CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO Mengozzi
presentate il 13 settembre 2007 (1)
Causa C‑328/06
Alfredo Nieto Nuño
contro
Leonci Monlleó Franquet
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado Mercantil 3 de Barcelona)
«Marchi – Nozione di “marchio notoriamente conosciuto” − Estensione geografica della notorietà»
1. Nel presente procedimento pregiudiziale il giudice di rinvio pone alla Corte un quesito vertente sull’interpretazione dell’art. 4 della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (2).
2. Tale quesito è sollevato nell’ambito di una causa intentata dal titolare di un marchio registrato spagnolo contro il preutente di un marchio non registrato, identico al primo e usato per i medesimi servizi, al fine di far accertare la violazione da parte del convenuto dei diritti derivanti dal marchio registrato nonché di ottenere la cessazione degli atti costitutivi di detta violazione e del pregiudizio lamentato.
I – Contesto normativo di riferimento
A – La normativa internazionale
3. Firmata a Parigi il 20 marzo 1883 da undici Stati, la Convenzione d’unione di Parigi (3) per la protezione della proprietà industriale (in prosieguo: la «convenzione di Parigi») è stata la prima delle grandi convenzioni multilaterali intervenute nella materia ed è attualmente quella che raccoglie il maggior numero di adesioni (171 Stati contraenti (4), tra cui la totalità degli Stati membri della Comunità). Ai sensi del suo art. 1, n. 1, detta convenzione istituisce tra i paesi cui si applica un’unione, dotata di propri organi (5) e avente quale obiettivo la protezione della proprietà industriale in tutti i suoi aspetti (6).
4. L’art. 6 bis, introdotto nel testo della convenzione dalla conferenza di revisione dell’Aia del 1925 (7), dispone, al suo n. 1, quanto segue:
«I paesi dell’Unione s’impegnano a rifiutare o invalidare, sia d’ufficio – se la legislazione del paese lo consente – sia su richiesta dell’interessato, la registrazione e a vietare l’uso di un marchio di fabbrica o di commercio che sia la riproduzione, l’imitazione o la traduzione, atte a produrre confusione, di un marchio che l’autorità competente del paese della registrazione o dell’uso stimerà essere ivi già notoriamente conosciuto come marchio di una persona ammessa al beneficio della presente Convenzione e usato per prodotti identici o simili. Lo stesso dicasi quando la parte essenziale del marchio costituisce la riproduzione d’un marchio notoriamente conosciuto o un’imitazione atta a creare confusione con esso».
5. L’art. 16, nn. 1 e 2, dell’Accordo TRIPS (accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio) dell’Organizzazione mondiale del commercio (8) dispone quanto segue:
«1. Il titolare di un marchio di fabbrica o di commercio registrato avrà il diritto esclusivo di vietare a ogni terzo che agisce senza il suo consenso l’uso nel corso di operazioni commerciali di segni identici o simili per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio di fabbrica o di commercio è registrato nel caso in cui tale uso comporti un rischio di confusione. (…).
2. L’art. 6 bis della Convenzione di Parigi (1967) si applicherà, mutatis mutandis, ai servizi. Per determinare se un marchio di fabbrica o di commercio è notoriamente conosciuto i membri terranno conto della notorietà di detto marchio nel settore rilevante del pubblico, compresa la notorietà ottenuta nel membro interessato a seguito della promozione del marchio».
6. Allo scopo di «chiarire, unificare e completare» le disposizioni internazionali relative alla protezione dei marchi notoriamente conosciuti contenute nei sopramenzionati artt. 6 bis della convenzione di Parigi e 16 TRIPS, il Comitato permanente sul diritto dei marchi dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) (9), nel corso della sessione svoltasi a Ginevra dall’8 al 12 giugno 1999, ha formulato una risoluzione (10) per l’adozione di una raccomandazione congiunta riguardante le disposizioni relative alla protezione dei marchi notoriamente conosciuti. Tale raccomandazione è stata adottata durante la sessione comune dell’assemblea dell’Unione di Parigi e dell’assemblea dell’OMPI del 20‑29 settembre 1999.
7. L’art. 2 della raccomandazione in parola espone gli orientamenti da seguire per determinare se un marchio è notoriamente conosciuto in uno Stato membro dell’Unione di Parigi o dell’OMPI:
«1) [Fattori da prendere in considerazione]
a) Per stabilire se un marchio è notoriamente conosciuto l’autorità competente prenderà in considerazione qualsiasi circostanza dalla quale possa evincersi che il marchio è notoriamente conosciuto.
b) In particolare, l’autorità competente valuterà le informazioni che le vengono presentate in relazione ai fattori da cui può evincersi che il marchio è notoriamente conosciuto oppure no, comprese, ma non tassativamente, le informazioni relative agli elementi seguenti:
i) il grado di conoscenza o di riconoscimento del marchio nel settore pertinente del pubblico;
ii) la durata, l’importanza e l’estensione geografica di qualsiasi uso del marchio;
iii) la durata, l’importanza e l’estensione geografica di qualsiasi promozione del marchio, compresa la pubblicità o la diffusione e presentazione, in fiere o esposizioni, dei prodotti o servizi cui si applica il marchio;
iv) la durata e l’estensione geografica di qualsiasi registrazione, o di qualsiasi domanda di registrazione, del marchio, nella misura in cui rispecchiano l’uso o il riconoscimento del marchio;
v) i casi in cui è stata riconosciuta protezione ai diritti scaturenti dal marchio, in particolare la misura in cui il marchio sia stato dichiarato come notoriamente conosciuto dalle autorità competenti;
vi) il valore associato al marchio.
c) I fattori precedentemente menzionati, che costituiscono regole per aiutare l’autorità competente a determinare se un marchio sia notoriamente conosciuto, non costituiscono condizioni che devono essere necessariamente soddisfatte per giungere a tale conclusione. La valutazione dipenderà piuttosto dalle circostanze particolari del caso di specie. In alcuni casi potranno risultare rilevanti tutti i fattori, in altri solo alcuni di essi. In altri ancora potrà non risultare rilevante alcun fattore e la decisione potrà fondarsi su fattori ulteriori non menzionati alla precedente lett. b). Tali fattori ulteriori potranno risultare pertinenti da soli o in combinazione con uno o più fattori elencati alla precedente lett. b).
