Causa C‑280/06
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e altri
contro
Ente tabacchi italiani — ETI SpA e altri
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato)
«Concorrenza — Applicazione di sanzioni in caso di successione di imprese — Principio della responsabilità personale — Enti dipendenti dalla stessa autorità pubblica — Diritto nazionale che qualifica come fonte di interpretazione il diritto comunitario della concorrenza — Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte»
Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 3 luglio 2007
Sentenza della Corte (Grande Sezione) 11 dicembre 2007
Massime della sentenza
1. Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Limiti
(Art. 234 CE)
2. Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Imputazione
(Art. 81, n. 1, CE)
1. Non risulta né dal dettato dell’art. 234 CE né dalle finalità della procedura istituita da tale articolo che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su una norma comunitaria nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le regole da applicare ad una situazione puramente interna a tale Stato.
Infatti, quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che essa apporta a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto comunitario, esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto comunitario ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate.
(v. punti 21-22)
2. Qualora un ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento, violi le regole della concorrenza, è tenuto, secondo il principio della responsabilità personale, a rispondere di tale infrazione. Tuttavia, in determinate circostanze un ente che non è l’autore dell’infrazione può essere sanzionato per questa. Rientra in una tale ipotesi la situazione in cui l’ente che ha commesso un’infrazione ha cessato di esistere giuridicamente o economicamente. Inoltre, tenuto conto dello scopo di reprimere i comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive, qualora un ente che ha commesso l’infrazione sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità fra i due enti. Al riguardo sono irrilevanti le forme giuridiche rispettive dell’ente che ha commesso l’infrazione e del suo successore, nonché la circostanza che una cessione delle attività sia stata decisa non da singoli, bensì dal legislatore nella prospettiva di una privatizzazione.
Nel caso in cui le attività economiche di un ente sul mercato interessato da un’infrazione alle regole di concorrenza siano state proseguite da un altro ente, quest’ultimo può essere considerato, nell’ambito del procedimento relativo a tale infrazione, come il successore economico del primo ente, anche se questo continua ad esistere come operatore economico su altri mercati. In tale ipotesi, il fatto che il primo ente non disponga di personalità giuridica non è un elemento che può giustificare l’applicazione al suo successore della sanzione per l’infrazione che essa ha commesso, ma tale sanzione può giustificarsi per il fatto che i due enti dipendono dalla stessa autorità pubblica. Infatti, qualora due enti costituiscano una medesima entità economica, il fatto che l’ente che ha commesso l’infrazione esista ancora non impedisce, di per sé, che venga sanzionato l’ente a cui esso ha trasferito le sue attività economiche. In particolare, una tale configurazione della sanzione è ammissibile qualora tali enti siano stati sotto il controllo del medesimo soggetto e, considerati gli stretti legami che li uniscono sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali.
Ne consegue che, nel caso di enti dipendenti dalla stessa autorità pubblica, qualora una condotta costitutiva di una stessa infrazione alle regole della concorrenza sia stata commessa da un ente e successivamente proseguita fino alla sua fine da un altro ente succeduto al primo, il quale non ha cessato di esistere, tale secondo ente può essere sanzionato per l’infrazione nella sua interezza, se è provato che tali due enti sono stati sotto la tutela della citata autorità.
