CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
M. POIARES MADURO
presentate il 3 aprile 2008 ( 1 )
Causa C-524/06
Heinz Huber
contro
Bundesrepublik Deutschland
«Protezione dei dati personali — Cittadinanza europea — Divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza — Direttiva 95/46/CE — Nozione di “necessità” — Trattamento generale di dati personali riguardanti cittadini dell’Unione aventi la nazionalità di un altro Stato membro — Registro centrale degli stranieri»
1. |
La presente causa verte sul trattamento dei dati personali dei cittadini UE non tedeschi residenti in Germania. Il giudice del rinvio chiede se il trattamento dei dati contenuti in un registro centrale gestito dal Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati), cui hanno accesso anche altre autorità pubbliche, sia compatibile con il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, il diritto di stabilimento e la direttiva 95/46 ( 2 ), atteso che non esiste un analogo registro per i cittadini tedeschi. |
I — Fatti
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Il ricorrente nella causa principale, il sig. Heinz Hubert, è un cittadino austriaco. Egli vive e lavora in Germania dal 1996. I dati personali degli stranieri residenti in Germania, compresi quelli dei cittadini di altri Stati membri, vengono conservati in un registro centrale gestito dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati. Le informazioni relative al sig. Huber contenute nel registro includono i suoi dati anagrafici e il suo stato civile, gli estremi del suo passaporto, la data del suo primo ingresso in Germania, la sua residenza e i vari cambiamenti di domicilio all’interno del paese, i dettagli relativi alle autorità competenti per la registrazione e l’indicazione degli uffici amministrativi che hanno comunicato i suoi dati. I dati relativi ai cittadini tedeschi vengono conservati solo in registri locali, comunali, poiché non esiste per loro alcun registro centrale a livello federale. |
3. |
Nel 2002 il sig. Huber chiedeva, sul fondamento degli artt. 12 CE e 49 CE e della direttiva 95/46, la cancellazione dei propri dati dal registro centrale. La sua richiesta veniva respinta dal Bundesverwaltungsamt (Ufficio amministrativo federale), che era l’organo competente all’epoca dei fatti, e veniva rigettato anche il reclamo amministrativo proposto dinanzi allo stesso Ufficio. Il sig. Huber adiva quindi il Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo) con la medesima domanda. Quest’ultimo accoglieva il ricorso, dichiarando che la conservazione dei dati del ricorrente era incompatibile con il diritto comunitario. L’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati impugnava la sentenza del Tribunale amministrativo dinanzi all’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (Corte d’appello amministrativa della Renania settentrionale-Vestfalia), che ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti tre questioni pregiudiziali: «Se il trattamento generale di dati personali di cittadini dell’Unione in un registro centralizzato degli stranieri sia compatibile con:
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II — Analisi
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Le prime due questioni sottoposte alla Corte di giustizia dal giudice nazionale vertono sulla compatibilità del sistema tedesco di trattamento dei dati dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione, in primo luogo, con il divieto generale di discriminazione sancito all’art. 12 CE (in combinato disposto con gli artt. 17 CE e 18, n. 1, CE, relativi rispettivamente alla cittadinanza dell’Unione e al diritto di circolare e soggiornare liberamente nell’Unione europea) e, in secondo luogo, con il diritto di stabilimento garantito dall’art. 43 CE. Condivido la tesi della Commissione secondo cui l’art. 12 CE costituisce il fondamento normativo più appropriato per analizzare la questione, dato che il ricorrente ha chiaramente esercitato il diritto conferitogli dal diritto comunitario, e garantito dall’art. 18, n. 1, CE, di spostarsi in un altro Stato membro. Ritengo infatti che il problema della discriminazione costituisca il fulcro del caso in esame. Se dovesse essere considerato incompatibile con il divieto di discriminazione in base alla nazionalità di cui all’art. 12 CE in relazione al diritto di circolare e soggiornare liberamente in uno Stato membro, il sistema tedesco sarebbe inammissibile a prescindere dalla circostanza che esso leda, o possa ledere, il diritto di stabilimento del ricorrente. Pertanto esaminerò anzitutto la questione della discriminazione e successivamente il requisito della necessità di cui alla direttiva 95/46, che costituisce l’oggetto della terza questione sottoposta alla Corte ( 3 ). |
A — Il sistema tedesco è discriminatorio nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea?
