Causa C‑325/05

Ismail Derin

contro

Landkreis Darmstadt-Dieburg

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Darmstadt)

«Associazione CEE-Turchia — Art. 59 del Protocollo addizionale — Artt. 6, 7 e 14 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione — Diritto di libero accesso al lavoro ai sensi dell’art. 7, primo comma, secondo trattino — Diritto di soggiorno che ne è il corollario — Cittadino turco di età superiore a 21 anni non più a carico dei genitori — Condanne penali — Condizioni della perdita dei diritti acquisiti — Compatibilità con la norma secondo cui la Repubblica di Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello applicabile tra Stati membri»

Massime della sentenza

Accordi internazionali — Accordo di associazione CEE-Turchia — Consiglio di associazione istituito dall’accordo di associazione CEE-Turchia — Decisione n. 1/80 — Ricongiungimento familiare — Figlio di un lavoratore turco che ha acquisito il diritto di libero accesso ad un’attività lavorativa subordinata

(Protocollo addizionale all’accordo di associazione CEE-Turchia, art. 59; decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE-Turchia, artt. 7, primo comma, e 14, n. 1)

Dal sistema nonché dalla finalità della decisione n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione, adottata dal Consiglio di associazione istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, risulta che un cittadino turco, autorizzato a entrare quando era bambino nel territorio di uno Stato membro nell’ambito del ricongiungimento familiare e che abbia acquisito il diritto di libero accesso a qualsiasi attività lavorativa subordinata di propria scelta in forza dell’art. 7, primo comma, secondo trattino, di tale decisione, perde il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, che è il corollario del detto diritto di libero accesso, soltanto in due ipotesi, vale a dire

–        quando la presenza del migrante turco sul territorio dello Stato membro ospitante costituisce, a causa del suo comportamento personale, un pericolo reale e grave per l’ordine pubblico, la sicurezza o la sanità pubbliche, ai sensi dell’art. 14, n. 1, della stessa decisione, oppure

–        quando lascia il territorio dello Stato membro interessato per un periodo significativo e senza motivi legittimi,

anche quando è di età superiore a 21 anni, non è più a carico dei genitori, ma conduce una vita autonoma nello Stato membro interessato, e non è stato a disposizione del mercato del lavoro per vari anni a causa dell’esecuzione di una pena detentiva inflittagli per tale durata e senza il beneficio di una sospensione condizionale.

Siffatta interpretazione non è incompatibile con quanto prescritto dall’art. 59 del Protocollo addizionale all’accordo di associazione ai sensi del quale la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello applicabile tra Stati membri.

(v. punti 54, 57, 75 e dispositivo)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

18 luglio 2007 (*)

«Associazione CEE-Turchia – Art. 59 del Protocollo addizionale – Artt. 6, 7 e 14 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione – Diritto di libero accesso al lavoro ai sensi dell’art. 7, primo comma, secondo trattino – Diritto di soggiorno che ne è il corollario – Cittadino turco di età superiore a 21 anni non più a carico dei genitori − Condanne penali − Condizioni della perdita dei diritti acquisiti − Compatibilità con la norma secondo cui la Repubblica di Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello applicabile tra Stati membri»

Nel procedimento C‑325/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgericht Darmstadt (Germania), con decisioni 17 agosto e 21 settembre 2005, pervenute in cancelleria rispettivamente il 26 agosto e il 29 settembre 2005, nella causa tra

Ismail Derin

e

Landkreis Darmstadt-Dieburg,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. R. Schintgen (relatore), A. Tizzano, M. Ilešič e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 16 novembre 2006,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e dalla sig.ra C. Schulze-Bahr, in qualità di agenti;

–        per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. W. Ferrante, avvocato dello Stato;

–        per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra S. Nwaokolo, in qualità di agente, assistita dal sig. T. Ward, barrister;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. G. Rozet e dalla sig.ra I. Kaufmann-Bühler, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 gennaio 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 59 del Protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «Protocollo addizionale»), nonché degli artt. 6, 7 e 14 della decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»). Il Consiglio di associazione è stato istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e che è stato concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685; in prosieguo: l’«Accordo di associazione»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone il sig. Derin, cittadino turco, al Landkreis Darmstadt-Dieburg, in merito ad un procedimento di espulsione dal territorio tedesco.

 Contesto normativo

 L’associazione CEE-Turchia

3        A termini dell’art. 2, n. 1, l’Accordo di associazione ha lo scopo di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, anche nel settore della manodopera, in particolare mediante la realizzazione graduale della libera circolazione dei lavoratori (art. 12 di detto Accordo), al fine di elevare il tenore di vita del popolo turco e di facilitare successivamente l’adesione della Turchia alla Comunità (quarto ‘considerando’ del preambolo e art. 28 del medesimo Accordo).

4        A tal fine, l’Accordo di associazione prevede una fase preparatoria, diretta a consentire alla Repubblica di Turchia di rafforzare la propria economia con l’aiuto della Comunità (art. 3 di detto Accordo), una fase transitoria, nel corso della quale sono assicurati la progressiva attuazione di un’unione doganale e il ravvicinamento delle politiche economiche (art. 4 dello stesso Accordo), e una fase definitiva, basata sull’unione doganale, che implica il rafforzamento della coordinazione delle politiche economiche delle parti contraenti (art. 5 dello stesso Accordo).

5        L’art. 6 dell’Accordo di associazione è redatto come segue:

«Per assicurare l’applicazione ed il progressivo sviluppo del regime di associazione, le parti contraenti si riuniscono in un Consiglio di Associazione che agisce nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall’Accordo».

