CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 16 dicembre 2008 ( 1 )

Causa C-531/06

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica italiana

«Inadempimento di uno Stato — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Artt. 43 CE e 56 CE — Sanità pubblica — Farmacie — Disposizioni che riservano ai soli farmacisti il diritto di gestire una farmacia — Giustificazione — Rifornimento di medicinali alla popolazione sicuro e di qualità — Indipendenza professionale dei farmacisti — Imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici — Farmacie comunali»

1. 

Con il presente ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo mantenuto in vigore:

una legislazione che riserva il diritto di gestire una farmacia al dettaglio privata alle sole persone fisiche laureate in farmacia e a società di gestione composte esclusivamente da soci farmacisti, e

disposizioni legislative che sanciscono l’impossibilità, per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici, di acquisire partecipazioni nelle società di gestione delle farmacie comunali,

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 56 CE.

2. 

Occorre anzitutto ricordare che il primo addebito sollevato dalla Commissione è strettamente collegato alla prima questione pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht des Saarlandes (Germania) nelle cause riunite Apothekerkammer des Saarlandes e a. (C-171/07) e Neumann-Seiwert (C-172/07), pendenti dinanzi alla Corte, per le quali presento del pari le mie conclusioni. Questo primo addebito, in sostanza, mira a stabilire se l’art. 43 CE e/o l’art. 56 CE ostino ad una disposizione nazionale che riserva unicamente ai farmacisti la titolarità dell’esercizio di una farmacia.

3. 

Per le stesse ragioni esposte nell’ambito delle conclusioni da me presentate nelle citate cause Apothekerkammer des Saarlandes e a. e Neumann-Seiwert, suggerirò alla Corte di dichiarare infondato il primo addebito sollevato dalla Commissione. A mio parere, infatti, gli artt. 43 CE e 48 CE non ostano ad una legislazione nazionale che riserva ai soli farmacisti la titolarità dell’esercizio di una farmacia, nei limiti in cui tale legislazione sia giustificata dall’obiettivo di garantire alla popolazione un rifornimento adeguato di farmaci.

4. 

Suggerirò alla Corte di dichiarare infondato anche il secondo addebito.

I — Contesto normativo

A — Il diritto comunitario

5.

L’art. 43, primo comma, CE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro. Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese.

6.

In forza dell’art. 48, primo comma, CE, i diritti sanciti dall’art. 43 CE si estendono anche alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità.

7.

L’art. 46, n. 1, CE precisa che l’art. 43 CE non osta alle restrizioni giustificate da motivi di sanità pubblica.

8.

Ai sensi dell’art. 47, n. 3, CE, per quanto riguarda le professioni mediche, paramediche e farmaceutiche, la graduale soppressione delle restrizioni sarà subordinata al coordinamento delle condizioni richieste per il loro esercizio nei singoli Stati membri. Tuttavia, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione hanno riconosciuto che l’efficacia diretta degli artt. 43 CE e 49 CE, sancita rispettivamente nelle sentenze Reyners ( 2 ) e van Binsbergen ( 3 ) a partire dal 1o gennaio 1970, data di cessazione del periodo transitorio, valeva anche per le professioni mediche ( 4 ).

9.

Inoltre, le attività mediche, paramediche e farmaceutiche hanno costituito oggetto di alcune direttive di coordinamento. Per quanto riguarda il settore farmaceutico, si tratta, da un lato, della direttiva del Consiglio 16 settembre 1985, 85/432/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti talune attività nel settore farmaceutico ( 5 ) e, d’altro lato, della direttiva del Consiglio , 85/433/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli in farmacia e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento per talune attività nel settore farmaceutico ( 6 ).

10.

Queste due direttive sono state abrogate e sostituite dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 settembre 2005, 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali ( 7 ). Il ventiseiesimo ‘considerando’ della direttiva 2005/36 è così redatto:

«La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attività nel campo della farmacia e all’esercizio di tale attività. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle società l’esercizio di talune attività di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni».

11.

Inoltre, ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE, nell’ambito del capo 4 del Trattato CE, che si occupa di capitali e pagamenti, sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

12.

Occorre citare infine l’art. 152, n. 5, CE, ai sensi del quale:

«L’azione comunitaria nel settore della sanità pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica (…)».

B — La normativa nazionale

13.

Con legge 23 dicembre 1978, è stato istituito in Italia il Servizio Sanitario Nazionale. Ai sensi dell’art. 25, n. 1, di detta legge le prestazioni curative comprendono l’assistenza medico-generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica.

14.

In Italia esistono due tipi di farmacie: quelle private e quelle comunali ( 8 ).

1. Il regime delle farmacie private

15.

L’articolo 4 della legge 8 novembre 1991, n. 362, contenente norme di riordino del settore farmaceutico (in prosieguo: la «legge n. 362/1991»), prevede, per il conseguimento della titolarità di una farmacia, una procedura di concorso organizzata dalle regioni e dalle province, e riservata ai cittadini degli Stati membri in possesso dei diritti civili e politici e iscritti all’albo professionale dei farmacisti.

16.

Ai sensi dell’art. 7 della legge n. 362/1991:

«1.   La titolarità dell’esercizio della farmacia privata è riservata a persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata.

2.   Le società di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. Sono soci della società farmacisti iscritti all’albo in possesso del requisito dell’idoneità previsto dall’art. 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475, e successive modificazioni.

3.   La direzione della farmacia gestita dalla società è affidata ad uno dei soci che ne è responsabile.

(…)

5.   Ciascuna delle società di cui al comma 1 può essere titolare dell’esercizio di una sola farmacia e ottenere la relativa autorizzazione purché la farmacia sia ubicata nella provincia ove ha sede legale la società.

6.   Ciascun farmacista può partecipare ad una sola società di cui al comma 1.

7.   La gestione delle farmacie private è riservata ai farmacisti iscritti all’albo della provincia in cui ha sede la farmacia».

17.

Ai sensi dell’art. 8 della legge n. 362/1991:

«1.   La partecipazione alle società di cui all’articolo 7 (…) è incompatibile:

a)

con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco

(…)».

2. Il regime delle farmacie comunali

18.

L’art. 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, sostituito dall’art. 116 del decreto legislativo , n. 267, prevede la possibilità per i comuni di costituire, per la gestione delle farmacie pubbliche, società per azioni i cui azionisti non sono necessariamente dei farmacisti. Per le farmacie comunali, risulta pertanto autorizzata la scissione tra la titolarità della farmacia, che resta in capo all’ente locale, e il suo esercizio, affidato ad una società di capitali a maggioranza privata non composta necessariamente da farmacisti.

19.

Con sentenza 24 luglio 2003 la Corte costituzionale italiana ha esteso alle società di gestione di farmacie comunali il divieto di esercitare congiuntamente l’attività di distribuzione, di cui all’art. 8, primo comma, lett. a), della legge n. 362/1991, che si applicava fino allora soltanto per le società di gestione delle farmacie private.

20.

L’esercizio congiunto delle attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali e di quella di fornitura al pubblico di medicinali in farmacia è stato altresì dichiarato incompatibile dall’art. 100, secondo comma, del decreto 24 aprile 2006, n. 219.

21.

Inoltre, il diritto italiano impone, sia alle farmacie private sia a quelle pubbliche, che la vendita di medicinali sia effettuata unicamente da farmacisti. L’art. 122 del testo unico delle leggi sanitarie stabilisce infatti:

«La vendita al pubblico di medicinali a dose o in forma di medicamento non è permessa che ai farmacisti e deve essere effettuata nella farmacia sotto la responsabilità del titolare della medesima».

3. Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223

22.

La legislazione italiana è stata oggetto di numerose modifiche apportate con decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale (in prosieguo: il «decreto Bersani»).

23.

In particolare, l’art. 5 del decreto Bersani ha abrogato molte delle disposizioni sopra menzionate, ossia l’art. 7, commi 5, 6 e 7, della legge n. 362/1991, e l’art. 100, secondo comma, del decreto 24 aprile 2006, n. 219. Esso ha inoltre modificato l’art. 8, primo comma, della legge n. 362/1991, eliminandovi il termine «distribuzione».

II — La procedura precontenziosa

24.