Situazioni analoghe
5. |
È pacifico tra le parti che esistono notevoli differenze tra il trattamento dei dati personali dei cittadini tedeschi e il trattamento dei dati dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea. La Germania non dispone di un sistema centralizzato di registrazione, conservazione e trattamento dei dati personali dei propri cittadini. Esistono, invece, circa 7700 registri civili comunali, che contengono i principali dati personali dei cittadini, ma non sono collegati tra loro e non possono essere consultati a livello centrale e simultaneamente. Per contro, i dati personali degli stranieri, compresi quelli dei cittadini di Stati membri dell’Unione europea, sono conservati non solo nei registri comunali, ma anche in un registro centrale degli stranieri tenuto dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati. Il registro centrale ha, inoltre, una portata molto più ampia e contiene informazioni aggiuntive che non figurano nei registri comunali, quali gli estremi del passaporto, le date di ingresso e di uscita dal paese, lo status di residenza, gli estremi di un’eventuale domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato e il suo esito, i particolari relativi alle espulsioni e alle corrispondenti misure di attuazione, informazioni su sospette attività criminose del soggetto considerato e sui suoi precedenti penali. Sussiste, pertanto, una disparità di trattamento tra i cittadini tedeschi e gli altri cittadini dell’Unione a tre diversi riguardi: in primo luogo, i dati personali dei cittadini stranieri vengono conservati non solo nei registri comunali, in cui sono parimenti registrati i dati dei cittadini tedeschi, ma anche nel registro centrale degli stranieri; in secondo luogo, il registro centrale contiene più informazioni sui soggetti considerati rispetto ai registri locali e, in terzo luogo, i dati relativi agli stranieri possono essere consultati rapidamente da varie autorità pubbliche attraverso il registro centrale, mentre ciò non è possibile nel caso dei cittadini tedeschi. La questione è se tale disparità di trattamento costituisca una discriminazione vietata. |
6. |
Il governo tedesco ricorda che una discriminazione presuppone che sussistano due situazioni analoghe che vengono trattate in modo diverso. Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità imposto agli Stati membri implica, quindi, che debbano essere trattate nello stesso modo soltanto le situazioni analoghe. Poiché lo status di residenza dei Tedeschi è diverso da quello degli stranieri, queste due categorie di persone non si troverebbero in una situazione analoga e quindi non sorgerebbero questioni di discriminazione. Sostiene la stessa tesi il governo danese, il quale osserva che i cittadini di un determinato Stato hanno sempre il diritto di entrare e di soggiornare nel proprio paese che, conformemente all’art. 3 del Quarto protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), non può espellerli o negare loro l’ingresso, mentre i cittadini stranieri dell’Unione fruiscono solo del diritto di ingresso e di soggiorno conferito loro dal diritto comunitario. Secondo il governo olandese, il criterio più pertinente per stabilire se le due situazioni siano analoghe è il trattamento dei dati relativi allo status di residenza. Poiché un cittadino tedesco residente in Germania e un cittadino di un altro Stato membro residente in Germania hanno diritti di soggiorno diversi — il primo ha un diritto illimitato basato sulla propria nazionalità, mentre il secondo ha un diritto limitato conferitogli dal diritto comunitario —, i loro dati personali potrebbero essere trattati in modo diverso senza ledere con ciò il diritto dei cittadini stranieri di non subire discriminazioni in base alla nazionalità. In sostanza, si fa valere che, sebbene in Germania esistano due sistemi diversi di trattamento dei dati, che si applicano secondo la nazionalità del soggetto considerato, non potrebbe sorgere alcun problema di discriminazione in base alla nazionalità, in quanto i cittadini tedeschi non sarebbero equiparabili agli altri cittadini dell’Unione europea. I primi hanno un diritto illimitato a soggiornare nel paese, mentre i secondi non hanno tale diritto. |
7. |
Questo ragionamento non mi convince. L’analisi deve iniziare dalla constatazione che esistono due sistemi di trattamento dei dati, uno per i Tedeschi e uno per gli altri cittadini dell’Unione. Certo, è esatto affermare che il diritto di soggiorno dei cittadini tedeschi non è identico a quello dei cittadini stranieri. Ma ciò significa solo affermare un’ovvietà; non dice nulla sul modo in cui tale differenza di status debba riflettersi sulla raccolta e sul trattamento dei dati personali dei cittadini tedeschi e dei cittadini di altri Stati membri. In altre parole, i governi tedesco, danese e olandese vorrebbero convincere che il fatto che i cittadini stranieri dell’Unione europea abbiano diritti di soggiorno limitati rispetto ai cittadini nativi sia la fine della storia, mentre è vero il contrario: è solo l’inizio. Per concludere che non sussiste discriminazione non basta rilevare che i cittadini tedeschi e quelli stranieri non si trovano nella stessa situazione. Occorre anche dimostrare che la differenza tra le rispettive situazioni è atta a giustificare la disparità di trattamento. In altri termini, la disparità di trattamento deve rapportarsi ed essere proporzionata alla differenza tra le situazioni. Concordo pertanto con la Commissione che, per stabilire se un cittadino tedesco si trovi in una situazione analoga a quella di un altro cittadino dell’Unione europea per quanto riguarda la raccolta e il trattamento dei dati personali da parte delle autorità tedesche, occorre esaminare gli scopi perseguiti da tale raccolta e trattamento. Il governo tedesco afferma che il trattamento sistematico dei dati personali in un registro centrale è necessario ai fini della normativa in materia di immigrazione e della verifica dello status di residenza, dell’effettiva applicazione della legge e della raccolta di dati statistici. Esaminerò in ordine successivo ciascuna di tali finalità. |
