CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

POIARES MADURO

presentate il 25 ottobre 2005 1(1)

Causa C-465/04

Honyvem Informazioni Commerciali srl

contro

Mariella De Zotti

(domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte suprema di cassazione)

«Agenti commerciali indipendenti – Diritto dell’agente commerciale all’indennità di cessazione del rapporto»





1.     Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte suprema di cassazione sottopone alla Corte di giustizia una questione con cui chiede di chiarire diversi aspetti del regime istituito dalla direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (2). Più concretamente i vari aspetti da chiarire riguardano le condizioni per il riconoscimento e il calcolo del diritto all’indennità dell’agente commerciale di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva e il divieto, di cui all’art. 19, della medesima, di deroghe all’art. 17 a detrimento dell’agente commerciale, prima della scadenza del contratto. Ciò va inserito nel quadro specifico dell’ordinamento giuridico italiano in cui gli accordi collettivi applicabili agli agenti commerciali svolgono da molto tempo un ruolo centrale per quanto riguarda la determinazione delle indennità cui l’agente commerciale ha diritto dopo la cessazione del rapporto.

I –    Fatti, contesto normativo e questioni pregiudiziali proposte alla Corte di giustizia

2.     Con lettera in data 23 ottobre 1997, la società Honyvem Informazioni Commerciali srl (in prosieguo: la «Honyvem») risolveva, con effetto dal 30 giugno 1998, il contratto di agenzia stipulato con la signora Mariella De Zotti (in prosieguo: la sig.ra «De Zotti»), il quale, ai sensi del suo punto 10, era sottoposto «alle disposizioni del codice civile, alle leggi speciali riguardanti il mandato di agenzia, agli accordi economico collettivi riguardanti il settore commerciale».

3.     Con ricorso proposto contro la Honyvem dinanzi al Tribunale di Milano (in prosieguo: il «Tribunale») il 12 aprile 1999, la sig.ra De Zotti chiedeva la condanna dell’impresa preponente al pagamento dell’indennità di risoluzione del rapporto che ammontava, a suo parere, a ITL 181 889 420, in applicazione dei criteri di cui all’art. 1751 del codice civile.

4.     Tale norma relativa all’indennità in caso di cessazione del rapporto recepisce nell’ordinamento giuridico italiano gli artt. 17, 18 e 19 della direttiva 86/653 e, all’epoca della risoluzione del contratto, era così formulata:

«All’atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

L’indennità non è dovuta:

quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;

quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.

L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.

La concessione dell’indennità non priva comunque l’agente del diritto all’eventuale risarcimento dei danni.

L’agente decade dal diritto all’indennità prevista dal presente articolo se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comunicare al preponente l’intenzione di far valere i propri diritti.

Le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente» (3).

5.     Il Tribunale accoglieva le tesi della convenuta Honyvem e riconosceva la minore somma di ITL 78 880 276, risultante dall’applicazione dei criteri di quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di cui all’Accordo Economico Collettivo (in prosieguo: l’«AEC») 28 novembre 1992, stipulato tra la Confcommercio (organizzazione rappresentativa delle aziende dei settori del commercio, turismo e servizi) e la FNAARC (organizzazione rappresentativa degli agenti e rappresentanti di commercio) il 27 novembre 1992, del seguente tenore:

«(…)

I.

In riferimento a quanto previsto dall’art. 1751 cod.civ., come modificato dall’art. 4 D.Lgs. 10 settembre 1991 n. 303, ed in particolar modo al principio dell’equità, in tutti i casi di cessazione del rapporto, verrà corrisposta all’agente o rappresentante un’indennità, la misura della quale sarà pari all’1% sull’ammontare globale delle provvigioni maturate e liquidate durante il corso del rapporto.

La suddetta aliquota base sarà integrata nelle seguenti misure:

A.      Agenti e rappresentanti con obbligo di esclusiva per una sola ditta:

–      3% sulle provvigioni fino a L. 24 milioni annui;

–      1% sulla quota di provvigioni tra L. 24.000.001 e L. 36 milioni annui.

B.      Agenti e rappresentanti senza obbligo di esclusiva per una sola ditta:

–      3% sulle provvigioni fino a L. 12.000.000 annui

–      1% sulla quota di provvigioni tra L. 12.001.000 e L. 18.000.000 annui.

Da tale indennità deve detrarsi quanto l’agente o rappresentante abbia diritto di ottenere per effetto di atti di previdenza volontariamente compiuti dal preponente.

Sono computabili agli effetti dell’indennità di risoluzione del rapporto anche le somme corrisposte espressamente e specificatamente a titolo di rimborso o concorso spese.

II.

Sempre in attuazione dell’art. 1751 cod. civ., in aggiunta alla somma di cui al precedente punto I della presente normativa verrà corrisposto un ulteriore importo così calcolato:

–      3% sulle provvigioni maturate nei primi 3 anni di durata del rapporto di agenzia;

–      3,5% sulle provvigioni maturate dal 4° al 6° anno compiuto;

–      4% sulle provvigioni maturate negli anni successivi.

(…)

III.

Le parti si danno atto che il sistema come sopra concordato in materia di aliquote e scaglioni soddisfa il principio di cui al terzo comma dell’art. 1751 cod. civ.

IV.

(…)

Dichiarazione a verbale.

Le parti confermano che le presenti disposizioni collettive in materia di trattamento di fine rapporto di agenzia, applicative dell’art. 1751 cod.civ., costituiscono complessivamente una condizione di miglior favore rispetto alla disciplina di legge. Esse sono correlative e inscindibili tra di loro e non sono cumulabili con alcun altro trattamento.

