Parole chiave
Massima

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1. Concorrenza — Intese — Divieto — Infrazioni — Accordi e pratiche concordate idonei ad essere considerati costitutivi di un’infrazione unica — Nozione

(Art. 81, n. 1, CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

2. Ricorso di annullamento — Decisione della Commissione adottata sul fondamento degli artt. 81 CE o 82 CE — Valutazione economica complessa — Sindacato giurisdizionale — Limiti

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

3. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Competenza del giudice comunitario a conoscere della legittimità e del merito

(Artt. 81 CE, 82 CE, 229 CE e 253 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, artt. 23, nn. 2 e 3, e 31)

4. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale conferito alla Commissione dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Violazione del principio di legalità delle pene — Insussistenza

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

5. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Pluralità di infrazioni

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

6. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

7. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Misura della capacità effettiva di causare un pregiudizio sul mercato interessato

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

8. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in categorie aventi un elemento specifico identico

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

9. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Necessità di prendere in considerazione il fatturato delle imprese interessate e di garantire che le ammende siano proporzionate al fatturato — Insussistenza

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 3; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

10. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in categorie aventi un elemento specifico identico

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, sesto comma)

11. Concorrenza — Ammende — Decisione con cui vengono inflitte ammende — Obbligo di motivazione — Portata

(Art. 253 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

12. Concorrenza — Intese — Partecipazione a riunioni tra imprese con oggetto anticoncorrenziale — Circostanza che, in assenza di una dissociazione rispetto alle decisioni adottate, consente di presumere la partecipazione alla conseguente intesa

(Art. 81, n. 1, CE)

13. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Durata dell’infrazione — Infrazioni di media e di lunga durata — Maggiorazione del 10% dell’importo di partenza per ogni anno

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 3; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 B)

14. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)

15. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Fatturato da prendere in considerazione per il calcolo dell’ammenda

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

16. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Presa in considerazione degli effetti dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

17. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Elementi di prova ammissibili

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 27, n. 1)

18. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Richiesta di informazioni — Diritti della difesa

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, n. 5)

19. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Cooperazione dell’impresa nel corso del procedimento amministrativo

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, nn. 4 e 5)

Massima

1. La nozione di infrazione unica riguarda la situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da un’identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate, consapevoli di partecipare all’oggetto comune). Una violazione dell’art. 81, n. 1, CE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o, ancora, da un comportamento continuato. Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche costituire di per sé stessi e presi isolatamente una violazione della detta disposizione. Ove le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto, consistente nel distorcere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme. Inoltre, la nozione di infrazione unica può riferirsi alla qualificazione giuridica di un comportamento anticoncorrenziale consistente in accordi, in pratiche concordate e in decisioni di associazioni di imprese.

La nozione di obiettivo unico non può essere determinata riferendosi in generale alla distorsione della concorrenza nel mercato interessato dall’infrazione, dal momento che l’incidenza sulla concorrenza costituisce, come oggetto o effetto, un elemento intrinseco a qualunque comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE. Una siffatta definizione della nozione di obiettivo unico rischierebbe di privare la nozione di infrazione unica e continuata di una parte del suo significato, in quanto avrebbe per conseguenza che vari comportamenti concernenti un settore economico, vietati dall’art. 81, n. 1, CE, dovrebbero essere sistematicamente qualificati come elementi costitutivi di un’infrazione unica. Pertanto, ai fini della qualificazione di comportamenti diversi come infrazione unica e continuata occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori nell’ambito di un piano complessivo diretto ad ottenere un unico obiettivo. A tale riguardo, occorre tenere conto di tutte le circostanze che possono provare o mettere in dubbio tale nesso, quali il periodo di applicazione, il contenuto e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti in questione. È quindi per ragioni obiettive che la Commissione può avviare procedimenti distinti, accertare varie infrazioni distinte e infliggere varie ammende distinte.

La qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e medesima infrazione oppure di una pluralità di infrazioni incide, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta. Infatti, la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE.

(v. punti 89-94, 133-134)

2. Per quanto riguarda la validità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, alla luce del principio di legalità delle pene, quale riconosciuto dal giudice comunitario in conformità alle indicazioni fornite dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato, in primo luogo, per accertare l’esistenza di infrazioni alle regole di concorrenza, in secondo luogo, per accertare se i vari atti illeciti costituiscano un’infrazione unica e continuata oppure una pluralità di infrazioni autonome e, in terzo luogo, per fissare l’importo delle ammende per tali infrazioni.

