Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nel procedimento C-289/04 P,

avente ad oggetto un ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, proposto, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, il 30 giugno 2004,

Showa Denko KK, con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata dagli avv.ti M. Dolmans e P. Werdmuller, advocaten, nonché dall’avv. J. Temple‑Lang, solicitor,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. P. Hellström e dalla sig.ra H. Gading, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

Tokai Carbon Co. Ltd , con sede in Tokyo,

SGL Carbon AG, con sede in Wiesbaden (Germania),

Nippon Carbon Co. Ltd, con sede in Tokyo,

GrafTech International Ltd, già UCAR International Inc., con sede in Wilmington (Stati Uniti),

SEC Corp., con sede in Amagasaki (Giappone),

The Carbide/Graphite Group Inc., con sede in Pittsburgh (Stati Uniti),

ricorrenti in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. P. Kūris, G. Arestis e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.ra K. Sztranc, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 settembre 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 gennaio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. Con il presente ricorso, la Showa Denko KK (in prosieguo: la «SDK») chiede l’annullamento parziale della sentenza del Tribunale di primo grado 29 aprile 2004, nelle cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione (Racc. pag. II‑1181; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), nella parte in cui ha fissato in EUR 10 440 000 l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dalla decisione della Commissione 18 luglio 2001, 2002/271/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 (…) CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE – Caso Comp/E-1/36.490 – Elettrodi di grafite (GU 2002, L 100, pag. 1; in prosieguo: la «decisione contestata»).

Contesto normativo

Il regolamento n. 17

2. L’art. 15 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 104), dispone quanto segue:

«1. La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni d’imprese ammende varianti da cento a cinquemila unità di conto quando intenzionalmente o per negligenza:

(…)

b) forniscano informazioni inesatte in risposta a una domanda rivolta a norma dell’articolo 11, paragrafi 3 e 5 […]

(…)

2. La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a) commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1 o dell’articolo [82] del Trattato, (…)

(…)

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

(...)»

Gli orientamenti

3. La comunicazione della Commissione delle Comunità europee intitolata «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA» (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), enuncia nel suo preambolo:

«I principi indicati negli orientamenti (...) dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà ormai sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

4. L’art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 prevede quanto segue:

«Diritto a non essere giudicato o punito due volte

Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dai giudici dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.

Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione».

Fatti all’origine della controversia e decisione controversa

5. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha riassunto come segue i fatti relativi alla controversia:

«1. Con decisione (…) 2002/271/CE, la Commissione ha accertato la partecipazione di varie imprese ad una serie di accordi e di pratiche concordate, ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo sullo Spazio economico europeo [2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), in prosieguo: l’“accordo SEE”] nel settore degli elettrodi di grafite.

2. Gli elettrodi di grafite sono utilizzati prevalentemente nella produzione d’acciaio in forni elettrici ad arco. La produzione d’acciaio mediante tali forni è sostanzialmente un processo di riciclaggio, nel quale rottami d’acciaio sono trasformati in acciaio nuovo, contrariamente al procedimento classico di produzione a partire dal minerale di ferro negli altiforni ad ossigeno. Per fondere i rottami d’acciaio si utilizzano nove elettrodi, raggruppati in colonne di tre. Per l’intensità del processo di fusione, si consuma all’incirca un elettrodo ogni otto ore. La produzione di un elettrodo richiede circa due mesi. Non esistono prodotti che possano sostituire gli elettrodi di grafite nell’ambito di questo processo produttivo.

3. La domanda di elettrodi di grafite è direttamente legata alla produzione d’acciaio nei forni elettrici ad arco; i clienti sono prevalentemente produttori d’acciaio, che rappresentano l’85% della domanda. Nel 1998, la produzione mondiale d’acciaio grezzo è stata pari a 800 milioni di tonnellate, 280 milioni delle quali sono state prodotte in forni elettrici ad arco (…).

(…)

5. Durante gli anni Ottanta, i progressi tecnologici hanno determinato una sostanziale riduzione del consumo di elettrodi per ogni tonnellata d’acciaio prodotto. Nello stesso periodo, anche l’industria siderurgica ha attraversato una fase di profonda ristrutturazione. La riduzione della domanda di elettrodi ha cagionato un processo di ristrutturazione dell’industria mondiale degli elettrodi. Molte fabbriche sono state chiuse.

