SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

24 marzo 2009 ( *1 )

«Misure di effetto equivalente — Polizia sanitaria — Scambi intracomunitari — Carni fresche — Controlli veterinari — Responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro — Termine di prescrizione — Determinazione del danno»

Nel procedimento C-445/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania) con decisione 12 ottobre 2006, pervenuta in cancelleria il , nella causa

Danske Slagterier

contro

Repubblica federale di Germania,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts, M. Ilešič e A. Ó. Caoimh, presidenti di sezione, G. Arestis, A. Borg Barthet (relatore), J. Malenovský, J. Klučka, U. Lõhmus e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig.ra K. Sztranc-Sławiczek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 maggio 2008,

considerate le osservazioni presentate:

per la Danske Slagterier, dall’avv. R. Karpenstein, Rechtsanwalt;

per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e C. Blaschke, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. L. Giesberts, Rechtsanwalt;

per il governo ceco, dal sig. T. Boček, in qualità di agente;

per il governo ellenico, dal sig. V. Kontolaimos e dalle sig.re S. Charitaki e S. Papaioannou, in qualità di agenti;

per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A.-L. During, in qualità di agenti;

per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;

per il governo polacco, dalla sig.ra E. Ośniecka-Tamecka e dall’avv. P. Kucharski, prewnik, in qualità di agenti;

per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra S. Lee, barrister;

per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Erlbacher e H. Krämer, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 settembre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e l’immissione sul mercato di carni fresche (GU 1964, n. 121, pag. 2012), come modificata dalla direttiva del Consiglio , 91/497/CEE (GU L 268, pag. 69; in prosieguo: la «direttiva 64/433»), degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva del Consiglio , 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 395, pag. 13), nonché dell’art. 28 CE.

2

Tale domanda è stata sottoposta nell’ambito di una controversia fra la Danske Slagterier e la Repubblica federale di Germania, vertente su una richiesta di risarcimento danni.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3

L’art. 5, n. 1, della direttiva 64/433 così prevede:

«Gli Stati membri provvedono affinché siano dichiarati non idonei al consumo umano dal veterinario ufficiale:

(…)

o)

le carni che presentino intenso odore sessuale».

4

L’art. 6, n. 1, della medesima direttiva dispone quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono affinché:

(…)

b)

le carni:

(…)

iii)

fatti salvi i casi di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera o), di suini maschi non castrati di peso, espresso in carcassa, superiore a 80 chilogrammi, tranne qualora lo stabilimento sia in grado di garantire, in base a un metodo riconosciuto secondo la procedura di cui all’articolo 16 oppure, in mancanza di tale metodo, secondo un metodo riconosciuto dall’autorità competente interessata, che è possibile individuare le carcasse che presentano un intenso odore sessuale,

siano munite del bollo speciale stabilito dalla decisione 84/371/CEE [della Commissione 3 luglio 1984, che stabilisce le caratteristiche del bollo speciale per le carni fresche di cui all’articolo 5, lettera a), della direttiva 64/433/CEE del Consiglio (GU L 196, pag. 46)] e sottoposte al trattamento previsto dalla direttiva 77/99/CEE [del Consiglio , relativa a problemi sanitari in materia di scambi intracomunitari di prodotti a base di carne (GU 1977, L 26, pag. 85)];

(…)

g)

i trattamenti previsti alle lettere precedenti siano effettuati nello stabilimento d’origine o in qualsiasi altro stabilimento designato dal veterinario ufficiale;

(…)».

5

Le disposizioni della direttiva 64/433 dovevano essere trasposte nel diritto nazionale entro il 1o gennaio 1993.

6

L’art. 5, n. 1, della direttiva 89/662 stabilisce che:

«Gli Stati membri destinatari adottano le seguenti misure di controllo:

a)

la competente autorità può, nei luoghi di destinazione della merce, verificare tramite controlli veterinari per sondaggio non discriminatori il rispetto delle condizioni poste dall’articolo 3; in tale occasione essa può procedere a prelievi di campioni.

Inoltre, se la competente autorità dello Stato membro di transito o dello Stato membro destinatario dispone di elementi di informazione che consentano di ipotizzare un’infrazione, possono essere effettuati altresì controlli durante il trasporto della merce sul suo territorio, incluso il controllo di conformità dei mezzi di trasporto;

(…)».

7

Ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva in parola:

«Se, in occasione di un controllo effettuato nel luogo di destinazione della spedizione o durante il trasporto, la competente autorità di uno Stato membro constata:

(…)

b)

che la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive comunitarie o, in mancanza di decisioni sulle norme comunitarie previste dalle direttive, dalle norme nazionali, essa può lasciare allo speditore o al suo mandatario, se le condizioni di salubrità o di polizia sanitaria lo consentono, la scelta tra:

la distruzione della merce, oppure

la sua utilizzazione ad altri fini, compresa la rispedizione su autorizzazione della competente autorità del paese dello stabilimento d’origine.

(…)».