2) [Settore pertinente del pubblico]
a) I settori pertinenti del pubblico comprenderanno, in maniera non tassativa:
i) i consumatori reali e/o potenziali del tipo di prodotti e/o servizi cui si appone il marchio;
ii) le persone che fanno parte dei canali di distribuzione del tipo di prodotti e/o servizi cui si appone il marchio;
iii) gli ambienti commerciali che si occupano del tipo di prodotti e/o servizi cui si appone il marchio;
b) Qualora si stabilisca che un marchio è notoriamente conosciuto da almeno un settore pertinente del pubblico in uno Stato membro, esso sarà considerato notoriamente conosciuto dallo Stato membro.
c) Qualora si stabilisca che un marchio è conosciuto da almeno un settore pertinente del pubblico in uno Stato membro, esso potrà essere considerato notoriamente conosciuto dallo Stato membro.
d) Uno Stato membro potrà stabilire che un marchio è notorio, anche se non è notoriamente conosciuto o, qualora applichi la lett. c), conosciuto da un settore pertinente del pubblico dello Stato membro.
3. [Fattori che non potranno essere presi in considerazione]
a) Uno Stato membro non potrà richiedere quale condizione per determinare se un marchio è notoriamente conosciuto:
i) che il marchio sia stato utilizzato o registrato o che sia stata presentata una domanda di registrazione dello stesso nello Stato membro o in relazione a tale Stato;
ii) che il marchio sia notoriamente conosciuto o che sia stato registrato o che sia stata presentata una domanda di registrazione dello stesso in una giurisdizione diversa da quella dello Stato membro o in relazione ad una giurisdizione diversa da quella dello Stato membro;
iii) che il marchio sia notoriamente conosciuto dal pubblico in generale nello Stato membro.
b) Nonostante il disposto della lett. a), sub ii), uno Stato membro potrà richiedere, per l’applicazione del n. 2, lett. d), che il marchio sia notoriamente conosciuto in una o più giurisdizioni diverse da quella dello Stato membro».
B – La normativa comunitaria
8. Conformemente all’obiettivo indicato nei suoi ‘considerando’, la direttiva 89/104 mira al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, limitatamente alle disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno ostacolando la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi ovvero falsando le condizioni di concorrenza (v. primo e terzo ‘considerando’).
9. In tale ottica, la predetta direttiva subordina anzitutto l’acquisizione e la conservazione del diritto sul marchio registrato alle stesse condizioni in tutti gli Stati membri, individuando i segni suscettibili di costituire un marchio (art. 2), elencando in modo tendenzialmente esaustivo i motivi di impedimento alla registrazione o i motivi di nullità inerenti al marchio o ai conflitti con diritti anteriori (artt. 3 e 4) e di decadenza (art. 12).
10. Ai fini del presente procedimento, viene in rilievo segnatamente l’art. 4 della direttiva, intitolato «Altri impedimenti alla registrazione o motivi di nullità relativi ai conflitti con diritti anteriori», il quale, al n. 1, così recita:
«Un marchio di impresa è escluso dalla registrazione o, se registrato, può essere dichiarato nullo:
a) se il marchio di impresa è identico a un marchio di impresa anteriore e se i prodotti o servizi per cui il marchio di impresa è stato richiesto o è stato registrato sono identici a quelli per cui il marchio di impresa anteriore è tutelato;
b) se l’identità o la somiglianza di detto marchio di impresa col marchio di impresa anteriore e l’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dai due marchi di impresa [possono] dar adito a un rischio di confusione per il pubblico comportante anche un rischio di associazione tra il marcio di impresa e il marchio di impresa anteriore» (11).
11. Il n. 2, lett. d), del medesimo articolo dispone quanto segue:
«Per “marchi di impresa anteriori” ai sensi del paragrafo 1 si intendono:
(…)
d) i marchi di impresa che, alla data di presentazione della domanda di registrazione di marchio, o, se del caso, alla data della priorità invocata a sostegno della domanda di marchio, sono “notoriamente conosciuti” nello Stato membro ai sensi dell’articolo 6 bis della convenzione di Parigi» (12).
12. Il successivo n. 4, lett. b), prevede che:
«Ciascuno Stato membro può inoltre disporre che un marchio di impresa sia escluso dalla registrazione o, se registrato, possa essere dichiarato nullo se e nella misura in cui:
(…)
b) siano stati acquisiti diritti ad un marchio di impresa non registrato o ad un altro segno utilizzato in commercio prima della data di presentazione della domanda di registrazione del marchio di impresa successivo o, se del caso, della data di anteriorità invocata a sostegno della data di domanda di registrazione del marchio di impresa successivo e qualora questo marchio di impresa non registrato o questo altro segno dia al proprio titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio di impresa successivo» (13).
13. La direttiva 89/104 prevede inoltre disposizioni volte a garantire ai marchi d’impresa registrati la medesima tutela giuridica in tutti gli ordinamenti nazionali, fatta salva la facoltà per degli Stati membri di tutelare maggiormente i marchi che abbiano acquisito notorietà (v. nono ‘considerando’).