6. Nel 2001, nove produttori occidentali hanno rifornito il mercato europeo di elettrodi di grafite: (…).

7. Il 5 giugno 1997, in applicazione dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 17 (…), taluni funzionari della Commissione hanno condotto, contemporaneamente e senza preavviso, accertamenti presso i locali di [taluni produttori di elettrodi di grafite].

8. Lo stesso giorno, agenti del Federal Bureau of Investigation (FBI) hanno effettuato negli Stati Uniti perquisizioni presso le sedi di numerosi produttori. A seguito di tali accertamenti è stata avviata un’azione penale nei confronti (…) della SDK (…) per intesa illecita. Tutti gli imputati si sono riconosciuti colpevoli e hanno accettato di pagare le ammende, [stabilite] in USD 32,5 milioni per la SDK (…).

(…)

10. Negli Stati Uniti sono state intentate azioni civili di risarcimento danni ( triple damages ) nei confronti della SDK (…) per conto di un gruppo di acquirenti.

11. (…) Azioni civili sono state intentate nel giugno 1998 in Canada da alcuni produttori d’acciaio nei confronti della SDK (…) per intesa illecita.

12. Il 24 gennaio 2000 la Commissione ha inviato alle imprese censurate una comunicazione degli addebiti. Il procedimento amministrativo ha portato all’adozione, il 18 luglio 2001, della decisione [controversa], con la quale si contesta alle imprese ricorrenti (…) di aver fissato i prezzi su scala mondiale e di aver ripartito i mercati nazionali e regionali del prodotto di cui trattasi secondo il principio del “produttore nazionale”: (…) la SDK (…) [era responsabile] (…) per il Giappone e per certe aree dell’Estremo Oriente (…).

13. Sempre secondo la decisione [controversa], i principi direttivi dell’intesa erano i seguenti:

– i prezzi degli elettrodi di grafite dovevano essere fissati a livello mondiale;

– le decisioni relative ai prezzi di ciascuna società dovevano essere prese esclusivamente dai presidenti o dai direttori generali;

– il “produttore nazionale” doveva fissare il prezzo di mercato all’interno del suo “territorio”, e gli altri produttori si sarebbero adeguati;

– per i mercati “non nazionali”, cioè i mercati sui quali non era presente un produttore “nazionale”, i prezzi sarebbero stati decisi di comune accordo;

– i produttori “non nazionali” non dovevano farsi una concorrenza aggressiva e si ritiravano dai mercati “nazionali” degli altri;

– non doveva esserci alcuna espansione della capacità (i produttori giapponesi avrebbero dovuto ridurre la propria);

– non si doveva procedere a trasferimenti di tecnologia al di fuori della cerchia di produttori partecipanti al cartello.

14. La decisione [controversa] prosegue esponendo che tali principi direttivi sono stati applicati mediante riunioni dell’intesa che si svolgevano a vari livelli: riunioni degli “alti dirigenti” e riunioni “di lavoro”, riunioni del gruppo dei produttori europei (senza le imprese giapponesi), riunioni nazionali o regionali dedicate a mercati specifici e a contatti bilaterali tra le imprese.

(…)

16. In base agli accertamenti fattuali e alle valutazioni giuridiche di cui alla Decisione [controversa], la Commissione ha condannato le imprese censurate al pagamento di ammende il cui importo è stato calcolato in conformità al metodo esposto negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, paragrafo 5, del trattato CECA (…), nonché della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (…).

17. L’art. 3 del dispositivo della decisione [controversa] infligge le seguenti ammende:

(…)

SDK: EUR 17,4 milioni;

(…)

18. L’art. 4 del dispositivo ingiunge alle imprese interessate di pagare le ammende entro tre mesi dalla data di notifica della decisione [controversa], sotto pena di pagamento degli interessi pari all’8,04%».

Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

6. La SDK e altre imprese destinatarie della decisione contestata hanno proposto dinanzi al Tribunale ricorso diretto all’annullamento della detta decisione.

7. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato, in particolare, quanto segue:

«(…)

4) Nella causa T‑245/01, Showa Denko/Commissione:

– l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente dall’art. 3 della Decisione 2002/271 è stabilito in EUR 10 440 000;

– il ricorso è respinto per il resto;

(…)»

Le conclusioni formulate dalle parti dinanzi alla Corte

8. La SDK chiede che la Corte voglia:

– annullare parzialmente la sentenza impugnata;

– ridurre l’ammenda applicata alla ricorrente alla somma di EUR 6 960 000, ovvero a qualsiasi altra somma ritenuta congrua dalla Corte nell’esercizio del suo potere discrezionale;

– adottare ogni altro provvedimento che la Corte ritenga opportuno;

– condannare la Commissione alle spese.