8

Infine, l’art. 8 della direttiva in questione così dispone:

«1.   Nei casi previsti dall’articolo 7, la competente autorità di uno Stato membro destinatario si mette immediatamente in contatto con la competente autorità dello Stato membro speditore. Quest’ultima prende tutte le misure necessarie e comunica alla competente autorità del primo Stato membro la natura dei controlli effettuati, le decisioni prese e le relative motivazioni.

(…)

2.   (…)

Le decisioni adottate dalla competente autorità dello Stato destinatario devono essere comunicate, con l’indicazione delle relative motivazioni, allo speditore o al suo mandatario, nonché alla competente autorità dello Stato membro speditore.

A richiesta dello speditore o del suo mandatario, le decisioni motivate devono essergli comunicate per iscritto con l’indicazione delle vie di ricorso offerte dalla legislazione vigente nello Stato membro di destinazione, nonché della forma e dei termini prescritti per il ricorso stesso.

(…)».

La normativa nazionale

9

Ai sensi dell’art. 839 del codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch), nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2001 (in prosieguo: il «BGB»):

«(1)   Il pubblico ufficiale che, con un comportamento doloso o colposo, violi gli obblighi impostigli dal proprio ufficio nei confronti di un terzo è tenuto a risarcire al terzo il danno che ne deriva. Se il pubblico ufficiale ha agito solo colposamente, egli è tenuto al risarcimento solo se il soggetto leso non riesce ad ottenerlo in altro modo.

(2)   Il pubblico ufficiale che violi gli obblighi imposti dal proprio ufficio nel giudizio in una causa è responsabile del danno derivante solo ove la violazione dell’obbligo costituisca un reato. La presente norma non è applicabile ad un rifiuto o ad un ritardo contrario al proprio dovere nell’esercizio dell’ufficio.

(3)   L’obbligo di risarcimento non sussiste se il soggetto leso abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare il danno avvalendosi di un mezzo d’impugnazione».

10

L’art. 852 del BGB prevedeva:

«(1)   Il diritto al risarcimento del danno derivante da un atto illecito si prescrive in tre anni dal momento in cui il soggetto leso viene a conoscenza del danno e dell’identità della persona obbligata al risarcimento; in trent’anni dalla commissione dell’atto, indipendentemente dalla suddetta conoscenza.

(2)   Ove siano in corso trattative circa il risarcimento del danno da corrispondere fra l’obbligato al risarcimento e l’avente diritto allo stesso, la prescrizione è sospesa fino a quando una delle due parti non si rifiuti di continuare le trattative.

(3)   Qualora l’obbligato al risarcimento abbia ottenuto un beneficio mediante l’atto illecito a spese del soggetto leso, egli è tenuto alla restituzione anche dopo il decorso della prescrizione in base alle disposizioni sulla restituzione dell’indebito».

Causa principale e questioni pregiudiziali

11

La Danske Slagterier, un’associazione di categoria di imprese danesi di macelli, organizzate in cooperative, e di allevatori di suini, che agisce sulla base del diritto ad essa delegato dai propri membri, chiede alla Repubblica federale di Germania il risarcimento dei danni dovuti per una violazione del diritto comunitario. Detta associazione addebita allo Stato in parola di avere, in violazione del diritto comunitario, imposto dal 1993 al 1999 un divieto all’importazione di carni di suini maschi non castrati. A suo parere siffatto divieto avrebbe causato agli allevatori di suini e ai macelli, nel corso del periodo menzionato, un danno pari ad almeno DEM 280 milioni.

12

All’inizio degli anni ’90 è stato lanciato in Danimarca un progetto chiamato «Male-Pig-Projekt», diretto all’allevamento di suini maschi non castrati. Orbene, detto tipo di allevamento, interessante da un punto di vista economico, presenta il rischio che la carne, dopo essere stata riscaldata, emani un intenso odore sessuale. Secondo alcuni ricercatori danesi si può constatare detta intensità olfattiva già nel corso dell’operazione di macellazione, misurando il tenore di scatolo. Per tale ragione, in Danimarca, tutte le linee di macellazione sono state equipaggiate di strumenti di misurazione dello scatolo, al fine di consentire di individuare e scartare la carne che presentasse l’odore in questione. All’epoca la Repubblica federale di Germania ha ciò nondimeno ritenuto che detta intensità olfattiva fosse dovuta all’ormone androstenone, la cui formazione può essere evitata tramite la castrazione in una fase precedente, e che il tenore di scatolo, considerato isolatamente, non potesse costituire di per sé un metodo affidabile per identificare l’odore sessuale.

13

Nel gennaio 1993 la Repubblica federale di Germania ha informato le massime autorità veterinarie degli Stati membri che la norma di cui all’art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 64/433 era stata trasposta nel diritto nazionale in modo da fissare un valore di μg/g 0,5 di androstenone, indipendentemente dal limite di peso. Qualora, infatti, detto valore fosse superato, la carne presenterebbe un intenso odore sessuale e pertanto sarebbe inidonea al consumo umano. Con ciò essa sottolineava che solo il test immuno-enzimatico modificato del prof. Claus era riconosciuto come metodo specifico che permette di evidenziare l’androstenone, e che le carni di suini maschi non castrati, che superassero tale valore limite, non potevano essere importate in Germania quali carni fresche.

