Conclusioni dell avvocato generale

Conclusioni dell avvocato generale

1. Risulta da una giurisprudenza costante che la responsabilità extracontrattuale della Comunità può sorgere solo qualora sussistano cumulativamente tre condizioni, cioè un comportamento illecito della Comunità, un danno reale e certo e un nesso di causalità tra il comportamento illecito e il danno lamentato (2) .

2. Con sentenza 17 marzo 2005, causa T‑285/03, Agraz e a./Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha respinto il ricorso per responsabilità proposto da società del settore dei pomodori per il fatto che, sebbene nell’applicazione del regime comunitario dell’aiuto alla produzione la Commissione delle Comunità europee abbia commesso un’irregolarità tale da far sorgere la responsabilità della Comunità, il danno lamentato dalle ricorrenti non aveva carattere certo. La presente impugnazione riguarda i criteri di valutazione dell’esistenza del danno causato ai beneficiari di un aiuto comunitario nel caso in cui la Commissione disponga di un certo margine di discrezionalità al fine di fissare l’importo dell’aiuto.

I – Fatti all’origine dell’impugnazione

A – Contesto normativo e fattuale

3. Il regolamento (CE) del Consiglio 28 ottobre 1996, n. 2201, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti trasformati a base di ortofrutticoli (GU L 297, pag. 29; in prosieguo: il «regolamento di base») istituisce un regime di aiuti alla produzione per i prodotti trasformati a base di pomodori. Ai sensi dell’art. 2 di tale regolamento, tale aiuto viene concesso all’impresa di trasformazione che ha pagato al produttore un prezzo almeno pari al prezzo minimo stabilito dalla Commissione.

4. L’importo dell’aiuto viene fissato ai sensi dell’art. 4 del regolamento di base nella versione applicabile alla presente fattispecie:

«1. L’aiuto alla produzione non può superare la differenza fra il prezzo minimo pagato al produttore della Comunità e il prezzo della materia prima dei principali paesi terzi produttori ed esportatori.

2. L’importo dell’aiuto alla produzione è stabilito in modo da consentire lo smaltimento del prodotto comunitario nei limiti di quanto dispone il paragrafo 1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 5, ai fini del calcolo dell’importo dell’aiuto si tiene conto in particolare:

a) della differenza fra il costo della materia prima nella Comunità e quello della materia prima nei principali paesi terzi concorrenti;

b) dell’importo dell’aiuto stabilito o calcolato prima della riduzione di cui al paragrafo 10, ove si applichi, per la campagna di commercializzazione precedente,

e

c) per i prodotti per i quali la produzione comunitaria rappresenta una quota sostanziale del mercato, dell’andamento del volume degli scambi con l’estero e del relativo prezzo, quando quest’ultimo criterio comporta una diminuzione dell’importo dell’aiuto».

5. Per fissare gli aiuti per la campagna 2000/2001 nel settore degli ortofrutticoli trasformati, la Commissione ha chiesto ai principali paesi terzi produttori di pomodori, gli Stati Uniti, Israele, la Turchia e, per la prima volta, la Cina, di fornirle i necessari elementi d’informazione. Poiché le autorità cinesi non hanno risposto a tale richiesta, la Commissione, ai fini del calcolo, ha tenuto conto solo dei prezzi praticati negli altri tre paesi.

6. Il 12 luglio 2000, la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 1519/2000, che stabilisce, per la campagna di commercializzazione 2000/2001, il prezzo minimo e l’importo dell’aiuto per i prodotti trasformati a base di pomodoro (GU L 174, pag. 29). L’importo dell’aiuto alla produzione è stato fissato in EUR 17,178 per 100 kg di concentrato di pomodoro con un tenore di estratto secco pari o superiore al 28 % ma inferiore al 30%. Tale importo rappresenta una riduzione del 20,54 % rispetto alla campagna precedente.

7. A seguito dell’adozione di tale regolamento, alcune delegazioni ed associazioni spagnole, francesi, greche, italiane e portoghesi, rappresentanti di produttori di prodotti trasformati a base di pomodoro, hanno contestato il fatto che non si fosse tenuto conto del prezzo dei pomodori cinesi al fine di fissare l’importo dell’aiuto. L’organisation européenne des industries de la conserve de tomates (in prosieguo: l’«OEICT » ) e l’Associação Portuguesa dos Industriais de Tomate hanno inoltrato alla Commissione diverse domande di modifica dell’importo concesso. A loro parere, la presa in considerazione dei prezzi cinesi, che sono notevolmente inferiori a quelli applicati nei paesi produttori di cui la Commissione ha tenuto conto, avrebbe dovuto comportare un aumento dell’aiuto. Una di queste domande era corredata della copia di un contratto da cui risultava il prezzo pagato per i pomodori a un produttore cinese. La Commissione, tuttavia, ha ritenuto che fosse impossibile modificare l’importo dell’aiuto in base al prezzo concordato in un solo contratto, dato che le autorità cinesi non avevano notificato il prezzo medio dei pomodori prodotti nel loro paese.