9. La Commissione chiede che la Corte voglia:

– respingere il ricorso;

– condannare la ricorrente alle spese.

Sull’impugnazione

10. La SDK deduce quattro motivi a sostegno del ricorso, vale a dire, l’erronea presa in considerazione di un «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» fondato sul volume d’affari mondiale, l’erronea applicazione dei criteri relativi alla determinazione del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione», un errore di diritto e carenza di motivazione con riguardo alla presa in considerazione delle ammende e degli obblighi imposti alla ricorrente in Stati terzi, nonché la violazione del diritto fondamentale della ricorrente a un equo processo.

Sul primo motivo, attinente all’applicazione di un «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» fondato sul volume d’affari mondiale

Argomenti delle parti

11. La SDK sostiene che le dimensioni dell’impresa nonché il suo fatturato a livello mondiale – e non il fatturato realizzato con i prodotti oggetto dell’accordo tra le parti del cartello – sarebbero stati già presi in considerazione dalla Commissione allorché essa ha ripartito in tre categorie le ammende di base, da infliggere alle varie imprese in oggetto. Tali fattori, pertanto, non avrebbero potuto giustificare un ulteriore aumento specifico dell’ammenda. Il «coefficiente moltiplicatore di dissuasione», inoltre, potrebbe essere applicato solo a scopo di dissuasione.

12. La SDK deduce che il Tribunale, ai punti 241, 242 e 370 della sentenza impugnata, ha omesso di esporre la teoria secondo cui, ai fini del calcolo del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione», deve tenersi conto del fatturato mondiale conseguito e non di quello interessato dagli accordi tra imprese. Il Tribunale si sarebbe richiamato ad una serie di elementi non menzionati negli orientamenti e privi di nesso con il fattore dissuasivo.

13. La Commissione deduce che il Tribunale ha correttamente ritenuto, ai punti 241 e 242 della sentenza impugnata, che l’ammenda inflitta alla ricorrente potesse basarsi sul suo fatturato a livello mondiale.

14. La Commissione ricorda che il Tribunale ha ritenuto che le imprese di grandi dimensioni dispongono, in generale, di risorse economiche superiori e di una migliore conoscenza del diritto della concorrenza rispetto alle imprese di dimensioni inferiori. Di conseguenza, il Tribunale si sarebbe richiamato alla regola secondo cui l’infrazione commessa da un’impresa che disponga di risorse finanziarie considerevoli può essere sanzionata, in linea di principio, con un’ammenda proporzionale più elevata rispetto a quella inflitta a un’impresa che abbia commesso la medesima infrazione, ma che non disponga di tali risorse.

Giudizio della Corte

15. Si deve sottolineare che, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 24 e 34 delle conclusioni, il fatturato a livello mondiale è stato considerato dalla Commissione esclusivamente ai fini della determinazione del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione». Per contro, ai fini della fissazione dell’importo di base dell’ammenda, la Commissione ha tenuto conto solamente del fatturato mondiale per i prodotti oggetto dell’intesa.

16. Quanto alla nozione di «dissuasione», occorre ricordare che essa costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda. Per costante giurisprudenza, infatti (v., in particolare, sentenza 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 105 e 106), le ammende inflitte per violazione dell’art. 81 CE e previste dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 hanno ad oggetto la repressione degli illeciti delle imprese interessate, nonché di dissuadere sia le imprese in oggetto sia altri operatori economici dalla violazione, in futuro, delle norme del diritto comunitario della concorrenza. Ne consegue che la Commissione, per determinare l’importo dell’ammenda, può tener conto, segnatamente, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa interessata (v. sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punti 119‑121).

17. Occorre aggiungere che, al pari del Tribunale al punto 239 della sentenza impugnata, la Corte ha sottolineato, in particolare, la pertinenza della presa in considerazione del fatturato globale di ciascuna impresa che faccia parte di un’intesa al fine di determinare l’importo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenze 16 novembre 2000, causa C-291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I-9991, punti 85 e 86, e 14 luglio 2005, causa C-57/02 P, Acerinox/Commissione, Racc. pag. I‑6689, punti 74 e 75).

