impone di ridurre quelle fissate per imprese di dimensioni modeste. Le dimensioni dell’impresa vengono infatti prese in considerazione dal tetto massimo fissato dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 e dalle disposizioni degli orientamenti. A parte tali considerazioni relative alle dimensioni, non vi è alcuna ragione di trattare le piccole e medie imprese diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese siano piccole o medie imprese non le esonera dal loro dovere di rispettare le regole di concorrenza.

Peraltro, l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 non impone che, qualora ammende vengano inflitte a più imprese coinvolte in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Infatti, risulta da detta disposizione che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, occorre prendere in considerazione, per determinare l’importo dell’ammenda, la gravità e la durata dell’infrazione.

(v. punti 226, 228, 260)

17.    La Commissione è tenuta a dedurre una circostanza attenuante, a titolo della non applicazione di fatto degli accordi illeciti ai sensi del punto 3, secondo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA solo se l’impresa che fa valere la mancata attuazione dell’intesa può dimostrare di essersi opposta chiaramente e con forza all’attuazione di tale intesa, al punto da averne perturbato il funzionamento, e di non aver aderito in apparenza all’accordo né istigato, per questo, altre imprese ad attuare l’intesa in questione. Sarebbe, infatti, troppo semplice per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare un’ammenda ingente qualora potessero approfittare di un’intesa illecita e beneficiare in seguito di una riduzione dell’ammenda per il fatto di aver svolto solo un ruolo limitato nell’attuazione dell’infrazione, mentre il loro atteggiamento ha istigato altre imprese a comportarsi in maniera più dannosa per la concorrenza.

(v. punti 240-241)

18.    Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, non prevedono che la Commissione debba sistematicamente prendere in considerazione separatamente ciascuna delle circostanze attenuanti elencate al punto 3 di detti orientamenti. Ne consegue che essa non è obbligata a concedere una riduzione supplementare a tale titolo in modo automatico, in quanto il carattere adeguato di un’eventuale riduzione dell’ammenda a titolo di circostanze attenuanti deve essere valutato da un punto di vista complessivo, tenendo conto dell’insieme delle circostanze pertinenti.

(v. punto 242)

19.    Il limite massimo del 10% del fatturato, previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 ha un obiettivo distinto e autonomo rispetto a quello dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione, cioè evitare che siano inflitte ammende che le imprese, date le loro dimensioni, determinate in funzione del loro fatturato complessivo, ancorché in maniera approssimativa ed imperfetta, non saranno prevedibilmente in grado di saldare. Pertanto, tale limite è uniformemente applicabile a tutte le imprese, è articolato in funzione delle dimensioni di ciascuna di esse ed è diretto ad evitare ammende di un livello eccessivo e sproporzionato. Un siffatto limite ha come unica possibile conseguenza che l’importo dell’ammenda calcolato sulla base dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione sia ridotto al livello massimo autorizzato allorché supera quest’ultimo. La sua applicazione comporta che l’impresa interessata non paghi la totalità dell’ammenda che, in linea di principio, sarebbe dovuta ai sensi di una valutazione fondata su detti criteri.

Peraltro, l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 non vieta alla Commissione di fare riferimento, in sede di calcolo, ad un importo intermedio che superi tale limite, purché l’ammenda definitivamente inflitta non lo superi. Ne consegue che in nessuna fase dell’applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, la Commissione è tenuta ad assicurare che gli importi intermedi delle ammende adottati tengano conto di ogni differenza esistente tra i fatturati complessivi delle imprese interessate. D’altra parte, la Commissione non è tenuta neanche ad assicurare che gli importi finali delle ammende cui conduce il suo calcolo per le imprese in questione riflettano tutte le differenze tra queste ultime quanto al loro fatturato.

(v. punti 257, 259)

20.    La Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda, a prendere in considerazione la situazione finanziaria deficitaria di un’impresa, dal momento che il riconoscimento di un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno adeguate rispetto alle condizioni del mercato.

(v. punto 258)

21.    La competenza di piena giurisdizione conferita, in applicazione dell’art. 229 CE, al Tribunale dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003 abilita quest’ultimo, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, che consente solo di respingere il ricorso di annullamento o di annullare l’atto impugnato, a sostituire la propria valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a riformare l’atto impugnato, anche senza annullarlo, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto, modificando in particolare l’ammenda inflitta qualora la questione dell’importo dell’ammenda sia sottoposta alla sua valutazione.

La fissazione di un’ammenda da parte del Tribunale non è, per sua natura, un esercizio aritmetico preciso. D’altronde, il Tribunale non è vincolato ai calcoli della Commissione né ai suoi orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, allorché si pronuncia in forza della propria competenza di piena giurisdizione, bensì deve effettuare la propria valutazione tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie.

(v. punti 265-266)

22.    Le ammende inflitte per violazioni dell’art. 81 CE, come quelle previste all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, hanno ad oggetto la repressione degli illeciti delle imprese interessate, nonché lo scopo di dissuadere sia le imprese in questione sia altri operatori economici dalla violazione, in futuro, delle norme del diritto della concorrenza dell’Unione. Così, la presa in considerazione delle dimensioni e delle risorse complessive dell’impresa di cui trattasi al fine di assicurare un effetto dissuasivo sufficiente all’ammenda mira ad ottenere un impatto su detta impresa, dal momento che la sanzione non deve essere trascurabile con riferimento, in particolare, alla capacità finanziaria di quest’ultima.

Inoltre, il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. Ne consegue che le ammende non devono essere sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto alle norme in materia di concorrenza, e che l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionato all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima.

(v. punti 279-280)







SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

5 ottobre 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato italiano dell’acquisto e della prima trasformazione del tabacco greggio – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE – Fissazione dei prezzi e ripartizione del mercato – Partecipazione all’infrazione – Durata dell’infrazione – Ammende – Circostanze attenuanti – Limite massimo del 10% del fatturato – Parità di trattamento –Competenza di piena giurisdizione»

Nella causa T‑11/06,

Romana Tabacchi Srl, già Romana Tabacchi SpA, con sede in Roma, rappresentata dagli avv.ti M. Siragusa e G.C. Rizza,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente dai sigg. É. Gippini Fournier e F. Amato, successivamente dai sigg. Gippini Fournier e V. Di Bucci, e infine dai sigg. Gippini Fournier e L. Malferrari, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 20 ottobre 2005, C (2005) 4012 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE] (caso COMP/C.38.281/B.2 – Tabacco greggio – Italia) e, dall’altro, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto dal sig. J. Azizi, presidente, dalla sig.ra E. Cremona (relatore) e dal sig. S. Frimodt Nielsen, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Romana Tabacchi Srl, ricorrente, è una società italiana, attualmente in liquidazione, avente come attività principale la prima trasformazione del tabacco greggio. All’epoca dei fatti che formano oggetto della presente causa, gli unici azionisti della ricorrente erano i coniugi B., che ne detenevano – e ne detengono tuttora – congiuntamente la totalità delle azioni.

1.     Procedimento amministrativo

2        Il 15 gennaio 2002, ai sensi dell’art. 11 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204), la Commissione delle Comunità europee ha rivolto talune domande di informazioni relative al mercato italiano del tabacco greggio alle associazioni professionali dei trasformatori e dei produttori italiani di tabacco, cioè rispettivamente all’Associazione professionale trasformatori tabacchi italiani (APTI) e all’Unione italiana tabacco (Unitab)

3        Il 19 febbraio 2002 la Commissione ha ricevuto dalla Deltafina SpA, un trasformatore italiano membro dell’APTI, una richiesta di immunità in materia di ammende in applicazione della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»). Il 6 marzo 2002 la Commissione ha accordato alla Deltafina un’immunità condizionale ai sensi del punto 15 di detta comunicazione.

4        Il 4 aprile 2002 la Commissione ha ricevuto una richiesta di immunità in materia di ammende, ai sensi del punto 8 della comunicazione sulla cooperazione, e, in via subordinata, una richiesta di riduzione di qualsiasi ammenda, ai sensi dei punti 20‑27 di detta comunicazione, da parte della Dimon Italia Srl (controllata della Dimon Inc., divenuta Mindo Srl), nonché una richiesta di riduzione di qualsiasi ammenda, allo stesso titolo, da parte della Transcatab SpA (controllata della Standard Commercial Corp.; in prosieguo: la «SCC»).

5        Il 18 e 19 aprile 2002 la Commissione ha effettuato accertamenti, ai sensi dell’art. 14 del regolamento n. 17, nelle sedi della Dimon Italia e della Transcatab, nonché nelle sedi della Trestina Azienda Tabacchi SpA e della ricorrente.

6        L’8 ottobre 2002 la Commissione ha informato la Dimon Italia e la Transcatab che, poiché le stesse erano state rispettivamente la prima e la seconda impresa ad avere presentato elementi di prova dell’infrazione ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, essa intendeva concedere loro, al termine del procedimento amministrativo, una riduzione dell’importo dell’ammenda che sarebbe stata loro inflitta a titolo delle infrazioni eventualmente accertate.

7        Il 25 febbraio 2004 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti, che ha indirizzato a dieci imprese o associazioni d’imprese, tra le quali la Deltafina, la Dimon Italia, la Transcatab e la ricorrente (in prosieguo: i «trasformatori») e le società controllanti di alcune di esse, in particolare la Universal Corp., la Dimon e la SCC. I destinatari della comunicazione degli addebiti hanno avuto accesso al fascicolo amministrativo, una copia del quale su CD‑ROM è stata loro comunicata da parte della Commissione, ed hanno trasmesso osservazioni scritte in risposta agli addebiti contenuti nella comunicazione. Il 22 giugno 2004 si è tenuta un’audizione.

8        In seguito all’adozione, il 21 dicembre 2004, di un addendum alla comunicazione degli addebiti del 25 febbraio 2004, il 1° marzo 2005 si è svolta una seconda audizione.

9        Dopo aver sentito il Comitato consultivo in materia di intese e di posizioni dominanti e alla luce della relazione finale del consigliere auditore, il 20 ottobre 2005 la Commissione ha adottato la decisione C (2004) 4012 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE] (caso COMP/C.38.281/B.2 – Tabacco greggio – Italia) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), di cui è pubblicata una sintesi sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 13 febbraio 2006 (GU L 353, pag. 45).

2.     La decisione impugnata

10      La decisione impugnata riguarda anzitutto un’intesa orizzontale attuata dai trasformatori sul mercato italiano del tabacco greggio (punto 1 della decisione impugnata).

11      La Commissione ha accertato nella decisione impugnata che, nell’ambito di tale intesa, nel periodo compreso tra il 1995 e gli inizi del 2002, i trasformatori avevano fissato le condizioni per l’acquisto del tabacco greggio in Italia, per quanto riguarda tanto gli acquisti diretti presso i produttori quanto gli acquisti presso «imballatori terzi», in particolare mediante la fissazione dei prezzi e la ripartizione del mercato (punto 1 della decisione impugnata).

12      La decisione impugnata riguarda inoltre due altre infrazioni, distinte dall’infrazione posta in essere dai trasformatori, verificatesi tra gli inizi del 1999 e la fine del 2001 e consistenti nella fissazione da parte dell’APTI dei prezzi contrattuali che avrebbe negoziato, per conto dei suoi aderenti, in vista della conclusione di accordi interprofessionali con la Unitab, e nella fissazione da parte di quest’ultima dei prezzi che avrebbe negoziato con l’APTI, per conto dei suoi aderenti, in vista della conclusione degli stessi accordi interprofessionali.

13      Nella decisione impugnata la Commissione ha considerato che le pratiche dei trasformatori costituivano un’infrazione unica e continuata dell’art. 81, n. 1, CE (v., in particolare, punti 264‑269 della decisione impugnata).

14      All’art. 1, n. 1, della decisione impugnata, essa ha imputato la responsabilità dell’intesa ai trasformatori, nonché alla Universal, controllante della Deltafina, e alla Alliance One International Inc. (in prosieguo: la «Alliance One»), quale società derivante dalla fusione tra la Dimon e la SCC. Essa ha altresì constatato, all’art. 1, n. 2, della decisione impugnata, che l’APTI e l’Unitab avevano violato l’art. 81, n. 1, CE adottando decisioni relative ai prezzi da negoziare per conto dei loro aderenti in vista della stipula di accordi interprofessionali.

15      All’art. 2 della decisione impugnata, la Commissione ha inflitto ammende alle imprese menzionate al punto 14 supra nonché all’APTI e all’Unitab (v. punto 42 infra).

16      Ai punti 356‑404 della decisione impugnata, la Commissione ha esaminato la questione delle ammende da infliggere ai destinatari della decisione.

17      Gli importi delle ammende sono stati determinati dalla Commissione in funzione della gravità e della durata delle infrazioni di cui trattasi, cioè i due criteri espressamente menzionati all’art. 23, n. 3, del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1) ed all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 (punti 356 e 357 della decisione impugnata).

 Determinazione dell’importo di partenza delle ammende

 Gravità

18      Quanto alla gravità dell’infrazione, la Commissione ha ricordato che, per valutare tale fattore, essa doveva prendere in considerazione la natura dell’infrazione stessa, il suo impatto concreto sul mercato laddove sia misurabile, nonché l’estensione del mercato geografico interessato (punto 365 della decisione impugnata).

19      La Commissione ha poi indicato che la produzione di tabacco greggio in Italia rappresentava circa il 38% della produzione in quota all’Unione europea, pari a EUR 67 338 milioni nel 2001, cioè l’ultimo anno completo dell’infrazione (punto 366 della decisione impugnata).

20      Quanto alla natura dell’infrazione, la Commissione ha constatato che essa era molto grave, dato che era consistita nella fissazione dei prezzi di acquisto delle varietà di tabacco greggio in Italia e nella ripartizione dei quantitativi acquistati. La Commissione ha aggiunto, riferendosi alla parte della decisione impugnata relativa all’analisi della restrizione della concorrenza (punti 272 e seguenti), che un’intesa in materia di acquisto poteva alterare la disponibilità dei produttori a produrre, oltre che limitare la concorrenza tra i trasformatori nei mercati a valle. Essa ha altresì affermato che ciò si verifica in particolare nei casi , come quello in esame, in cui il prodotto oggetto dell’intesa, cioè il tabacco greggio, costituisce un «input» sostanziale delle attività svolte dai partecipanti a valle, nella fattispecie la prima trasformazione di tabacco e la vendita di tabacco trasformato (punti 367 e 368 della decisione impugnata).

21      Al punto 369 della decisione impugnata, la Commissione ha concluso, sulla base delle considerazioni che precedono, che l’infrazione commessa dai trasformatori doveva essere considerata molto grave.

 Trattamento differenziato

22      Ai punti 370‑376 della decisione impugnata la Commissione ha esaminato la questione del «peso specifico» e della «deterrenza». A tal riguardo, essa ha indicato che, ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, occorreva tener conto del «peso specifico di ciascuna impresa e del probabile effetto del suo comportamento illecito» (punto 370 della decisione impugnata).

23      La Commissione ha considerato quindi che le ammende dovevano essere fissate in funzione della posizione sul mercato delle singole parti interessate (punto 371 della decisione impugnata).

24      Al riguardo, essa ha ritenuto che alla Deltafina dovesse essere attribuito l’importo di partenza dell’ammenda più elevato poiché essa risultava essere l’acquirente maggiore, con una quota di mercato pari a circa il 25% nel 2001 (punto 372 della decisione impugnata).

25      Dato che detenevano quote di mercato più piccole (circa il 9‑11% nel 2001), la Commissione ha considerato che la Transcatab, la Dimon Italia e la Romana Tabacchi dovevano essere «considerate congiuntamente» e che l’importo di partenza dell’ammenda nei loro confronti doveva essere più basso (punto 373 della decisione impugnata).

26      La Commissione ha tuttavia considerato che un importo di partenza che riflettesse semplicemente la posizione di mercato non avrebbe avuto un effetto deterrente sufficiente sulla Deltafina, sulla Dimon Italia (Mindo) e sulla Transcatab, in quanto, nonostante il loro fatturato piuttosto modesto, ciascuna di esse apparteneva – o, nel caso della Mindo, era appartenuta – a gruppi multinazionali di considerevole forza economica e finanziaria, che rappresentavano i maggiori commercianti mondiali di tabacco e che operavano a livelli diversi di attività nel settore del tabacco e su diversi mercati geografici (punto 374 della decisione impugnata).

27      Di conseguenza, al fine di garantire il carattere deterrente dell’ammenda, la Commissione ha considerato che occorreva applicare un fattore moltiplicatore di 1,5 – pari ad una maggiorazione del 50% – all’importo di partenza determinato per la Deltafina, e un fattore moltiplicatore di 1,25 – pari ad una maggiorazione del 25% – all’importo di partenza determinato per la Dimon Italia (Mindo) e per la Transcatab (punto 375 della decisione impugnata).

28      Pertanto, la Commissione ha fissato l’importo di partenza delle ammende, al punto 376 della decisione impugnata, come segue:

–        Deltafina: EUR 37,5 milioni;

–        Transcatab: EUR 12,5 milioni;

–        Dimon Italia (Mindo): EUR 12,5 milioni;

–        Romana Tabacchi: EUR 10 milioni.

 Determinazione dell’importo di base delle ammende

29      Ai punti 377 e 378 della decisione impugnata la Commissione ha esaminato la questione della durata dell’infrazione.

30      Essa ha considerato che l’intesa posta in essere dai trasformatori era iniziata il 29 settembre 1995 ed era cessata, secondo le dichiarazioni degli stessi trasformatori, il 19 febbraio 2002. Per quanto riguarda in particolare la ricorrente, la Commissione ha affermato che essa aveva aderito all’intesa nell’ottobre 1997 e che aveva sospeso la propria partecipazione dal 5 novembre 1999 al 29 maggio 2001, per riprenderla nuovamente dal 29 maggio 2001 al 19 febbraio 2002. Poiché la sua partecipazione all’infrazione era durata solo due anni e otto mesi, la Commissione ha ritenuto che occorresse applicarle una maggiorazione del 25% sull’importo di partenza della sua ammenda, mentre l’importo di partenza delle ammende da infliggere agli altri trasformatori è stato maggiorato del 60%.

31      Gli importi di base delle ammende inflitte ai destinatari della decisione impugnata sono stati pertanto stabiliti come segue:

–        Deltafina:                   EUR 60 milioni;

–        Transcatab:                   EUR 20 milioni;

–        Dimon Italia (Mindo):          EUR 20 milioni;

–        Romana Tabacchi:          EUR 12,5 milioni.

 Circostanze attenuanti

32      Ai punti 380‑398 della decisione impugnata, la Commissione ha esaminato se occorresse prendere in considerazione talune circostanze attenuanti.

33      Per quanto riguarda la ricorrente, la Commissione ha precisato, al punto 380 della decisione impugnata, che essa «non [aveva] partecipato a certi aspetti del cartello (principalmente quelli inerenti ad acquisti diretti presso i produttori, dai quali ha soltanto cominciato ad acquistare piccoli quantitativi nel 2000)». Inoltre, essa ha considerato che, nel 1997, allorché la ricorrente aveva aderito all’intesa, la sua quota di mercato era modesta. Infine, essa ha precisato che il «comportamento della ricorrente spesso [aveva] sconvolto la finalità del cartello al punto che gli altri partecipanti avevano discusso collettivamente come reagire alla [sua] condotta».

34      Alla luce di tali elementi, la Commissione ha deciso di ridurre del 30% l’importo di base dell’ammenda da infliggere alla ricorrente.

35      Per quanto riguarda la situazione della Dimon Italia e della Transcatab, la Commissione ha respinto l’insieme dei loro argomenti diretti a far loro beneficiare di circostanze attenuanti (punti 381‑384 della decisione impugnata).

36      Infine, la Commissione ha preso in considerazione la situazione particolare della Deltafina e ha concluso che occorreva ridurre del 50% la sua ammenda, alla luce della cooperazione da essa fornita (punti 385‑398 della decisione impugnata).

37      La Commissione ha fissato l’importo delle ammende in seguito all’applicazione delle circostanze attenuanti come segue (punto 399 della decisione impugnata):

–        Deltafina:          EUR 30 milioni;

–        Dimon Italia (Mindo): EUR 20 milioni;

–        Transcatab:          EUR 20 milioni;

–        Romana Tabacchi: EUR 8,75 milioni.

 Limite massimo dell’ammenda previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

38      Ai punti 400‑404 della decisione impugnata, la Commissione ha esaminato se occorresse adeguare gli importi di base così calcolati per i diversi destinatari affinché essi non superassero il limite del 10% del fatturato previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

39      A tal proposito, essa ha affermato che l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente non doveva eccedere EUR 2,05 milioni e che non era necessario ridurre le altre ammende ai sensi di detta disposizione (punti 402 e 403 della decisione impugnata).

 Applicazione della comunicazione sulla cooperazione

40      Ai punti 405‑500 della decisione impugnata, la Commissione si è pronunciata sull’applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

41      A seguito della constatazione che la Dimon Italia e la Transcatab avevano rispettato le condizioni ad esse imposte per effetto della loro richiesta di riduzione dell’ammenda, la Commissione ha deciso, in ragione della valutazione degli elementi di prova forniti e della loro collaborazione nel corso del procedimento, di concedere alle stesse il tasso più elevato di riduzione previsto entro i limiti ad esse indicati in seguito alla loro richiesta di riduzione, vale a dire, rispettivamente, il 50% e il 30% (punti 492‑499 della decisione impugnata). Alla Deltafina, invece, non è stata accordata alcuna immunità o riduzione dell’ammenda.

