CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 15 marzo 2007 (1)

Causa C-424/05 P

Commissione delle Comunità europee

contro

Sonja Hosman-Chevalier

«Dipendenti – Indennità di dislocazione – Art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto – Nozione di “servizi effettuati per un altro Stato”»





I –    Introduzione

1.     Con sentenza 13 settembre 2005, resa nella causa T-72/04, Hosman-Chevalier/Commissione (2) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), il Tribunale di primo grado (in prosieguo: il «Tribunale»), in accoglimento parziale del ricorso introdotto dalla sig.ra Hosman-Chevalier, annullava le decisioni dell’8 aprile e del 29 ottobre 2003 con le quali la Commissione delle Comunità europee negava alla ricorrente il beneficio dell’indennità di dislocazione e di prima sistemazione di cui rispettivamente agli artt. 4, n. 1, lett. a), e 5, n. 1, primo comma, dell’allegato VII dello Statuto dei dipendenti delle Comunità europee, nella versione in vigore al momento in cui si sono svolti i fatti di causa (in prosieguo: lo «Statuto»).

2.     La Corte, nel presente giudizio, è chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione presentata dalla Commissione avverso la predetta sentenza.

II – Contesto normativo di riferimento

3.     Ai termini dell’art. 69 dello Statuto l’indennità di dislocazione è pari al 16% dell’ammontare complessivo dello stipendio base, dell’assegno di famiglia e dell’assegno per figli a carico ai quali il dipendente ha diritto.

4.     In forza dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto detta indennità è concessa:

«a) al funzionario:

–       che non ha e non ha mai avuto la nazionalità dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio e

–       che non ha, abitualmente, abitato o svolto la sua attività professionale principale sul territorio europeo di detto Stato durante il periodo di cinque anni che scade sei mesi prima della sua entrata in servizio. Per l’applicazione della presente disposizione, non si tiene conto delle situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale».

III – Fatti

5.     Secondo la ricostruzione dei fatti stabilita dal Tribunale, la sig.ra Hosman-Chevalier (in prosieguo: la «resistente»), cittadina austriaca, ha studiato e lavorato in Austria fino al 14 maggio 1995. Dal 15 maggio 1995 al 17 marzo 1996 ha lavorato in Belgio per il Verbindungsbüro des Landes Tyrol (l’ufficio di collegamento del Land del Tirolo), situato a Bruxelles.

6.     Dal 18 marzo 1996 al 15 novembre 2002 la resistente ha lavorato in seno alla Rappresentanza permanente della Repubblica d’Austria presso l’Unione europea a Bruxelles (in prosieguo: la «RPA»). In tale periodo ha svolto la sua attività prima per la Verbindungstelle der Bundesländer (ufficio di collegamento dei Länder; in prosieguo: la «VB»), e successivamente per l’Österreichischer Gewerkschaftsbund (federazione dei sindacati austriaci; in prosieguo: l’«OGB»).

7.     Il 16 novembre 2002 la resistente è entrata in servizio presso la Commissione come dipendente di ruolo. Il periodo di cinque anni menzionato all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto, denominato il «periodo di riferimento», è stato fissato tra il 16 maggio 1997 e il 15 maggio 2002.

8.     Con nota dell’8 aprile 2003 la direzione generale «Personale e Amministrazione» della Commissione comunicava alla resistente che il beneficio dell’indennità di dislocazione non poteva esserle concesso in quanto non sussistevano le condizioni per la sua assegnazione.

Con decisione del 29 ottobre 2003 l’autorità che ha il potere di nomina respingeva il reclamo presentato dalla resistente avverso la decisione contenuta nella nota dell’8 aprile 2003. Il rigetto si fondava sul motivo che l’attività professionale esercitata dalla resistente a Bruxelles durante il periodo di riferimento non poteva essere considerata come «servizi effettuati per un altro Stato» ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto.

IV – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

9.     Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 febbraio 2004 la resistente proponeva avverso la decisione di rigetto del reclamo del 29 ottobre 2003 un ricorso volto a ottenere l’annullamento della stessa e la condanna della Commissione alle spese.

10.   Con sentenza 13 settembre 2005 il Tribunale dichiarava parzialmente fondato il ricorso e annullava la decisione impugnata nonché la decisione dell’8 aprile 2003, in quanto le conclusioni della resistente dovevano intendersi dirette altresì a ottenere l’annullamento di tale atto (3).

11.   La pronuncia si fondava sull’accoglimento del secondo motivo di impugnazione, relativo alla violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto (4) e si articolava nei seguenti passaggi.

12.   In via preliminare, richiamata la ratio che governa la disciplina prevista dall’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto (5), il Tribunale precisava che la nozione di Stato che rileva ai fini dell’applicazione della disposizione contenuta nel secondo trattino, in fine, di detta disposizione «riguarda unicamente lo Stato come persona giuridica e soggetto unitario di diritto internazionale e i suoi organi di governo» (6).

13.   Il Tribunale passava quindi ad esaminare se i servizi che la resistente aveva fornito nell’ambito della RPA durante il periodo di riferimento dovessero essere considerati come servizi effettuati per uno Stato ai sensi della predetta disposizione.

14.   Al punto 30 della motivazione il Tribunale affermava che «[è] pacifico che i servizi forniti per organismi quali la Rappresentanza permanente di uno Stato membro presso l’Unione europea o le ambasciate di uno Stato sono considerati servizi effettuati per uno Stato ai sensi dell’art. 4, [n. 1, lett. a),] dell’allegato VII dello Statuto».

15.   Ai punti 31‑36 il Tribunale, basandosi su diversi elementi del fascicolo, accertava che durante l’intero periodo di riferimento la resistente era stata dipendente della RPA, che era assoggettata all’autorità gerarchica del rappresentante permanente della Repubblica d’Austria e che aveva lo stesso status degli altri dipendenti in servizio presso la stessa Rappresentanza. Sulla base di tali elementi, il Tribunale giungeva alla conclusione che i servizi prestati dalla resistente alla RPA nel corso del periodo di riferimento dovevano essere considerati come servizi effettuati per la Repubblica d’Austria.

16.   Ai punti 37‑41 il Tribunale respingeva gli argomenti di segno opposto avanzati dalla Commissione, fondati sul rilievo che, in seno alla RPA, la resistente aveva lavorato per organismi la cui finalità consisteva nel tutelare interessi diversi da quelli dello Stato. In particolare, il Tribunale replicava che l’esigenza di applicazione uniforme del diritto comunitario nonché il principio di eguaglianza si opponevano alla possibilità di rinviare al diritto interno di uno Stato membro al fine di interpretare una disposizione di diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui tale rinvio sia previsto espressamente da detta disposizione ovvero qualora un’interpretazione autonoma della stessa non sia possibile. Nella specie, secondo il Tribunale, tale rinvio non era necessario non potendosi dubitare dell’appartenenza della Rappresentanza permanente presso l’Unione europea di uno Stato membro agli organi dello Stato ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett.a), dell’allegato VII dello Statuto (7).