18. Ciò premesso, il Tribunale ha ragionevolmente ritenuto, al punto 241 della sentenza impugnata, che la ricorrente, dato il suo fatturato «enorme» rispetto a quello degli altri membri dell’intesa, avrebbe mobilizzato più facilmente i fondi necessari per il pagamento dell’ammenda, il che giustificava l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore al fine di ottenere un sufficiente effetto dissuasivo nei confronti di quest’ultima.

19. Il primo motivo dedotto dalla SDK, pertanto, deve essere respinto.

Sul secondo motivo, attinente all’applicazione del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione»

20. La SDK osserva che il Tribunale non ha indicato alcun criterio pertinente atto a giustificare l’applicazione nei suoi confronti del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione». Il motivo si articola in quattro capi.

Primo capo: criteri per l’aumento delle ammende

– Argomenti delle parti

21. La SDK deduce che le ammende avrebbero dovuto essere aumentate a fini dissuasivi solo in misura moderata e unicamente per motivi pertinenti. Nella specie, infatti, sussisterebbero circostanze particolari tali da giustificare un’ammenda di importo inferiore a quella inflitta.

22. La Commissione sottolinea che l’effetto dissuasivo di un’ammenda e la possibilità di applicare un elemento moltiplicatore mirano, in particolare, ad impedire che altre imprese violino, in futuro, le norme comunitarie sulla concorrenza. Di conseguenza, il carattere dissuasivo di un’ammenda non può essere determinato esclusivamente in funzione della situazione particolare dell’impresa interessata.

– Giudizio della Corte

23. Si deve ricordare che, come emerge da consolidata giurisprudenza e dalle conclusioni dell’avvocato generale (v. paragrafi 53-55), l’ammenda inflitta a un’impresa può essere calcolata includendo un fattore dissuasivo e tale fattore è valutato tenendo conto di molteplici elementi, e non solo della situazione particolare dell’impresa interessata.

24. Di conseguenza, l’analisi dei criteri in base ai quali la Commissione aveva determinato il «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» applicato all’ammenda inflitta alla ricorrente, condotta dal Tribunale ai punti 241‑243 della sentenza impugnata, è priva di errori di diritto.

25. Il primo capo del detto motivo non può pertanto essere accolto.

Secondo capo: «Indicazione individuale» di un’impresa a fini di «dissuasione»

– Argomenti delle parti

26. La SDK afferma che il Tribunale non ha evidenziato circostanze che consentano di distinguere la posizione della ricorrente al fine di irrogarle un aumento dell’ammenda a fini dissuasivi. Infatti, la necessità di individualizzare un’impresa a tal fine dovrebbe essere valutata alla luce del suo specifico comportamento e non delle sue dimensioni.

27. La Commissione osserva che il Tribunale ha correttamente preso in considerazione le circostanze specifiche della ricorrente in base alle quali è stato fissato l’importo dell’ammenda a fini dissuasivi. Nella specie, le dimensioni e la potenza dell’impresa interessata costituirebbero elementi pertinenti di cui tener conto.

– Giudizio della Corte

28. Si deve ricordare, in limine, che dai punti 241-247 della sentenza impugnata emerge sufficientemente che la Commissione ha tenuto conto delle circostanze specifiche della ricorrente nell’ambito delle sue valutazioni relative all’aumento dell’ammenda a fini dissuasivi.

29. Si deve parimenti rilevare che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, le dimensioni dell’impresa interessata costituiscono uno degli elementi da prendere in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda e, pertanto, della determinazione del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» (v., segnatamente, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., e 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I-5425, punti 242 e 243).

30. Di conseguenza, correttamente il Tribunale ha ritenuto, senza incorrere in errori di diritto, al punto 242 della sentenza impugnata, che la ricorrente aveva invocato parametri ipotetici e troppo incerti ai fini della valutazione delle risorse finanziarie effettive di un’impresa, asserendo che un’ammenda equa debba mirare unicamente alla compensazione del danno al libero gioco della concorrenza e che sia necessario valutare, a tal fine, la probabilità di una scoperta dell’intesa nonché i profitti realizzati dai membri di quest’ultima.

31. Il secondo capo del secondo motivo va quindi disatteso.

Terzo capo: carattere arbitrario e ingiustificato del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» applicato

– Argomenti delle parti

32. La SDK osserva che l’analisi economica della dissuasione conferma che il «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» applicato è arbitrario e ingiustificato. Infatti, se un aumento dell’ammenda si giustifica con una finalità di dissuasione, l’ammenda destinata a realizzare tale effetto dovrebbe essere calcolata in funzione dei benefici o dei vantaggi che l’impresa interessata avrebbe potuto ricavare dall’infrazione nel caso in cui la sua condotta illecita non fosse stata scoperta nonché della probabilità che l’impresa venisse scoperta.