In primo luogo, le infrazioni alle regole di concorrenza per le quali la Commissione può infliggere ammende, in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, sono esclusivamente le infrazioni alle disposizioni degli artt. 81 CE ovvero 82 CE. La questione relativa all’esistenza o meno dei presupposti di applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE è assoggettata, in linea di principio, ad un controllo completo da parte del giudice comunitario. Inoltre, se è vero che, nel caso in cui tale accertamento implichi valutazioni economiche o tecniche complesse, la giurisprudenza riconosce alla Commissione un certo potere discrezionale, quest’ultimo, comunque, non è illimitato. Infatti, l’esistenza di un siffatto potere discrezionale non comporta che, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il Tribunale debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di tale natura. In particolare, il giudice comunitario è tenuto non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se essi siano di natura tale da corroborare le conclusioni che se ne traggono.

(v. punti 130-131)

3. La Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per la fissazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza. Se il criterio oggettivo del tetto massimo dell’ammenda e i criteri soggettivi della gravità e della durata dell’infrazione lasciano alla Commissione un ampio potere discrezionale, si tratta nondimeno di criteri che consentono a tale istituzione di adottare sanzioni tenendo conto del grado di illegittimità del comportamento di cui trattasi. Si deve pertanto ritenere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, pur lasciando alla Commissione un certo potere discrezionale, definiscano i criteri e i limiti ad essa imposti nell’esercizio del suo potere in materia di ammende. Inoltre, per stabilire ammende ai sensi delle disposizioni suddette, la Commissione deve rispettare i principi generali del diritto, in particolare i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, quali elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale.

Ai sensi dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, la Corte e il Tribunale hanno una competenza giurisdizionale anche di merito sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione fissa ammende e possono, quindi, non solo annullare le decisioni adottate da quest’ultima, ma anche cancellare, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. Pertanto, la prassi amministrativa della Commissione è soggetta al pieno controllo del giudice comunitario.

Ai sensi dell’art. 253 CE, nella decisione che infligge un’ammenda la Commissione è tenuta a fornire una motivazione, in particolare quanto al livello dell’ammenda inflitta e al metodo scelto al riguardo, e ciò malgrado il fatto che il contesto della decisione sia generalmente noto. Questa motivazione deve rivelare, in modo chiaro e inequivocabile, il ragionamento della Commissione in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di valutare l’opportunità di adire il giudice comunitario e, eventualmente, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo.

(v. punti 140, 142-144, 148)

4. La qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e medesima infrazione oppure di una pluralità di infrazioni influisce, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta, dal momento che la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, i quali stabiliscono che, per ciascuna impresa e associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del suo fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente. Ne deriva che la Commissione non incorre in alcuna violazione del principio nulla poena sine lege allorché infligge due ammende i cui importi addizionati superino la soglia del 10% del fatturato.

(v. punti 150-151)

5. Lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza, da parte delle imprese, delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità europea o dello Spazio economico europeo. Nell’ipotesi di una pluralità di infrazioni, la Commissione può giustamente ritenere che un siffatto scopo non possa essere raggiunto mediante la semplice imposizione di una sanzione per una delle infrazioni.

(v. punto 160)

6. Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Nel contesto del calcolo delle ammende, la gravità delle infrazioni deve essere determinata in funzione di numerosi fattori ed è necessario non attribuire ad alcuno di tali elementi un’importanza sproporzionata rispetto agli altri elementi di valutazione. Il principio di proporzionalità implica in tale contesto che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata.

Nel valutare la gravità di un’infrazione la Commissione deve tener conto di un gran numero di fattori, il cui carattere e la cui impor tanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa. Fra tali elementi che testimoniano la gravità di un’infrazione non si può escludere che possano figurare, a seconda dei casi, le dimensioni del mercato del prodotto interessato. Di conseguenza, se le dimensioni del mercato possono costituire un elemento da prendere in considerazione per accertare la gravità dell’infrazione, la loro importanza varia in funzione delle circostanze particolari dell’infrazione in questione.

Restrizioni orizzontali del tipo «cartello di prezzi» ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA sono «molto gravi» per natura. In tale contesto, la modesta dimensione dei mercati in questione riveste un’importanza minore rispetto all’insieme degli altri elementi che attestano la gravità dell’infrazione.