 Importo finale delle ammende

42      Conformemente all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione ha fissato, all’art. 2 della decisione impugnata, gli importi delle ammende da infliggere alle imprese e alle associazioni d’imprese destinatarie della decisione impugnata come segue:

–        Deltafina e Universal, in solido: EUR 30 milioni;

–        Dimon Italia (Mindo) e Alliance One: EUR 10 milioni, Alliance One essendo responsabile per l’intero e Mindo responsabile in solido nel limite di EUR 3,99 milioni;

–        Transcatab e Alliance One, in solido: EUR 14 milioni;

–        Romana Tabacchi: EUR 2,05 milioni;

–        APTI: EUR 1 000;

–        Unitab: EUR 1 000.

 Procedimento e conclusioni delle parti

43      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 19 gennaio 2006, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

44      Con atto separato, depositato presso la cancelleria il medesimo giorno (causa T‑11/06 R), la ricorrente ha proposto, ai sensi dell’art. 242 CE e dell’art. 104 del regolamento di procedura del Tribunale, una domanda di provvedimenti provvisori con la quale chiedeva, da un lato, che fosse sospesa l’esecuzione della decisione e, dall’altro, che essa fosse esentata dall’obbligo di costituire una garanzia bancaria per il pagamento dell’ammenda quale condizione per evitare la riscossione immediata della somma.

45      Con ordinanza del presidente del Tribunale 13 luglio 2006, causa T‑11/06 R, Romana Tabacchi/Commissione (Racc. pag. II‑2491), è stato sospeso, a talune condizioni, l’obbligo della ricorrente di costituire una garanzia bancaria a favore della Commissione al fine di evitare l’immediata riscossione dell’ammenda ad essa inflitta dall’art. 2 della decisione impugnata, riservando le spese.

46      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’art. 64 del regolamento di procedura, ha invitato le parti a produrre taluni documenti. Le parti hanno ottemperato a tale domanda entro il termine impartito.

47      Le parti hanno svolto le proprie difese orali ed hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 1° dicembre 2010.

48      Con lettere del 7 e del 10 dicembre 2010, la ricorrente e la Commissione hanno, rispettivamente, risposto ad una misura di organizzazione del procedimento del Tribunale adottata all’udienza e depositato taluni documenti.

49      Il 19 gennaio 2011, la Commissione, su domanda del Tribunale, ha depositato altri documenti.

50      L’8 febbraio 2011 la ricorrente ha presentato le proprie osservazioni su detti documenti.

51      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare parzialmente la decisione impugnata, per la parte di quest’ultima relativa al calcolo dell’ammenda che le è stata inflitta; 

–        ridurre sostanzialmente l’importo dell’ammenda che le è stata inflitta;

–        ordinare qualunque altra misura, anche istruttoria, che il Tribunale possa ritenere appropriata;

–        condannare la Commissione alle spese.

52      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

53      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce cinque motivi. Il primo motivo attiene ad un difetto d’istruttoria e ad un difetto di motivazione, ovvero all’illogicità di quest’ultima, nonché ad una violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità, riguardo all’omessa considerazione da parte della Commissione, ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda, dell’assenza di impatto concreto dell’intesa sul mercato. Il secondo motivo attiene all’illogicità della motivazione e alla violazione del principio che impone la parità di trattamento riguardo alla graduazione dell’importo di partenza dell’ammenda al fine di adeguarlo al peso specifico della ricorrente. Il terzo motivo attiene ad un difetto di motivazione e d’istruttoria, nonché alla violazione dell’onere della prova, riguardo al calcolo della durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione. Il quarto motivo attiene all’insufficienza della riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione del ruolo «eversivo» svolto dalla ricorrente, nonché alla mancata considerazione di altre circostanze attenuanti. Il quinto motivo attiene al carattere iniquo e sproporzionato dell’ammenda, in relazione alla struttura patrimoniale e alla capacità contributiva reale della ricorrente in un contesto sociale particolare.

54      Il Tribunale esaminerà anzitutto il primo motivo, poi il terzo motivo e, infine, il secondo, il quarto ed il quinto motivo.

1.     Sulla domanda di prova testimoniale 

55      Per quanto riguarda la valutazione delle dichiarazioni che la ricorrente ha allegato al ricorso come mezzi di prova, si deve osservare, anzitutto, che il regolamento di procedura non osta a che le parti producano siffatte dichiarazioni. Tuttavia, la loro valutazione rimane riservata al Tribunale che può, se i fatti che vi sono descritti sono fondamentali per la risoluzione delle controversie, ordinare, sotto forma di misure istruttorie, l’audizione in qualità di testimone dell’autore di tale documento (v., in tale senso, sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, cause riunite T‑101/05 e T‑111/05, BASF e UCB/Commissione, Racc. pag. I‑4949, punto 97). Orbene, nel caso di specie, alla luce delle memorie delle parti, dei documenti versati agli atti e dei risultati dell’udienza, il Tribunale ritiene di avere sufficienti elementi per statuire sulla presente controversia (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 16 novembre 2006, causa T‑120/04, Peróxidos Orgánicos/Commissione, Racc. pag. II‑4441, punto 80).

56      Pertanto, la domanda di misure istruttorie presentata dalla ricorrente è respinta.

2.     Sul primo motivo, attinente ad un difetto d’istruttoria e ad un difetto di motivazione, ovvero all’illogicità di quest’ultima, nonché ad una violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità, riguardo all’omessa considerazione da parte della Commissione dell’assenza di impatto concreto dell’intesa sul mercato

 Argomenti delle parti

57      Con il primo motivo, la ricorrente sostiene, anzitutto, che, ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda ad essa inflitta, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione «l’assenza di impatto concreto sul mercato» dell’intesa. In particolare, la Commissione non avrebbe tratto conseguenze, da un lato, dalle constatazioni fatte nella decisione impugnata (punti 97 e 98 della decisione impugnata), secondo le quali i prezzi pagati ai produttori per il tabacco greggio sono aumentati in Italia in misura ben maggiore alla media comunitaria, e, dall’altro, dal fatto che i partecipanti all’intesa, che non rappresentavano più del 55% del mercato, sarebbero rimasti inevitabilmente esposti all’intensa pressione concorrenziale dei trasformatori non aderenti all’accordo.

58      Secondo la ricorrente, nel calcolo dell’ammenda, la Commissione sarebbe tenuta, conformemente alla sua prassi decisionale approvata dalla giurisprudenza, a distinguere le intese aventi un impatto concreto considerevole da quelle prive di effetti o i cui effetti sono limitati. La Commissione avrebbe quindi un «obbligo positivo» di misurare l’impatto effettivo dell’intesa quando constata la sua gravità al fine di fissare l’importo di partenza delle ammende. L’obbligo di prendere in considerazione l’«impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato, quando sia misurabile» risulterebbe espressamente dal tenore letterale degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), dai quali la Commissione non potrebbe discostarsi.

59      In particolare, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, la Commissione dovrebbe riferirsi al livello di concorrenza che sarebbe normalmente esistito in assenza d’infrazione. Pertanto, da un lato, nel caso di intese sui prezzi, occorrerebbe constatare che gli accordi hanno effettivamente permesso alle imprese di cui trattasi di raggiungere un livello di prezzi di vendita superiore a quello che sarebbe prevalso in mancanza d’intesa. Dall’altro, la Commissione dovrebbe prendere in considerazione, nell’ambito della propria valutazione, tutte le condizioni oggettive del mercato in questione, alla luce del contesto economico. D’altronde, stimare l’impatto sui prezzi di un’intesa non sarebbe affatto impossibile e la Commissione sarebbe in grado di effettuare un’analisi di questo tipo, come proverebbe la sua prassi decisionale riguardante il controllo delle concentrazioni.

60      Secondo la ricorrente, un approccio schematico e meccanicistico al calcolo delle ammende, che non tenga conto dei concreti effetti dell’infrazione sul mercato, è altresì contrario ai principi della parità di trattamento e di proporzionalità. Il rispetto del primo principio imporrebbe alla Commissione di differenziare le ammende a seconda dell’impatto concreto sul mercato delle intese di volta in volta sanzionate. Il rispetto del secondo principio imporrebbe, in sede di calcolo dell’ammenda, di agire in maniera tale da consentire che essa abbia un rapporto sensato e ragionevole con l’impatto reale del comportamento illecito e, in particolare, con il danno causato ai clienti e ai consumatori finali, che nel caso di specie non si sarebbe prodotto. Infatti, il grado di un siffatto pregiudizio costituirebbe il fattore distintivo primario fra le intese. L’ammenda inflitta per un’intesa il cui impatto reale sul mercato fosse insignificante e non danneggiasse i clienti delle imprese partecipanti e i consumatori dovrebbe corrispondere all’estremo inferiore della scala delle ammende adeguate per le violazioni dell’art. 81 CE, incluse quelle «molto gravi», quali l’intesa di cui trattasi.

61      La ricorrente contesta, inoltre, l’argomento della Commissione secondo cui l’importo di EUR 20 milioni, citato al punto 1 A degli orientamenti, rappresenterebbe l’importo minimo della sanzione di base normalmente applicabile all’impresa che detiene la posizione più importante sul mercato interessato dall’infrazione e non all’insieme delle imprese partecipanti all’intesa. Peraltro, nel caso che ha dato origine alla decisione 20 ottobre 2004, C (2004) 4030 def., relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 CE (caso COMP/C.38.238/B.2 – Tabacco greggio – Spagna), che presenta evidenti analogie con quello che dà origine al presente ricorso, la Commissione avrebbe derogato all’importo minimo di EUR 20 milioni.

62      Inoltre, la caratterizzazione formale basata sulla distinzione «grave/molto grave» non avrebbe la rilevanza che le attribuisce la Commissione, dal momento che l’oggetto delle censure sollevate dalla ricorrente è il risultato finale del calcolo della Commissione a norma dei suoi orientamenti. Peraltro, dalla giurisprudenza si evincerebbe che, in presenza di effetti sul mercato ridotti, anche un’intesa sui prezzi può essere qualificata come infrazione «grave», anziché come «molto grave». Infine, per tener adeguatamente conto del limitato impatto dell’infrazione sul mercato, la Commissione potrebbe anche ridurre l’importo stabilito in funzione della gravità rispetto all’importo minimo adottato abitualmente nel caso di un’infrazione «molto grave».

63      In definitiva, in mancanza di prove del concreto impatto dell’intesa sul mercato, l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla ricorrente avrebbe dovuto essere fissato a un livello corrispondente al livello più basso della scala delle ammende appropriate per le intese.

64      La Commissione chiede il rigetto del motivo.

 Giudizio del Tribunale

65      Nell’ambito del primo motivo, la ricorrente solleva diverse censure, tutte dirette a mettere in discussione la mancata presa in considerazione, da parte della Commissione, nella determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda, del fatto che l’intesa non avrebbe avuto un impatto concreto sul mercato.

66      A tal riguardo, prima di trattare le censure sollevate dalla ricorrente, il Tribunale ritiene necessario ricordare i principi generali che regolano la determinazione dell’importo delle ammende in materia di intese contrarie all’art. 81 CE e, in particolare, la valutazione della gravità dell’infrazione.

 Considerazioni generali

67      L’art. 81, n. 1, lett. a) e b), CE dichiara espressamente incompatibili con il mercato comune gli accordi e le pratiche concordate che consistono nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione, o nel limitare o controllare la produzione o gli sbocchi. Le infrazioni di questo tipo, segnatamente quando si tratta di intese orizzontali, sono qualificate dalla giurisprudenza come particolarmente gravi dal momento che esse incidono direttamente sui parametri essenziali della concorrenza nel mercato considerato (sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 675), oppure come violazioni manifeste delle regole in materia di concorrenza (sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑148/89, Tréfilunion/Commissione, Racc. pag. II‑1063, punto 109, e 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 303).

68      Ai sensi dell’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, per determinare l’ammontare dell’ammenda da infliggere per le violazioni dell’art. 81, n. 1, CE, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

69      Secondo giurisprudenza costante, la gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o tassativo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 241; 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punto 54, e 24 settembre 2009, cause riunite C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Erste Group Bank e a./Commissione, Racc. pag. I‑8681, punto 91).

70      Al fine di assicurare la trasparenza e il carattere obiettivo delle sue decisioni che fissano ammende per le violazioni delle norme in materia di concorrenza, la Commissione ha adottato gli orientamenti (primo comma degli orientamenti).

71      Gli orientamenti sono uno strumento volto a precisare, nel rispetto del diritto di rango superiore, i criteri che la Commissione intende applicare nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale nella determinazione delle ammende ad essa conferito dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Se è vero che gli orientamenti non costituiscono il fondamento normativo di una decisione che infligge ammende, essendo quest’ultima fondata sul regolamento n. 1/2003, essi stabiliscono tuttavia, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’importo delle ammende inflitte da detta decisione e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto delle imprese (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punti 209‑213, e sentenza del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punti 219 e 223).

72      In tal senso, anche se gli orientamenti non possono essere qualificati come norme giuridiche che l’amministrazione deve rispettare in ogni caso, essi enunciano pur sempre una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni (v., in tal senso, sentenze della Corte Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punti 209 e 210, e 18 maggio 2006, causa C‑397/03 P, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. I‑4429, punto 91).

73      L’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione risultante dall’adozione degli orientamenti non è tuttavia incompatibile con il mantenimento di un margine di discrezionalità sostanziale per la Commissione (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punti 246, 274 e 275). Invero, il fatto che con gli orientamenti la Commissione abbia precisato il proprio approccio nel valutare la gravità di un’infrazione non le impedisce di esaminare tale criterio in maniera globale, in funzione di tutte le circostanze pertinenti, compresi elementi che non sono espressamente menzionati negli orientamenti (sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, punto 71 supra, punto 237).

74      Secondo il metodo previsto dagli orientamenti, quale punto di partenza per il calcolo dell’importo delle ammende da infliggere alle imprese interessate la Commissione fissa un importo determinato in funzione della gravità «intrinseca» dell’infrazione. Per valutare tale gravità, occorre prendere in considerazione la natura dell’infrazione, il suo impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante (punto 1 A, primo comma, degli orientamenti).

75      In tale ambito, le infrazioni sono classificate in tre categorie, vale a dire le «infrazioni poco gravi», per le quali l’importo delle ammende applicabili è compreso tra EUR 1 000 e 1 milione, le «infrazioni gravi», per le quali l’importo delle ammende applicabili è compreso tra EUR 1 milione e 20 milioni, e le «infrazioni molto gravi», per le quali l’importo delle ammende applicabili è superiore a EUR 20 milioni (punto 1 A, secondo comma, primo‑terzo trattino, degli orientamenti). Per quanto riguarda le infrazioni molto gravi, la Commissione precisa che si tratta essenzialmente di restrizioni orizzontali, quali «cartelli di prezzi» e di quote di ripartizione dei mercati, o di altre pratiche che pregiudicano il buon funzionamento del mercato interno, ad esempio quelle miranti a compartimentare i mercati nazionali, o di abusi incontestabili di posizione dominante da parte di imprese in situazione di quasi-monopolio (punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, degli orientamenti).

76      Si deve peraltro osservare che i tre aspetti della valutazione della gravità dell’infrazione menzionati al precedente punto 74 non hanno lo stesso rilievo nell’ambito dell’esame complessivo. La natura dell’infrazione ha un ruolo di primaria importanza, in particolare, nel caratterizzare le infrazioni «molto gravi» (sentenza Erste Group Bank e a./Commissione, punto 69 supra, punto 101, e sentenza del Tribunale 28 aprile 2010, cause riunite T‑456/05 e T‑457/05, Gütermann e Zwicky/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 137).

77      Per contro, né l’impatto concreto sul mercato né l’estensione del mercato geografico sono elementi necessari per qualificare l’infrazione come molto grave nel caso di intese orizzontali dirette in particolare, come nel caso di specie, a fissare i prezzi. Infatti, se è vero che tali due criteri devono essere presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione, è altrettanto vero che si tratta di alcuni dei criteri da prendere in considerazione ai fini della valutazione globale della gravità (v., in tal senso, sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punti 74 e 81, e sentenze del Tribunale Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, punto 71 supra, punti 240 e 311, e 8 ottobre 2008, causa T‑73/04, Carbone-Lorraine/Commissione, Racc. pag. II‑2661, punto 91).

78      In tal senso, secondo una giurisprudenza anch’essa ormai consolidata, dagli orientamenti risulta che le intese orizzontali miranti specificamente, come nel caso di specie, alla fissazione dei prezzi possono essere qualificate come «molto gravi» sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato (sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punto 75; v. altresì, in tal senso, sentenze del Tribunale 27 luglio 2005, cause riunite da T‑49/02 a T‑51/02, Brasserie nationale e a./Commissione, Racc. pag. II‑3033, punto 178, e 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 150)

79      Tale conclusione è avvalorata dal fatto che, mentre nella descrizione delle infrazioni gravi si menziona espressamente l’incidenza sul mercato, in quella delle infrazioni molto gravi, invece, non è menzionata alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato (sentenza Gütermann e Zwicky/Commissione, punto 76 supra, punto 137; v. altresì, in tal senso, sentenza Brasserie nationale e a./Commissione, punto 78 supra, punto 178).

80      È quindi alla luce di tali principi giurisprudenziali che occorre analizzare le diverse censure sollevate dalla ricorrente.

 Sulla mancata presa in considerazione dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato nella determinazione dell’ammenda

81      La ricorrente contesta anzitutto alla Commissione di non aver preso in considerazione, nel calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda, l’assenza di impatto concreto dell’intesa sul mercato.

82      Orbene, va anzitutto rilevato come dalla decisione impugnata emerga che la Commissione ha determinato l’importo dell’ammenda inflitta ai diversi destinatari in base al metodo generale che essa si è imposta negli orientamenti, sebbene in detta decisione non faccia esplicitamente menzione di questi ultimi.

83      Per quanto riguarda in particolare la natura dell’infrazione di cui trattasi, occorre constatare che l’intesa fra i trasformatori aveva ad oggetto, tra l’altro, la fissazione in comune dei prezzi pagati dai trasformatori per il tabacco greggio nonché la ripartizione dei fornitori e dei quantitativi di tabacco greggio. Siffatte pratiche costituiscono restrizioni orizzontali del tipo «cartello di prezzi» ai sensi degli orientamenti e sono quindi violazioni «molto gravi» per loro natura. Come si è ricordato al punto 67 supra, le intese di questo tipo sono qualificate dalla giurisprudenza come infrazioni manifeste delle regole di concorrenza, o come infrazioni particolarmente gravi, dal momento che esse incidono direttamente sui parametri essenziali della concorrenza nel mercato considerato.

84      Ne consegue che, nella fattispecie, la Commissione, senza incorrere in errore, poteva qualificare l’intesa come infrazione molto grave sulla base della natura stessa dell’infrazione, indipendentemente dal suo impatto concreto sul mercato (v. la giurisprudenza menzionata ai punti 76 e 77 supra e, segnatamente, la sentenza Erste Groupe Bank e a./Commissione, punto 69 supra, punto 103).

85      Durante l’udienza la ricorrente ha tuttavia affermato, contrariamente a quanto aveva fatto valere nelle sue memorie, di non contestare in quanto tale la qualificazione dell’infrazione come molto grave. Essa ha così precisato la portata della sua censura, facendo valere, in sostanza, che il limite di EUR 20 milioni previsto dagli orientamenti per le infrazioni molto gravi si applicava al valore della sanzione globale per tutte le imprese che hanno partecipato all’intesa. Poiché la Commissione ha fissato, nella fattispecie, un importo di partenza globale di EUR 55 milioni per tutte le imprese che hanno partecipato all’intesa, essa avrebbe superato detto limite. Pertanto, essa sarebbe stata tenuta a prendere in considerazione l’assenza di impatto dell’infrazione sul mercato e a motivare la ragione per cui ha superato tale limite.

86      A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che l’argomento della ricorrente si fonda su una premessa erronea. Infatti, risulta dalla giurisprudenza che l’importo di partenza minimo di EUR 20 milioni fissato dagli orientamenti per quanto riguarda le infrazioni molto gravi fa riferimento ad una sola impresa, e non all’insieme delle imprese che hanno commesso l’infrazione (v., in tal senso, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punti 306 e 311; Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punto 81, e sentenze del Tribunale 8 ottobre 2008, causa T‑69/04, Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, Racc. pag. II‑2567, punto 187, e 30 aprile 2009, causa T‑13/03, Nintendo e Nintendo of Europe/Commissione, Racc. pag. II‑947, punto 44).

87      D’altronde, la conclusione secondo cui l’«ammenda applicabile» menzionata negli orientamenti fa riferimento all’ammenda applicabile ad una sola impresa e non alla somma delle ammende applicabili a tutte le imprese che partecipano all’intesa è avvalorata da un’interpretazione sistematica del testo degli orientamenti. Infatti, l’espressione «importo di base» vi è sistematicamente utilizzato nel senso che esso si applica all’ammenda da infliggere ad una sola impresa, e non all’insieme dei membri dell’intesa. Ciò emerge, tra l’altro, dal secondo comma degli orientamenti, secondo cui la nuova metodologia si basa sulla fissazione di un importo di base cui sono applicate le maggiorazioni e le riduzioni in caso di circostanze aggravanti o attenuanti. Orbene, tali circostanze sono applicate a ciascuna impresa, e non all’insieme dei membri dell’intesa, di modo che l’espressione «importo di base» può solo riferirsi all’ammenda applicabile ad una sola impresa. Analogamente, il sesto comma del punto 1 A degli orientamenti, laddove indica che «[i]n caso di infrazioni che coinvolgono più imprese (...), potrà essere opportuno, in certi casi, ponderare gli importi determinati nell’ambito di ciascuna delle tre categorie predette [negli orientamenti]», conferma che tali importi fanno riferimento agli importi delle ammende applicabili a ciascuna impresa che partecipa all’infrazione, e non alla somma di tali importi. Infine, la Commissione osserva giustamente che, se al punto 1 A degli orientamenti avesse effettivamente voluto riferirsi, come sostiene la ricorrente, all’importo totale minimo delle ammende applicabili a tutte le imprese, essa avrebbe chiarito un approccio siffatto, utilizzando un’espressione esplicita come l’«importo minimo delle ammende applicabili a tutte le imprese».