33. La SDK afferma che il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che le grandi imprese a produzione diversificata – munite o meno di «potere finanziario» – non sono meno sensibili alle ammende rispetto alle imprese con un unico prodotto. Secondo la teoria economica, infatti, le grandi imprese sono attente a minimizzare i costi derivanti dalle loro responsabilità giuridiche nonché i costi di altra natura almeno quanto le imprese più piccole. Un «coefficiente moltiplicatore di dissuasione», pertanto, si giustificherebbe solo in funzione del comportamento effettivo e comprovato dell’impresa in questione. Orbene, la SDK non avrebbe partecipato attivamente all’intesa e non avrebbe messo in opera alcuna strategia di eliminazione della concorrenza nel settore interessato.

34. La Commissione fa valere che gli argomenti della ricorrente non sono pertinenti e che il comportamento di un’impresa costituisce un elemento da prendere in considerazione in una fase ulteriore del procedimento di fissazione delle ammende, quale circostanza aggravante o attenuante.

35. Secondo la Commissione, il Tribunale ha correttamente dimostrato che i benefici tratti da un’infrazione e la probabilità della sua scoperta sono circostanze troppo vaghe e astratte per potere costituire la base della determinazione del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione».

– Giudizio della Corte

36. Si deve ricordare che, conformemente ad una consolidata giurisprudenza, la Commissione dispone di un potere discrezionale particolarmente ampio con riguardo alla scelta degli elementi da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’importo delle ammende, come, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l’effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza necessità di riferirsi ad un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (v., segnatamente, ordinanza 25 marzo 1996, causa C-137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I-1611, punto 54, e sentenza 17 luglio 1997, causa C-219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33).

37. Per quanto riguarda, peraltro, l’argomento della ricorrente secondo cui l’applicazione di un «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» non sarebbe giustificata, dal momento che essa non avrebbe partecipato attivamente all’intesa, si deve ricordare che, come correttamente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 65 delle conclusioni, tale circostanza – anche ammesso che risulti provata – potrebbe essere presa in considerazione solo in una fase ulteriore del procedimento di fissazione dell’ammenda, ma non incide affatto, di per sé, sulla valutazione della gravità stessa dell’intesa.

38. Ne consegue che il Tribunale non è incorso in errori di diritto nell’ambito delle valutazioni relative alla situazione della ricorrente, esposte ai punti 242 e 243 della sentenza impugnata.

39. Il terzo capo del secondo motivo deve pertanto essere disatteso.

Quarto capo: carattere sproporzionato della maggiorazione dell’ammenda

– Argomenti delle parti

40. La SDK osserva che la percentuale di maggiorazione dell’ammenda era sproporzionata, data l’esigua quota di mercato detenuta dalla medesima nel SEE. Inoltre, un’analisi dell’ammenda di base adeguata dimostrerebbe che l’ammenda ad essa applicata è sproporzionata rispetto a quelle inflitte agli altri partecipanti all’intesa.

41. La Commissione chiarisce che l’argomento della ricorrente si fonda sul raffronto dell’ammenda di base adeguata con le ammende di altri partecipanti e con il volume d’affari annuo della ricorrente nel SEE. Orbene, tali raffronti non sarebbero pertinenti, dal momento che i calcoli effettuati si fonderebbero esclusivamente sull’erronea premessa secondo la quale la potenza economica della ricorrente avrebbe dovuto essere valutata in base al volume d’affari realizzato sul mercato del prodotto in oggetto nel SEE.

– Giudizio della Corte

42. Si deve osservare che, come correttamente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle conclusioni, l’argomento della ricorrente si fonda sull’errata premessa secondo cui il «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» non può fondarsi sul volume d’affari totale dell’impresa interessata.

43. Occorre aggiungere che, come correttamente rilevato dal Tribunale al punto 198 della sentenza impugnata, la ricorrente sarebbe stata ricompensata se la Commissione avesse calcolato l’importo di base dell’ammen da in base al ridotto fatturato conseguito dalla SDK nel SEE, dal momento che tale impresa aveva accettato, nel contesto dell’intesa controversa, di non entrare in concorrenza su quest’ultimo mercato, consentendo in tal modo ad altri produttori di concordare i relativi prezzi.