Il diritto di soggiorno e la normativa in materia di immigrazione
8. |
Il governo tedesco sostiene in via principale che il diritto comunitario consente agli Stati membri di imporre limitazioni all’ingresso e al soggiorno nel loro territorio dei cittadini di altri Stati membri, i quali possono anche essere espulsi. Per poter esercitare tale potere, le autorità tedesche necessiterebbero di un sistema efficace di raccolta dei dati personali e di controllo dei movimenti degli stranieri soggiornanti nel paese; detto sistema non sarebbe necessario per i Tedeschi in quanto essi hanno un diritto illimitato di soggiorno nel paese e non possono essere espulsi. Il governo tedesco formula due osservazioni a sostegno di tale argomento. In primo luogo, afferma che la direttiva 2004/38/CE, conferendo agli Stati membri la facoltà di imporre ai cittadini stranieri dell’Unione la registrazione presso le autorità competenti, ha implicitamente autorizzato la raccolta e il trattamento dei loro dati ( 4 ). In secondo luogo, il governo tedesco fa ampio richiamo alla sentenza della Corte nella causa Watson e Belmann ( 5 ). Detta causa riguardava una legge italiana che imponeva a tutti gli stranieri, compresi i cittadini dell’Unione, di registrarsi presso gli uffici della polizia locale entro tre giorni dall’ingresso in Italia e prevedeva, in caso di inosservanza, una pena pecuniaria o detentiva nonché l’eventuale espulsione. La Corte ha dichiarato che l’espulsione era «indubbiamente in contrasto» ( 6 ) con le disposizioni del Trattato, mentre le altre sanzioni dovevano essere proporzionate alla gravità dell’infrazione e non dovevano risolversi in un ostacolo alla libera circolazione delle persone. La Corte ha aggiunto, però, che «[i]l diritto comunitario, pur proclamando la libertà di circolazione delle persone ed attribuendo ai singoli che rientrano nella sua sfera d’applicazione il diritto di poter accedere al territorio degli Stati membri, per gli scopi contemplati dal Trattato, non ha soppresso la competenza degli Stati membri a prendere i provvedimenti atti a consentire alle autorità nazionali di essere costantemente e tempestivamente informate circa i movimenti della popolazione sul loro territorio» ( 7 ). Il governo tedesco conclude che, poiché gli Stati membri possono adottare provvedimenti per avere conoscenza esatta dei movimenti della popolazione, essi hanno senz’altro la facoltà di istituire un registro che raccolga informazioni su chi entra o chi esce dal loro territorio, finanche limitatamente ai cittadini degli altri paesi dell’Unione. |
9. |
In realtà, né la direttiva 2004/38 né la sentenza Watson e Belmann conferiscono agli Stati membri il potere di adottare qualsivoglia sistema di registrazione e di controllo dei cittadini di altri Stati membri. Certo, la registrazione implica necessariamente la raccolta, la conservazione e il trattamento dei dati personali dei cittadini dell’Unione e la direttiva 2004/38 non contiene, da parte sua, nessuna indicazione su come eseguire tali operazioni, lasciando gli Stati membri liberi di decidere ciascuno le proprie modalità. Questi ultimi, tuttavia, devono esercitare tale facoltà in modo compatibile con i propri obblighi di diritto comunitario, compreso il divieto di discriminazione in base all’origine nazionale. Pertanto, il fatto che il legislatore comunitario abbia implicitamente ammesso la possibilità che venga realizzato un sistema di registrazione dei dati non significa che esso abbia autorizzato gli Stati membri ad istituire qualsiasi sistema di raccolta e di trattamento dei dati ritengano appropriato. |
10. |
Analogamente, ritengo che il governo tedesco attribuisca eccessiva importanza al citato punto della sentenza Watson e Belmann. Detta sentenza costituisce un precedente solo limitatamente all’affermazione secondo cui gli Stati membri possono controllare i movimenti della popolazione. Essa non conferisce alle autorità nazionali la facoltà generalizzata di effettuare tale controllo in qualunque modo ritengano appropriato od opportuno e sicuramente non esenta gli Stati membri dagli obblighi loro imposti dal diritto comunitario, in particolare dal divieto di discriminazione in base alla nazionalità. Le autorità tedesche possono adottare provvedimenti per controllare i movimenti della popolazione, ma tali provvedimenti devono essere compatibili con il Trattato e con ogni altra disposizione pertinente del diritto comunitario. |
11. |
Ciò considerato, occorre esaminare i tre elementi del sistema tedesco che determinano una disparità di trattamento fra i cittadini nazionali e gli altri cittadini dell’Unione e valutare se essi si giustifichino in quanto strumenti di attuazione delle norme in materia di immigrazione e di soggiorno. |