14. L’art. 6, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al n. 2 dispone quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio di un diritto anteriore di portata locale, se tale diritto è riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato e nel limite del territorio in cui esso è riconosciuto».
15. Giova infine ricordare che il dodicesimo ‘considerando’ della direttiva richiama l’esigenza che la regolamentazione da essa predisposta si ponga in perfetta armonia con le disposizioni della convenzione di Parigi, di cui tutti gli Stati membri sono parti contraenti.
C – La normativa nazionale
16. L’art. 6, nn. 1 e 2, della legge 7 dicembre 2001, n. 17 (legge sui marchi), prevede quanto segue:
«1. Un segno non può essere registrato come marchio:
a) se è identico a un marchio anteriore che designa prodotti o servizi identici;
b) se per l’identità o la somiglianza con un marchio anteriore e per l’identità o somiglianza dei prodotti o servizi che i due marchi contraddistinguono, esiste un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.
2. Per “marchi anteriori” ai sensi del paragrafo 1 si intendono:
a) i marchi registrati la cui data di domanda di registrazione o di rivendicazione della priorità del marchio sia anteriore alla domanda oggetto dell’esame e che appartengono alle categorie seguenti:
i) marchi spagnoli;
ii) marchi oggetto di una registrazione internazionale con effetto in Spagna;
iii) marchi comunitari;
b) i marchi comunitari registrati che, conformemente al regolamento sul marchio comunitario, rivendicano validamente l’anteriorità rispetto a un marchio di impresa di cui ai punti i) e ii) della lett. a), anche se quest’ultimo sia stato oggetto di una rinuncia o si sia estinto;
c) le domande di marchi di impresa di cui alle lettere a) e b), sotto riserva di registrazione degli stessi;
d) i marchi registrati che, alla data di presentazione della domanda di registrazione o di rivendicazione della priorità del marchio di cui trattasi, sono “notoriamente conosciuti” ai sensi dell’art 6 bis della convenzione di Parigi» (14).
II – Causa principale e questione pregiudiziale
17. I fatti della causa principale, quali emergono dalla decisione di rinvio e dal fascicolo, possono essere riassunti come segue.
18. Il ricorrente nella causa principale, il sig. Nieto Nuño, è titolare del marchio denominativo spagnolo FINCAS TARRAGONA, registrato per servizi rispondenti alla descrizione: «affari immobiliari: gestione di proprietà e comproprietà, locazione di immobili, vendite di immobili, assistenza giuridica, promozione immobiliare» e rientranti nella classe 36 ai sensi dell’Accordo di Nizza (15).
19. Il sig. Leonci Monlleó Franquet è titolare di un’agenzia immobiliare con sede a Tarragona, la quale dal 1978, data della sua creazione, offre servizi nei diversi settori dell’intermediazione immobiliare, della compravendita di immobili e della gestione immobiliare, utilizzando il segno distintivo FINCAS TARRAGONA, in castigliano, o FINQUES TARRAGONA, in catalano (16).
20. Convenuto dinanzi al giudice di rinvio nel quadro di un’azione volta a ottenere la cessazione dell’uso del segno FINCAS TARRAGONA (o FINQUES TARRAGONA), sul presupposto che tale uso violi i diritti collegati al marchio del ricorrente, il sig. Monlleó Franquet ha proposto domanda riconvenzionale, con la quale ha chiesto la cancellazione della registrazione del ricorrente, la cessazione da parte di quest’ultimo di qualsiasi uso del segno coperto da detta registrazione, nonché il risarcimento dei danni.
21. Il convenuto ha fondato la propria azione di nullità del marchio del ricorrente su due motivi. Con il primo si invocavano l’anteriorità e il carattere di marchio notoriamente conosciuto ai sensi del sopra richiamato art. 6 bis della convenzione di Parigi del segno distintivo utilizzato dal convenuto al fine di ottenerne la protezione prevista all’art. 6, n. 2, della legge sui marchi, il quale traspone in diritto spagnolo l’art. 4 della direttiva 89/104. Con il secondo motivo si invocava l’applicazione dell’art. 51, n. 1, lett. b), della legge sui marchi, in base al quale la registrazione di un marchio può essere dichiarata nulla e cancellata dal registro quando il richiedente abbia agito in mala fede al momento della presentazione della domanda di registrazione.
22. Dalla decisione di rinvio risulta accertato nella causa principale che il segno distintivo rivendicato dal convenuto è stato utilizzato in un ambito territoriale circoscritto alla città di Tarragona e ai suoi dintorni. Detta decisione sembra altresì implicare che il segno in questione ha acquisito, limitatamente all’area geografica in cui è stato utilizzato, notorietà per effetto dell’uso che ne è stato fatto.
23. Al fine di risolvere la controversia, il giudice di rinvio ha ritenuto necessario porre alla Corte la seguente questione pregiudiziale, attinente al primo motivo di nullità invocato dal convenuto e vertente sull’interpretazione dell’art. 4 della direttiva 89/104:
«Se la nozione di “marchio notoriamente conosciuto” in uno Stato membro, di cui all’art. 4, lett. d), della direttiva 89/104, debba essere riferito solo ed esclusivamente al grado di conoscenza e diffusione in uno Stato membro dell’Unione europea o di una parte significativa del territorio di detto Stato, o se la notorietà di un marchio possa essere legata a un ambito territoriale che non coincida con il territorio di uno Stato, ma con quello di una Comunità autonoma, di una regione, di un territorio o di una città, in funzione del prodotto o servizio che il marchio tutela e dei destinatari effettivi del marchio, in definitiva in funzione del mercato in cui il marchio opera».