(…)»

6.     La sig.ra De Zotti impugnava la sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di Appello di Milano (in prosieguo: la «Corte d’appello»), che accoglieva parzialmente il ricorso. Secondo la Corte d’appello, l’art. 1751 del codice civile stabilisce un criterio ispirato ad una ratio meritocratica, che compensa l’agente commerciale per la clientela acquisita la quale, anche dopo la cessazione del rapporto, continua a procurare vantaggi al preponente. Poiché l’AEC, invece, stabilisce criteri del tutto estranei a tale ratio, il criterio dell’art. 1751 è inderogabile dall’autonomia negoziale. La Corte d’appello, applicando quindi l’art. 1751, detratto l’importo già riconosciuto dal giudice di primo grado e corrisposto dalla Honyvem, accordava alla sig.ra De Zotti la ulteriore somma (arrotondata) di ITL 57 000 000, oltre interessi e rivalutazione.

7.     Contro quest’ultima decisione la Honyvem proponeva ricorso per cassazione deducendo essenzialmente, da un lato, che non sono consentite deroghe alla disciplina prevista dall’art. 1751 solo se a svantaggio dell’agente e, dall’altro, che la verifica del carattere più o meno vantaggioso della disciplina dell’indennità di fine rapporto contemplata nell’AEC, rispetto a quella dettata dall’art. 1751 del codice civile, non deve essere operata ex post, cioè dopo la cessazione del rapporto, ma ex ante. Ciò premesso, andrebbe concluso che la disciplina contrattuale collettiva è più favorevole di quella dettata dall’art. 1751 del codice civile poiché assicura in ogni caso all’agente commerciale un’indennità che non è necessariamente garantita dalla disciplina legale.

8.     La sig.ra De Zotti proponeva anche un ricorso incidentale per cassazione nei limiti in cui non era stata quantificata l’indennità di cessazione del rapporto nella misura da lei richiesta.

9.     In tale contesto di fatto e di diritto, la Corte suprema di cassazione sottoponeva alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale che occorre utilmente riformulare e scomporre nelle due questioni seguenti:

«1)      Considerati il contenuto e lo scopo dell’art. 17 della direttiva 86/653, se l’art. 19 della medesima direttiva possa essere interpretato nel senso che esso consente che un accordo collettivo preveda un’indennità che, da un lato, sia dovuta all’agente commerciale a prescindere dalla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 17, n. 2 e, dall’altro, sia quantificabile non già secondo i criteri ricavabili dalla direttiva, ma anzi secondo i differenti criteri prestabiliti nell’accordo collettivo.

2)      Se il calcolo dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, debba essere compiuto in maniera analitica oppure se siano consentiti metodi di calcolo diversi che ricorrano in maggior misura al criterio dell’equità».

10.   La Corte di giustizia è in tal modo chiamata ad interpretare gli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653 (4). Ai sensi dell’art. 17 della direttiva:

«1.      Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire all’agente commerciale, dopo l’estinzione del contratto, un’indennità in applicazione del paragrafo 2 o la riparazione del danno subito in applicazione del paragrafo 3.

2.      a) L’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui:

–       abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

–       il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti. Gli Stati membri possono prevedere che tali circostanze comprendano anche l’applicazione o no di un patto di non concorrenza ai sensi dell’articolo 20.

b) L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente commerciale negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.

c) La concessione dell’indennità non priva l’agente della facoltà di chiedere un risarcimento dei danni.

3.      L’agente commerciale ha diritto alla riparazione del pregiudizio causatogli dalla cessazione dei suoi rapporti con il preponente.

Tale pregiudizio deriva in particolare dalla estinzione del contratto avvenuta in condizioni

–       che privino l’agente commerciale delle provvigioni che avrebbe ottenuto con la normale esecuzione del contratto, procurando al tempo stesso al preponente vantaggi sostanziali in connessione con l’attività dell’agente commerciale;

–       e/o che non abbiano consentito all’agente commerciale di ammortizzare gli oneri e le spese sostenuti per l’esecuzione del contratto dietro raccomandazione del preponente.

4.      Il diritto all’indennità di cui al paragrafo 2 e/o la riparazione del pregiudizio di cui al paragrafo 3 sorge anche quando l’estinzione del contratto avviene in seguito al decesso dell’agente commerciale.

5.      L’agente commerciale perde il diritto all’indennità di cui al paragrafo 2 o alla riparazione del pregiudizio di cui al paragrafo 3, se ha omesso di notificare al preponente, entro un anno dall’estinzione del contratto, l’intenzione di far valere i propri diritti.

6.      La Commissione sottopone al Consiglio, entro 8 anni a decorrere dalla notifica della direttiva, una relazione dedicata all’attuazione dell’articolo 30 e gli sottopone, se del caso, proposte di modifica».

11.   L’art. 19 stabilisce, dal canto suo, che «[l]e parti non possono derogare, prima della scadenza del contratto, agli articoli 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale».

II – Analisi

12.   Il legislatore comunitario ha previsto, all’art. 17, nn. 2 e 3, della direttiva, due diversi regimi d’indennità per l’agente commerciale dopo l’estinzione del contratto. Secondo il n. 1 di tale articolo, gli Stati membri, nell’attuare la direttiva, possono optare per l’uno o l’altro di tali due regimi. Il legislatore italiano ha optato per il regime di cui all’art. 17, n. 2.