88      Pertanto, è giocoforza constatare che, nella fattispecie, la Commissione ha fissato l’importo di partenza dell’ammenda da infliggere alla ricorrente in EUR 10 milioni, il che corrisponde ad un importo nettamente inferiore al limite di EUR 20 milioni previsto dagli orientamenti.

89      A tal riguardo, è irrilevante l’argomento della ricorrente secondo cui il ragionamento della Commissione non spiegherebbe la ragione per cui, nel caso all’origine della decisione C (2004) 4030 finale, gli importi di partenza erano ampiamente inferiori all’importo di EUR 20 milioni sopra menzionato. Infatti, come è stato precisato dalla giurisprudenza, l’importo di EUR 20 milioni previsto dal punto 1 A, terzo trattino, secondo comma, degli orientamenti per le infrazioni molto gravi non rappresenta una soglia minima al di sotto della quale non è possibile scendere (v., in tal senso, sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punto 97; v., altresì, sentenza del Tribunale 29 novembre 2005, causa T‑52/02, SNCZ/Commissione, Racc. pag. II‑5005, punto 42).

90      In secondo luogo, per quanto riguarda segnatamente la presa in considerazione dell’impatto concreto sul mercato nella determinazione dell’importo dell’ammenda, va rammentato che, per tale determinazione, occorre tener conto della durata delle infrazioni e di tutti i fattori che possono entrare nella valutazione della gravità di queste ultime, come il comportamento di ciascuna delle imprese, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere le pratiche concertate, il vantaggio che hanno potuto trarre da dette pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione, nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi dell’Unione (v., in tal senso, sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 129, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punto 242). Ne consegue che l’effetto di una pratica anticoncorrenziale non è, di per sé, un criterio determinante nella valutazione dell’importo adeguato dell’ammenda. In particolare, elementi attinenti all’intenzionalità della condotta possono essere più rilevanti di quelli relativi ai detto effetto, soprattutto quando si tratti di violazioni intrinsecamente gravi, quali una ripartizione dei mercati, elemento presente nella fattispecie (v., in tal senso, sentenze della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑194/99 P, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. I‑10821, punto 118; Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punto 96, e 12 novembre 2009, causa C‑554/08 P, Carbone-Lorraine/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 44).

91      Nella fattispecie, è giocoforza constatare che l’analisi della parte della decisione impugnata relativa ai fatti contestati mostra che i trasformatori hanno consapevolmente tenuto i comportamenti anticoncorrenziali per i quali sono stati sanzionati (v., ad esempio, i punti 124, 132, 133 e 141 della decisione impugnata). Tale considerazione è peraltro confermata dalla circostanza che l’intesa era segreta, come risulta dai punti 363 e 473 della decisione impugnata.

92      Inoltre, emerge dalla decisione impugnata che i trasformatori hanno convenuto a più riprese misure destinate a garantire l’effettiva attuazione dell’intesa, come il reciproco invio delle fatture dei loro rispettivi fornitori (punti 122 e 129 della decisione impugnata), l’obbligo di consultazione in caso di acquisti al di fuori degli accordi (punto 139 della decisione impugnata), obblighi di controllo degli impiegati al fine di evitare che essi prendessero iniziative senza il necessario coordinamento (punto 140 della decisione impugnata). A tal riguardo, dal punto 383 della decisione impugnata risulta che la Commissione ha accertato che l’intesa era stata posta in atto.

93      Pertanto, il caso in esame è caratterizzato dalla presenza non solo di un’infrazione molto grave alle regole di concorrenza, ma altresì da elementi che rientrano nell’aspetto intenzionale, come quelli menzionati ai punti 91 e 92 supra.

94      Inoltre, emerge dal punto 376 della decisione impugnata che l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alla ricorrente è nettamente inferiore a quello che, sulla base degli orientamenti, la Commissione avrebbe potuto «prevedere» per infrazioni molto gravi.

95      Di conseguenza, la ricorrente non può far valere un errore da parte della Commissione nella determinazione dell’ammenda inflittale per il fatto che la Commissione non avrebbe considerato una presunta assenza di impatto dell’infrazione sul mercato, pur ritenendolo misurabile.

96      In terzo luogo, è giocoforza constatare che, nella fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda, la Commissione ha tenuto conto degli effetti probabili del comportamento illecito di ciascuna impresa in questione. Infatti, risulta dal punto 370 della decisione impugnata che la Commissione ha ritenuto appropriato fissare le ammende in funzione della posizione di ciascuna parte in causa sul mercato al fine di tener conto, oltre che del suo peso specifico, delle probabili ripercussioni del comportamento illecito di ciascuna di esse.

97      Orbene, dalla giurisprudenza emerge che la quota di mercato di ciascuna delle imprese coinvolte sul mercato oggetto di una prassi restrittiva costituisce, anche in assenza di prova di una concreta incidenza dell’infrazione sul mercato, un elemento oggettivo che rispecchia la responsabilità di ciascuna di esse per quanto riguarda la nocività potenziale di detta prassi sul gioco normale della concorrenza (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punti 196‑198). Infatti, secondo la giurisprudenza, per fissare l’importo dell’ammenda le quote di mercato detenute da un’impresa sono rilevanti al fine di determinare l’influenza che essa ha potuto esercitare sul mercato (sentenze della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 139, e Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punto 62).

98      Conformemente a tali principi, nella fattispecie, fissando l’importo di partenza dell’ammenda in funzione delle quote di mercato detenute da ciascun partecipante all’intesa, la Commissione ha utilizzato un criterio rilevante, secondo la giurisprudenza, per determinare l’influenza che il comportamento della ricorrente poteva aver avuto sul mercato.

99      In quarto luogo, per quanto riguarda i dati menzionati nella decisione impugnata che, secondo la ricorrente, proverebbero la mancanza di effetti dell’intesa sul mercato, dalla giurisprudenza risulta che, per valutare la gravità dell’infrazione, è decisivo accertare che i membri dell’intesa avevano fatto tutto ciò che era in loro potere per rendere concrete le proprie intenzioni. Poiché ciò che si è verificato in seguito, per quanto riguarda i prezzi effettivamente realizzatisi sul mercato, poteva essere influenzato da altri fattori, fuori dal controllo dei membri dell’intesa, questi ultimi non possono addurre a proprio vantaggio, presentandoli come elementi atti a giustificare una riduzione dell’ammenda, fattori esterni che hanno controbilanciato gli sforzi da essi profusi (v. sentenze Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, punto 71 supra, punto 287, e Gütermann e Zwicky/Commissione, punto 76 supra, punto 130, e la giurisprudenza ivi citata).

100    Pertanto, nella fattispecie, poiché i membri dell’intesa hanno adottato misure dirette a conferire un effetto concreto ai loro scopi anticoncorrenziali (v. punti 91 e 92 supra), un’evoluzione dei prezzi sul mercato come l’aumento dei prezzi del tabacco menzionato dalla ricorrente non può di per sé giustificare una riduzione dell’ammenda. Infatti, non si può escludere che, in assenza dell’intesa, l’aumento dei prezzi sarebbe stato più consistente di quello sopra menzionato.

101    Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui l’attività e la stabilità dell’intesa sarebbero state spesso perturbate dalla ricorrente, il che rafforzerebbe a suo avviso l’ipotesi della mancanza di effetti dell’infrazione sul mercato, basti osservare che il comportamento «eversivo» della ricorrente rispetto all’intesa è stato valutato dalla Commissione come circostanza attenuante (punto 380 della decisione impugnata).

 Sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità

102    Per quanto riguarda, anzitutto, la presunta violazione del principio di parità di trattamento, va rammentato che, conformemente a una costante giurisprudenza, detto principio risulta violato soltanto quando situazioni analoghe vengono trattate in maniera differente o quando situazioni differenti vengono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e del Tribunale 30 settembre 2009, causa T‑161/05, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑3555, punto 79).

103    Orbene, è giocoforza constatare che, nella fattispecie, la ricorrente si limita a far valere che il rispetto del principio di parità di trattamento imporrebbe alla Commissione di differenziare le ammende secondo l’impatto concreto delle intese sul mercato, sanzionate caso per caso. Essa non chiarisce tuttavia come la Commissione avrebbe violato nel caso di specie tale principio nei suoi confronti. Peraltro, va rammentato che, secondo una costante giurisprudenza, decisioni relative ad altri casi, che la ricorrente neanche menziona, possono avere un carattere meramente indicativo, per quanto riguarda l’eventuale esistenza di una discriminazione, considerato che è poco verosimile che le circostanze proprie a questi ultimi, quali i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi interessati, siano identici (v., in tal senso, sentenze della Corte 21 settembre 2006, causa C‑167/04 P, JCB Service/Commissione, Racc. pag. I‑8935, punti 201 e 205; 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4405, punto 60, e sentenza del Tribunale 30 aprile 2009, causa T‑12/03, Itochu/Commissione, Racc. pag. II‑883, punto 124).

104    Per quanto riguarda, poi, la presunta violazione del principio di proporzionalità, si deve rammentare che tale principio esige che gli atti delle istituzioni non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (sentenze della Corte 13 novembre 1990, causa C‑331/88, Fedesa e a., Racc. pag. I‑4023, punto 13, e 5 maggio 1998, causa C‑180/96, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I‑2265, punto 96; sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, causa T‑30/05, Prym e Prym Consumer/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 223).

105    Nell’ambito dei procedimenti avviati dalla Commissione per sanzionare le violazioni delle regole di concorrenza, l’applicazione di tale principio comporta che le ammende non devono essere esorbitanti riguardo agli obiettivi perseguiti, vale a dire riguardo al rispetto di tali regole, e che l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionato all’infrazione, valutata nel suo complesso, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑2501, punto 532, e 12 settembre 2007, Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 104 supra, punti 223 e 224, e la giurisprudenza ivi citata). In particolare, il principio di proporzionalità comporta che la Commissione deve fissare l’ammenda proporzionalmente agli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione e che essa deve a tal proposito applicare tali elementi in modo coerente e obiettivamente giustificato (sentenze del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 226‑228, e 28 aprile 2010, causa T‑446/05, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 171).

106    Orbene, a tal riguardo, è giocoforza constatare che la ricorrente non ha dimostrato l’assenza di pregiudizio ai clienti e ai consumatori finali, su cui essa intende fondare la sua censura attinente alla violazione del principio di proporzionalità. Infatti, i dati da essa evocati nell’ambito del presente motivo non consentono di provare un’assenza di effetti del genere, atteso che essi possono essere stati influenzati da altri fattori (v. punti 99 e 100 supra).

107    Inoltre, la ricorrente non può far valere che la Commissione ha violato il principio di proporzionalità fissando l’importo di partenza dell’ammenda in EUR 10 milioni, dato che tale infrazione costituisce un’infrazione molto grave e intenzionale alle regole di concorrenza. Il carattere proporzionato dell’importo di partenza imposto nella fattispecie è confermato dalla circostanza che esso è stato fissato ad un livello nettamente inferiore al limite minimo previsto dagli orientamenti per tale tipo di intesa.

 Sul difetto e sull’illogicità della motivazione

108    Per quanto riguarda tale censura, occorre osservare che la ricorrente ha menzionato il difetto o l’illogicità della motivazione nel titolo del motivo, senza tuttavia sviluppare alcun argomento a sostegno di tale censura nel corpo dello stesso. In risposta ad un quesito del Tribunale, durante l’udienza, la ricorrente ha precisato che essa faceva valere l’esistenza di una motivazione illogica per il fatto che la Commissione aveva inflitto una sanzione superiore al minimo previsto dagli orientamenti senza aver analizzato l’impatto dell’intesa sul mercato.

109    A tal riguardo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza risulta che, nell’ambito della fissazione dell’ammenda in forza della violazione del diritto della concorrenza, l’obbligo di motivazione è soddisfatto allorché la Commissione indica, nella propria decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione. Per quanto riguarda una decisione che infligge ammende a svariate imprese, la portata dell’obbligo di motivazione dev’essere valutata, in particolare, alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. I‑8375, punti 463 e 465).

110    Nella fattispecie, ai punti 365‑376 della decisione impugnata la Commissione ha indicato gli elementi che ha preso in considerazione nella fissazione degli importi di partenza delle ammende inflitte alle diverse imprese in questione. La Commissione vi ha segnatamente indicato i criteri sulla base dei quali, da un lato, essa ha valutato la gravità dell’infrazione e, dall’altro, essa ha poi fissato l’importo di partenza classificando le imprese in funzione della loro rilevanza sul mercato, determinata dalla loro quota di mercato, tenendo conto del peso specifico di ciascuna impresa e delle probabili ripercussioni del loro comportamento illecito. I requisiti previsti dalla giurisprudenza per quanto riguarda l’obbligo di motivazione sono quindi stati soddisfatti.

111    Infine, poiché si è constatato (v. punto 88 supra) che la Commissione ha fissato l’importo di partenza dell’ammenda da infliggere alla ricorrente ad un importo nettamente inferiore al limite minimo previsto dagli orientamenti per le infrazioni molto gravi, l’argomento attinente ad un’illogica motivazione non può essere accolto.

112    Alla luce di tali considerazioni, il primo motivo deve essere respinto.

3.     Sul terzo motivo, attinente ad un difetto di motivazione e d’istruttoria, nonché alla violazione dell’onere della prova, riguardo al calcolo della durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione contestata

 Argomenti delle parti

113    La ricorrente ritiene che, fissando in due anni e otto mesi – vale a dire, dall’ottobre del 1997 al 19 febbraio 2002, con un’interruzione dal 5 novembre 1999 al 29 maggio 2001 –, la durata della sua partecipazione all’intesa, la Commissione sia incorsa in un manifesto errore di valutazione dei fatti. A tal riguardo, essa ricorda di aver fatto valere, durante il procedimento amministrativo, che la propria partecipazione all’intesa è stata interrotta nel febbraio 1999 senza mai essere ripresa in seguito. Pertanto, la durata della sua partecipazione all’intesa sarebbe stata di poco superiore a un anno. Essa addebita altresì alla Commissione di aver fondato le sue conclusioni su un supporto probatorio inadeguato e di non aver fornito una motivazione sufficiente a tal riguardo.

114    Per quanto riguarda, in primo luogo, la fase finale della prima parte della sua partecipazione all’intesa, la ricorrente ritiene che si debba considerare quanto segue:

–        la decisione impugnata (punti 157‑201), in contrasto con una giurisprudenza consolidata, non fornisce alcuna prova relativa alla sua partecipazione a riunioni o ad altre attività nel corso del 1999;

–        stando alle prove prodotte dalla Commissione, l’ultima riunione a cui la ricorrente ha partecipato è stata quella del 14 dicembre 1998 (punto 155 della decisione impugnata); inoltre, un memorandum interno della Dimon Italia che porta la data del 20 ottobre 1998 (punto 145 della decisione impugnata) e che è stato trascurato dalla Commissione, attesta che, a partire dal 16 ottobre 1998, le «multinazionali» si lamentavano del fatto che la ricorrente ignorava le regole di condotta imposte dall’intesa;

–        nonostante nel 1999 l’intesa sia stata molto attiva, dalla decisione impugnata non risulta che la ricorrente vi abbia partecipato; infatti, dalla decisione impugnata emerge che: (i) gli altri trasformatori, vale a dire la Deltafina, la Transcatab, la Dimon Italia e la Trestina Azienda Tabacchi, hanno esercitato continue pressioni sull’APTI al fine di condizionare le trattative per la stipula di accordi interprofessionali (punto 165 della decisione impugnata); (ii) diverse riunioni dell’intesa si sono tenute nel 1999 tra la Deltafina, la Transcatab e la Dimon Italia, tra cui, segnatamente, talune riunioni particolarmente importanti nel mese di ottobre senza che la ricorrente vi partecipasse o vi fosse invitata (punto 184 della decisione impugnata); (iii) solo alcuni degli altri trasformatori hanno approvato un memorandum riguardante le varietà di tabacco greggio Bright e Burley (punto 186 della decisione impugnata).

115    Per quanto riguarda, in secondo luogo, il periodo tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002, la ricorrente osserva quanto segue:

–        la prova decisiva della ripresa partecipazione della ricorrente all’intesa è stata la ricezione da parte di quest’ultima di un telefax inviato dalla Deltafina il 29 maggio 2001, contenente l’indicazione del prezzo al quale quest’ultima avrebbe accettato di firmare i contratti per la varietà Bright con le associazioni di produttori; tale comunicazione, tuttavia, non aveva carattere anticoncorrenziale; infatti, essa costituiva un contatto isolato, un tentativo di superare la difficoltà di comprensione dei valori di mercato prevalenti nei contratti tra coltivatori e trasformatori, la cui procedura per la sottoscrizione era disciplinata dalle regole della politica agricola comune che era stata oggetto di importanti modifiche;

–        le iniziative commerciali avviate dalla ricorrente erano monitorate durante le riunioni dell’intesa, a cui la ricorrente non partecipava (punto 209 della decisione impugnata); inoltre, i rapporti dell’intesa con la ricorrente figuravano anche in un ordine del giorno indirizzato dalla Dimon Italia alla Deltafina e alla Transcatab, proposto per una riunione che doveva svolgersi il 18 settembre 2001, cioè dopo la data di ricevimento di detto fax (punto 212 della decisione impugnata);

–        la presunta partecipazione della ricorrente all’intesa sarebbe stata circoscritta, come si ricava dalle dichiarazioni della Transcatab in occasione dell’ispezione del 18 aprile 2002, a due riunioni del 16 novembre 2001 e dell’8 gennaio 2002; la ricorrente vi avrebbe partecipato perché la Deltafina, la Dimon Italia e la Transcatab l’avrebbero invitata ad agire come «mediatore» affinché venisse meno l’opposizione del «consorzio di tutela e valorizzazione tabacco Burley campano» (in prosieguo: il «consorzio Burley») all’istituzione di un sistema di aste per la vendita del tabacco, di cui l’Unitab e l’APTI si erano rese promotrici, che sarebbe stato gestito dal comitato di gestione nazionale per il tabacco Burley (in prosieguo: il «Cogentab»); dal canto suo, la ricorrente avrebbe invitato gli interessati alla riunione dell’8 gennaio 2002 (punto 222 della decisione impugnata), che sarebbe stata preceduta il giorno prima da un’altra riunione, senza la ricorrente né i fornitori aderenti al consorzio Burley, durante la quale la Deltafina, la Dimon Italia e la Transcatab avrebbero verosimilmente discusso tra loro la posizione negoziale comune da presentare il giorno dopo.

116    In primo luogo, la Commissione afferma di aver ritenuto che la data di interruzione della partecipazione della ricorrente all’intesa fosse il 5 novembre 1999 poiché una nota redatta a mano dal responsabile acquisti della Deltafina, relativa a una riunione tenutasi il medesimo giorno, mostra che la ricorrente era indicata all’ordine del giorno come soggetto ormai esterno all’intesa.

117    A tal riguardo, essa contesta l’argomentazione della ricorrente secondo cui la data da prendere in considerazione per l’interruzione della sua partecipazione all’intesa sarebbe il 14 dicembre 1998 (data dell’ultima riunione dell’intesa a cui la ricorrente avrebbe partecipato), oppure dovrebbe essere determinata in base al memorandum interno della Dimon Italia del 20 ottobre 1998, menzionato al punto 145 della decisione impugnata. Infatti, da un lato, la stessa ricorrente avrebbe riconosciuto, nella propria risposta alla comunicazione degli addebiti, di aver partecipato all’intesa almeno fino al febbraio 1999 e, dall’altro, detto memorandum della Dimon Italia non potrebbe costituire una prova dell’interruzione della partecipazione della ricorrente all’intesa nel 1998 considerato che, secondo costante giurisprudenza, fino a quando un’impresa non prenda pubblicamente le distanze dal contenuto delle riunioni, essa resta pienamente responsabile per la sua partecipazione all’intesa. Pertanto, in mancanza di elementi di prova in tal senso, la decisione impugnata avrebbe correttamente stabilito che la partecipazione della ricorrente all’intesa è continuata almeno fino al 5 novembre 1999.

118    In secondo luogo, la Commissione afferma di aver considerato il 29 maggio 2001 quale data in cui la ricorrente ha ripreso la sua partecipazione all’intesa, poiché tale data corrisponde a quella in cui quest’ultima ha ricevuto un telefax che le comunicava il prezzo al quale la Deltafina intendeva firmare i contratti con le associazioni dei produttori.

119    Una siffatta comunicazione tra concorrenti costituirebbe una prova della ripresa della sua partecipazione all’intesa, tenuto conto del fatto che la stessa vi aveva già preso parte fino al 1999 e che di lì a poco, ossia il 16 novembre 2001, essa avrebbe ripreso anche la sua partecipazione alle riunioni dell’intesa.