III – Procedimento dinanzi alla Corte
24. In forza dell’art. 23 dello Statuto della Corte, hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte il convenuto nella causa principale, i governi francese e italiano e la Commissione.
IV – Analisi giuridica
A – Brevi cenni sulla decisione di rinvio e sulle osservazioni presentate ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte
25. Il giudice di rinvio muove dall’assunto che il segno distintivo sul quale si fonda l’azione di nullità proposta dal convenuto in via riconvenzionale sia ascrivibile alla categoria di marchi descritta dall’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva 89/104. Egli nutre dubbi quanto all’interpretazione della nozione di «marchio notoriamente conosciuto nello Stato membro ai sensi dell’art. 6 bis della convenzione di Parigi» di cui alla predetta disposizione, in particolare per quanto riguarda i requisiti concernenti l’estensione territoriale della notorietà da ricollegarsi al marchio. Detto giudice osserva che nella giurisprudenza spagnola prevale un orientamento secondo cui, ai fini dell’applicazione della disposizione della legge sui marchi che ha trasposto l’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva 89/104, la notorietà di un marchio deve essere necessariamente provata riguardo all’intero territorio dello Stato o a una sua parte sostanziale, mentre gli orientamenti adottati dall’OMPI preconizzerebbero un approccio più flessibile e articolato, che collega la notorietà non tanto al territorio quanto al mercato dei prodotti o dei servizi in cui il marchio esplica la sua funzione.
26. Il convenuto nel giudizio principale osserva che esigere che la notorietà di un marchio si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro o a una sua parte sostanziale discriminerebbe le imprese che svolgono la loro attività in un contesto geografico più ristretto. Egli fa inoltre valere che, ai fini della risoluzione della controversia principale, la Corte deve pronunciarsi sul quesito pregiudiziale posto dal giudice di rinvio tenendo conto della circostanza che, nel caso di specie, il marchio registrato sarebbe utilizzato nel medesimo ambito territoriale di diffusione del marchio anteriore e che il conflitto tra i due marchi in questione avverrebbe in un contesto puramente locale, circoscritto al territorio di una provincia spagnola.
27. Con argomentazioni largamente simili i governi francese e italiano nonché la Commissione propongono invece alla Corte di rispondere al quesito posto dal giudice di rinvio nel senso che la nozione di «marchio notoriamente conosciuto» che figura all’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva 89/104 si riferisce al grado di conoscenza del marchio nel territorio di uno Stato membro (per il governo francese) o di una sua parte sostanziale (per il governo italiano e la Commissione).
B – Valutazione
28. L’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva 89/104 rinvia, come si è visto sopra, all’art. 6 bis della convenzione di Parigi. Orbene, detto rinvio non comporta unicamente il recepimento nella normativa comunitaria di una nozione di notorietà del marchio elaborata in sede internazionale − di cui peraltro l’art. 6 bis della convenzione di Parigi non contiene alcuna definizione −, ma anche il riferimento a una ben definita categoria di situazioni giuridiche alle quali la disposizione convenzionale − e conseguentemente la direttiva − intende assicurare tutela. In altri termini, il rinvio di cui alla predetta disposizione della direttiva deve a mio avviso intendersi riferito all’ambito di applicazione materiale della norma internazionale richiamata, con il quale viene a coincidere quello della norma comunitaria rinviante.
29. Occorre dunque rivolgersi anzitutto alla norma convenzionale.
30. L’art. 6 bis della convenzione di Parigi costituisce un’eccezione al principio di territorialità − su cui si fonda il modello di tutela della convenzione − in base al quale il diritto al marchio, acquisito in un determinato ordinamento giuridico a seguito dell’espletamento delle necessarie formalità, è tutelato solo entro i confini di detto ordinamento (17). Lo scopo della disposizione in parola è quello di consentire al titolare di un marchio registrato o usato in uno Stato unionista di opporsi alla registrazione, o di invalidarla se già avvenuta, e all’uso dello stesso in un diverso paese dell’Unione in cui detto marchio abbia acquisito notorietà, sebbene non vi sia stato ancora registrato. Esso si basa sull’idea che un diritto al marchio possa sorgere, e debba conseguentemente essere tutelato, per effetto della sola notorietà acquisita nell’ambito di un determinato ordinamento nazionale. L’intento è in definitiva quello di scoraggiare le pratiche sleali indotte dalla notorietà del marchio, evitando che terzi possano appropriarsi dello stesso attraverso la sua registrazione o il suo uso in uno Stato in cui non è ancora tutelato, con il risultato di impedire al titolare l’accesso sul mercato in questione ovvero di indurlo a pagare per ottenere il trasferimento del diritto sul marchio.
31. L’attuale redazione dell’art. 6 bis, letto alla luce dell’art. 1, n. 2, della convenzione, si riferisce esclusivamente ai marchi di commercio e non anche ai marchi di servizio. Inoltre, sebbene l’uso del marchio nello Stato in cui è richiesta la protezione non sia espressamente previsto quale condizione di applicazione, la disposizione in parola non obbliga i paesi dell’Unione a tutelare i marchi notoriamente conosciuti che non siano stati usati in detto Stato (18). Infine, detta disposizione non costituisce una deroga al principio di specialità (o di relatività) né una norma volta a tutelare il marchio contro una possibile diluizione: l’ambito della tutela che essa assicura è limitato ai casi di conflitto tra marchi in relazione a merci identiche o affini e la sua applicazione è subordinata all’esistenza di un rischio di confusione (19).
32. L’art. 6 bis della convenzione di Parigi definisce dunque il contenuto minimo della tutela internazionale attribuita ai marchi notoriamente conosciuti.
