Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nel procedimento C-385/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia), con decisione 19 ottobre 2005, pervenuta in cancelleria il 24 ottobre 2005, nella causa

Confédération générale du travail (CGT),

Confédération française démocratique du travail (CFDT),

Confédération française de l’encadrement (CFE-CGC),

Confédération française des travailleurs chrétiens (CFTC),

Confédération générale du travail-Force ouvrière (CGT-FO)

contro

Premier ministre,

Ministre de l’Emploi, de la Cohésion sociale et du Logement,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. R. Schintgen (relatore), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. J. Makarczyk e L. Bay Larsen, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale’ del 7 giugno 2006,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Confédération générale du travail (CGT), dal sig. A. Lyon‑Caen, avocat;

– per la Confédération française démocratique du travail (CFDT), dal sig. H. Masse‑Dessen, avocat;

– per la Confédération française de l’encadrement (CFE‑CGC), dal sig. H. Masse‑Dessen, avocat;

– per la Confédération française des travailleurs chrétiens (CFTC), dal sig. H. Masse‑Dessen, avocat;

– per la Confédération générale du travail‑Force ouvrière (CGT‑FO), dal sig. T. Haas, avocat;

– per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra C. Bergeot‑Nunes, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. J. Enegren e G. Rozet, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale presentate all’udienza del 12 settembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle direttive del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 225, pag. 16) e del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 2002, 2002/14/CE, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea (GU L 80, pag. 29).

2. La questione è sorta nell’ambito di una serie di cause promosse dinanzi al Conseil d’État dalla Confédération générale du travail (CGT), dalla Confédération française démocratique du travail (CFDT), dalla Confédération française de l’encadrement (CFE-CGC), dalla Confédération française des travailleurs chrétiens (CFTC) nonché dalla Confédération générale du travail-Force ouvrière (CGT-FO), dirette all’annullamento del decreto 2 agosto 2005, n. 2005‑892, relativo all’assetto delle regole di calcolo degli organici delle imprese (JORF del 3 agosto 2005, pag. 12687, in prosieguo: il «decreto n. 2005‑892»).

Il contesto normativo

La normativa comunitaria

3. L’art. 1, n. 1, della direttiva 98/59 dispone quanto segue:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:

a) per licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore se il numero dei licenziamenti effettuati è, a scelta degli Stati membri:

i) per un periodo di 30 giorni:

– almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori;

– almeno pari al 10% del numero dei lavoratori negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 100 e meno di 300 lavoratori;

– almeno pari a 30 negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 300 lavoratori;

ii) oppure, per un periodo di 90 giorni, almeno pari a 20, indipendentemente dal numero di lavoratori abitualmente occupati negli stabilimenti interessati;

b) per rappresentanti dei lavoratori si intendono i rappresentanti dei lavoratori previsti dal diritto o dalla pratica in vigore negli Stati membri.

Per il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque».

4. Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 98/59:

«Quando il datore di lavoro prevede di effettuare licenziamenti collettivi, deve procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo».

5. L’art. 3 della direttiva 98/59 così dispone:

«1. Il datore di lavoro deve notificare per iscritto ogni progetto di licenziamento collettivo all’autorità pubblica competente.

(…)

2. Il datore di lavoro deve trasmettere ai rappresentanti dei lavoratori copia della notifica prevista al paragrafo 1.

I rappresentanti dei lavoratori possono presentare le loro eventuali osservazioni all’autorità pubblica competente».

6. A norma dell’art. 5 della direttiva 98/59:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o favorire o consentire l’applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori».

7. Il settimo e l’ottavo ‘considerando’ della direttiva 2002/14 hanno il seguente tenore:

«(7) Occorre intensificare il dialogo sociale e le relazioni di fiducia nell’ambito dell’impresa per favorire l’anticipazione dei rischi, sviluppare la flessibilità dell’organizzazione del lavoro e agevolare l’accesso dei lavoratori alla formazione nell’ambito dell’impresa in un quadro di sicurezza, promuovere la sensibilizzazione dei lavoratori alle necessità di adattamento, aumentare la disponibilità dei lavoratori ad impegnarsi in misure e azioni intese a rafforzare la loro occupabilità, promuovere il coinvolgimento dei lavoratori nella conduzione dell’impresa e nella determinazione del suo futuro, nonché rafforzare la competitività dell’impresa.