6        L’art. 12 dell’Accordo di associazione, che figura nel titolo II di quest’ultimo, riguardante l’«Attuazione della fase transitoria», capitolo 3, intitolato «Altre disposizioni di carattere economico», recita:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli [39 CE], [40 CE] e [41 CE] per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori».

7        A termini dell’art. 22, n. 1, dell’Accordo di associazione:

«Per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo e nei casi da questo previsti, il Consiglio di Associazione dispone di un potere di decisione. Ognuna delle due parti è tenuta a prendere le misure necessarie all’esecuzione delle decisioni adottate (...)».

8        Il Protocollo addizionale che, ai sensi dell’art. 62 del medesimo, costituisce parte integrante dell’Accordo di associazione, stabilisce, a termini dell’art. 1, le condizioni, le modalità ed i ritmi di realizzazione della fase transitoria contemplata all’art. 4 dell’Accordo stesso.

9        Il Protocollo addizionale contiene un titolo II, intitolato «Circolazione delle persone e dei servizi», il cui capitolo I riguarda «[i] lavoratori».

10      L’art. 36 del Protocollo addizionale, ricompreso nel capitolo I, prevede che la libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia verrà realizzata gradualmente, conformemente ai principi enunciati all’art. 12 dell’Accordo di associazione, tra la fine del dodicesimo e del ventiduesimo anno successivo all’entrata in vigore dell’Accordo medesimo e che il consiglio di associazione stabilirà le modalità all’uopo necessarie.

11      L’art. 59 del Protocollo addizionale, che figura nel titolo IV di quest’ultimo, intitolato «Disposizioni generali e finali», è redatto come segue:

«Nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato che istituisce la Comunità».

12      La decisione n. 1/80, a tenore del suo terzo ‘considerando’, mira a migliorare, nel settore sociale, il regime di cui beneficiano i lavoratori e i loro familiari rispetto al regime previsto dalla decisione n. 2/76 che il Consiglio di associazione aveva adottato il 20 dicembre 1976.

13      Gli artt. 6, 7 e 14 della decisione n. 1/80 figurano al capitolo II della stessa, riguardante «Disposizioni sociali», sezione 1ª, intitolata «Problemi relativi all’occupazione e alla libera circolazione dei lavoratori».

14      Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80:

«Fatte salve le disposizioni dell’articolo 7, relativo al libero accesso dei familiari all’occupazione, il lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ha i seguenti diritti:

–        rinnovo, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego, del permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se dispone di un impiego;

–        candidatura, in tale Stato membro, ad un altro posto di lavoro, la cui regolare offerta sia registrata presso gli uffici di collocamento dello Stato membro, nella stessa professione, presso un datore di lavoro di suo gradimento, dopo tre anni di regolare impiego, fatta salva la precedenza da accordare ai lavoratori degli Stati membri della Comunità;

–        libero accesso, in tale Stato membro, a qualsiasi attività salariata di suo gradimento, dopo quattro anni di regolare impiego».

15      L’art. 7 della decisione n. 1/80 così dispone:

«I familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro:

–        hanno il diritto di rispondere, fatta salva la precedenza ai lavoratori degli Stati membri della Comunità, a qualsiasi offerta di impiego, se vi risiedono regolarmente da almeno tre anni;

–        beneficiano del libero accesso a qualsiasi attività dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni.

I figli dei lavoratori turchi che hanno conseguito una formazione professionale nel paese ospitante potranno, indipendentemente dal periodo di residenza in tale Stato membro e purché uno dei genitori abbia legalmente esercitato un’attività nello Stato membro interessato da almeno tre anni, rispondere a qualsiasi offerta d’impiego in tale Stato membro».

16      L’art. 14, n. 1, della decisione n. 1/80 stabilisce:

«Le disposizioni della presente sezione vengono applicate fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubbliche».

 Le altre disposizioni del diritto comunitario

17      L’art. 10, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), come modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 27 luglio 1992, n. 2434 (GU L 245, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1612/68»), recita:

«1.      Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:

a)      il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;

b)      gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.

2.      Gli Stati membri favoriscono l’ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1».

18      Ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 1612/68:

«Il coniuge ed i figli minori di anni 21 o a carico di un cittadino di uno Stato membro che eserciti sul territorio di uno Stato membro un’attività subordinata o non subordinata, hanno il diritto di accedere a qualsiasi attività subordinata su tutto il territorio di tale Stato, anche se non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro».

 La causa principale e le questioni pregiudiziali

19      Dalla decisione di rinvio risulta che il sig. Derin, nato il 30 settembre 1973, è stato autorizzato a raggiungere, il 1° luglio 1982, i suoi genitori nel territorio della Repubblica federale di Germania a titolo del ricongiungimento familiare.

20      Il padre e la madre del sig. Derin hanno legittimamente svolto un’attività subordinata in detto Stato membro rispettivamente per 6 e 24 anni.

21      Dopo il suo arrivo in Germania, il sig. Derin ha frequentato dall’agosto 1982 al luglio 1988 la scuola elementare e, dall’agosto 1988 al luglio 1990, una scuola professionale. Ha terminato gli studi nel 1991 ottenendo un diploma di fine di studi secondari di livello medio inferiore («mittlere Reife»).

22      Al termine della sua formazione, l’interessato ha regolarmente lavorato di volta in volta per conto di vari datori di lavoro, ma la durata delle sue occupazioni presso uno stesso datore di lavoro è sempre stata inferiore ad un anno.