Ritenendo la legislazione testé menzionata incompatibile con gli artt. 43 CE e 56 CE, la Commissione ha inviato, in data 21 marzo 2005, una lettera di diffida alla Repubblica italiana. Non essendo soddisfatta dalle spiegazioni fornite da detto Stato membro, il la Commissione ha poi trasmesso a tale Stato membro un parere motivato, al quale le autorità italiane hanno risposto il . Il , le stesse autorità hanno inviato alla Commissione il testo del decreto Bersani, sottolineando che alcune disposizione di tale decreto legge, e in particolare l’art. 5 dello stesso, erano dirette a porre fine alla procedura precontenziosa.

25.

Ritenendo che le modificazioni apportate dal decreto Bersani alla legislazione contestata non fossero idonee a modificare la sua posizione riguardo alla non conformità del diritto italiano con il diritto comunitario, la Commissione ha deciso di proporre alla Corte il presente ricorso ex art. 226 CE.

III — Il ricorso

26.

Con il suo ricorso la Commissione chiede alla Corte:

di dichiarare che, avendo mantenuto in vigore:

una legislazione che consente la titolarità dell’esercizio delle farmacie al dettaglio private alle sole persone fisiche laureate in farmacia e a società composte esclusivamente da soci farmacisti, e

disposizioni legislative che comportano l’impossibilità per le imprese esercenti l’attività di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle società di gestione di farmacie comunali,

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 e 56 del Trattato CE;

di condannare la Repubblica italiana alle spese.

27.

La Repubblica italiana chiede alla Corte:

di dichiarare il ricorso irricevibile;

in subordine, di dichiararlo infondato, con le conseguenze che ne derivano.

28.

La Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica austriaca sono intervenuti a sostegno della Repubblica italiana.

IV — Argomenti delle parti

A — Sulla ricevibilità del ricorso

29.

La Repubblica italiana sostiene, innanzitutto, che il ricorso è irricevibile. A suo avviso, poiché è notorio che nella maggioranza degli Stati membri è previsto che la titolarità delle farmacie sia riservata ai soli farmacisti o a società controllate da farmacisti, occorrerebbe che la posizione della Commissione sia definita in modo univoco riguardo a tali legislazioni, evitando di fare distinzioni da paese a paese o da legislazione a legislazione.

30.

La Repubblica italiana inoltre osserva che Commissione invoca in via principale una violazione degli artt. 43 CE e 56 CE, ma non tiene conto delle direttive che hanno applicato la libertà di stabilimento. Queste ultime contengono disposizioni esplicite che confermano che i requisiti di accesso al settore non sono ancora armonizzati e rendono noto che la disciplina in questione rientra nella competenza degli Stati membri. In tali circostanze, è obbligo della Commissione specificare, in modo più preciso e concreto, l’asserita violazione dal momento che, nel disciplinare il ruolo dei farmacisti, la Repubblica italiana ha correttamente applicato le suddette direttive e la riserva di competenza nazionale in esse contenuta.

31.

Infine, la Repubblica italiana rileva che, malgrado la modifica introdotta dal decreto Bersani, che sopprime il divieto per le imprese di distribuzione di acquisire partecipazioni nelle società di gestione di farmacie, la Commissione continua a ritenere che tale divieto sia sempre applicabile dagli organi giurisdizionali italiani. Pertanto, l’inadempimento addebitato non è concreto e attuale, ma discende da decisioni future e ipotetiche di tali organi giurisdizionali.

B — Sul primo addebito

32.

La Commissione sostiene che, nel vietare alle persone fisiche non aventi la laurea in farmacia e alle società non costituite esclusivamente da farmacisti di gestire una farmacia, la Repubblica italiana ha violato gli artt. 43 CE e 56 CE. Tale divieto, infatti, non soltanto ostacola, ma rende del tutto impossibile per le suddette categorie di persone l’esercizio di due libertà fondamentali garantite dal Trattato, ossia la libertà di stabilimento e la libera circolazione di capitali.

33.

L’obiettivo di tutelare la salute pubblica costituisce certamente una ragione imperativa di interesse generale atta a giustificare le limitazioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali. Tuttavia, le disposizioni della legislazione italiana oggetto di discussione nel presente procedimento non sono idonee a garantire siffatto obiettivo, né necessarie per il suo raggiungimento.

34.

In primo luogo, il divieto alle persone non aventi la laurea in farmacia e alle società non costituite esclusivamente da farmacisti di gestire una farmacia non è atto a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica. Al riguardo, è opportuno stabilire una distinzione tra gli aspetti connessi all’esercizio, alla gestione o all’amministrazione delle farmacie e quelli relativi ai rapporti con i terzi. La necessità di avere una qualificazione professionale nel settore farmaceutico è giustificata per i secondi aspetti, ma non per i primi, in quanto l’esigenza di tutelare la salute pubblica riguarda soltanto l’aspetto del servizio farmaceutico relativo ai rapporti con i terzi e, più precisamente, con i fornitori, gli acquirenti e i pazienti. Inoltre, secondo la Commissione una separazione tra il ruolo puramente imprenditoriale del titolare della farmacia e la funzione del farmacista, anziché nuocere all’obiettivo della tutela della salute pubblica, potrebbe di fatto contribuirvi in modo positivo, consentendo al farmacista di concentrarsi sulle funzioni e sulle attività più direttamente connesse all’attività farmaceutica al servizio diretto dei clienti.

35.

Inoltre, il divieto previsto dalla legislazione italiana è basato su una presunzione non dimostrata secondo la quale il farmacista titolare esercita la sua professione con una competenza maggiore di quella del farmacista stipendiato ed è meno tentato a privilegiare il proprio interesse personale a spese dell’interesse generale. In proposito la Commissione fa osservare che il farmacista stipendiato non persegue interessi personali di tipo economico, ma si fa carico di precise responsabilità professionali e pertanto è più incline rispetto al titolare della farmacia (indipendentemente dal fatto che possieda o meno la qualifica di farmacista) ad adempiere alle proprie funzioni nel rispetto della legge e delle regole deontologiche. Inoltre, nel rilascio dei medicinali ai pazienti il margine di autonomia del farmacista è estremamente ridotto. Questi ha in particolare l’obbligo di fornire il farmaco prescritto senza possibilità di sostituzione, tranne i casi tassativamente previsti dalla legge.

36.

In secondo luogo, le disposizioni del diritto italiano in questione esorbitano da ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela della salute, dal momento che quest’ultimo potrebbe essere raggiunto da altre misure meno restrittive per la libertà di stabilimento e per la libera circolazione dei capitali. In particolare, l’obbligo di presenza di un farmacista nella farmacia è sufficiente per garantire al cliente la prestazione di un servizio qualificato. Inoltre, un sistema di controlli adeguati e di sanzioni efficaci può essere applicato nei confronti dei gestori delle farmacie: tale sistema permette di verificare e di garantire il funzionamento corretto delle stesse, al fine di tutelare la salute dei pazienti. Del pari, si può considerare di includere delle clausole di corresponsabilità nel contratto di lavoro vincolando il titolare al farmacista responsabile della gestione. Tale responsabilità solidale assicurerebbe che entrambi siano indotti a realizzare gli obiettivi e gli obblighi di servizio pubblico connessi alla gestione della farmacia.

37.

La Commissione poi rileva che la possibilità concessa dal diritto italiano alle società per azioni prive di partecipazione pubblica maggioritaria di gestire le farmacie comunali dimostra che il legislatore italiano non ritiene indispensabile che i titolari di farmacie siano dei farmacisti per garantire la qualità del servizio farmaceutico nonché una protezione adeguata della salute pubblica, purché un farmacista sia presente in farmacia e sia responsabile delle attività connesse ai farmaci. Identiche considerazioni varrebbero per le disposizioni che prevedono la possibilità, per chi eredita una farmacia privata, di gestirla per un certo periodo di tempo senza possedere le qualifiche necessarie.

38.

La Commissione fa ancora osservare che sul farmacista gravano doveri deontologici analoghi, indipendentemente dal fatto che egli esegua le sue funzioni in qualità di titolare o di stipendiato.

39.

Infine, essa ritiene che il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza 21 aprile 2005, Commissione/Grecia ( 9 ), riguardo ai negozi di ottica, si possa trasporre all’attività commerciale di vendita al dettaglio di farmaci.

40.