13.   È noto che in Italia, prima dell’attuazione della direttiva 86/653, esisteva una disciplina dell’indennità per cessazione del rapporto di agenzia fondata, in larga misura, sulla contrattazione collettiva e diversa dalle due discipline alternative previste all’art. 17, nn. 2 e 3 (5). Ciò premesso, alla Repubblica italiana è stato concesso un periodo più lungo per attuare la direttiva con riferimento all’art. 17 (6). Sebbene la previsione di siffatta disciplina rifletta la preoccupazione di lasciare un certo margine di scelta agli Stati membri, il legislatore ha concesso a ciascuno Stato membro la possibilità di optare per una delle due discipline alternative previste dall’art. 17, nn. 2 e 3, ma ovviamente non la possibilità di adottare una disciplina legale di tertium genus incompatibile con le suddette due discipline.

A –    Significato e scopo dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653

14.   L’indennità stabilita dall’art. 17, n. 2, della direttiva ha un carattere innegabilmente peculiare e multiforme per quanto riguarda gli scopi perseguiti, trovando i suoi precedenti nella disciplina introdotta negli anni ‘50 all’art. 89 b del codice commerciale tedesco, l’Handelsgesetzbuch (HGB) (7).

15.   Tale particolare disciplina dell’indennità nasce in risposta ad un problema originato dalla cessazione del rapporto di agenzia. Infatti, il preponente, seguitando, dopo l’estinzione del contratto di agenzia, a compiere operazioni con i clienti procurati dall’agente commerciale, continua a beneficiare di plusvalenze derivanti, almeno in parte, dall’attività esercitata dall’agente commerciale nel corso del rapporto e il cui conseguimento, se il rapporto non fosse cessato, implicherebbe innanzi tutto di continuare a corrispondere provvigioni al detto agente.

16.   In tale contesto, il legislatore comunitario ha stabilito, ai sensi dell’art. 17, n. 2, della direttiva, che l’agente commerciale ha diritto ad un’indennità qualora si verifichino tre condizioni. In primo luogo, l’agente commerciale deve aver procurato nuovi clienti o sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti. In secondo luogo, il preponente deve continuare a ricevere sostanziali vantaggi derivanti dai rapporti con tali clienti dopo l’estinzione del contratto di agenzia. Tale condizione rileva solo, logicamente, se non sono stati mantenuti obblighi di pagamento di provvigioni all’agente commerciale dopo la detta cessazione. Infine, è altresì indispensabile che non si verifichi una delle circostanze che escludono il diritto all’indennità dell’agente commerciale, ai sensi dell’art. 18 della direttiva.

17.   Tale indennità, che potremmo appropriatamente denominare indennità di clientela, ha, se considerata dal punto di vista dell’agente commerciale, una natura compensativa. Essa lo compensa del suo buon operato, ove vi siano vantaggi economici per il preponente che continuano a derivare dai clienti acquisiti o dallo sviluppo di affari con tali clienti, portati a buon fine dall’agente commerciale. Considerata dal punto di vista del preponente, l’indennità di clientela consente, d’altro canto, di evitare una situazione di ingiusto arricchimento. Infatti, in mancanza di un obbligo di indennità dopo la fine del contratto, il preponente – senza essere tenuto a corrispondere una contropartita all’agente commerciale – potrebbe continuare a beneficiare di plusvalenze alle quali l’agente commerciale ha in qualche modo contribuito con la sua attività (8).

18.   I benefici per il preponente non si esauriscono, infatti, con gli affari conclusi tra il preponente e tali clienti prima della fine del contratto, ma possono prolungarsi nel tempo, dopo la scadenza di quest’ultimo, nella misura in cui tali affari continuino a realizzarsi. Parallelamente, la remunerazione dell’agente commerciale mediante il pagamento di provvigioni non avviene in un unico momento coincidente con quello in cui l’agente commerciale ha procurato un cliente o ha fatto affari con lui né consiste nel pagamento di una somma complessiva. Trattasi piuttosto di una remunerazione che si sviluppa nel corso del tempo mediante provvigioni corrisposte di volta in volta alla conclusione di ciascuna operazione tra il preponente e un cliente. (9).

19.   Un quadro contrattuale di questo tipo aumenta il verificarsi di situazioni di ingiusto arricchimento del preponente dopo la scadenza del contratto e giustifica, di conseguenza, la previsione normativa di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva. Risulta altresì evidente che, tramite l’indennità di cui al detto art. 17, n. 2, si elimina anche il rischio, in caso di risoluzione del contratto da parte del preponente, di comportamenti opportunistici che, in mancanza di una disciplina del genere, quest’ultimo sarebbe chiaramente incentivato a adottare (10).

B –    Il confronto tra la disciplina dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653 e una disciplina dell’indennità come quella prevista dall’AEC

20.   Il problema che si presenta nel caso di specie deriva dal fatto che il legislatore comunitario ha stabilito, all’art. 19 della direttiva 86/653, che «[l]e parti non possono derogare, prima della scadenza del contratto, agli articoli 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale». È in tale contesto che vengono a confronto la disciplina dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva, recepita dall’art. 1751 del codice civile, e la disciplina prevista dall’AEC.

21.   Dall’art. 19 si evincono, a contrario, due conclusioni. La prima è che le parti possono derogare al regime previsto dall’art. 17 prima della cessazione del rapporto, purché concordino una disciplina che non sia più svantaggiosa per l’agente commerciale. La seconda è che, dopo la cessazione del rapporto, le parti possono concordare qualsiasi disciplina derogatoria, anche più svantaggiosa per l’agente commerciale (11).