(8) Occorre, in particolare, promuovere e intensificare l’informazione e la consultazione sulla situazione e l’evoluzione probabile dell’occupazione nell’ambito dell’impresa, nonché, quando dalla valutazione effettuata dal datore di lavoro risulta che l’occupazione nell’ambito dell’impresa può essere minacciata, sulle eventuali misure anticipatrici previste, segnatamente in termini di formazione e di miglioramento delle competenze dei lavoratori, al fine di evitare tali effetti negativi o attenuarne le conseguenze e di rafforzare l’occupabilità e l’adattabilità dei lavoratori suscettibili di essere interessati da tali effetti».

8. Come risulta inoltre dal diciottesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/14, essa è diretta a istituire un quadro generale che si prefigge di definire prescrizioni minime applicabili ovunque nella Comunità, senza impedire agli Stati membri di prevedere disposizioni più favorevoli ai lavoratori.

9. Con tale quadro generale si intende altresì, come emerge dal diciannovesimo ‘considerando’ della detta direttiva, evitare tutti i vincoli amministrativi, finanziari e giuridici tali da contrastare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese. Per tale ragione sembra appropriato, ai sensi del medesimo ‘considerando’, limitare il campo di applicazione della direttiva, secondo la scelta fatta dagli Stati membri, alle imprese che impiegano almeno 50 addetti o agli stabilimenti che impiegano almeno 20 addetti.

10. L’art. 1, n. 1, della direttiva 2002/14 così dispone:

«La presente direttiva si prefigge di istituire un quadro generale che stabilisca prescrizioni minime riguardo al diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese o stabilimenti situati nella Comunità».

11. L’art. 2 della stessa direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d) “lavoratore”, ogni persona che nello Stato membro interessato, è tutelata come un lavoratore nell’ambito del diritto nazionale del lavoro e conformemente alle prassi nazionali;

(...)».

12. L’art. 3, n. 1, della direttiva 2002/14 prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica, a seconda della scelta fatta dagli Stati membri:

a) alle imprese che impiegano in uno Stato membro almeno 50 addetti o

b) agli stabilimenti che impiegano in uno Stato membro almeno 20 addetti.

Gli Stati membri determinano le modalità di calcolo delle soglie di lavoratori impiegati».

13. Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 2002/14:

«Nel rispetto dei principi enunciati all’articolo 1 e fatte salve le disposizioni e/o prassi in vigore più favorevoli ai lavoratori, gli Stati membri determinano le modalità di esercizio del diritto all’informazione e alla consultazione al livello adeguato in conformità del presente articolo».

14. L’art. 11 della direttiva 2002/14 impone agli Stati membri di adottare tutte le disposizioni necessarie che permettano loro di essere in qualsiasi momento in grado di garantire i risultati imposti dalla stessa direttiva.

La normativa nazionale

15. Ai sensi dell’art. L. 421-1 del codice del lavoro francese, l’elezione di delegati del personale è obbligatoria per tutti gli stabilimenti in cui sono impiegati almeno undici lavoratori.

16. Dagli artt. L. 321-2 e L. 321-3 dello stesso codice risulta che i datori di lavoro che intendono procedere a un licenziamento economico sono tenuti a riunire e a consultare il comitato di impresa o i delegati del personale qualora il numero di licenziamenti prospettato sia almeno di dieci in uno stesso periodo di trenta giorni.

17. Prima dell’adozione del decreto n. 2005-892, l’art L. 620‑10 del codice del lavoro così disponeva:

«Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente codice, gli organici dell’impresa vengono calcolati in base alle disposizioni seguenti:

I dipendenti titolari di un contratto a tempo indeterminato a tempo pieno e i lavoratori a domicilio vengono computati integralmente nell’organico dell’impresa.

I dipendenti titolari di un contratto a tempo determinato, i dipendenti titolari di un contratto di lavoro intermittente, i lavoratori messi a disposizione dell’impresa da una impresa esterna, compresi i lavoratori temporanei, vengono computati nell’organico dell’impresa proporzionalmente al loro tempo di presenza nel corso dei dodici mesi precedenti. Tuttavia, i dipendenti titolari di un contratto a tempo determinato, di un contratto di lavoro temporaneo o messi a disposizione da un’impresa esterna sono esclusi dal calcolo dell’organico nel caso in cui sostituiscano un dipendente assente o il cui rapporto di lavoro sia sospeso.