A questi argomenti la Repubblica italiana, sostenuta dalla Repubblica ellenica, dal Regno di Spagna, dalla Repubblica francese, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Repubblica austriaca, ribatte che la legislazione in esame non viola gli artt. 43 CE e 56 CE, sebbene essa riservi la titolarità dell’esercizio di una farmacia alle sole persone fisiche laureate in farmacia e alle società composte esclusivamente da soci farmacisti. Questa legislazione si applica infatti senza discriminazione in base alla cittadinanza e i limiti che ne derivano possono essere giustificati dall’obiettivo della tutela della salute pubblica, fermo restando che essi siano adeguati e proporzionati per salvaguardare tale obiettivo.

41.

La Repubblica italiana sottolinea che tanto il diritto comunitario originario quanto quello derivato tutelano la competenza degli Stati membri a definire il regine di titolarità delle farmacie discusso nel presente procedimento. In mancanza di un’armonizzazione a livello comunitario, spetta ad essi in particolare decidere il grado di tutela della salute pubblica da salvaguardare in sede di distribuzione di medicinali da parte delle farmacie.

42.

Secondo la Repubblica italiana, la correlazione tra la titolarità/esercizio delle farmacie private e l’inscrizione all’albo dei farmacisti dei titolari e dei gestori costituisce un elemento fondamentale che garantisce la qualità del servizio farmaceutico in Italia.

43.

Il carattere potenzialmente nocivo dei farmaci richiede che il loro uso sia controllato e razionalizzato. Nella farmacia esiste un conflitto oggettivo tra l’interesse privato a garantire la propria redditività economica e gli obiettivi di interesse generale. Al fine di garantire la preminenza del regolare e adeguato rifornimento di farmaci alla popolazione sulle considerazioni economiche, è necessario che le farmacie appartengano realmente alle persone aventi la capacità professionale e la specializzazione richiesta. Soltanto se i titolari delle farmacie, che esercitano un’influenza sulla loro gestione, dispongono di conoscenze e di un’esperienza specializzata complete, la gestione anteporrebbe sistematicamente la tutela della salute agli obiettivi economici. Se la gestione delle farmacie fosse assegnata ai non farmacisti, si rischierebbe che questi ultimi si lascino guidare da criteri non pertinenti dal punto di vista farmaceutico.

44.

Inoltre, il fatto di riservare la titolarità delle farmacie ai soli farmacisti consente di impedire che i fabbricanti o i grossisti farmaceutici possano detenere le farmacie. Queste imprese possono essere spinte a commercializzare preferibilmente i prodotti che esse fabbricano o distribuiscono a scapito delle reali esigenze terapeutiche e della libera scelta dei pazienti. Peraltro, le logiche commerciali su larga scala si orientano verso una diminuzione dei costi di distribuzione e di stoccaggio e, pertanto, verso una concentrazione di punti vendita nelle zone più densamente popolate. Un’apertura non regolamentata di nuove farmacie può, inoltre, comportare un aumento delle spese farmaceutiche.

45.

Siffatti rischi risultano da parecchi studi sui paesi o sulle regioni che hanno liberalizzato totalmente l’accesso al settore della farmacia — quali la Repubblica di Estonia, il Regno di Norvegia o la Navarra — che hanno dimostrato gravi regressioni in termini di qualità delle prestazioni farmaceutiche.

46.

L’efficacia della missione dell’interesse generale delle farmacie non può essere garantita da misure meno vincolanti. È vero che lo Stato membro ha il diritto di stabilire che i farmacisti retribuiti garantiscano la preparazione e la vendita dei farmaci. Il farmacista retribuito, però, non è in grado di esercitare la sua professione in modo completamente indipendente, poiché sarebbe soggetto agli ordini del suo datore di lavoro non farmacista.

47.

Del pari, il carattere primario della salute escluderebbe che un indennizzo per equivalente consenta un risarcimento che compensi pienamente il danno. Ne consegue che le garanzie assicurative della responsabilità professionale o le forme di risarcimento derivanti dalla responsabilità indiretta non permettono di assicurare in modo altrettanto efficace l’obiettivo della tutela della salute pubblica. Inoltre, la scelta di far coincidere la titolarità della farmacia con la responsabilità del suo esercizio in capo ad un imprenditore professionista che sia farmacista permetterebbe di aggiungere all’insieme di responsabilità derivanti dalle leggi civili e penali quelle che discendono dal codice deontologico e che sono soggette al controllo dell’ordine professionale dei farmacisti.

48.

Infine, per quel che riguarda la differenza di regime tra le farmacie private e quelle comunali, la Repubblica italiana osserva che era necessario inserire per le farmacie private un elemento aggiuntivo di garanzia sanitaria, che diversifichi il loro modello di gestione da quello delle farmacie comunali, dato che queste ultime sono soggette per loro natura ad una vigilanza e ad un controllo da parte degli enti locali. Al riguardo, la Repubblica italiana rileva che, nel modello della società mista diretta alla fornitura di servizi pubblici locali, anche se la partecipazione privata è maggioritaria, la collettività locale mantiene poteri di orientamento, di controllo e di sorveglianza in quanto co-gerente ed associata nella società. Del pari, quando l’esercizio è affidato ad un terzo, il mantenimento della proprietà della farmacia in capo alla collettività locale è atto a garantire il perseguimento dell’interesse pubblico.

C — Sul secondo addebito

49.

Con il secondo addebito la Commissione sostiene che, avendo mantenuto in vigore disposizioni legislative che sanciscono l’impossibilità, per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici, di acquisire partecipazioni nelle società di gestione delle farmacie comunali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 56 CE.

50.

A suo parere, siffatta restrizione alla libera circolazione dei capitali e alla libertà di stabilimento non è giustificata dall’obiettivo di tutela della salute pubblica. In proposito, la Commissione osserva che il regime d’incompatibilità generale tra le attività di distribuzione e quelle di vendita al dettaglio di medicinali è contraddittorio, perché consente deroghe di notevole portata.

51.

In particolare, una persona può gestire una farmacia ed essere allo stesso tempo socia di una società di distribuzione, purché in quest’ultima non detenga una posizione di decisione e controllo. Tuttavia, tale persona potrebbe avere interesse a privilegiare la vendita sul mercato di prodotti distribuiti dalla società di cui è azionista. Inoltre, esistono altre situazioni nelle quali il farmacista socio di una società di distribuzione ha la possibilità di esercitare su questa un potere di controllo effettivo, diretto o indiretto. Il regime di incompatibilità è dunque assai flessibile per le persone fisiche e le società di gestione delle farmacie private.

52.

Per contro, tale regime è molto limitativo per le società multinazionali che cercano di acquisire partecipazioni nelle farmacie comunali. Orbene, secondo la Commissione, in questo secondo caso il rischio di conflitti di interessi potrebbe essere inferiore o comunque meno grave, perché il comune mantiene la proprietà della farmacia comunale e, sulla base di un contratto di servizi concluso con la società di gestione privata, esercita un controllo diretto e specifico su tale farmacia.

53.

Secondo la Repubblica italiana, i principi addotti nell’ambito del primo addebito valgono anche per le farmacie comunali. D’altronde, il decreto Bersani ha eliminato il divieto alle imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle farmacie comunali.

V — Valutazione

A — Sulla ricevibilità del ricorso

54.

Secondo una costante giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso per inadempimento che mette in discussione la compatibilità con il diritto comunitario di una legislazione nazionale, eventuali modifiche di tale legislazione sono prive di rilievo al fine di statuire sull’oggetto del ricorso qualora non siano state attuate prima della scadenza del termine stabilito nel parere motivato ( 10 ).

55.

Di conseguenza, è in relazione alla normativa vigente al 19 febbraio 2006, data di scadenza del termine di due mesi impartito nel parere motivato notificato alla Repubblica italiana il , che occorre pronunciarsi sull’eventuale esistenza dell’inadempimento fatto valere. Va osservato che, a tale data, il decreto Bersani non era ancora stato adottato.

56.

Da ciò consegue che tutti gli argomenti che la Commissione e la Repubblica italiana hanno dedicato all’impatto di tale decreto sul presente procedimento non possono essere presi in considerazione. In particolare, in sede di esame del secondo addebito, non occorre verificare se il divieto per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle società di gestione di farmacie comunali continui ad essere in vigore nell’ordinamento giuridico italiano, nonostante l’adozione del decreto Bersani, indipendentemente dal fatto che ciò sia dovuto alla sopravvivenza di alcune disposizioni legislative o ad una giurisprudenza che ribadisce siffatto divieto.