120    Inoltre, nella sua controreplica, la Commissione contesta la tesi della ricorrente secondo la quale emergerebbe chiaramente dal ricorso la sua intenzione di contestare non solo la durata, ma la stessa esistenza della rinnovata adesione all’intesa nel periodo compreso tra il 2001 e l’inizio del 2002. La Commissione ritiene anzitutto che sia solo nella replica che la ricorrente contesta per la prima volta il carattere illecito di tali riunioni, negando che essa ha aderito all’intesa nel 2001. Tale censura sarebbe irricevibile, in virtù del combinato disposto degli artt. 44, n. 1, lett. c), e 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale. Essa considera poi che la censura è in ogni caso infondata. Infatti, la dichiarazione della Transcatab del 18 aprile 2002 (documento n. 38281-03488) conterrebbe un elenco delle varie riunioni svoltesi tra i membri dell’intesa, elenco nel quale la riunione del 16 novembre 2001 sarebbe definita come riunione «ristretta» (genere di riunione cui partecipano gli amministratori delegati) e quella dell’8 gennaio 2002 come riunione «operativa» (genere di riunione cui partecipano i responsabili degli acquisti). Secondo la Commissione, tali due riunioni avevano natura e oggetto anticoncorrenziale e rientravano pertanto nelle attività dell’intesa. Il fatto che nel corso di tali riunioni fosse stata discussa anche la possibilità di istituire un sistema di aste non implica necessariamente che in esse non si discutesse di questioni attinenti all’intesa, né che la ricorrente non fosse coinvolta in tali discussioni. Inoltre, la ricorrente non ha fornito alcuna prova di essersi pubblicamente dissociata, durante dette riunioni, dalle discussioni aventi oggetto anticoncorrenziale.

121    In terzo luogo la Commissione ritiene che, in ogni caso, il motivo in esame sia inconferente. Infatti, quand’anche tale motivo dovesse essere accolto, ciò comporterebbe unicamente che l’importo di partenza dell’ammenda stabilita per la ricorrente avrebbe dovuto essere aumentato del 15% invece del 25%, il che non avrebbe alcuna incidenza sull’importo finale dell’ammenda, posto che quest’ultimo è stato ridotto a EUR 2,05 milioni in virtù del limite del 10% previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

 Giudizio del Tribunale

122    Per quanto riguarda la durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione (punti 302 e 378 della decisione impugnata), occorre rilevare, anzitutto, che tra le parti è pacifico che la ricorrente ha aderito all’intesa nell’ottobre 1997. Per contro, le parti dissentono sostanzialmente, da un lato, sulla questione se la Commissione abbia correttamente accertato che la partecipazione della ricorrente era cessata il 5 novembre 1999 e, dall’altro, sulla questione se la Commissione abbia correttamente accertato che la ricorrente aveva nuovamente aderito all’intesa a partire dal 29 maggio 2001 fino alla fine dell’infrazione, vale a dire il 19 febbraio 2002.

123    Va poi rilevato che, secondo la Commissione, l’argomento della ricorrente diretto a contestare l’illegittimità delle riunioni del 16 novembre 2001 e dell’8 gennaio 2002 rappresenta un motivo nuovo, sollevato in fase di replica ed è quindi irricevibile.

124    A questo proposito, il Tribunale ricorda che, secondo l’art. 48, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi non si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Al riguardo, un motivo che costituisca un ampliamento di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, e che sia strettamente connesso con questo, va considerato ricevibile (v. sentenze del Tribunale 10 aprile 2003, causa T‑195/00, Travelex Global and Financial Services e Interpayment Services/Commissione, Racc. pag. II‑1677, punti 33 e 34, e 24 maggio 2007, causa T‑151/01, Duales System Deutschland/Commissione, Racc. pag. II‑1607, punto 71).

125    Nella fattispecie, si deve constatare che il motivo considerato nuovo dalla Commissione rappresenta un ampliamento degli argomenti sviluppati dalla ricorrente in risposta all’argomentazione presentata dalla Commissione nel suo controricorso riguardo al terzo motivo, attinente alla durata della partecipazione della ricorrente all’intesa. Pertanto, l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione deve essere respinta.

126    Inoltre, occorre constatare che la ricorrente non chiede espressamente l’annullamento dell’art. 1, lett. b), della decisione impugnata, che definisce la durata della sua partecipazione al cartello.

127    Tuttavia, nella fattispecie, risulta dalle memorie della ricorrente che essa contesta, in sostanza, la legittimità della decisione impugnata nella parte in cui constata, come precisato all’art. 1, lett. b), del dispositivo, che l’infrazione, per quanto la riguarda, è durata dall’ottobre 1997 al 5 novembre 1999 e dal 29 maggio 2001 al 19 febbraio 2002. Infatti, la ricorrente ha osservato nelle proprie memorie che la durata della sua partecipazione all’intesa doveva essere fissata a poco più di un anno, cioè dall’ottobre 1997 al febbraio 1999 e che la Commissione, affermando che l’infrazione commessa aveva una durata ampiamente superiore, «è incorsa in errore nella determinazione dei fatti e nella valutazione degli elementi di prova dedotti dal[la ricorrente]». È peraltro pacifico che la ricorrente ha contestato la durata della propria partecipazione all’intesa durante il procedimento amministrativo, in particolare nella risposta alla comunicazione degli addebiti (v., in tal senso e per analogia, sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 78 supra, punto 212).

128    Alla luce di quanto precede, si deve quindi considerare che, con il presente motivo, la ricorrente mira non solo alla riduzione dell’ammenda, ma anche all’annullamento parziale della decisione impugnata e in particolare del suo art. 1, lett. b), nella parte in cui la Commissione constaterebbe erroneamente che l’infrazione si è protratta dall’ottobre 1997 al 19 febbraio 2002, con un’interruzione tra il 5 novembre 1999 ed il 29 maggio 2001 (v., in tal senso e per analogia, sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 78 supra, punto 213).

129    Orbene, risulta dalla giurisprudenza che incombe alla Commissione di provare non soltanto l’esistenza dell’intesa, ma anche la sua durata (v. sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 27, nonché la giurisprudenza ivi citata). In particolare, sotto il profilo dell’onere della prova relativa a una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi probatori idonei a dimostrare sufficientemente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (v., in tal senso, sentenze della Corte Baustahlgewebe/Commissione, punto 97 supra, punto 58; 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 86, e sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 78 supra, punto 215). Il fatto che il giudice nutra un dubbio deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione. Il giudice non può quindi concludere che la Commissione ha adeguatamente dimostrato l’esistenza dell’infrazione in questione qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nel contesto di un ricorso diretto all’annullamento e/o alla riforma di una decisione che infligge un’ammenda. Infatti, in tale contesto, occorre tener conto del principio della presunzione d’innocenza, che fa parte dei diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione ed è stato sancito dall’art. 48, n. 1, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (GU 2007, C 303, pag. 1). Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica in particolare alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (v., in tal senso, sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punti 149 e 150; v. altresì, in tal senso, sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 78 supra, punti 215 e 216). Pertanto, è necessario che la Commissione produca prove precise e concordanti per corroborare la ferma convinzione che l’infrazione contestata abbia avuto luogo (v. sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 78 supra, punto 217, e giurisprudenza ivi citata).

130    Dalla giurisprudenza costante emerge che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v. sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 105 supra, punto 180, e la giurisprudenza ivi citata).

131    Peraltro, in genere le attività connesse ad accordi anticoncorrenziali si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Ne consegue che, anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di riunioni, essi saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, pertanto, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole di concorrenza (sentenze della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punti 55‑57, e 25 gennaio 2007, cause riunite C‑403/04 P e C‑405/04 P, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione, Racc. pag. I‑729, punto 51).

132    Inoltre, la giurisprudenza esige che, in mancanza di elementi di prova atti a dimostrare direttamente la durata di un’infrazione, la Commissione si fondi quantomeno su elementi di prova che si riferiscano a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione si è protratta ininterrottamente entro due date precise (sentenza del Tribunale 7 luglio 1994, causa T‑43/92, Dunlop Slazenger/Commissione, Racc. pag. II‑441, punto 79; v. sentenza Peróxidos Orgánicos/Commissione, punto 55 supra, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).

133    Nella fattispecie, alla luce delle censure dedotte, si pone il problema di sapere se la Commissione disponesse di prove sufficienti per concludere che la ricorrente aveva partecipato all’intesa nel periodo tra l’ottobre 1997 ed il 5 novembre 1999 e vi aveva ripreso la propria partecipazione nel periodo tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002.

 Sulla data di cessazione della partecipazione della ricorrente all’intesa nel 1999

134    Si deve osservare, preliminarmente, che è pacifico che la ricorrente ha interrotto la propria partecipazione al cartello nel 1999. Le parti dissentono invece sulla data esatta di tale interruzione. La ricorrente nega di aver partecipato all’intesa oltre il 19 febbraio 1999, data dell’ultima riunione cui essa afferma di aver partecipato, mentre la Commissione ha fissato la data del suo ritiro al 5 novembre 1999. Tale data è stata determinata sulla base delle indicazioni contenute nelle note redatte a mano il 5 novembre 1999 da un impiegato della Deltafina e riguardanti una riunione dell’intesa dello stesso giorno (v. la nota a piè di pagina n. 263 della decisione impugnata). Infatti, risulterebbe da tali note che i rapporti tra i membri dell’intesa e la ricorrente rientravano fra gli argomenti da trattare durante detta riunione, il che dimostrerebbe che essa era percepita come un’entità esterna all’intesa.

135    Orbene, va rilevato che tali note redatte a mano, sulla base delle quali la Commissione ha accertato la data in cui la ricorrente ha interrotto la propria partecipazione all’intesa nel 1999, non contengono in realtà alcun riferimento alla data di cessazione di tale partecipazione. L’unica data certa che può essere dedotta da tali note è quella della loro redazione da parte dell’autore.

136    È quindi giocoforza constatare che i fatti su cui l’autore di tali note si esprime implicitamente, vale a dire la circostanza che la ricorrente era divenuta un’entità esterna all’intesa, precedono necessariamente, come peraltro riconosce la stessa Commissione alla nota a piè di pagina n. 263 della decisione impugnata, la data in cui tali note sono state redatte.

137    Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene la Commissione nella decisione impugnata, dette note non consentono di considerare il 5 novembre 1999 come la data in cui la ricorrente ha interrotto la propria partecipazione all’intesa.

138    A tale riguardo, va osservato, anzitutto, che, al punto 157 della decisione impugnata, situato all’inizio della parte di quest’ultima dedicata all’esame dei fatti contestati per il 1999, la Commissione afferma che «[la] Deltafina, [la] Dimon [Italia] e [la] Transcatab hanno mantenuto contatti informali, su base regolare, per discutere le previsioni e l’andamento dei prezzi di acquisto in Italia», senza menzionare la ricorrente [il che emerge peraltro chiaramente dal punto 2.3 della richiesta di immunità della Dimon Italia del 4 aprile 2002 (documento n. 38281 04998), menzionata al punto 7 della decisione impugnata]. Successivamente, ai punti 165, 184 e 185 della decisione impugnata, la Commissione menziona diversi contatti fra i suddetti tre trasformatori durante il 1999, ma nessuno di tali contatti riguarda la ricorrente. D’altronde, come è precisato al punto 186 della decisione impugnata, nell’ottobre 1999, la Deltafina, la Dimon Italia e la Transcatab «hanno approvato un memorandum sulle varietà Bright e Burley, che è molto simile come struttura e contenuto all’accordo di Villa Grazioli». Secondo la Commissione, tale accordo aveva tra i suoi punti essenziali «la fissazione dei prezzi di acquisto del tabacco greggio (…) presso imballatori terzi, la ripartizione degli imballatori terzi secondo quantitativi ben definiti tra i singoli trasformatori e il boicottaggio degli imballatori terzi che non avevano aderito a Cogentab». Orbene, come rileva la stessa Commissione nella nota a piè di pagina n. 263 della decisione impugnata, emerge dalle dichiarazioni scritte della Transcatab del 18 aprile 2002, fornite da quest’ultima durante la verifica svoltasi nei suoi locali (v. altresì punto 159 infra), che la ricorrente ha abbandonato l’intesa perché «non era d’accordo sulla creazione di Cogentab», che era un’associazione creata dall’APTI e dall’Unitab nell’ottobre 1999, in applicazione dell’accordo interprofessionale per la campagna 1999 del Burley (punto 182 della decisione impugnata). Inoltre, risulta dal punto 159 della decisione impugnata che nelle due riunioni dei trasformatori che si sono svolte a Roma nel febbraio 1999, nell’ambito delle quali la ricorrente non figura tra i partecipanti, «si era anche discusso (…) della costituzione di una commissione di acquisto successivamente denominata Cogentab».

139    In definitiva, nella decisione impugnata, la Commissione non ha indicato alcun elemento di prova in relazione alla partecipazione della ricorrente all’intesa fino al 5 novembre 1999.

140    È solo in udienza che la Commissione ha evocato per la prima volta la presunta partecipazione della ricorrente ad una riunione «operativa» del 22 luglio 1999, di cui essa non aveva fatto menzione né nella comunicazione degli addebiti né nella decisione impugnata.

141    Dalla decisione impugnata risulta invece unicamente che la ricorrente «ha abbandonato l’intesa» nel 1999 perché «non era d’accordo con la costituzione di Cogentab» (punto 302 e nota a piè di pagina n. 263 della decisione impugnata) e che la discussione relativa alla costituzione di quest’ultimo si era svolta nel corso delle due riunioni del febbraio 1999 sopra menzionate (v. punto 159 della decisione impugnata), senza che la Commissione abbia dimostrato in detta decisione che la ricorrente vi avesse partecipato.

142    La Commissione ha quindi commesso un errore di valutazione dei fatti considerando, nella decisione impugnata, che la ricorrente aveva cessato la propria partecipazione all’intesa il 5 novembre 1999.

143    Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, non avendo accertato una data precisa di cessazione della partecipazione della ricorrente all’intesa, la Commissione non poteva fissare quella del 5 novembre 1999; si deve quindi considerare il mese di febbraio 1999, conformemente al principio in dubio pro reo (v. punto 129 supra), come l’ultimo mese di partecipazione della ricorrente all’intesa.

144    Tale valutazione non può essere rimessa in discussione dall’argomento della Commissione secondo cui, conformemente alla giurisprudenza, in mancanza di prove che dimostrino che la ricorrente ha preso pubblicamente le distanze rispetto agli altri membri dell’intesa fin dal 1998, o comunque dal febbraio 1999, essa avrebbe legittimamente accertato che la partecipazione di quest’ultima all’intesa era proseguita fino al 5 novembre 1999, tenuto conto degli elementi di prova secondo cui, in tale data, gli altri membri dell’intesa consideravano che la ricorrente aveva posto fine alla propria partecipazione.

145    A tale riguardo, basti ricordare che, nella decisione impugnata, la Commissione non ha dimostrato che nel corso del 1999, e precisamente fino al 5 novembre di tale anno, la ricorrente ha partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi o posti in essere accordi di natura anticoncorrenziale (v., in tal senso e per analogia, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 131 supra, punti 81). Al contrario, per quanto riguarda le riunioni del febbraio 1999, è precisato al punto 159 della decisione impugnata che, salvo la Deltafina, la Dimon Italia e la Transcatab, la presenza di altri trasformatori, compresa la ricorrente, non poteva «essere chiaramente accertata».

146    Inoltre, l’argomento della Commissione è in contraddizione con la constatazione riportata nella decisione impugnata, basata sulle dichiarazioni scritte della Transcatab del 18 aprile 2002 (v. nota a piè di pagina n. 263 della decisione impugnata), secondo cui, il 5 novembre 1999, la ricorrente «aveva già abbandonato il cartello» in quanto non approvava la costituzione del Cogentab. Orbene, risulta altresì dalle constatazioni contenute nella decisione impugnata (v. punto 159 della decisione impugnata) che le prime discussioni relative alla costituzione del Cogentab avevano già avuto luogo durante le riunioni del febbraio 1999 (v. altresì punti 138 e 141 supra).

147    Analogamente, è irrilevante l’argomento della Commissione – sollevato per la prima volta durante l’udienza – secondo cui essa sarebbe stata «generosa» nei confronti della ricorrente nel prendere in considerazione la data del 5 novembre 1999, poiché, ai sensi del punto 199 della decisione impugnata, la ricorrente avrebbe partecipato, il 22 novembre 1999, ad una riunione dei trasformatori dal contenuto «probabilmente» anticoncorrenziale. Infatti, sia nella comunicazione degli addebiti che nella decisione impugnata, la Commissione ha rinunciato ad assegnare all’eventuale partecipazione della ricorrente a siffatta riunione un valore probatorio che le consentisse di qualificarla come elemento a carico, ragione per cui essa non ha considerato tale affermazione nell’ambito della valutazione della durata della partecipazione della ricorrente all’intesa per concludere infine che, alla data del 5 novembre 1999, la ricorrente «aveva già abbandonato il cartello» (nota a piè di pagina n. 263 della decisione impugnata). Tale valutazione è d’altronde confermata, da un lato, dalla richiesta di immunità della Dimon Italia del 4 aprile 2002 e, dall’altro, dalle dichiarazioni della Transcatab del 18 aprile 2002 (v. punto 138 supra).

148    Infine, la Commissione non ha neanche dimostrato che, nel 1999, la ricorrente ha partecipato alla realizzazione degli accordi interprofessionali riguardanti le diverse varietà di tabacco o alle riunioni dei trasformatori dirette a definire una posizione comune da sostenere poi in sede APTI al fine di condizionarne la posizione durante i negoziati con l’Unitab in merito a detti accordi (v. punto 165 della decisione impugnata).

149    Alla luce delle considerazioni che precedono, va accolta la censura attinente al fatto che la Commissione ha erroneamente constatato che la ricorrente ha cessato la propria partecipazione all’intesa il 5 novembre 1999, in quanto le prove valutate al riguardo nella decisione impugnata, nonché gli altri elementi del fascicolo, le consentivano soltanto di considerare che tale partecipazione si era verificata solo fino al febbraio 1999 (punto 159 della decisione impugnata e nota a piè di pagina n. 263).

 Sulla partecipazione della ricorrente all’intesa tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002

150    Per quanto riguarda il periodo dell’asserita ripresa della partecipazione della ricorrente all’intesa, vale a dire dal 29 maggio 2001 al 19 febbraio 2002, si deve osservare che la Commissione ha basato la propria valutazione su tre elementi fattuali. Per quanto riguarda la data in cui la ricorrente avrebbe ripreso la propria partecipazione, la Commissione ha stabilito quella del 29 maggio 2001, poiché sarebbe in quel giorno che un impiegato della Deltafina ha inviato ad un impiegato della ricorrente un fax contenente informazioni relative al prezzo, per chilogrammo, al quale la Deltafina avrebbe firmato i contratti di coltivazione per la varietà Bright (punti 211 e 302 della decisione impugnata). Tale circostanza, combinata con la partecipazione della ricorrente a due riunioni svoltesi il 16 novembre 2001 (punto 213 della decisione impugnata) e l’8 gennaio 2002 (punto 222 della decisione impugnata), ha poi indotto la Commissione a considerare che la partecipazione della ricorrente all’intesa era continuata, come quella della Deltafina, della Transcatab e della Dimon Italia, fino al 19 febbraio 2002.

–       Sul fax inviato dalla Deltafina il 29 maggio 2001

151    Per quanto riguarda, in primo luogo, il fax del 29 maggio 2001, va rilevato che esso indicava soltanto i prezzi che la Deltafina avrebbe inserito nei contratti di coltivazione con le associazioni di produttori per la varietà di tabacco Bright, secondo il grado qualitativo di quest’ultimo.

152    A tal riguardo, va osservato anzitutto che dalla decisione impugnata non risulta che tali prezzi siano stati quelli determinati nell’ambito dell’intesa, né che la Deltafina sia stata incaricata dall’intesa di comunicare prezzi siffatti. Il fax in questione rappresenta quindi un contatto isolato tra la Deltafina e la ricorrente relativo ad un’informazione commerciale sensibile, ma limitata ai prezzi da inserire nei contratti di coltivazione per una sola di tutte le varietà menzionate al punto 87 della decisione impugnata. Inoltre, detto fax non precisava quali regioni fossero interessate da tali prezzi, sebbene la stessa Commissione abbia constatato, al punto 99 della decisione impugnata, che «i prezzi del tabacco greggio differiscono considerevolmente da regione a regione a seconda della varietà».

153    Si deve poi osservare che il prezzo oggetto del fax della Deltafina, che fa esplicitamente riferimento a contratti di coltivazione, non può che essere un «prezzo contrattuale». Infatti, risulta dalla decisione impugnata che tale prezzo è menzionato dai contratti di questo tipo – generalmente conclusi tra i produttori, o associazioni di produttori, e i trasformatori, tra il mese di marzo e il mese di maggio dell’anno della raccolta – e rappresenta il «prezzo che i trasformatori si impegnano a pagare a seconda della qualità del tabacco» (punti 90 e 91 della decisione impugnata).

154    Come si chiarisce al punto 92 della decisione impugnata, tale prezzo differisce dal prezzo «effettivamente pagato al ritiro del tabacco che è direttamente commisurato ai gradi del tabacco e ad altri fattori». Tale prezzo, denominato «prezzo di consegna», infatti, è «in genere fissato nel periodo dicembre - gennaio». Peraltro, emerge dal punto 279, lett. a), della decisione impugnata che l’infrazione unica e continuata commessa dai trasformatori comprendeva, tra l’altro, la pratica della «fissazione dei prezzi comuni di acquisto che i trasformatori avrebbero pagato (...) all’atto della consegna del tabacco».

155    Infine, va osservato, da un lato, che la ricezione di detto fax da parte della ricorrente è stata preceduta dalla predisposizione, da parte della Dimon Italia, il 10 maggio 2001, di un ordine del giorno, discusso internamente e relativo ad una riunione che si sarebbe svolta negli uffici di quest’ultima due settimane dopo, che prevedeva, tra i vari punti da trattare, una discussione riguardante «Romana Tabacchi/ATI» (punto 209 della decisione impugnata). Dall’altro, dopo la ricezione, da parte della ricorrente, di detto fax, la Dimon Italia ha inviato alla Deltafina e alla Transcatab, il 14 settembre 2001, un ordine del giorno riguardante una riunione, che si è effettivamente svolta il 18 settembre 2001, alla quale la ricorrente non ha partecipato. Tale ordine del giorno contiene un punto così intitolato: «Ns. rapporti Versus ATI, ETI, ROM TAB» («nostri rapporti con ATI/ETI e Romana Tabacchi») (v. punto 212 della decisione impugnata). Dal momento che lo stesso ordine del giorno conteneva un primo punto intitolato «Ribadire ns. rapporti» («ribadire i nostri rapporti»), l’affermazione ivi contenuta non può che essere considerata come diretta a confermare, come fa valere la ricorrente, che essa era esterna all’intesa. Infatti, l’impiego dell’espressione «versus», da un lato, e l’invito a rafforzare i rapporti tra i membri dell’intesa, dall’altro, non sollevano dubbi sulla posizione della ricorrente nei confronti della Dimon Italia, della Transcatab e della Deltafina. D’altronde, dal punto 204 della decisione impugnata emerge anche che il 5 giugno 2001, ossia tra la data di ricezione del fax della Deltafina e la riunione del 18 settembre 2001, ha avuto luogo a Caserta un’altra riunione operativa dell’intesa, alla quale la ricorrente non ha partecipato.