(v. punti 38-49, 52 e dispositivo)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
11 dicembre 2007 (*)
«Concorrenza – Applicazione di sanzioni in caso di successione di imprese – Principio della responsabilità personale – Enti dipendenti dalla stessa autorità pubblica – Diritto nazionale che qualifica come fonte di interpretazione il diritto comunitario della concorrenza – Questioni pregiudiziali – Competenza della Corte»
Nel procedimento C‑280/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Consiglio di Stato con ordinanza 8 novembre 2005, pervenuta in cancelleria il 27 giugno 2006, nelle cause
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
contro
Ente tabacchi italiani – ETI SpA,
Philip Morris Products SA,
Philip Morris Holland BV,
Philip Morris GmbH,
Philip Morris Products Inc.,
Philip Morris International Management SA,
e
Philip Morris Products SA,
Philip Morris Holland BV,
Philip Morris GmbH,
Philip Morris Products Inc.,
Philip Morris International Management SA
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
Ente Tabacchi Italiani – ETI SpA
e
Philip Morris Products SA,
Philip Morris Holland BV,
Philip Morris GmbH,
Philip Morris Products Inc.,
Philip Morris International Management SA
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato,
Ente tabacchi italiani – ETI SpA,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts, G. Arestis e U. Lõhmus, presidenti di sezione, dai sigg. E. Juhász, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), J. Klučka, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 15 maggio 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per l’Ente tabacchi italiani – ETI SpA, dagli avv.ti S. D’Alberti, A. Clarizia e L. D’Amario;
– per la Philip Morris Products SA, la Philip Morris Holland BV, la Philip Morris GmbH, la Philip Morris Products Inc. e la Philip Morris International Management SA, dagli avv.ti L. Di Via, C. Tesauro e P. Leone;
– per il governo italiano, dai sigg. I.M. Braguglia e F. Arena, in qualità di agenti, assistiti dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato;
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Castillo de la Torre e V. Di Bucci, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 luglio 2007,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 81 CE e segg. nonché dei principi generali del diritto comunitario.
2 Questa domanda è stata proposta nell’ambito di procedimenti tra l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: l’«Autorità»), l’Ente tabacchi italiani – ETI SpA, la Philip Morris Products SA, la Philip Morris Holland BV, la Philip Morris GmbH, la Philip Morris Products Inc. e la Philip Morris International Management SA (in prosieguo, le cinque società congiuntamente considerate: le «società del gruppo Philip Morris»), nonché l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (in prosieguo: l’«AAMS») in merito ad un’intesa sul prezzo di vendita delle sigarette.
Contesto normativo
3 In diritto italiano la legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato (GURI n. 240 del 13 ottobre 1990; in prosieguo: la «legge n. 287/90»), comprende in particolare, nel titolo I, le seguenti disposizioni:
«Art. 1.
(…)
1. Le disposizioni della presente legge in attuazione dell’articolo 41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica, si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione degli articoli 65 e/o 66 del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, degli articoli 85 e/o 86 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE), dei regolamenti della CEE o di atti comunitari con efficacia normativa equiparata.
(…)
4. L’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza.
Art. 2.
(…)
1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.
2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;
b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi.
3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto».
4 Il titolo II di tale legge riguarda l’Autorità, istituita dall’art. 10, comma 1. L’art. 15, comma 1, della medesima legge, contenuto nel citato titolo II, dispone quanto segue:
«Se (…) l’Autorità ravvisa infrazioni agli articoli 2 o 3, fissa alle imprese e agli enti interessati il termine per l’eliminazione delle infrazioni stesse. Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l’impresa deve procedere al pagamento della sanzione».
5 L’art. 31, riportato al titolo VI della legge n. 287/90, ha il seguente tenore:
«Per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II della legge 24 novembre 1981, n. 689».
6 L’8 dicembre 1927 veniva promulgato il regio decreto legge n. 2258, istitutivo dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (GURI n. 288 del 14 dicembre 1927). A tale organo dell’amministrazione dello Stato, che dipendeva dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è stata affidata, fino al mese di febbraio 1999, la gestione del monopolio del tabacco. In seguito, l’AAMS ha continuato a svolgere funzioni statali nel settore del tabacco. Essa esercita inoltre un’attività commerciale nel settore dei giochi, segnatamente in quello delle lotterie. L’AAMS è autonoma sia a livello della gestione amministrativa sia dal punto di vista finanziario e contabile, ma non dispone di personalità giuridica propria.