57.

Di conseguenza, la Repubblica italiana non è legittimata per sostenere che l’inadempimento di cui è accusata non è concreto e attuale, in quanto deriverebbe da decisioni future e ipotetiche dei giudici nazionali.

58.

Vanno respinti anche gli altri argomenti dedotti da tale Stato membro a sostegno dell’irricevibilità del presente ricorso. Difatti, sotto il profilo della ricevibilità di un ricorso per inadempimento è indifferente che la Commissione abbia scelto di indirizzare la sua azione contro uno Stato membro e non contro altri Stati che possiedono una legislazione analoga. Inoltre, la Commissione ha indicato in modo preciso le disposizioni comunitarie alla luce delle quali essa chiede alla Corte di dichiarare l’inadempimento della Repubblica italiana, ossia gli artt. 43 CE e 56 CE.

B — Sul primo addebito

59.

Con il primo addebito la Commissione mette in discussione, alla luce degli artt. 43 CE e 56 CE, una delle condizioni richieste per poter essere titolari dell’esercizio di una farmacia privata in Italia, ossia il possesso di una laurea in farmacia. Essa sostiene difatti che, unicamente sotto il profilo del regime di proprietà delle farmacie, il possesso di una laurea in farmacia non può essere imposto. Per contro, a suo avviso tale condizione è necessaria e dev’essere soddisfatta per svolgere la funzione di direttore responsabile della farmacia nonché, più in generale, per svolgere qualunque compito relativo ai rapporti con i clienti della farmacia.

60.

Dato che la Commissione accusa la Repubblica italiana di aver violato contemporaneamente gli obblighi derivanti dall’art. 43 CE e quelli imposti dall’art. 56 CE, occorre anzitutto verificare se la legislazione nazionale in discussione vada valutata alla luce della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali, ovvero alla luce di una soltanto delle suddette libertà di circolazione.

61.

In tale prospettiva, va ricordato che, secondo la Corte, per stabilire se una normativa nazionale rientri nell’una o nell’altra libertà di circolazione, occorre prendere in considerazione l’oggetto della normativa in questione ( 11 ).

62.

È giocoforza rilevare, al riguardo, che l’obiettivo principale delle disposizioni della legislazione italiana discusse nell’ambito del primo addebito è quello di porre una condizione per l’esercizio di un’attività professionale indipendente, nel caso di specie l’attività farmaceutica in quanto titolare di una farmacia. Difatti, tali disposizioni riservano unicamente alle persone fisiche in possesso di una laurea in farmacia, nonché alle società di persone e alle società cooperative a responsabilità limitata composte unicamente da farmacisti, il diritto di essere titolari dell’esercizio di una farmacia privata. Avendo regolato in questa maniera l’apertura di farmacie private in Italia, e quindi le condizioni per lo stabilimento delle persone fisiche e giuridiche nel settore farmaceutico, mi sembra che la legislazione italiana incida in modo preponderante sulla libertà di stabilimento e che, pertanto, rientri primariamente nella sfera di applicazione delle disposizioni del Trattato relative a tale libertà.

63.

Di conseguenza, anche ammettendo che tale provvedimento nazionale possa produrre effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali, simili effetti andrebbero considerati come l’inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento e non giustificano un esame del detto provvedimento sulla base dell’art. 56 CE ( 12 ).

64.

Pertanto, esaminerò il primo addebito unicamente sotto la prospettiva della libertà di stabilimento e, più precisamente, alla luce degli artt. 43 CE e 48 CE ( 13 ).

65.

Prima di esaminare se la norma in forza della quale soltanto le persone abilitate ad esercitare come farmacisti possono essere titolari dell’esercizio di una farmacia sia conforme o meno agli artt. 43 CE e 48 CE, formulerò alcune osservazioni preliminari sulla natura delle competenze rispettive degli Stati membri e della Comunità in materia di sanità pubblica.

1. Osservazioni preliminari sulla natura delle competenze rispettive degli Stati membri e della Comunità in materia di sanità pubblica

66.

L’art. 152 CE non attribuisce alla Comunità una competenza piena e completa in materia di sanità pubblica. Siffatta competenza, pertanto, rimane ripartita tra la Comunità e gli Stati membri.

67.

Le modalità di questa ripartizione di competenze, come risulta dalla lettera dell’art. 152 CE, rivelano l’esistenza di una competenza congiunta a predominanza nazionale ( 14 ).

68.

Il mantenimento di una titolarità della competenza nazionale in materia di sanità pubblica è espressamente sancito dall’art. 152, n. 5, CE, ai sensi del quale «[l]’azione comunitaria nel settore della sanità pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica».

69.

Il fatto che l’attribuzione alla Comunità di una competenza sanitaria non comporta l’estromissione degli Stati membri si deduce altresì dalla natura delle competenze nazionali e comunitarie, come risulta dall’art. 152 CE. Difatti, si tratta al contempo sia di competenze complementari, nei limiti in cui l’azione della Comunità completa le politiche nazionali in materia di sanità pubblica, sia di competenze coordinate, poiché l’azione comunitaria mira a coordinare le azioni nazionali in tale settore.

70.

Nel complesso, le disposizioni dell’art. 152 CE contengono le fondamenta di una politica di sanità pubblica scarsamente integrata e delineano, parallelamente, una sfera di competenza nazionale protetta.

71.

La scelta in tal modo operata dai redattori del Trattato deve, a mio parere, essere tenuta in considerazione dalla Corte nella giusta misura. In particolare, poiché la Corte deve valutare un provvedimento nazionale relativo all’organizzazione e alla fornitura di servizi sanitari e assistenza medica, la sua valutazione, a mio avviso, dovrebbe sempre tener conto di quel che può apparire simile ad una tutela a livello costituzionale della competenza nazionale in tale settore ( 15 ).

72.

Questo non significa, evidentemente, che nell’esercizio della competenza ad essi riservata, gli Stati membri debbano essere considerati come esonerati dagli obblighi comunitari che su di essi incombono. È noto infatti che, nell’esercizio di siffatta competenza, gli Stati membri sono tenuti al rispetto del diritto comunitario e segnatamente delle disposizioni del Trattato relative alle libertà di circolazione. Le dette disposizioni comportano il divieto per gli Stati membri di introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni dell’esercizio di queste libertà nell’ambito delle cure sanitarie ( 16 ).

73.

Occorre inoltre precisare che, allo stato attuale del diritto comunitario, le condizioni per l’esercizio delle attività farmaceutiche non sono state tutte oggetto di misure di coordinamento, anzi tutt’altro, e tanto meno hanno costituito oggetto di misure di armonizzazione a livello comunitario, come dimostrato dal ventiseiesimo ‘considerando’ della direttiva 2005/36. In proposito, ricordo che il legislatore comunitario vi ha precisato che, in via esemplificativa, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della distribuzione dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri e che la direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle società l’esercizio di talune attività di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni. In questi settori non armonizzati, la determinazione delle norme in materia resta di competenza degli Stati membri, a condizione che siano osservate le disposizioni del Trattato e, in particolare, quelle riguardanti la libertà di stabilimento ( 17 ).

74.

Per essere mantenuta, una norma nazionale in base alla quale solo dei farmacisti possono essere titolari dell’esercizio di una farmacia deve pertanto rivelarsi conforme all’art. 43 CE, anche se costituisce espressione di una competenza riservata agli Stati membri in materia di sanità pubblica, e più in particolare in materia di organizzazione e di fornitura di servizi di sanità e di assistenza medica.

75.

Il fatto che tale norma sia dettata in un settore di competenza nazionale riservata espressamente tutelata dall’art. 152, n. 5, CE, non è tuttavia privo di conseguenze. Difatti, è in sede di valutazione della giustificazione della detta norma alla luce di un imperativo di interesse generale, come la tutela della sanità pubblica, che la Corte dovrà tener conto di tale protezione della competenza nazionale sancita nel Trattato. La Corte, in tale prospettiva, potrà applicare la propria giurisprudenza secondo la quale, in sede di valutazione del rispetto del principio di proporzionalità nell’ambito della sanità pubblica, occorre tenere conto del fatto che lo Stato membro può decidere il livello al quale intende garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto ( 18 ).

76.

Fatte queste precisazioni, occorre anzitutto verificare se la norma italiana che vieta ai non farmacisti la titolarità dell’esercizio di una farmacia costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.