23      Negli anni 1992-1996, il sig. Derin ha legittimamente svolto un’attività di lavoratore indipendente.

24      Il 3 settembre 2001 ha iniziato una formazione al fine della sua riconversione come autista professionista, ma ha dovuto interromperla a causa della sua carcerazione. Tuttavia, è stato assunto nuovamente a partire dal 17 gennaio 2005.

25      A partire dal 10 dicembre 1990, il sig. Derin è titolare in Germania di un permesso di soggiorno di durata illimitata.

26      Nell'autunno del 1994, il sig. Derin ha cessato di vivere con i genitori e ha costituito una famiglia propria. La moglie, cittadina turca, è stata autorizzata a raggiungerlo in Germania il 24 febbraio 2002.

27      A partire dall’agosto 1994, il sig. Derin è stato condannato più volte a pene pecuniarie per varie violazioni e, con sentenza 13 dicembre 2002, è stato condannato ad una pena detentiva di oltre due anni e mezzo per avere introdotto clandestinamente stranieri in Germania.

28      Il 24 novembre 2003, è stato adottato nei suoi confronti un provvedimento di espulsione dal territorio tedesco di durata illimitata. Avrebbe dovuto essere riaccompagnato alla frontiera all’atto della scarcerazione.

29      La competente amministrazione nazionale osserva che il sig. Derin soddisfa le condizioni per essere espulso, in via di principio, in forza dell’art. 47, n. 2, punto 1, della legge sugli stranieri (Ausländergesetz, in prosieguo: l’«AuslG»). Ai sensi di tale disposizione, uno straniero è, di regola, espulso se è stato condannato con sentenza passata in giudicato ad una pena detentiva, senza beneficio della sospensione condizionale, per uno o più reati dolosi. Tuttavia, poiché il ricorrente nella causa principale possiede un permesso di soggiorno di durata illimitata in Germania ed è giunto in detto Stato membro quando era minorenne, lo stesso fruirebbe di una protezione rafforzata contro l’espulsione in forza dell’art. 48, n. 1, punto 2, dell’AuslG e potrebbe quindi costituire oggetto di un provvedimento di allontanamento soltanto per gravi motivi di sicurezza e di ordine pubblici. La detta amministrazione sarebbe stata tenuta nella specie ad adottare la decisione relativa all’espulsione avvalendosi del suo potere discrezionale, conformemente all’art. 47, n. 3, seconda frase, dell’AuslG.

30      A questo proposito, la competente amministrazione nazionale ha considerato che, sebbene il sig. Derin soggiorni sin dall’infanzia sul territorio tedesco, egli non è tuttavia riuscito ad inserirsi nella società tedesca. Sarebbe stato condannato per la prima volta nel 1994 e sarebbe stato costantemente recidivo in seguito. Non dimostrerebbe alcun sentimento di colpa, poiché le pene che gli sono state inflitte non avrebbero comportato una modifica del suo comportamento. Si dovrebbe quindi ritenere che neanche la sua prima condanna ad una pena detentiva comporterà il miglioramento di tale comportamento. L’espulsione del sig. Derin potrebbe anche produrre un effetto dissuasivo su altri cittadini stranieri che si renderebbero così conto delle gravi conseguenze dell’introduzione clandestina di stranieri in uno Stato membro. Occorrerebbe infatti adottare provvedimenti severi contro i passatori, tenuto conto del problema che sarebbe costituito dalla presenza in Germania di un numero notevole di stranieri in situazione irregolare. Inoltre, il ricorrente nella causa principale non fruirebbe di alcun diritto a norma dell’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80 o dell’art. 7 di quest’ultima, poiché, da un lato, non sarebbe mai stato occupato ininterrottamente per oltre un anno presso lo stesso datore di lavoro e, dall’altro, non coabiterebbe più con i genitori e non sarebbe più a loro carico.

31      Essendo stato respinto il 15 settembre 2004 il reclamo presentato contro il provvedimento di espulsione dal sig. Derin, il 5 ottobre 2004 quest’ultimo ha proposto un ricorso dinanzi al Verwaltungsgericht Darmstadt, sostenendo di far parte della categoria delle persone tutelate in forza dell’art. 7 della decisione n. 1/80. Egli rientrerebbe pertanto nell’ambito di applicazione dell’art. 14 di quest’ultima, che subordinerebbe l’espulsione all’esistenza di un pericolo concreto di nuove gravi perturbazioni dell’ordine pubblico, condizione che non ricorrerebbe tuttavia nel caso di specie.

32      Per contro, secondo il convenuto nella causa principale, l’art. 7 della decisione n. 1/80 protegge soltanto i figli di lavoratori turchi di età inferiore ai 21 anni e che sono a carico dei genitori.

33      Il giudice a quo rileva che il sig. Derin soddisfa effettivamente le condizioni per acquisire i diritti di cui all’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80, a causa della sua regolare residenza per oltre cinque anni presso l’abitazione dei genitori, che sono lavoratori turchi residenti nello Stato membro ospitante.

34      Il detto organo giurisdizionale si domanda tuttavia quali siano le condizioni alle quali un cittadino turco in una situazione come quella del sig. Derin possa perdere i diritti da lui acquisiti in forza del detto art. 7, primo comma, secondo trattino.

35      In primo luogo, il giudice a quo si riferisce alla sentenza 7 luglio 2005, causa C‑373/03, Aydinli (Racc. pag. I‑6181), considerando che la Corte avrebbe affermato che i motivi della perdita dei diritti conferiti dalla detta disposizione sono limitati a due soltanto, vale a dire, da un lato, il fatto che la presenza del migrante turco nel territorio dello Stato membro ospitante costituisca, a causa del suo comportamento personale, un pericolo grave ed effettivo per l’ordine pubblico, la sicurezza o la sanità pubbliche, ai sensi dell’art. 14, n. 1, della decisione n. 1/80, e, dall’altro, il fatto che l’interessato abbia lasciato il territorio di tale Stato per un periodo significativo e senza motivi legittimi.