14

Numerosi lotti di carni suine provenienti dalla Danimarca sono quindi stati esaminati dalle autorità tedesche e respinti a causa del superamento del valore limite di androstenone. Peraltro, gli allevatori di suini e le imprese di macelli che avevano praticamente interrotto la produzione di suini maschi castrati hanno dovuto riavviarla per non compromettere le esportazioni verso la Germania. La Danske Slagterier fa valere che, se le carni di suini esportate fossero provenute, come previsto dal Male-Pig-Projekt, da suini non castrati, sarebbe stato possibile realizzare un risparmio in termini di costi di almeno DEM 280 milioni.

15

Il Landgericht Bonn (Tribunale di Bonn), investito dalla Danske Slagterier, il 6 dicembre 1999, di un’azione di responsabilità civile nei confronti della Repubblica federale di Germania, ha ritenuto tale azione fondata per il periodo a partire dal , respingendola in quanto prescritta nella parte relativa alle richieste di risarcimento dei danni sorte anteriormente a detta data. L’Oberlandesgericht Köln (Corte d’appello di Colonia), adito in appello, ha dichiarato complessivamente giustificata nel merito la domanda. Con un ricorso per cassazione («Revision») dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione tedesca), la Repubblica federale di Germania vuole ottenere il rigetto integrale della domanda.

16

La Corte, peraltro, con la sentenza 12 novembre 1998, causa C-102/96, Commissione/Germania (Racc. pag. I-6871), ha dichiarato che la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), della direttiva 64/433, nonché ai sensi degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662, da un lato, avendo imposto l’obbligo di marchiare e sottoporre a trattamento termico le carcasse di suini maschi non castrati quando le carni, indipendentemente dal peso degli animali, presentino una concentrazione di androstenone superiore a μg/g 0,5, individuata mediante il test immuno-enzimatico modificato del prof. Claus, e, dall’altro, avendo considerato che, in caso di superamento del limite di μg/g 0,5 di androstenone, le carni presentino un intenso odore sessuale, il che ha come conseguenza di renderle inidonee al consumo umano.

17

In tale contesto il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), (…) sub iii), della direttiva [64/433] e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 (…) conferiscano ai produttori e ai commercianti di carni suine una posizione giuridica che, in caso di errori di trasposizione o di applicazione, possa far sorgere un diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato.

2)

Se i produttori e commercianti di carni suine possano, a prescindere dalla risposta alla prima questione, lamentare la violazione dell’art. 30 del Trattato CE [divenuto art. 28 CE] per motivare un diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato in caso di trasposizione e applicazione della suddetta direttiva contrarie al diritto comunitario.

3)

Se il diritto comunitario imponga che la prescrizione del diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato venga interrotta in seguito a un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE o se, comunque, venga sospesa fino alla conclusione di tale procedimento, quando manchi un rimedio giuridico interno efficace per costringere lo Stato membro a trasporre una direttiva.

4)

Se il termine di prescrizione per un diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato che si basi sulla carente trasposizione di una direttiva e su un conseguente divieto (di fatto) di importazione, cominci a decorrere, a prescindere dal diritto nazionale applicabile, solo a partire dalla completa trasposizione della direttiva, oppure se il termine di prescrizione possa cominciare a decorrere, conformemente al diritto nazionale, già dal momento in cui si sono prodotti i primi effetti lesivi e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa trasposizione di una direttiva dovesse incidere sull’inizio del termine di prescrizione, se ciò valga in generale o soltanto nei limiti in cui la direttiva conferisca un diritto ai soggetti dell’ordinamento.

5)

Se, considerato che gli Stati membri non devono stabilire condizioni per fare valere il diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento del danno da parte dello Stato più sfavorevoli rispetto ad altre azioni del medesimo genere che coinvolgono solo il diritto interno e che l’attribuzione di un risarcimento non deve essere resa di fatto impossibile o oltremodo difficile, sussistano obiezioni di principio nei confronti di una normativa nazionale ai sensi della quale l’obbligo di risarcimento non sorge quando la persona lesa ha dolosamente o colposamente omesso di far ricorso alle vie giudiziarie per evitare il danno. Se parimenti sussistano obiezioni nei confronti di questa “priorità di tutela del diritto primario”, qualora essa sia sottoposta alla condizione di dovere essere ragionevolmente esigibile dall’interessato. Se sia irragionevole esigerla già ai sensi del diritto comunitario, qualora il giudice adito non possa presumibilmente risolvere le questioni controverse di diritto comunitario senza un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (…), o qualora sia già pendente un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima e seconda questione

18

Con le prime due questioni, che vanno trattate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il combinato disposto degli artt. 5, n. 1, lett. o), e 6, n. 1, lett. b), sub iii), della direttiva 64/433 e degli artt. 5, n. 1, 7 e 8 della direttiva 89/662 conferiscano ai produttori e ai commercianti di carni suine, qualora dette direttive non siano correttamente trasposte o applicate, una posizione giuridica tale da far sorgere un diritto, fondato sull’ordinamento comunitario, ad un risarcimento da parte dello Stato per violazione del diritto comunitario e se, in siffatte circostanze, possano far valere una violazione dell’art. 28 CE per motivare il diritto a un risarcimento, stante la menzionata responsabilità dello Stato.