2. Sull’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento

77.

La libertà di stabilimento prevista dagli artt. 43 CE e 48 CE conferisce alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro il diritto di accedere ad un’attività indipendente in un altro Stato membro e di svolgervi tale attività a titolo permanente nelle stesse condizioni delle società che hanno la propria sede nel suddetto Stato. Questa libertà fondamentale si estende alla costituzione e alla gestione di imprese, nonché alla creazione di agenzie, di succursali e di filiali. L’art. 48 CE impone la soppressione delle misure discriminatorie.

78.

Inoltre, da una giurisprudenza consolidata risulta che le misure, anche indistintamente applicabili, che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio della libertà di stabilimento per i cittadini degli Stati membri costituiscono restrizioni contrarie al Trattato ( 19 ).

79.

In forza della legislazione italiana, l’esercizio di una farmacia privata è riservato alle persone fisiche laureate in farmacia, nonché alle società di persone e alle società cooperative a responsabilità limitata che abbiano per oggetto esclusivo l’esercizio di una farmacia e i cui soci siano farmacisti iscritti all’albo professionale di categoria.

80.

L’effetto di tali condizioni è di impedire ai cittadini degli Stati membri che non sono farmacisti di essere titolari dell’esercizio di una farmacia privata in Italia. Tali condizioni si possono qualificare come restrizioni alla libertà di stabilimento a causa dei loro effetti sull’accesso al mercato per le persone fisiche o giuridiche che vogliano aprire una farmacia privata in Italia. Infatti, ostacolando l’accesso di nuovi operatori al mercato di cui trattasi, esse costituiscono oggettivamente delle barriere alle libertà di circolazione delle quali, in linea di principio, debbono godere gli operatori economici.

81.

Una volta dimostrato che esiste un ostacolo alla libertà di stabilimento, occorre ora verificare se il divieto ai non farmacisti di essere titolari dell’esercizio di una farmacia si possa ritenere giustificato alla luce del diritto comunitario.

3. Sulla giustificazione dell’accertata restrizione alla libertà di stabilimento

82.

Una restrizione come quella prevista dalla legislazione italiana può considerarsi conforme al diritto comunitario qualora soddisfi le seguenti quattro condizioni. Essa deve applicarsi in modo non discriminatorio, dev’essere giustificata da un motivo legittimo o da una ragione imperativa di interesse pubblico, dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non deve andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo ( 20 ).

83.

In primo luogo, non rinvengo alcun elemento discriminatorio nella legislazione in esame, in quanto essa si applica a tutti i soggetti che vogliano aprire e gestire una farmacia in Italia, senza distinguere a seconda del loro Stato membro di origine.

84.

In secondo luogo, la tutela della sanità pubblica figura tra le ragioni imperative di interesse pubblico che, in forza dell’art. 46, n. 1, CE, possono giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento ( 21 ). La legislazione italiana dev’essere pertanto esaminata alla luce di tale obiettivo, in particolare nella sua declinazione diretta a garantire un rifornimento adeguato di farmaci alla popolazione.

85.

In terzo luogo, per quel che riguarda l’idoneità di tale legislazione a garantire la realizzazione dello scopo di tutela della sanità pubblica, occorre verificare se il divieto per i non farmacisti di essere titolari dell’esercizio di una farmacia sia idoneo a soddisfare in modo utile lo scopo suddetto.

86.

Ritengo che lo sia. Più precisamente, a mio parere questa regola è idonea a garantire alla popolazione un rifornimento di farmaci che presenta garanzie sufficienti in termini di qualità e di varietà.

87.

In proposito, non sono convinto dall’argomento della Commissione secondo cui bisognerebbe distinguere gli aspetti interni (proprietà, amministrazione e gestione della farmacia) e gli aspetti esterni (rapporti con i terzi) dell’attività farmaceutica. Difatti, a mio parere, il titolare di una farmacia, che sia al contempo proprietario e datore di lavoro, influisce inevitabilmente sulla politica seguita nella farmacia stessa in materia di distribuzione dei medicinali. Pertanto, la scelta compiuta dal legislatore italiano di collegare la competenza professionale e la proprietà economica della farmacia appare giustificata alla luce dell’obiettivo della tutela della sanità pubblica.

88.

Non bisogna dimenticare che la missione del farmacista non si limita alla vendita di medicinali. L’azione di distribuzione dei medicinali richiede al farmacista anche altre prestazioni come la verifica delle prescrizioni mediche, la realizzazione delle preparazioni farmaceutiche, o ancora la fornitura di informazioni e di consigli che garantiscano il corretto uso dei medicinali ( 22 ). Inoltre, ritengo che il dovere di consulenza che incombe al farmacista rivesta una enorme importanza nel caso di medicinali per i quali non occorre una prescrizione medica, il cui numero aumenta costantemente a causa delle decisioni prese dagli Stati allo scopo di preservare l’equilibrio dei conti sociali. Di conseguenza, il paziente può affidarsi solo alle informazioni fornite dal professionista sanitario che è il farmacista.

89.

Poiché l’attività farmaceutica è caratterizzata, come molte professioni sanitarie, da una ripartizione asimmetrica dell’informazione, è necessario che il paziente possa nutrire una fiducia totale nel consiglio del farmacista. Occorre dunque garantire la neutralità della consulenza farmaceutica, ossia una consulenza competente e obiettiva.

90.

Inoltre, il farmacista si trova associato, per le ragioni sopra indicate, ad una politica generale di sanità pubblica, in gran parte incompatibile con una logica puramente commerciale, propria delle società di capitali, direttamente orientata alla redditività e al profitto. Il carattere peculiare della missione affidata al farmacista impone pertanto di riconoscere e di garantire al professionista l’indipendenza necessaria alla natura della sua funzione.

91.

Difatti, la qualità dell’azione di distribuzione dei medicinali è, a mio parere, strettamente legata all’indipendenza di cui un farmacista deve dar prova nell’esercizio della sua missione.

92.

Decidendo di riservare la titolarità dell’esercizio delle farmacie private ai soli farmacisti, il legislatore italiano ha per l’appunto voluto garantire l’indipendenza dei farmacisti, rendendo la struttura economica delle farmacie impermeabile alle influenze esterne provenienti, per esempio, dai produttori di medicinali o dai grossisti. In particolare, egli ha cercato di prevenire i rischi di conflitto d’interessi che, secondo la sua analisi, potrebbero essere connessi ad una integrazione verticale del settore farmaceutico, in particolare allo scopo di lottare contro il fenomeno del consumo eccessivo di medicinali e di garantire la presenza di una varietà sufficiente di medicinali nelle farmacie. Inoltre, il legislatore italiano ha ritenuto necessario l’intervento di un professionista che agisca come filtro tra il produttore di medicinali ed il pubblico, allo scopo di controllare, in modo indipendente, la corretta amministrazione dei medicinali.

93.

Un farmacista che sia proprietario della sua farmacia è economicamente indipendente, il che garantisce il libero esercizio della sua professione. Egli avendo la piena gestione del suo strumento di lavoro può svolgere quindi la sua attività con l’indipendenza caratteristica dei liberi professionisti. Egli è a capo di un’impresa vicina a realtà economiche, legate alla gestione della sua farmacia, e al tempo stesso è un professionista sanitario, che ha interesse a bilanciare i propri imperativi economici con considerazioni di sanità pubblica, il che lo differenzia da un investitore puro e semplice.

94.

Per questo motivo, ritengo che la via preventiva seguita dal legislatore italiano sia idonea a garantire la tutela della sanità pubblica.

95.

Infine, occorre verificare se la regola in forza della quale soltanto un farmacista può essere titolare dell’esercizio di una farmacia sia necessaria per realizzare l’obiettivo della tutela della sanità pubblica e se tale obiettivo non potrebbe essere raggiunto con divieti o limitazioni meno ampie o che influiscano in misura minore sulla libertà di stabilimento.

96.

Sotto questo profilo va ricordato che, secondo la Corte, in sede di valutazione del rispetto del principio di proporzionalità nell’ambito della sanità pubblica, occorre tenere conto del fatto che lo Stato membro può decidere il livello al quale intende garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto. Poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità e, di conseguenza, il fatto che uno Stato membro imponga norme meno severe di quelle imposte da un altro Stato membro non significa che queste ultime siano sproporzionate ( 23 ).

97.