17.   Al punto 42 il Tribunale affermava che «è sufficiente che una persona eserciti la sua attività professionale per un organismo che fa parte dello Stato nel senso indicato, quale una rappresentanza permanente, affinché essa rientri pienamente nell’eccezione di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, indipendentemente dalle funzioni particolari e specifiche da essa svolte nell’ambito di detto organismo». Il Tribunale proseguiva precisando che in caso contrario «occorrerebbe compiere un’analisi dettagliata dei compiti e delle funzioni svolte dal punto di vista del diritto interno, cosa che sarebbe incompatibile con le esigenze sopramenzionate» tenuto conto, in particolare, che «spetta esclusivamente a ciascuno Stato membro organizzare i suoi servizi come ritiene più opportuno e determinare così gli obiettivi e le funzioni che assegna a coloro che lavorano alle sue dipendenze».

18.   Sulla base di tali motivi il Tribunale concludeva che la Commissione aveva erroneamente rifiutato di neutralizzare il periodo durante il quale la resistente aveva lavorato per la RPA, escludendola illegittimamente dal beneficio dell’indennità di dislocazione di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto e dell’indennità di prima sistemazione, ad essa collegata, prevista dall’art. 5, n. 1, del medesimo allegato. Esso annullava di conseguenza le decisioni controverse in quanto negavano alla resistente le suddette indennità (8).

V –    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

19.   Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 29 novembre 2005, la Commissione proponeva impugnazione avverso la predetta sentenza.

20.   La Commissione conclude che la Corte voglia:

–       annullare la sentenza impugnata e rinviare la causa dinanzi al Tribunale;

–       condannare la resistente alle spese.

21.   La resistente conclude che la Corte voglia:

–       respingere l’impugnazione in quanto manifestamente irricevibile ovvero, in via subordinata, in quanto infondata;

–       condannare la Commissione alle spese.

VI – Analisi giuridica

A –    Sulla ricevibilità

22.   In via principale, la resistente contesta la ricevibilità del ricorso basandosi sull’assunto che esso è diretto, in ultima analisi, a ottenere dalla Corte il riesame di fatti che hanno già costituito oggetto dell’apprezzamento del Tribunale nella sentenza impugnata.

23.   La censura d’irricevibilità va, a mio avviso, disattesa. Contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, il ricorso si fonda su un motivo di diritto, vertente sull’erronea interpretazione e applicazione da parte del Tribunale dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto.

B –    Sul merito

1.      Argomenti delle parti

24.   A sostegno del suo ricorso la Commissione deduce un motivo unico fondato su un errore di diritto nell’interpretazione della condizione relativa a «situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato» di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto.

25.   Secondo la Commissione il Tribunale ha erroneamente ritenuto sufficiente, ai fini del soddisfacimento di detta condizione, che la persona incaricata di effettuare i servizi fosse integrata nel contesto funzionale e/o organizzativo di un organismo dello Stato, quale una rappresentanza permanente presso l’Unione europea (in prosieguo: la «RP»). Tale posizione emergerebbe implicitamente ma necessariamente dai punti 31-36 della motivazione della sentenza impugnata e sarebbe confermata nel successivo punto 42.

26.   La Commissione ritiene invece che la condizione in esame esiga la prova dell’esistenza di un legame giuridico diretto tra il dipendente e lo Stato che non può essere costituto dal solo elemento dell’integrazione funzionale/organizzativa in un’istanza dello Stato.

27.   A sostegno della sua tesi la Commissione fa valere, in primo luogo, che la ratio stessa dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto, come enucleata dal giudice comunitario, presuppone che il dipendente di cui si deve valutare la posizione ai sensi di detta disposizione sia stato, durante il periodo di riferimento, direttamente legato allo Stato di cui trattasi in forza di un rapporto statutario o contrattuale.

28.   Essa rileva, in secondo luogo, che la disposizione in esame costituisce un’eccezione alle condizioni per la concessione dell’indennità di dislocazione e, in quanto tale, deve essere oggetto di un’interpretazione restrittiva.

29.   In terzo luogo, la Commissione ritiene che l’interpretazione della disposizione in parola accolta nella sentenza impugnata si discosti sia dalla giurisprudenza del Tribunale relativa alla condizione attinente ai «servizi effettuati per un altro Stato» sia da quella che ha applicato la condizione alternativa concernente i «servizi effettuati per un’organizzazione internazionale». Per quanto concerne le pronunce rese nel contesto da ultimo citato, la Commissione si riferisce in particolare alle sentenze Nevin/Commissione (9) e Lo Gudice/Parlamento (10) nelle quali il Tribunale ha escluso che ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto con riferimento a servizi effettuati per un’organizzazione internazionale in mancanza di una relazione contrattuale, costitutiva di un legame giuridico diretto, tra il dipendente e l’istituzione per la quale i servizi erano stati prestati. La Commissione ritiene che la valutazione circa la sussistenza dell’una o dell’altra ipotesi a favore delle quali è stata predisposta la disciplina prevista dalla disposizione in esame (servizi effettuati per un altro Stato e servizi effettuati per un’organizzazione internazionale) deve essere condotta, a rischio di incoerenza del sistema, sulla base di criteri interpretativi omogenei.

30.   La Commissione conclude che nella sentenza impugnata il Tribunale ha omesso, in violazione del diritto comunitario, di verificare la sussistenza di un legame giuridico diretto tra la resistente e la Repubblica d’Austria, condizione non soddisfatta nel caso di specie poiché, durante il periodo di riferimento, la resistente era impiegata prima presso la VB e poi presso l’OGB.

31.   La resistente contesta, in quanto destituite di ogni fondamento, tutte le argomentazioni dedotte dalla Commissione e ritiene che la decisione impugnata sia esente dai vizi denunciati dalla Commissione.

2.      Valutazione

a)      Osservazioni preliminari

32.   Al fine di delimitare correttamente l’oggetto del presente giudizio occorre rilevare, a titolo preliminare, che, sebbene la sentenza impugnata contenga una definizione della nozione di Stato di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto (11), il ragionamento che ha condotto il Tribunale ad annullare le decisioni controverse, quale emerge in particolare dai punti 31‑36 e 42 della motivazione, ha reso superflua una sua presa di posizione circa la riconducibilità a detta nozione degli organismi alle cui dirette dipendenze la resistente ha svolto la sua attività professionale durante il periodo di riferimento.

33.   Di conseguenza né il motivo dedotto dalla Commissione a sostegno del suo ricorso, diretto a contestare la validità dei motivi sul cui fondamento il Tribunale ha ritenuto sussistente, a prescindere dalla natura di detti organismi, il collegamento tra la resistente e la Repubblica d’Austria richiesto ai fini dell’applicazione della disposizione in esame, né gli argomenti avanzati dalla resistente, limitati alla contestazione delle allegazioni della controparte, vertono sulla definizione della nozione di Stato accolta nella sentenza impugnata.

34.   La correttezza o meno di detta definizione resta dunque esclusa dalla materia del contendere e il presente giudizio, quanto meno nell’ottica di un mero controllo di legittimità della sentenza impugnata (12), non esige una statuizione della Corte al riguardo.

35.   Pur vertendo sulla medesima disposizione statutaria, il presente giudizio solleva dunque una questione interpretativa diversa da quella oggetto delle cause C‑7/06 P, Beatriz Salvador García/Commissione, C‑8/06 P, Anna Herrero Romeu/Commissione, C‑9/06 P, Tomás Salazar Brier/Commissione, C‑10/06 P, Rafael De Bustamante Tello/Consiglio e C‑211/06 P, Adam/Commissione, attualmente pendenti dinanzi alla Corte.