22.   Il problema che si pone, e che il dibattito giurisprudenziale e dottrinale in Italia descritto dalle parti ben rispecchia, è quindi quello di sapere se una disciplina dell’indennità quale quella prevista dall’AEC, sopra descritta, sia più svantaggiosa per l’agente commerciale di quella prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva. Dato il carattere imperativo del regime di tutela dell’agente commerciale previsto dagli art. 17‑19 della detta direttiva (12), la disciplina convenzionale, qualora sia più svantaggiosa per l’agente commerciale, sarà illegittima e non produrrà effetti.

23.   Orbene, la valutazione del carattere eventualmente più svantaggioso di una disciplina convenzionale rispetto a quella legale presuppone, innanzi tutto, come prius logico, che le due opposte normative siano paragonabili. Non si può comparare l’incomparabile. A tale proposito, ritengo che un confronto del genere non sia possibile in circostanze quali quelle del caso di specie, perché la disciplina convenzionale prevede un’indennità che si fonda su presupposti e persegue obiettivi del tutto diversi da quelli contenuti nell’art. 17, n. 2, della direttiva. In realtà, le due discipline si basano su logiche opposte che non consentono di determinare quale di esse sia, in astratto, più vantaggiosa per l’agente commerciale.

24.   Innanzi tutto, ai fini dell’applicazione di una disciplina dell’indennità quale quella prevista dall’AEC, è irrilevante il fatto che l’agente commerciale abbia procurato nuovi clienti o abbia consolidato la clientela esistente. È, inoltre, irrilevante che il preponente continui a trarre vantaggi sostanziali dall’attività economica con tale clientela, dopo la fine del contratto di agenzia. Al contrario, si rivelano pertinenti, ai fini della determinazione dell’indennità convenzionale dovuta all’agente commerciale, la durata del contratto, l’ammontare dei compensi annualmente percepiti dall’agente commerciale nel corso del rapporto e il carattere esclusivo o meno del contratto di agenzia.

25.   Occorre del pari segnalare che, contrariamente all’indennità legalmente prevista, che tiene conto anche della situazione posteriore alla cessazione del rapporto, l’indennità convenzionale dipende esclusivamente dalla presa in considerazione del passato (importi percepiti dall’agente commerciale e durata del vincolo).

26.   Oltre a queste differenze centrali riguardanti il contenuto e il significato delle due discipline dell’indennità poste a confronto, anche sotto il profilo della sua ratio l’indennità convenzionale persegue scopi del tutto diversi da quelli perseguiti dall’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva. Quest’ultima indennità risponde ad una filosofia indiscutibilmente meritocratica, secondo la quale si riconosce all’agente commerciale il diritto all’indennità nella misura in cui la sua attività di procacciamento e sviluppo della clientela abbia contribuito a continuare la realizzazione di plusvalenze per il preponente, dopo la cessazione del rapporto. Un’indennità quale quella prevista dall’AEC, sopra descritta, si trova invece agli antipodi di tale logica di merito. Tale indennità sarà, infatti, riconosciuta a tutti gli agenti commerciali senza distinzioni, alla fine del rapporto, anche se non hanno procacciato o sviluppato attività neppure con un cliente e, logicamente, anche se il preponente non trae alcun vantaggio dalla prosecuzione di affari con tali clienti, dopo la cessazione del rapporto.

27.   Stabilire quale delle due discipline dell’indennità sia più vantaggiosa per l’agente commerciale dipende dall’attività che viene effettivamente svolta dall’agente e può essere valutata solo ex post al momento della cessazione del rapporto. Sebbene nel documento convenzionale si affermi espressamente che l’indennità prevista corrisponde all’indennità legale, le due discipline non sono in sostanza comparabili, alla luce del loro contenuto e delle loro finalità. Né il nomen iuris eventualmente attribuito nel contratto o nell’AEC all’indennità convenzionale né l’eventuale affermazione che l’indennità convenzionale sostituisce interamente l’indennità legale modificano in qualche modo la assoluta impossibilità di confrontarle.

28.   Certamente, è possibile confrontare queste due discipline sotto il profilo degli effetti concreti dell’indennità che derivano dall’applicazione di ognuna di esse al momento della cessazione del rapporto. Tale confronto sarà, tuttavia, un confronto tra i risultati o le conseguenze dell’indennità, effettuato basandosi esclusivamente sull’evento esterno che provoca la sua applicazione, cioè la cessazione del rapporto. Non si tratta di un confronto in senso proprio di due discipline, il quale dovrebbe basarsi sui rispettivi contenuti e obiettivi.

29.   Non mi sembra, tuttavia, che il confronto di cui all’art. 19 della direttiva sia un mero confronto degli importi dell’indennità derivanti dall’applicazione, in concreto, della disciplina dell’indennità convenzionale e di quella legale al momento della cessazione di ciascun rapporto. Ciò che l’art. 19 della direttiva impone è, a mio parere, un confronto sostanziale tra la disciplina dell’indennità legale e quella convenzionale, che tenga conto dei rispettivi contenuti e obiettivi; non un confronto, puro e semplice, dei concreti effetti dell’indennità propri di tali discipline, i quali dipenderanno essenzialmente dall’esatto momento e dalle circostanze di mercato esistenti al momento della cessazione del rapporto. In tal senso, le due discipline sono talmente antitetiche che si rivela impossibile determinare quale delle due sia più vantaggiosa per l’agente commerciale (13).