7 Dal 1° marzo 1999, tutte le attività di produzione e vendita nel settore dei tabacchi sino ad allora affidate all’AAMS venivano trasferite ad un altro ente pubblico istituito con decreto legge 9 luglio 1998, n. 283, recante «Istituzione dell’Ente tabacchi italiani» (GURI n. 190 del 17 agosto 1998, pag. 3; in prosieguo: il «decreto legge n. 283/98»). Tale ente riceveva le attività e le passività dell’AAMS relative ai settori di attività che gli erano stati affidati. Con delibera del suo consiglio di amministrazione 23 giugno 2000, esso veniva trasformato in società per azioni assumendo la denominazione di Ente tabacchi italiani – ETI SpA (in prosieguo: l’«ETI»). Il capitale di questa società era inizialmente detenuto al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. In seguito ad una gara indetta nel 2003 da tale Ministero, l’ETI veniva privatizzata ed il suo controllo esclusivo era assunto dalla British American Tobacco plc (in prosieguo: la «BAT»), società holding di diritto inglese del gruppo BAT‑British American Tabacco.
Cause principali e questioni pregiudiziali
8 In esito ad un’istruttoria avviata durante il mese di giugno 2001, l’Autorità constatava, con provvedimento 13 marzo 2003, che le società del gruppo Philip Morris, congiuntamente all’AAMS, divenuta poi l’Ente tabacchi italiani e, infine, l’ETI, avevano concluso e attuato un’intesa avente ad oggetto ed effetto un’alterazione della concorrenza sul prezzo di vendita delle sigarette nel mercato nazionale dal 1993 al 2001, in violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) e b), della legge n. 287/90. Essa applicava di conseguenza alle suddette società sanzioni pecuniarie amministrative di importo pari a EUR 50 milioni complessivi, per quanto riguarda le società del gruppo Philip Morris, e pari a EUR 20 milioni per quanto riguarda l’ETI.
9 Nel suo provvedimento, l’Autorità imputava all’ETI la condotta posta in essere dall’AAMS anteriormente al 1° marzo 1999, in quanto quest’ultima, una volta operativo l’Ente tabacchi italiani, divenuto poi l’ETI, aveva cessato lo svolgimento delle attività di produzione e vendita nel settore del tabacco. Ciò premesso, anche tenendo conto del fatto che l’AAMS non ha cessato di esistere, l’ETI, in applicazione del criterio della continuità economica, sarebbe il successore dell’AAMS.
10 Tale provvedimento veniva impugnato da tutte le imprese interessate dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Quest’ultimo respingeva il ricorso delle società del gruppo Philip Morris e accoglieva parzialmente il ricorso dell’ETI, annullando il provvedimento nella parte in cui questo imputava all’ETI la responsabilità di fatti commessi dall’AAMS. Il citato Tribunale fondava la sua valutazione sul criterio della responsabilità personale.
11 Adito in appello avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il Consiglio di Stato, con una prima sentenza 8 novembre 2005, ha respinto i ricorsi dell’ETI e delle società del gruppo Philip Morris nella parte in cui contestavano l’esistenza della violazione delle regole della concorrenza. Riguardo alla questione dell’imputazione all’ETI della condotta dell’AAMS, il Consiglio di Stato osserva, nella decisione di rinvio, che il trasferimento delle attività dell’AAMS all’Ente tabacchi italiani ha segnato una netta discontinuità rispetto al modello organizzativo e gestionale precedente. Tale modello, prima che le attività in questione fossero trasferite all’Ente tabacchi italiani, diventato ETI, era connotato dall’ascrizione in capo all’AAMS, nella sua veste di amministrazione autonoma dello Stato, di una concentrazione di compiti economici e di funzioni amministrative di stampo pubblicistico tali da creare una dipendenza dal potere politico. Tale connessione non sarebbe più riprodotta in capo al nuovo ente, le cui attività sono esclusivamente di natura imprenditoriale. Peraltro, il giudice del rinvio rileva che l’AAMS, pur non svolgendo più alcuna attività commerciale nel settore del tabacco, continua a svolgere un’attività economica sottoposta al diritto della concorrenza. Secondo il Consiglio di Stato, tali peculiarità depongono in senso contrario all’applicazione del criterio della continuità economica.