36.   In dette cause i ricorrenti, dipendenti ai quali è stata rifiutata l’indennità di dislocazione, prima di entrare al servizio della Comunità avevano lavorato a Bruxelles alle dipendenze di organismi incaricati di tutelare gli interessi di enti territoriali infrastatali (13). In nessuno di detti casi i ricorrenti avevano intrattenuto rapporti con la rappresentanza permanente degli Stati cui gli enti in questione appartenevano che possano considerarsi assimilabili a quelli della resistente con la RPA nel presente giudizio. La Corte è dunque chiamata a pronunciarsi nell’ambito delle cause sopramenzionate sulla nozione di Stato ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto, al fine di esaminare la riconducibilità a tale nozione di detti enti.

37.   La presente vertenza ha invece ad oggetto la diversa questione delle condizioni che devono essere soddisfatte affinché si possa ritenere che l’attività svolta dal dipendente di cui si deve accertare il diritto a beneficiare dell’indennità di dislocazione comporti «situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato» onde consentire la «neutralizzazione» dei relativi periodi prevista dall’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto. In particolare, la Corte dovrà stabilire se sia sufficiente a tal fine la sola circostanza che i servizi sono prestati da una persona inserita nel contesto funzionale e organizzativo di un organo dello Stato, indipendentemente dalla questione della riconducibilità alla nozione di Stato ai sensi della disposizione in esame degli organismi che hanno fruito direttamente di detti servizi.

38.   Ciò chiarito, occorre passare rapidamente in rassegna i principali apporti della giurisprudenza in merito all’interpretazione della nozione di «situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale».

39.   Se le decisioni della Corte in materia sono sporadiche, esiste invece un’abbondante, pur se non sempre univoca, giurisprudenza del Tribunale che ritengo comunque opportuno richiamare dato che la Commissione censura tra l’altro il giudice di primo grado per essersi discostato nella sentenza impugnata dalla sua precedente giurisprudenza. Le pronunce cui si accennerà qui di seguito apportano elementi utili a individuare (i) la natura e la ratio della norma di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto, nonché (ii) a definire le condizioni per la sua applicazione.

b)      Analisi della giurisprudenza

i)      Sulla natura e sulla ratio della norma di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto

40.   Si è già accennato che nell’interpretare la disposizione in esame la giurisprudenza del Tribunale ha adottato soluzioni non sempre coincidenti. Ciò vale in particolare per quanto concerne la qualificazione della norma che essa contiene.

41.   Nella sentenza Vardakas/Commissione (14), partendo da un’interpretazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto che non trova a mio avviso un effettivo riscontro testuale, il Tribunale ha affermato che la disposizione di cui al secondo trattino, in fine, costituisce un’eccezione ad un’eccezione che, in quanto tale, deve essere interpretata estensivamente (15). Nella medesima sentenza il Tribunale, mettendo a confronto le disposizioni contenute alle lett. a) e b) dell’art. 4, n. 1, dell’allegato VII (16), è giunto alla conclusione che l’espressione «situazioni risultanti da servizi effettuati per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale», che figura alla lett. a), «[ha] una portata assai più ampia» rispetto all’espressione “esercizio di funzioni al servizio di un’organizzazione internazionale”, ripresa alla lett. b), e che, di conseguenza, «gli estensori dello Statuto hanno utilizzato un’espressione ampia quando si trattava di concedere l’indennità di dislocazione ai dipendenti e, viceversa, termini restrittivi quando si trattava di privarli di questo beneficio» (17). Il Tribunale ne deduceva «l’intenzione del legislatore (…) di concedere ampiamente il beneficio dell’indennità di dislocazione» (18).

42.   Al contrario, nella sentenza Olesen/Commissione (19), il Tribunale ha ritenuto che l’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto, in quanto «eccezione alle condizioni di concessione dell’indennità di dislocazione» (20), dovesse essere oggetto di un’interpretazione restrittiva (21). In detta sentenza, il Tribunale ha altresì precisato che un’interpretazione restrittiva di detta disposizione si impone anche in forza del fatto che essa ha ad oggetto il conferimento di vantaggi finanziari (22).

43.   Devo dire che nessuno dei due approcci mi convince pienamente.

44.   Non condivido la lettura data dalla sentenza Vardakas/Commissione, che, a mio avviso, si scontra con il dato testuale dell’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, dal quale si evince che il primo e il secondo trattino di detta disposizione contengono norme che enunciano le condizioni (entrambe negative) che devono essere cumulativamente soddisfatte per aver diritto all’indennità di dislocazione in forza della medesima disposizione, mentre niente consente di inferire l’esistenza tra dette norme di una relazione regola‑eccezione (23).

45.   Non mi sembra tuttavia persuasivo neppure l’orientamento accolto nella sentenza Olesen/Commissione.

46.   In effetti, mi chiedo se la disposizione sulla cui interpretazione si controverte possa effettivamente considerarsi come «un’eccezione alle condizioni di concessione dell’indennità di dislocazione». In primo luogo, si evince sia dalla sua collocazione testuale che dai termini «per l’applicazione della presente disposizione», che ne introducono l’enunciato, che essa si riferisce unicamente alla condizione menzionata al secondo trattino dell’art. 4, n. 1, lett. a), vale a dire «il non aver abitualmente abitato o svolto un’attività professionale principale sul territorio dello Stato della sede di servizio» durante il periodo di riferimento. In secondo luogo, mi sembra che essa preveda un criterio applicativo della norma che precede piuttosto che introdurre un’eccezione o una deroga alla stessa (24). In ogni caso, se di deroga può parlarsi essa concerne unicamente le modalità di calcolo del periodo di riferimento ai fini dell’applicazione di detta norma e non la condizione dalla stessa enunciata, poiché tale condizione deve comunque essere soddisfatta anche da coloro che, avendo effettuato servizi per uno Stato o per un’organizzazione internazionale, sono legittimati a ottenere la neutralizzazione dei relativi periodi di attività (25).

47.   Per altro verso ‑ pur senza entrare nel merito della trasposizione alla materia del pubblico impiego del principio, elaborato dalla Corte in un diverso settore (26), secondo cui le disposizioni del diritto comunitario che danno diritto a prestazioni finanziate con risorse comunitarie vanno interpretate in maniera restrittiva (27) ‑ occorre a mio avviso chiarire che il richiamo operato dal Tribunale ad una lettura restrittiva della norma in esame dev’essere tutt’al più inteso come esclusione del ricorso ad un’interpretazione analogica e non può in alcun modo legittimare un’interpretazione della stessa che ne alteri la portata contraddicendone il disposto ovvero limitandone l’ambito di applicazione «naturale».

48.   Circa la ratio cui risponde la disposizione contenuta all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto e, più in generale, l’istituto dell’indennità di dislocazione, la giurisprudenza fornisce invece indicazioni univoche.

49.   Secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte e dal Tribunale, «l’indennità di dislocazione ha lo scopo di compensare gli oneri e gli svantaggi particolari risultanti dall’esercizio permanente di funzioni in un paese con il quale il dipendente non ha stabilito nessi durevoli prima della sua entrata in servizio» (28).

50.   Per quanto concerne la disposizione contenuta all’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto, secondo una giurisprudenza costante, essa trova la sua ratio nella volontà di non penalizzare, attraverso la perdita dell’indennità di dislocazione, i dipendenti che si sono stabiliti nel paese della sede di servizio in vista di effettuare attività per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale (29), poiché non si può ritenere che essi «abbiano stabilito nessi durevoli con il Paese di servizio a causa del carattere temporaneo del loro distacco in detto paese» (30).