33. Come si è visto, esso è concepito per applicarsi ai marchi registrati o usati in un paese dell’Unione − o comunque appartenenti a soggetti che hanno titolo a beneficiare delle disposizioni della convenzione – la cui notorietà travalica i confini dello Stato di origine in conseguenza dell’uso che ne è stato fatto in altri paesi dell’Unione, ad esempio attraverso la commercializzazione di prodotti che rivestono il marchio, ovvero per effetto di campagne promozionali.
34. Non è invece chiaro se l’art. 6 bis e più in generale le disposizioni della convenzione che, a integrazione del principio del trattamento nazionale (20), dettano gli standard minimi di protezione dei prodotti di proprietà industriale in essa disciplinati trovino applicazione anche riguardo a situazioni puramente interne, in cui la tutela sarebbe accordata da un paese dell’Unione nei confronti di un proprio cittadino (21), come sembra essere il caso della controversia pendente dinanzi al giudice di rinvio.
35. A tale questione si dà in dottrina una diversa risposta in funzione della natura e delle finalità che si riconoscono alla convenzione di Parigi. Secondo alcuni, quest’ultima intende realizzare un’armonizzazione minima delle legislazioni dei paesi dell’Unione nella sua sfera di applicazione materiale e detta quindi norme di diritto uniforme applicabili indipendentemente dalla nazionalità dei soggetti che ne invocano la protezione. Secondo altri, al contrario, si tratta di una convenzione internazionale che si occupa esclusivamente del trattamento degli stranieri, garantendo a questi ultimi una tutela minima al di là del principio del trattamento nazionale.
36. Secondo il primo orientamento, i paesi dell’Unione sarebbero tenuti, in virtù degli obblighi internazionali contratti, a modificare la propria legislazione interna per garantire l’applicazione anche nei confronti dei propri cittadini delle disposizioni della convenzione che definiscono i livelli minimi di protezione.
37. In base al secondo orientamento, invece, i paesi dell’Unione sarebbero tenuti ad accordare il c.d. «trattamento unionista» unicamente ai cittadini di altri paesi dell’Unione o di paesi terzi quando ricorrono le situazioni previste dall’art. 3 della convenzione. In tale ottica, quest’ultima fungerebbe solo da motore propulsivo del processo di armonizzazione legislativa all’interno dell’Unione, incentivando i paesi che ne fanno parte, ma non obbligandoli, a estendere ai propri cittadini i diritti di cui godono gli stranieri ex jure conventionis, allo scopo di evitare discriminazioni a danno dei primi.
38. Non ritengo opportuno che il giudice comunitario si pronunci, anche solo implicitamente, in merito alla questione sopra delineata, trattandosi in sostanza di determinare l’estensione degli obblighi incombenti agli Stati membri in virtù di una convenzione di diritto internazionale della quale la Comunità non è parte contraente, e ciò nonostante dall’opzione per l’una o per l’altra tesi dipenda in definitiva, in virtù del rinvio alla norma internazione che essa contiene, l’ambito di applicazione di una disposizione di diritto comunitario derivato. Spetta, infatti, a ciascuno Stato membro, in assenza di una chiara indicazione in sede convenzionale, determinare se e a che titolo − in ottemperanza a un obbligo scaturente dalla convenzione ovvero in virtù di una scelta legislativa mirata a evitare discriminazioni alla rovescia (22) − accordare il «trattamento unionista», e dunque la speciale protezione di cui all’art. 6 bis della convenzione, ai propri cittadini.
39. Non ritengo peraltro che si possa affermare, indipendentemente dall’ambito di applicazione che si vuole riconoscere all’art. 6 bis della convenzione di Parigi, che l’obbligo di tutelare i marchi notoriamente conosciuti ai sensi di detta disposizione anche in situazioni puramente interne si imponga agli Stati membri in virtù del diritto comunitario, dato che la disciplina dei marchi non registrati, categoria cui appartengono i marchi in parola, non costituisce a tutt’oggi oggetto di armonizzazione.
40. Per altro verso, mi sembra che una risposta in merito alla questione esposta al paragrafo 34 supra non sia neanche strettamente necessaria al fine della soluzione da dare al quesito posto dal giudice di rinvio, tenuto conto degli obiettivi e del sistema della direttiva 89/104.
41. A tale proposito, si deve preliminarmente ricordare che l’art. 6 bis della convenzione di Parigi, quanto meno nell’ampio ambito di applicazione riconosciutogli dall’art. 16 dell’accordo TRIPS, si applica vuoi qualora il marchio sia divenuto notoriamente conosciuto a seguito di un uso dello stesso sul territorio dello Stato in cui è richiesta la tutela (23), vuoi qualora la notorietà sia stata acquisita in mancanza di uso in senso stretto, ma per effetto di campagne promozionali promosse sul territorio di detto Stato ovvero al di fuori dello stesso (c.d. «spill-over advertisement») o più semplicemente come conseguenza della notorietà del marchio acquisita all’estero (24).
42. Nel primo caso, il marchio di cui trattasi è un marchio usato sul territorio dello Stato ma in esso non registrato.
43. Siffatti marchi (c.d. « marchi di fatto») costituiscono l’oggetto di una specifica disposizione della direttiva 89/104, l’art. 4, n. 4, lett. b), in base alla quale ciascuno Stato membro può disporre che l’esistenza di diritti a un marchio anteriore non registrato costituisca motivo di impedimento alla registrazione di un marchio posteriore, o di nullità della stessa, qualora l’ordinamento dello Stato in questione riconosca diritti di esclusiva al suo titolare.