19

In proposito occorre preliminarmente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai soggetti dell’ordinamento da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato CE (sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a., Racc. pag. I-5357, punto 35; , cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 31; , causa C-5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. I-2553, punto 24, nonché , cause riunite C-178/94, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94, Dillenkofer e a., Racc. pag. I-4845, punto 20).

20

La Corte ha dichiarato che ai soggetti lesi è riconosciuto un diritto al risarcimento purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica comunitaria violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subito dai soggetti lesi (v. citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 51; Hedley Lomas, punto 25, nonché Dillenkofer e a., punto 21).

21

Per quanto riguarda la prima condizione, la Corte ha avuto occasione di esaminare la responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario nei casi di mancata trasposizione di direttive tendenti a realizzare il mercato interno (v., in particolare, citate sentenze Francovich e a. nonché Dillenkofer e a.). Tuttavia, a differenza delle controversie all’origine delle due menzionate sentenze, ove solamente il diritto derivato aveva creato un contesto giuridico che conferiva diritti ai soggetti, la causa principale tratta di una situazione in cui una delle parti della causa principale, ossia la Danske Slagterier, afferma che l’art. 28 CE le attribuirebbe già i diritti che essa invoca.

22

A tal proposito occorre ricordare che è pacifico che l’art. 28 CE ha efficacia diretta, nel senso che conferisce ai soggetti diritti che gli stessi possono direttamente far valere davanti ai giudici nazionali e che la violazione di dette norme può dar luogo a risarcimento (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 23).

23

La Danske Slagterier si avvale altresì delle disposizioni delle direttive 64/433 e 89/662. Come risulta dal tenore del titolo e dal primo ‘considerando’ della direttiva 89/662, quest’ultima è stata adottata nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, proprio come la direttiva 91/497, che modifica la direttiva 64/433, così come precisa il terzo ‘considerando’ della stessa. La libera circolazione delle merci è quindi uno degli obiettivi delle direttive in parola che, attraverso l’eliminazione delle disparità esistenti fra gli Stati membri in materia di prescrizioni sanitarie per le carni fresche, sono dirette a favorire gli scambi intracomunitari. Il diritto conferito dall’art. 28 CE viene dunque precisato e concretizzato dalle direttive di cui trattasi.

24

Relativamente al contenuto delle direttive 64/433 e 89/662, si deve rilevare che esse disciplinano, in particolare, i controlli sanitari e la certificazione delle carni fresche prodotte in uno Stato membro e consegnate in un altro. Come risulta, segnatamente, dall’art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 89/662, gli Stati membri possono opporsi alle importazioni di carni fresche solamente quando la merce non soddisfa le condizioni previste dalle direttive comunitarie o in talune circostanze molto particolari, come in caso di epidemie. Il divieto per gli Stati membri d’impedire l’importazione conferisce ai soggetti il diritto di commercializzare la carne fresca conforme alle prescrizioni comunitarie in un altro Stato membro.

25

Peraltro, dal combinato disposto delle direttive 64/433 e 89/662 emerge che le misure dirette ad individuare un intenso odore sessuale di suino maschio non castrato sono state oggetto di armonizzazione comunitaria (sentenza Commissione/Germania, cit., punto 29). Detta armonizzazione vieta pertanto agli Stati membri, nell’ambito tassativamente armonizzato, di giustificare l’ostacolo alla libera circolazione delle merci per ragioni diverse da quelle previste dalle direttive 64/433 e 89/662.

26

Di conseguenza, si devono risolvere le prime due questioni dichiarando che i soggetti lesi dalla trasposizione e dall’applicazione carenti delle direttive 64/433 e 89/662 possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.

Sulla terza questione

27

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario imponga che, quando la Commissione delle Comunità europee avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento, quando nello Stato interessato non esistono rimedi giuridici efficaci che consentano di esigere da quest’ultimo la trasposizione di una direttiva.

28

Una cronologia dei fatti della causa principale consente di chiarire detta questione. Dalla decisione di rinvio risulta infatti che il procedimento per inadempimento nei confronti della Repubblica federale di Germania, all’origine della citata sentenza Commissione/Germania, è stato avviato il 27 marzo 1996. I primi effetti dannosi sono stati subiti dai soggetti lesi a partire dal 1993, ma è solamente nel dicembre 1999 che questi ultimi hanno proposto ricorso per far valere la responsabilità dello Stato. Se, come prospettato dal giudice del rinvio, si applicasse il termine di prescrizione di tre anni di cui all’art. 852, n. 1, del BGB, il decorso di detto termine inizierebbe dalla metà del 1996, data in cui, secondo tale giudice, i soggetti lesi hanno avuto conoscenza del danno e dell’identità della persona su cui gravava la responsabilità. Pertanto, nella causa principale, il diritto al risarcimento nei confronti dello Stato sarebbe prescritto. Alla luce di ciò, è rilevante per la soluzione della controversia accertare se il deposito di un ricorso per inadempimento da parte della Commissione abbia avuto effetti sul termine di prescrizione in parola.