8. Nell’autunno 2001, le autorità spagnole e portoghesi hanno comunicato alla Commissione il prezzo medio dei pomodori pagato per le campagne 1999 e 2000 ai produttori della provincia di Xinjiang, che rappresenta circa l’88% della produzione totale cinese di pomodori trasformati.

9. Tuttavia, nel gennaio 2002, la Commissione ha comunicato all’OEICT che non reputava necessario rivedere il regolamento n. 1519/2000, dato che l’importo dell’aiuto era stato fissato conformemente agli artt. 3 e 4 del regolamento di base. Essa ha inoltre sottolineato che non risultava che l’industria comunitaria del pomodoro fosse stata penalizzata dal livello dell’aiuto fissato, dal momento che nella campagna 2000/20001 era stato raggiunto un livello record di trasformazione.

B – Procedimento e sentenza impugnata

10. Il 18 agosto 2003, un centinaio di società spagnole, italiane, greche, francesi e portoghesi attive nel settore dei prodotti trasformati a base di pomodori hanno depositato nella cancelleria del Tribunale un ricorso diretto a far condannare la Commissione a risarcire loro il danno che esse avrebbero subito a causa del metodo di calcolo dell’aiuto alla produzione previsto dal regolamento n. 1519/2000.

11. Nella sentenza impugnata, il Tribunale constata che il regolamento n. 1519/2000 è viziato da una duplice illegittimità. Quest’ultima deriva, in primo luogo, dall’inattività della Commissione successivamente all’invio della lettera 4 febbraio 2000 con cui aveva chiesto alle autorità cinesi il prezzo medio dei pomodori per la campagna 1999/2000. Tale inattività, secondo il Tribunale, costituisce una violazione sufficientemente caratterizzata dei principi di sollecitudine e di buona amministrazione. L’illegittimità deriva, in secondo luogo, dal fatto che il regolamento n. 1519/2000 non tiene assolutamente conto dei prezzi cinesi dei pomodori ai fini del calcolo dell’importo dell’aiuto ai produttori comunitari di prodotti trasformati a base di pomodori. Secondo il Tribunale, si tratta di una violazione delle condizioni imperative stabilite dal regolamento di base tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

12. Tuttavia, il Tribunale ha concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo che non fosse soddisfatta la condizione relativa al carattere reale e certo del danno subito a causa dell’illecito. Ai punti 72-77 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato quanto segue:

«72. Nella stima delle ricorrenti, il loro danno è esattamente pari alla differenza tra l’importo dell’aiuto che è stato fissato nel regolamento n. 1519/2000 e quello che sarebbe stato determinato se la Commissione avesse preso in considerazione il prezzo cinese.

73. In primo luogo, si deve sottolineare che i prezzi cinesi sui quali le ricorrenti si basano sono quelli da esse ottenuti tramite i servizi diplomatici spagnoli a Pechino. Si tratta del prezzo medio dei pomodori pagato ai produttori della provincia di Xinjiang, la quale rappresenta, secondo le ricorrenti, circa l’88% della produzione cinese di pomodori trasformati. Tali cifre sono contestate dalla Commissione, in quanto rappresenterebbero una media bassa. La Commissione, del resto, non sarebbe stata in grado di valutare se fossero conformi alle disposizioni del regolamento di base (…).

74. Infatti, siccome il regolamento di base conferisce alla Commissione un certo margine di discrezionalità nella fissazione dell’importo dell’aiuto, è impossibile determinare con certezza l’incidenza della presa in considerazione del prezzo versato ai produttori di pomodori cinesi sull’importo dell’aiuto. L’art. 4, n. 1, non prevede che l’aiuto alla produzione debba essere pari alla differenza tra il prezzo minimo pagato al produttore nella Comunità e il prezzo della materia prima dei principali paesi terzi produttori, ma si contenta di fissare un limite massimo.

75. A questo proposito si deve rilevare che il fatto che nel passato la Commissione abbia potuto fissare l’importo dell’aiuto a un livello che rifletteva esattamente la differenza tra il prezzo minimo pagato al produttore nella Comunità e il prezzo della materia prima dei principali paesi terzi produttori ed esportatori non l’obbligava affatto a mantenere l’aiuto a tale livello. Sarebbe anzi contrario alla lettera e alla finalità del regolamento di base che la Commissione non tenesse conto dell’andamento della situazione dei mercati internazionali, rendendo in tal modo eventualmente più difficile lo smaltimento del prodotto comunitario.

76. Le ricorrenti, quindi, non possono invocare un diritto ad un aiuto massimo equivalente alla differenza tra il prezzo minimo pagato al produttore nella Comunità e il prezzo della materia prima dei principali paesi terzi dopo che siano stati presi in considerazione i prezzi cinesi.

77. Conseguentemente, il danno calcolato dalle ricorrenti ed indicato dettagliatamente nella tabella dell’allegato A.27 all’atto introduttivo non ha carattere certo».