44. Nel sistema della direttiva, un marchio non registrato in uno Stato membro, ma ivi utilizzato, può dunque costituire un impedimento alla registrazione, o avere potere invalidante nei confronti di quest’ultima, al contempo in quanto marchio notoriamente conosciuto ai sensi dell’art. 6 bis della convenzione di Parigi, conformemente, ove ne ricorrano i presupposti di applicazione (25), all’art. 4, n. 2, lett. d), e in quanto marchio non registrato ai sensi dell’art. 4, n. 4, lett. b), ove la legislazione dello Stato membro in questione riconosca diritti di esclusiva a tale categoria di marchi.
45. Orbene, ai termini dell’art. 4, n. 4, lett. b), della direttiva 89/104, e coerentemente con quanto esposto nel suo quarto ‘considerando’, in base al quale essa «non priva gli Stati membri del diritto di continuare a tutelare i marchi di impresa acquisiti in seguito all’uso», ciascuno Stato membro è libero non solo di accordare protezione ai marchi non registrati, riconoscendo quindi l’uso di un segno quale fatto costitutivo di un diritto di esclusiva, ma altresì di definire i contorni, la portata e i presupposti di tale protezione.
46. La tutela può ad esempio essere subordinata alla condizione che il marchio abbia raggiunto un certo livello di notorietà o che il suo uso abbia assunto una determinata dimensione geografica, oppure prescindere completamente da ogni requisito connesso a un livello minimo di conoscenza del segno presso il pubblico o all’ambito territoriale della sua utilizzazione.
47. Ne consegue che, in linea di principio, anche un marchio anteriore non registrato, il quale, per effetto dell’uso, abbia acquisito notorietà in uno Stato membro a livello puramente locale può costituire valido impedimento alla registrazione di un marchio successivo, o motivo di nullità della stessa, se così è previsto dalla legislazione di detto Stato membro (26).
48. In tali circostanze, mi sembra possibile concludere che ove i giudici di uno Stato membro interpretino la disposizione nazionale di trasposizione dell’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva 89/104 nel senso che un marchio anteriore usato sul territorio di detto Stato può costituire valido impedimento alla registrazione di un marchio successivo o esserne motivo di nullità anche qualora detto marchio anteriore non sia notoriamente conosciuto sull’intero territorio dello Stato o in una sua parte sostanziale ma in un ambito territoriale più ristretto, detta interpretazione non sarebbe incompatibile con il sistema e con gli obbiettivi della direttiva, stante il margine di manovra di cui gli Stati membri dispongono nel fissare i contenuti della protezione dei c.d. marchi di fatto nei rispettivi ordinamenti (27).
49. Non mi sembra possa valere ad infirmare la conclusione sopra delineata il rinvio contenuto all’art. 4, n. 2, lett. d), della direttiva all’art. 6 bis della convenzione di Parigi, posto che detta disposizione − quand’anche si dovesse interpretarla come riguardante esclusivamente i marchi notoriamente conosciuti a livello nazionale o interregionale − si limita, come si è visto sopra, a prevedere uno standard minimo di tutela (28).
50. Né ritengo che valga a contestare tale conclusione il solo rilievo che essa è di ostacolo a un’interpretazione e a un’applicazione uniforme delle cause di impedimento alla registrazione di un marchio o di nullità della stessa, poiché è la stessa direttiva che autorizza un tale risultato laddove consente agli Stati membri di definire la sfera di tutela da riconoscere ai marchi non registrati nel caso di conflitto con marchi depositati o registrati. Mi sembra anzi che precludere aprioristicamente, attraverso l’adozione di un’interpretazione uniforme a livello comunitario, un’interpretazione in ambito nazionale che consenta di applicare l’impedimento e il motivo di nullità di cui alla disposizione in parola anche a marchi di fatto (29) notoriamente conosciuti in una parte non sostanziale del territorio nazionale finisca per non tenere in debito conto i limiti dell’armonizzazione legislativa introdotta dalla direttiva 89/104.
51. Discende da quanto sopra esposto che, a mio avviso, alla luce del sistema e degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 89/104, l’art. 4, n. 2, lett. d), della stessa non osta a che, in sede di interpretazione e di applicazione della disposizione nazionale di trasposizione di tale articolo, si consideri notoriamente conosciuto ai sensi dell’art. 6 bis della convenzione di Parigi nello Stato membro in questione un marchio usato in detto Stato la cui notorietà non si estenda all’intero territorio dello stesso o a una sua parte sostanziale, ma resti circoscritta a un ambito geografico più ristretto.
V – Conclusioni
52. Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sottopostale dal Juzgado Mercantil 3 de Barcelona nei seguenti termini:
«L’art. 4, n. 2, lett. d), della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che l’impedimento alla registrazione di un marchio e il motivo di nullità della stessa in esso contemplati trovino applicazione anche qualora il marchio anteriore di cui trattasi, usato ma non registrato in uno Stato membro, sia notoriamente conosciuto non sull’intero territorio di detto Stato o in una sua parte sostanziale, ma in un ambito territoriale più ristretto».
1 – Lingua originale: l'italiano.
2 – GU 1989, L 40, pag. 1.
3 – La Convenzione di Parigi, così come modificata dal 1883 a oggi, è in realtà costituita da una serie di convenzioni incorporate nei testi elaborati dalle conferenze di revisione previste dall'art. 14, denominati «Atti» a partire dalla conferenza di Washington del 1911. Il testo attualmente in vigore è il risultato della revisione operata in occasione della conferenza di Stoccolma del 1967.
4 – V. http://www.wipo.int.
5 – Tali organi sono: l'Assemblea dell'Unione (art. 13), il suo Comitato esecutivo (art. 14), l'Ufficio internazionale della proprietà intellettuale (art. 15; in prosieguo: l'«Ufficio internazionale»), le Conferenze di revisione (art. 18, n. 2) e la Corte internazionale di giustizia (art. 28).