36      Nel caso di specie, la situazione del sig. Derin non rientrerebbe nell’ambito di nessuno dei detti due motivi di perdita dei diritti conferiti dall’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80.

37      Tuttavia, il giudice del rinvio considera che, conformemente all’art. 59 del Protocollo addizionale, occorre verificare se tale limitazione dei motivi della perdita dei diritti acquisiti in forza dell’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80 non possa avvantaggiare i cittadini turchi rispetto ai familiari di un lavoratore cittadino di uno Stato membro che, a norma dell’art. 10 del regolamento n. 1612/68, hanno il diritto di stabilirsi con detto lavoratore se hanno meno di 21 anni o sono a carico di quest’ultimo. Nella fattispecie, in mancanza di altre possibilità di limitare i suoi diritti in applicazione della decisione n. 1/80, il sig. Derin, che non coabita più con i genitori dall’autunno del 1994, ha un’età superiore ai 30 anni e non è più a carico della sua famiglia, si troverebbe in una posizione più favorevole del discendente di un lavoratore migrante comunitario.

38      In secondo luogo, qualora il sig. Derin abbia effettivamente perduto i diritti di cui all’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80 per il fatto che ha un’età superiore a 21 anni, non vive più con i genitori e questi ultimi non provvedono più al suo mantenimento, il giudice del rinvio si domanda se l’interessato non possa avvalersi di un’altra disposizione della stessa decisione, al fine di ottenere una protezione contro il provvedimento di espulsione adottato in forza dell’art. 14, n. 1, di quest’ultima, e chiede in particolare in quale misura il sig. Derin possa essere equiparato alle persone che hanno acquisito diritti a norma dell’art. 6, n. 1, della stessa decisione.

39      È in tale contesto che il Verwaltungsgericht Darmstadt ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia compatibile con l’art. 59 del Protocollo addizionale (…) il fatto che un cittadino turco, trasferitosi da bambino ai fini del ricongiungimento familiare presso i suoi genitori, lavoratori subordinati nella Repubblica federale di Germania, non perda il suo diritto di soggiorno derivato dal diritto di libero accesso a qualsiasi attività subordinata di propria scelta attribuitogli dall’art. 7 [primo comma], secondo trattino, della decisione n. 1/80 (…) – tranne nei casi previsti dall’art. 14 di [detta] decisione e in caso di abbandono dello Stato membro ospitante per un periodo di tempo significativo e senza motivi legittimi – neanche qualora, dopo il compimento del ventunesimo anno di età, egli non abiti più con i genitori e non sia più a loro carico.

2)      Se tale cittadino turco – nonostante la perdita dei diritti di cui all’art. 7 [primo comma], secondo trattino, della decisione n. 1/80 (…) – continui a godere di una tutela speciale contro l’espulsione ai sensi dell’art. 14 di [detta] decisione (…) qualora, dopo la cessazione della convivenza familiare con i genitori, egli abbia svolto attività lavorative subordinate in maniera irregolare, senza ottenere in qualità di lavoratore subordinato il beneficio dei diritti derivanti dall’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80, e qualora abbia svolto per vari anni esclusivamente un’attività lavorativa autonoma».

 Sulla prima questione

40      In limine, occorre rilevare che la prima questione fa riferimento alla situazione di un cittadino turco che soddisfa le condizioni richieste per fruire del diritto di libero accesso a qualsiasi attività subordinata di sua scelta nonché del diritto di soggiorno, che ne è il corollario, conferiti dall’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80.

41      Anche se è pacifico che il ricorrente nella causa principale ha effettivamente acquisito siffatti diritti in forza della detta disposizione della decisione n. 1/80, i governi italiano e del Regno Unito hanno sollevato la questione se la situazione dell’interessato non rientri piuttosto nell’ambito di applicazione dell’art. 7, secondo comma, della medesima decisione.

42      Alla luce dei fatti della causa principale quali riferiti nella decisione di rinvio, è infatti probabile che il sig. Derin, che, in quanto figlio di un padre e di una madre turchi aventi svolto un’attività lavorativa regolare per, rispettivamente, 6 e 24 anni nello Stato membro ospitante, ha compiuto sul territorio di questo Stato una formazione professionale, possa avvalersi dei diritti di accesso al lavoro nonché di soggiorno in detto Stato membro in applicazione del secondo comma dello stesso art. 7, il quale costituisce, rispetto al primo comma dello stesso articolo, una disposizione più favorevole (v. sentenze 19 novembre 1998, causa C‑210/97, Akman, Racc. pag. I‑7519, punti 35 e 38, e 16 febbraio 2006, causa C‑502/04, Torun, Racc. pag. I‑1563, punti 22-24).

43      Tuttavia, è compito soltanto del giudice a quo constatare i fatti che sono alla base della controversia sottopostagli e valutare quale delle due disposizioni menzionate al punto precedente si applichi nella causa principale.

44      Occorre aggiungere che la questione sollevata mira in sostanza a determinare le ragioni per le quali un cittadino turco quale il sig. Derin possa perdere i diritti conferitigli, nello Stato membro ospitante, dall’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80 in materia di libero accesso a qualsiasi attività subordinata di propria scelta e, correlativamente, di soggiorno.