13. È su questa parte della sentenza che si concentrano ora le critiche delle ricorrenti. Nel ricorso dinanzi alla Corte, esse affermano che il Tribunale ha errato nel concludere che il danno non era certo. Chiedono pertanto alla Corte di pronunciarsi nuovamente e di dichiarare che nella fattispecie sussistono le condizioni perché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità. Per quanto riguarda il pagamento del saldo dell’aiuto alla produzione che avrebbe dovuto essere loro versato, esse chiedono alla Corte di pronunciarsi su questo punto o di rinviare al Tribunale la valutazione del danno subito.

II – Analisi dell’impugnazione

14. A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono quattro motivi. Il primo motivo riguarda un errore di diritto nella qualifica del carattere certo del danno. Gli altri tre motivi riguardano presunti errori commessi dal Tribunale nello svolgimento della procedura e nella trattazione della causa in primo grado. Con il secondo motivo, le ricorrenti contestano al Tribunale una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di essere sentiti. Con il terzo motivo, lamentano uno snaturamento delle conclusioni da esse formulate in primo grado. L’ultimo motivo riguarda una violazione, da parte del Tribunale, del suo dovere di giudicare e di pronunciarsi sull’entità del danno dopo avere accertato l’illegittimità del comportamento della Commissione.

15. Per quanto riguarda il primo motivo, esso, seguendo l’analisi delle ricorrenti, è suddiviso in due parti. In primo luogo, le ricorrenti fanno valere che la sentenza impugnata si fonda sul mancato rispetto della giurisprudenza comunitaria e dei principi degli ordinamenti giuridici nazionali in materia di responsabilità extracontrattuale, in quanto il tribunale avrebbe erroneamente confuso la determinazione dell’esistenza di un danno certo con la valutazione del suo ammontare. In secondo luogo, il Tribunale avrebbe commesso un errore in quanto, con riguardo al riconoscimento del diritto al risarcimento delle ricorrenti, non avrebbe tratto le conseguenze che si imponevano dalle sue constatazioni in merito all’illegittimità del comportamento della Commissione.

16. L’analisi svolta dalle ricorrenti richiede un’osservazione preliminare. Dalla suddetta analisi sembra emergere che l’illegittimità del comportamento della Commissione, constatata dal Tribunale, avrebbe dovuto automaticamente indurre quest’ultimo a dichiarare la responsabilità della Comunità. Tale analisi sembra suggerire che qualsiasi comportamento illecito che dia luogo alla responsabilità della Comunità determina un diritto al risarcimento. Non è così. Supponendo che venga accertato un illecito di questa natura, rimane da verificare se sussistano gli altri due presupposti perché possa dichiararsi la responsabilità della Comunità (3) . Esistono infatti irregolarità rilevate che non causano alcun danno risarcibile. Ciò si verifica, in particolare, quando il presunto danno è ritenuto «eventuale» (4) o privo di nesso con l’illegittimità contestata (5) .

17. Nel presente procedimento, l’insuccesso dell’azione di risarcimento dinanzi al Tribunale dipende dalla mancanza di certezza del danno lamentato. Si deve escludere la responsabilità della Comunità quando l’istituzione interessata dispone di un certo margine di discrezionalità e pertanto non si può dimostrare con certezza che il comportamento illecito abbia influito sulla decisione adottata. È questa l’ipotesi da prendere ora in esame.

A – L’errore di valutazione nella sentenza impugnata

18. Vi è un caso in cui è facile comprendere che un comportamento illecito, che dà luogo a conseguenze chiare e prevedibili, non determina un danno reale e certo. Ammettiamo che si possa dimostrare che, in mancanza dell’irregolarità constatata, si sarebbe dovuto adottare il medesimo atto, o che tale irregolarità, essendo di ordine meramente formale o procedurale, non incida sul contenuto dell’atto (6), oppure che l’istituzione interessata debba comunque adottare un atto identico, in virtù di una competenza vincolata. In questi casi, se pure sussiste l’illecito, si può ritenere che il danno non sia stato dimostrato. Infatti ritengo giusto non risarcire affatto le conseguenze di un atto illegittimo che avrebbe comunque dovuto essere adottato con il medesimo contenuto sostanziale.

19. Il caso di specie è del tutto diverso. Nel presente procedimento, la Commissione si è sostanzialmente limitata ad affermare dinanzi al Tribunale e successivamente dinanzi alla Corte che, considerato il potere discrezionale che le viene riconosciuto, non si può escludere che l’aiuto concesso sarebbe stato identico a quello previsto dal regolamento n° 1519/2000. Pertanto, non si potrebbe ritenere che il suo comportamento illecito abbia causato un danno risarcibile. Due ragioni, a mio parere, ostano a tale conclusione.