12. |
È chiaro che il fatto di mettere i dati relativi ai cittadini dell’Unione a disposizione non solo delle autorità competenti in materia di immigrazione, ma anche della Pubblica amministrazione in generale non è giustificato da alcuna esigenza di attuazione delle norme in tema di soggiorno. Quand’anche il sistema in questione sia necessario affinché le autorità competenti in materia di immigrazione possano svolgere le loro funzioni, non per questo i dati ivi contenuti devono essere messi a disposizione di altre autorità e di altri organismi amministrativi o penali. Dall’ordinanza di rinvio risulta che le informazioni conservate nel registro degli stranieri possono essere utilizzate non solo dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, ma anche da molti altri organismi e autorità pubbliche, quali polizia, servizi di sicurezza, uffici del pubblico ministero, uffici giurisdizionali. Alcune di tali autorità possono estrapolare i dati mediante una procedura automatizzata. L’accesso a tali informazioni può essere accordato anche ad organizzazioni assistenziali private, a pubbliche autorità di altri Stati e ad organizzazioni internazionali. È evidente che la portata della raccolta e del trattamento dei dati attraverso il registro centrale degli stranieri è molto ampia e va al di là dello scopo di tener conto di tutti i tipi di rapporto tra un cittadino e lo Stato. Attraverso il registro centrale le varie autorità tedesche possono acquisire i dati relativi allo status personale dei cittadini comunitari soggiornanti nel paese, controllare sistematicamente e senza difficoltà i loro spostamenti e condividere tutte le informazioni necessarie a tale controllo. Il registro dell’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati è quindi molto più di un registro degli immigrati; esso costituisce un’ampia base di dati attraverso la quale le autorità pubbliche accedono rapidamente ai dati personali di cittadini comunitari. Il trattamento dei cittadini tedeschi è completamente diverso, dato che per loro non esiste un analogo sistema di registrazione dei dati. Un organismo amministrativo che necessitasse di informazioni su un cittadino tedesco dovrebbe effettuare una ricerca molto più onerosa e complessa nei registri comunali, che non vengono gestiti a livello centrale, non possono essere consultati simultaneamente e contengono meno informazioni rispetto al registro degli stranieri. |
13. |
Pertanto ritengo che la quantità di dati conservati nel registro centrale degli stranieri non sia giustificata. La registrazione dei cittadini dell’Unione è consentita dalla direttiva 2004/38 esclusivamente allo scopo di accertarne i diritti di soggiorno. Ne consegue che gli unici dati che gli Stati membri possono legittimamente raccogliere ed elaborare sono quelli relativi ai diritti di soggiorno dei cittadini dell’Unione. L’art. 8 della direttiva 2004/38, il cui n. 1 prevede la possibilità di imporre un obbligo di iscrizione, indica, al n. 3, le informazioni e i documenti che le autorità nazionali possono richiedere ai fini del rilascio dell’attestato d’iscrizione. Ai cittadini dell’Unione può essere chiesto di dimostrare la loro identità esibendo il passaporto o la carta d’identità e di fornire la documentazione relativa al lavoro o allo studio nel paese ospitante (nel caso in cui vi siano entrati come studenti o come lavoratori) o di provare le loro risorse finanziarie: tale elenco è tassativo e non indicativo. Adottando l’art. 8, n. 3, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno ritenuto che le informazioni ivi indicate siano sufficienti per consentire agli Stati membri di esercitare la loro facoltà di controllare quanti entrano e soggiornano nel paese. La raccolta, la registrazione e l’elaborazione di ulteriori dati oltre a quelli consentiti dall’art. 8, n. 3, della direttiva 2004/38, come quelle effettuate attualmente dalla Germania, non possono dunque essere giustificate con l’esigenza di dare attuazione alle norme in materia di soggiorno e di immigrazione. |
14. |
Il terzo elemento del sistema tedesco che determina una disparità di trattamento fra i Tedeschi e gli altri cittadini dell’Unione, cioè l’esistenza di un registro centrale per i secondi e di registri locali per i primi, fa sorgere una questione più difficile: l’elaborazione sistematica e centralizzata dei dati personali dei cittadini dell’Unione è necessaria per l’attuazione delle norme comunitarie sull’ingresso e il soggiorno? |
15. |
Devo subito rilevare che l’esistenza di due sistemi distinti di trattamento dei dati mette in cattiva luce i cittadini degli altri paesi dell’Unione, che il governo tedesco controlla in modo più rigoroso e sistematico rispetto ai propri cittadini. Mentre l’idea sottesa alle norme comunitarie sulla cittadinanza e sul diritto di ingresso e di soggiorno è che i singoli devono potersi integrare nella società dello Stato membro ospitante e beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali, il sistema in questione perpetua la distinzione tra «noi» — i nativi — e «loro» — gli stranieri. Un tale sistema potrebbe rafforzare i pregiudizi di singoli o di alcuni segmenti della società contro gli stranieri e stigmatizzare i cittadini dell’Unione semplicemente per la loro origine nazionale. Occorre inoltre rilevare che il controllo sistematico dei cittadini è associato, in alcuni Stati europei, per motivi storici, a regimi antidemocratici e totalitari, il che spiega, in parte, perché molti Europei ritengano tali sistemi particolarmente discutibili. D’altro canto, vi sono Stati europei in cui i sistemi centralizzati di trattamento dei dati esistono e non determinano particolari contrasti sociali. Nel caso di specie, la questione risulta ancora più delicata in quanto solo i dati dei cittadini degli altri Stati membri vengono sottoposti a un trattamento centralizzato. Al contempo, ciò potrebbe essere considerato una conseguenza del diverso status di residenza dei cittadini degli altri Stati membri in Germania. |