51.   La regola di neutralizzazione di cui alla disposizione in esame sembra dunque fondarsi sulla presunzione secondo cui la prestazione di servizi per uno Stato o per un’organizzazione internazionale non è di per sé idonea a creare nessi durevoli fra l’interessato e lo Stato in cui tali prestazioni sono effettuate (31).

52.   Come si giustifica una tale presunzione?

53.   Nel silenzio della giurisprudenza si possono avanzare in proposito alcune ipotesi.

54.   Una prima giustificazione può essere ritrovata nella considerazione, fondata su una massima di esperienza, che l’attività effettuata all’estero per uno Stato diverso da quello della prestazione o per un’organizzazione internazionale ha carattere normalmente temporaneo: i dipendenti di un’organizzazione internazionale così come il corpo diplomatico di uno Stato possono essere facilmente chiamati a cambiare sede di servizio e non hanno dunque interesse a stabilire legami durevoli con lo Stato in cui quest’ultima si trova.

55.   Una seconda spiegazione per la presunzione in esame potrebbe fondarsi sulle peculiarità dell’ambiente di lavoro in seno alle organizzazioni internazionali e alle articolazioni statali all’estero. Poiché la vita professionale gioca sovente un ruolo fondamentale ai fini dell’integrazione sociale dell’individuo, la circostanza che l’ambiente lavorativo sia costituito prevalentemente da persone che, da un lato, non sono permanentemente stabilite nello Stato in cui è situata la sede di servizio e, dall’altro, non hanno la cittadinanza di quest’ultimo può rendere più difficile la creazione di legami sociali durevoli tali da comportare una vera e propria integrazione in detto Stato.

56.   Può non essere estranea agli scopi perseguiti dalla regola di neutralizzazione anche l’esigenza di sostenere le capacità di assunzione delle istituzioni comunitarie e di preservarne la capacità attrattiva nei confronti di cittadini di Stati diversi da quello della loro sede. Ciò vale in particolare per l’applicazione di detta regola ai casi di servizi resi per organizzazioni internazionali, nella duplice ottica di non scoraggiare la prestazione di servizi per le istituzioni comunitarie a titolo temporaneo e, viceversa, di non disincentivare coloro che hanno effettuato dette prestazioni dall’entrare al servizio delle istituzioni a titolo permanente.

57.   Mi chiedo infine se quanto precede sia sufficiente a spiegare la presunzione alla base della disposizione in esame oppure se la ratio della stessa non sia piuttosto da ricercare in una sorta di privilegio a favore degli Stati e delle organizzazioni internazionali, privilegio che si estrinseca nella predisposizione di un regime speciale (limitatamente alle modalità di calcolo del periodo di riferimento) a favore di coloro che hanno prestato servizi per i loro organi ed è volto a rimuovere disincentivi alla mobilità geografica del personale degli Stati e delle organizzazioni internazionali. In particolare, l’insufficienza delle giustificazioni suesposte appare palese ove si consideri che esse sono idonee a sostenere la presunzione di non integrazione nello Stato della sede di servizio riguardo sia alle situazioni descritte dalla disposizione in esame sia a quelle risultanti da servizi resi all’estero per soggetti diversi dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali (qualunque sia l’accezione che conviene dare a tali termini in sede interpretativa) (32).

ii)    Sui presupposti di applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto

–       Presentazione della giurisprudenza

58.   Poiché, in sintonia con quanto osservato dalla Commissione, ritengo che la valutazione circa la sussistenza dei presupposti applicativi della norma in esame debba, pena l’incoerenza, essere effettuata in base a criteri identici in entrambe le fattispecie da essa contemplate («servizi resi per un altro Stato» e «servizi resi per un’organizzazione internazionale»), la rassegna che segue riporta pronunce che vertono indistintamente sull’una o sull’altra di dette fattispecie (33).

59.   Per quanto concerne i presupposti soggettivi di applicazione la Corte ha precisato nella sentenza De Angelis/Commissione (34) che la norma di cui trattasi «riguarda solo le situazioni risultanti da servizi effettuati dal dipendente stesso (35) che entra in funzione» e non può essere estesa al dipendente che abbia risieduto nel paese della sede di servizio per avervi seguito, in forza di un obbligo giuridico, il congiunto che vi si era trasferito allo scopo di prendere servizio presso la Comunità.

60.   Riguardo ai presupposti oggettivi, occorre richiamare anzitutto la sentenza Lo Giudice/Parlamento (36), più volte citata dalla Commissione nelle sue memorie, in cui il Tribunale ha per la prima volta considerato quale condizione necessaria ai fini dell’applicazione della disposizione in esame la sussistenza di un legame giuridico diretto tra il dipendente e l’organizzazione internazionale di cui trattasi. Nella causa che ha dato luogo a detta pronuncia, il ricorrente, prima di essere assunto in qualità di dipendente del Parlamento, aveva svolto consulenze informatiche per la Commissione e il Parlamento europeo, in forza di un contratto di appalto stipulato tra dette istituzioni e le società presso le quali era impiegato. Il Tribunale rilevava che il ricorrente non era stato «assunto direttamente da un’istituzione comunitaria a seguito di contratto o in qualunque altra forma, conformemente al regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee o in forza di un altro testo comunitario», che non sussisteva nella specie «alcun rapporto di servizio diretto con le istituzioni in causa e che, per tale ragione, il ricorrente non era assoggettato alle istruzioni di dette istituzioni» (37). Al punto 36 della motivazione il Tribunale affermava, in termini più generali, che per poter beneficiare della regola di neutralizzazione «l’interessato deve almeno aver avuto legami giuridici diretti con l’istituzione in causa» (38).

61.   Nella sentenza Diamantaras/Commissione (39), il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sul diritto del ricorrente a ottenere la neutralizzazione del periodo durante il quale aveva lavorato come consulente indipendente della Commissione, precisava che la disposizione in esame non riguarda unicamente i funzionari di uno Stato o coloro che hanno fatto parte del personale di un’organizzazione internazionale. Secondo il Tribunale lo status di consulente indipendente della Commissione, comportando un legame giuridico diretto tra detta istituzione e il ricorrente, dava luogo a una situazione risultante da servizi effettuati per un’organizzazione internazionale ai sensi di detta disposizione.

62.   Nella sentenza Liaskou/Consiglio (40), l’istituzione convenuta faceva valere l’assenza di qualsiasi vincolo di subordinazione, di origine contrattuale o statutaria, tra la ricorrente e la Commissione presso la quale la prima aveva effettuato un periodo di stage sulla qualifica del quale si controverteva. Il Tribunale rilevava che la ricorrente si era impegnata nel corso del suo stage a effettuare una prestazione di servizi a favore della Commissione dietro remunerazione e che la natura giuridica del suo rapporto con detta istituzione non poteva essere esclusa per il solo fatto che non era stato concluso alcun contratto. Ne conseguiva secondo il Tribunale che lo stage effettuato dalla ricorrente doveva qualificarsi come situazione risultante da servizi prestati per un’organizzazione internazionale ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto.