156    Orbene, se è vero che il fax della Deltafina può essere considerato un elemento probatorio del fatto che la ricorrente era nuovamente entrata in contatto con un membro dell’intesa allo scopo di ottenere un’informazione puntuale sul «prezzo contrattuale» di una particolare varietà di tabacco da inserire nei contratti di coltivazione che stava per stipulare con le associazioni di produttori, tale elemento non fornisce, di per sé, un’indicazione sufficiente del fatto che la ricorrente era nuovamente coinvolta nell’intesa, soprattutto alla luce del contesto menzionato ai punti 152‑155 supra.

–       Sulle riunioni del 16 novembre 2001 e dell’8 gennaio 2002

157    Occorre constatare che la ricorrente riconosce di aver partecipato alle riunioni del 16 novembre 2001 e dell’8 gennaio 2002. Essa sostiene tuttavia di essere stata «convocata» dalla Dimon Italia a una riunione svoltasi negli uffici dell’APTI il 16 novembre 2001, durante la quale le sarebbe stato chiesto di agire in qualità di «mediatore» affinché venisse meno l’opposizione del consorzio Burley al sistema di aste per la vendita del tabacco – di cui l’Unitab e l’APTI erano promotrici – che sarebbe stato gestito dal Cogentab. Sarebbe quindi per questa ragione che la ricorrente ha successivamente invitato nei propri locali le parti interessate alla riunione dell’8 gennaio 2002.

158    A tal riguardo, va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, è sufficiente che la Commissione dimostri che l’impresa interessata ha partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, affinché sia sufficientemente provata la partecipazione di detta impresa all’intesa. Ove sia stata dimostrata la partecipazione a riunioni siffatte, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione a queste riunioni fosse priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando di aver indicato ai suoi concorrenti che essa partecipava alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro. La ragione soggiacente a tale principio di diritto è che, avendo partecipato a detta riunione senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto, l’impresa ha dato l’impressione agli altri partecipanti che essa appoggiava il suo risultato e che vi si sarebbe conformata (v. sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 131 supra, punti 81 e 82, e la giurisprudenza ivi citata).

159    Orbene, in primo luogo, va rilevato che, nelle sue dichiarazioni del 18 aprile 2002, la Transcatab afferma che la ricorrente ha abbandonato l’intesa nel 1999, al momento dell’introduzione del «sistema di acquisti Cogentab», per guadagnare, a suo avviso, quote di mercato presso altri trasformatori, che avevano intanto creato il consorzio Burley al fine, sostanzialmente, di contrastare il sistema Cogentab nonché l’istituzione del «sistema delle aste». La Transcatab, inoltre, precisa quanto segue: 

«[p]assati circa due anni Romana Tabacchi, visti oltretutto gli accordi di commercializzazione ottenuti con ATI [che era la divisione acquisti “foglie” dell’ex monopolio italiano (v. punto 39 della decisione impugnata) ed era divenuta un membro del Cogentab nel 2001 (v. punto 183 della decisione impugnata)], ritiene necessario chiedere di essere ammess[a] ad APTI. Di conseguenza si trova nella condizione di doversi pronunciare circa la politica di acquisto Cogentab e sulla applicazione delle aste. Così, a fine 2001 inizio 2002 si hanno una serie di riunioni presso APTI e presso la Romana Tabacchi, in cui quest’ultima ha cambiato la sua posizione riguardante le aste e si è resa promotore di una mediazione tra la posizione del [consorzio Burley] e la posizione di Cogentab».

160    A tale riguardo, è pacifico tra le parti che un adeguamento del sistema delle aste per l’acquisto di tabacco greggio, che era in discussione alla fine del 2001, è stato previsto, qualche mese più tardi, dal regolamento (CE) del Consiglio 25 marzo 2002, n. 546, che fissa i premi e i limiti di garanzia per il tabacco in foglia per gruppo di varietà, per Stato membro e per i raccolti 2002, 2003 e 2004 e che modifica il regolamento (CEE) n. 2075/92 (GU L 84, pag. 4).

161    Risulta quindi dalle dichiarazioni della Transcatab che la ricorrente ha definitivamente abbandonato l’intesa nel 1999 e che, nel 2001, dopo aver chiesto di essere ammessa all’APTI, ha partecipato alle riunioni in questione per discutere il sistema delle aste e promuovere una mediazione tra il consorzio Burley e il Cogentab riguardo a tale sistema. Così, secondo la Transcatab, la ricorrente ha partecipato a tali riunioni perseguendo un obiettivo particolare e, dunque in un’ottica diversa da quella dei membri dell’intesa, non rivelando l’esistenza in essa di uno spirito anticoncorrenziale.

162    In secondo luogo, come già rilevato al punto 138 supra, risulta dal punto 2.3 della domanda di trattamento favorevole della Dimon Italia del 4 aprile 2002 che, per quanto riguarda il periodo compreso tra il 1999 e il 2002, solo i tre «trasformatori principali», cioè la Deltafina, la Dimon Italia e la Transcatab, avevano contatti regolari riguardo all’oggetto dell’intesa. Al contrario, la ricorrente non è menzionata dalla Dimon Italia come un membro attivo dell’intesa durante detto periodo. È quindi giocoforza constatare che, secondo la ricostruzione da essa effettuata di detto periodo di attività dell’intesa, la Dimon Italia non percepiva la partecipazione della ricorrente alle riunioni in questione nel senso che essa fosse guidata da uno spirito anticoncorrenziale.

163    In terzo luogo, la Commissione ha riconosciuto in udienza che, durante il periodo tra il 29 maggio 2001 ed il febbraio 2002, si sono svolte sei riunioni e che la ricorrente ha partecipato solo a due di esse, tra le quali quella del 16 novembre 2001 che non era una riunione dell’intesa propriamente detta, bensì dell’APTI. Quanto, inoltre, alla riunione dell’8 gennaio 2002, la seconda ed ultima alla quale ha partecipato la ricorrente durante tutto il periodo compreso tra il 29 maggio 2001 e la fine dell’infrazione, occorre osservare, da un lato, che, secondo le dichiarazioni della Transcatab del 18 aprile 2002, oltre a essa stessa, alla Dimon Italia, alla Deltafina e alla ricorrente, a detta riunione era presente anche un rappresentante di un altro ente. Dall’altro, va rilevato che tale riunione è stata preceduta, alla vigilia, da un’altra riunione, alla quale hanno partecipato unicamente la Dimon Italia, la Transcatab e la Deltafina (v. punto 222 della decisione impugnata). Alla luce delle affermazioni contenute rispettivamente nelle dichiarazioni della Transcatab e nella domanda di trattamento favorevole della Dimon Italia (v., in particolare, punti 161 e 162 supra), la Commissione non ha quindi sufficientemente dimostrato che la menzionata riunione dell’8 gennaio 2002 rappresentava una riunione dell’intesa.

164    Considerato quanto precede, si deve concludere che, in un contesto come quello appena descritto, la Commissione non disponeva di prove o di un complesso di indizi aventi una forza probatoria sufficiente riguardo al coinvolgimento della ricorrente nell’intesa per il periodo tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002. Al contrario, come emerge anche dalla decisione impugnata, diversi elementi presenti nel fascicolo amministrativo erano tali da condurre la Commissione ad una conclusione diversa da quella definitivamente formulata quanto alla durata della partecipazione della ricorrente.

165    Poiché l’insieme degli indizi fatti valere dalla Commissione non è sufficiente per concludere nel senso della partecipazione della ricorrente all’intesa durante il periodo sopra menzionato, occorre constatare che la Commissione ha commesso un errore di valutazione dei fatti considerando che la ricorrente aveva partecipato all’intesa nel periodo tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002, che corrisponde all’ultimo giorno dell’infrazione.

166    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il presente motivo deve essere accolto. Ne consegue che l’art. 1, lett. b), della decisione impugnata deve essere annullato nella parte in cui accerta l’infrazione commessa dalla ricorrente al di là del mese di febbraio 1999. Le conseguenze da trarne per la determinazione dell’importo dell’ammenda saranno esaminate ai punti 265 e segg., infra.

4.     Sul secondo motivo, vertente sull’illogicità della motivazione e sulla violazione del principio della parità di trattamento riguardo alla graduazione dell’importo di partenza dell’ammenda

 Argomenti delle parti

167    La ricorrente fa valere, da un lato, che la Commissione non avrebbe dovuto scegliere il 2001 come anno di riferimento per determinare la sua quota di mercato. Infatti, considerato che la sua partecipazione all’infrazione è stata frammentata, la Commissione avrebbe dovuto prendere come base per il suo calcolo la media ponderata delle quote di mercato detenute nell’insieme del periodo considerato – pari, nel suo caso, al 4,69% –, il che sarebbe tanto più appropriato per le infrazioni di durata media, o, tutt’al più, avrebbe dovuto prendere in considerazione la quota di mercato che essa deteneva nel 1998 e non nel 2001, anno in cui la sua partecipazione, anche supponendola provata, sarebbe stata in ogni caso parziale. Essa fa altresì valere che, in considerazione della sua quota di mercato più modesta di quella della Transcatab e di quella della Dimon Italia, non avrebbe dovuto essere inclusa nella stessa categoria di imprese in cui sono state poste queste ultime, per le quali la Commissione ha fissato un identico importo di partenza pari a EUR 10 milioni. Ancor prima dell’applicazione di un coefficiente moltiplicatore, la Commissione avrebbe quindi dovuto fissare importi di partenza a loro volta diversificati.

168    La ricorrente contesta, in particolare, l’utilizzo, come criterio di riferimento per determinare il peso specifico di un’impresa, della quota di mercato posseduta durante l’ultimo anno completo dell’infrazione. L’utilizzo di una siffatta quota di mercato dovrebbe essere adattato in tutti i casi in cui, come nella fattispecie, la partecipazione di un’impresa all’intesa ha subito interruzioni. Infatti, in un caso del genere, la quota di mercato relativa all’ultimo anno completo di infrazione non rifletterebbe soltanto i vantaggi ottenuti dall’impresa grazie al comportamento anticoncorrenziale, bensì anche quelli ottenuti grazie alla sua attività sul mercato durante i periodi in cui non ha partecipato all’intesa. Orbene, questa sarebbe precisamente l’ipotesi del caso in esame, dal momento che il maggiore incremento realizzato dalla ricorrente è stato registrato tra il 1999 e il 2000, periodo in cui è pacifico che essa non facesse parte dell’intesa.

169    Alla luce del fatto che la Commissione ha utilizzato lo stesso metodo di calcolo sia per la ricorrente che per le altre imprese, la cui partecipazione all’intesa non ha subito alcuna interruzione, la decisione impugnata sarebbe viziata da una violazione del principio di parità di trattamento e da illogicità della motivazione per la parte in questione.

170    La Commissione chiede il rigetto degli argomenti della ricorrente.

171    In primo luogo, essa rammenta che, secondo la giurisprudenza, l’applicazione dello stesso importo di partenza ad imprese che posseggono una quota di mercato compresa in una forchetta non eccessivamente ampia – come nel caso di specie – non costituisce una violazione del principio della parità di trattamento. Inoltre, nella determinazione delle ammende essa disporrebbe di un ampio margine di discrezionalità e non sarebbe tenuta ad applicare una formula matematica precisa. In ogni caso, tale argomento sarebbe inconferente, atteso che l’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente è stato comunque ridotto a EUR 2,05 milioni, conformemente all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

172    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento della ricorrente volto a contestare l’utilizzo, come criterio di riferimento, della quota di mercato posseduta nell’ultimo anno completo dell’infrazione, la Commissione fa valere che, secondo la giurisprudenza, essa opera nell’ambito del proprio margine di discrezionalità qualora, nel suddividere le imprese interessate in categorie ai fini della determinazione dell’importo delle ammende, effettui tale suddivisione in maniera coerente ed obiettivamente giustificata. Le quote di mercato possedute nell’ultimo anno completo dell’infrazione costituirebbero un indice adeguato del peso specifico e dell’impatto sulla concorrenza dei comportamenti illeciti, in particolare poiché esse potrebbero essere il riflesso,almeno in parte, dell’infrazione medesima.

173    Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’argomento secondo cui, per le infrazioni di media durata, sarebbe più adeguato prendere come criterio di riferimento, ai fini della determinazione dell’importo delle ammende, una media fra le quote possedute dalle imprese interessate durante gli anni dell’infrazione, la Commissione ribatte anzitutto che, nel caso di specie, l’infrazione non era di «media», bensì di «lunga» durata. Essa osserva poi che è proprio per il fatto che la ricorrente ha interrotto la sua partecipazione all’intesa per un certo periodo, per poi riprenderla più tardi, che la media delle quote di mercato durante gli anni dell’intesa non costituirebbe un criterio idoneo, nel caso di specie, a suddividere le imprese interessate in categorie ai fini della determinazione dell’importo delle ammende. Inoltre, per calcolare tale media, la Commissione avrebbe dovuto ottenere da ciascuna delle imprese coinvolte nell’intesa non solo i dati concernenti i propri acquisti di tabacco greggio dal 1995 al 2000 incluso, ma anche il valore totale degli acquisti di tabacco greggio per ciascuno di tali anni, il che corrisponderebbe altresì agli acquisti di qualsiasi altro trasformatore di tabacco italiano nei sei anni di durata dell’intesa, con tutte le difficoltà che ciò poteva comportare.

174    In ogni caso, anche a voler prendere in considerazione la media delle quote di mercato delle imprese interessate durante gli anni dell’intesa e ad ipotizzare che quella della ricorrente fosse del 5% circa, una forchetta compresa tra il 5% e l’11% non sarebbe sensibilmente più ampia rispetto a quella compresa tra l’11% e il 18%, ritenuta ragionevole dalla giurisprudenza. Inoltre, la tesi della ricorrente non sarebbe neppure configurabile qualora, per esempio, essa avesse partecipato all’infrazione soltanto nell’ultimo anno dell’intesa. Non sarebbe dunque in alcun modo giustificabile che da una durata della sua partecipazione superiore a un anno alle attività dell’intesa la ricorrente possa trarre un qualsiasi vantaggio in termini di riduzione dell’ammenda.

175    Per quanto riguarda, in quarto luogo, l’argomento secondo cui l’utilizzo della quota di mercato dell’ultimo anno completo dell’infrazione dovrebbe essere adattato in tutti i casi in cui la partecipazione all’intesa abbia subito interruzioni, la Commissione osserva che la decisione impugnata ha già tenuto conto della minore durata della partecipazione della ricorrente, ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta. Pertanto, secondo la Commissione, non è chiaro per quale ragione tale minore partecipazione, in termini di durata, dovrebbe essere presa in considerazione anche a titolo di circostanza attenuante.

 Giudizio del Tribunale

176    Occorre rilevare, anzitutto, per quanto riguarda la scelta dell’anno di riferimento per stabilire il peso relativo delle imprese, che se da un lato gli orientamenti prevedono, al punto 1 A, quarto e quinto comma, un trattamento differenziato delle imprese in funzione della loro importanza economica, dall’altro essi non indicano rispetto a quale anno il peso relativo delle imprese debba essere determinato. A tal riguardo, l’unico punto degli orientamenti che prevede la presa in considerazione dell’esercizio che precede l’anno di adozione della decisione è il punto 5, lett. a), secondo comma, di questi ultimi, il quale tuttavia si applica solo alla determinazione del fatturato ai fini del rispetto della soglia del 10%, prevista all’art. 23, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003. Ne consegue che esso non è applicabile ai fini della determinazione del peso relativo delle imprese che partecipano all’intesa.

177    Risulta dalla giurisprudenza che la Commissione è tenuta a scegliere un metodo di calcolo che consenta di valutare le dimensioni e la potenza economica di ogni impresa interessata, nonché l’entità dell’infrazione commessa in funzione della realtà economica come si presentava all’epoca in cui l’infrazione è stata commessa. Inoltre, secondo la giurisprudenza, occorre delimitare il periodo da prendere in considerazione in modo che i fatturati, o le quote di mercato, ottenuti siano il più possibile paragonabili. Ne consegue che l’anno di riferimento non deve necessariamente essere l’ultimo anno completo durante il quale si è protratta l’infrazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 settembre 2010, causa T‑26/06, Trioplast Wittenheim/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punti 81 e 82, e la giurisprudenza ivi citata).

178    Come risulta dal punto 372 della decisione impugnata, relativo alla determinazione della quota di mercato della Deltafina, il 2001, scelto nella fattispecie come anno di riferimento al fine di stabilire il peso relativo delle imprese, era l’ultimo anno completo dell’infrazione commessa dai trasformatori.

179    La Commissione ha così classificato la Deltafina, con una quota di mercato nel 2001 del 25%, in una categoria (punto 372 della decisione impugnata), e raggruppato la Dimon Italia, la Transcatab e la ricorrente, con quote di mercato nel 2001 rispettivamente dell’11,28% (v. punto 35 della decisione impugnata), del 10,8% (v. punto 37 della decisione impugnata) e dell’8,86% (v. punto 40 della decisione impugnata), in un’altra categoria (punto 373 della decisione impugnata). In seguito a tale classificazione, e dopo aver applicato un coefficiente moltiplicatore di 1,5 per la Deltafina e di 1,25 per la Transcatab e per la Dimon Italia, gli importi di partenza sono stati fissati in EUR 37,5 milioni per la Deltafina, EUR 12,5 milioni per la Transcatab e per la Dimon Italia, e EUR 10 milioni per la ricorrente (punto 376 della decisione impugnata).

180    Al riguardo, va ricordato che, secondo la giurisprudenza, il metodo consistente nel ripartire i membri di un’intesa in categorie al fine di realizzare un trattamento differenziato nella fase della determinazione degli importi di partenza delle ammende, benché porti ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese di una stessa categoria, comporta una determinazione forfetaria dell’importo di partenza fissato per le imprese appartenenti ad una stessa categoria (v. sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑26/02, Daiichi Pharmaceutical/Commissione, Racc. pag. II‑713, punto 83, e la giurisprudenza ivi citata, e sentenza Itochu/Commissione, punto 103 supra, punto 73).

181    Tuttavia, una simile ripartizione per categorie deve rispettare il principio della parità di trattamento, secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., a tal riguardo, la giurisprudenza citata al punto 102 supra). Inoltre, secondo la giurisprudenza, l’importo delle ammende dev’essere quantomeno proporzionato agli elementi presi in considerazione al fine di valutare la gravità dell’infrazione. Per verificare se una ripartizione dei membri di un’intesa in categorie sia conforme ai principi di parità di trattamento e di proporzionalità, occorre esaminare se tale ripartizione sia coerente ed obiettivamente giustificata (v., in tal senso, sentenze Daiichi Pharmaceutical/Commissione, punto 180 supra, punti 84 e 85, e Itochu/Commissione, punto 103 supra, punto 74).

182    Secondo la decisione impugnata, la ricorrente ha partecipato all’intesa durante un primo periodo, dall’ottobre 1997 al 5 novembre 1999, e durante un secondo periodo, dal 29 maggio 2001 al 19 febbraio 2002, mentre gli altri membri vi hanno partecipato, senza interruzione, dal 29 settembre 1995 al 19 febbraio 2002. Ora, sebbene la Commissione abbia rilevato che la ricorrente ha partecipato all’intesa durante un periodo più breve e frammentato – la cui durata esatta, come si è constatato nell’ambito del terzo motivo supra, è contestata da quest’ultima – rispetto agli altri membri dell’intesa, la Commissione si è basata sulle quote di mercato possedute dalle imprese interessate, compresa la ricorrente, nel 2001, ultimo anno completo dell’infrazione, indipendentemente dal fatto che la ricorrente avesse ripreso la propria partecipazione a tale infrazione, stando alla decisione impugnata, soltanto a partire dal 29 maggio 2001.

183    Utilizzando, ai fini della determinazione dell’importo di partenza delle ammende, il criterio della quota di mercato relativa all’ultimo anno completo dell’infrazione, la Commissione ha quindi trattato in modo identico situazioni diverse. Infatti, la situazione della ricorrente era diversa da quella degli altri tre trasformatori per il fatto che, ai sensi della decisione impugnata, da un lato, essa aveva globalmente partecipato all’intesa per un periodo più breve e frammentato e, dall’altro, vi aveva asseritamente partecipato solo per una parte limitata del 2001, mentre gli altri trasformatori avevano continuato a parteciparvi ininterrottamente dal settembre 1995 al febbraio 2002. Pertanto, la scelta del 2001 come anno di riferimento costituisce una disparità di trattamento a scapito della ricorrente.