I lavoratori a tempo parziale, indipendentemente dalla natura del loro contratto di lavoro, vengono calcolati dividendo la somma totale degli orari indicati nei loro contratti di lavoro per la durata legale o per la durata convenzionale del lavoro».

18. L’art. 1 del decreto n. 2005‑892 ha completato il detto art. L. 620‑10 con il seguente comma:

«Il lavoratore dipendente assunto a partire dal 22 giugno 2005 e di età inferiore a 26 anni non viene preso in considerazione fino al raggiungimento del 26° anno di età nel calcolo dell’organico dell’impresa cui appartiene, indipendentemente dal tipo di contratto che lo lega all’impresa. Questa disposizione non può comportare la soppressione di un’istituzione rappresentativa del personale né del mandato di un rappresentante del personale. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2007».

La causa principale e le questioni pregiudiziali

19. Come risulta dagli atti, per rimediare alla preoccupante situazione dell’occupazione in Francia, il Primo ministro ha presentato in Parlamento, nella sua dichiarazione di politica generale dell’8 giugno 2005, un piano d’urgenza per l’occupazione. Perché tali misure potessero entrare in vigore sin dal 1° settembre 2005, il governo ha chiesto di essere autorizzato a legiferare tramite decreto.

20. L’art. 1 della legge 26 luglio 2005, n. 2005-846 (JORF del 27 luglio 2005, pag. 12223), ha così autorizzato il governo ad adottare mediante decreto ogni misura diretta, tra l’altro, all’assetto delle regole per il calcolo degli organici utilizzate per l’applicazione delle disposizioni relative al diritto del lavoro o di obblighi finanziari imposti da altre normative al fine di favorire, a partire dal 22 giugno 2005, l’assunzione, da parte delle imprese, di lavoratori di età infe riore ai 26 anni.

21. Il 2 agosto 2005, il governo ha adottato, con il decreto n. 2005‑892, misure relative all’assetto delle regole per il calcolo degli organici delle imprese, disponendo nel contempo che le norme di tale decreto avrebbero cessato di produrre effetti il 31 dicembre 2007.

22. Dinanzi al Conseil d’État hanno presentato ricorso contro il decreto n. 2005-892 la CGT, la CFDT, la CFE-CGC, la CFTC e la CGT-FO.

23. A sostegno dei loro ricorsi, le parti ricorrenti deducono, tra l’altro, che l’assetto delle regole di calcolo degli organici previsto dal citato decreto sarebbe in contrasto con le finalità delle direttive 98/59 e 2002/14.

24. Il giudice del rinvio osserva che, sebbene la disposizione contestata del decreto n. 2005‑892 non abbia direttamente l’effetto di escludere l’applicazione delle norme nazionali che provvedono all’attuazione delle direttive 98/58 e 2002/14, tuttavia, per quel che riguarda gli stabilimenti che occupano più di venti lavoratori, dei quali però meno di 11 di età pari o superiore ai 26 anni, l’applicazione della disposizione controversa può avere la conseguenza di esonerare il datore di lavoro da alcuni obblighi derivanti dalle due menzionate direttive.

25. Alla luce di quanto sopra, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se, in considerazione dell’obiettivo della direttiva [2002/14], consistente, ai sensi del suo art. 1, n. 1, nell’istituire un quadro generale che stabilisca prescrizioni minime riguardo al diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese o negli stabilimenti situati nella Comunità, il fatto che la direttiva lasci agli Stati membri il compito di determinare le modalità di calcolo delle soglie di lavoratori impiegati, che tale direttiva stabilisce, debba essere interpretato nel senso che è consentito a tali Stati di prendere in considerazione in modo differenziato talune categorie di lavoratori ai fini dell’applicazione di tali soglie.

2) Se la direttiva [98/59] possa essere interpretata nel senso che essa permette un meccanismo avente l’effetto di esonerare, anche solo temporaneamente, taluni stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 dipendenti dall’obbligo di creare una struttura di rappresentanza dei lavoratori, a seguito di regole di calcolo del numero dei dipendenti che escludono il computo di alcune categorie di lavoratori ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative a tale rappresentanza».