30.   Un confronto effettuato in concreto al momento della cessazione del rapporto di agenzia creerebbe, oltretutto, una situazione di incertezza e di insicurezza, fino al momento della cessazione, per quanto riguarda la compatibilità della disciplina convenzionale con la disciplina legale dell’indennità di clientela. È necessario che la disciplina contrattualmente concordata non rimanga in uno stato di indeterminatezza quanto alla sua legittimità, fino al momento della cessazione del rapporto. Si aggiunga poi che, data l’incertezza e l’insicurezza che comporterebbe, innanzitutto, nella sfera del preponente, quanto alla disciplina dell’indennità applicabile, una soluzione di confronto ex post e in concreto avrebbe inoltre l’effetto di indurre il preponente a mantenere contratti che, in realtà, poterebbero non essere più produttivi e ai quali dovrebbe di conseguenza essere posto termine, in modo da consentire a nuovi agenti commerciali eventualmente più intraprendenti di entrare nel mercato.

31.   Una soluzione di confronto ex post fondata sulla presa in considerazione degli effetti concreti dell’indennità sarebbe, a mio avviso, sostenibile solo se considerassimo la tutela economica dell’agente commerciale come l’unico ed esclusivo interesse cui mira la direttiva 86/653. È evidente che non è così. La Corte di giustizia ha già avuto l’opportunità di dichiarare al riguardo che, oltre alla tutela dell’agente commerciale, la direttiva, come si evince dai suoi ‘considerando’ iniziali, mira altresì «a sopprimere le restrizioni all’esercizio della professione di agente commerciale, a uniformare le condizioni di concorrenza all’interno della Comunità e ad aumentare la sicurezza delle operazioni commerciali» (14). La tutela dell’agente commerciale non costituisce, di conseguenza, un fine in se stesso, da garantire ad ogni costo nell’interpretare le disposizioni della direttiva 86/653 e che esclude del tutto la presa in considerazione dell’interesse di tutela della sicurezza e della certezza del diritto nelle operazioni commerciali.

32.   La Honyvem ha ragione quando nelle sue osservazioni scritte afferma che si deve operare una comparazione ex ante tra i regimi a confronto. Il punto in cui, a mio avviso, la posizione della Honyvem non è sostenibile si trova nella conclusione cui giunge, secondo la quale, da una tale analisi ex ante discende che una disciplina dell’indennità come quella stabilita nell’AEC è più vantaggiosa per l’agente commerciale della disciplina legale di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva. Se così fosse, si tratterebbe di una deroga ammissibile ai sensi dell’art. 19.

33.   Come ho già esposto, tuttavia, secondo un’analisi ex ante, non si può concludere che la disciplina contenuta in un accordo quale l’AEC è, in astratto, più vantaggiosa per l’agente commerciale della disciplina prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva.

34.   Per giungere a tale conclusione, bisognerebbe considerare fondata la premessa da cui parte la Honyvem – contraria, peraltro, alla teleologia meritocratica della disciplina comunitaria – secondo la quale tutti gli agenti commerciali nutrono una radicale avversione al rischio, al punto di preferire necessariamente una disciplina di tipo ugualitario, che garantisca, almeno, un poco a tutti, a una disciplina, come quella prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva, che assicuri l’indennità, sia pure eventualmente molto più generosa, solamente agli agenti commerciali che siano riusciti a acquisire o sviluppare la clientela nel corso del contratto.

35.   È vero che, nel quadro della disciplina meritocratica prevista dall’art. 17 della direttiva, taluni agenti commerciali finiranno per non aver diritto a un’indennità. Orbene, ciò posto, a rigor di logica, nessuna disciplina può, in astratto, essere peggiore della disciplina meritocratica di cui al detto art. 17, dato che la sua applicazione può sempre avere come effetto la non attribuzione di un’indennità. Secondo tale logica, tuttavia, ogni regime che garantisse innanzi tutto all’agente commerciale almeno un’indennità superiore a zero, costituirebbe una deroga alla citata disciplina di cui all’art. 17, consentita dall’art. 19 della direttiva. Ciò significa che, virtualmente, tutte le discipline dell’indennità che garantissero una qualunque indennità all’agente commerciale alla fine del contratto supererebbero il vaglio dell’art. 19 della direttiva, come deroghe consentite all’art. 17, della medesima. È evidente che non si può seguire una logica di questo tipo, in quanto essa priva di ogni effetto utile il divieto di deroghe di cui al detto art. 19.

36.   Il problema della comparazione ex ante tra le due discipline dell’indennità, sostenuta dalla Honyvem nelle sue osservazioni, risiede nel fatto che essa considera solo agenti commerciali ipotetici, i quali, qualora fosse loro applicata la disciplina meritocratica dell’art. 17, n. 2, della direttiva, non avrebbero alcun diritto ad una indennità. L’art. 19 della direttiva, invece, quando afferma che le parti non possono derogare all’art. 17 «a detrimento dell’agente commerciale», si riferisce in astratto a tutti gli agenti commerciali senza distinzioni all’interno di un rapporto contrattuale individuale, a prescindere dal fatto che si tratti di un agente commerciale a cui sia riconosciuta o meno un’indennità a norma del detto art. 17, n. 2.

37.   Non si può, pertanto, concludere che, in base ad un’analisi ex ante, una disciplina dell’indennità come quella stabilita dall’AEC è più vantaggiosa per l’agente commerciale di quella prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva.