20. La prima emerge dalla giurisprudenza della Corte. È vero che l’attribuzione alla Commissione di un potere discrezionale costituisce un elemento tale da giustificare il carattere ipotetico di un danno. Quando un candidato a un impiego o un offerente in un appalto viene privato del diritto di concorrere a causa di un errore della Comunità, generalmente il giudice non concede il risarcimento per la perdita di possibilità che ne deriva per l’interessato. Il motivo è che quest’ultimo non può far valere un diritto o un’aspettativa legittima di ottenere l’impiego o l’appalto di cui trattasi (7) . In tal caso, poiché la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale ai fini dell’assegnazione dell’impiego o dell’appalto, il danno materiale risultante dalla perdita dei vantaggi che sarebbero derivati dall’ottenimento dell’impiego o dell’appalto appare troppo incerto per poter essere considerato risarcibile. Tuttavia, tale giurisprudenza è applicabile solo nei casi di perdita di possibilità ben circoscritti. Al di fuori di tali casi, il principio è che l’attribuzione di un margine di discrezionalità all’istituzione interessata non costituisce un ostacolo per l’accertamento di un danno risarcibile (8) . Nella fattispecie, le ricorrenti lamentano un lucro cessante dovuto alla mancanza di una concessione regolare di un aiuto cui esse ritengono di avere diritto. Non è in discussione il potere discrezionale che la Commissione avrebbe potuto esercitare se non fosse stata commessa l’irregolarità, bensì il risultato dell’esercizio effettivo di tale potere. In questo caso, secondo una giurisprudenza costante della Corte, si deve semplicemente accertare che il danno lamentato non ecceda l’ambito dei rischi inerenti alle attività nel settore considerato (9) .

21. La seconda ragione è di ordine sistematico. Ammettere che il potere discrezionale dell’istituzione interessata possa essere un criterio per valutare l’esistenza di un danno rischia di privare l’azione per responsabilità extracontrattuale di gran parte del suo effetto utile. Infatti sarebbe legittimo temere che l’istituzione di cui trattasi si limiti a fare riferimento, in generale , a una certa libertà d’azione per dimostrare che tale libertà avrebbe potuto essere utilizzata per pervenire a una soluzione identica a quella che ha causato il presunto danno. Siffatto ampliamento delle cause di irresponsabilità è ancor meno ammissibile se si considera che l’azione per responsabilità fondata sull’art. 288 CE può essere esercitata da singoli che, date le condizioni restrittive di ricevibilità del ricorso d’annullamento previste dall’art. 230 CE, non hanno la possibilità di mettere direttamente in discussione l’atto da cui deriva il danno che essi affermano di aver subito. A tale proposito ricordo che la Corte ha già avuto modo di dichiarare che «l’azione di risarcimento va valutata alla luce del sistema complessivo di tutela giurisdizionale dei singoli istituito dal Trattato» (10) .

22. Così stando le cose, la circostanza che, nella materia in questione e ai fini della fissazione dell’importo dell’aiuto alla produzione, la Commissione disponesse di un certo margine di discrezionalità non l’autorizza a negare semplicemente il carattere certo del danno causato da una violazione delle norme relative al metodo di calcolo dell’aiuto. Il Tribunale non ha considerato che in tal caso occorre ancora verificare se, qualora non fosse stata commessa l’irregolarità contestata, la Commissione avrebbe dovuto mantenere l’aiuto allo stesso livello. Fondando la sua analisi sulla generica attribuzione di un certo margine di discrezionalità all’istituzione interessata, senza curarsi di verificare attentamente che l’irregolarità rilevata non abbia avuto alcuna influenza sulla soluzione adottata, il Tribunale, a mio parere, ha commesso un errore di diritto.

23. Ciò non significa peraltro che la circostanza che un’istituzione disponga di un potere discrezionale non sia pertinente nell’ambito dell’esame di un’azione per responsabilità extracontrattuale della Comunità. È evidente che essa assume rilevanza, ma ad altri livelli. Essa rileva, anzitutto, in relazione al primo presupposto perché sorga la responsabilità. Ricordo che la giurisprudenza esige, affinché possa provarsi una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma di diritto intesa a conferire diritti ai singoli, la dimostrazione di una violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione comunitaria interessata, dei limiti imposti al suo potere discrezionale (11) . In questa fase, pertanto, è essenziale determinare il margine di discrezionalità di cui dispone l’istituzione di cui trattasi (12) . Il Tribunale ha svolto tale compito ai punti 42-47 della sentenza impugnata (13) .

24. Inoltre può anche essere legittimo tenere conto dell’ampiezza e della collocazione di tale margine di discrezionalità nell’ambito della valutazione dell’ammontare del danno. Infatti, se è vero che la Commissione dispone in questa materia di un certo margine di discrezionalità ai fini dell’accertamento dei dati di fatto e della fissazione dell’importo dell’aiuto, le ricorrenti non potevano legittimamente aspettarsi di ottenere, in ogni caso, un aiuto massimo equivalente alla differenza tra il prezzo minimo pagato al produttore nella Comunità e il prezzo della materia prima dei principali paesi terzi dopo la presa in considerazione dei prezzi cinesi. Tale è il senso dell’analisi svolta dal Tribunale ai punti 73-76 della sentenza impugnata. Pertanto, l’origine del danno è individuabile unicamente nella perdita dell’importo dell’aiuto cui le ricorrenti avrebbero avuto diritto se non fosse stato commesso l’errore relativo alla presa in considerazione dei prezzi cinesi, tenuto comunque conto dei coefficienti di correzione che in tal caso la Commissione avrebbe potuto applicare per modulare l’importo dell’aiuto (14) .