44. Conseguentemente, nemmeno il quarto capo di tale motivo può essere accolto.

45. Il secondo motivo deve pertanto essere respinto in toto.

Sul terzo motivo, attinente ad un errore di diritto e al difetto di motivazione con riguardo alla presa in considerazione delle ammende e degli obblighi imposti alla ricorrente in Stati terzi

Argomenti delle parti

46. La SDK fa valere che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel ritenere che la Commissione potesse, da un canto, fondarsi sul volume d’affari mondiale per calcolare l’ammenda di base nonché il «coefficiente moltiplicatore di dissuasione» e, d’altro canto, che potesse non tener conto della circostanza che la ricorrente fosse già stata oggetto di indagini negli Stati Uniti, in Canada nonché in Giappone e che tali Stati le avevano già inflitto talune ammende.

47. Secondo la ricorrente, se il fatturato mondiale fosse rilevante ai fini della dissuasione, le ammende imposte in altri Stati avrebbero dovuto essere prese in considerazione al fine di determinare l’importo dell’ammenda comunitaria supplementare necessaria ai fini di un effetto dissuasivo adeguato. L’effetto dissuasivo, infatti, dipenderebbe dal costo totale della condotta illecita, che comprenderebbe non solo le ammende inflitte in ambito SEE, ma anche quelle applicate altrove.

48. La SDK ritiene, pertanto, che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nell’avallare un’ammenda che si basa su un doppio computo e risulta sproporzionata rispetto a qualsiasi giustificabile effetto dissuasivo.

49. A parere della Commissione, il Tribunale non avrebbe violato il principio del ne bis in idem. L’istituzione rileva che le ammende inflitte da autorità di Stati terzi sono correlate a violazioni delle loro regole di concorrenza e non sussiste sovrapposizione tra tali Stati ed il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese per restrizioni alla concorrenza nell’ambito del mercato comune. La Commissione e il Tribunale, infatti, si pronuncerebbero esclusivamente sulle dette restrizioni e le attività relative a Stati terzi esulerebbero dalla sfera di applicazione del diritto comunitario.

Giudizio della Corte

50. Occorre ricordare, in limine, che il principio del ne bis in idem, parimenti sancito dall’art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario del quale il giudice garantisce il rispetto (v., segnatamente, sentenze 5 maggio 1966, cause riunite 18/65 e 35/65, Gutmann/Commissione CEEA, Racc. pag. 149, in particolare pag. 172, e 15 ottobre 2002, cause riunite C-238/99 P, C-244/99 P, C‑245/99 P, C-247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I-8375, punto 59).

51. Al fine di esaminare la fondatezza del motivo attinente alla violazione di tale principio, occorre parimenti rilevare che, come il Tribunale ha correttamente osservato, al punto 140 della sentenza impugnata, la Corte non ha ancora risolto la questione se la Commissione sia tenuta ad imputare la sanzione irrogata dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui i fatti contestati ad un’impresa da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici. Al contrario, la Corte ha considerato l’identicità dei fatti censurati dalla Commissione e dalle autorità di uno Stato quale condizione preliminare per poter sollevare la detta questione.

52. Con riguardo alla sfera di applicazione del principio del ne bis in idem quanto a situazioni in cui siano intervenute le autorità di uno Stato terzo, in forza del loro potere sanzionatorio nel settore del diritto della concorrenza applicabile nel territorio del detto Stato, si deve ricordare che l’intesa controversa si inquadra in un contesto internazionale caratterizzato segnatamente dall’intervento, sui rispettivi territori, di ordinamenti giuridici di Stati terzi.

53. A tal riguardo, occorre rilevare che l’esercizio di poteri da parte delle autorità dei detti Stati incaricate della tutela della libera concorrenza, nel contesto della loro competenza territoriale, risponde ad esigenze proprie dei detti Stati. Infatti, gli elementi sottesi agli ordinamenti giuridici di altri Stati nel settore della concorrenza non solo comportano finalità ed obiettivi specifici, ma sfociano egualmente nell’adozione di norme sostanziali particolari nonché in conseguenze giuridiche estremamente differenziate nel settore amministrativo, penale o civile, quando le autorità dei detti Stati abbiano accertato l’esistenza di infrazioni alle norme applicabili in materia di concorrenza.