38.   L’interpretazione dell’art. 19 della direttiva qui operata non impedisce ovviamente che siano consentiti accordi in deroga alla disciplina di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva né che tali accordi presentino addirittura talune eventuali somiglianze con una disciplina quale quella dell’AEC. Quel che importa è che essi stabiliscano una disciplina che, in astratto, non possa rivelarsi peggiore per nessun agente commerciale di quella di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva. Ciò vale anche se si tratta di accordi eventualmente dettati da una logica in larga misura differente da quella che ispira la disciplina comunitaria. Immaginiamo così, per esempio, che un accordo collettivo assicuri all’agente commerciale un’indennità minima fissa, determinata in funzione della durata del contratto e del volume di affari, a prescindere dalla verifica dei requisiti previsti dall’art. 17, n. 2, della direttiva, a cui aggiunga l’importo derivante dall’applicazione di quest’ultima disciplina. Una disciplina di tal genere implicherà naturalmente una deroga all’art. 17, n. 2, della direttiva, in quanto si applicherà a prescindere dal fatto che siano soddisfatti tutti i suoi requisiti. Inoltre, nessun agente commerciale può considerare che l’essere sottoposto a tale disciplina lo collochi in una posizione peggiore di quella in cui si troverebbe se gli fosse applicata, rigorosamente e senza modifiche, la disciplina dell’art. 17, n. 2, della direttiva. Una deroga di questo tipo sarebbe legittima alla luce dell’art. 19 della medesima direttiva.

39.   Ciò che non è ammissibile, come sottolinea la sig.ra De Zotti in linea con una certa dottrina italiana (15), è che, facendo appello all’autonomia negoziale e facendo riferimento a un eventuale AEC, si mantenga in vigore, in pratica, una disciplina dell’indennità sostanzialmente uguale a quella che vigeva prima dell’attuazione nell’ordinamento giuridico italiano dell’art. 17, n. 2, della direttiva e che essa non assicuri a tutti gli agenti commerciali senza distinzioni più di quanto garantito dalla disciplina comunitaria.

40.   Ritengo pertanto che la Corte debba risolvere la prima questione proposta dalla Corte suprema di cassazione dichiarando che l’art. 19 della direttiva deve essere interpretato nel senso che un accordo collettivo come l’AEC, che preveda, dopo la cessazione del rapporto, una disciplina dell’indennità dell’agente commerciale dal contenuto e dalle finalità incompatibili con quelli che caratterizzano la disciplina dell’indennità prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva e diretta a sostituirla integralmente, sia considerato una disciplina derogatoria a detrimento dell’agente commerciale.

C –    Il metodo di calcolo dell’indennità di clientela prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva86/653

41.   In primo luogo, occorre sottolineare che l’art. 17 della direttiva prevede non soltanto le condizioni per il riconoscimento dell’indennità di clientela, ma anche gli elementi stessi necessari al calcolo di tale indennità. Ciò si evince dalla lettera stessa dell’art. 17, n. 2, della direttiva, quando viene utilizzata l’espressione «se e nella misura in cui». Il detto art. 17 non si limita, pertanto, a indicare le condizioni alle quali deve essere accordata l’indennità di clientela, ma anche il metodo di calcolo del quantum dell’indennità. È quindi in tal senso che, secondo una costante giurisprudenza, il giudice italiano deve interpretare l’art. 1751 del codice civile per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima (16).

42.   Certamente, il calcolo dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva può comportare talune difficoltà. Esso implica, infatti, previsioni sull’andamento degli affari del preponente con la clientela precedentemente acquisita o sviluppata dall’agente commerciale e sui benefici che egli ricaverà dalle operazioni compiute con tale clientela dopo l’estinzione del contratto di agenzia, senza dover pagare altre provvigioni all’agente commerciale.

43.   In ogni caso, l’effettuazione di previsioni è un’operazione che i giudici fanno normalmente, soprattutto quando sono chiamati ad accertare danni, comparando una situazione che è con una situazione ipotetica che sarebbe se non si fosse verificato un dato evento dannoso. A prescindere dalle difficoltà inerenti all’effettuazione di questo genere di operazioni di calcolo di danni basate su previsioni, resta il fatto che i giudici nella pratica le svolgono. Basti pensare, a questo proposito, per esempio, al calcolo del lucro cessante (17) o al calcolo del danno derivante dalla perdita di una «chance», che non soltanto presentano analogie tra loro (18), ma anche con il calcolo dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653. In particolare, nel caso dell’ordinamento giuridico italiano, che apparentemente consente che il danno derivante dalla perdita di una «chance» sia risarcibile e ammette la possibilità di quantificarlo anzitutto in base a previsioni e a valutazioni di probabilità (19), non sarà certo particolarmente difficile calcolare l’indennità di clientela secondo le modalità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva. Infine, ciò che si richiede per tale calcolo è l’effettuazione di previsioni sul verificarsi di determinati eventi dopo la cessazione del rapporto di agenzia.

44.   Le eventuali difficoltà ad eseguire tali valutazioni non costituiscono motivo per sostituire la disciplina dell’indennità prevista all’art. 17, n. 2, della direttiva con un’altra quale, ad esempio, quella prevista nell’AEC, nella presente fattispecie. La seconda, sebbene implichi un calcolo dell’indennità facile da eseguire, è incompatibile con la prima per quanto riguarda il suo contenuto, il suo significato e il suo scopo.

45.   Di conseguenza, si può utilmente schematizzare il calcolo dell’indennità di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva in tre fasi (20).