16. |
Ritengo che, nella fattispecie, il criterio adeguato sia quello dell’efficacia e che spetti al giudice nazionale applicarlo. La domanda che esso deve porsi è se le autorità competenti in materia di immigrazione possano dare attuazione alle norme relative al diritto di soggiorno con altre modalità di trattamento dei dati. In caso di soluzione affermativa, la registrazione e il trattamento centralizzato dei dati relativi ai cittadini dell’Unione andrebbero dichiarati illegittimi. Non occorre che il sistema alternativo sia il più efficace o appropriato; è sufficiente che esso funzioni adeguatamente. In altre parole, anche se un registro centrale è più efficace, funzionale o maneggevole dei sistemi alternativi (come i registri decentralizzati, locali), devono essere preferiti i secondi se sono sufficienti per conoscere lo status di residenza dei cittadini dell’Unione. |
17. |
Per valutare l’efficacia dei vari sistemi di registrazione il giudice nazionale deve tenere conto della giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al diritto di ingresso e di soggiorno negli Stati membri, dato che i poteri delle autorità nazionali in tale settore e i relativi limiti sono definiti nelle sue sentenze. Ad esempio, è chiaro da molti anni che uno Stato membro non può né impedire a un cittadino di un altro Stato membro di entrare nel suo territorio né espellerlo a propria discrezione; solo il comportamento di un singolo costituente una reale e grave minaccia per la società può giustificare un divieto di ingresso o un provvedimento di espulsione ( 8 ). Questo potere deve peraltro essere interpretato restrittivamente, in quanto costituisce una deroga al principio fondamentale della libera circolazione all’interno dell’Unione ( 9 ). Tali principi sono stati recentemente affermati dalla Corte nelle sentenze Commissione/Spagna ( 10 ) e Commissione/Germania ( 11 ) e sono stati sanciti a livello normativo con la direttiva 2004/38 ( 12 ). |
18. |
Naturalmente, qualsiasi discussione sul diritto di soggiornare in uno Stato membro e sui limiti di tale diritto deve tener conto del concetto di cittadinanza dell’Unione. Dopo l’adozione del Trattato sull’Unione europea non si può più pensare allo status dei cittadini dell’Unione e al loro diritto di entrare in uno Stato membro e di soggiornarvi nello stesso modo in cui vi si pensava in precedenza. Nella sentenza Baumbast la Corte ha spiegato tale principio nel modo seguente: «(…) è stato introdotto nel Trattato lo status di cittadino dell’Unione e (…) ad ogni cittadino l’art. 18, n. 1, CE ha riconosciuto il diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Ai sensi dell’art. 17, n. 1, CE, è cittadino dell’Unione ogni persona avente la nazionalità di uno Stato membro. Lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri» (il corsivo è mio) ( 13 ). Come la Corte ha dichiarato nella sentenza Grzelczyk, il punto di partenza nei casi di discriminazione dev’essere costituito dal fatto che i cittadini dell’Unione hanno diritto allo stesso trattamento dei cittadini nazionali, fatte salve le eccezioni espressamente previste ( 14 ). Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità non è più solo uno strumento al servizio della libertà di circolazione; esso si colloca al centro della nozione di cittadinanza europea e definisce la portata dell’obbligo degli Stati membri di trattare i cittadini dell’Unione come i cittadini nazionali. Benché non miri a sostituire i popoli nazionali con un «popolo europeo», l’Unione impone nondimeno agli Stati membri di non pensare e agire più solo in termini di interessi dei propri cittadini ma anche, per quanto è possibile, in termini di interessi di tutti i cittadini dell’Unione. |
19. |
Quando la Corte descrive la cittadinanza dell’Unione come lo «status fondamentale» dei cittadini non fa un’affermazione di natura politica; essa si riferisce alla cittadinanza dell’Unione in quanto nozione giuridica che va di pari passo con diritti specificamente conferiti ai cittadini dell’Unione. Tra questi il diritto principale è quello di entrare e soggiornare in un altro Stato membro. L’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38 rispecchia questo nuovo principio, laddove enuncia che «[i]l diritto fondamentale e personale di soggiornare in un altro Stato membro è conferito direttamente dal Trattato ai cittadini dell’Unione e non dipende dall’aver completato le formalità amministrative». |
20. |