54. Per contro, del tutto diversa è la situazione giuridica in cui un’impresa sia interessata, in materia di concorrenza, esclusivamente dall’applicazione del diritto comunitario e del diritto di uno o più Stati membri, vale a dire la situazione in cui un’intesa riguardi esclusivamente l’ambito della sfera di applicazione territoriale dell’ordinamento giuridico della Comunità europea.

55. Ne consegue che, quando la Commissione sanziona il comportamento illegittimo di un’impresa, ancorché esso tragga origine in un’intesa di carattere internazionale, intende salvaguardare la libera concorrenza all’interno del mercato comune che costituisce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), CE, un obiettivo fondamentale della Comunità. Infatti, a causa della specificità del bene giuridico tutelato a livello comunitario, le valutazioni operate dalla Commissione, in forza delle sue competenze in materia, possono divergere considerevolmente da quelle effettuate dalle autorità di Stati terzi.

56. Il Tribunale, pertanto, ha correttamente ritenuto, al punto 134 della sentenza impugnata, che il principio del ne bis in idem non si applichi a situazioni in cui gli ordinamenti giuridici e le autorità della concorrenza di Stati terzi sono intervenuti nel contesto di competenze proprie.

57. Il Tribunale, peraltro, ha parimenti correttamente ritenuto che non sussistesse un altro principio di diritto tale da obbligare la Commissione a tener conto delle indagini e delle sanzioni della ricorrente in Stati terzi.

58. A tal riguardo, si deve rilevare che, come correttamente osservato dal Tribunale al punto 136 della sentenza impugnata, non esiste alcun principio di diritto internazionale pubblico che vieti ad autorità pubbliche, ivi compresi i giudici, di Stati diversi di perseguire e condannare una persona fisica o giuridica per gli stessi fatti per i quali la persona medesima sia già stata giudicata in un altro Stato. Inoltre, non esiste un testo convenzionale di diritto internazionale pubblico in forza del quale la Commissione potrebbe essere obbligata, in sede di fissazione di un’ammenda ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, a tener conto delle ammende inflitte, da parte delle autorità di uno Stato terzo, nel contesto delle loro competenze in materia di diritto della concorrenza.

59. Si deve aggiungere che gli accordi conclusi tra le Comunità ed il governo degli Stati Uniti d’America il 23 settembre 1991 e il 4 giugno 1998 in merito all’applicazione dei principi della «comitas gentium» attiva nell’applicazione delle loro regole di concorrenza (GU 1995, L 95, pag. 47, e GU 1998, L 173, pag. 28) si limitano a questioni pratiche di procedura, quali lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità della concorrenza e non riguardano in alcun modo l’imputazione o la considerazione delle sanzioni inflitte da una delle parti dei detti accordi.

60. Infine, con riguardo alla violazione, da parte del Tribunale, dei principi di proporzionalità e di equità, dedotta in subordine dalla ricorrente, si deve rilevare che ogni considerazione attinente all’esistenza di ammende inflitte dalle autorità di uno Stato terzo può essere presa in considerazione solo nel contesto del potere discrezionale di cui dispone la Commissione in materia di fissazione di ammende per le infrazioni al diritto comunitario della concorrenza. Di conseguenza, anche se non può escludersi che la Commissione tenga conto di ammende anteriormente inflitte dalle autorità di Stati terzi, essa non può esservi tuttavia obbligata.

61. Infatti, l’obiettivo di dissuasione che la Commissione può legittimamente perseguire nel determinare l’importo di un’ammenda è volto ad assicurare il rispetto, da parte delle imprese, delle norme sulla concorrenza fissate dal Trattato CE ai fini dello svolgimento delle loro attività nell’ambito del mercato comune (v., in tal senso, sentenza 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. p. 661, punti 173‑176). Di conseguenza, nel valutare il carattere dissuasivo di un’ammenda da infliggere per una violazione delle dette norme, la Commissione non è tenuta a tener conto di eventuali sanzioni inflitte ad un’impresa in ragione della violazione delle norme sulla concorrenza di Stati terzi.

62. Il Tribunale, pertanto, ai punti 144‑148 della sentenza impugnata, non è incorso in alcun errore di diritto nel ritenere legittima la fissazione dell’importo dell’ammenda inflitta.

63. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il terzo motivo dev’essere respinto integralmente.