45      Orbene, come giustamente ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 35 e 78 delle sue conclusioni, i diritti acquisiti in forza dell’art. 7 della detta decisione si perdono alle stesse condizioni, a prescindere dalla questione se la situazione concreta che ha dato luogo ad una controversia rientri nell’ambito di applicazione del primo o del secondo comma del detto articolo (v., in tal senso, sentenza Torun, cit., punti 21-25).

46      Stando così le cose, il fatto che un cittadino turco come il ricorrente nella causa principale rientri nella sfera di applicazione del primo o del secondo comma dell’art. 7 della decisione n. 1/80 è irrilevante per l’esame della prima questione sollevata dal giudice a quo.

47      Al fine di risolvere utilmente tale questione occorre constatare anzitutto che è pacifico, da un lato, che, al pari degli artt. 6, n. 1, e 7, secondo comma, della decisione n. 1/80, il primo comma del medesimo art. 7 ha efficacia diretta negli Stati membri, di modo che i cittadini turchi che ne soddisfano le condizioni possono far valere direttamente i diritti che esso loro attribuisce (v., in particolare, sentenza Torun, cit., punto 19), e che, dall’altro, i diritti che quest’ultima disposizione conferisce al figlio di un lavoratore turco per quanto riguarda la sua situazione lavorativa nello Stato membro interessato implicano necessariamente, per evitare di privare di qualsiasi efficacia i diritti di accesso al mercato del lavoro e di svolgimento effettivo di un’attività lavorativa subordinata, l’esistenza di un correlato diritto di soggiorno in capo all’interessato (v., in particolare, sentenza 11 novembre 2004, causa C‑467/02, Cetinkaya, Racc. pag. I‑10895, punto 31).

48      L’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 contempla la situazione di un cittadino turco che, in qualità di familiare di un lavoratore turco che appartiene o che è appartenuto al regolare mercato del lavoro dello Stato membro ospitante, sia stato autorizzato a raggiungere ivi il detto lavoratore ai fini del ricongiungimento familiare, oppure sia nato e sia stato sempre residente in tale Stato (v., in particolare, sentenza Aydinli, cit., punto 22).

49      A questo proposito, occorre ricordare, in primo luogo, che la Corte ha già affermato che l’applicabilità di tale disposizione a questo tipo di situazioni prescinde dalla circostanza che, alla data dei fatti che hanno dato luogo alla controversia, l’interessato sia maggiorenne e non conviva con la famiglia, ma conduca un’esistenza autonoma dal lavoratore nello Stato membro di cui trattasi (v., in particolare, le citate sentenze Aydinli, punto 22, nonché, per analogia, Torun, punti 27 e 28).

50      Un siffatto cittadino turco non può pertanto perdere un diritto acquisito sulla base dell’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 a causa del sopravvenire di circostanze del tipo di quelle di cui al punto precedente. Infatti, il diritto dei familiari di un lavoratore turco di accedere, dopo un certo periodo di tempo, ad un lavoro nello Stato membro ospitante è volto proprio a consolidare la loro posizione in tale Stato offrendo loro la possibilità di diventare autonomi (v. sentenza Aydinli, cit., punto 23).

51      Inoltre, anche se l’art. 7, primo comma, primo trattino, della decisione n. 1/80 richiede, in linea di principio, che il familiare di un lavoratore turco conviva effettivamente con quest’ultimo nel periodo di tre anni durante il quale l’interessato non soddisfa egli stesso le condizioni per accedere al mercato del lavoro nello Stato membro ospitante (v. sentenze 17 aprile 1997, causa C‑351/95, Kadiman, Racc. pag. I‑2133, punti 33, 37, 40, 41 e 44, 16 marzo 2000, causa C‑329/97, Ergat, Racc. pag. I‑1487, punti 36 e 37; 22 giugno 2000, causa C‑65/98, Eyüp, Racc. pag. I‑4747, punti 28 e 29, nonché Cetinkaya, cit., punto 30), è pur vero che gli Stati membri non hanno più il diritto di porre condizioni al soggiorno di un familiare di un lavoratore turco oltre tale periodo di tre anni e, a maggior ragione, ciò deve valere per un lavoratore migrante turco che soddisfa le condizioni sancite dal detto art. 7, primo comma, secondo trattino (v. citate sentenze Ergat, punti 37-39, Cetinkaya, punto 30, e Aydinli, punto 24).

52      Come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 30 e 31, nonché 120-123 delle sue conclusioni, la Corte ha in particolare affermato a tal proposito, per quanto riguarda i familiari di un lavoratore turco contemplati dall’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 che, come il sig. Derin, beneficiano, dopo cinque anni di regolare residenza, del diritto di libero accesso a un’attività lavorativa nello Stato membro ospitante conformemente al secondo trattino di tale disposizione, che non soltanto l’effetto diretto che vi si ricollega ha come conseguenza che gli interessati traggono un diritto individuale in materia di occupazione direttamente dalla decisione n. 1/80, ma, inoltre, l’effetto utile di tale diritto implica necessariamente l’esistenza di un diritto correlativo di soggiorno indipendente dal mantenimento delle condizioni di accesso a tali diritti (v., in particolare, citate sentenze Ergat, punto 40, Cetinkaya, punto 31, e Aydinli, punto 25).

53      Di conseguenza, la circostanza che la condizione per l’ottenimento del diritto di cui trattasi, nella fattispecie la convivenza con il lavoratore turco per un certo periodo di tempo, venga meno dopo che il familiare di tale lavoratore abbia acquisito il diritto di cui trattasi non è atta a rimettere in discussione il beneficio di quest’ultimo (v. sentenza Aydinli, cit., punto 26). Un’interpretazione diversa del summenzionato art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 non sarebbe conforme all’economia e all’obiettivo di quest’ultima, volta a favorire gradualmente l’integrazione nello Stato membro ospitante dei cittadini turchi che rispondono ai requisiti previsti da una delle disposizioni di tale decisione e che, pertanto, beneficiano dei diritti loro attribuiti dalla decisione stessa (v., in particolare, sentenza 8 maggio 2003, causa C‑171/01, Wählergruppe Gemeinsam, Racc. pag. I‑4301, punto 79).