29

Tuttavia, per poter fornire una risposta utile al giudice a quo occorre verificare, in via preliminare, la questione implicitamente sollevata da quest’ultimo, ossia se il diritto comunitario osti all’applicazione per analogia del termine di prescrizione di tre anni di cui all’art. 852, n. 1, del BGB nella causa principale.

30

Relativamente all’applicazione dell’art. 852, n. 1, del BGB, la Danske Slagterier ha, infatti, lamentato una mancanza di chiarezza dell’ordinamento giuridico tedesco quanto alla norma nazionale sulla prescrizione applicabile al diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, dato che detta questione non è ancora stata oggetto di misure legislative né di decisioni delle corti supreme e che la dottrina è parimenti divisa su tale argomento, essendo ipotizzabili vari fondamenti giuridici. L’applicazione, per la prima volta e per analogia, del termine ex art. 852 del BGB ai ricorsi per far valere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario costituirebbe una violazione dei principi di certezza e chiarezza del diritto, così come dei principi di effettività e di equivalenza.

31

In proposito si deve rilevare che, secondo costante giurisprudenza, in mancanza di una normativa comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico nazionale di ogni Stato membro designare i giudici competenti e disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti alle persone dal diritto comunitario. È quindi nell’ambito del diritto nazionale in tema di responsabilità che allo Stato incombe porre rimedio alle conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni, segnatamente quanto ai termini, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano azioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettività) (v., in particolare, sentenze Francovich e a., cit., punti 42 e 43, nonché 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, Racc. pag. I-4025, punto 27).

32

Per quanto concerne quest’ultimo principio, la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione interessata (v. sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96, Aprile, Racc. pag. I-7141, punto 19 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario. A tal proposito appare ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale (v., in particolare, sentenze Aprile, cit., punto 19, nonché , causa C-62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I-6325, punto 35).

33

Ciò posto, dal punto 39 della menzionata sentenza Marks & Spencer risulta parimenti che un termine di prescrizione, per adempiere la sua funzione di garantire la certezza del diritto, dev’essere stabilito previamente. Orbene, una situazione caratterizzata da un’incertezza normativa significativa può costituire una violazione del principio di effettività, poiché il risarcimento dei danni causati alle persone da violazioni del diritto comunitario imputabili ad un Stato membro potrebbe essere reso eccessivamente gravoso nella pratica, se detti soggetti non potessero determinare il termine di prescrizione applicabile con un ragionevole grado di certezza.

34

Spetta al giudice nazionale, tenuto conto del complesso degli elementi che caratterizzano la situazione di fatto e di diritto all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, verificare, alla luce del principio d’effettività, se l’applicazione per analogia del termine ex art. 852, n. 1, del BGB alle domande di risarcimento dei danni provocati a seguito della violazione del diritto comunitario da parte dello Stato membro interessato fosse sufficientemente prevedibile dai soggetti.

35

Peraltro, relativamente alla compatibilità dell’applicazione per analogia del termine in parola con il principio di equivalenza, spetta parimenti al giudice nazionale accertare se, considerata siffatta applicazione, le condizioni per il risarcimento dei danni causati ai soggetti dalla violazione del diritto comunitario da parte di detto Stato membro non siano state meno favorevoli rispetto a quelle applicabili al risarcimento di danni analoghi di natura interna.

36

Quanto all’interruzione o sospensione del termine di prescrizione in occasione della presentazione di un ricorso per inadempimento, dalle considerazioni che precedono risulta che spetta agli Stati membri disciplinare detto tipo di modalità procedurali, purché siano osservati i principi di equivalenza e di effettività.

37

Al riguardo va rilevato che non si può subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile allo Stato (v. citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punti 94-96, e Dillenkofer e a., punto 28).

38

Infatti, la constatazione dell’inadempimento è certo un elemento significativo, ma non indispensabile per verificare che sia soddisfatta la condizione secondo cui la violazione del diritto comunitario dev’essere sufficientemente qualificata. Inoltre, i diritti conferiti ai soggetti non possono dipendere dalla valutazione della Commissione in ordine all’opportunità di avviare un procedimento ex art. 226 CE nei confronti di uno Stato membro, né dalle eventuali sanzioni della Corte che dichiari l’inadempimento (v. sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punti 93 e 95).

39

Un soggetto può quindi presentare una domanda di risarcimento osservando le modalità previste a tal fine dal diritto nazionale senza dover attendere la pronuncia di una sentenza che dichiari la violazione del diritto comunitario da parte dello Stato membro. Di conseguenza, la circostanza che un ricorso per inadempimento non abbia l’effetto di interrompere o sospendere il termine di prescrizione non rende impossibile o eccessivamente difficile, per il soggetto, esercitare i diritti conferitigli dal diritto comunitario.