25. Tuttavia, si sarebbe dovuto riservare tale analisi alla determinazione dell’ entità del danno lamentato. Quest’ultima non può entrare in linea di conto nel contesto dell’analisi relativa all’esistenza del danno. Dalla sentenza impugnata emerge una certa confusione tra queste due questioni di natura diversa. Mi pare innegabile che sia difficile stabilire con precisione l’incidenza dell’irregolarità commessa, data la varietà degli elementi di cui la Commissione poteva tenere conto. Ma ciò vale principalmente per l’esame dell’entità del danno subito. Preliminarmente, occorreva verificare se fosse effettivamente stato causato un danno, cioè se l’inosservanza delle modalità di calcolo dell’aiuto avesse inciso negativamente sulla situazione delle ricorrenti.

26. Nel contesto di un’azione per responsabilità si deve distinguere chiaramente l’accertamento dell’esistenza di un danno dalla determinazione dell’esatta portata dell’effetto di quest’ultimo sulla situazione degli interessati. È vero che un danno, nella pratica, può risultare molto modesto. Tuttavia, perché sia dimostrato un danno reale e certo è sufficiente constatare che esso non è né meramente ipotetico né soltanto eventuale e che esso determina una perdita quantificabile. Un danno certo non è quello che può essere calcolato con esattezza, bensì quello che deriva normalmente dal comportamento dell’istituzione di cui trattasi e che può essere quantificato economicamente. D’altro canto, è giurisprudenza costante che l’art. 288 CE «non vieta di adire la Corte per far dichiarare la responsabilità della Comunità per danni imminenti e prevedibili con una certa sicurezza, anche se l’entità del danno non è ancora esattamente determinabile» (15) .

B – Sulla corretta qualifica del danno

27. Da quanto precede consegue che la valutazione del Tribunale relativa al carattere certo del danno dev’essere considerata erronea. Tale errore è tale da determinare l’annullamento della sentenza impugnata, salvo che il dispositivo della medesima sentenza appaia fondato per altri motivi di diritto (16) . Occorre quindi verificare, alla luce dell’analisi svolta nella sentenza impugnata e degli elementi del fascicolo, se il Tribunale potesse legittimamente adottare tale soluzione.

28. A prima vista, il caso in esame presenta una certa analogia con un procedimento precedente in cui la Corte ha respinto un ricorso per responsabilità in quanto le presunte perdite non erano state provate.

29. Nella causa Lesieur Cotelle e a./Commissione (17), alcune imprese di trasformazione di semi di colza affermavano di avere subito, a causa dell’abolizione degli importi compensativi, una riduzione del prezzo dei loro prodotti che non era compensata dall’aiuto cui esse ritenevano di avere diritto. La Corte ha precisato che essa interpretava l’argomento delle ricorrenti segnatamente nel senso che, «in conseguenza dell’istituzione del regime degli importi compensativi, esse sarebbero state indotte a rifornirsi sul mercato comunitario ed a chiedere la prefissazione delle relative integrazioni, temendo che l’obbligo di versare gl’importi compensativi avrebbe reso loro particolarmente oneroso l’acquisto dei semi sul mercato mondiale. Con la soppressione di tali imposizioni, il loro calcolo si sarebbe rivelato errato ed esse sarebbero state private della possibilità di approvvigionarsi a condizioni più vantaggiose sul mercato mondiale, subendo così un danno di cui la Comunità sarebbe responsabile» (18) . Secondo la Corte, tuttavia, le perdite lamentate non erano state dimostrate chiaramente. Da un lato, l’aiuto atteso non era direttamente connesso all’esistenza del regime controverso. Infatti, l’instaurazione del regime degli importi compensativi non mirava a tutelare direttamente i produttori comunitari, bensì a evitare perturbazioni agli scambi intracomunitari (19) . Dall’altro, non era chiaro che i trasformatori avrebbero subito una riduzione del prezzo dei loro prodotti. Anzi, la Corte ha precisato che le ricorrenti «non hanno provato l’infondatezza della reiterata affermazione della [Commissione], secondo cui, dopo l’emanazione del suddetto provvedimento, il livello dei prezzi di tali prodotti sul mercato comunitario è rimasto invariato» (20) .

30. Il presente caso, sebbene sembri prestarsi a un’interpretazione analoga degli argomenti dedotti dalle parti, si fonda su presupposti del tutto diversi. Da un lato, il regime di aiuti la cui applicazione è stata dichiarata errata nella fattispecie mira ad aiutare la produzione di alcuni prodotti trasformati che «rivestono particolare importanza nelle regioni mediterranee della Comunità», proteggendola dalla concorrenza internazionale nel cui ambito i prezzi alla produzione sono notevolmente inferiori (21) . Dall’altro, non è seriamente contestabile che, nella fattispecie, l’errore di calcolo commesso dalla Commissione abbia avuto un impatto negativo sulla situazione delle ricorrenti. Ciò risulta, a mio parere, da due elementi che emergono con chiarezza dall’analisi del Tribunale.