63.   Nella sentenza Nevin/Commissione, pronunciata l’11 settembre 2002 (41), il Tribunale è ritornato sulla nozione di legame giuridico diretto e sull’importanza che riveste, nel valutare la sussistenza di detto legame, l’accertamento di un vincolo di subordinazione gerarchica tra il dipendente e l’organizzazione internazionale. Nella causa oggetto di tale pronuncia, il ricorrente, prima di essere assunto dalla Commissione, aveva lavorato per questa stessa istituzione tra l’altro come lavoratore interinale. Dopo aver constatato l’assenza di un rapporto d’impiego tra il ricorrente e la Commissione (42) e, conseguentemente, l’assenza di un legame giuridico diretto nel senso già chiarito al punto 34 della sentenza Lo Giudice/Parlamento (43), il Tribunale passava a verificare se gli elementi dedotti dal ricorrente potessero configurare, anche in assenza di un rapporto d’impiego, un siffatto legame (44). Tra gli elementi esaminati dal Tribunale figurava anche la circostanza che, nell’espletamento della sua attività, il ricorrente ricevesse istruzioni unicamente da parte della Commissione. Detta circostanza veniva considerata dal Tribunale perfettamente compatibile con la natura del lavoro interinale, in cui il rapporto d’impiego e quindi di subordinazione si crea unicamente con l’impresa di lavoro interinale; infatti conformandosi alle istruzioni della Commissione il ricorrente eseguiva gli obblighi assunti nei confronti dell’impresa di lavoro internale, suo datore di lavoro, mentre il mancato rispetto di dette istruzioni produceva conseguenze giuridiche unicamente nei rapporti con quest’ultima. Il Tribunale concludeva precisando che, «se la circostanza che il ricorrente era giuridicamente sottoposto alle istruzioni della Commissione costituiva una differenza rispetto alla fattispecie oggetto della sentenza Lo Giudice/Parlamento (…), ciò non toglie che, come in quella causa, non vi sono stati tra le parti legami giuridici diretti idonei a permettere l’applicazione dell’[art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine] dell’allegato VII dello Statuto» (45).

64.   La sussistenza di un legame giuridico diretto nel senso della giurisprudenza sopra richiamata sembra essere richiesta anche quando si tratta di applicare la deroga di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), primo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto all’ipotesi di «servizi resi per un altro Stato».

65.   Nella sentenza Olesen/Commissione, citata al punto 42 supra, il Tribunale richiamava le sentenze Lo Giudice/Parlamento, Diamantaras/Commissione e Nevin/Commissione allo scopo di suffragare un’interpretazione restrittiva della disposizione in esame anche quando si tratti di ipotesi di servizi resi per uno Stato. Senza affermare esplicitamente l’esigenza di applicare anche in tali ipotesi il criterio del legame giuridico diretto elaborato nelle predette sentenze, esso affermava che «sarebbe incoerente far convivere due opposti approcci in seno alla medesima disposizione, vale a dire un’interpretazione restrittiva per quanto riguarda i “servizi resi per un’organizzazione internazionale” e un’interpretazione estensiva per quanto concerne i “servizi resi per un altro Stato”» (46).

66.   Il Tribunale faceva invece espressamente applicazione del criterio del legame giuridico diretto nella sentenza Recale Langarica/Commissione (47) giungendo a escludere la sussistenza nella specie di legami giuridici diretti tra la ricorrente, impiegata presso una società per azioni pubblica costituita secondo il diritto spagnolo, e lo Stato spagnolo. Il Tribunale si fondava essenzialmente sull’assenza di relazioni contrattuali tra quest’ultimo e la ricorrente, mentre la circostanza che la Comunità autonoma basca fosse azionista unico di detta società veniva considerata come idonea a provare unicamente legami giuridici indiretti tra questa entità e la ricorrente e, a fortiori, tra quest’ultima e il Regno di Spagna (48).

–       Analisi

67.   Emerge da quanto sopra esposto che la nozione di «legame giuridico diretto», cui fa riferimento la Commissione nelle sue memorie, è un’elaborazione giurisprudenziale del Tribunale.

68.   A sostegno della sua impugnazione la Commissione fa valere tra l’altro che nella sentenza impugnata il Tribunale si sarebbe discostato dalla sua giurisprudenza, omettendo di accertare nella fattispecie la sussistenza di detto legame. L’istituzione ricorrente ritiene altresì che per «legame giuridico diretto» debba intendersi, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, un vincolo di natura contrattuale o statutaria. Infine, la ricorrente ritiene che il Tribunale abbia applicato un criterio, quello di subordinazione gerarchica, la cui pertinenza per valutare la sussistenza di un legame giuridico diretto sarebbe stata esclusa dalla sentenza Nevin/Commissione, citata supra.

69.   Ritengo utile, prima di procedere oltre nella mia riflessione, esporre le ragioni che non mi consentono di condividere l’analisi della giurisprudenza del Tribunale proposta dalla ricorrente.

70.   Occorre rilevare, in primo luogo, che la giurisprudenza del Tribunale non richiede, affinché sia costituito il legame giuridico diretto richiesto ai fini dell’applicazione della regola di neutralizzazione, che la persona che fornisce i servizi sia dipendente dello Stato o faccia parte del personale dell’organizzazione internazionale (49). In altri termini, lo Stato o l’organizzazione internazionale non deve aver necessariamente assunto nei confronti dell’interessato la qualifica di datore di lavoro.

71.   In secondo luogo, si deve osservare che il Tribunale ha utilizzato la locuzione «legame giuridico diretto» e non la locuzione «vincolo contrattuale diretto». Poiché non ritengo che tale scelta corrisponda unicamente ad un’esigenza di carattere terminologico, dettata dalla necessità di coprire anche situazioni in cui la relazione tra l’interessato e lo Stato o l’organizzazione internazionale non abbia natura contrattuale ma statutaria, mi sembra possibile concludere che il legame cui si riferisce la giurisprudenza non deve discendere necessariamente da un contratto. Peraltro, un’interpretazione secondo la quale, in assenza di una relazione contrattuale diretta, la condizione del legame giuridico diretto sarebbe soddisfatta unicamente in presenza di un legame giuridico più stretto di quello derivante da un contratto non mi sembra condivisibile. In effetti, per un verso, nella sentenza Liaskou/Commissione citata supra, il Tribunale ha considerato sussistente un siffatto legame nel caso di uno stagista. Per altro verso, nella sentenza Lo Giudice/Parlamento, citata supra, esso ha ammesso che il legame richiesto costituisce un minus rispetto ad una relazione contrattuale laddove, dopo aver constatato al punto 34 della sentenza che il ricorrente era legato contrattualmente unicamente a società terze, dichiarava, al successivo punto 36, che l’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto richiede che «il dipendente interessato abbia almeno avuto legami giuridici diretti con l’istituzione in causa».

72.   Quindi, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, se è vero che l’accertamento di una relazione di natura contrattuale o statutaria tra l’interessato e lo Stato o l’organizzazione internazionale di cui trattasi consente di per sé, secondo la giurisprudenza del Tribunale, di concludere per l’esistenza di un legame giuridico diretto, per contro non è permesso desumere da questa giurisprudenza che, ove tale relazione faccia difetto, la sussistenza di detto legame debba per questa sola ragione essere esclusa.