26. Nella decisione di rinvio, il Conseil d’État ha chiesto alla Corte di sottoporre il rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, ai sensi dell’art. 104 bis, primo comma, del regolamento di procedura.

27. Con ordinanza del presidente della Corte 21 novembre 2005 tale richiesta è stata respinta.

Sulle questioni pregiudiziali

28. Occorre preliminarmente rilevare che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, l’incentivazione dell’occupazione costituisce un obiettivo legittimo di politica sociale e che gli Stati membri, nello scegliere i provvedimenti atti a realizzare gli obiettivi della loro politica sociale, dispongono di un’ampia discrezionalità (v., segnatamente, sentenze 9 febbraio 1999, causa C‑167/97, Seymour-Smith e Perez, Racc. pag. I‑623, punti 71 e 74, nonché 20 marzo 2003, causa C‑187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. I‑2741, punti 55 e 56).

29. Tuttavia, la discrezionalità di cui godono gli Stati membri in materia di politica sociale non può risolversi nello svuotare di ogni sostanza l’attuazione di un principio fondamentale del diritto comunitario o di una disposizione di tale diritto (v., in tal senso, citate sentenze Seymour‑Smith e Perez, punto 75, e Kutz-Bauer, punto 57).

Sulla prima questione

30. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se l’art. 3, n. 1, della direttiva 2002/14 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati ai sensi di tale norma.

31. A tal proposito si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva 2002/14, per lavoratore ai sensi della stessa direttiva si intende ogni persona che, nello Stato membro interessato, è tutelata come un lavoratore nell’ambito del diritto nazionale del lavoro e conformemente alle prassi nazionali.

32. Ne consegue che, non essendo contestato che i lavoratori di età inferiore ai 26 anni, considerati dalla disposizione nazionale in discussione sono tutelati dalla normativa nazionale in materia di occupazione, essi sono lavoratori ai sensi della direttiva 2002/14.

33. Vero è che, ai sensi dell’art. 3, n. 1, secondo comma, della stessa direttiva, spetta agli Stati membri determinare le modalità di calcolo delle soglie dei lavoratori impiegati. Questa norma, tuttavia, riguarda la determinazione delle modalità di calcolo delle soglie dei lavoratori e non la definizione stessa della nozione di lavoratore.

34. Orbene, posto che la direttiva 2002/14 ha definito la cerchia di persone da prendere in considerazione nell’effettuare tale calcolo, gli Stati membri non possono escludere una determinata categoria di soggetti che inizialmente rientravano in tale cerchia. La direttiva, infatti, sebbene non imponga agli Stati membri il modo in cui tener conto dei lavoratori rientranti nel suo ambito di applicazione in sede di calcolo delle soglie dei lavoratori impiegati, prescrive tuttavia che essi debbano tenerne conto.

35. Come risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte, quando una disposizione comunitaria rinvia alle legislazioni e prassi nazionali, gli Stati membri non possono comunque adottare provvedimenti idonei a compromettere l’efficacia della normativa comunitaria entro la quale tale disposizione si inscrive (v., in tal senso, sentenza 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger, Racc. pag. I‑8389, punto 59).

36. Per quanto riguarda, in particolare, la direttiva 2002/14, giova osservare come, da un lato, risulti tanto dall’art. 137 CE, che ne costituisce il fondamento normativo, quanto dal diciottesimo ‘considerando’ e dall’art. 1, n. 1, della stessa direttiva che essa ha l’obiettivo di stabilire prescrizioni minime riguardo al diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese o stabilimenti situati nella Comunità.

37. D’altro lato, si deve necessariamente constatare che il sistema istituito dalla direttiva 2002/14, salve talune eccezioni previste all’art. 3, nn. 2 e 3, della stessa, è destinato ad applicarsi a tutti i lavoratori ricompresi nell’art. 2, lett. d), della stessa direttiva.

38. Orbene, una normativa come quella in discussione nella causa principale, la quale, come l’avvocato generale ha osservato al paragrafo 28 delle sue conclusioni, ha la conseguenza di esimere determinati datori di lavoro dagli obblighi previsti dalla direttiva 2002/14 e di privare i loro dipendenti dei diritti dalla stessa riconosciuti, è tale da vanificare i detti diritti e da neutralizzare così l’efficacia della direttiva.