12 Il Consiglio di Stato nondimeno ha ritenuto opportuno interrogare la Corte in merito ai criteri da applicare nel diritto comunitario della concorrenza, al quale rinvia l’art. 1, comma 4, della legge n. 287/90. Esso ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) [Q]uale sia, ai sensi degli artt. 81 e seguenti [CE] e dei principi generali del diritto comunitario, il criterio da seguire nell’individuazione dell’impresa da sottoporre a sanzione per violazione delle norme in tema di concorrenza nel caso in cui, nell’ambito di una condotta unitariamente sanzionata, la parte finale del comportamento sia stata tenuta da una impresa succeduta nel settore economico di riferimento all’impresa originaria, qualora l’ente originario, pur non essendo estinto, non operi più, quanto meno nel settore economico interessato dall’intervento sanzionatorio, come impresa commerciale.
2) [S]e, in sede di individuazione del soggetto sanzionabile, residui in capo all’Autorità amministrativa competente nell’applicazione della normativa antitrust il compito di valutare discrezionalmente la ricorrenza di circostanze che giustifichino l’imputazione al successore economico della responsabilità per violazioni concorrenziali commesse dalla persona giuridica cui subentra, anche quando quest’ultima non abbia cessato di esistere alla data della decisione, affinché l’effetto utile delle norme sulla concorrenza non risulti pregiudicato dalle modificazioni apportate alla figura giuridica delle imprese».
Sulla competenza della Corte
13 Poiché la Commissione delle Comunità europee ha espresso dubbi in merito alla competenza della Corte, occorre anzitutto esaminare tali dubbi.
Osservazioni presentate alla Corte
14 La Commissione sostiene che le cause principali attengono alla validità di una decisione di un’autorità nazionale della concorrenza che, prima dell’entrata in vigore del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1), ha applicato esclusivamente le disposizioni nazionali che vietano le intese, e non l’art. 81 CE.
15 Essa ritiene che l’art. 1, comma 4, della legge n. 287/90, ai sensi del quale l’interpretazione delle norme contenute nel titolo I è effettuata in base ai principi del diritto comunitario della concorrenza, sia privo di rilevanza a tale riguardo. Infatti, nelle cause principali, si tratterebbe di determinare quali sono «le imprese e gli enti interessati» ai sensi dell’art. 15 di tale legge nonché il regime delle sanzioni amministrative come previsto dall’art. 31 della stessa, articoli che fanno parte, rispettivamente, dei titoli II e VI. Il citato art. 1, comma 4, potrebbe essere preso in considerazione se si trattasse di interpretare la nozione di impresa, che è comune agli artt. 81 CE e 2 della legge n. 287/90, ma non per determinare quali sono le imprese da sanzionare.
16 La Commissione aggiunge che, anche ammettendo che il rinvio da parte della legge n. 287/90 ai principi del diritto comunitario si applichi nelle cause principali, la giurisprudenza della Corte condurrebbe nondimeno a concludere che le questioni pregiudiziali sono irricevibili. A tale riguardo, la Commissione cita la sentenza 28 marzo 1995, causa C‑346/93, Kleinwort Benson (Racc. pag. I‑615), ed evidenzia che la citata legge non precisa che i giudici nazionali sono tenuti ad applicare, in modo assoluto e incondizionato, le interpretazioni adottate dalla Corte.
17 Su quest’ultimo punto, la Commissione fa notare che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha fondato la sua sentenza sulle disposizioni italiane in materia di sanzioni amministrative, alle quali rinvia l’art. 31 della legge n. 287/90. Allo stesso modo, il Consiglio di Stato menzionerebbe argomenti che l’Autorità desume dal diritto italiano in materia di responsabilità. Ciò dimostrerebbe che, per i giudici e i giuristi italiani, il diritto comunitario costituisce soltanto un elemento tra gli altri ai fini dell’interpretazione delle disposizioni nazionali applicabili.