73.   In terzo luogo ritengo che le sentenze Lo Giudice/Parlamento e Nevin/Commissione, nel richiamare la circostanza che l’interessato sia o meno giuridicamente assoggettato alle istruzioni di un organo dello Stato o dell’organizzazione internazionale (50), intendano riferirsi in realtà ad una condizione più specifica che non un semplice vincolo di subordinazione gerarchica, vale a dire ad una situazione in cui incombe all’interessato un obbligo giuridico che comporta il suo assoggettamento al potere di direzione e di controllo del beneficiario della prestazione sull’esecuzione della stessa. Ciò precisato, non condivido la tesi della Commissione secondo la quale la giurisprudenza avrebbe escluso la rilevanza di detto elemento. Al contrario, nella sentenza Lo Giudice/Parlamento esso sembra rivestire un’importanza centrale (51) nell’indagine circa l’esistenza di un legame giuridico diretto tra il ricorrente e l’istituzione comunitaria. Se è vero che la sua importanza è stata notevolmente ridimensionata nella successiva sentenza Nevin/Commissione, non mi sembra tuttavia possibile desumere da questa sentenza che il Tribunale abbia inteso escluderne la pertinenza ai fini di detta indagine (52).

74.   Infine, mi sembra di poter dedurre dalla giurisprudenza fin qui citata che, come correttamente evidenziato dalla resistente e contrariamente a quanto sembra implicare la tesi della Commissione, la verifica dell’esistenza di un legame giuridico diretto tra l’interessato e lo Stato o l’organizzazione internazionale di cui trattasi è effettuata alla luce di un insieme di fattori non predeterminati, la cui idoneità a fungere da indici di un siffatto legame è valutata di volta in volta in base alle caratteristiche di ciascuna fattispecie.

75.   Passo ora ad esaminare la fondatezza della censura avanzata dalla Commissione a sostengo del suo riscorso.

c)      Sull’asserita violazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto

76.   La Corte non ha ancora avuto modo di pronunciarsi sulla nozione di legame giuridico diretto elaborata dal Tribunale.

77.   Nella presente vertenza, la Corte potrà limitarsi ad esaminare la correttezza della soluzione adottata dal Tribunale con riferimento alla situazione della resistente ovvero potrà affrontare in termini più generali la questione interpretativa che le viene prospettata dalle parti.

78.   In questo secondo caso ritengo che la nozione di «legame giuridico diretto» quale delineata nei suoi contorni generali dalla giurisprudenza del Tribunale ‑ a prescindere dalla correttezza dell’applicazione che ne è stata fatta in singole fattispecie, in cui ha prevalso un approccio a mio avviso eccessivamente formalista – possa costituire un corretto parametro in base al quale valutare se l’attività svolta da un dipendente prima della sua entrata in servizio nella Comunità rientri nella definizione di «servizi resi per un altro Stato o per un’organizzazione internazionale» ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell’allegato VII dello Statuto.

79.   In altri termini concordo con il Tribunale nel ritenere che presupposto per l’applicazione di detta disposizione sia l’esistenza di un vincolo giuridico e non solo di fatto tale da mettere direttamente in relazione la persona che effettua i servizi con lo Stato (o con l’organizzazione internazionale) beneficiario degli stessi. Ritengo inoltre che tale vincolo non debba dipendere necessariamente dall’esistenza di una relazione di natura contrattuale o statutaria tra i due soggetti, ma possa essere desunto da altri elementi che caratterizzano il loro rapporto.

80.   Occorre dunque valutare se i fattori di collegamento tra la resistente e la Repubblica d’Austria identificati dal Tribunale siano sufficienti ad integrare detto vincolo.

81.   A tale proposito si deve preliminarmente rilevare che la riconducibilità alla nozione di Stato delle RP non è in alcun modo contestata dalla Commissione, né può essere seriamente revocata in dubbio.

82.   Alla stregua delle comuni missioni diplomatiche (53) le RP esercitano funzioni di rappresentanza e di protezione degli interessi nazionali. Sorte sulla base di iniziative unilaterali degli Stati membri esse fungono da organi di collegamento tra questi ultimi e le istituzioni comunitarie, segnatamente attraverso l’attività del Coreper. Nel corso degli anni, in funzione delle esigenze di rappresentanza delle diverse amministrazioni coinvolte dall’azione comunitaria, esse hanno assunto una struttura sempre più complessa, che riflette le diverse articolazioni dello Stato da cui emanano. Pur assolvendo alle medesime funzioni e conformandosi ad un modello sostanzialmente simile, l’organizzazione e il funzionamento delle rappresentanze permanenti variano da Stato membro a Stato membro, in rapporto alle rispettive caratteristiche, pratiche in uso e priorità. Il numero e la provenienza dei funzionari ed esperti in servizio dipendono, ad esempio, dalle non omogenee esigenze d’intervento delle diverse amministrazioni nazionali.

83.   Senza che sia necessario attardarsi sulla genesi, la natura e il contesto in cui operano le RP, è sufficiente rilevare per le esigenze della presente controversia che, ai fini dell’applicazione della regola di neutralizzazione di cui all’art. 4, n. 1, lett. a), dell’allegato VII dello Statuto, l’attività svolta alle dipendenze di una RP, tenuto conto della natura giuridica di tali organi, deve considerarsi, alla stregua di quella esercitata in seno alle ambasciate, come un servizio reso per lo Stato cui essa appartiene.

84.   Come si è già accennato, detta conclusione non è criticata dalla Commissione, la quale contesta invece che i servizi resi dalla resistente nell’ambito della RPA possano qualificarsi quali servizi effettuati «per» la Repubblica d’Austria. In particolare, secondo la ricorrente, nella decisione impugnata il Tribunale, fondandosi sull’elemento dell’integrazione organico/funzionale della resistente nella RPA, avrebbe applicato un criterio puramente formale a discapito di un’indagine sostanziale che avrebbe dovuto condurlo a escludere l’esistenza del legame giuridico diretto richiesto dalla giurisprudenza quale condizione per l’applicazione della regola di neutralizzazione.

85.   Non condivido l’analisi della Commissione.

86.   Ricordo anzitutto che in base a quanto sopra esposto la sussistenza del legame giuridico diretto invocato dalla Commissione può essere desunto da un insieme di elementi diversi, da identificarsi con riferimento alla singola fattispecie, nel quadro di una valutazione globale.

87.   In secondo luogo, contrariamente al presupposto da cui muove la Commissione, non è necessario ai fini dell’applicazione della regola di neutralizzazione che i servizi di cui trattasi siano resi nell’ambito di una relazione giuridica diretta tra prestatore e beneficiario di natura contrattuale o statutaria.

88.   In terzo luogo, ritengo che gli elementi evidenziati al punto 36 della sentenza impugnata, segnatamente la circostanza che la resistente abbia fatto parte dell’organico della RPA e che avesse lo stesso status degli altri dipendenti in servizio presso detta RP, siano tali da supportare pienamente la conclusione secondo la quale i servizi da essa prestati, agli effetti dell’applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto, sono servizi resi per la Repubblica d’Austria.

89.   Il fatto che la resistente abbia in concreto svolto la sua attività per enti non statali, che operano in seno alla RPA, nulla toglie alla rilevanza, ai fini dell’applicazione della disposizione in esame, del vincolo giuridico che essa ha intrattenuto con la Repubblica d’Austria, nella sua qualità, accertata dal Tribunale, di membro del personale tecnico e amministrativo della RP di detto Stato membro (54). A tale proposito, si ricordi che l’organizzazione interna di una RP è a discrezione dello Stato membro da cui emana. Spetta a quest’ultimo selezionare gli organismi deputati a farvi parte e identificare gli interessi pubblici della cui tutela le diverse istanze che convivono all’interno della RP devono farsi portatrici nei rapporti con le istituzioni comunitarie.