184    Un siffatto trattamento ineguale è privo di giustificazione obiettiva. Infatti, se è vero che la Commissione può tener conto delle quote di mercato possedute da un’impresa che partecipa ad un’intesa nell’ultimo anno completo dell’infrazione constatata per valutare le sue dimensioni e la sua potenza economica in un mercato determinato, nonché l’entità dell’infrazione commessa da detta impresa (v. punto 177 supra), essa deve cionondimeno assicurarsi che le quote di mercato di ciascuna delle imprese coinvolte riflettano correttamente la realtà economica così come appare al momento dell’infrazione commessa. Orbene, in regola generale, nel caso di infrazioni di lunga durata, come nella fattispecie, è solo allorché l’ultimo anno completo dell’infrazione, così come preso in considerazione dalla Commissione, coincide con la durata di partecipazione di ciascuna di tali imprese che le quote di mercato ad esso attinenti sono tali da servire da indicatori pertinenti al riguardo e da permettere di ottenere risultati per quanto possibile paragonabili, soprattutto al fine di ripartire in categorie le imprese coinvolte.

185    Tuttavia, nella fattispecie, la Commissione non indica alcuna giustificazione valida, nella decisione impugnata, per la propria scelta di ripartire i quattro trasformatori di cui trattasi in due categorie e, in particolare, di raggruppare la ricorrente nonché la Transcatab e la Dimon Italia, controllate, rispettivamente, dei gruppi multinazionali SCC e Dimon, in una medesima categoria in ragione delle loro rispettive quote di mercato nel 2001. A tal riguardo, la Commissione si limita a constatare che, poiché la Transcatab, la Dimon Italia e la ricorrente possedevano quote di mercato più piccole, «l’importo di base dell’ammenda da [infliggere] a tali imprese doveva essere (...) più basso» rispetto a quello dell’ammenda alla Deltafina (punto 373 della decisione impugnata). Per contro, tenuto conto della diversa durata della loro partecipazione all’intesa, anche durante il 2001, dei distinti ruoli da esse svolti nel concepimento e nella realizzazione dell’intesa, nonché delle loro diverse dimensioni e potenze economiche, non vi era alcuna giustificazione obiettiva all’assimilazione, da parte della Commissione, della ricorrente alla Dimon Italia e alla Transcatab e all’inclusione di tali tre imprese in una medesima categoria, applicando loro un medesimo importo di partenza dell’ammenda.

186    Pertanto, e alla luce delle considerazioni riportate ai punti 301 e 302 della decisione impugnata quanto alla durata dell’infrazione, la Commissione non poteva tener conto del 2001 come ultimo anno completo dell’infrazione constatata senza violare il principio di parità di trattamento nei confronti della ricorrente, atteso che quest’ultima, secondo la Commissione, vi aveva partecipato solo a partire dal 29 maggio di tale anno (v., in tal senso e per analogia, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑319/94, Fiskeby Board/Commissione, Racc. pag. II‑1331, punto 43).

187    Ciò è tanto più vero alla luce delle considerazioni svolte ai punti 150‑165 supra, nell’ambito dell’esame del terzo motivo, secondo le quali la Commissione ha erroneamente ritenuto che la ricorrente avesse ripreso la propria partecipazione all’intesa il 29 maggio 2001 per farne parte fino al termine dell’infrazione.

188    Considerato quanto precede, occorre concludere che, utilizzando il criterio della quota di mercato relativa all’ultimo anno completo dell’infrazione, ossia il 2001, per tutte le imprese coinvolte, il che è all’origine della scelta della Commissione di raggruppare in una medesima categoria la ricorrente, la Mindo e la Transcatab e di applicare loro un medesimo importo di partenza, la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento.

189    Gli argomenti addotti dalla Commissione in tale ambito non sono in grado di rimettere in discussione questa conclusione.

190    In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui le quote di mercato detenute nell’ultimo anno completo dell’infrazione costituiscono un indice adeguato del peso specifico e dell’impatto sulla concorrenza dei comportamenti illeciti, anche in considerazione del fatto che, normalmente, tali quote di mercato possono essere il riflesso,almeno in parte, dell’infrazione medesima, basti constatare che ciò non si verifica precisamente qualora l’impresa in questione non abbia partecipato all’infrazione durante l’intero anno in questione (v. punto 184 supra). Occorre inoltre osservare che una siffatta constatazione non può impedire ad un’impresa di dimostrare, come nella fattispecie, che la quota di mercato posseduta durante il periodo considerato non costituisce, per ragioni che le sono proprie, un’indicazione delle sue dimensioni effettive e della sua potenza economica, né dell’entità dell’infrazione commessa (v., in tal senso, sentenza Fiskeby Board/Commissione, punto 186 supra, punto 42). Infatti, la quota di mercato posseduta dalla ricorrente nel 2001, paragonata alla notevole evoluzione delle sue quote di mercato durante il periodo in cui essa non faceva parte dell’intesa, non può essere considerata il risultato della sua partecipazione all’infrazione, o, quanto meno, potrebbe esserlo solo in misura minore, come la Commissione ha riconosciuto in udienza. A tal riguardo, non può essere accolto l’argomento sollevato in udienza dalla Commissione, secondo cui comunque la ricorrente avrebbe partecipato all’intesa nella sua fase decisiva, cioè la seconda parte del 2001. Infatti, tale argomento non è stato suffragato dalla Commissione ed è sostanzialmente in contrasto con la scelta, da essa effettuata nella decisione impugnata, di fare riferimento all’ultimo anno completo dell’infrazione. In ogni caso, come si è costatato nell’ambito dell’esame del terzo motivo (v. punti 150‑165 supra), la Commissione non ha sufficientemente provato che la ricorrente aveva partecipato all’intesa durante il secondo semestre del 2001.

191    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento diretto sostanzialmente a contestare l’utilizzo delle quote di mercato medie, in ragione del fatto che la Commissione avrebbe dovuto ottenere un certo numero di informazioni che le sarebbe stato difficile procurarsi, basti rilevare che, per quanto attiene alle quote di mercato da essa accertate per il 2001, la Commissione si è limitata ad utilizzare le informazioni fornitele dalle stesse imprese. Risulta infatti, dai punti 31, 35, 37 e 40 della decisione impugnata, che le quote di mercato rispettive della Deltafina, della Dimon Italia, della Transcatab e della ricorrente, che sono state utilizzate dalla Commissione ai punti 372 e 373 della decisione impugnata per determinare l’importo di partenza delle ammende ed il trattamento differenziato, corrispondono alle stime proprie di ciascuna di tali imprese. Peraltro, come risulta dai documenti che la Commissione ha versato al fascicolo su richiesta del Tribunale, essa era in possesso dei dati relativi alle quote di mercato di tali imprese per il periodo 1999‑2002, che le erano stati trasmessi durante il procedimento amministrativo a seguito di sua esplicita richiesta. Pertanto, non può essere accolto l’argomento secondo cui sarebbe stato particolarmente difficile per la Commissione acquisire altri dati, atteso che dalla decisione impugnata risulta che la Commissione ha fondato detta decisione sui dati, relativi al periodo 1999‑2002, che essa stessa ha ritenuto opportuno richiedere ai trasformatori e che le sono stati forniti da questi ultimi.

192    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento attinente al fatto che la decisione impugnata avrebbe già preso in considerazione la durata meno prolungata della partecipazione della ricorrente ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda inflittale, basti constatare che il presente motivo è diretto in realtà a contestare la fissazione dell’importo di partenza, che è effettuata sulla base della gravità dell’infrazione e non della sua durata. Peraltro, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la ricorrente non ha chiesto che la propria minore partecipazione, in termini di durata, fosse presa in considerazione a titolo di circostanza attenuante.

193    In quarto luogo, per quanto riguarda l’argomento della Commissione secondo cui il presente motivo presupporrebbe necessariamente che la partecipazione della ricorrente all’intesa fosse durata ben più di un anno e sarebbe quindi difficile giustificare che essa possa trarre da tale circostanza un qualsivoglia vantaggio in termini di riduzione dell’ammenda, è giocoforza constatare che si tratta di un argomento meramente ipotetico privo di valore probante. Infatti, nell’ipotesi evocata dalla Commissione, in cui la partecipazione di un’impresa ad un’intesa si limitasse all’ultimo anno, potrebbe essere presa in considerazione unicamente la quota di mercato relativa a tale anno. Poiché tuttavia questo non è il caso di specie, alla Commissione spetta chiarire come e in quale misura la ricorrente possa trarre un vantaggio dal fatto che la sua partecipazione all’intesa avrebbe ampiamente superato l’ultimo anno dell’infrazione.

194    Infine, per quanto riguarda la lettura del valore degli acquisti della ricorrente nel 2001, proposta dalla Commissione in udienza e diretta a dimostrare che la quota di mercato della ricorrente in tale anno sarebbe stata, in sostanza, sottovalutata, basti osservare che, nella misura in cui rimette in discussione quanto accertato dalla Commissione nella decisione impugnata, tale argomento deve essere respinto.

195    Il secondo motivo deve quindi essere accolto, in quanto, fondando l’importo di partenza attribuito alla ricorrente sulla quota di mercato da essa posseduta nell’anno di riferimento 2001, la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento. Le conseguenze da trarre per la determinazione dell’importo dell’ammenda saranno esaminate ai punti 265 e segg., infra.

5.     Sul quarto motivo, attinente all’insufficienza della riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione del ruolo «eversivo» svolto dalla ricorrente, nonché alla mancata considerazione di circostanze attenuanti ulteriori

196    La ricorrente contesta alla Commissione di averle applicato soltanto una riduzione del 30% dell’importo di base dell’ammenda.

197    L’argomentazione della ricorrente si articola in due parti. Nell’ambito della prima parte, la ricorrente fa valere che la Commissione ha trascurato la circostanza attenuante relativa alle pressioni che essa avrebbe subito, nonché il ruolo meramente passivo da essa svolto nell’infrazione. Nell’ambito della seconda parte, la ricorrente sostiene che, riconoscendo la circostanza attenuante del «frequente sconvolgimento delle finalità del cartello», la Commissione non ha attribuito il peso dovuto, ai sensi degli orientamenti, al fatto che essa aveva sistematicamente disapplicato, de facto, le decisioni dell’intesa.

 Sulla prima parte, attinente al fatto che la Commissione avrebbe trascurato, a titolo di circostanze attenuanti, le pressioni subite dalla ricorrente, nonché il ruolo meramente passivo svolto da quest’ultima

 Argomenti delle parti

198    La ricorrente ricorda di aver già spiegato durante il procedimento amministrativo come il proprio formale coinvolgimento nell’intesa fosse il risultato delle pressioni subite da parte degli altri trasformatori e che il timore di ritorsioni da parte di questi ultimi l’aveva indotta ad un atteggiamento di apparente adesione ai desiderata del «nocciolo duro» dell’intesa, rappresentato dalla Deltafina, dalla Dimon Italia e dalla Transcatab.

199    A sostegno delle proprie affermazioni, essa ricorda di aver fornito i seguenti elementi di prova:

–        il memorandum interno della Dimon Italia del 9 ottobre 1997 (documento n. 39281-4670/4671), relativo all’iniziativa della Deltafina diretta a realizzare un accordo fra i «cinque grandi» trasformatori italiani, che attesta l’esistenza di pressioni esercitate da quest’ultima su tutte le imprese del settore aventi una presenza significativa sul mercato, in vista della creazione di un’intesa fra i trasformatori;

–        il documento relativo al raccolto 1997 (documento n. 38281-434/435), inviato dalla Deltafina agli altri trasformatori, che riferisce dell’«intenzione di agire di concerto contro eventuali perturbazioni esterne del mercato»;

–        il memorandum presentato dalla Transcatab il 9 aprile 2002 (documento n. 38281-04103), nel quale quest’ultima ammette di essersi accordata, nel 1996, con la Deltafina e la Dimon Italia per «esercitare le possibili pressioni affinché (...) strategie [anticoncorrenziali] venissero adottate dagli altri trasformatori operanti in Italia»;

–        il messaggio di posta elettronica inviato il 10 maggio 2001 da un dipendente della Dimon Italia a un collega della stessa impresa (documento n. 38281-04856), nel quale si legge l’intenzione della Dimon Italia di effettuare una visita comune con la Transcatab presso alcuni clienti (acquirenti), al fine di discutere con loro della «situazione di mercato» e dei rischi connessi all’acquisto di tabacco presso altri trasformatori (non aderenti all’intesa), tra i quali figurava verosimilmente la ricorrente che, in quel periodo, operava in piena autonomia ed era percepita come un elemento di perturbazione del mercato.

200    Inoltre, la ricorrente afferma di aver altresì sostenuto, nell’ambito del procedimento amministrativo, che la propria partecipazione è stata passiva e/o emulativa fin dall’inizio ed è rimasta tale per tutto il periodo dell’infrazione contestatole.

201    Nonostante tali prove e le puntuali affermazioni della ricorrente nel corso del procedimento amministrativo, la decisione impugnata non conterrebbe alcun riferimento alla coercizione esercitata nei suoi confronti dalla Deltafina e dagli altri due membri del «nocciolo duro».

202    Nella replica, la ricorrente precisa che, nell’ambito del calcolo dell’ammenda, la Commissione è obbligata a prendere in considerazione tutte le circostanze attenuanti delle quali un’impresa abbia provato di potersi avvalere e non può ignorare una o più di tali circostanze senza motivare la sua scelta.

203    La mancata considerazione delle pressioni subite dalla ricorrente costituirebbe parimenti una violazione del dovere di condurre l’istruttoria in modo diligente e imparziale.

204    Infine, essa contesta l’applicazione nei suoi confronti del principio giurisprudenziale diretto a negare il carattere esclusivamente passivo del coinvolgimento dell’impresa nell’infrazione per il solo motivo che essa non avrebbe denunciato l’intesa. Infatti, l’applicazione di tale principio con la medesima severità alle «imprese di grandi dimensioni» e a quelle di dimensione familiare sarebbe iniqua e sproporzionata.

205    La Commissione chiede che la prima parte del quarto motivo venga respinta. 

 Giudizio del Tribunale

206    Occorre anzitutto osservare che l’argomentazione della ricorrente non distingue chiaramente tra, da un lato, il fatto, più volte evocato, che sarebbe stata forzata, sotto la minaccia di ritorsioni, dal «nocciolo duro» dell’intesa a parteciparvi, in quanto si trovava in una situazione di debolezza strutturale rispetto ai suoi concorrenti e, dall’altro, il fatto che avrebbe scelto di parteciparvi mantenendo tuttavia un «basso profilo», di modo che la sua partecipazione sarebbe stata solo di facciata ed il suo comportamento passivo e/o emulativo.

207    I due elementi fatti valere dalla ricorrente devono essere esaminati separatamente. Infatti, sebbene possano essere strettamente connessi tra loro e tali da essere interpretati nel senso che sono uno la conseguenza dell’altro, in quanto il «basso profilo» può essere un’espressione ed una manifestazione di una situazione di costrizione, ciò non toglie che tali due elementi attengono a due situazioni e a due momenti distinti, poiché le pressioni subite dalla ricorrente si concretizzano soprattutto nel momento che precede la sua adesione «forzata» all’intesa mentre il comportamento «passivo» e/o «emulativo» è successivo a questa.

208    Vanno pertanto esaminate in successione le censure attinenti alla mancata presa in considerazione, anzitutto, del carattere forzato della partecipazione della ricorrente all’intesa e, poi, alla circostanza attenuante relativa al suo ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione.

209    In particolare, occorre stabilire se la Commissione abbia rifiutato correttamente e senza violare l’obbligo di motivazione ad essa incombente, in primo luogo, di riconoscere che la ricorrente era stata forzata a partecipare all’intesa e, in secondo luogo, che essa aveva avuto un ruolo passivo nell’ambito della realizzazione della stessa.

–       Sulla censura attinente alla mancata presa in considerazione del carattere forzato della partecipazione della ricorrente all’intesa

210    La ricorrente fa valere che, sebbene gli elementi di prova ottenuti nell’ambito del procedimento amministrativo abbiano dimostrato l’esistenza di minacce o di pressioni nei suoi confronti, essenzialmente da parte della Deltafina, ma anche di altri membri del «nocciolo duro» dell’intesa, la Commissione non li ha presi in considerazione.

211    È giocoforza constatare, anzitutto, che l’esistenza di minacce e di pressioni dirette ad indurre un’impresa a partecipare ad un’infrazione al diritto della concorrenza non rientra fra le circostanze attenuanti menzionate negli orientamenti.

212    Risulta dalla giurisprudenza che, indipendentemente dalla loro entità, le pressioni esercitate da talune imprese e dirette ad indurre altre imprese a partecipare a un’infrazione al diritto della concorrenza non esimono l’impresa in questione dalla sua responsabilità per l’infrazione commessa, non modificano affatto la gravità dell’intesa e non possono rappresentare una circostanza attenuante ai fini del calcolo delle ammende, dato che l’impresa in questione avrebbe potuto segnalare tali pressioni alle autorità competenti e presentare una denuncia dinanzi ad esse (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punti 369 e 370, e sentenza del Tribunale 29 novembre 2005, causa T‑62/02, Union Pigments/Commissione, Racc. pag. II‑5057, punto 63).

213    Ne consegue che la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione come circostanze attenuanti minacce come quelle fatte valere nella fattispecie (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 26 aprile 2007, cause riunite T‑109/02, T‑118/02, T‑122/02, T‑125/02, T‑126/02, T‑128/02, T‑129/02, T‑132/02 e T‑136/02, Bolloré e a./Commissione, Racc. pag. II‑947, punto 640).

214    Siffatta conclusione non può essere rimessa in discussione dagli argomenti avanzati dalla ricorrente.

215    Infatti, se da un lato emerge dal fascicolo che, sebbene la ricorrente abbia potuto essere vittima di pressioni da parte delle altre imprese, che avevano già posto in essere l’intesa in questione, allorché, nel 1997, essa ha fatto il suo ingresso sul mercato come operatore indipendente, dall’altro non emerge tuttavia dal fascicolo che essa abbia, quantomeno, tentato di denunciare tali pressioni presso le autorità competenti, né, d’altronde, che essa le abbia subite, soprattutto in un primo tempo, in modo del tutto passivo (v. punti 221‑224 infra).

216    Tenuto conto di quanto precede, la censura in esame dev’essere disattesa.

–       Sulla censura attinente alla mancata presa in considerazione del ruolo esclusivamente passivo o emulativo della ricorrente

217    Al punto 3, primo trattino, degli orientamenti, è precisato che una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo di circostanza attenuante è accordata, ad esempio, se l’impresa in questione ha svolto un «ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione».

218    A tal riguardo, risulta dalla giurisprudenza che, tra gli elementi idonei a rivelare il ruolo passivo di un’impresa all’interno di un’intesa, possono essere presi in considerazione il carattere sensibilmente più sporadico della sua partecipazione alle riunioni rispetto a quella degli altri membri dell’intesa (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione, Racc. pag. II‑2473, punto 168; v. sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 97 supra, punto 331, e la giurisprudenza ivi citata) come anche il suo ingresso tardivo sul mercato oggetto dell’infrazione, indipendentemente dalla durata della sua partecipazione a quest’ultima (v., in tal senso, sentenza della Corte 10 dicembre 1985, cause riunite 240/82‑242/82, 261/82, 262/82, 268/82 e 269/82, Stichting Sigarettenindustrie e a./Commissione, Racc. pag. 3831, punto 100, e sentenza 8 ottobre 2008, Carbone‑Lorraine/Commissione, punto 77 supra, punto 164, e la giurisprudenza ivi citata), o ancora l’esistenza di dichiarazioni esplicite in tal senso provenienti da rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione (v. sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 95 supra, punto 331, e la giurisprudenza ivi citata). Peraltro, il Tribunale ha dichiarato che il «ruolo esclusivamente passivo» di un membro di un’intesa comporta l’adozione da parte di quest’ultimo di un «basso profilo», vale a dire l’assenza di partecipazione attiva all’elaborazione dell’accordo o degli accordi anticoncorrenziali (v. sentenza Jungbunzlauer/Commissione, punto 105 supra, punto 252, e la giurisprudenza ivi citata).

219    Si deve anzitutto precisare che, alla luce delle conclusioni tratte nell’ambito del terzo motivo per quanto riguarda la data di cessazione della partecipazione della ricorrente all’intesa nel 1999 e la sua partecipazione nel periodo tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002, occorre pronunciarsi solo sulla sussistenza di un ruolo esclusivamente passivo o emulativo della ricorrente durante il periodo tra l’ottobre 1997 ed il febbraio 1999.

220    Orbene, in primo luogo, per quanto riguarda detto periodo dell’infrazione, la ricorrente non può validamente sostenere di essere stata costretta a partecipare all’intesa per rivendicare il beneficio di circostanze attenuanti. Infatti, anche supponendo che fosse dimostrato che gli altri membri dell’intesa – da essa definiti il «nocciolo duro» – abbiano esercitato pressioni economiche nei suoi confronti affinché essa sottoscrivesse gli accordi dell’intesa, ciò non toglie che – una volta che vi ha aderito – essa si è conformata alle decisioni dei membri dell’intesa senza assumere un ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione. Come si precisa negli orientamenti, solo un ruolo «esclusivamente» passivo o emulativo può dare luogo ad una riduzione dell’importo dell’ammenda. Non è quindi sufficiente che, durante taluni periodi dell’intesa, o rispetto a taluni accordi di quest’ultima, l’impresa in questione abbia adottato, anche supponendolo provato, un «basso profilo» (v., in tal senso, sentenze Jungbunzlauer/Commissione, punto 105 supra, punto 254, e 8 ottobre 2008, Carbone‑Lorraine/Commissione, punto 77 supra, punto 179).