54      In secondo luogo, da costante giurisprudenza della Corte risulta che le limitazioni ai diritti che l’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 riconosce ai familiari di lavoratori turchi che soddisfano i requisiti enunciati al detto comma possono essere soltanto di due tipi, vale a dire il fatto che la presenza del migrante turco sul territorio dello Stato membro ospitante costituisca, a causa del suo comportamento personale, un pericolo reale e grave per l’ordine pubblico, la sicurezza o la sanità pubbliche, ai sensi dell’art. 14, n. 1, della stessa decisione, oppure il fatto che l’interessato abbia lasciato il territorio del suddetto Stato per un periodo significativo e senza motivi legittimi (v. citate sentenze Ergat, punti 45, 46 e 48; Cetinkaya, punti 36 e 38; Aydinli, punto 27, e Torun, punto 21).

55      Dal momento che la decisione n. 1/80 distingue nettamente fra la situazione dei lavoratori turchi che abbiano svolto nello Stato membro ospitante un lavoro regolare durante un periodo determinato (art. 6 di tale decisione) e quella dei familiari degli stessi lavoratori legalmente presenti sul territorio dello Stato membro interessato (art. 7 della stessa decisione) e poiché, nel sistema della detta decisione, quest’ultimo articolo costituisce una lex specialis rispetto ai diritti gradualmente più estesi in funzione della durata dello svolgimento di una regolare attività lavorativa subordinata, sanciti dai tre trattini del detto art. 6, n. 1 (v. sentenze 21 ottobre 2003, cause riunite C‑317/01 e C‑369/01, Abatay e a., Racc. pag. I‑12301, punto 78; Aydinli, cit., punto 19, e Torun, cit., punto 17), i diritti conferiti dall’art. 7 della decisione n. 1/80 non possono essere limitati nelle stesse circostanze di quelli attribuiti dall’art. 6 di quest’ultima (v. citate sentenze Aydinli, punto 31, e Torun, punto 26).

56      In particolare, il cittadino turco al quale alcuni diritti siano stati riconosciuti in forza del suddetto art. 7 non può essere dichiarato decaduto dagli stessi per il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dovuto ad una condanna a una pena detentiva, anche di vari anni e inflitta senza beneficio della sospensione condizionale, né per il fatto che non abbia mai acquisito diritti in materia di lavoro e di soggiorno a norma dell’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80 (v., in tal senso, citate sentenze Aydinli, punto 28, e Torun, punto 26). Infatti, diversamente dai lavoratori turchi ai quali si applica quest’ultima disposizione, lo status dei familiari di cui all’art. 7 della stessa decisione non dipende dall’esercizio di un’attività lavorativa subordinata.

57      Tenuto conto delle precedenti considerazioni, si deve pertanto concludere che dal sistema nonché dalla finalità della decisione n. 1/80 risulta che un cittadino turco in una situazione come quella del ricorrente nella causa principale, che beneficia del diritto di libero accesso a qualsiasi attività dipendente di sua scelta ai sensi dell’art. 7, primo comma, secondo trattino, della medesima decisione perde il diritto di soggiorno che è il corollario del diritto di libero accesso soltanto in due ipotesi, vale a dire nei casi di cui all’art. 14, n. 1, della decisione o quando lascia il territorio dello Stato membro ospitante per un periodo significativo e senza motivi legittimi. Per contro, tale cittadino turco non perde tale diritto al soggiorno né a causa di un’assenza prolungata dal mercato del lavoro dovuta ad una carcerazione, anche per vari anni e senza il beneficio della sospensione condizionale, né a causa del fatto che, alla data del provvedimento di espulsione, aveva un’età superiore ai 21 anni, non risiedeva più presso il lavoratore turco all’origine del suo diritto di soggiorno e non era più a carico di quest’ultimo, ma conduceva una vita indipendente da tale lavoratore (v. citate sentenze Aydinli, punto 32, e, per analogia, Torun, punto 29).

58      Il giudice a quo si domanda tuttavia se l’interpretazione enunciata al punto precedente sia compatibile con l’art. 59 del Protocollo addizionale.

59      Non essendo convinto dell’esaustività delle cause di decadenza dai diritti conferiti in forza dell’art. 7 della decisione n. 1/80 derivante da siffatta interpretazione, il giudice a quo suggerisce infatti che, oltre alle condizioni poste dalla giurisprudenza menzionata al punto 57 della presente sentenza ai fini del mantenimento dei diritti acquisiti, il figlio di un lavoratore turco dovrebbe del pari rispondere ai criteri previsti dal diritto comunitario derivato, e in particolare dagli artt. 10, n. 1, e 11 del regolamento n. 1612/68, che riguardano soltanto i figli di età inferiore a 21 anni o a carico del lavoratore.

60      Di conseguenza, l’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80 deve essere interpretato, secondo il giudice a quo, nel senso che un cittadino turco, che sia autorizzato a recarsi, prima dell’età di 21 anni, sul territorio dello Stato membro ospitante a titolo del ricongiungimento familiare con i genitori occupati in quello Stato, perde il diritto al lavoro nonché il diritto di soggiorno in quest’ultimo Stato, che ne è il corollario, quando raggiunge l’età di 21 anni o non è più a carico della famiglia.