40

La Danske Slagterier, peraltro, fa valere una violazione del principio di equivalenza, in quanto il diritto tedesco prevede l’interruzione del termine di prescrizione qualora venga azionato in parallelo un rimedio giuridico nazionale conformemente all’art. 839 del BGB; ebbene, un ricorso ex art. 226 CE dev’essere assimilato a siffatto genere di rimedio giuridico.

41

In proposito occorre rilevare che, al fine di una pronuncia sull’equivalenza delle norme procedurali, si deve accertare in modo oggettivo ed astratto l’analogia delle norme di cui trattasi in considerazione della loro rilevanza nel procedimento complessivamente inteso, dello svolgimento del procedimento medesimo e delle specificità di tali norme (v., in tal senso, sentenza 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a., Racc. pag. I-3201, punto 63).

42

Nella valutazione dell’analogia delle norme in parola occorre tenere conto delle particolarità della procedura ex art. 226 CE.

43

A tale riguardo va ricordato che, nell’esercizio delle competenze di cui è investita in forza dell’art. 226 CE, la Commissione non è tenuta a dimostrare il proprio interesse ad agire (v. sentenze 4 aprile 1974, causa 167/73, Commissione/Francia, Racc. pag. 359, punto 15, e , cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3609, punto 29). La Commissione, infatti, ha il compito di vigilare d’ufficio e nell’interesse generale sull’applicazione, da parte degli Stati membri, del diritto comunitario e di far dichiarare l’esistenza di eventuali inadempimenti degli obblighi che ne derivano, allo scopo di farli cessare (v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 15, e , Commissione/Germania, punto 29).

44

L’art. 226 CE non è dunque inteso a tutelare i diritti propri della detta istituzione. Spetta soltanto ad essa decidere se sia opportuno iniziare un procedimento per la dichiarazione di un inadempimento e, se del caso, per quale comportamento od omissione tale procedimento debba essere intrapreso (sentenza 2 giugno 2005, causa C-394/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-4713, punto 16 e giurisprudenza ivi citata). In proposito la Commissione dispone quindi di un potere discrezionale, che esclude il diritto dei soggetti di esigere dalla stessa istituzione di decidere in un senso determinato (v. sentenza , causa 247/87, Star Fruit/Commissione, Racc. pag. 291, punto 11).

45

Occorre, pertanto, constatare che il principio di equivalenza è rispettato da una normativa nazionale che non prevede l’interruzione o la sospensione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario quando la Commissione abbia avviato un procedimento ex art. 226 CE.

46

Alla luce di tutte le considerazioni precedenti si deve pertanto risolvere la terza questione dichiarando che il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento.

Sulla quarta questione

47

Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede se il termine di prescrizione di un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere, a prescindere dal diritto nazionale applicabile, unicamente a partire dalla completa trasposizione di tale direttiva, o se il termine in parola cominci a decorrere, conformemente al diritto nazionale, dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri. Qualora la completa trasposizione incida sul decorso del termine di prescrizione di cui trattasi, il giudice a quo chiede se ciò valga in generale o soltanto quando la direttiva attribuisca un diritto ai soggetti dell’ordinamento.

48

In proposito giova ricordare che, come menzionato ai punti 31 e 32 della presente sentenza, in mancanza di una normativa comunitaria, spetta agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti ai soggetti dal diritto comunitario, norme sulla prescrizione incluse, purché tali modalità rispettino i principi di equivalenza e di effettività. Occorre inoltre ricordare che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli, a pena di decadenza, rispetta siffatti principi e, in particolare, non si può ritenere che renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario.

49

Nemmeno la circostanza che il termine di prescrizione previsto dal diritto nazionale inizi a decorrere dal momento in cui si sono verificati i primi effetti lesivi, e che siano prevedibili ulteriori effetti analoghi, è tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario.

50

La sentenza 13 luglio 2006, cause riunite da C-295/04 a C-298/04, Manfredi e a. (Racc. pag. I-6619), cui fa riferimento la Danske Slagterier, non è tale da inficiare detta conclusione.

51

Ai punti 78 e 79 della citata sentenza, la Corte ha considerato che non è da escludersi che un termine di prescrizione breve per la proposizione di un ricorso per risarcimento danni, decorrente dal giorno in cui un’intesa o una pratica concordata è stata posta in essere, possa rendere praticamente impossibile l’esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno causato da tale intesa o pratica vietata. In caso di infrazioni continuate o ripetute, non è quindi impossibile che il termine di prescrizione si estingua addirittura prima che sia cessata l’infrazione e, in tal caso, chiunque abbia subìto danni dopo la scadenza del termine di prescrizione si troverebbe nell’impossibilità di presentare un ricorso.