221    In secondo luogo, tale valutazione è confermata dal fatto che, durante il periodo di cui trattasi, la ricorrente ha partecipato regolarmente alle riunioni dell’intesa. Come rileva la Commissione, tra l’ottobre 1997 ed il dicembre 1998 la ricorrente ha partecipato a dieci riunioni su dodici (v., a tal riguardo, i punti 124, 128, 129, 131, 132, 142, 144, 146 e 155 della decisione impugnata); le sole riunioni alle quali la ricorrente non ha partecipato in tale periodo sono state quelle del 16 e del 22 ottobre 1998 (punti 145 e 152 della decisione impugnata). Inoltre, due di tali riunioni si sono svolte nei suoi locali. Si tratta delle riunioni del 20 ottobre 1997 (punto 128 della decisione impugnata) e del 2 dicembre 1998 (punto 146 della decisione impugnata). Infine, risulta dal punto 150 della decisione impugnata che, il 2 luglio 1998, essa ha convenuto con la Dimon Italia, la Deltafina e la Transcatab, il prezzo massimo da offrire durante un’asta dell’ATI.

222    In terzo luogo, risulta altresì dalla decisione impugnata (v. punto 131 della decisione impugnata) che, il 29 maggio 1998, la ricorrente ha invitato i presidenti della Deltafina, della Dimon Italia e della Transcatab a partecipare alla riunione svoltasi il 4 giugno 1998. In seguito a tale riunione, essa ne ha convocata un’altra per il 2 luglio 1998, che si è però svolta il 4 luglio 1998. Durante quest’ultima riunione, è stato concluso un accordo scritto, preparato o redatto dal rappresentante della ricorrente, l’accordo detto «di Villa Grazioli», diretto a fissare i prezzi di acquisto del tabacco greggio per le varietà Burley, Bright e DAC (punto 132 della decisione impugnata).

223    A tal riguardo, la ricorrente erroneamente sottovaluta il ruolo di presidente da essa svolto durante le riunioni dell’intesa dirette alla preparazione di tale accordo, sostenendo che tale ruolo comportava, sostanzialmente, solo compiti amministrativi e non le conferiva alcuna influenza dal punto di vista della sua ideazione e della sua redazione. Invero, il fatto di convocare riunioni, di proporre un ordine del giorno e di distribuire documenti preparatori in vista di riunioni è incompatibile con il ruolo passivo di un emulatore che adotta un basso profilo. Tali iniziative rivelano un atteggiamento favorevole e attivo della ricorrente concernente l’elaborazione, la continuazione e il controllo dell’intesa. D’altronde, a tal riguardo, il fatto che lo stesso presidente della ricorrente, sig. B. (che deteneva il controllo della società), abbia partecipato alle riunioni dell’intesa, non è del tutto privo di significato, nonostante, all’interno di tale impresa, non vi fosse una struttura gerarchica equivalente a quella degli altri membri dell’intesa. Orbene, tali elementi non sono comunque idonei a dimostrare che il ruolo della ricorrente fosse «esclusivamente passivo o emulativo» (v., in tal senso e per analogia, sentenza Jungbunzlauer/Commissione, punto 105 supra, punto 257).

224    D’altra parte, la ricorrente non fa valere circostanze specifiche, né elementi di prova, come dichiarazioni di altri membri dell’intesa, tali da dimostrare che il suo atteggiamento durante le riunioni in questione si distinguesse significativamente da quello di questi ultimi per il suo carattere meramente passivo o emulativo.

225    Per di più, quando un’impresa abbia partecipato, pur senza svolgervi un ruolo attivo, a riunioni aventi un obiettivo anticoncorrenziale, essa va considerata come parte dell’intesa, salvo che non dimostri di aver chiaramente preso le distanze dall’accordo illecito. Infatti, con la sua partecipazione alle riunioni, la ricorrente ha aderito o quantomeno ha fatto credere agli altri partecipanti che aderiva in linea di principio al contenuto degli accordi anticoncorrenziali che vi erano conclusi (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 131 supra, punti 81, 82 e 85).

226    A tal riguardo, non può essere accolto l’argomento della ricorrente secondo cui, in sostanza, sarebbe iniquo e sproporzionato applicare tale giurisprudenza con la medesima severità alle imprese di grandi dimensioni, che dispongono di conoscenze e di infrastrutture giuridico‑economiche che consentono loro di valutare meglio il carattere illecito del loro comportamento e le conseguenze che ne derivano dal punto di vista del diritto della concorrenza, e alle piccole imprese di dimensione familiare, che non considererebbero necessariamente illeciti taluni comportamenti. Infatti, è sufficiente rammentare che, secondo una giurisprudenza consolidata, il punto 1 A, quinto comma, degli orientamenti consente alla Commissione di aumentare le ammende delle imprese di grandi dimensioni, ma non le impone di ridurre quelle fissate per imprese di dimensioni modeste. Oltre a ciò, posto che l’incompatibilità dell’intesa in questione con le norme sulla concorrenza è esplicitamente affermata all’art. 81, n. 1, lett. a)‑c), CE ed è altresì sancita da una costante giurisprudenza, la ricorrente non può asserire che non conosceva sufficientemente la pertinente normativa. Inoltre, risulta dalla decisione impugnata che le imprese incriminate erano ben consapevoli dell’illiceità di un’intesa che prevedeva la fissazione di prezzi, la ripartizione del mercato e l’assegnazione di clienti (v., in tal senso e per analogia, sentenza SNCZ/Commissione, punto 89 supra, punto 82).

227    In ogni caso, secondo la giurisprudenza, perché un’infrazione alle regole della concorrenza si possa considerare intenzionale, non è necessario che l’impresa sia stata conscia di trasgredire tali regole, ma è sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva come oggetto la restrizione della concorrenza (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑143/89, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. II‑917, e SNCZ/Commissione, punto 89 supra, punto 83).

228    Inoltre, nulla obbliga la Commissione ad attenuare le ammende qualora le imprese in questione siano piccole o medie imprese (PMI). Le dimensioni dell’impresa vengono infatti prese in considerazione dal tetto massimo fissato dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 e dalle disposizioni degli orientamenti. A parte tali considerazioni relative alle dimensioni, non vi è alcuna ragione di trattare le PMI diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese siano PMI non le esonera dal loro dovere di rispettare le regole della concorrenza (v., in tal senso, sentenza SNCZ/Commissione, punto 89 supra, punto 84; v. altresì, in tal senso, sentenza del Tribunale 30 aprile 2009, causa T‑18/03, CD-Contact Data/Commissione, Racc. pag. II‑1021, punto 115).

229    Di conseguenza, la Commissione non ha violato gli orientamenti rifiutando di concedere alla ricorrente il beneficio di circostanze attenuanti a titolo del ruolo esclusivamente passivo o emulativo che quest’ultima avrebbe svolto nella realizzazione dell’infrazione.

–       Sul difetto di motivazione

230    La ricorrente fa valere, in sostanza, che la decisione impugnata non è motivata per quanto riguarda tanto il suo ruolo passivo all’interno dell’intesa quanto l’esistenza di pressioni che l’hanno forzata a parteciparvi.

231    A tal riguardo, va constatato, da un lato, che, tra gli elementi che la ricorrente deduce esplicitamente come circostanze attenuanti nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, figura unicamente quello relativo al ruolo passivo che essa avrebbe svolto nell’infrazione, e, dall’altro, che la Commissione effettivamente non ha accolto tale circostanza attenuante nella decisione impugnata.

232    Non si possono tuttavia trarre argomenti dal fatto che, nella parte della decisione impugnata dedicata alle circostanze attenuanti, la Commissione non ha fornito chiarimenti sulle ragioni per cui aveva ritenuto di non dover accogliere taluni elementi dedotti a tale titolo dalla ricorrente nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti.

233    In proposito, va ricordato che, secondo costante giurisprudenza, l’art. 253 CE, se da un lato obbliga la Commissione a menzionare i dati di fatto dai quali dipende la giustificazione della decisione e le considerazioni giuridiche che l’hanno indotta ad adottarla, dall’altro non prescrive che essa discuta tutti i punti di fatto e di diritto eventualmente trattati durante il procedimento amministrativo (sentenza della Corte 9 novembre 1983, causa 322/81, Nederlandsche Banden‑Industrie‑Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punti 14 e 15, e sentenza Fiskeby Board/Commissione, punto 186 supra, punto 127).

234    Orbene, risulta dal punto 380 della decisione impugnata che la Commissione ha ridotto del 30% l’importo di base dell’ammenda da infliggere alla ricorrente, avendo valutato il carattere adeguato di un’eventuale riduzione dell’ammenda a titolo delle circostanze attenuanti da un punto di vista globale e tenendo conto dell’insieme delle circostanze pertinenti.

235    Tale censura deve quindi essere respinta. Ne consegue che la prima parte del quarto motivo deve essere respinta nel suo insieme.

 Sulla seconda parte, attinente al fatto che la Commissione non avrebbe preso debitamente in considerazione la circostanza attenuante del «frequente sconvolgimento delle finalità del cartello», che sarebbe consistito in una sistematica disapplicazione delle decisioni dell’intesa

 Argomenti delle parti

236    La ricorrente deduce che, nell’ambito del procedimento amministrativo, essa ha altresì sostenuto di non aver dato esecuzione alle decisioni dell’intesa. La disapplicazione degli accordi sarebbe stata totale e sistematica, non solo durante la quasi totalità del 1999, ma anche nel periodo tra il maggio 2001 ed il febbraio 2002. Riguardo al periodo tra l’ottobre 1997 ed il febbraio 1999, potrebbe parlarsi di un’applicazione parziale ed erratica delle decisioni dell’intesa da parte della ricorrente, la quale avrebbe meritato una riduzione dell’ammenda, in virtù della circostanza attenuante consistente nella disapplicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite.

237    Infatti, gli orientamenti non indicherebbero che una siffatta circostanza sarebbe applicabile solo nel caso di una disapplicazione totale e sistematica. Pertanto, il mancato riconoscimento della circostanza che un partecipante all’intesa abbia dato solo parziale esecuzione agli accordi restrittivi si porrebbe in contrasto con il divieto di discriminazione e con il principio di proporzionalità, poiché così facendo verrebbe meno all’obbligo di distinguere i diversi gradi di gravità delle condotte individuali delle imprese coinvolte in un’infrazione.

238    A conclusione del motivo in esame, la ricorrente chiede quindi al Tribunale di riconsiderare l’entità della riduzione applicata all’importo di base dell’ammenda inflittale, incrementando sensibilmente detta riduzione per tener conto della circostanza attenuante della coercizione esercitata nei suoi confronti e del suo ruolo esclusivamente passivo, nonché della reale incidenza della circostanza attenuante dei frequenti sconvolgimenti delle finalità dell’intesa.

239    La Commissione chiede il rigetto della seconda parte del quarto motivo.

 Giudizio del Tribunale

240    Nella presente parte del motivo la ricorrente chiede una riduzione dell’importo della sua ammenda a titolo della «non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite», che rientra fra le circostanze attenuanti menzionate al punto 3 degli orientamenti. A suo avviso, la riduzione del 30% dell’importo di base dell’ammenda non riflette pienamente la circostanza attenuante inerente al frequente sconvolgimento delle finalità dell’intesa che si è avverato essere, in realtà, una disapplicazione sistematica effettiva delle sue decisioni.

241    Orbene, secondo una giurisprudenza consolidata, la Commissione è tenuta a ‘dedurre una circostanza attenuante dalla mancata attuazione di un’intesa solo se l’impresa che fa valere tale circostanza può dimostrare di essersi opposta chiaramente e con forza all’attuazione di tale intesa, al punto da averne perturbato il funzionamento, e di non aver aderito in apparenza all’accordo né istigato, per questo, altre imprese ad attuare l’intesa in questione (v., in tal senso, sentenze Daiichi Pharmaceutical/Commissione, punto 180 supra, punto 113, e 8 ottobre 2008, Carbone‑Lorraine/Commissione, punto 77 supra, punto 196). Sarebbe, infatti, troppo semplice per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare un’ammenda ingente qualora potessero approfittare di un’intesa illecita e beneficiare in seguito di una riduzione dell’ammenda per il fatto di aver svolto solo un ruolo limitato nell’attuazione dell’infrazione, mentre il loro atteggiamento ha istigato altre imprese a comportarsi in maniera più dannosa per la concorrenza (sentenze Mannesmannröhren-Werke/Commissione, punto 73 supra, punti 277 e 278, e Itochu/Commissione, punto 103 supra, punto 145).

242    Inoltre, gli orientamenti non prevedono che la Commissione debba sistematicamente prendere in considerazione separatamente ciascuna delle circostanze attenuanti elencate al punto 3 degli stessi. Ne consegue, secondo tale giurisprudenza, che essa non è obbligata a concedere una riduzione supplementare a tale titolo in modo automatico, in quanto il carattere adeguato di un’eventuale riduzione dell’ammenda a titolo di circostanze attenuanti deve essere valutato da un punto di vista complessivo, tenendo conto dell’insieme delle circostanze pertinenti.

243    Nella fattispecie, la Commissione ha precisato, al punto 380 della decisione impugnata, quanto segue:

«Romana Tabacchi non ha partecipato a certi aspetti del cartello (principalmente quelli inerenti ad acquisti diretti presso i produttori, dai quali ha soltanto cominciato ad acquistare piccoli quantitativi nel 2000) (…) Inoltre, il suo comportamento spesso ha sconvolto la finalità del cartello al punto che gli altri partecipanti avevano discusso collettivamente come reagire [a tale] condotta (…) Tenuto conto di detti elementi, l’importo di base dell’ammenda da infliggere a Romana Tabacchi dovrebbe essere ridotto [del] 30%».

244    Come la Commissione ha giustamente osservato, emerge dalla semplice lettura di tale punto che la circostanza fatta valere dalla ricorrente nella presente censura è già stata debitamente presa in considerazione.

245    Discende dall’insieme delle considerazioni precedenti che le censure e gli argomenti che la ricorrente formula nell’ambito del presente motivo devono essere respinti in quanto infondati.

6.     Sul quinto motivo, attinente al carattere iniquo e sproporzionato dell’ammenda alla luce della struttura patrimoniale e della capacità contributiva della ricorrente

 Argomenti delle parti

246    La ricorrente ritiene ingiusta e sproporzionata l’ammenda inflittale, pari a quasi il doppio del suo capitale sociale. In particolare, la fattispecie in esame rivelerebbe un caso paradigmatico di «malamministrazione» della Commissione. Infatti, l’esercizio abusivo dei suoi poteri discrezionali in materia di calcolo delle ammende sarebbe di una gravità inedita, combinandosi con l’applicazione della politica di clemenza nei confronti dei membri più importanti e più potenti dell’intesa, e condurrebbe ad un risultato complessivo di rara iniquità. La negligenza e l’atteggiamento superficiale della Commissione nei confronti della ricorrente avrebbero prodotto una situazione paradossale in cui essa sarebbe l’impresa destinataria della sanzione più pesante in termini percentuali (il 10% del suo fatturato), sostanzialmente condannata ad uscire dal mercato, sebbene sia stata l’unica ad aver messo in crisi la stabilità dell’intesa e ad avervi preso parte per un periodo ridotto, con una partecipazione peraltro limitata a taluni aspetti di essa.

247    La sperequazione operata dalla decisione impugnata tra i membri del «nocciolo duro» dell’intesa, beneficiari della clemenza della Commissione, e la ricorrente deriverebbe da un’applicazione meccanicistica e formalistica degli orientamenti che sarebbe contraria alle esigenze di individualizzazione e graduazione della sanzione.

248    A tal riguardo, la ricorrente sottolinea altresì che l’importo della sua ammenda prima dell’applicazione del limite massimo del 10% del fatturato, previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 (EUR 8,75 milioni), equivaleva a più del 42% del suo fatturato nel 2004/2005, mentre l’ammenda inflitta alla Deltafina (EUR 30 milioni) rappresentava solo il 31% del fatturato di quest’ultima nello stesso periodo. La Commissione avrebbe dovuto prevenire «effetti collaterali» del genere, ponendo la massima attenzione nell’applicazione degli orientamenti, in sede di decisione finale.

249    Peraltro, non solo l’ammenda inflitta alla ricorrente violerebbe il principio di proporzionalità, ma sarebbe sostanzialmente priva di effetto utile, in quanto metterebbe irrimediabilmente in pericolo l’esistenza della stessa ricorrente. Infatti, atteso che tale ammenda equivarrebbe a circa il doppio del capitale sociale della ricorrente, in caso di riscossione, essa potrebbe comportare la sua messa in liquidazione.

250    Inoltre, la ricorrente invoca il punto 5, lett. b), degli orientamenti, il quale dovrebbe essere interpretato nel senso che un’impresa va ritenuta incapace di pagare se l’imposizione di una sanzione pecuniaria di importo elevato è suscettibile di causarle un pregiudizio finanziario ed economico gravissimo o addirittura di determinare la sua immediata messa in liquidazione o insolvenza fallimentare. Essa rammenta anche che, secondo la giurisprudenza, la capacità contributiva reale di un’impresa rileverebbe solamente nel suo contesto sociale particolare, rappresentato dalle conseguenze che deriverebbero dal pagamento dell’ammenda a livello di aumento della disoccupazione ovvero di deterioramento dei settori economici a monte e a valle dell’impresa interessata. Secondo la ricorrente, l’ammenda che le è stata inflitta è tale da determinare un siffatto deterioramento del mercato a monte.

251    Infatti, come confermerebbe la dichiarazione resa il 16 gennaio 2006 dal sig. F., direttore del Centro cooperativo agroalimentare (CECAS), e vice-presidente della Federazione nazionale delle cooperative agricole e agroalimentari (Fedagri), nonché presidente della Consulta Tabacco all’interno di tale organizzazione, l’uscita della ricorrente dal mercato avrebbe come conseguenza l’azzeramento o la drastica riduzione delle esportazioni del tabacco coltivato da operatori stabiliti in Italia, per i quali essa rappresenta un punto di riferimento per esportare verso taluni «mercati di nicchia». La ricorrente sostiene che la sua scomparsa avrebbe conseguenze disastrose sul settore del tabacco scuro italiano e del Burley prodotto nella zona di Benevento. In caso di scomparsa della ricorrente, le imprese produttrici delle varietà da essa commercializzate non troverebbero più sbocchi, il che avrebbe un impatto sull’occupazione e, più in generale, sull’economia di regioni aventi una vocazione eminentemente agricola.

252    Inoltre, la sua uscita dal mercato non soddisferebbe affatto l’obiettivo di promozione della concorrenza e del mercato, il quale subirebbe un aggravamento del suo livello di concentrazione. Infatti, considerato che il 13 maggio 2005 la Dimon e la SCC hanno proceduto ad una fusione negli Stati Uniti per formare la Alliance One, il che ha comportato l’uscita dal mercato delle loro rispettive controllate italiane, la Dimon Italia e la Transcatab, il mercato del tabacco italiano si troverebbe oramai nelle mani di un unico trasformatore, la Deltafina. Il pagamento dell’ammenda di EUR 2 milioni inflitta dalla Commissione avrebbe quindi l’effetto di far uscire la ricorrente dal mercato, a beneficio della Deltafina, che rimarrebbe l’ultimo importante trasformatore presente in Italia.

253    Infliggendo una sanzione a tal punto sproporzionata, la Commissione avrebbe nella fattispecie trascurato l’aspetto «special-preventivo» e irrogato un’illegittima sanzione «esemplare».

254    La Commissione chiede il rigetto del motivo.

 Giudizio del Tribunale

255    In sostanza, la ricorrente sostiene che, nella decisione impugnata, la Commissione le ha inflitto un’ammenda che violerebbe in quanto tale il principio di proporzionalità e non terrebbe conto della sua reale capacità contributiva nel particolare contesto sociale.

256    A tal riguardo, in primo luogo, la ricorrente fa valere, in via generale, che nella decisione impugnata la Commissione le ha inflitto un’ammenda iniqua e sproporzionata rispetto al suo fatturato e al suo capitale sociale, il che metterebbe gravemente in pericolo la sua esistenza.

257    Tuttavia, va anzitutto ricordato che è errato l’argomento della ricorrente secondo cui una sanzione equivalente al limite massimo del 10% del suo fatturato complessivo, previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, equivale ad una sanzione massima. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza, tale limite ha un obiettivo distinto e autonomo rispetto a quello dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione, cioè evitare che siano inflitte ammende che le imprese, date le loro dimensioni, determinate in funzione del loro fatturato complessivo, ancorché in maniera approssimativa ed imperfetta, non saranno prevedibilmente in grado di saldare (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punti 280 e 282, e sentenza del Tribunale 8 luglio 2008, causa T‑52/03, Knauf Gips/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 452). Pertanto, contrariamente a quanto sembra intendere la ricorrente, tale limite, previsto dal legislatore, è uniformemente applicabile a tutte le imprese, è articolato in funzione delle dimensioni di ciascuna di esse ed è diretto ad evitare ammende di un livello eccessivo e sproporzionato (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punto 281, e sentenza Knauf Gips/Commissione, cit., punto 453, e la giurisprudenza ivi citata). Un siffatto limite ha come unica possibile conseguenza che l’importo dell’ammenda calcolato sulla base dei criteri di gravità e di durata dell’infrazione sia ridotto al livello massimo autorizzato allorché supera quest’ultimo. La sua applicazione comporta che l’impresa interessata non paghi la totalità dell’ammenda che, in linea di principio, sarebbe dovuta ai sensi di una valutazione fondata su detti criteri (v. sentenza Knauf Gips/Commissione, cit., punto 454, e la giurisprudenza ivi citata).

258    Per quanto riguarda l’argomento secondo cui l’ammenda inflitta alla ricorrente metterebbe gravemente in pericolo la sua esistenza e potrebbe condurre alla sua messa in liquidazione, va rilevato che, secondo la giurisprudenza, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda, a prendere in considerazione la situazione finanziaria deficitaria di un’impresa, dal momento che il riconoscimento di un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno adeguate rispetto alle condizioni del mercato (sentenze della Corte Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punto 327, e 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. I‑5997, punto 105; v., altresì, sentenze del Tribunale Union Pigments/Commissione, punto 212 supra, punto 175, e la giurisprudenza ivi citata, e 28 aprile 2010, causa T‑452/05, BST/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 95). Per di più, nel caso di specie, la ricorrente non ha neanche sollevato siffatto argomento durante il procedimento amministrativo.