Sulla base di quanto sopra esposto ritengo che due degli elementi del sistema di trattamento dei dati in esame, vale a dire il fatto che esso sia accessibile ad autorità diverse dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati e che includa varie informazioni personali ulteriori rispetto a quelle consentite dall’art. 8, n. 3, della direttiva 2004/38, non siano giustificabili con l’esigenza di dare attuazione alle norme in materia di immigrazione e alle disposizioni relative al diritto di soggiorno. La natura centralizzata del sistema si può giustificare solo nel caso in cui il giudice nazionale concluda, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al diritto di ingresso e di soggiorno in uno Stato membro, che un registro centrale rappresenta l’unico strumento efficace per dare attuazione alle norme in materia di immigrazione e di soggiorno. |
Applicazione del diritto in generale e dati statistici
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Il governo tedesco sostiene che, oltre alle questioni relative al diritto di soggiorno e alle norme in materia di immigrazione, vi sono altre considerazioni attinenti all’applicazione del diritto in generale, ossia la lotta contro la criminalità e le minacce alla sicurezza, che giustificano la disparità di trattamento fra i Tedeschi e gli altri cittadini dell’Unione. Effettivamente, l’applicazione del diritto e la lotta contro la criminalità potrebbero costituire, in via di principio, un legittimo motivo di ordine pubblico per limitare i diritti conferiti dal diritto comunitario. Gli Stati membri non possono, tuttavia, invocare tale motivo con selettività, vale a dire nei confronti dei cittadini dell’Unione soggiornanti nel loro territorio, ma non nei confronti dei propri cittadini. Se un registro centrale è così importante per tutelare efficacemente l’ordine pubblico, esso dovrebbe ovviamente riguardare chiunque soggiorni in un determinato paese, a prescindere dalla sua nazionalità. Le autorità nazionali non possono affermare che la lotta contro la criminalità richiede il trattamento sistematico dei dati personali dei cittadini degli altri Stati membri, ma non quello dei dati dei propri cittadini. Ciò equivarrebbe ad affermare che i cittadini UE costituiscono una minaccia più grave e sono più inclini a commettere reati rispetto ai cittadini nazionali, il che, come osserva la Commissione, è assolutamente inammissibile. |
22. |
Esiste, naturalmente, una questione di praticità. Disporre di un’ampia base di dati contenente informazioni personali su ogni straniero presente nel paese facilita il compito della polizia e dei servizi di sicurezza di controllare i movimenti e il comportamento dei singoli. È molto più complicato e richiede molto più tempo consultare migliaia di registri locali per reperire le informazioni volute, come occorre fare nel caso dei cittadini tedeschi. Tuttavia, in primo luogo, la praticità amministrativa non può giustificare in nessun caso un trattamento discriminatorio in base alla nazionalità né alcun’altra restrizione dei diritti conferiti dal diritto comunitario ( 15 ) e, in secondo luogo, se la polizia necessita di un metodo di controllo efficace, è chiaro che necessita dello stesso metodo sia per i Tedeschi che per gli stranieri. |
23. |
Il governo tedesco sostiene, infine, che il registro centrale dei cittadini dell’Unione è necessario per raccogliere informazioni statistiche sull’immigrazione e sugli spostamenti della popolazione in Europa. A tale proposito esso cita il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 11 luglio 2007, n. 862, relativo alle statistiche comunitarie in materia di migrazione e di protezione internazionale ( 16 ). Detto regolamento, però, non richiede né autorizza l’istituzione di un database contenente i dati personali dei cittadini dell’Unione che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione. Le statistiche, per definizione, sono anonime e impersonali. Tutto ciò che le autorità tedesche devono fare per adempiere gli obblighi loro imposti dal regolamento è raccogliere tali informazioni anonime sulla migrazione. |
24. |
Ritengo pertanto che la Corte debba risolvere come segue la questione se il sistema tedesco costituisca una discriminazione in base alla nazionalità: «Un sistema di registrazione e di trattamento dei dati come quello in discussione nella causa principale è incompatibile con il divieto di discriminazione in base alla nazionalità nella misura in cui include ulteriori dati oltre a quelli indicati all’art. 8, n. 3, della direttiva 2004/38 ed è accessibile a pubbliche autorità diverse da quelle competenti in materia di immigrazione. Anche il trattamento centralizzato dei dati personali applicabile esclusivamente ai cittadini di altri Stati membri è incompatibile con il divieto di discriminazione in base alla nazionalità se esistono altre modalità efficaci di applicazione delle norme in materia di immigrazione e di diritto di soggiorno, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare». |
B — Il requisito della necessità ai sensi della direttiva 95/46
25. |
Ai presenti fini la disposizione pertinente è quella dell’art. 7, lett. e), della direttiva 95/46, secondo cui gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando «è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati». La domanda che occorre porsi è, pertanto, se questo particolare trattamento centralizzato sia necessario per conseguire un legittimo scopo d’interesse pubblico. |
26. |