Dettando la regola secondo cui soltanto un farmacista può essere titolare dell’esercizio di una farmacia, il legislatore italiano ha fatto uso di questo margine di discrezionalità, optando per un sistema che, a suo parere, permette di garantire un elevato livello di protezione della sanità pubblica e, in particolare, un rifornimento adeguato di farmaci alla popolazione.

98.

Al pari di altri Stati membri, lo stesso legislatore avrebbe anche potuto adottare un diverso modello e scegliere di tutelare la sanità pubblica con altri mezzi, per esempio sottoponendo unicamente l’apertura di nuove farmacie al rispetto di condizioni legate alla loro ripartizione geografica, all’esistenza di un certo numero di abitanti per farmacia, o ancora a regole relative al rispetto di una distanza minima tra due farmacie. Tra le altre misure dirette a garantire che l’obiettivo della tutela della sanità pubblica prevalga sugli interessi economici, uno Stato membro potrebbe scegliere di mantenere il monopolio della vendita dei medicinali da parte dei farmacisti e/o decidere di regolamentare il prezzo dei medicinali.

99.

Occorre insomma tener conto del fatto che, conformemente a quanto previsto dall’art. 152, n. 5, CE, e in assenza di armonizzazione dell’insieme delle condizioni di esercizio dell’attività farmaceutica all’interno della Comunità, gli Stati membri beneficiano di un potere discrezionale per delineare il modello che meglio corrisponde ai loro desiderata in termini di tutela della sanità pubblica.

100.

Nel verificare se una misura nazionale, come quella oggetto del presente ricorso, rispetti il principio di proporzionalità, la Corte deve in definitiva accertare che gli Stati membri non abbiano superato i limiti che ne definiscono il potere discrezionale. Essa verifica inoltre se altre misure non contribuirebbero in maniera altrettanto efficace a garantire un livello elevato di tutela della sanità pubblica.

101.

Al riguardo, ritengo che, stabilendo che soltanto un farmacista possa essere titolare dell’esercizio di una farmacia, la Repubblica italiana non abbia oltrepassato i limiti che ne definiscono il potere discrezionale in materia di tutela della sanità pubblica e che, di conseguenza, tale regola non vada oltre quanto necessario per garantire un livello elevato di tutela della sanità pubblica.

102.

Non sono infatti persuaso che i provvedimenti di cui si è dato prova alla Corte e che, secondo la Commissione, dovrebbero essere sostituiti alla regola italiana potrebbero garantire un livello altrettanto elevato di tutela della sanità pubblica.

103.

In linea generale, occorre anzitutto sottolineare che la regola che vieta ai non farmacisti la titolarità dell’esercizio di una farmacia costituisce una misura volta a prevenire l’insorgere degli eccessi che ho sottolineato in precedenza, in particolare i rischi di conflitto d’interessi che potrebbero essere connessi ad una integrazione verticale del settore farmaceutico e che potrebbero influire negativamente sulla qualità dell’azione di distribuzione dei medicinali. Questa dimensione preventiva assume un’importanza particolare nel momento in cui viene in rilievo l’imperativo della tutela della sanità pubblica. Orbene, la creazione di un sistema di responsabilità sia del gestore non farmacista sia dei farmacisti stipendiati e di un regime di sanzioni nei loro confronti non mi sembra sufficiente a garantire un livello altrettanto elevato di tutela della sanità pubblica, poiché si tratta principalmente di misure destinate a correggere ex post alcuni eccessi nel momento in cui questi si sono effettivamente concretizzati ( 24 ).

104.

Non penso inoltre che il semplice obbligo della presenza di un farmacista stipendiato per lo svolgimento di compiti che implicano un rapporto con i terzi sia idoneo a garantire, con la stessa esigenza in termini di qualità e di neutralità dell’azione di distribuzione dei medicinali, l’adeguato rifornimento di farmaci alla popolazione.

105.

Vero è che un farmacista stipendiato è tenuto al rispetto delle regole professionali e deontologiche. Tuttavia, poiché non padroneggia la politica commerciale della farmacia ed è tenuto nei fatti ad applicare le istruzioni del suo datore di lavoro, non è escluso che un farmacista stipendiato che lavora in una farmacia gestita da un non farmacista sia indotto a privilegiare l’interesse economico della farmacia a discapito delle esigenze connesse all’esercizio di un’attività farmaceutica. Non si può quindi escludere che un esercente non farmacista, privo della competenza professionale sufficiente per valutare le esigenze dell’azione di distribuzione di medicinali, sia tentato di ridurre l’attività di consulenza ai pazienti o anche di sopprimere talune attività poco redditizie, come la realizzazione dei preparati farmaceutici. La conseguenza sarebbe un basso livello della qualità dell’azione di distribuzione dei medicinali, che difficilmente potrebbe essere contrastato dal farmacista stipendiato, tenuto ad applicare le istruzioni impartite dal suo datore di lavoro.

106.

Cosa ancor più fondamentale, ricordo che, a mio parere, la distinzione tra gli aspetti interni e quelli esterni dell’attività farmaceutica è di natura artificiale e che ritengo inevitabile che, controllando la farmacia, l’esercente ne determini la politica commerciale. È pertanto difficile assicurarsi che l’esercente non farmacista non interferisca nei rapporti tra il farmacista e la clientela, e ciò anche in maniera indiretta, allorché gestisce la fornitura di medicinali presenti nella farmacia. Difatti, una cattiva gestione di tale fornitura si ripercuoterebbe necessariamente sulla qualità dell’azione di distribuzione dei medicinali.

107.

La regola italiana si rivela pertanto necessaria perché implica che il farmacista proprietario di una farmacia sia personalmente responsabile dinanzi ai propri pari delle sue decisioni relative alla qualità dei servizi professionali offerti nella sua farmacia, che sia personalmente soggetto a tutte le disposizioni di legge, regolamentari e deontologiche che delimitano l’esercizio della professione di farmacista, e che non subisca alcuna influenza da parte di terzi non farmacisti circa la conduzione degli affari della propria farmacia.

108.

Pertanto, il nesso tra la competenza professionale nel settore farmaceutico e la proprietà della farmacia permette all’esercente di valutare correttamente le conseguenze delle sue decisioni commerciali riguardo al compimento della missione di interesse pubblico di cui è investito, ossia un rifornimento adeguato di farmaci alla popolazione.

109.

Infine, il collegare alla persona del farmacista l’autorizzazione all’esercizio di una farmacia è uno strumento efficace per garantire il carattere appropriato del rifornimento di farmaci alla popolazione, in particolare perché, in caso di colpa professionale, il farmacista esercente si espone al ritiro non soltanto della sua abilitazione professionale, ma altresì dell’autorizzazione all’esercizio, con le gravi conseguenze economiche che ne derivano. Oltre alle conseguenze proprie delle norme disciplinari, le colpe professionali del farmacista mettono in gioco la sua esistenza economica, il che rappresenta un incentivo supplementare a gestire la farmacia privilegiando l’imperativo della sanità pubblica. Di conseguenza, la regola che impone di riunire in un’unica persona la competenza e la deontologia professionale con la responsabilità economica della farmacia è necessaria per garantire la prevalenza dell’interesse generale.

110.

Alla luce di questi elementi, ritengo pertanto che la regola italiana per la quale soltanto un farmacista può essere titolare dell’esercizio di una farmacia non vada oltre quanto necessario per garantire un livello elevato di tutela della sanità pubblica e, in particolare, per garantire alla popolazione un rifornimento di farmaci vario e di qualità. A mio avviso, dunque, imporre la regola per cui chi gestisce economicamente la farmacia e chi, a questo titolo, ne determina la politica commerciale sia un farmacista è conforme all’art. 43 CE.

111.

Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, l’analisi appena effettuata in merito al carattere adeguato e proporzionato della regola in forza della quale soltanto un farmacista può essere titolare dell’esercizio di una farmacia non mi sembra possa essere rimessa in discussione dal fatto che, in alcune circostanze, l’esercizio di una farmacia da parte di un non farmacista è consentito nel diritto italiano. Le ipotesi contemplate sono le seguenti.

112.