90.   Concordo inoltre con il Tribunale nel ritenere che imporre alle istituzioni comunitarie, in situazioni analoghe a quelle del caso di specie, di procedere ad un’indagine complessa sulla natura delle funzioni particolari svolte dal dipendente in seno ad una RP renderebbe eccessivamente e inutilmente onerosa la valutazione circa la sussistenza delle condizioni di applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, dell’allegato VII dello Statuto in base a criteri oggettivi e di agevole applicazione.

91.   Occorre infine rilevare che, contrariamente a quanto sembrerebbe affermare la ricorrente, la soluzione adottata dal Tribunale non è in alcun modo in contrasto con la ratio della norma in esame quale emerge dalle considerazioni svolte in precedenza, sia che si consideri che detta ratio risieda essenzialmente nell’evitare di penalizzare i soggetti che si trovano nelle situazioni descritte da detta norma, sia che si ritenga che essa vada invece ricercata in una sorta di privilegio in favore degli Stati e delle organizzazioni internazionali.

92.   Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono propongo dunque alla Corte di respingere l’impugnazione.

VII – Sulle spese

93.   Ai sensi dell’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, dello stesso regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

94.   Poiché suggerisco alla Corte di respingere l’impugnazione e dato che la resistente ha chiesto che la Commissione sia condannata alle spese, ritengo che le spese debbano essere poste a carico di quest’ultima.

VIII – Conclusioni

95.   Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di dichiarare che:

«L’impugnazione è respinta

La Commissione è condannata alle spese».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – Racc. pag. II-3265.


3 – Sentenza impugnata, punto 1 del dispositivo.


4 – Il Tribunale ha ritenuto superfluo statuire sugli altri due motivi dedotti dalla resistente, vertenti su un errore di valutazione dei fatti e sulla violazione del principio di parità del trattamento.


5 – Sentenza impugnata, punti 27-28.


6 – Sentenza impugnata, punto 29.


7 – Sentenza impugnata, punto 40.


8 – Sentenza impugnata, punti 42‑47 e 51, e punto 1 del dispositivo. Il ricorso veniva invece respinto nella parte in cui si riferiva alla mancata assegnazione dell’indennità giornaliera che pure era contestata dalla resistente (v. punto 52 e punto 2 del dispositivo).


9 – Sentenza del Tribunale 11 settembre 2002, causa T-127/00, Nevin/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A‑149 e II‑781, punto 51).


10 – Sentenza del Tribunale 22 marzo 1995, causa T-43/93, Lo Giudice/Parlamento (Racc.PI pagg. I‑A‑57 e II‑189, punto 36).


11 – Si ricorda che, al punto 29 della sentenza impugnata, il Tribunale dichiara che «[l]a nozione di Stato prevista in questo articolo riguarda solo lo Stato come persona giuridica e soggetto unitario di diritto internazionale e i suoi organi di governo». Al successivo punto 40, il Tribunale precisa che detta nozione deve essere, nella misura del possibile, interpretata autonomamente rispetto al diritto degli Stati membri.


12 – In base ai motivi che esporrò in seguito, non ritengo che il presente ricorso debba essere accolto e che si prospetti dunque alla Corte l'opzione di un'eventuale statuizione definitiva sul merito della causa.


13 – Si tratta di diverse Comunità autonome spagnole e di un Land, nel caso del ricorrente nella causa C-211/06 P.


14 – Sentenza del Tribunale 30 marzo 1993, causa T‑4/92 (Racc. pag. II‑357).


15 – V. punto 34. Il Tribunale giunge a tale conclusione dopo aver rilevato che la disposizione in esame si inserisce in una disposizione che comporta tre livelli: la regola, in base alla quale l'indennità di dislocazione spetta ai dipendenti che non hanno e non hanno mai avuto la nazionalità dello Stato ove ha sede l'istituzione dalla quale sono stati assunti (primo trattino); l'eccezione, in forza della quale detta indennità non spetta al dipendente che durante il periodo di riferimento ha abitualmente risieduto o lavorato nel territorio di detto Stato (secondo trattino), e la deroga all'eccezione, che consente la neutralizzazione delle situazioni risultanti da servizi resi per un altro Stato o per un'organizzazione internazionale (secondo trattino, in fine).


16 – Ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. b), dell'allegato VII dello Statuto, l'indennità di dislocazione è concessa «al funzionario che, avendo o avendo avuto la cittadinanza dello Stato sul cui territorio è situata la sede di servizio, ha abitato, durante il periodo di dieci anni che scade al momento della sua entrata in servizio, fuori del territorio europeo di detto Stato per motivi diversi dall'esercizio di funzioni al servizio di uno Stato o di un'organizzazione internazionale».


17 – Punto 36.


18 – Punto 37.


19 – Sentenza del Tribunale, 30 giugno 2005, causa T-190/03 (Racc. PI pag. II-805).


20 – Punto 47. Il corsivo è mio.


21 – In tal senso si era già espresso l'avvocato generale Darmon nelle conclusioni presentate nella causa De Angelis/Commissione. La giurisprudenza della Corte qualifica spesso la disposizione in esame come «deroga».


22 – Punto 48.


23 – In altri termini, a mio avviso, presupposto per la concessione dell'indennità di dislocazione non è il fatto di non essere in possesso della cittadinanza dello Stato della sede di servizio quanto piuttosto la situazione di effettiva «dislocazione» in cui versa il dipendente al momento della sua entrata in servizio. Tale lettura sembra altresì confortata dalla lett. b) dell'art. 4, n. 1, che prevede che anche il dipendente che ha la cittadinanza dello Stato della sede di servizio può, in determinate circostanze, beneficiare dell'indennità di dislocazione.


24 – Affinché si possa considerare costituito il binomio norma regolare/norma eccezionale o quello norma derogata/norma derogante è necessario che la norma eccezionale o la norma derogante ricolleghi a determinate fattispecie, che in loro assenza sarebbero disciplinate dalla norma regolare o dalla norma derogata, effetti diversi da quelli che la norma regolare o la norma derogata ricollegherebbe a dette fattispecie. Ora nella specie la norma che si presume regolare o derogata prevede che il dipendente che ha abitualmente abitato o svolto un'attività professionale principale nel territorio dello Stato della sede di servizio durante il periodo di riferimento (descrizione della fattispecie) non ha diritto all'indennità di dislocazione (effetto). La norma che si presume eccezionale o derogante prevede che le situazioni risultanti da servizi resi per un altro Stato (descrizione della fattispecie) non sono prese in considerazione (effetto). Ora, quest'ultima norma non ha come effetto di sottrarre all'ambito di applicazione della prima alcune fattispecie che vi rientrerebbero disciplinandole in modo diverso. Il dipendente che ha effettuato servizi per un altro Stato durante il periodo di riferimento non ha automaticamente diritto all'indennità di dislocazione (effetto che si verificherebbe qualora ci fosse sottrazione della fattispecie alla norma regolare o derogata da parte della norma eccezionale o derogante), ma ha solo diritto a veder neutralizzato ai fini del computo del periodo di riferimento il tempo trascorso nell'espletamento di detta attività. Ne consegue, a mio avviso, che la disposizione in esame non introduce un'eccezione o una deroga alla condizione enunciata al secondo trattino dell'art. 4, n. 1, lett. a), ma si limita a predisporre un criterio applicativo di detta condizione.


25 – In questo senso, v. sentenza 31 maggio 1988, causa 211/87, Nuñez/Commissione, (Racc. pag. 2791).