46.   In una prima fase, occorre stimare quantitativamente i benefici che il preponente otterrà dopo la cessazione del rapporto, benefici che corrisponderanno grosso modo alle provvigioni che smetterà di pagare all’agente commerciale, dopo la cessazione, per la clientela acquisita o sviluppata dall’agente commerciale. A questo proposito, appare chiaro che, per esempio, il volume di affari e le provvigioni corrisposte all’agente commerciale nel corso del rapporto sono elementi utili per quantificare i vantaggi di cui il preponente godrà, presumibilmente, nel futuro e, di conseguenza, per quantificare l’importo dell’indennità dovuto all’agente commerciale. Tali elementi saranno, peraltro, rilevanti nella stretta misura in cui siano pertinenti, per i loro stessi meriti, ai fini delle previsioni necessarie al calcolo dell’indennità prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva, e non nella misura in cui siano considerati rilevanti da un eventuale accordo collettivo per il calcolo di tale indennità.

47.   Dopo questa fase, ne seguirà un’altra in cui si verificherà se il pagamento di tale indennità è equo. L’equità svolge un ruolo subordinato nell’economia dell’art. 17, n. 2, della direttiva. Essa opera come una valvola di sicurezza messa a disposizione del giudice per adattare l’importo dell’indennità, tenuto conto delle circostanze particolari del caso concreto, o addirittura, eventualmente, in situazioni limite, per escludere l’indennità. Il carattere casuistico inerente a qualsiasi giudizio d’equità rende, a mio parere, impossibile un’elencazione o una descrizione delle circostanze specifiche del caso concreto che possano essere considerate rilevanti in tale giudizio. Un’analisi del genere spetterà naturalmente agli organi giurisdizionali nazionali competenti.

48.   In una terza fase, l’importo dell’indennità è, infine, assoggettato al limite massimo previsto all’art. 17, n. 2, lett. b) della direttiva. Trattasi di un limite massimo, che non deve essere preso come punto di partenza per il calcolo dell’indennità, ma come un plafond da prendere in considerazione solo se l’importo dell’indennità derivante dalle due fasi di calcolo precedenti lo superi.

49.   Di conseguenza, ritengo che la Corte debba risolvere la seconda questione proposta dalla Corte suprema di cassazione dichiarando che l’art. 17, n. 2, della direttiva deve essere interpretato nel senso che non solo stabilisce le condizioni per il riconoscimento del diritto all’indennità da parte dell’agente commerciale ma anche gli elementi stessi per il calcolo di tale indennità, cosicché i criteri di equità potranno intervenire solamente qualora, in base alle specifiche circostanze del caso concreto, risulti necessario rettificare l’importo dell’indennità che è stato innanzi tutto quantificato conformemente agli elementi oggettivi di cui all’art. 17, n. 2, lett. a), della direttiva 86/653.

III – Conclusione

50.   Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di giustizia di risolvere come segue le questioni proposte dalla Corte suprema di cassazione:

«1)      L’art. 19 della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che un accordo collettivo, come l’Accordo Economico Collettivo nel presente procedimento, che preveda, dopo la cessazione del rapporto, una disciplina dell’indennità dell’agente commerciale dal contenuto e dalle finalità incompatibili con quelli che caratterizzano la disciplina dell’indennità prevista dall’art. 17, n. 2, della direttiva e diretta a sostituirla integralmente, sia considerato una disciplina derogatoria a detrimento dell’agente commerciale.

2)      L’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che non solo stabilisce le condizioni per il riconoscimento del diritto all’indennità da parte dell’agente commerciale ma anche gli elementi stessi per il calcolo di tale indennità, cosicché i criteri di equità potranno intervenire solamente qualora, in base alle specifiche circostanze del caso concreto, risulti necessario rettificare l’importo dell’indennità che è stato innanzi tutto quantificato conformemente agli elementi oggettivi di cui all’art. 17, n. 2, lett. a), della direttiva 86/653».


1 – Lingua originale: il portoghese.


2 – GU L 382, pag. 17; in prosieguo: la «direttiva 86/653» o la «direttiva».


3 –      In seguito è stato adottato il Decreto Legislativo 15 febbraio 1999, n. 65, che contiene varie modifiche alla disciplina del contratto di agenzia, al fine di garantire una maggiore conformità con la direttiva 86/653. Così è stato modificato l'art. 1751, primo comma, del codice civile, che ora recita: «All'atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni». È stato inoltre inserito alla fine un nuovo comma, che prevede la corresponsione dell'indennità anche quando il rapporto cessa per morte dell'agente.


4 – La direttiva 86/653, è già stata oggetto d'interpretazione da parte della Corte, in particolare, nelle sentenze 12 dicembre 1996, causa C‑104/95, Kontogeorgas (Racc. pag. I‑6643), 30 aprile 1998, causa C‑215/97, Bellone, (Racc. pag. I‑2191), 13 luglio 2000, causa C‑456/98, Centrosteel (Racc. pag. I‑6007) e 6 marzo 2003, causa C‑485/01, Caprini (Racc. pag. I‑2371). Nella sentenza 9 novembre 2000, causa C‑381/98, Ingmar (Racc. pag. I‑9305) gli artt. 17 e 19 della direttiva sono stati direttamente oggetto di esame. Più di recente, il 28 aprile 2005, l'avvocato generale L.A. Geelhoed ha presentato le sue conclusioni nella causa C‑3/04, Poseidon Chartering, decisa con sentenza 16 marzo 2006 (Racc. pag. I‑2505). Comunque, le questioni finora trattate dalla Corte sono differenti da quelle proposte dalla Corte di Cassazione nel presente procedimento.