Si tratta, in primo luogo, della facoltà concessa agli eredi del proprietario di una farmacia privata di gestirla per un periodo massimo di dieci anni dal decesso del farmacista, anche se non possiedono le qualifiche necessarie. In questo modo, il legislatore italiano ha tentato di conciliare la regola che vieta ai non farmacisti la titolarità dell’esercizio di una farmacia con la necessità di tutelare gli interessi dei familiari del farmacista. Non mi sembra che questa deroga possa mettere in discussione la coerenza della legislazione italiana in quanto, da un lato, essa è limitata nel tempo e, dall’altro lato, non compromette l’oggetto fondamentale di tale legislazione, ossia prevenire i rischi di conflitti d’interessi che potrebbero essere connessi ad una integrazione verticale del settore farmaceutico.

113.

In secondo luogo, si tratta della situazione particolare delle farmacie comunali. Al riguardo, ricordo che l’art. 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prevede la possibilità per i comuni di costituire, per la gestione delle farmacie pubbliche, società per azioni i cui azionisti non sono necessariamente dei farmacisti. Per questo tipo di farmacie, la scissione tra la titolarità della farmacia, che resta in capo all’ente locale, e la sua gestione, affidata ad una società di capitali a maggioranza privata non composta esclusivamente di farmacisti, è quindi permessa.

114.

A mio avviso, questa alterazione del principio dell’indivisibilità della proprietà e della gestione di una farmacia non è tale da pregiudicare la coerenza della legislazione italiana. Difatti, come ha dimostrato la Repubblica italiana, l’ente locale che affida ad una società privata la gestione di una farmacia dispone di un certo numero di poteri che le consentono di orientare e di vigilare sul modo in cui detta farmacia assolve al suo compito di rifornimento di medicinali alla popolazione.

115.

Il controllo del comune sulla gestione della farmacia si esercita, anzitutto, in attuazione delle prescrizioni che, caso per caso, sono inserite nella gara d’appalto, negli statuti della società prestatrice di servizi e nei contratti di servizi. Si tratta di prescrizioni che riguardano le modalità concrete di gestione della farmacia e, in particolare, le questioni relative alla tutela esercitata dal comune e alle sanzioni in cui incorre il prestatore in caso di gestione non conforme all’obiettivo della tutela della sanità pubblica. Occorre inoltre specificare che, oltre a rimanere titolare della farmacia e alla possibilità di rompere il rapporto contrattuale che lo lega alla società incaricata del servizio, l’ente locale ha il potere di designare uno o più amministratori e revisori contabili.

116.

L’insieme di questi elementi a mio avviso permette di garantire che l’esercizio delle farmacie comunali assicuri in concreto la prevalenza dell’interesse generale e, più precisamente, un rifornimento adeguato di farmaci alla popolazione. Non mi sembra pertanto che sia pregiudicata la coerenza della legislazione italiana.

117.

Infine, ritengo debba essere respinto l’argomento secondo cui il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza Commissione/Grecia, precedentemente citata, riguardo alla gestione dei negozi di ottica, dovrebbe essere applicato alle farmacie.

118.

Nel riscorso per inadempimento proposto contro la Repubblica ellenica, la Commissione chiedeva alla Corte di dichiarare che tale Stato membro era venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza degli artt. 43 CE e 48 CE. In primo luogo, essa contestava a tale Stato membro di impedire ad un ottico diplomato, in quanto persona fisica, di gestire più di un negozio di ottica. In secondo luogo, essa contestava la legislazione nazionale che subordinava la possibilità per una persona giuridica di aprire un negozio di ottica alle seguenti condizioni:

che l’autorizzazione ad aprire e gestire il negozio di ottica fosse rilasciata a nome di un ottico autorizzato, persona fisica; che la persona titolare dell’autorizzazione a gestire il negozio partecipasse per almeno il 50% al capitale sociale, nonché ai profitti e alle perdite; che la società fosse costituita in forma di società in nome collettivo o in accomandita, e

che l’ottico in questione partecipasse a non più di un’altra società proprietaria di un negozio di ottica, a condizione che l’autorizzazione ad aprire e a gestire il negozio fosse rilasciata a nome di un altro ottico autorizzato.

119.

Dopo aver accertato l’esistenza di restrizioni alla libertà di stabilimento ( 25 ), la Corte ha esaminato in maniera generale se i diversi aspetti contestati della legislazione greca fossero o meno giustificati dall’obiettivo di protezione della sanità pubblica e ha ritenuto che così non fosse, in quanto non era rispettato il principio di proporzionalità.

120.

La Corte ha infatti considerato che «l’obiettivo di protezione della sanità pubblica invocato dalla Repubblica ellenica può essere raggiunto attraverso misure meno restrittive della libertà di stabilimento sia delle persone fisiche sia delle persone giuridiche, ad esempio attraverso il requisito della presenza di dipendenti o soci che siano ottici diplomati in ogni negozio di ottica, attraverso norme applicabili in materia di responsabilità civile per fatto altrui, nonché norme che impongano un’assicurazione di responsabilità professionale» ( 26 ).

121.

A mio parere, la Corte dovrebbe seguire un orientamento diverso per quel che riguarda l’attività di distribuzione di medicinali, la quale differisce dall’attività di vendita di prodotti ottici in ragione dell’ampiezza del suo impatto sulla salute pubblica.

122.

Vero è che la Corte ha ammesso che la vendita delle lenti a contatto non può essere considerata come un’attività commerciale analoga ad altre, poiché il venditore dev’essere in grado di fornire agli utilizzatori informazioni relative all’uso e alla manutenzione delle lenti ( 27 ). Per tale motivo essa ha dichiarato che una normativa nazionale che vieta la vendita di lenti a contatto e di prodotti accessori negli esercizi commerciali che non sono diretti o gestiti da persone in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio della professione di ottico è giustificata da motivi di tutela della salute pubblica ( 28 ).

123.

Nondimeno, poiché i medicinali sono prodotti suscettibili di avere un’incidenza maggiore sulla salute rispetto ai prodotti ottici e, se usati scorrettamente, possono provocare la morte dei consumatori, ritengo che la loro distribuzione dovrebbe essere circondata da garanzie particolari. Mi sembra pertanto legittimo che uno Stato membro voglia raggiungere un livello elevato di tutela della sanità pubblica cercando di preservare la qualità e la neutralità dell’azione di distribuzione dei medicinali.

124.

Poiché, sotto il profilo della tutela della sanità pubblica, la distribuzione di medicinali non può essere messa sullo stesso piano della vendita di prodotti ottici, ritengo che uno Stato membro possa decidere, senza violare il principio di proporzionalità e per le ragioni già esposte, di riservare la titolarità dell’esercizio delle farmacie ai soli farmacisti.

125.

Per tutti i suddetti motivi, suggerisco alla Corte di dichiarare infondato il primo addebito sollevato dalla Commissione.

C — Sul secondo addebito

126.

Con il secondo addebito la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, avendo mantenuto in vigore disposizioni legislative che comportano l’impossibilità, per le imprese che distribuiscono prodotti farmaceutici, di acquisire partecipazioni nelle società di gestione di farmacie comunali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli articoli 43 CE e 56 CE.

127.

Ricordo innanzitutto che, allo scadere del termine stabilito nel parere motivato notificato a tale Stato membro, il decreto Bersani, che sopprime tale divieto, non era ancora stato adottato. Pertanto, la Corte non può prendere tale decreto in considerazione al fine di pronunciarsi sull’eventuale esistenza dell’inadempimento lamentato nell’ambito del presente addebito.

128.

Inoltre, per quanto riguarda la portata di tale addebito, occorre precisare che, contrariamente a quanto lascia intendere la Commissione in alcuni passaggi dei suoi atti ( 29 ), esso non si può estendere alle farmacie private, in quanto la sua formulazione successiva alla fase precontenziosa riguarda unicamente l’ipotesi delle farmacie comunali.

129.

Pertanto, a mio avviso la Corte deve limitare la sua valutazione al problema di determinare se gli artt. 43 CE e 56 CE ostino a che sia vietato ad un’impresa di distribuzione di medicinali di partecipare al capitale di una società che gestisce una farmacia comunale.

130.

Contrariamente a quanto avvenuto per il primo addebito, non si tratta qui di valutare la conformità con il diritto comunitario di una condizione per l’esercizio dell’attività farmaceutica in qualità di titolare di una farmacia. Ricordo difatti che, nel sistema di gestione delle farmacie comunali, i comuni rimangono titolari della farmacia, limitandosi a concederne l’esercizio ad una società il cui capitale può essere in maggioranza privato. Il problema qui è dunque di stabilire se il diritto comunitario osti o meno a che si impedisca ad un’impresa di distribuzione di medicinali di partecipare all’esercizio di una farmacia comunale tramite l’acquisizione di partecipazioni nel capitale della società privata incaricata della gestione.