(v. punti 171, 175-176, 178)

7. Nell’ambito dell’analisi della capacità economica effettiva delle società colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza, che viene svolta al fine di fissare l’importo di un’ammenda per infrazione alle regole comunitarie di concorrenza e che implica una valutazione della reale importanza di tali imprese sul mercato interessato, vale a dire del loro influsso su quest’ultimo, il fatturato complessivo fornisce solo una visione incompleta dello stato dei fatti. Non si può escludere, infatti, che un’impresa potente avente una moltitudine di attività differenti sia presente soltanto in modo accessorio su uno specifico mercato di prodotti. Allo stesso modo, non si può escludere che un’impresa con una posizione importante su un mercato geografico extracomunitario disponga soltanto di una debole posizione sul mercato comunitario o su quello dello Spazio economico europeo. In tali ipotesi, il semplice fatto che l’impresa in questione realizzi un fatturato complessivo importante non significa necessariamente che essa eserciti un influsso determinante sul mercato di cui trattasi. Tale è il motivo per cui, se è vero che i fatturati di un’impresa realizzati sui mercati rilevanti non possono essere determinanti per concludere che essa fa parte di un gruppo economico potente, detti fatturati sono però rilevanti al fine di determinare l’influsso che l’impresa in questione ha potuto esercitare sul mercato.

Dunque, la parte del fatturato corrispondente alle merci oggetto dell’infrazione può fornire una giusta indicazione dell’entità dell’infrazione sul mercato rilevante. Infatti, tale fatturato può fornire una giusta indicazione della responsabilità di ciascuna impresa sui detti mercati, dal momento che esso costituisce un elemento obiettivo tale da fornire il giusto metro della nocività della pratica medesima per il normale gioco della concorrenza e rappresenta dunque un valido indicatore della capacità di ciascuna impresa interessata ad arrecare un danno.

(v. punti 187-188)

8. Per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende inflitte ai diversi partecipanti ad un’intesa, il metodo consistente nel suddividere i membri dell’intesa stessa in varie categorie, il quale comporta una determinazione a forfait dell’importo di partenza stabilito per le imprese appartenenti ad una stessa categoria, non può essere censurato, anche se porta ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo, a condizione però che siano rispettati i principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Non è compito del Tribunale pronunciarsi sull’opportunità di un siffatto sistema, anche nell’ipotesi in cui esso dovesse svantaggiare le imprese di dimensioni inferiori. Il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità sull’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve infatti limitarsi a controllare che la suddivisione dei membri dell’intesa in categorie sia coerente e oggettivamente giustificata, senza sostituire subito la sua valutazione a quella della Commissione.

(v. punto 196)

9. L’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, non impone che, qualora vengano inflitte ammende a più imprese implicate in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Infatti, risulta dalla disposizione suddetta che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, per determinare l’importo dell’ammenda occorre prendere in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione. Qualora la Commissione infligga alle imprese implicate in una medesima infrazione ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione, non può addebitarsi alla detta istituzione il fatto che, per talune di queste imprese, l’importo dell’ammenda sia superiore, in proporzione al fatturato, a quello di altre imprese. La Commissione, quindi, non è tenuta a ridurre le ammende qualora le imprese coinvolte siano piccole e medie imprese. La dimensione dell’impresa, infatti, viene già presa in considerazione attraverso il tetto massimo fissato dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 nonché in virtù delle disposizioni degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA. A parte tali considerazioni relative alle dimensioni, non vi è alcuna ragione di trattare le piccole e medie imprese diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese coinvolte siano piccole e medie imprese non le esonera dal loro dovere di rispettare le regole di concorrenza.

(v. punti 199-200)

10. Nell’ambito degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, i quali prevedono, al punto 1 A, sesto comma, che una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione possa, in particolare, giustificare una diversificazione al fine della valutazione della gravità dell’infrazione, non viola il principio della parità di trattamento una decisione della Commissione che inquadri in uno stesso gruppo varie imprese, una delle quali avente un fatturato complessivo nettamente, se non addirittura «notevolmente», inferiore a quello delle altre imprese, sulla base dei loro fatturati sul mercato interessato e delle loro quote di mercato molto simili, e che applichi loro un identico importo di partenza specifico.