18 L’ETI e le società del gruppo Philip Morris ritengono al contrario che la Corte sia competente a conoscere del rinvio pregiudiziale. Senza prendere posizione sulla competenza della Corte, il governo italiano evidenzia che una risposta di quest’ultima sarebbe utile per il Consiglio di Stato, tenuto conto del rinvio al diritto comunitario di cui all’art. 1, comma 4, della legge n. 287/90.
Giudizio della Corte
19 L’art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione giudiziaria, grazie al quale la Corte fornisce ai giudici nazionali gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario che possono essere loro utili per valutare gli effetti di una disposizione di diritto nazionale controversa nell’ambito della causa sulla quale essi sono chiamati a pronunciarsi (sentenze 15 maggio 2003, causa C‑300/01, Salzmann, Racc. pag. I‑4899, punto 28 e giurisprudenza ivi citata, nonché 4 dicembre 2003, causa C‑448/01, EVN e Wienstrom, Racc. pag. I‑14527, punto 77).
20 Quando la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (sentenze Salzmann, cit., punto 29, e 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43).
21 Adita con domande di tale natura, in cui le regole comunitarie di cui era stata richiesta l’interpretazione erano applicabili solo mediante un rinvio operato dal diritto interno, la Corte ha giudicato in maniera costante che, quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che essa apporta a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto comunitario, esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto comunitario ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (v., in tal senso, in particolare, sentenze 18 ottobre 1990, cause riunite C‑297/88 e C‑197/89, Dzodzi, Racc. pag. I‑3763, punto 37; 17 luglio 1997, causa C‑28/95, Leur-Bloem, Racc. pag. I‑4161, punto 32; 11 gennaio 2001, causa C‑1/99, Kofisa Italia, Racc. pag. I‑207, punto 32; 29 aprile 2004, causa C‑222/01, British American Tobacco, Racc. pag. I‑4683, punto 40, e 16 marzo 2006, causa C‑3/04, Poseidon Chartering, Racc. pag. I‑2505, punto 16).
22 Infatti, non risulta né dal dettato dell’art. 234 CE né dalle finalità della procedura, istituita da tale articolo, che gli autori del Trattato CE abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su una norma comunitaria nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le regole da applicare ad una situazione puramente interna a tale Stato (sentenze Dzodzi, cit., punto 36; Leur-Bloem, cit., punto 25, e 14 dicembre 2006, causa C‑217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio, Racc. pag. I‑11987, punto 19).
23 Riguardo all’applicazione della summenzionata giurisprudenza alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale, è giocoforza constatare che le disposizioni del titolo I della legge n. 287/90 si conformano, per le soluzioni che apportano a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto comunitario.
24 Infatti, l’art. 1, comma 4, di tale legge dispone che l’interpretazione delle disposizioni del suo titolo I si effettua sulla base dei principi del diritto comunitario della concorrenza. Gli artt. 2 e 3 della citata legge, che fanno parte dello stesso titolo, riprendono mutatis mutandis la formulazione degli artt. 81 CE e 82 CE.
25 Inoltre, né la formulazione dell’art. 1, comma 4, della legge n. 287/90, né la decisione di rinvio, né gli altri documenti del fascicolo sottoposti alla Corte fanno pensare che il rinvio al diritto comunitario che contiene tale disposizione sia sottoposto a una qualunque condizione.
26 Pertanto, conformemente alla sopra citata giurisprudenza, esiste un interesse comunitario certo a che le regole del diritto comunitario, qualora appaiano dubbi nell’ambito dell’applicazione del rinvio operato dal diritto interno, possano ricevere un’interpretazione uniforme mediante sentenze rese dalla Corte su domanda di pronuncia pregiudiziale.