Nelle memorie presentate alla Corte il governo tedesco sostiene che l’interesse pubblico in gioco nel caso di specie è l’esercizio da parte degli Stati membri del proprio potere di dare attuazione al diritto comunitario quanto all’ingresso e al soggiorno dei cittadini dell’Unione nel loro territorio. Il sistema di trattamento dei dati attualmente in vigore sarebbe necessario per l’adempimento di tale compito, in quanto non esisterebbero altre misure meno intrusive che possano consentire alle autorità nazionali di dare attuazione alle norme in materia di immigrazione. |
27. |
Il concetto di necessità ha una lunga storia nel diritto comunitario e costituisce un elemento consolidato del criterio di proporzionalità. Esso comporta che l’autorità che adotta una misura interferente con un diritto tutelato dall’ordinamento comunitario per conseguire uno scopo legittimo deve dimostrare che essa rappresenta la misura meno restrittiva per raggiungere tale scopo ( 17 ). Inoltre, se il trattamento dei dati personali può ledere il diritto fondamentale alla vita privata, assume rilevanza anche l’art. 8 CEDU, che garantisce il diritto alla vita privata e familiare. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza Österreichischer Rundfunk e a., se una misura nazionale è incompatibile con l’art. 8 CEDU, non può essere compatibile neppure con l’art. 7, lett. e), della direttiva 95/46 ( 18 ). L’art. 8, secondo comma, CEDU dispone che un’ingerenza nella vita privata può essere legittima se persegue uno degli scopi ivi elencati ed è necessaria «in una società democratica». La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che l’aggettivo «necessaria» implica che esista per lo Stato «una pressante esigenza sociale» di agire in un determinato modo e che la misura adottata sia proporzionata al legittimo scopo perseguito ( 19 ). |
28. |
Tutto ciò significa che, visti i fatti di causa, la soluzione della terza questione dipende da un’analisi sostanzialmente analoga a quella effettuata per risolvere la questione relativa alla discriminazione in base alla nazionalità. Ho già spiegato che nel sistema di trattamento dei dati controverso esistono tre elementi discutibili. Per i primi due, la risposta alla domanda se essi siano necessari ai sensi della direttiva 95/46 è la stessa della conclusione relativa al divieto di discriminazione in base alla nazionalità: non sono necessari, quanto meno ai fini dell’applicazione delle norme sul diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini stranieri dell’Unione, che è il pubblico interesse invocato dal governo tedesco sul fondamento dell’art. 7, lett. e), della direttiva 95/46. Tutto ciò che occorre per adempiere tale compito è che l’autorità competente, ossia l’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, elabori i dati personali dei cittadini dell’Unione. La trasmissione ( 20 ) dei dati ad altre autorità pubbliche non soddisfa il requisito della necessità previsto dalla direttiva. Lo stesso vale per la quantità di dati conservati nel registro centrale. Le uniche informazioni che si possono legittimamente registrare ed elaborare sono quelle essenziali ai fini dell’applicazione delle norme in materia di immigrazione e di diritto di soggiorno. Per quanto riguarda i cittadini dell’Unione, tali informazioni sono elencate in modo esaustivo all’art. 8, n. 3, della direttiva 2004/38; tutto ciò che va al di là di tali informazioni non può essere considerato necessario ai fini della normativa in materia di immigrazione. Pertanto neppure il fatto che il registro centrale degli stranieri contenga dati aggiuntivi soddisfa il requisito della necessità ai sensi della direttiva 95/46. |
29. |
Ciò conduce direttamente al terzo elemento del sistema tedesco, cioè la sua natura centralizzata. Tale modalità di trattamento dei dati è compatibile con il requisito della necessità di cui alla direttiva 95/46? Anche in questo caso la soluzione non si discosta da quella della prima questione. Ritengo che spetti al giudice nazionale prendere una decisione su tale punto in base agli elementi sopra indicati ( 21 ). Anche se il governo tedesco dispone di una certa discrezionalità per quanto riguarda il modo di perseguire i propri legittimi scopi, il requisito della necessità di cui alla direttiva 95/46 implica che esso debba dimostrare che è impossibile dare attuazione alle disposizioni di diritto comunitario relative all’ingresso e al soggiorno in Germania dei cittadini di altri Stati membri se i dati di questi ultimi non vengono trattati a livello centrale. Un argomento secondo cui il trattamento centralizzato è più pratico, agevole o rapido rispetto a metodi di trattamento alternativi non basterebbe al governo tedesco per superare la prova della necessità. |
30. |
La questione sarebbe diversa e sostanzialmente più complessa, nonché potenzialmente più difficile da risolvere, se il giudice nazionale avesse chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità con il requisito di cui all’art. 7, lett. e), della direttiva 95/46 di un sistema centralizzato di trattamento dei dati applicabile a tutti i soggetti residenti in Germania; la necessità di tale sistema dovrebbe essere fondata su un interesse pubblico diverso dalla politica in materia di immigrazione. Ciò richiederebbe la ponderazione dello/degli interessi pubblici perseguiti mediante tale sistema centralizzato con i diritti individuali tutelati dalla citata direttiva la quale, se mira a rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei dati personali che potrebbero compromettere le attività commerciali transfrontaliere, è anche intesa ad assicurare un livello