39. Risulta peraltro dalle osservazioni presentate dal governo francese che la norma nazionale di cui trattasi è destinata ad alleviare gli oneri che gravano sui datori di lavoro in ragione del fatto che l’assunzione di lavoratori supplementari può determinare un superamento delle soglie previste, segnatamente, per l’applicazione degli obblighi sanciti dalla direttiva 2002/14.

40. Per quanto riguarda l’interpretazione della direttiva 2002/14 suggerita da tale governo, secondo il quale l’art. 3, n. 1, della stessa non impedisce agli Stati membri di istituire, così come fa la disposizione controversa, modalità di calcolo delle soglie di lavoratori impiegati che possono spingersi fino ad escludere temporaneamente alcune categorie di lavoratori, allorché tale esclusione è giustificata da un obiettivo di interesse generale costituito dall’incentivazione dell’occupazione giovanile ed è conforme al principio di proporzionalità, è sufficiente rilevare che un’interpretazione del genere è incompatibile con l’art. 11, n. 1, della citata direttiva, in forza del quale gli Stati membri devono adottare tutte le disposizioni necessarie che permettano loro di essere in qualsiasi momento in grado di garantire i risultati imposti dalla direttiva 2002/14, in quanto tale interpretazione implica che gli Stati potrebbero esimersi, ancorché temporaneamente, da questo obbligo di risultato chiaro e preciso imposto dal diritto comunitario (v., per analogia, sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punto 68).

41. Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione dev’essere risolta dichiarando che l’art. 3, n. 1, della direttiva 2002/14 va interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati ai sensi di tale norma.

Sulla seconda questione

42. Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio domanda in sostanza se l’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva 98/59 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati previsto dalla citata norma.

43. Per risolvere la questione, così riformulata, occorre in primo luogo rilevare che la direttiva 98/59 ha inteso assicurare una tutela di analoga natura dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri in caso di licenziamenti collettivi e ravvicinare gli oneri che le dette norme di tutela comportano per le imprese della Comunità (v., per analogia, sentenza 8 giugno 1994, causa C‑383/92, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑2479, punto 16).

44. Si deve osservare in secondo luogo che, come risulta dagli artt. 1, n. 1, e 5 della direttiva 98/59, essa mira a istituire una tutela minima relativa all’informazione e alla consultazione dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, fermo restando che gli Stati membri sono liberi di adottare provvedimenti nazionali più favorevoli ai lavoratori.

45. Orbene, non si può che constatare come le soglie fissate dall’art. 1, n. 1, della direttiva 98/59 costituiscano appunto prescrizioni minime del genere, alle quali gli Stati membri possono derogare soltanto in senso più favorevole ai lavoratori.

46. Da un lato, infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che una normativa nazionale che consente di ostacolare la tutela garantita incondizionatamente ai lavoratori da parte di una direttiva è contraria al diritto comunitario (sentenza Commissione/Regno Unito, citata, punto 21).

47. D’altro lato, e contrariamente a quanto asserisce il governo francese, la direttiva 98/59 non può essere interpretata nel senso che le modalità di calcolo delle dette soglie, e pertanto le soglie stesse, sono rimesse alla discrezione degli Stati membri, giacché un’interpretazione del genere consentirebbe a questi ultimi di alterare l’ambito di applicazione della direttiva, privandola così della sua piena efficacia.

48. Orbene, come emerge tanto dalla decisione di rinvio quanto dai paragrafi 73 e 74 delle conclusioni dell’avvocato generale, una norma nazionale come quella in discussione nella causa principale è idonea a privare, ancorché temporaneamente, l’insieme dei lavoratori impiegati da talune imprese che occupano abitualmente più di 20 lavoratori dei diritti loro conferiti dalla direttiva 98/59, così compromettendo l’efficacia di quest’ultima.

49. Alla luce di queste considerazioni, la seconda questione pregiudiziale va risolta dichiarando che l’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva 98/59 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati previsto da tale norma.

Sulle spese

50. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1) L’art. 3, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 2002, 2002/14/CE, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati ai sensi di tale norma.

2) L’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale esclude, ancorché temporaneamente, una determinata categoria di lavoratori dal calcolo del numero di lavoratori impiegati previsto da tale disposizione.