26 – Quello dei contributi finanziari concessi nell'ambito della politica agricola comune.


27 – Si tratta di un'operazione effettuata costantemente dal Tribunale a partire dalla sentenza 8 marzo 1990, causa T‑41/89, Schwedler/Parlamento (Racc. pag. II‑79); v., inter alia, la giurisprudenza citata al punto 48 della sentenza Olesen/Commissione. Nelle conclusioni presentate nella causa avente ad oggetto l'impugnazione avverso la predetta sentenza, l'avvocato generale Tesauro censurava sul punto la motivazione della sentenza del Tribunale (v. conclusioni dell'avvocato generale nella causa C‑132/90 P, Schwedler/Parlamento, conclusasi con sentenza 28 novembre 1991 (Racc. 1991 p. I‑5745).


28 – V., inter alia, sentenze 20 febbraio 1975, causa 21/74, Airola/Commissione (Racc. pag. 221, punto 8); 9 ottobre 1984, causa 188/83, Witte/Parlamento (Racc. pag. 3465, punto 8); 2 maggio 1985, causa 246/83, De Angelis/Parlamento (Racc. pag. 1253, punto 13); 24 giugno 1987, causa 61/85, Von Neuhoff von der Ley/Commissione (Racc. pag. 2853, punto 7); sentenze del Tribunale 28 settembre 1999, causa T‑28/98, J/Commissione (Racc. PI. pag. I‑A‑185 e II‑973, punto 32); 13 aprile 2000, causa T-18/98, Reichert/Parlamento (Racc. PI, pag. II‑309, punto 25), e Olesen/Commissione, citata, punto 44.


29 – Sentenza Nuñez/Commissione, citata supra, nota 25.


30 – Sentenze 15 gennaio 1981, Vutera/Commissione, causa 1322/79 (Racc. pag. 127, punto 8), e De Angelis/Commissione, citata supra, punto 13; sentenza del Tribunale 11 settembre 2002, causa T‑127/00 (Racc. PI pagg. I‑A‑149 e II‑781, punto 50).


31 – Un'analoga presunzione, anche se in senso opposto, è sottesa alla disposizione contenuta alla lett. b), del n. 1, del medesimo art. 4. V. sentenza del Tribunale 27 settembre 2000, causa T‑317/99, Lemaître/Commissione (Racc. PI pagg. I-A-191 e II-867, punto 59).


32 – Sotto tale profilo merita rilevare che nella sentenza del Tribunale 13 dicembre 2004, causa T‑251/02, E/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A-359 e II‑1643), il Tribunale si è pronunciato, respingendola, su un'eccezione d'illegittimità dell'art. 4, n. 1, lett. a), secondo trattino, in fine, dell'allegato VII dello Statuto, fondata proprio sulla pretesa contrarietà di detta disposizione al principio di parità di trattamento. La ricorrente reclamava l'applicazione nei suoi confronti della regola di neutralizzazione facendo valere di essere stata inviata dallo studio legale inglese con il quale collaborava a svolgere per una parte del periodo di riferimento la sua attività professionale presso la sede di Bruxelles e di non aver creato nessi durevoli con il Belgio a seguito di detta esperienza.


33 – È altresì necessario precisare che, coerentemente con quanto chiarito supra riguardo all'oggetto della presente impugnazione, esula dall'ambito dell'analisi che segue la definizione giurisprudenziale delle nozioni di «Stato» e di «organizzazione internazionale» ai fini dell'applicazione della disposizione in causa.


34 – Citata supra, nota 28, punto 14.


35 – Il corsivo è mio.


36 – Citata supra, nota 10.


37 – Punto 34. Traduzione non ufficiale del testo francese della sentenza.


38 – Traduzione non ufficiale del testo francese della sentenza, il corsivo è mio. Secondo il Tribunale, «una tale interpretazione è peraltro conforme all’autonomia di cui godono le istituzioni nell’organizzazione interna dei loro servizi, che le autorizza, per mezzo di offerte pubbliche, a invitare terzi non appartenenti alla loro struttura gerarchica a proporre i loro servizi al fine di garantire l’esecuzione di lavori puntuali».


39 – Sentenza del Tribunale 14 dicembre 1995, causa T‑72/94, Diamantaras/Commissione (Racc. PI pagg. I‑A‑285 e II‑865, punto 52).


40 – Sentenza del Tribunale 3 maggio 2001, causa T‑60/00, Liaskou/Consiglio (Racc. PI pagg. I‑A‑107 e II‑489, punto 49).


41 – Citata supra, nota 9.


42 – Il Tribunale giungeva a tale conclusione dopo aver esaminato le relazioni intercorrenti tra impresa di lavoro interinale, lavoratore interinale e utilizzatore secondo il diritto belga (v. punti 53‑57).


43 – V. punto 60 supra.


44 – Oltre al vincolo di subordinazione gerarchica, cui ci si riferisce di seguito nel testo, il ricorrente citava quali elementi dai quali dedurre un suo rapporto diretto con la Commissione segnatamente: gli obblighi legali nei confronti del lavoratore interinale posti a carico dell'utilizzatore; alcuni aspetti formali relativi tanto al contratto stipulato tra il ricorrente e la società di lavoro interinale quanto alla documentazione da quest'ultima rilasciata al ricorrente; un certo numero di prestazioni a favore del ricorrente alle quali si obbligava la Commissione in forza delle condizioni generali allegate al contratto tra quest'ultima e la società di lavoro interinale; la circostanza che il nominativo del ricorrente fosse stato approvato dalla Commissione.


45 – Punto 65. Traduzione non ufficiale del testo francese della sentenza.


46 – Punto 50. Traduzione non ufficiale del testo francese della sentenza.


47 – Sentenza del Tribunale 13 settembre 2005, causa T-283/03 (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 166).


48 – V. punti 167 e 168. Il criterio del legame giuridico diretto è richiamato altresì nelle sentenze avverso le quali sono attualmente pendenti le impugnazioni oggetto delle cause richiamate al punto 35 supra.


49 – V. sentenze Diamantaras/Commissione e Liaskou/Commissione citate supra, rispettivamente nota 39 e nota 40.


50 – V. paragrafi 68 e 71 supra.


51 – V. punto 34.


52 – Il Tribunale ha semplicemente chiarito che di per sé detto elemento non è sufficiente ad integrare (o ad escludere nel caso in cui faccia difetto) un legame giuridico diretto.


53 – Per un'applicazione della regola di neutralizzazione ad ipotesi di servizi svolti presso le ambasciate v. sentenze 10 ottobre 1989, causa 201/88, Atala-Palmerini/Commissione (Racc. pag. 3109), e Nuñez/Commissione, citata supra. V. altresì sentenza del Tribunale Olesen/Commissione, citata supra, punto 40.


54 – In tale qualità risiede a mio avviso la differenza fondamentale tra la situazione della resistente e quella del ricorrente nella causa Nevin/Commissione, citata supra, alla quale più volte si riferisce la Commissione nelle sue memorie. Il sig. Nevin, pur essendo assoggettato al potere di direzione e di controllo dell'istituzione presso la quale lavorava, non aveva mai formalmente fatto parte del personale di quest'ultima e non godeva dello status di dipendente di detta istituzione in applicazione di disposizioni dello Statuto o degli altri testi che disciplinano i rapporti di impiego in seno alle istituzioni comunitarie.