(v. punti 202, 205)

11. Nella determinazione dell’importo dell’ammenda in caso di infrazione alle regole di concorrenza, le essenziali esigenze di forma cui risponde l’obbligo di motivazione risultano rispettate qualora la Commissione indichi, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione. Tali esigenze non impongono alla Commissione di indicare nella sua decisione i dati in forma numerica relativi al metodo di calcolo delle ammende, fermo restando comunque che la Commissione non può, avvalendosi esclusivamente e meccanicamente di formule aritmetiche, rinunciare a far uso del proprio potere discrezionale. Per quanto riguarda una decisione che infligge ammende a svariate imprese, la portata dell’obbligo di motivazione dev’essere valutata, in particolare, alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

(v. punto 226)

12. Il fatto che un’impresa non abbia partecipato ad una riunione multilaterale ed abbia cessato di comunicare informazioni agli altri partecipanti all’intesa non è sufficiente a dimostrare che essa abbia cessato di parteciparvi, qualora non abbia pubblicamente preso le distanze dal contenuto dell’intesa stessa.

(v. punti 240-241, 244)

13. Conformemente all’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese responsabili di violazioni delle regole di concorrenza.

Se le disposizioni del punto 1 B degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA non prevedono maggiorazioni per le infrazioni di breve durata, di durata in genere inferiore ad un anno, una maggiorazione è praticata per le infrazioni di durata media, aventi in generale una durata da uno a cinque anni, maggiorazione che può, ad esempio, raggiungere il 50% dell’importo di partenza dell’ammenda. Quanto alle infrazioni di lunga durata, aventi in generale una durata superiore a cinque anni, è previsto soltanto che l’importo possa essere maggiorato del 10% per ciascun anno. Tali maggiorazioni non sono automatiche, dato che i suddetti orientamenti lasciano alla Commissione un margine discrezionale.

(v. punti 237, 247, 249)

14. Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA non elencano in modo imperativo le circostanze attenuanti che la Commissione sarebbe tenuta a prendere in considerazione in vista di una riduzione dell’importo di base dell’ammenda. Di conseguenza, la Commissione conserva un certo potere discrezionale per valutare in maniera globale l’entità di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende a titolo delle circostanze attenuanti. Quindi, la Commissione non può affatto essere obbligata ad accordare, nell’ambito del suo potere discrezionale, una riduzione dell’ammenda per la cessazione di un’infrazione manifesta, indipendentemente dal fatto che tale cessazione abbia avuto luogo prima o dopo i suoi interventi.

L’aver posto fine alle infrazioni alle regole di concorrenza sin dai primi interventi della Commissione, come previsto dal terzo trattino del punto 3 degli orientamenti, può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se esistono motivi per supporre che le imprese di cui trattasi siano state indotte a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi in questione. Infatti, tale disposizione mira a indurre le imprese a cessare immediatamente i loro comportamenti anticoncorrenziali quando la Commissione avvia un’indagine nei loro confronti. Una riduzione dell’importo dell’ammenda a tale titolo non può essere applicata nel caso in cui una decisione definitiva di porre fine all’infrazione sia già stata adottata da tali imprese anteriormente ai primi interventi della Commissione ovvero nel caso in cui l’infrazione sia già terminata prima di tale data. Quest’ultima ipotesi viene sufficientemente presa in considerazione nell’ambito del calcolo della durata del periodo di infrazione assunto a carico.

(v. punti 259-260)

15. Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA prevedono, riguardo agli elementi soggettivi da tener presente per la fissazione dell’importo di partenza delle ammende, la necessità di prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo. Secondo gli stessi orientamenti, ove siano coinvolte più imprese, come nel caso dei cartelli, può essere opportuno ponderare l’importo di partenza generale, in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, ed adattare conseguentemente l’importo di partenza generale secondo le caratteristiche specifiche di ciascuna impresa.

Gli orientamenti non ostano a che il fatturato complessivo o il fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano.

Pertanto, una suddivisione delle imprese in due categorie, sulla base del loro fatturato, è una maniera ragionevole di prendere in considerazione la loro importanza relativa sul mercato al fine di stabilire l’importo di partenza dell’ammenda, purché ciò non porti ad una rappresentazione grossolanamente alterata del mercato in questione.

(v. punti 273-275, 280)

16. In materia di concorrenza, l’onere della prova dell’esistenza di effetti di un’infrazione sul mercato interessato, che incombe alla Commissione quando ne tiene conto nell’ambito del calcolo dell’ammenda in rapporto alla gravità dell’infrazione, è meno pesante di quello su essa gravante quando deve dimostrare l’esistenza in quanto tale di un’infrazione nel caso di un’intesa. In effetti, per tener conto dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato è sufficiente che la Commissione fornisca «valide ragioni per tenerne conto».

(v. punto 301)

17. I diritti della difesa risultano violati a motivo di una discordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione finale soltanto nel caso in cui un addebito figurante in quest’ultima non sia stato esposto in modo sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi.