31. In primo luogo, dallo stesso regolamento di base risulta che l’importo dei prezzi corrisposti ai produttori nei paesi terzi costituisce un elemento fondamentale e indispensabile ai fini del calcolo dell’aiuto (22) . In tal senso, il Tribunale ha dichiarato, al punto 57 della sentenza impugnata, che «la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione il prezzo cinese» per calcolare l’aiuto concesso relativamente all’anno controverso (23) . In secondo luogo, dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che l’errore commesso dalla Commissione ha determinato una sovrastima del prezzo della materia prima dei principali paesi produttori (24) . Orbene, tale prezzo rientra nella base di calcolo dell’importo dell’aiuto, quale previsto all’art. 4, n. 2, lett. a), del regolamento di base. L’aumento di tale prezzo comporta una riduzione del margine tra il costo della materia prima nella Comunità e quello della materia prima dei principali paesi terzi concorrenti e, di conseguenza, una diminuzione della base reale dell’importo dell’aiuto. È vero che non si può escludere che una base calcolata correttamente venga ancora rettificata in funzione di altri criteri, e in particolare del coefficiente di riduzione di cui alla lett. c) della medesima disposizione. A priori, tuttavia, è chiaro che un’applicazione erronea, nel senso sopra indicato, del criterio di base non può che avere un effetto negativo sulla determinazione dell’importo definitivo dell’aiuto.

32. Secondo una giurisprudenza ben consolidata, spetta al ricorrente fornire elementi di prova al giudice comunitario per dimostrare l’esistenza e la portata del danno che afferma di avere subito (25) . Nella fattispecie, le ricorrenti hanno chiaramente dimostrato che un nuovo calcolo del prezzo corretto della materia prima doveva condurre a un aumento dell’importo dell’aiuto percepito. Spettava quindi alla Commissione dimostrare che, nelle circostanze del caso di specie e alla luce di tutti i dati di cui essa dispone, tale aspettativa non era fondata. Essa non poteva limitarsi a sostenere, come ha fatto secondo quanto riferito al punto 67 della sentenza impugnata, che, considerato il potere discrezionale di cui essa dispone, l’aumento dell’aiuto non era sicuro. La Commissione doveva ancora dimostrare che il mantenimento dell’aiuto al livello fissato nel regolamento controverso era compatibile con la corretta applicazione dei criteri stabiliti dall’art. 4, n. 2, del regolamento di base. Orbene, risulta che tale analisi sia stata omessa nella fattispecie.

33. Ne consegue che il danno lamentato avrebbe dovuto essere considerato reale e certo.

C – Sull’obiezione della Commissione

34. La Commissione, tuttavia, afferma che il danno è realmente dimostrato solo se si può provare che non è stato raggiunto lo scopo dell’aiuto, quale risulta dall’art. 4, n. 2, del regolamento di base, cioè consentire lo smaltimento del prodotto comunitario. Orbene, a suo parere, tutto indicherebbe che l’importo fissato nel regolamento n. 1519/2000 ha permesso di conseguire tale scopo.

35. Tale obiezione può essere interpretata in due modi diversi. Quale che sia l’interpretazione scelta, l’obiezione va respinta.

36. Anzitutto, sembra che la Commissione intenda contestare il principio stesso della messa in discussione della sua responsabilità. Apparentemente, essa ritiene che il comportamento illecito che le viene contestato non possa avere influito in maniera determinante sul risultato della sua azione, che sarebbe conforme allo scopo assegnatole dal regolamento di base. Se tale è il senso della sua obiezione, perché essa potesse essere accolta sarebbe stato necessario che la convenuta avesse proposto un ricorso incidentale per contestare la valutazione del Tribunale relativa alla legittimità del suo comportamento. In mancanza di tale ricorso, la conclusione del Tribunale secondo cui sussiste un comportamento illecito tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità dev’essere considerata definitiva e non può essere contestata. Pertanto, l’obiezione è irricevibile.

37. Con tale motivo, tuttavia, la Commissione sostiene altresì che il fatto che la produzione comunitaria sia stata effettivamente smaltita nella campagna controversa, conformemente allo scopo prefissato dal regolamento di base, dimostra che il regolamento n. 1519/2000 non ha causato alcun danno risarcibile. A tale proposito, la Commissione cita una lettera del Direttore Generale per l’agricoltura, indirizzata alle ricorrenti in data 7 gennaio 2003, in cui egli dichiarava quanto segue: «Constato a posteriori che l’aiuto è stato fissato a un livello che non sembra aver penalizzato il settore. Durante la campagna 2000/2001, l’industria comunitaria del pomodoro ha raggiunto, per il secondo anno consecutivo, un livello record di trasformazione».