131.

A mio avviso, non essendo applicabile alle sole partecipazioni che permettono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni della società che gestisce la farmacia comunale e di indirizzarne le attività, siffatto divieto può ricadere sotto l’ambito tanto dell’art. 43 CE quanto dell’art. 56 CE ( 30 ).

1. Sull’esistenza di restrizioni alle libertà di circolazione

132.

Secondo la Corte, devono essere qualificate come «restrizioni» ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE misure nazionali idonee a impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime ( 31 ).

133.

Nei limiti in cui la legislazione italiana può avere l’effetto di dissuadere persone stabilite in altri Stati membri e operanti nel settore della distribuzione farmaceutica dall’acquisire partecipazioni finanziarie in società aventi ad oggetto l’esercizio di una farmacia comunale in Italia, tale legislazione costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali.

134.

Riguardo alla libertà di stabilimento, è giurisprudenza costante che rientrano nell’ambito di applicazione per materia delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino dello Stato membro interessato, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività ( 32 ).

135.

Poiché le disposizioni nazionali in esame hanno, almeno in parte, l’effetto di impedire alle imprese di distribuzione farmaceutica di acquisire nel capitale delle società di gestione delle farmacie comunali delle partecipazioni che conferiscono loro un’influenza sicura sulle decisioni di tali società e consentono loro di indirizzarne le attività, bisogna altresì ritenere che esse comportano restrizioni alla libertà di stabilimento.

2. Sulla giustificazione delle restrizioni accertate

136.

Al pari della libertà di stabilimento, la libera circolazione dei capitali può essere limitata da provvedimenti nazionali che si giustifichino per le ragioni di cui all’art. 58 CE, o per ragioni imperative di interesse generale, purché non esistano misure comunitarie di armonizzazione che indichino i provvedimenti necessari a garantire la tutela di tali interessi ( 33 ).

137.

In proposito, ritengo che l’impossibilità per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle società di gestione di farmacie comunali sia giustificata alla luce dell’obiettivo di garantire un livello elevato di tutela della sanità pubblica.

138.

Ricordo che, in base alla legislazione italiana, i comuni possono costituire, per l’esercizio delle farmacie pubbliche, delle società per azioni i cui soci non siano necessariamente farmacisti.

139.

Ho osservato che, a mio avviso, questo strappo al principio di indivisibilità della proprietà e dell’esercizio di una farmacia non è tale da pregiudicare la coerenza della legislazione italiana, a causa di un certo numero di garanzie le quali fanno sì che l’esercizio delle farmacie comunali garantisca in concreto la prevalenza dell’interesse generale e, più precisamente, un rifornimento adeguato di farmaci alla popolazione. In particolare, i poteri di orientamento e di vigilanza di cui il comune dispone nei confronti della società esercente la farmacia comunale contribuiscono a prevenire il rischio di conflitti di interessi legati alla partecipazione di non farmacisti all’esercizio di questo tipo di farmacie.

140.

A mio parere, l’impossibilità per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle società esercenti farmacie comunali offre una garanzia in più che consente di evitare, in maniera rafforzata, i rischi di conflitti di interessi che potrebbero derivare dalla partecipazione di questa categoria di operatori economici all’esercizio delle farmacie comunali.

141.

Ritengo quindi che la Repubblica italiana poteva, senza violare il principio di proporzionalità, mantenere il divieto per le imprese di distribuzione di prodotti farmaceutici di acquisire partecipazioni nelle società esercenti farmacie comunali.

142.

Di conseguenza, a mio parere il secondo addebito deve essere dichiarato infondato.

VI — Conclusione

143.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco che la Corte voglia:

dichiarare infondato il ricorso per inadempimento in esame;

condannare la Commissione delle Comunità europee alle spese e le parti intervenienti alle proprie spese.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74 (Racc. pag. 631).

( 3 ) Sentenza 3 dicembre 1974, causa 33/74 (Racc. pag. 1299).

( 4 ) Infatti, il primo ‘considerando’ della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 75/362/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (GU L 167, pag. 1), precisa che in applicazione del Trattato CEE qualsiasi trattamento discriminatorio basato sulla nazionalità, in materia di stabilimento e di prestazione di servizi è vietato dopo la fine del periodo transitorio.

( 5 ) GU L 253, pag. 34.

( 6 ) GU L 253, pag. 37.

( 7 ) GU L 255, pag. 22.

( 8 ) La Repubblica italiana afferma che esistono circa 1600 farmacie comunali e 16000 farmacie private.

( 9 ) Causa C-140/03 (Racc. pag. I-3177).

( 10 ) V., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I-5901, punto 86); , causa C-177/03, Commissione/Francia (Racc. pag. I-11671, punto 19), e , causa C-412/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I-619, punto 42).

( 11 ) Sentenza 17 luglio 2008, causa C-207/07, Commissione/Spagna (punto 35).

( 12 ) V., in particolare sentenza 25 ottobre 2007, causa C-464/05, Geurts e Vogten (Racc. pag. I-9325, punto 16, e giurisprudenza ivi citata).

( 13 ) Sottolineo d’altronde che, nel ricorso per inadempimento che ha dato origine alla sentenza Commissione/Grecia, precedentemente citata, la Commissione aveva esaminato lo stesso tipo di problematica, a proposito dell’apertura di negozi di ottica, unicamente alla luce della libertà di stabilimento. Non ritengo quindi più necessario estendere tale problematica alla libera circolazione dei capitali.

( 14 ) Secondo l’espressione utilizzata da Michel, V., «La compétence de la Communauté en matière de santé publique», Revue des affaires européennes, 2003-2004/2, pag. 157 [«compétence conjointe à dominante nationale»].

( 15 ) V. Michel, V., op. cit., pag. 177.

( 16 ) V., in particolare, sentenza 11 settembre 2008, causa C-141/07, Commissione/Germania (Racc. pag. I-6935, punto 23, e giurisprudenza ivi citata).

( 17 ) V., in tal senso, sentenza Commissione/Germania, cit. (punto 25, e giurisprudenza ivi citata).

( 18 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Germania, cit. (punto 51).

( 19 ) V. sentenze 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France (Racc. pag. I-8961, punto 11, e giurisprudenza ivi citata); , causa C-299/02, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-9761, punto 15); Commissione/Grecia, cit. (punto 27), e , causa C-500/06, Corporación Dermoestética (Racc. pag. I-5785, punto 32, e giurisprudenza ivi citata).

( 20 ) V., in particolare, sentenze 5 giugno 2007, causa C-170/04, Rosengren e a. (Racc. pag. I-4071, punto 43), nonché Corporación Dermoestética, cit. (punto 35, e giurisprudenza ivi citata).

( 21 ) Sentenza Corporación Dermoestética, cit. (punto 37).

( 22 ) Per un elenco delle diverse attività del farmacista, v. art. 45, n. 2, della direttiva 2005/36.

( 23 ) Sentenza Commissione/Germania, cit. (punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

( 24 ) Gli argomenti fatti valere, a questo riguardo, dalla Commissione a sostegno della sua tesi mi sembrano in gran parte teorici e attualmente sconfessati dalla realtà della crisi economica dei nostri giorni. Infatti, l’esistenza nel sistema bancario di autorità di controllo e di regimi giuridici di responsabilità civile, commerciale e penale ha drammaticamente mostrato i propri limiti e la propria impotenza a prevenire o a controllare gli eccessi derivanti da una logica di remunerazione prioritaria del capitale investito.

( 25 ) Sentenza Commissione/Grecia, cit. (punti 27-29).

( 26 ) Ibidem (punto 35).

( 27 ) V., in tal senso, sentenza 25 maggio 1993, causa C-271/92, LPO (Racc. pag. I-2899, punto 11).

( 28 ) Ibidem (punto 13).

( 29 ) V., in particolare, il punto 5 della replica della Commissione.

( 30 ) V., per analogia, sentenza Commissione/Spagna, cit. (punti 36 e 37).

( 31 ) Ibidem (punto 34,e giurisprudenza ivi citata).

( 32 ) Ibidem (punto 60. e giurisprudenza ivi citata).

( 33 ) Ibidem (punto 41).