61      Un’interpretazione diversa della detta disposizione comporterebbe che il familiare di un lavoratore turco appartenente al regolare mercato del lavoro di uno Stato membro si troverebbe in una situazione più favorevole del discendente di un lavoratore migrante comunitario.

62      A questo proposito si deve anzitutto constatare che, ai sensi dell’art. 10, n. 1, del regolamento n. 1612/68, i figli di età inferiore a 21 anni o a carico di un lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro fruiscono del diritto incondizionato di stabilirsi con tale lavoratore migrante comunitario.

63      Per contro, l’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80 subordina espressamente il ricongiungimento familiare all’autorizzazione a raggiungere il lavoratore migrante turco concessa conformemente a quanto prescritto dalla normativa dello Stato membro ospitante (v. sentenza 30 settembre 2004, causa C‑275/02, Ayaz, Racc. pag. I‑8765, punti 34 e 35).

64      Pertanto, nell’ambito dell’associazione CEE-Turchia − a parte il caso particolare in cui il cittadino turco sia nato e abbia sempre risieduto nello Stato membro ospitante − il ricongiungimento familiare non costituisce un diritto per i familiari del lavoratore migrante turco, ma dipende anzi da una decisione delle autorità nazionali adottata a norma del solo diritto dello Stato membro interessato, fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali quali enunciati, in particolare, dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (v., per analogia, sentenza 17 settembre 2002, causa C‑413/99, Baumbast e R, Racc. pag. I‑7091, punto 72).

65      Inoltre, a norma dell’art. 11 del regolamento n. 1612/68, i figli che hanno il diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro fruiscono, per questo solo motivo, del diritto di accedere a qualsiasi attività subordinata nello Stato membro ospitante, mentre il diritto dei figli di un lavoratore migrante turco di esercitare un’attività lavorativa subordinata è disciplinato dettagliatamente dall’art. 7, primo comma, della decisione n. 1/80, disposizione che prevede al riguardo condizioni diverse che variano a seconda della durata della residenza regolare con il detto lavoratore migrante all’origine dei diritti. Infatti, durante i primi tre anni di residenza, nessun diritto di tale natura è concesso ai cittadini turchi, mentre, dopo tre anni di regolare residenza con la loro famiglia, gli stessi hanno il diritto di rispondere ad un’offerta di lavoro, fatta salva la priorità da riservare ai lavoratori degli Stati membri. Soltanto dopo cinque anni di residenza regolare essi fruiscono del libero accesso a qualsiasi attività lavorativa subordinata di loro scelta.

66      Infine la Corte ha ripetutamente affermato che i lavoratori turchi, contrariamente ai cittadini degli Stati membri, non hanno il diritto di circolare liberamente all’interno della Comunità, ma fruiscono solo di taluni diritti nello Stato membro ospitante (v., in tal senso, in particolare, sentenze 23 gennaio 1997, causa C‑171/95, Tetik, Racc. pag. I‑329, punto 29; 11 maggio 2000, causa C‑37/98, Savas, Racc. pag. I‑2927, punto 59, e Wählergruppe Gemeinsam, cit., punto 89).

67      Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa alle condizioni alle quali i diritti basati sull’art. 7 della decisione n. 1/80 possono essere limitati enuncia, oltre all’eccezione relativa all’ordine pubblico, alla sicurezza e alla sanità pubbliche, la quale è applicabile indistintamente ai cittadini turchi e ai cittadini comunitari (v., in particolare, sentenza 10 febbraio 2000, causa C‑340/97, Nazli, Racc. pag. I‑957, punti 55, 56 e 63), una seconda causa di decadenza dai detti diritti riguardante unicamente i lavoratori migranti turchi, vale a dire il fatto per questi ultimi di lasciare lo Stato membro ospitante per un periodo significativo e senza motivi legittimi (v. punti 54 e 57 della presente sentenza). In tal caso le autorità dello Stato membro interessato possono esigere che, nell’ipotesi in cui l’interessato desideri successivamente stabilirsi di nuovo nel detto Stato, egli presenti una nuova domanda per essere autorizzato o a ricongiungersi con il lavoratore turco, qualora dipenda sempre da quest’ultimo, o ad accedere al paese come lavoratore in base all’art. 6 della medesima decisione (v. sentenza Ergat, cit., punto 49).

68      Stando così le cose, la situazione del figlio di un lavoratore migrante turco non può essere utilmente paragonata a quella di un discendente di un cittadino di uno Stato membro, tenuto conto delle notevoli differenze esistenti fra la loro situazione giuridica rispettiva, dato che il carattere più favorevole di quella di cui fruisce quest’ultimo risulta del resto dal testo stesso della normativa applicabile.

69      Pertanto, contrariamente all’interpretazione caldeggiata dal giudice a quo, non si può validamente sostenere che, in ragione della limitazione delle cause di perdita del diritto di soggiorno quale risulta dalla giurisprudenza della Corte (v. punti 54 e 57 della presente sentenza), un familiare di un lavoratore migrante turco che sia stato autorizzato a raggiungere quest’ultimo in uno Stato membro si troverebbe in una situazione più favorevole di quella riservata ad un familiare di un cittadino di uno Stato membro, di modo che la norma di cui all’art. 59 del Protocollo addizionale sarebbe violata.

70      Peraltro, l’interpretazione suggerita dal giudice a quo non prende in considerazione il fatto che gli artt. 7 della decisione n. 1/80 e 10 del regolamento n. 1612/68 sono redatti diversamente.