6 – Ai sensi dell'art. 1, n. 2, della convenzione, tale protezione ha per oggetto i brevetti d’invenzione, i modelli d’utilità, i disegni o modelli industriali, i marchi di fabbrica o di commercio, i marchi di servizio, il nome commerciale e le indicazioni di provenienza o denominazioni d’origine, nonché la repressione della concorrenza sleale. Una convenzione analoga in materia di diritto d'autore fu firmata a Berna nel 1886 (Convenzione di Berna per la protezione delle opere artistiche e letterarie).
7 – Tale articolo è stato successivamente modificato dalle conferenze di revisione di Londra del 1934, di Lisbona del 1958 e di Stoccolma del 1967.
8 – Allegato 1 C dell'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio.
9 – Come noto l'OMPI è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite, creata mediante una convezione internazionale firmata a Stoccolma nel 1967 e ha per missione la protezione della proprietà intellettuale attraverso la cooperazione tra gli Stati e in collaborazione con altre organizzazioni internazionali. Essa trae origine dalle strutture create dalle convenzioni di Parigi e di Berna, i cui uffici internazionali (uno per la proprietà industriale e l'altro per il diritto d'autore) si fusero nel 1893 dando luogo dapprima ai BIRPI (Bureaux internationaux réunis pour la protection de la propriété intellectuelle) e, successivamente, dopo il trasferimento della sede da Berna a Ginevra nel 1960, all'OMPI.
10 – Tale risoluzione si iscrive nel quadro delle procedure messe a punto dall'OMPI per accelerare l'elaborazione di regole e principi internazionali comuni e armonizzati al fine di tener conto della rapida evoluzione della proprietà industriale. Tali procedure sono complementari al metodo tradizionale di determinazione delle norme internazionali mediante trattati. Pur non essendo giuridicamente obbligatorie, le risoluzioni adottate dal Comitato permanente sul diritto dei marchi costituiscono un importante strumento di persuasione.
11 – Un'analoga disposizione è contenuta all'art. 8, n. 1, del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario.
12 – In senso analogo, v. art. 8, n. 2, lett. c), del regolamento n. 40/94.
13 – V. art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94.
14 – Traduzione non ufficiale.
15 – Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai quali si applicano i marchi di fabbrica o di commercio, riveduto a Stoccolma il 14 luglio 1967. La classe 36 comprende: «Assicurazioni; affari finanziari; affari monetari; affari immobiliari».
16 – Il sig. Leonci Monlleó ha tentato di registrare il segno utilizzato in vigenza della precedente legge spagnola sui marchi del 1988, ottenendo tuttavia un rifiuto.
17 – L'inserimento dell'articolo in parola nel corpo della convenzione fu deciso nel corso della convenzione di revisione dell'Aja del 1925 proprio allo scopo di evitare gli inconvenienti di una rigida applicazione di tale principio. Già nel corso della convenzione di revisione di Washington del 1905 si discusse sulla necessità di riconoscere al cittadino di un paese unionista il diritto di continuare a usare il proprio segno distintivo in un altro paese dell'Unione nonostante l'appropriazione che di tale segno fosse stata fatta da parte di un terzo in detto Stato. Successivamente la questione ha costituito oggetto di una raccomandazione del comitato economico della Società delle Nazioni, iscritta al programma della conferenza di revisione dell'Aja del 1925. Nella sua versione iniziale, l'art. 6 bis prevedeva l'obbligo dei paesi dell'Unione di escludere la registrazione di un segno, ovvero di invalidarla ove già avvenuta, qualora detto segno fosse notoriamente conosciuto nello Stato di registrazione come segno di un terzo avente titolo a beneficiare della convenzione. A seguito della conferenza di revisione di Lisbona del 1958 fu inserita altresì la possibilità di vietare l'uso del segno del terzo.
18 – Una proposta di modifica del testo dell'art. 6 bis nel senso di una sua estensione anche ai casi in cui il marchio non è stato usato nello Stato in cui è invocata la tutela è stata discussa e respinta nel corso della conferenza di revisione di Lisbona del 1958.
19 – L'art. 16, n. 2, dell'accordo TRIPS amplia notevolmente la sfera di tutela dei marchi notoriamente conosciuti al di là dell'ambito di applicazione dell'art. 6 bis della convenzione di Parigi. In base a tale disposizione detta tutela si estende ai marchi di servizio ed è riconosciuta anche nei casi di notorietà del marchio acquisita in assenza di uso dello stesso. Inoltre ai sensi del n. 3 di detto articolo la tutela non è limitata dal principio di specialità.
20 – L'art. 2, n. 1, della convenzione di Parigi stabilisce che i cittadini di ciascun paese dell'Unione godranno in tutti gli altri paesi dell'Unione dei vantaggi che le rispettive legislazioni garantiscono o garantiranno ai propri cittadini. Su tale principio, che comporta il superamento del principio di reciprocità, si fonda l'intero sistema della convenzione.
21 – Come si è visto sopra, in base agli artt. 2 e 3 della convenzione, l'ambito di applicazione ratione personarum della convenzione è definito in funzione del criterio della nazionalità (ovvero del domicilio o dello stabilimento nel caso di cittadini di paesi che non fanno parte dell'Unione).