259    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente volto più precisamente a paragonare l’importo di partenza della sua ammenda, pari ad oltre il 42% del suo fatturato, e quello dell’ammenda inflitta alla Deltafina, il quale rappresenta solo il 31% del fatturato di quest’ultima, va rammentato che soltanto l’ammenda definitivamente inflitta deve essere ridotta al limite massimo menzionato dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Detta disposizione non impedisce alla Commissione di fare riferimento, nel suo calcolo, ad un importo intermedio che superi questo stesso limite, purché l’ammenda definitivamente inflitta non lo superi (v., in tal senso, sentenze PVC II, punto 109 supra, punti 592 e 593, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punto 278; v. altresì, in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 97 supra, punto 367). Ne consegue che in nessuna fase dell’applicazione degli orientamenti la Commissione è tenuta ad assicurare che gli importi intermedi delle ammende adottati tengano conto di ogni differenza esistente tra i fatturati complessivi delle imprese interessate (sentenza del Tribunale 6 maggio 2009, causa T‑116/04, Wieland‑Werke/Commissione, Racc. pag. II‑1087, punto 87). D’altra parte, non essendo la Commissione tenuta neanche ad assicurare che gli importi finali delle ammende cui conduce il suo calcolo per le imprese in questione riflettano tutte le differenze tra queste ultime quanto al loro fatturato, la ricorrente non può nella fattispecie contestarle di aver subito un’ammenda superiore, in termini di percentuale del fatturato complessivo, a quella inflitta alla Deltafina (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 69 supra, punto 315; v. altresì, in tal senso, sentenza SNCZ/Commissione, punto 89 supra, punto 114).

260    Peraltro, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 non impone che, qualora ammende vengano inflitte a più imprese coinvolte in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Infatti, risulta da detta disposizione che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, occorre prendere in considerazione, per determinare l’importo dell’ammenda, la gravità e la durata dell’infrazione. A questo proposito, va ancora sottolineato che, come già rilevato al punto 228 supra, nulla obbliga la Commissione ad attenuare le ammende qualora le imprese in questione siano PMI. Infatti, non vi è alcuna ragione di trattare le PMI diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese siano PMI non le esonera dal loro dovere di rispettare le regole della concorrenza.

261    In terzo luogo, per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente relativi alla necessità, per la Commissione, di prendere in considerazione la sua reale capacità contributiva in un «contesto sociale particolare», ai sensi del punto 5, lett. b), degli orientamenti, è giocoforza constatare che, per quanto pertinenti essi siano, non emerge da alcun elemento del fascicolo che, durante il procedimento amministrativo, la ricorrente abbia fatto valere l’esistenza di un siffatto «contesto» o sollevato questioni inerenti alla propria capacità contributiva.

262    È unicamente durante il giudizio che la ricorrente ha fatto valere che la propria uscita dal mercato, in ragione dell’importo elevato dell’ammenda, comporterebbe, da un lato, un deterioramento del mercato a monte, nella misura in cui detta uscita dal mercato avrebbe come conseguenza l’azzeramento o la drastica riduzione delle esportazioni del tabacco coltivato da taluni operatori stabiliti in Italia, e, dall’altro, effetti disastrosi per l’occupazione e l’economia di talune regioni interessate, aventi una vocazione eminentemente agricola, poiché la ricorrente sarebbe il solo acquirente dei tabacchi scuri venduti dal più importante consorzio di cooperative di tale produzione, nonché di una varietà di tabacco (il Burley) prodotta nella zona di Benevento.

263    Di conseguenza, la ricorrente non può oggi contestare alla Commissione di aver commesso un errore istruttorio per quanto riguarda l’applicazione del punto 5, lett. b), degli orientamenti, la cui portata è stata, ad esempio, valutata al punto 384 della decisione impugnata in relazione ad un argomento sollevato a questo proposito dalla Transcatab in risposta alla comunicazione degli addebiti.

264    Risulta da tutte le considerazioni precedenti che le censure e gli argomenti dedotti dalla ricorrente nell’ambito del quinto motivo devono essere respinti in quanto infondati.

7.     Sull’esercizio da parte del Tribunale della sua competenza di piena giurisdizione e sulla determinazione dell’importo finale dell’ammenda

265    La competenza di piena giurisdizione conferita, in applicazione dell’art. 229 CE, al Tribunale dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003 abilita quest’ultimo, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, che consente solo di respingere il ricorso di annullamento o di annullare l’atto impugnato, a sostituire la propria valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a riformare l’atto impugnato, anche senza annullarlo, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto, modificando in particolare l’ammenda inflitta qualora la questione dell’importo dell’ammenda sia sottoposta alla sua valutazione (v., in tal senso, sentenze della Corte 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. I‑1331, punti 61 e 62, e 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, punto 69 supra, punto 86, e la giurisprudenza ivi citata).

266    A questo proposito, occorre rilevare che la fissazione di un’ammenda da parte del Tribunale non è, per sua natura, un esercizio aritmetico preciso. D’altronde, il Tribunale non è vincolato ai calcoli della Commissione né ai suoi orientamenti allorché si pronuncia in forza della propria competenza di piena giurisdizione (v., in tal senso, sentenza BASF e UCB/Commissione, punto 55 supra, punto 213, e la giurisprudenza ivi citata), bensì deve effettuare la propria valutazione tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie.

267    Risulta dall’esame svolto dal Tribunale nell’ambito del secondo e del terzo motivo supra, che, in sede di calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione, da un lato, ha commesso errori di valutazione dei fatti per quanto riguarda la durata della partecipazione della ricorrente all’intesa e, dall’altro, ha violato il principio di parità di trattamento nell’esaminare il peso specifico di tale partecipazione.

268    Quanto alla condotta illegittima della Commissione attinente al calcolo della durata dell’infrazione della ricorrente, va rammentato che, come si è constatato al punto 30 supra, la Commissione le ha contestato di aver partecipato all’intesa dei trasformatori dall’ottobre 1997 al 19 febbraio 2002, data corrispondente al termine dell’infrazione, con una sospensione della partecipazione tra il 5 novembre 1999 ed il 29 maggio 2001 (punti 302 e 378 della decisione impugnata). Considerato che la partecipazione della ricorrente è durata più di due anni e otto mesi, la Commissione ha applicato una maggiorazione del 25% all’ammenda da infliggerle. L’importo di base di quest’ultima è quindi stato fissato in EUR 12,5 milioni (v. punto 379 della decisione impugnata).

269    Orbene, come si è rilevato nell’ambito dell’esame del terzo motivo (v. punti 134‑143 e 150‑165 supra), la Commissione ha erroneamente considerato che la ricorrente aveva partecipato all’intesa durante detto periodo e che aveva sospeso la propria partecipazione tra il novembre 1999 ed il maggio 2001. Infatti, per quanto riguarda il periodo fino al 5 novembre 1999, risulta dalle considerazioni svolte, in particolare, ai punti 134‑149 supra che la Commissione non poteva fissare tale data come quella di cessazione della partecipazione della ricorrente all’intesa, atteso che gli elementi di prova da essa esaminati a questo riguardo nella decisione impugnata, nonché gli altri elementi del fascicolo, le consentivano soltanto di considerare che tale partecipazione si era verificata fino al febbraio 1999.

270    Per quanto riguarda la presunta ripresa della partecipazione della ricorrente all’intesa nel periodo tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002, risulta dalle considerazioni svolte, in particolare, ai punti 150‑164 supra che l’insieme degli indizi di cui disponeva la Commissione non era sufficiente per concludere nel senso della partecipazione della ricorrente all’intesa durante detto periodo e che, di conseguenza, la Commissione ha commesso un errore di valutazione dei fatti considerando che la ricorrente ‘aveva ripreso a far parte dell’intesa durante tale periodo.

271    Alla luce di quanto precede, la durata dell’infrazione da prendere in considerazione per la fissazione dell’ammenda deve essere ridotta a sedici mesi.

272    Quanto all’altra condotta illegittima della Commissione, risulta dai punti 176‑195 supra che la decisione impugnata contiene una violazione del principio di parità di trattamento, poiché la Commissione ha considerato, riguardo alla ricorrente, il 2001 come anno di riferimento per la determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

273    Infatti, emerge dai punti 370‑373 della decisione impugnata che la Commissione ha determinato il peso relativo delle imprese che hanno partecipato all’intesa in funzione delle quote di mercato da esse possedute durante l’ultimo anno completo dell’infrazione.

274    Tuttavia, la scelta di prendere in considerazione il 2001, che, per le ragioni esposte ai punti 182‑186 supra, non poteva in alcun caso essere ritenuto l’ultimo anno completo della partecipazione della ricorrente all’infrazione, ha condotto la Commissione a prendere in considerazione una quota di mercato per quest’ultima dell’8,86% (v. punto 40 della decisione impugnata). Orbene, tale quota di mercato era sensibilmente superiore a quella posseduta dalla ricorrente durante l’ultimo anno completo della sua partecipazione all’infrazione, ossia una quota di mercato del 2,71% nel 1998, come risulta dalla comunicazione della ricorrente – che la Commissione ha versato al fascicolo in seguito ad una misura di organizzazione del procedimento adottata dal Tribunale – menzionata alla nota a piè di pagina n. 21 della decisione impugnata (v. altresì, a tal riguardo, punto 191 supra).

275    Pertanto, poiché la differenza esistente tra la quota di mercato della ricorrente presa in considerazione dalla Commissione e quelle possedute rispettivamente dalla Mindo e dalla Transcatab nel 2001 non era asseritamente significativa, in quanto esse si situavano tutte in una forchetta dal 9% all’11% circa (v. punto 373 della decisione impugnata), la Commissione ha ritenuto che queste tre imprese potessero essere classificate in una medesima categoria, per la quale l’importo di partenza dell’ammenda è stato fissato in EUR 10 milioni, importo che, tenuto conto di quanto precede, non rifletteva il «peso specifico» della ricorrente e le probabili ripercussioni del suo comportamento illecito.

276    Ne consegue che l’errore commesso dalla Commissione nel prendere in considerazione la quota di mercato posseduta dalla ricorrente nel 2001 ha determinato l’erronea classificazione di quest’ultima in una categoria di imprese che non le era propria, il che ha indotto in definitiva la Commissione a determinare un importo di partenza dell’ammenda da infliggere alla ricorrente sproporzionato rispetto al suo effettivo peso relativo nell’infrazione.

277    Di conseguenza, gli errori commessi dalla Commissione, da un lato, quanto alla durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione e, dall’altro, quanto alla determinazione della quota di mercato della ricorrente e, pertanto, alla sua classificazione in una medesima categoria con imprese aventi dimensioni diverse, nonché un peso diverso nell’intesa, hanno, in sostanza, indotto la Commissione ad attribuire alla ricorrente un ruolo nell’intesa simile a quello degli altri tre trasformatori, cioè la Deltafina, la Dimon Italia e la Transcatab.

278    Al riguardo, va rilevato che la partecipazione della ricorrente all’intesa si distingue nettamente da quella di tali tre altri trasformatori, che appartenevano tutti a gruppi multinazionali. Questi ultimi sono infatti gli unici ad aver posto in essere l’intesa e ad avervi partecipato in tutti i suoi aspetti dall’inizio dell’infrazione fino al suo termine. Inoltre, a differenza della ricorrente, i tre trasformatori citati erano tutti membri dell’APTI (punto 45 della decisione impugnata), la cui condotta hanno tentato di condizionare (punto 244 della decisione impugnata). Infine, come emerge dalla decisione impugnata (v., in particolare, punto 380), la ricorrente ha non solo partecipato discontinuamente all’intesa, ma, durante la sua partecipazione, ne ha altresì spesso alterato il funzionamento.

279    Va peraltro ricordato che, secondo costante giurisprudenza, le ammende inflitte per violazioni dell’art. 81 CE, come quelle previste all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, hanno ad oggetto la repressione degli illeciti delle imprese interessate, nonché lo scopo di dissuadere sia le imprese in questione sia altri operatori economici dalla violazione, in futuro, delle norme del diritto della concorrenza dell’Unione (v., in tal senso, sentenza della Corte 17 giugno 2010, causa C‑413/08 P, Lafarge/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 102, e la giurisprudenza ivi citata). Così, la presa in considerazione delle dimensioni e delle risorse complessive dell’impresa di cui trattasi al fine di assicurare un effetto dissuasivo sufficiente all’ammenda mira ad ottenere un impatto su detta impresa, dal momento che la sanzione non deve essere trascurabile con riferimento, in particolare, alla capacità finanziaria ‘di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza Lafarge/Commissione, cit., punto 104).

280    Inoltre, va ricordato che il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. la giurisprudenza menzionata al punto 104 supra). Ne consegue che le ammende non devono essere sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto alle norme in materia di concorrenza, e che l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionato all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima (v. la giurisprudenza menzionata al punto 105 supra).

281    Nella fattispecie, la ricorrente è un’impresa di dimensioni modeste, il cui capitale sociale ammontava nel 2005 a solo EUR 1,1 milione e la cui struttura azionaria è di natura famigliare, in quanto tale capitale è posseduto da due sole persone fisiche, i coniugi B. (ordinanza Romana Tabacchi/Commissione, punto 45 supra, punti 70 e 123). Dalle constatazioni svolte nell’ambito del procedimento sommario relativo alla presente causa emerge altresì che, nel 2005, per contribuire alla creazione di una riserva per coprire il rischio di un pagamento dell’ammenda a concorrenza di EUR 1 milione, la ricorrente ha dovuto procedere alla vendita di uno stabilimento sito in Cerratina, frazione del comune di Pianella, riducendo così il valore degli attivi immobiliari ad una somma inferiore all’importo dell’ammenda inflittale dalla Commissione (ordinanza Romana Tabacchi/Commissione, punto 45 supra, punti 87 e 107).

282    Per quanto riguarda gli effetti dell’iscrizione di un’ammenda di importo pari a EUR 2,05 milioni nel suo bilancio, la ricorrente ha altresì sostenuto nel procedimento sommario, senza essere contestata sul punto dalla Commissione, che gli artt. 2447 e 2484, quarto comma, del codice civile italiano prevedono che l’iscrizione nel bilancio di una posta passiva equivalente al doppio del capitale sociale, come nel presente caso, è tale da azzerare detto capitale. Più in particolare, in caso di riduzione del capitale sociale di una società per azioni (SpA) ad un livello inferiore al minimo legale, quest’ultima si trova essenzialmente di fronte alla scelta seguente: organizzare il proprio scioglimento oppure ricapitalizzarsi (v., in tal senso, ordinanza Romana Tabacchi/Commissione, punto 45 supra, punti 88 e 123). A tal riguardo, risulta dalle constatazioni svolte nell’ambito del procedimento sommario che, a partire dal 13 luglio 2006, la ricorrente ha sufficientemente dimostrato che essa non era in grado, come neanche i suoi due azionisti, di costituire neppure una garanzia bancaria per il pagamento dell’ammenda di EUR 2,05 milioni inflitta dalla Commissione (ordinanza Romana Tabacchi/Commissione, punto 45 supra, punti 100‑122). Occorre segnatamente rilevare che è appurato che gli azionisti della ricorrente non hanno la possibilità di costituire una garanzia bancaria per la totalità dell’importo dell’ammenda e non possono quindi, in ogni caso, contribuire al capitale della società in una misura sufficiente ad evitare la sua messa in liquidazione (v., in tal senso, ordinanza Romana Tabacchi/Commissione, punto 45 supra, punto 123). Le banche abituali della ricorrente avevano altresì interrotto le loro linee di credito a causa del deterioramento della sua situazione (ordinanza Romana Tabacchi/Commissione, punto 45 supra, punto 85). Inoltre, nella fattispecie, nessun elemento consente di indicare che tale deterioramento abbia un’origine fraudolenta diretta ad evitare il pagamento dell’ammenda.

283    Tenuto conto di tali circostanze, il Tribunale considera che un’ammenda di importo pari a EUR 2,05 milioni, come quella inflitta dalla Commissione il 20 ottobre 2005, è tale da comportare, di per sé, la messa in liquidazione della ricorrente e, di conseguenza, la sua uscita dal mercato, che sembra poter avere ripercussioni rilevanti, menzionate dalla ricorrente nell’ambito del suo quinto motivo. 

284    In virtù di quanto appena detto, considerato in particolare l’effetto cumulativo delle illegittimità precedentemente constatate, nonché la modesta capacità finanziaria della ricorrente, il Tribunale ritiene che si debba procedere ad un’equa valutazione di tutte le circostanze della fattispecie, fissando l’importo finale dell’ammenda inflitta alla ricorrente in EUR 1 milione. Infatti, un’ammenda di siffatto importo consente di reprimere efficacemente il comportamento illecito della ricorrente, in modo non trascurabile e che resta sufficientemente dissuasivo. Qualsiasi ammenda superiore a tale importo sarebbe sproporzionata rispetto all’infrazione contestata alla ricorrente valutata nel suo insieme.

285    Nella presente causa, un’ammenda di importo pari a EUR 1 milione rappresenta la giusta sanzione del comportamento contestato alla ricorrente.

286    Alla luce di quanto precede, occorre, in primo luogo, annullare l’art. 1, lett. b), della decisione impugnata, nella parte in cui esso riguarda l’infrazione contestata alla ricorrente per il periodo che va al di là del mese di febbraio 1999, in secondo luogo, fissare l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente in EUR 1 milione e, in terzo luogo, respingere il ricorso per il resto.

 Sulle spese

287    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In applicazione del n. 3, primo comma, della medesima disposizione, il Tribunale può ripartire le spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi.

288    Nella fattispecie, va rilevato che sono state sostanzialmente accolte le domande della ricorrente. Si procederà quindi ad un’equa valutazione delle circostanze della causa decidendo che la Commissione sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla ricorrente.

289    Per quanto riguarda il procedimento sommario nella causa T‑11/06 R, alla luce dell’ordinanza del presidente del Tribunale 13 luglio 2006, il Tribunale ritiene che occorra ordinare che la Commissione sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla ricorrente nell’ambito di tale procedimento.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 1, lett. b), della decisione della Commissione 20 ottobre 2005, C (2005) 4012 def., relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE] (caso COMP/C.38.281/B.2 – Tabacco greggio – Italia), è annullato nella parte in cui la Commissione europea vi ha constatato che la Romana Tabacchi Srl aveva partecipato all’infrazione al di là del mese di febbraio 1999.

2)      L’importo dell’ammenda inflitta alla Romana Tabacchi è fissato in EUR 1 milione.

3)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)      La Commissione sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Romana Tabacchi.

5)      Nella causa T‑11/06 R, la Commissione sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Romana Tabacchi.

Azizi

Cremona

Frimodt Nielsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 ottobre 2011.

Firme

Indice


Fatti

1.  Procedimento amministrativo

2.  La decisione impugnata

Determinazione dell’importo di partenza delle ammende

Gravità

Trattamento differenziato

Determinazione dell’importo di base delle ammende

Circostanze attenuanti

Limite massimo dell’ammenda previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

Applicazione della comunicazione sulla cooperazione

Importo finale delle ammende

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

1.  Sulla domanda di prova testimoniale

2.  Sul primo motivo, attinente ad un difetto d’istruttoria e ad un difetto di motivazione, ovvero all’illogicità di quest’ultima, nonché ad una violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità, riguardo all’omessa considerazione da parte della Commissione dell’assenza di impatto concreto dell’intesa sul mercato

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Considerazioni generali

Sulla mancata presa in considerazione dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato nella determinazione dell’ammenda

Sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità

Sul difetto e sull’illogicità della motivazione

3.  Sul terzo motivo, attinente ad un difetto di motivazione e d’istruttoria, nonché alla violazione dell’onere della prova, riguardo al calcolo della durata della partecipazione della ricorrente all’infrazione contestata

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sulla data di cessazione della partecipazione della ricorrente all’intesa nel 1999

Sulla partecipazione della ricorrente all’intesa tra il 29 maggio 2001 ed il 19 febbraio 2002

–  Sul fax inviato dalla Deltafina il 29 maggio 2001

–  Sulle riunioni del 16 novembre 2001 e dell’8 gennaio 2002

4.  Sul secondo motivo, vertente sull’illogicità della motivazione e sulla violazione del principio della parità di trattamento riguardo alla graduazione dell’importo di partenza dell’ammenda

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

5.  Sul quarto motivo, attinente all’insufficienza della riduzione dell’importo dell’ammenda in considerazione del ruolo «eversivo» svolto dalla ricorrente, nonché alla mancata considerazione di circostanze attenuanti ulteriori

Sulla prima parte, attinente al fatto che la Commissione avrebbe trascurato, a titolo di circostanze attenuanti, le pressioni subite dalla ricorrente, nonché il ruolo meramente passivo svolto da quest’ultima

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

–  Sulla censura attinente alla mancata presa in considerazione del carattere forzato della partecipazione della ricorrente all’intesa

–  Sulla censura attinente alla mancata presa in considerazione del ruolo esclusivamente passivo o emulativo della ricorrente

–  Sul difetto di motivazione

Sulla seconda parte, attinente al fatto che la Commissione non avrebbe preso debitamente in considerazione la circostanza attenuante del «frequente sconvolgimento delle finalità del cartello», che sarebbe consistito in una sistematica disapplicazione delle decisioni dell’intesa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

6.  Sul quinto motivo, attinente al carattere iniquo e sproporzionato dell’ammenda alla luce della struttura patrimoniale e della capacità contributiva della ricorrente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

7.  Sull’esercizio da parte del Tribunale della sua competenza di piena giurisdizione e sulla determinazione dell’importo finale dell’ammenda

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.