Se alcuni documenti non sono stati menzionati nella comunicazione degli addebiti, l’impresa interessata può giustamente ritenere che essi non rivestano alcuna importanza ai fini della decisione della controversia. Omettendo di informare un’impresa che taluni documenti verranno usati per la decisione, la Commissione impedisce all’interessata di manifestare tempestivamente il proprio punto di vista sul valore probante dei documenti in causa. Ne consegue che tali documenti non possono essere considerati validi mezzi di prova per quanto la riguarda.

Un documento utilizzato dalla Commissione a sostegno di un addebito nella decisione finale, malgrado che tale documento fosse stato utilizzato nella comunicazione degli addebiti per dimostrare un diverso addebito, può essere fatto valere nella decisione avverso l’impresa interessata solo se quest’ultima abbia potuto verosimilmente dedurre dalla comunicazione degli addebiti e dal contenuto del documento le conclusioni che la Commissione intendeva ricavarne.

(v. punti 313-315)

18. Un diritto al silenzio assoluto non può essere riconosciuto in capo ad un’impresa destinataria di un provvedimento di richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Infatti, il riconoscimento di un tale diritto andrebbe oltre quanto necessario per preservare i diritti della difesa delle imprese e costituirebbe un ostacolo ingiustificato allo svolgimento, da parte della Commissione, del compito di vigilanza sul rispetto delle regole di concorrenza nel mercato comune. Un diritto al silenzio può essere riconosciuto all’impresa interessata soltanto nei limiti in cui essa sarebbe obbligata a fornire risposte attraverso le quali sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza dell’infrazione che dev’essere provata dalla Commissione.

Per preservare l’effetto utile dell’art. 11 del regolamento n. 17, la Commissione può quindi obbligare le imprese a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui esse siano a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui siano in possesso, anche se essi possono servire ad accertare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale. Tale potere di indagine della Commissione non contrasta né con l’art. 6, nn. 1 e 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo né con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ad ogni modo, il fatto di essere obbligati a rispondere ai quesiti riguardanti meri aspetti di fatto posti dalla Commissione e a soddisfare le richieste della stessa riguardo alla presentazione di documenti preesistenti non è idoneo a costituire una violazione del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa o di quello del diritto ad un processo equo, che offrono, nel settore del diritto della concorrenza, una protezione equivalente a quella garantita dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Infatti, nulla impedisce al destinatario di una richiesta di informazioni di dimostrare in un momento successivo, nell’ambito del procedimento amministrativo o nel corso di un procedimento dinanzi al giudice comunitario, che i fatti esposti nelle risposte o i documenti comunicati hanno un significato diverso da quello considerato dalla Commissione.

Infine, quando, in una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, la Commissione, oltre a porre quesiti riguardanti meri aspetti di fatto e a sollecitare la produzione di documenti preesistenti, chiede a un’impresa di descrivere l’oggetto e lo svolgimento di diverse riunioni alle quali essa avrebbe partecipato, nonché i risultati o le conclusioni di tali riunioni, allorché è chiaro che la Commissione sospetta che la finalità delle dette riunioni fosse quella di restringere la concorrenza, una simile richiesta è idonea a obbligare l’impresa destinataria a riconoscere la sua partecipazione a un’infrazione alle regole comunitarie di concorrenza, cosicché detta impresa non è tenuta a rispondere a domande di tal genere. In una simile ipotesi, il fatto che un’impresa fornisca nondimeno informazioni su tali punti deve essere considerato come una collaborazione spontanea dell’impresa stessa che può giustificare una riduzione di ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione. In questa stessa ipotesi, le imprese non possono asserire che il loro diritto a non autoincolparsi sia stato violato per il fatto che esse hanno risposto spontaneamente a una richiesta siffatta.

(v. punti 326-329)

19. Nell’ambito di un procedimento amministrativo avviato per un’intesa vietata, la collaborazione dell’impresa coinvolta all’inchiesta non dà diritto ad alcuna riduzione di ammenda se tale collaborazione non ha oltrepassato quanto tale impresa era tenuta a fare in forza dell’art. 11, nn. 4 e 5, del regolamento n. 17. Viceversa, nel caso in cui l’impresa fornisca, nel rispondere a una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, informazioni ben più dettagliate di quelle che la Commissione può pretendere in forza dello stesso articolo, l’impresa può beneficiare di una riduzione dell’ammenda.

(v. punto 340)