38. Per dimostrare il vizio insito in tale argomento, occorre descrivere brevemente la complessa organizzazione realizzata dalla Comunità in questo settore. Tale organizzazione si basa su un meccanismo di tutela e su un sistema di doppi contratti. Il meccanismo di tutela è contemplato dal regolamento di base. Esso prevede che venga fissato un prezzo minimo che deve essere corrisposto ai produttori di pomodori prima dell’inizio di ogni campagna, che normalmente ha luogo nel mese di luglio. Al contempo viene accordato un aiuto alle imprese di trasformazione dei pomodori che hanno corrisposto ai produttori un prezzo quanto meno equivalente al prezzo minimo. L’importo viene fissato in modo da consentire di «compensare la differenza tra i prezzi corrisposti ai produttori nella Comunità e quelli praticati nei paesi terzi» (26) . Tale meccanismo è inquadrato in un sistema di contratti previsto dal regolamento (CE) della Commissione 19 marzo 1997, n. 504, recante modalità di applicazione del regolamento n. 2201/97 (27) . In base a tale sistema, vengono conclusi contratti «preliminari» fra trasformatori e produttori di pomodori prima ancora dell’inizio del periodo di piantagione. Il sistema è inteso a «incoraggiare i produttori ad individuare le reali esigenze dell’industria in modo da organizzare le proprie attività di conseguenza» (28) . È importante osservare che tali contratti hanno per oggetto i quantitativi e non indicano il prezzo da pagare (29) . Solo in seguito alla fissazione del prezzo minimo e dell’aiuto alla produzione vengono firmati, sulla base di questi primi contratti, i contratti «di trasformazione» in cui viene specificato il prezzo da pagare (30) .

39. Da questa breve descrizione emerge che la produzione comunitaria si base essenzialmente sull’affidamento dei trasformatori nell’applicazione regolare dei meccanismi di aiuto stabiliti dalla Comunità. I trasformatori sono incoraggiati dal sistema di contratti preliminari a impegnarsi a smaltire la produzione comunitaria in cambio di un aiuto, prima ancora di conoscere il prezzo minimo e l’importo dell’aiuto. È vero che, nel momento in cui essi assumono tale impegno, non esiste alcuna garanzia che l’aiuto coprirà tutti i rischi commerciali inerenti all’operazione di acquisto di pomodori nella Comunità. Tuttavia, i trasformatori devono essere quanto meno certi che l’aiuto sarà fissato a condizioni regolari, conformemente ai criteri stabiliti dall’art. 4, n. 2, del regolamento di base. Applicando il regime di aiuto in maniera irregolare, la Commissione ha contribuito a ritrasferire sulle ricorrenti una parte del rischio economico cui esse non avrebbero dovuto essere esposte grazie al sistema istituito dalla Comunità.

40. Per tale motivo, ritengo che la convenuta non possa invocare il rispetto di un obiettivo la cui realizzazione è affidata alle ricorrenti con la garanzia di ricevere un aiuto conformemente al regolamento di base. La Commissione non può far valere un risultato che lei stessa ha messo a rischio applicando in maniera irregolare i criteri che le sono stati imposti per conseguirlo, risultato che, in ogni caso, essa non poteva prevedere nel momento in cui è stato commesso l’illecito contestato. Ne consegue che tale obiezione è priva di qualsiasi fondamento.

III – Conseguenze dell’analisi

41. Occorre dichiarare fondato il primo motivo dedotto dalle ricorrenti e pertanto accogliere la domanda di annullamento parziale della sentenza impugnata. Poiché gli altri motivi di impugnazione sono diretti contro la medesima parte della sentenza impugnata, non occorre esaminarli.

42. Ai sensi dell’art. 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. Essa può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

43. Poiché il Tribunale non ha avuto modo di stabilire se sussista il terzo presupposto perché sorga la responsabilità della Comunità, relativo al nesso di causalità tra il comportamento illecito contestato e l’esistenza del danno, né di pronunciarsi sulla natura e sulla portata esatta del danno subito dalle ricorrenti, la controversia non è matura per la decisione. Occorre che il Tribunale abbia piena competenza per effettuare tali verifiche, che richiedono valutazioni complesse di fatti e dati, e per pronunciarsi, se del caso, sull’opportunità di invitare le parti a cercare un accordo sull’ammontare del risarcimento del danno causato. Pertanto, occorre rinviare la causa dinanzi al Tribunale e riservare le spese.

IV – Conclusione

44. Dalle considerazioni che precedono discende che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel dichiarare che il danno lamentato non poteva aveva carattere certo. Pertanto propongo alla Corte:

– di annullare la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 17 marzo 2005, causa T‑285/03, Agraz e a./Commissione, e

– di rinviare la causa dinanzi al Tribunale di primo grado.

(1) .

(2)  – V., in particolare, sentenza della Corte 27 gennaio 1982, cause riunite 256/80, 257/80, 265/80, 267/80 e 5/81, Birra Wührer e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. 85, punto 9), e sentenza del Tribunale 2 luglio 2003, causa T‑99/98, Hameico Stuttgart e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑2195, punto 67).