52

Orbene, ciò non si verifica nella fattispecie della causa principale. Dalla decisione di rinvio, infatti, risulta che il termine di prescrizione di cui trattasi nella presente controversia non può cominciare a decorrere prima che il soggetto leso abbia avuto conoscenza del danno e dell’identità della persona tenuta al risarcimento. In siffatte circostanze è quindi impossibile che un soggetto che ha subìto un danno si trovi in una situazione nella quale il termine di prescrizione inizi a decorrere, e addirittura si estingua, senza che detto soggetto nemmeno sappia di essere stato leso, caso che invece si sarebbe potuto verificare nel contesto della controversia all’origine della citata sentenza Manfredi e a., ove il termine di prescrizione cominciava a decorrere dal momento in cui veniva posta in essere l’intesa o la pratica concordata, e di cui taluni interessati potevano avere conoscenza unicamente in un momento decisamente successivo.

53

Quanto alla possibilità di stabilire il momento iniziale del termine di prescrizione prima della completa trasposizione della direttiva in parola, è vero che, al punto 23 della sentenza 25 luglio 1991, causa C-208/90, Emmott (Racc. pag. I-4269), la Corte ha dichiarato che, al momento della trasposizione corretta della direttiva, lo Stato membro inadempiente non può eccepire la tardività di un’azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un soggetto al fine di tutelare i diritti che ad esso riconoscono le disposizioni della direttiva, e che un termine di ricorso di diritto nazionale può cominciare a decorrere solo da tale momento.

54

Tuttavia, come confermato dalla sentenza 6 dicembre 1994, causa C-410/92, Johnson (Racc. pag. I-5483, punto 26), dalla sentenza , causa C-338/91, Steenhorst-Neerings (Racc. pag. I-5475), deriva che la soluzione elaborata nella menzionata sentenza Emmott era giustificata dalle circostanze proprie di detta causa, dove la decadenza dai termini arrivava a privare totalmente la ricorrente nella causa principale della possibilità di far valere il suo diritto alla parità di trattamento in virtù di una direttiva comunitaria (v., altresì, sentenze , causa C-90/94, Haahr Petroleum, Racc. pag. I-4085, punto 52, e cause riunite C-114/95 e C-115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark, Racc. pag. I-4263, punto 48, nonché , cause riunite da C-279/96 a C-281/96, Ansaldo Energia e a., Racc. pag. I-5025, punto 20).

55

Orbene, nella causa principale, né dal fascicolo né dai dibattimenti nel corso della fase orale risulta che l’esistenza del termine controverso abbia condotto, come nella causa all’origine della citata sentenza Emmott, a privare totalmente i soggetti lesi della possibilità di far valere i loro diritti dinanzi ai giudici nazionali.

56

La quarta questione va pertanto risolta dichiarando che il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola.

57

Alla luce della risposta data alla prima parte della quarta questione, non è necessario risolvere la seconda parte della stessa.

Sulla quinta questione

58

Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto comunitario osti ad una disposizione come quella di cui all’art. 839, n. 3, del BGB, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione esperendo le azioni in giudizio a sua disposizione. Il giudice a quo precisa la sua questione, chiedendo se siffatta disciplina nazionale sia contraria al diritto comunitario nella misura in cui sia applicata a condizione che il ricorso a tale mezzo di tutela giuridica possa ritenersi ragionevolmente a disposizione dell’interessato. Il giudice del rinvio vorrebbe infine sapere se agire in giudizio possa considerarsi ragionevole qualora sia probabile che il giudice adito sollevi una questione pregiudiziale ex art. 234 CE, o qualora sia stato avviato un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE.

59

Come ricordato nell’ambito delle soluzioni alle due questioni precedenti, in mancanza di una normativa comunitaria in materia, spetta agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali delle azioni in giudizio dirette a garantire la tutela dei diritti conferiti ai soggetti dal diritto comunitario, purché tali modalità rispettino i principi di equivalenza e di effettività.

60

Relativamente all’impiego delle vie giudiziarie disponibili, la Corte ha dichiarato, al punto 84 della citata sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, per quanto riguarda la responsabilità di uno Stato membro per violazione del diritto comunitario, che il giudice nazionale poteva verificare se il soggetto leso avesse dato prova di una ragionevole diligenza per evitare il danno o limitarne l’entità e, in particolare, se esso avesse tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione.

61

Invero, in forza di un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, la persona lesa, per evitare di doversi accollare il danno, deve dimostrare di avere agito con ragionevole diligenza per limitarne l’entità (sentenze 19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-3061, punto 33, e Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 85).

62

Sarebbe tuttavia contrario al principio di effettività imporre ai soggetti lesi di esperire sistematicamente tutti i mezzi di tutela giudiziaria a loro disposizione, tenendo conto che ciò causerebbe difficoltà eccessive o non si potrebbe ragionevolmente esigerlo da loro.