27 Quanto all’argomento della Commissione secondo cui le cause principali rientrano esclusivamente nell’ambito dei titoli II e VI della legge n. 287/90, di modo che l’art. 1, comma 4, di tale legge, il quale fa parte del suo titolo I, non sarebbe rilevante, è giocoforza constatare che tale valutazione non è condivisa dal Consiglio di Stato, il quale ha espressamente motivato il rinvio pregiudiziale facendo riferimento al citato art. 1, comma 4. A tale riguardo, occorre ricordare che non spetta alla Corte giudicare l’esattezza del quadro normativo che il giudice nazionale definisce su sua propria responsabilità (v., in tal senso, sentenze Salzmann, cit., punto 31; 1° dicembre 2005, causa C‑213/04, Burtscher, Racc. pag. I‑10309, punto 35, nonché 7 giugno 2007, cause riunite da C‑222/05 a C‑225/05, van der Weerd e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).
28 Riguardo, infine, all’argomento della Commissione secondo cui il diritto comunitario è solo uno degli elementi da considerare per l’interpretazione delle disposizioni del titolo I della legge n. 287/90 e secondo cui i giudici italiani non sono obbligati ad applicare, in modo assoluto e incondizionato, le interpretazioni fornite dalla Corte, è sufficiente constatare che l’Autorità e il Tribunale amministrativo regionale del Lazio hanno fondato il loro provvedimento e la sentenza sulla normativa e sulla giurisprudenza comunitaria, e che il Consiglio di Stato ha motivato il suo rinvio pregiudiziale con la considerazione che questo è necessario per conoscere il criterio da prendere in considerazione conformemente ai principi del diritto comunitario della concorrenza a cui rinvia l’art. 1, comma 4, della legge n. 287/90.
29 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte è competente a conoscere della domanda di pronuncia pregiudiziale.
Sulle questioni pregiudiziali
30 Mediante le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, quali sono, in virtù degli artt. 81 CE e segg. nonché, eventualmente, di ogni altra regola rilevante del diritto comunitario, i criteri che occorre applicare per determinare l’impresa da sanzionare per violazione delle regole della concorrenza in caso di successione di imprese, in particolare qualora la parte finale di una violazione di tal genere sia stata attuata dal successore economico dell’ente che ha commesso tale infrazione e qualora quest’ultimo ente, benché non abbia più operato nel settore economico interessato dalla sanzione, non abbia cessato di esistere.
Osservazioni presentate alla Corte
31 Secondo l’ETI, il criterio rilevante è quello della responsabilità personale. Sarebbe possibile derogare a tale criterio solo in casi eccezionali, per proteggere l’effetto utile delle regole di concorrenza. In casi di tal genere, la responsabilità dell’infrazione potrebbe essere imputata ad una persona diversa da quella che aveva il controllo dell’impresa al momento dell’infrazione, anche qualora quest’ultima non abbia cessato di esistere.
32 Tuttavia, circostanze eccezionali di tale natura non sussisterebbero, qualora, come nelle cause principali, sia possibile imputare la responsabilità dell’infrazione alla persona che gestiva l’impresa al momento in cui l’infrazione stessa è stata commessa.
33 Le società del gruppo Philip Morris sostengono che il criterio della responsabilità personale si applica in tutti i casi in cui la persona che ha materialmente compiuto l’atto illecito esiste ancora, esercita attività imprenditoriali ed è in grado di ottemperare alla decisione dell’autorità della concorrenza che impone la sanzione.
34 Tali società ritengono che, a parte il caso della scomparsa del soggetto giuridico e dell’impossibilità derivantene che esso sia sottoposto a sanzioni, l’ordinamento giuridico comunitario non ammetta deroghe al criterio della responsabilità personale. Il ricorso al criterio della continuità economica sarebbe giustificato solamente qualora sia necessario per assicurare l’applicazione effettiva delle regole della concorrenza.