(3)  – V., in tal senso, sentenza 21 maggio 1976, causa 26/74, Roquette frères/Commissione (Racc. pag. 677, punto 22).

(4)  – V., nell’ambito del Trattato CECA, sentenze 12 dicembre 1956, causa 10/55, Mirossevich/Alta Autorità (Racc. pag. 365), e 17 dicembre 1959, causa 23/59, FERAM/Alta Autorità (Racc. pag. 501, in particolare pag. 515); nell’ambito del Trattato CE, sentenze 14 luglio 1967, cause riunite 5/66, 7/66 e da 13/66 a 24/66, Kampffmeyer e a./Commissione (Racc. pag. 317, in particolare pag. 345), e 2 giugno 1976, cause riunite da 56/74 a 60/74, Kampffmeyer e a./Commissione e Consiglio (Racc. pag. 711, punto 6).

(5)  – V., in particolare, sentenza della Corte 17 dicembre 1981, cause riunite da 197/80 a 200/80, 243/80, 245/80 e 247/80, Ludwigshafener Walzmühle e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. 3211, punto 51), e sentenza del Tribunale 25 giugno 1997, causa T‑7/96, Perillo/Commissione (Racc. pag. II‑1061, punti 41-46).

(6)  – Così, nella causa United Brands/Commissione (sentenza 14 febbraio 1978, causa 27/76, Racc. pag. 207, punto 286), la Corte ha dichiarato, nel caso di una denuncia relativa all’atteggiamento parziale della Commissione nell’ambito di una procedimento in materia di concorrenza, che «[n]essun elemento del fascicolo consente di presumere che la decisione impugnata non sarebbe stata adottata, o avrebbe avuto un contenuto diverso, se non si fossero verificati i fatti lamentati dalla ricorrente, di per sé deplorevoli».

(7)  – V., in particolare, sentenze del Tribunale 29 ottobre 1998, causa T‑13/96, TEAM/Commissione (Racc. pag. II‑4073, punto 76), 9 luglio 1999, causa T‑231/97, New Europe Consulting e Brown/Commissione (Racc. pag. II‑2403, punto 51), 17 marzo 2005, causa T‑160/03, AFCon Management Consultants e a./Commissione (Racc. pag. I‑0000, punto 112), e 6 aprile 2006, causa T‑309/03, Camós Grau/Commissione (Racc. pag. I‑0000, punto 149).

(8)  – V., in particolare, sentenza 14 maggio 1975, causa 74/74, CNTA/Commissione (Racc. pag. 533, punti 21 e 42).

(9)  – V., in tal senso, sentenze 4 ottobre 1979, causa 238/78, Ireks-Arkady/Consiglio e Commissione (Racc. pag. 2955, punto 11), e 6 dicembre 1984, causa 59/83, Biovilac/Comunità economica europea (Racc. pag. 4057, punto 28).

(10)  – Sentenza 26 febbraio 1986, causa 175/84, Krohn/Commissione (Racc. pag. 753, punto 27).

(11)  – V. sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione/Camar e Tico (Racc. pag. I‑11355, punto 54).

(12)  – V., in tal senso, sentenza 12 luglio 2005, causa C‑198/03 P, Commissione/CEVA e Pfizer (Racc. pag. I‑6357, punto 66).

(13)  – Per un confronto con la sentenza impugnata, v. sentenza del Tribunale 18 settembre 1995, causa T‑167/94, Nölle/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑2589, punto 89).

(14)  – V. paragrafo 31 delle presenti conclusioni.

(15)  – Sentenza 14 gennaio 1987, causa 281/84, Zuckerfabrik Bedburg e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. 49, punto 14).

(16)  – V., in tal senso, sentenza 9 giugno 1992, causa C‑30/91 P, Lestelle/Commissione (Racc. pag. I‑3755, punto 28).

(17) – Sentenza 17 marzo 1976, cause riunite da 67/75 a 85/75 (Racc. pag. 391).

(18)  – Punti 20 e 21.

(19)  – Punti 26 e 47.

(20)  – Punto 19.

(21)  – Secondo ‘considerando’ del regolamento di base.

(22)  – Quarto ‘considerando’ del regolamento di base.

(23)  – Il corsivo è mio.

(24)  – Il Tribunale ricorda, al punto 67 della sentenza impugnata, che la Commissione ammette che, prendendo in considerazione la materia prima cinese, si sarebbe giunti in un primo tempo a una sensibile diminuzione del prezzo stimato della materia prima dei principali paesi produttori e esportatori.

(25)  – V., in tal senso, sentenza 7 maggio 1998, causa C‑401/96 P, Somaco/Commissione (Racc. pag. I‑2587, punto 71).

(26)  – Quarto ‘considerando’ del regolamento di base.

(27)  – GU L 78, pag. 14.

(28)  – Settimo ‘considerando’ del regolamento n. 504/97.

(29)  – Art. 6, n. 2, del regolamento n. 504/97.

(30)  – Art. 7 del regolamento n. 504/97.