5 – V., ad esempio, Baldi, R., Il contratto di agenzia, 7ª Ed. Giuffrè, Milano, 2001, pagg. 247 e segg.


6 – V. il sesto ‘considerando’ in cui si menziona espressamente la necessità di concedere «termini transitori supplementari a taluni Stati membri che devono compiere sforzi particolari per adeguare le loro regolamentazioni alle esigenze della presente direttiva in particolare per quanto riguarda l'indennità dopo l'estinzione del contratto tra il committente e l'agente commerciale». Orbene, ai termini dell'art. 22, n. 3, della direttiva, l'Italia, per quel che riguarda gli obblighi derivanti dall’art. 17, era appunto uno di tali Stati.


7 – Questa circostanza è spesso segnalata in dottrina. V. anche pag. 2 della Relazione sull'applicazione dell'articolo 17 della direttiva del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (86/653/CEE) COM 96/364 def.


8 – V. Pinto Monteiro, A., «Il contratto di agenzia rivisitato. La direttiva CEE N. 86/653», in Diritto privato comunitario, vol. I (a cura di Vito Rizzo), edizioni scientifiche italiane, 1997, pagg. 252-253 e Gomes, J., O conceito de enriquecimento, o enriquecimento forçado e os vários paradigmas do enriquecimento sem causa, Publicações Universidade Católica, Porto, 1998, pagg. 279-282.


9 – V., in particolare, l'art. 10 della direttiva 86/653, a proposito del momento in cui si acquisisce il diritto alla provvigione.


10 – Parallelamente, l'art. 18 della direttiva intende evitare che l'agente commerciale approfitti ingiustamente dell'indennità nel caso in cui la cessazione del rapporto fosse a lui imputabile oppure in caso di cumulo dell'indennità di clientela con un altro compenso dall'analoga funzione.


11 – In dottrina la giustificazione a tale limitazione dell'autonomia privata risiede in un ragione «paternalistica» derivante dalla posizione asimmetrica in cui si trovano le due parti del rapporto contrattuale. Si cerca di evitare che la posizione di dipendenza e di asimmetria d'informazione dell'agente commerciale rispetto al preponente, che esiste nel corso del contratto, gli impedisca realmente di decidere cosa sia meglio per lui. V., ad esempio, v. Hoyningen-Huene, G., in Münchener Kommentar zum Handelsgesetzbuch, Commento all'art. 89 b, punto 188, pag. 1174, C.H.Beck, München, 1996 e Cunha, C., A indemnização de clientela do agente comercial, 2003, Coimbra Editora, pagg. 346 e segg.


12 – V., in tal senso, sentenza Ingmar, cit., punti 21 e 22.


13 – Tale orientamento si può riscontrare nella dottrina italiana, a titolo esemplificativo e, più recentemente, in Sordi, P. «La contrattazione collettiva e l’indennità di cessazione del rapporto nel contratto di agenzia» in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 2001, pagg. 546 e segg, in particolare pag. 548 e, ancor più di recente, dello stesso Sordi, P. «L’invalidità degli accordi del 1992 sull’indennità di cessazione del rapporto di agenzia» in Giustizia civile, 2002, pag. 487. Prende del pari posizione, tra gli altri, nel senso della inefficacia e della incompatibilità del regime del contratto collettivo con l'art. 1751 del codice civile e con l'art. 17, n. 2, della direttiva 86/653, Baldi, R., Il contratto di agenzia, op. cit., pag. 266 in particolare pagg. 278-282. Anche una giurisprudenza italiana recente, seppur apparentemente minoritaria, ha seguito un identico ragionamento, come risulta, innanzi tutto, dalla descrizione fatta dalla Corte suprema di cassazione nella domanda di pronuncia pregiudiziale.


14 – V, citate sentenze Bellone, punti 13 e 17 e Ingmar, punti 20 e 23.


15 – V. segnatamente, Baldi, R., Il contratto d’agenzia, op. cit., pag. 268.


16 – V., recentemente, sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I‑8835, punto 113).


17 – De Cupis, A., Il danno – Teoria generale della responsabilità civile, vol. I, 3a Ed., Giuffrè, Milano, 1979, pag. 297, rammenta che, nel calcolo di questo tipo di danno si deve valutare «se un determinato vantaggio si sarebbe, o meno, verificato (…). [L]a certezza, entro il campo dell'ipotetico, non può essere assoluta: bisogna, quindi, contentarsi di una certezza relativa, ovverosia, di una fondata e ragionevole attendibilità».


18 – V. in tal senso Bocchiola, M. «Perdita di una “chance” e certezza del danno», in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Anno XXX (1976), pagg. 55 e segg., in particolare pagg. 60-61, nel sottolineare che, nella misura in cui la certezza è soltanto relativa sia nel caso della perdita di «chance» sia nel caso del mancato lucro «le due ipotesi sono, al limite, confondibili e praticamente si sovrappongono».


19 – V. sentenza della Corte suprema di cassazione 29 aprile 1993, n. 5026, in Giurisprudenza Italiana, 1994, Parte prima, sez. I, punti. 234 e segg., in particolare, punto 241, con note di A. Musy.


20 – Come osserva la Commissione nella sua Relazione sull'applicazione dell'articolo 17 della direttiva del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, citata alla nota 7, pagg. 3-5.