22 – Diversi Stati membri, nel ratificare la convenzione di Parigi, o successivamente, ne hanno espressamente esteso l'applicazione ai propri cittadini, mostrando di ritenere l'ambito di applicazione della stessa limitato al trattamento degli stranieri. Per quanto concerne più precisamente l'ordinamento spagnolo, in base al combinato disposto dell'art. 3, nn. 1 e 3, della legge sui marchi le persone fisiche o giuridiche che hanno la cittadinanza spagnola o che risiedono abitualmente o hanno uno stabilimento industriale o commerciale serio ed effettivo sul territorio spagnolo o che godono dei benefici della convenzione di Parigi potranno invocare l'applicazione nei loro confronti delle disposizioni di detta convenzione, in quanto di applicazione diretta, ogniqualvolta queste ultime siano loro più favorevoli rispetto a quelle della legge sui marchi. Giova tuttavia segnalare, nel preambolo alla legge sui marchi, l'espressa indicazione dell'intenzione del legislatore, nel prevedere la tutela dei nomi commerciali non registrati, di «[risolvere] il problema della equiparazione di trattamento degli stranieri che possono invocare l'art. 8 della convenzione di Parigi (…) o il principio di reciprocità a coloro ai quali la legge dispensa la medesima protezione» («se resuelve así el problema de la equiparación de trato de los extranjeros que puedan invocar el artículo 8 des Convenio de París (…) o el principio de reciprocidad, a los que la Ley dispensa la misma protección»).
23 – Spetta allo Stato interessato stabilire cosa deve intendersi per uso sul proprio territorio; potrebbe ad esempio qualificarsi come tale anche un uso del marchio in connessione con prodotti destinati all'esportazione e quindi in assenza di smercio sul mercato nazionale, qualora il marchio sia comunque apposto nello Stato in questione. Anche la sola attività promozionale promossa sul territorio di uno Stato può essere considerata «uso».
24 – La mobilità e le moderne tecnologie di comunicazione evidentemente contribuiscono alla diffusione transnazionale del marchio, quanto meno nei rapporti tra paesi tecnologicamente avanzati.
25 – Relativi alla nazionalità del titolare, qualora si condivida la tesi che limita l'ambito di applicazione delle disposizioni della convenzione al trattamento degli stranieri, e alla notorietà nello Stato di protezione.
26 – A una diversa conclusione non si può a mio avviso giungere in considerazione del fatto che l'art. 6, n. 2, della direttiva riconosce al preuso di portata locale solo il diritto del titolare del marchio di continuare a utilizzarlo, poiché detta disposizione si limita a legittimare la limitazione al diritto di esclusiva conferito al marchio registrato nelle ipotesi in cui la legislazione di uno Stato membro consenta la convivenza di quest'ultimo con un diritto anteriore di portata locale, ma non opera quale limite alla facoltà riconosciuta agli Stati membri dall'art. 4, n. 4, lett. b), di tutelare un marchio anteriore non registrato, anche se avente portata puramente locale, nelle ipotesi di conflitto con un marchio successivo depositato o registrato. D'altro canto, se la direttiva avesse inteso escludere la facoltà di uno Stato membro di accordare potere invalidante anche a un marchio non registrato di portata locale non si comprenderebbe la precisazione di cui all'art. 8, n. 4, del regolamento n. 40/94, secondo la quale, per poter fondare un'opposizione alla domanda di registrazione di un segno come marchio comunitario, un marchio anteriore non registrato, tutelato in uno Stato membro, deve avere portata non esclusivamente locale.
27 – Spetta poi a detti giudici valutare se tale interpretazione si concilia con le scelte operate dal legislatore nazionale in sede di definizione del sistema interno di tutela dei marchi, in particolare per quanto concerne le modalità di acquisizione del diritto al marchio. Per quanto riguarda la Spagna, l'impianto della nuova legge sui marchi sembra basato su una rigida applicazione del principio della registrazione. Giova tuttavia rilevare che la disciplina dei marchi notoriamente conosciuti trovava una diversa collocazione all'interno del sistema normativo della precedente legge sui marchi spagnola (Ley 32/1988 del 10 novembre 1988), segnatamente all'art. 3, inserito nel titolo «Disposizioni generali», che definiva le modalità di acquisizione del diritto al marchio. In particolare, il n. 1 di detto articolo stabiliva che tale diritto «si acquista attraverso la registrazione» («El derecho sobre la marca se adquiere por el registro válidamente efectuado de conformidad con las disposiciones de la presente Ley»), mentre il successivo n. 2 riconosceva ai marchi anteriori notoriamente conosciuti in Spagna dal settore pertinente del pubblico potere invalidante rispetto alla registrazione posteriore di un marchio idonea a creare un rischio di confusione («Sin embargo, el usuario de una marca anterior notoriamente conocida en España por los sectores interesados podrá reclamar ante los Tribunales la anulación de una marca registrada para productos idénticos o similares que pueda crear confusión con la marca notoria, siempre que ejercite la acción antes de que transcurran cinco años desde la fecha de publicación de la concesión de la marca registrada, a no ser que ésta hubiera sido solicitada de mala fe, en cuyo caso la acción de anulación será imprescriptible»). Va peraltro rilevato che tale ultima disposizione, formulata in termini generali, non faceva alcuna specifica menzione dell'art. 6 bis della convenzione di Parigi.
28 – Secondo gli orientamenti adottati dall'OMPI, peraltro, ai fini della tutela da accordare ai marchi notoriamente conosciuti, la stessa dimensione territoriale della notorietà finisce per perdere rilievo, laddove si afferma che gli Stati possono accordare la tutela prevista dall'art. 6 bis della convenzione anche qualora il marchio in questione non sia notoriamente conosciuto o conosciuto sul territorio nazionale, ma solo all'estero (v. supra, paragrafo 7).
29 – Ciò non vale dunque, come già emerge dall'insieme delle considerazioni svolte, per l'ipotesi in cui detto impedimento o motivo di nullità sia fatto valere a beneficio di un marchio anteriore notoriamente conosciuto nello Stato membro in questione in assenza di uso di detto marchio sul territorio dello Stato.