63

Nella sua sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. (Racc. pag. I-1727, punto 106), la Corte ha infatti dichiarato che l’esercizio dei diritti che le norme del diritto comunitario direttamente applicabili conferiscono ai privati sarebbe reso impossibile o eccessivamente difficoltoso se le loro domande di risarcimento, fondate sulla violazione del diritto comunitario, dovessero essere respinte o ridotte per il solo motivo che i privati non abbiano richiesto di beneficiare del diritto ad essi conferito dalle norme comunitarie, e negato loro dalla legge nazionale, impugnando il rifiuto dello Stato membro con i mezzi di ricorso previsti a tale scopo, richiamandosi al primato e all’applicabilità diretta delle disposizioni del diritto comunitario. In tal caso non sarebbe stato ragionevole esigere dai soggetti lesi che azionassero i mezzi di ricorso a loro disposizione, dal momento che dette persone avrebbero dovuto effettuare in ogni caso anticipatamente il pagamento controverso e che, anche qualora il giudice nazionale avesse dichiarato il carattere anticipato di tale pagamento incompatibile con il diritto comunitario, i soggetti di cui trattasi non avrebbero potuto ottenere gli interessi dovuti su detto importo e si sarebbero esposti ad un’eventuale sanzione (v., in tal senso, sentenza Metallgesellschaft e a., cit., punto 104).

64

Di conseguenza si deve concludere che il diritto comunitario non osta all’applicazione di una disciplina nazionale quale quella ex art. 839, n. 3, del BGB, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l’utilizzo dell’azione in giudizio in parola. Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale, se tale caso si verifichi nella fattispecie.

65

Quanto alla possibilità che la via giudiziaria così intrapresa sia lo spunto per la proposizione di una domanda di pronuncia pregiudiziale e all’incidenza che ciò possa avere sulla ragionevolezza di detta via giudiziaria, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il procedimento ex art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti (v. sentenze 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871, punto 22, e , causa C-380/01, Schneider, Racc. pag. I-1389, punto 20). I chiarimenti così ottenuti dal giudice nazionale consentono quindi di agevolarlo nell’applicazione del diritto comunitario, cosicché l’utilizzo di tale strumento di cooperazione non contribuisce assolutamente a rendere eccessivamente difficile per il soggetto l’esercizio dei diritti attribuitigli dal diritto comunitario. Non sarebbe pertanto ragionevole non utilizzare un’azione in giudizio per il solo motivo che in seguito ad essa verrebbe probabilmente proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale.

66

Ne risulta che la forte probabilità che in seguito a un’azione in giudizio venga proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale non costituisce di per sé un motivo per concludere che l’utilizzo di detto mezzo non sia ragionevole.

67

Quanto alla ragionevolezza dell’obbligo di utilizzare i mezzi di ricorso disponibili quando un ricorso per inadempimento sia pendente dinanzi alla Corte, basti constatare che il procedimento ex art. 226 CE è assolutamente indipendente dai procedimenti nazionali e non li sostituisce. Come esposto relativamente alla soluzione della terza questione, un ricorso per inadempimento costituisce, infatti, un sindacato obiettivo di legittimità nell’interesse comune. Anche se il risultato di un ricorso del genere può essere funzionale agli interessi del soggetto, resta ciò nondimeno ragionevole che quest’ultimo cerchi di evitare la realizzazione del danno azionando tutti i mezzi a sua disposizione, ossia utilizzando le vie giudiziarie disponibili.

68

Da ciò deriva che l’esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte o la probabilità che la Corte sia investita di una domanda di pronuncia pregiudiziale non possono costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere nel senso dell’irragionevolezza del ricorso ad un mezzo di tutela per via giudiziaria.

69

Si deve pertanto risolvere la quinta questione dichiarando che il diritto comunitario non osta all’applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione esperendo le azioni in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l’utilizzo dell’azione in parola, il che spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale. La probabilità che il giudice nazionale proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l’esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole esperire un’azione in giudizio.

Sulle spese

70

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

1)

I soggetti lesi dalla trasposizione e dall’applicazione carenti delle direttive del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e l’immissione sul mercato di carni fresche, come modificata dalla direttiva del Consiglio , 91/497/CEE, e del Consiglio , 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.

 

2)

Il diritto comunitario non richiede che, quando la Commissione delle Comunità europee avvia un procedimento per inadempimento ex art. 226 CE, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti dello Stato che si sia reso responsabile di una violazione del diritto comunitario, previsto dalla normativa nazionale, sia interrotto o sospeso durante tale procedimento.

 

3)

Il diritto comunitario non osta a che il termine di prescrizione di un’azione di risarcimento nei confronti dello Stato, basata sulla carente trasposizione di una direttiva, inizi a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri, anche qualora tale data sia antecedente alla corretta trasposizione della direttiva in parola.

 

4)

Il diritto comunitario non osta all’applicazione di una disciplina nazionale, la quale prevede che un soggetto non possa ottenere il risarcimento del danno di cui abbia omesso, dolosamente o colposamente, di evitare la realizzazione esperendo le azioni in giudizio a sua disposizione, a condizione che si possa ragionevolmente esigere dal soggetto leso l’utilizzo dell’azione in parola, il che spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce del complesso delle circostanze della causa principale. La probabilità che il giudice nazionale proponga una domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 234 CE o l’esistenza di un ricorso per inadempimento pendente dinanzi alla Corte non possono costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere che non sia ragionevole esperire un’azione in giudizio.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.