35 Secondo il governo italiano, il criterio della continuità economica implica la responsabilità della persona che ha continuato e portato a termine il comportamento contrario alle regole della concorrenza cominciato da un’altra persona ogni volta che l’impresa interessata dall’infrazione e ceduta da una persona ad un’altra è identica dai punti di vista economico, strutturale e funzionale. A tale riguardo, sarebbe indifferente che la persona che ha ceduto tale impresa esista ancora formalmente ed eserciti o meno altre attività.
36 Nella fattispecie, risulterebbe dal decreto legge n. 283/98 che vi è effettivamente un’identità tra l’impresa gestita dall’AAMS e quella gestita dall’Ente tabacchi italiani, diventato ETI. L’AAMS e l’ETI sarebbero inoltre uniti da legami strutturali, consistenti nel fatto che entrambi sono emanazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
37 Secondo la Commissione, qualora l’infrazione sia stata commessa da un’impresa gestita da un organismo di uno Stato membro dotato di proprio potere decisionale e l’attività economica interessata sia stata ceduta ad un altro soggetto giuridico, le sanzioni relative a tale comportamento devono essere inflitte all’organismo dello Stato se questo, dopo la cessione, continua ad esercitare un’attività imprenditoriale, anche in settori diversi da quello interessato da tale comportamento. Per contro, le sanzioni dovrebbero essere inflitte al soggetto giuridico che ha acquisito l’attività economica in questione se, dopo la cessione, tale organismo dello Stato cessa di esercitare attività imprenditoriali.
Giudizio della Corte
38 Risulta dalla giurisprudenza che il diritto comunitario della concorrenza riguarda le attività delle imprese (sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 59) e che il concetto di «impresa» comprende qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v., in particolare, sentenze 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 112; 10 gennaio 2006, causa C‑222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., Racc. pag. I‑289, punto 107, nonché 11 luglio 2006, causa C‑205/03 P, FENIN/Commissione, Racc. pag. I‑6295, punto 25).
39 Qualora un ente di tal genere violi le regole della concorrenza, incombe ad esso, secondo il principio della responsabilità personale, di rispondere di tale infrazione (v., in tal senso, sentenze 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 145, e 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punto 78).
40 Riguardo alla questione di sapere in quali circostanze un ente che non è l’autore dell’infrazione possa nondimeno essere sanzionato per questa, occorre, anzitutto, constatare che rientra in una tale ipotesi la situazione in cui l’ente che ha commesso un’infrazione ha cessato di esistere giuridicamente (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit., punto 145) o economicamente. A quest’ultimo riguardo, occorre considerare che una sanzione inflitta ad un’impresa che continua ad esistere giuridicamente, ma non esercita più attività economiche, rischia di essere priva di effetto dissuasivo.
41 Occorre inoltre rilevare che, se nessun’altra possibilità di imposizione della sanzione ad un ente diverso da quello che ha commesso l’infrazione fosse prevista, alcune imprese potrebbero sfuggire alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità è stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa. Lo scopo di reprimere comportamenti contrari alle regole della concorrenza e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive (v., in tal senso, sentenze 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 173; 29 giugno 2006, causa C‑289/04 P, Showa Denko/Commissione, Racc. pag. I‑5859, punto 61, nonché 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22) sarebbe pertanto compromesso.
42 Di conseguenza, come già constatato dalla Corte, qualora un ente che ha commesso un’infrazione alle regole della concorrenza sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità fra i due enti (v., in tal senso, sentenze 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 9, nonché Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punto 59).
43 Conformemente a questa giurisprudenza, le forme giuridiche rispettive dell’ente che ha commesso un’infrazione e del suo successore sono irrilevanti. L’applicazione a tale successore della sanzione per l’infrazione non può dunque essere esclusa per il solo fatto che, come nelle cause principali, questo possiede un altro status giuridico e opera con modalità diverse rispetto all’ente cui è succeduto.