71      Inoltre, un’interpretazione del genere renderebbe inevitabilmente lo status giuridico dei figli dei lavoratori migranti turchi più precario mano a mano che essi si integrano nello Stato membro ospitante, mentre l’art. 7 della decisione n. 1/80 persegue al contrario l’obiettivo di una consolidazione progressiva della situazione dei familiari di detti lavoratori nello Stato membro interessato consentendo loro, dopo un certo tempo, di condurvi una vita indipendente.

72      Inoltre, come risulta dalla motivazione della decisione di rinvio, l’interpretazione del detto organo giurisdizionale, quale illustrata al punto 60 della presente sentenza, si basa essenzialmente sulle considerazioni figuranti al paragrafo 52 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella citata causa Ayaz, mentre considerazioni di tale natura non sono riprodotte nella motivazione della sentenza pronunciata in quella causa.

73      Avendo il giudice a quo espressamente riformulato la sua prima questione a seguito della pronuncia della citata sentenza Aydinli, al fine di indurre la Corte a riesaminare la pertinenza di quest'ultima, occorre inoltre rilevare che, da un lato, l’interpretazione in quella sentenza relativamente alla portata dell’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80 si limita a confermare quella già sancita in merito alla stessa disposizione nella precedente giurisprudenza della Corte (citate sentenze nelle cause Ergat e Cetinkaya). Dall’altro, tale medesima interpretazione è stata estesa dalla Corte, in base a motivi identici, all’art. 7, secondo comma, della decisione di cui trattasi (sentenza nella causa Torun, cit.). Peraltro, non viene fatto valere alcun elemento atto a distinguere significativamente la situazione fattuale e giuridica della causa principale da quella delle citate cause Ergat, Cetinkaya, Aydinli e Torun, di modo che non vi è nel caso di specie alcun valido motivo che giustifichi che la Corte riconsideri la sua giurisprudenza su tal punto.

74      Infine, per quanto riguarda una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, in cui un cittadino turco ha costituito oggetto di un provvedimento di espulsione adottato dalle competenti autorità dello Stato membro ospitante dopo esservi stato condannato per varie violazioni della legislazione nazionale, occorre precisare che è l’art. 14, n. 1, della decisione n. 1/80 che fornisce il contesto giuridico appropriato che autorizza gli Stati membri ad adottare i provvedimenti necessari, fermo restando però che le autorità nazionali sono tenute a procedere ad una valutazione del comportamento personale dell’autore di una violazione nonché del carattere attuale, reale e sufficientemente grave del pericolo che egli costituisce per l’ordine e la sicurezza pubblici, e che, inoltre, esse devono rispettare il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenze Nazli, cit., punti 57-61, e, per analogia, 26 novembre 2002, causa C‑100/01, Oteiza Olazabal, Racc. pag. I‑10981, punti 39, 43 e 44). In particolare, un provvedimento di espulsione fondato sull’art. 14, n. 1, della decisione di cui è causa può essere preso soltanto se il comportamento personale dell’interessato rivelava un rischio concreto di nuove gravi perturbazioni dell’ordine pubblico. Un provvedimento del genere non può quindi essere automaticamente emanato a seguito di una condanna penale e a scopo di prevenzione generale (v. sentenza 7 luglio 2005, causa C‑383/03, Dogan, Racc. pag. I‑6237, punto 24).

75      Tenuto conto del complesso delle considerazioni sin qui svolte, si deve risolvere la prima questione sollevata nel senso che un cittadino turco, autorizzato a entrare quando era bambino nel territorio di uno Stato membro nell’ambito del ricongiungimento familiare e che abbia acquisito il diritto di libero accesso a qualsiasi attività lavorativa subordinata di propria scelta in forza dell’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione n. 1/80, perde il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, che è il corollario del detto diritto di libero accesso, soltanto in due ipotesi, vale a dire:

–        nei casi previsti dall’art. 14, n. 1, di tale decisione o

–        quando lascia il territorio dello Stato membro interessato per un periodo significativo e senza motivi legittimi,

anche quando è di età superiore a 21 anni, non è più a carico dei genitori, ma conduce una vita autonoma nello Stato membro interessato, e non è stato a disposizione del mercato del lavoro per vari anni a causa dell’esecuzione di una pena detentiva inflittagli per tale durata e senza il beneficio della sospensione condizionale.

Siffatta interpretazione non è incompatibile con quanto prescritto dall’art. 59 del Protocollo addizionale.

 Sulla seconda questione

76      Alla luce della soluzione fornita alla prima questione sollevata dal giudice a quo, non occorre risolvere la seconda questione pregiudiziale.

 Sulle spese

77      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

Un cittadino turco, autorizzato a entrare quando era bambino nel territorio di uno Stato membro nell’ambito del ricongiungimento familiare e che abbia acquisito il diritto di libero accesso a qualsiasi attività lavorativa subordinata di propria scelta in forza dell’art. 7, primo comma, secondo trattino, della decisione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione, adottata dal Consiglio di associazione istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, perde il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, che è il corollario del detto diritto di libero accesso, soltanto in due ipotesi, vale a dire:

–        nei casi previsti dall’art. 14, n. 1, di tale decisione o

–        quando lascia il territorio dello Stato membro interessato per un periodo significativo e senza motivi legittimi,

anche quando è di età superiore a 21 anni, non è più a carico dei genitori, ma conduce una vita autonoma nello Stato membro interessato, e non è stato a disposizione del mercato del lavoro per vari anni a causa dell’esecuzione di una pena detentiva inflittagli per tale durata e senza il beneficio della sospensione condizionale. Siffatta interpretazione non è incompatibile con quanto prescritto dall’art. 59 del Protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.