elevato di protezione dei dati nell’intera Comunità. Questa preoccupazione di tutela dei dati e della vita privata non è subordinata allo scopo di facilitare la libera circolazione dei dati, bensì è parallela ad esso e costituisce il fondamento di ogni legittimo trattamento dei dati. In altre parole, nel contesto della direttiva 95/46 la tutela dei dati non è meramente incidentale rispetto all’attività economica che può essere agevolata con il trattamento dei medesimi, bensì è al suo stesso livello. Ciò emerge dal titolo della direttiva («relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati»), dai ‘considerando’ secondo, decimo, undicesimo e dodicesimo nonché, ovviamente, dalle numerose disposizioni che impongono specifici obblighi ai responsabili del trattamento dei dati. Inoltre il diritto alla vita privata, che è sostanzialmente l’oggetto delle controversie in materia di tutela dei dati, è protetto dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Comunque sia, non è né necessario né opportuno sollevare tale questione ipotetica nel contesto della presente causa. |
31. |
Alla luce di quanto precede ritengo che la Corte debba risolvere la terza questione nel modo seguente: «Un sistema di registrazione e di trattamento dei dati come quello in discussione nella causa principale è incompatibile con il requisito della necessità di cui all’art. 7, lett. e), della direttiva 95/46 nella misura in cui include ulteriori dati oltre a quelli indicati all’art. 8, n. 3, della direttiva 2004/38 ed è accessibile ad autorità pubbliche diverse da quelle competenti in materia di immigrazione. Anche il trattamento centralizzato dei dati personali applicabile esclusivamente ai cittadini di altri Stati membri è incompatibile con il requisito della necessità di cui all’art. 7, lett. e), della direttiva 95/46, a meno che si dimostri che mancano altri modi per dare attuazione alle norme in materia di immigrazione e di diritto di soggiorno, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare». |
III — Conclusione
32. |
Per tali motivi propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni sottopostele dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen:
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( 1 ) Lingua originale: l’inglese.
( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31) (in prosieguo: la «direttiva 95/46»).
( 3 ) Un ulteriore motivo per esaminare congiuntamente le prime due questioni consiste nel fatto che l’ordinanza di rinvio non fornisce informazioni sufficienti per consentire alla Corte di giustizia di valutare se tale modalità particolare di trattamento dei dati abbia un impatto negativo sul diritto di stabilimento conferito al ricorrente dall’art. 43 CE. Anche il governo ellenico ritiene che la controversia vada esaminata alla luce dell’art. 12 CE, e non dell’art. 43 CE, in quanto non solleva questioni relative al diritto di stabilimento.
( 4 ) Art. 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, rettificata in GU L 229, pag. 35).
( 5 ) Sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75 (Racc. pag. 1185).
( 6 ) Ibid. (punto 20).
( 7 ) Ibid. (punto 17).
( 8 ) Sentenze 4 dicembre 1974, causa 41/74, van Duyn (Racc. pag. 1337); 26 febbraio 1975, causa 67/74, Bonsignore (Racc. pag. 297), e 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau (Racc. pag. 1999).
( 9 ) Sentenze 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili (Racc. pag. 1219), e Bouchereau, cit.
( 10 ) Sentenza 31 gennaio 2006, causa C-503/03 (Racc. pag. I-1097).
( 11 ) Sentenza 27 aprile 2006, causa C-441/02 (Racc. pag. I-3449).
( 12 ) L’art. 27, n. 2, della direttiva 2004/38 dispone che le limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno devono rispettare il principio di proporzionalità ed essere applicate esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’interessato, che deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. A norma dell’art. 31, le persone soggette a tali misure devono avere accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e amministrativi, compresi i procedimenti sommari.
( 13 ) Sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/99 (Racc. pag. I-7091, punti 81 e 82).
( 14 ) Sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99 (Racc. pag. I-6193, punto 31).
( 15 ) V. sentenza 26 gennaio 1999, causa C-18/95, Terhoeve (Racc. pag. I-345, punto 45: «considerazioni di ordine amministrativo non possono giustificare la deroga, da parte di uno Stato membro, alle norme del diritto comunitario. Questo principio è tanto più valido quando la deroga di cui trattasi ha l’effetto di escludere o limitare l’esercizio di una delle libertà fondamentali del diritto comunitario»).
( 16 ) GU L 199, pag. 23.
( 17 ) V., inter alia, sentenza 21 maggio 1987, cause riunite da 133/85 a 136/85, Rau e a. (Racc. pag. 2289).
( 18 ) Sentenza 20 maggio 2003, cause riunite C-465/00, C-138/01 e C-139/01 (Racc. pag. I-4989, punto 91).
( 19 ) V., inter alia, sentenze 24.11.1986, Gillow/Regno Unito (1989) 11, Racc. CEDU pag. 335, e 25.2.1997, Z/Finlandia (1998) 25, Racc. CEDU pag. 371.
( 20 ) La comunicazione di dati personali mediante trasmissione e diffusione costituisce una forma di trattamento: art. 2, lett. b), della direttiva 95/46.
( 21 ) Lo stesso approccio alla valutazione della necessità è stato adottato dalla Corte nella citata sentenza Österreichischer Rundfunk e a. (punto 88).