44 È irrilevante anche la circostanza che una cessione delle attività venga decisa non da singoli, ma dal legislatore nella prospettiva di una privatizzazione. Infatti, le misure di ristrutturazione o di riorganizzazione d’impresa adottate dalle autorità di uno Stato membro non possono legittimamente avere come conseguenza la compromissione dell’effetto utile del diritto comunitario della concorrenza (v., in tal senso, sentenza 12 maggio 2005, causa C‑415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑3875, punti 33 e 34).
45 Nelle cause principali, risulta dalla decisione di rinvio nonché dal fascicolo sottoposto alla Corte che le attività economiche dell’AAMS sul mercato interessato dall’intesa sono state proseguite dall’Ente tabacchi italiani, diventato poi ETI. Alla luce di ciò, anche se l’AAMS ha continuato ad esistere in quanto operatore economico su altri mercati, l’ETI poteva essere considerato, nell’ambito del procedimento relativo all’intesa sui prezzi di vendita delle sigarette, come il successore economico dell’AAMS.
46 Riguardo alla questione se un caso come quello in oggetto integri la fattispecie in cui un’entità economica può essere sanzionata per l’infrazione commessa da un altro ente, occorre constatare, anzitutto, che il fatto che l’AAMS non disponga di personalità giuridica (v. punto 6 della presente sentenza) non è un elemento che può giustificare l’applicazione al suo successore della sanzione per l’infrazione che essa ha commesso.
47 Per contro, l’applicazione della sanzione per l’infrazione commessa dall’AAMS all’ETI potrebbe giustificarsi per il fatto che quest’ultimo e l’AAMS dipendono dalla stessa autorità pubblica.
48 A tale riguardo occorre ricordare che, qualora due enti costituiscano lo stesso ente economico, il fatto che l’ente che ha commesso l’infrazione esista ancora non impedisce, di per sé, che venga sanzionato l’ente a cui esso ha trasferito le sue attività economiche (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punti 355‑358).
49 In particolare, una tale configurazione della sanzione è ammissibile qualora tali enti siano stati sotto il controllo della stessa persona e, considerati gli stretti legami che li uniscono sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali.
50 Nelle cause principali, è certo che, al momento del loro comportamento illecito, l’AAMS e l’ETI erano detenuti dallo stesso ente pubblico, ossia il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
51 Spetta al giudice del rinvio verificare se, partecipando all’intesa sui prezzi di vendita delle sigarette, l’AAMS e l’ETI siano stati sotto la tutela di tale organismo pubblico. In caso affermativo, occorrerebbe concludere che il principio della responsabilità personale non si oppone a che la sanzione per l’infrazione commessa dall’AAMS e continuata dall’ETI sia inflitta interamente a quest’ultima.
52 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, le questioni sottoposte vanno risolte dichiarando che gli artt. 81 CE e seguenti devono essere interpretati nel senso che, nel caso di enti dipendenti dalla stessa autorità pubblica, qualora una condotta costitutiva di una stessa infrazione alle regole della concorrenza sia stata commessa da un ente e successivamente proseguita fino alla sua fine da un altro ente succeduto al primo, il quale non ha cessato di esistere, tale secondo ente può essere sanzionato per l’infrazione nella sua interezza, se è provato che tali due enti sono stati sotto la tutela della citata autorità.
Sulle spese
53 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
Gli artt. 81 CE e seguenti devono essere interpretati nel senso che, nel caso di enti dipendenti dalla stessa autorità pubblica, qualora una condotta costitutiva di una stessa infrazione alle regole della concorrenza sia stata commessa da un ente e successivamente proseguita fino alla sua fine da un altro ente succeduto al primo, il quale non ha cessato di esistere, tale secondo ente può essere sanzionato per l’infrazione nella sua interezza, se è provato che tali due enti sono stati sotto la tutela della citata autorità.
Firme
* Lingua processuale: l’italiano.