Sul quarto motivo, attinente alla violazione del diritto fondamentale della ricorrente ad un equo processo

Argomenti delle parti

64. Secondo la SDK, il Tribunale ha erroneamente respinto, senza motivazione né spiegazioni, il suo argomento relativo all’opportunità di essere sentita dalla Commissione con riguardo alla fissazione di un «coefficiente moltiplicatore di dissuasione».

65. La Commissione sottolinea che il Tribunale non ha violato il diritto di difesa della ricorrente e ha motivato adeguatamente le proprie valutazioni in merito all’applicazione del «coefficiente moltiplicatore di dissuasione».

66. L’istituzione conferma che l’adeguamento dell’ammenda mediante applicazione di una maggiorazione al fine di assicurare un effetto dissuasivo non costituisce il risultato di una nuova politica. Infatti, sarebbe pacifico che l’efficace applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza esige che la Commissione possa adeguare in ogni momento il livello delle ammende alle necessità di tale politica, entro i limiti imposti dal regolamento n. 17.

67. La Commissione concorda con il Tribunale laddove esso ha ritenuto che la ricorrente ha avuto modo di fornire tutte le informazioni pertinenti quanto alle dimensioni e alle risorse finanziarie dell’impresa di cui occorreva tener conto in sede di valutazione dell’effetto dissuasivo dell’ammenda. La ricorrente avrebbe disposto di informazioni sufficienti per sapere che l’importo di base dell’ammenda poteva essere maggiorato, conformemente agli orientamenti.

Giudizio della Corte

68. Occorre ricordare che il rispetto del diritto di difesa in qualsiasi procedimento suscettibile di concludersi con l’inflizione di sanzioni, in particolare ammende o penalità di mora, costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario, che va osservato anche se si tratta di un procedimento di natura amministrativa (v. sentenza 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione, Racc. pag. 461, punto 9).

69. A questo proposito, occorre ricordare che l’obbligo di sentire le imprese oggetto di un procedimento in applicazione dell’art. 81 CE è soddisfatto qualora la Commissione dichiari, nella comunicazione degli addebiti, che valuterà se sarà necessario infliggere ammende alle imprese interessate, e qualora indichi i principali elementi di fatto e di diritto che possono provocare l’inflizione di un’ammenda, quali la gravità e la durata dell’infrazione presunta (v., segnatamente, sentenza 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punti 19 e 20).

70. Come rilevato dal Tribunale, la Commissione ha circoscritto, nella comunicazione degli addebiti, gli elementi di fatto e di diritto sui quali si sarebbe fondata ai fini della determinazione dell’importo delle ammende. In tal modo, la Commissione ha rispettato il diritto delle imprese interessate di essere sentite non solo sul principio della sanzione, ma anche su ciascuno degli elementi di cui intendeva tener conto nell’ambito della determinazione delle ammende.

71. Si deve rilevare che, al punto 240 della sentenza impugnata, il Tribunale, nel rigettare il motivo attinente al diritto di difesa, ha affermato che nulla avrebbe impedito alla ricorrente di richiamarsi, nel corso del procedimento amministrativo, alla propria dimensione e alle proprie risorse finanziarie e di pronunciarsi in ordine all’effetto dissuasivo della sanzione che la Commissione avrebbe potuto infliggerle.

72. Si deve osservare, del pari, che il fatto che la Commissione possa essere indotta a tener conto di un elemento dissuasivo nella determinazione dell’ammenda non può essere considerato quale circostanza tale da giustificare l’adozione di provvedimenti particolari in sede di svolgimento del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione.

73. Peraltro, come emerge dai rilievi del Tribunale, la ricorrente era consapevole della circostanza che la Commissione aveva indicato, nella comunicazione degli addebiti e conformemente agli orientamenti, che intendeva fissare le ammende ad un livello sufficientemente elevato al fine di conseguire un adeguato effetto dissuasivo.

74. Alla luce di tali premesse, risulta che il Tribunale, respingendo il detto motivo, non ha violato il diritto di difesa della ricorrente.

75. Il quarto motivo dedotto dalla SDK, pertanto, non può essere accolto.

76. Dalle suesposte considerazioni emerge che il ricorso della SDK deve essere respinto in toto.

Sulle spese

77. A termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura che, ai sensi dell’art. 118 di quest’ultimo, si applica al procedimento di impugnazione, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della SDK, quest’ultima, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese del presente giudizio.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1) Il ricorso è respinto.

2) La Showa Denko KK è condannata alle spese.